Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

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Saltini, Guglielmo Enrico 2 occorrenze
  • 1862
  • Le Monnier
  • Firenze
  • critica d'arte
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I lavori di squisito disegno e di perfetta esecuzione eseguiti nei monumenti della contessa d’Albany e dell’architetto Digny in Santa Croce di Firenze, come pure quelli bellissimi della Tribuna di Galileo, mostrano chiaramente come tutte le molte altre sue opere, quanto abbia gusto nel disegno, franchezza nel modellare, e abilità non comune nel lavoro dei marmi. — Emilio Demi di Livorno (n. 26 agosto 1798), ebbe fama di ottimo scultore e studioso dell’arte. La statua di Galileo Galilei (1839), che ammirasi nell’aula della Università di Pisa, in atto di mostrare agli scolari la sua scoperta del moto terrestre, palesa nell’autore mente arguta nel concepire, e facilità di mezzi nell’operare. Siede il Galileo, perchè chi sta seduto meglio raccoglie le facoltà dell’intelletto, nella mano sinistra tiene la sfera, con la destra indica la sua teoria, e dalla espressione vivissima della testa, e dal moto dei labbri, e da tutta la persona traspare la virtù del sapiente ragionamento. Ma già fino dal 1836 aveva esposto il Demi un suo gruppo in plastica, la Madre educatrice, gentile pensiero e molto bene eseguito, che oggi vedesi in marmo nella sagrestia della chiesa del Soccorso a Livorno. È anche sua lodata opera il Dante seduto, che sta nelle sale dell’Accademia Labronica in quella città, ma non può dirsi lo stesso di quello che fece nel 1842 per le nostre logge vasariane. Meritevole poi era la statua colossale innalzata a Leopoldo II nel 1848 in sulla piazza livornese del Voltone; ma la furia popolare, che non sempre rispetta nelle tele e nei marmi l’opera sudata dell'arte, in quei torbidi civili la travolse e spezzò. — Emilio Santarelli fiorentino (n. primo d’agosto 1801) trasse dall’esempio del padre, sommo incisore di numismi1, l’amore al far di rilievo; e studiata l'arte indefessamente se ne rese padrone, tanto da meritare nome tra i migliori. I suoi fregi e bassorilievi nel quartiere della Meridiana ai Pitti, i due genj e le Virtù cardinali sull’urna della contessa d’Albany in Santa Croce, la statua maggiore del vero del senatore Giovan Vincenzio Alberti nel tempio istesso, quella della Fortezza che fece pel famoso monumento di Cristoforo Colombo a Genova, la puttina che prega scolpita già pel Demidoff, e ripetuta poi in copia, che acquistarono all’Esposizione Italiana i Principi Reali, e, per tacere di molte altre, la bellissima statua di Michelangelo Buonarroti, che nel 1842 fu posta sotto il portico degli Uffizi, sono opere per concetto, ed esecuzione commendabilissime. Quel Michelangiolo poi che pensa vendicare la patria negandosi ardito di servirne il tiranno, sotto ogni rispetto onora l'arte italiana. — Temistocle Guerrazzi livornese, (nato in sul cominciare del secolo) mostrò ben presto che poteva riuscire scultore valente. Un suo bassorilievo sotto la statua del Primo Leopoldo a Pisa, un altro che adorna quella di Ferdinando III a Livorno, il Giovanni delle Bande Nere, posto nel 1855 nelle logge vasariane, e il bellissimo gruppo, l’Esule sul confine in atto di separarsi dalla famiglia, sono lavori che meritano lode non comune. — Francesco Giovannozzi di Firenze (n. 1802) e fratello del mentovato Luigi, è pure scultore ornatista di sommo valore. Si vedano il ricco festone e gli ornati tutti dell’imbasamento della statua di Leopoldo II a Livorno, quelli magnificamente scolpiti in macigno alla nuova scala del Poccianti nella reggia de’ Pitti, il cammino di stile del cinquecento per la villa Leyder a Maiano e i fregi che attualmente lavora per la facciata di Santa Croce, e le nostre lodi rimarranno di gran lunga