Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbi

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Mitchell, Margaret

221295
Via col vento 1 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Abbi cura di lei, Prissy. Questo è per te - e le diede una banconota.... Cerca di non essere piú stupida di quello che sei. - Sí, signore. Grazie, signore. - Addio, Rossella. Si era voltato a guardarla, ma ella non parlò. L'odio l'aveva ammutolita. Udí il suo passo sui ciottoli della strada e per un attimo vide le sue larghe spalle disegnarsi nel buio. E dopo un momento, era scomparso. Udí allontanarsi il rumore dei passi, fino a cessare completamente. Allora tornò lentamente verso il carretto, con le ginocchia che le tremavano. Perché se n'era andato cosí, nel buio, a mescolarsi alla guerra, a una Causa che sapeva perduta, a un mondo impazzito? Perché era andato, Rhett che amava il piacere, le donne, i liquori, il buon vino e i letti comodi, i bei vestiti e le belle scarpe, che detestava gli Stati del Sud e derideva gl'imbecilli che combattevano per essi? Ora le sue scarpe verniciate lo portavano su una strada dolorosa, su cui la fame camminava con passo instancabile, e che le ferite, la debolezza, l'angoscia percorrevano come un branco di iene urlanti. E all'estremità di quella strada era la morte. Non doveva andare, lui che era ricco e tranquillo. Ed era andato, invece, lasciandola sola in una notte nera come la fuliggine, con l'esercito yankee fra lei e la sua casa. Ora si ricordò tutti gli insulti che avrebbe voluto lanciargli, ma era troppo tardi. Appoggiò il capo sul collo curvo del cavallo e pianse.

Pagina 396

Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222317
Misteri del chiostro napoletano 1 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
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La portinaia, presami la mano, mi disse: "Abbi pazienza, cara mia.... per amore o per forza bisogna trangugiare questo calice...." "Di qual calice parli?" le chiesi spaventata, e col presentimento di qualche nuova sventura. "Ti dico che mia madre tarda a tornare, e vorrei conoscerne il perchè." "Inutilmente l'aspetti." "Perchè?" "Tua madre è già partita alla volta di Reggio." Se la portinaia non mi avesse sostenuta pel busto, sarei caduta in terra. Per lunga pezza restai pietrificata. Ben sapeva io che la madre doveva lasciarmi, ma perchè mai partiva l'indomani della mia chiusura? perchè partiva senza avvertirmene? I miei nervi, scossi già di troppo da tanti dispiaceri, non poterono resistere a quest'ultimo colpo. Fui assalita da convulsioni. Quand'ebbi ricuperati i sensi e riaperti gli occhi, mi vidi circondata da uno stuolo di monache, di converse, di educande, tutte straniere a me, tutte intente a pascere l'ozio, la curiosità, l'apatia, proprie alla loro condizione, nello spettacolo del mio abbattimento. Chi bisbigliava di qua, chi commentava di là, chi dell'altra parte componeva il viso al sarcasmo; non una sola di esse che mi volgesse un accento di sincera carità. Il medico Ronchi, che allora entrava nella porteria, essendo uno dei curanti della comunità, mi fece somministrare pronti rimedi. La febbre, che mi sopravvenne mi confinò in letto per più d'una settimana. Quando il destino è avverso, concatenate vengono le disgrazie. Di lì ad un mese incominciai a, persuadermi ch'era pur troppo reale anche l'abbandono di Domenico. Nutriva, sino allora in quel mio sepolcro la dolce speranza, non solamente di ricevere qualche sua lettera, ma, sì ancora di vederlo ritornato in Napoli, e farsi il mio liberatore. Se uguale al mio era l'affetto suo, se generosi sentimenti albergavano nel petto suo, se la voce dell'umanità gli favellava in cuore, se la reminiscenm della mia verace e costante devozione poteva nell'animo suo, più che il vile interesse, come avrebb'egli tollerato ch'io cadessi vittima, della giuratagli fedeltà? Quanta volte guardai dal coro della chiesa per vedere se vi era! Quanta volte dall'alto dei belvederi con febbrile ansietà slanciai lo sguardo in cerca di lui lungo le vie circonvicine! Spesso, delusa dalle sembianze, dall'andatura, dal vestiario di chi parevami che gli somigliasse, mi sentii in procinto di svenire, credendo che giunto fosse il momento del mio riscatto. Ma, ohimè! nè egli direttamente m'indirizzava due linee, nè mia madre nelle sue lettere mi faceva motto di lui. Vedeva di tratto in tratto Giuseppina, ma la presenza di questa diletta sorella, non faceva ogni volta che aumentare le cagioni del mio dolore. L'infiermità alla gamba, provocata, dalla caduta, erasi col cambiamento dello stato dichiarata incurabile, talchè, per muoversi, la misera era costretta di appuntellarsi alle gruccie. Veniva pur talvolta a porgermi pietoso conforto il generale Salluzzi, cui tributo figliale gratitudine. Gli altri parenti, l'amante, gli amici, non si rammentavano più dell'orfana. Sarebbesi detto che già un abisso mi separasse dal mondo intero, a dispetto de' concenti umani, che tuttora echeggiavano teneramente dentro l'animo mio. Se non che, nel mezzo di tanto abbandono, una consolazione sublime rattemprò le mie pene: l'elevazione dello spirito a quel Dio della carità, che volle nascere, vivere e morire, non già per i muti orrori del deserto, per l'inanimata solitudine, ma sibbene per la salute dell'umanità, in civile e vasto consorzio tenuta da una sola ed indivisibile legge di connessione. Una sera di febbraio mi trovai sola sul terrazzo. I raggi del sole morente non isplendevano più che sulla cima del Vesuvio e sulle vette di Castellammare, le cui nevi ripercuotevano un chiarore, che respingeva il progresso dell'oscurità. Regnava, intorno un insolito silenzio; lo schiamazzo del carnevale aveva attirate le genti ne' centri più frequentati della città, per modo che il quartiere di San Lorenzo, ove ergesi il monastero, restava del tutto spopolato. Non giungeva, all'udito mio che l'eco spirante delle popolari esultanze, siccome fragore di mare lontano. Una commozione novella m'invase: all'aria libera sotto l'immensa vôlta del firmamento mi sentii sola, è vero, come prima, ma non isolata. La voce del Signore m'appellava alla contemplazione della sua misericordia. Piegai il ginocchio a terra, giunsi le mani, sollevai al cielo le pupille bagnate di pianto, ed invocai l'aiuto dell'Onnipossente. "E che son io?" esclamai, rialzatami poscia e tergendo le lagrime; "che sono i miei patimenti in confronto a quelli della nazione cui appartengo? Se sotto il doppio giogo della temporale e della spirituale tirannide langue l'Italia intera, pretenderei io, atomo incalcolabile, io sola fra tanti milioni di oppressi, consumar la vita nei contenti e nella prosperità?"

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