inferiori al suo merito. — Niccola Bazzanti fiorentino (n. 1802), è pure un artista degno di bella ricordanza. La sua gentile Diana che si bagna, e la statua d’Andrea Orcagna, collocata nel 1843 tra quelle degli Uffizi, in atto di contemplare la celebre Loggia che a lui si attribuisce, sono sculture di pregio singolare. — Aristodemo Gostoli di Firenze (n. 6 settembre 1803), attese all'arte, tratto da naturale inchinamento dell’animo, e in fresca età riuscì artista provetto. Nel 1830 modellò quel suo Gladiatore moribondo, figura colossale che basterebbe sola a dar fama ad un artista, tanta vi si scorge dignità nel pensiero, bellezza di forme, decoro nelle movenze e verità. Vedemmo quest’opera riprodotta in marmo all’Esposizione Italiana dell’anno decorso, e vogliamo dire in lode dell’autore, che se i Giurati le tributarono il premio, il pubblico confermandoglielo di unanime consentimento, diceva il Menéceo una delle artistiche cose più belle di quella mostra solenne. Del Gostoli vogliono anche essere ricordate la statua del Galileo posta (1840) nella tribuna del Museo di Fisica e Storia Naturale in Firenze, e l’altra al medesimo inalzata (1851) nel portico del Vasari; il bassorilievo del monumento del senatore Pontenani nel chiostro di Santa Croce (1844), esprimente la parabola: Reddite quae sunt Caesaris, Caesavi, et quae sunt Dei, Deo; la figura colossale delia Prudenza pel monumento di Colombo a Genova, con un bassorilievo esprimente il primo suo sbarco all’isola di San Salvadore, e una assai bella immagine al vero della Concezione, che va modellando pel marchese Canossa di Verona. — LUIGI MAGI di Siena (n. il primo novembre 1804), attese all’arte con amore e intelligenza. Sono modellate da lui una Carità, posta al Poggio Imperiale in luogo di quella del Bartolini, che, mirabile cosa com’è, si volle ritenere nei Pitti; la statua di Cosimo de’ Medici, il Vecchio, per il portico degli Uffizi, e il gruppo colossale posto in Grosseto ad eternare la bella ricordanza del bonificamento di quelle desolate Maremme. — LORENZO NENCINI fiorentino (n. 10 gennaio 1806) è anch’esso scultore di qualche merito. Si deve a lui il monumento di Giovita Garavaglia, collocato (1838) nella chiesa della SS. Annunziata di Firenze. Rappresenta l’arte che piange, tenendo in mano il rame dell’Assunta di Guido, ultima e non compiuta opera del celebre incisore pavese. Fece pure (1847) la statua di Guido Aretino che sta tra le ventotto de’ più illustri toscani, il gruppo della strage degli Innocenti, e quel Bacco giacente, figura al vero, che fu reputata la più bella delle opere sue. — ULISSE CAMBI pure di Firenze (n. 22 settembre 1807), è tra i primi che attendono all’arte tra noi. Compiuto con lode il corso accademico, passò a perfezionarsi a Roma, e di là mandava come saggio di studj il gruppo Dafni e Cloe, che poi nel 1841 rifece quasi intieramente pel conte Larderell. Nel 1844 scolpì con triste verità il monumento di quel celebre dipintore che fu Giuseppe Sabatelli, rappresentandone il corpo consunto dall’orribile tabe, disteso sul letto funerario. L’anno appresso modellava perii portico degli Uffìzi il Benvenuto Cellini, che è tenuto molto pregevole statua; quindi (1846) il Bacco fanciullo, che tutto lieto delle trincate tazze danza festoso e sorride con infantile voluttà; e nel 1849 per la chiesa della SS. Annuziata il sepolcro al marchese Luigi Tempi, ove oltre la statua giacente del defunto, è da ammirare il bassorilievo che esprime un coro di angeli. Fece poi quel vago e furbissimo Amor mendicante, che mentre con una mano pare ti chieda la carità, nell’altra nasconde il dardo col quale disegna ferirti. Questo putto insieme al piccolo pescatore (1861), fu sempre ammirato da quanti lo videro, perchè v’è dentro ispirazione, grazia e verità. E davvero il Gambi nel modellare i fanciulli ci pare abbia raggiunto assai perfezione; come si vede nel suo lodato gruppo dell’Èva carezzante i figliuoli (1857), ove il piccolo Abele per soavità di movenza e di forme può dirsi tra le migliori cose dell’arte. Si deve pure a lui la statua maggiore del vero di Francesco Burlamacchi da Lucca, che vinta per merito ai competitori nel 1860, scolpisce adesso per quella città di commissione del Governo. — ODOARDO FANTACCHIOTTI di Firenze (n. 1809) gode assai bella fama tra gli scultori toscani. Il sepolcro dell’incisore Raffaello Morghen (1834), le statue di Giovanni Boccaccio (1843), e dell'Accursio (1852) per il portico degli Uffizi, il bellissimo gruppo della Strage degli Innocenti e la statua di Sallustio Bandini (1857) di commissione del marchese Cosimo Ridolfi, basterebbero sole al suo nome. Ma la Musidora, vaga ninfa che esce dall’acqua, della quale studiò il concetto nelle Stagioni del Thomson, poeta inglese; e più lo stupendo monumento della Signora Spence, italiana, e moglie di un pittore forestiero che da lungo ha stanza in Firenze, meritano nuova e più larga testimonianza d’onore all’artista. Quest’ultimo specialmente, dove tu vedi la donna gentile ora spirata, distesa sopra un funebre letto, innanzi al quale posano due angioletti che cantano le sue lodi; fu di unanime consentimento giudicato una delle più belle sculture sepolcrali del nostro tempo. — GIOVANNI LUSINI da Siena (n. 20 giugno 1809) attese di principio all’arte, e modellò la statua di Leon Battista Alberti (1850) per il portico degli Uffizi; ma poi lasciato il marmo e la creta, lavora oggi le cose anatomiche nel R. Museo fiorentino. — PASQUALE ROMANELLI di Firenze (n. 28 marzo 1812) è l’unico allievo del Bartolini, che abbia bel nome tra noi. La sua statua del prode Francesco Ferrucci (1847) tutta chiusa nelle armi e in atto di scagliarsi sull’inimico, è tra le più lodate della Loggia vasariana. Assai grazioso è quel figliuolo di Guglielmo Tell, scolpito in atto di contemplare compiacente la patema destrezza, che senza ferirlo colpiva il proposto segno. Non senza pregi la statua colossale di Vittorio Fossombroni modellata per la città di Arezzo, il monumento che pose (1858) alla memoria del venerato maestro in Santa Croce, il Beniamino Franklin fanciullo, e la grandiosa figura del generai Garibaldi. — Lodovico Caselli, uomo in sui cinquanta, che attende all’arte con desiderio di far bene. Sono sua opera un gruppo esprimente Agar col figliuolo Ismaele, e la statua eretta (1852) a Paolo Mascagni celebrato anatomico, nella loggia degli Uffìzi. — Pio Fedi nato a Viterbo (7 giugno (1815) ma poi venuto a studiare in Toscana, è artista che va per la maggiore. I simulacri di Niccola Pisano (1849) e Andrea Cisalpino (1854), modellati per il portico del Vasari, e la statua colossale del marchese Torrigiani sono sculture pregevoli; ma l’opera che gli dette bella fama è il gruppo del ratto di Polissena, che per concetto e larga esecuzione ricorda l'ardita fantasia dei maestri greci. Questo superbo lavoro viene scolpito in marmo per cura di una società di amatori dell’arte, che designano farne dono a Firenze. — Giovanni Duprè da Siena (n. primo marzo 1817) é lo scultore italiano del tempo che abbia meglio compresa la mente sovrana del Bartolini. Dire degnamente delle molte opere che ha modellate fin qui, vorrebbe un libro: ma noi col solo annoverarle, siamo certi favellare abbastanza della sua fama. Quando appena in sui venticinque anni (1842) scoperse al pubblicò il suo Abele morente, il Bartolini, vedutolo, scriveva ad un amico suo che le sorti dell’arte erano assicurate, e per sempre bandito da essa il manierismo servile. E tant’oltre corse il grido di questa stupenda figura, che quasi fu dubitato se l’artista avesse potuto mai superarla. Ma il Caino, la statua di Giotto scolpita per il portico degli Uffìzi (1845), l’altra di Sant’Antonino arcivescovo ivi pure collocata (1852), e la celebre base in cui volle con maraviglioso accorgimento rappresentate le immigrazioni della gran tazza di porfido che deve posarle sopra, esprimendo cosi in poche figure il lungo avvicendarsi di tanti secoli e la storia di quattro civiltà; fecero a tutti manifesto natura ed arte essersi intieramente rivelate al Duprè. E quando gl’Italiani ammirarono di nuovo quest’ultimo suo lavoro all’Esposizione Nazionale dell’anno decorso, insieme a quella Saffo, che diserta d’ogni umano conforto, sembra avere abbandonato la vita anche prima dell’estremo sacrifizio; a que’graziosi e tanto differenti fanciulli, festante l’uno per la grassa vendemmia, afflitto l’altro per le uve perdute; e a quella Vergine santa che tutta rivela nel muto sembiante la disperata desolazione materna; fu una la voce che lo salutò tra coloro che servendo col pensiero agli affetti, fanno rispondere le arti ai divini concepimenti. Nè vogliamo tacere che nel 1857 il Duprè inviò al concorso di Londra un modello pel monumento a Wellington, lavoro qua da pochi veduto, ma che gli meritò premio dalla sapiente Albione; nè delle due grandiose opere a cui attende adesso, il bassorilievo da collocare sulla porta maggiore della facciata di Santa Croce, esprimente l'Esaltazione del sacro simbolo, e il monumento sepolcrale di una gentildonna morta in Toscana pochi anni sono. — Torello Bacci di Firenze, uomo sui quarantacinque, scolpì nel 1844 la statua di Piero Capponi pel portico del Vasari; crediamo però che oggi abbia lasciato l'arte. — Pietro Costa pure fiorentino (n. 1819), studia con amore ed opera con coscienza. La statua di Francesco Redi che fece (1854) tra le ventotto degli illustri toscani, per la naturale movenza e per un certo gusto nella composizione merita lode; e quella sua graziosa americana del Sud (1859) che è adesso all’Esposizione di Londra, e il monumento della cantatrice Angiolina Bosio inaugurato nel 1860 nel campo santo cattolico di Pietroburgo, gli fruttarono anche appresso degli stranieri onorata menzione.— Luigi Cartei fiorentino (n. 2 settembre 1822), modellò nel 1847 per il portico degli Uffizi la statua dello storico Francesco Guicciardini; fece un’assai graziosa figura allegorica pel palagio dell'Esposizione italiana, e attende oggi con desiderio a scolpire una Pietà che ha da essere collocata nella nuova chiesa di Santa Caterina in Firenze. — Vincenzio Consani di Lucca, giovane artista, amante dei classici studj e del vero, scolpì (1856) non senza abilità la statua di Pier Antonio Micheli, famoso botanico, pel portico vasariano, e nell’anno appresso il monumento a Carlo III di Borbone duca di Parma. Merita anche di esser ricordata la sua Musica Sacra, molto gentile figuretta di garzone che canta. — Tito Sarrocchi di Siena, giovane che assai promette di sè, mandò all’Eposizione Nazionale del decorso anno un suo vago gruppo di una sorridente fanciulletta che insegna la prima preghiera al fratellino. — Salvino Salvini di Livorno (n. 26 marzo 1824) ha nome tra i più valenti scultori toscani. La statua d’Archimede, che inviava all’Accademia fiorentina, come saggio de’ suoi studi di Roma, e quella desolata figlia di Sion Ehma, modellata nel 1852, sono òpere degne di grandissima lode. Questa in special modo, dalle cui labbra par che di nuovo prorompa il disperato lamento dei biblici canti, destò già l’ammirazione degli Italiani e forma adesso quella dei forestieri nel palagio di Londra. Il Salvini oggi professore nella R. Accademia di Bologna, ha inalzato a questi giorni nel camposanto di Pisa un’assai bella statua a Niccola Pisano, e va modellando la statua equestre di Re Vittorio Emanuele, vinta al concorso del 1860, che poi gettata in bronzo, adornerà la gran piazza dell’Indipendenza a Firenze.

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Non sappiamo che abbia condotto grandi tele, ma l’Agnato, il Ratto e la Seduzione sono assai buoni lavori. — ANTONIO CISERI di Lucarno (n. 25 ottobre 1821) dipinge maestrevolmente e insegna l’arte con molto amore. Le sue tele, Carlo V che raccoglie il pennello a Tiziano, l'Ostracismo di Giano della Bella da Firenze, un Cristo bellissimo, e quella non ancora compiuta de’ Maccabei, sono opere che possono dargli nome tra i primi. Anche questo artista ha già dato valenti allievi. — DEMOSTENE MACCIÒ di Pistoia, discepolo caro al Bezzuoli, mostrò avere appreso molto da lui, in un quadro rappresentante fra Benedetto da Foiano che muore nelle carceri di Castel Sant’Angelo a Roma. Fece anche il Galileo Galilei che rifiuta la collana d’oro mandatagli dagli Olandesi, dipinto che fu all’Esposizione Italiana del 1861. — ANTONIO PUCCINELLI di Castelfranco di sotto (n. 19 marzo 1822) è pittore a cui natura conduce i pennelli. Assai pregiate opere ha fatte fin qui, che gli danno fama di egregio, singolarmente nel colorire. Ricordo le Conversazioni platoniche del magnifico Lorenzo de’ Medici nella sua villa di Careggi, suo capolavoro; Leone X che visita quella istessa villa, ricordando con piacere i luoghi ove fu giovinetto; Lucrezia Borgia che medita un delitto, e Dino Compagni che nel tempio di San Giovanni esorta alla pace i grandi della nostra città. Oggi è professore di pittura nell’Accademia bolognese. — OLIMPIO BANDINELLI fiorentino, frescante dei migliori tra i contemporanei. Rammentiamo di lui con piacere alcuni sfondi nelle volte del palazzo Poniatowski in via San Leopoldo (oggi Cavour), e-in quelli della contessa d'Almaforte, e di madama Favard nel nuovo Lung’Arno di Firenze. —FERDINANDO FOLCHI, nato anche esso nella nostra città (2 maggio 1822), dipinge con assai abilità e pratica dell’arte. I suoi migliori quadri sono il miracolo di San Francesco che resuscita un fanciullo nella chiesa del Soccorso a Livorno, il Deposto di Croce per la SS. Annunziata di Firenze (1855), e un grandioso fresco per la collegiata d’Empoli esprimente il martirio di Sant’Andrea. — STEFANO USSI di Firenze (n. 3 settembre 1822), fino da quando dipinse pel concorso della nostra Accademia e sotto la direzione del Pollastrini, la Risurrezione di Lazzaro quatriduano (1849), mostrò per l’arte attitudine tale da far nascere la speranza di un artista eccellente. Ito a Roma, si dette fin d’allora a studiare la sua celebre tela del Duca d’Atene, quando assalito in palagio, è costretto dai Fiorentini a rinunziare per sempre la usurpata signoria della loro città, tela che poi compiuta alcuni anni appresso in patria, lo disse davvero pittore non secondo a nessuno degli Italiani. Nel 1794 quando comparve alla vista del pubblico il San Donato del Benvenuti, si gridò da ogni parte la pittura risorta e da un secolo non essersi veduto altrettanto; noi innanzi al dipinto dell’Ussi proviamo molto maggiore commovimento, contemplandovi come per incanto riunite quelle maggiori perfezioni che l'arte ha raggiunto fin qui, e che fanno sperare non lontano il giorno in cui P Italia avrà come nei suoi bei tempi artisti degni della presente civiltà. — MICHELE GORDIGIANI di Firenze è artista di una singolare perizia nel condurre ritratti al naturale. E tanto ha saputo in queste copie del vero trovare il vero, che il suo nome già chiaro nella penisola, non è ignoto alla Francia e all’Inghilterra. Meritano essere ricordati tra i più recenti ritratti usciti dal suo pennello, quelli della contessa Tolomei nata Ricci, del principe Luciano Bonaparte e della principessa sua consorte, del cav. Orazio Holl, del celebrato traduttore di Schiller cav. Andrea Maffei, e del conte Cammillo Benso di Cavour. — ALESSANDRO LANFREDINI (n. novembre 1823) è pittore anch’esso che può far molto. I suoi quadri, il Mondo perduto e i Coscritti italiani del reggimento Sigismondo alla battaglia di Magenta, sono degni di lode. — CARLO BRINI di Firenze (n. 1825) allievo del Bezzuoli, è artista di merito; e quella sua pittura, una scena dell’inquisizione, destò assai romore, tanto ne parve mirabile la composizione, il colore e l'effetto. — VITO D’ANCONA di Pesaro, israelita (n. nell’ottobre 1825), studiò pure in Firenze presso il Bezzuoli e apprese da lui il gusto nel colorire. Il Savonarola che niega l'assoluzione a Lorenzo de’ Medici, e il primo incontro di Dante con Beatrice sono due pregevoli suoi dipinti. — CARLO ADEMOLLO di Firenze (n. nell’ottobre 1825) è pittore di molto spirito e fa sperare ottima riuscita. Il suo gran quadro della morte di Ernesto Cairoli alla battaglia di Varese (1859) ha una bella composizione e un ben calcolato effetto. Dipinse anche alcuni episodii della battaglia di San Martino (24 giugno) e tra gli altri quello dell’Anna Cuminello trovata morta il giorno appresso dai soldati italiani, e alcune vedute alpestri di Toscana tratte dal vero. — GIUSEPPE BELLUCCI pure fiorentino (n. 9 agosto 1827) promette alla patria un artista. Il suo quadro Agar nel deserto è uno dei migliori che siano usciti dal pennello dei nostri giovani, tanto vi son belli il concetto, il disegno, il colore e l’esecuzione. Nè vuol tacersi del San Paolo dinanzi a Poppea, altra sua tela non senza pregi. — ANNIBALE GATTI di Forlì (n. nel settembre 1828) è tra i giovani pittori quello che maggiormente si distingue nelle opere a fresco. Le sue composizioni riescono di molto effetto, il disegno ne è corretto, buono il colorito e armonizzante. Il Rinaldo e Armida, e l'Armida coi duci arabi, dipinti eseguiti nelle volte del palazzo della signora Favard, son degni di ammirazione; e vuol ricordarsi del Gatti anche un quadretto a olio d’ottimo gusto, Molière che legge le sue commedie alla serva. — LUIGI BECHI di Firenze (n. nel marzo 4830) promette pure molto. Galileo Galilei innanzi al tribunale dell’inquisizione, e Abramo che ripudia Agar, sono tra i suoi quadri i meglio pregiati. E potremmo anche ricordare molti altri giovani studiosi, che accennano voler raggiungere nobile mèta; se il fin qui esposto non bastasse allo scopo di questo scritto, e anche ad incoraggiamento per coloro che avanzano con bella fatica nella difficile strada dell’arte.

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