Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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IL GIORNALINO DI GIANBURRASCA

683022
Bertelli, Luigi - Vamba 2 occorrenze
  • 1912
  • MARZOCCO Sessantunesima edizione
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Il fatto, come sempre, si riduce a una inezia e la causa di esso dovrebbe procurarmi un premio invece che un gastigo, avendo io fatto di tutto per obbedire la mamma che ieri, prima di andar via di casa con le mie sorelle e con la signora Merope per far delle visite, mi aveva detto: - Cerca di divertire Maria, mentre siamo fuori, e abbi giudizio. - Io, dunque, dopo aver fatto con lei da cucina e qualche altro giuoco, tanto per contentarla, essendomi seccato a queste stupidaggini da bambini, le ho detto: - Guarda, è quasi buio e c'è un'ora prima di andare a desinare: vogliamo fare quel bel giuoco, come ti feci vedere ieri in quel bel libro di figure? Io sarò il signore e tu lo schiavo che io abbandono nel bosco... - Sì! Sì! - ha risposto subito. La mamma, con le mie sorelle e la signora Merope non erano ancora tornate; Caterina era a preparare da mangiare in cucina: e io ho condotto Maria in camera mia, le ho levato il vestitino bianco, e le ho messo il mio di panno turchino, perché sembrasse proprio un ragazzo. Poi ho preso la mia scatola di colori e le ho tinto la faccia da mulatto, ho preso un paio di forbici e siamo scesi giù nel giardino, dove ho ordinato allo schiavo che mi venisse dietro. Eravamo giunti in un viale solitario, quando rivolgendomi a Maria, ho raggiunto: - Senti: ora ti taglio i riccioli, come nel racconto, se no ti riconoscono. - La mamma non vuole che tu mi tagli i capelli! - ha risposto lei mettendosi a piangere. Ma io non le ho dato retta: le ho tagliato tutti i riccioli perché altrimenti non era possibile fare quel gioco. Poi l'ho messa a sedere su una pietra, vicino alla siepe, dicendole che doveva far finta d'essere smarrita. E mi sono avviato tranquillamente verso casa. Intanto ella urlava, urlava proprio come se fosse stato uno schiavo vero, e io mi tappavo gli orecchi per non sentire perché volevo seguitare il gioco fino in fondo. Il cielo era stato tutto il giorno coperto di nuvole, e in quel momento cominciarono a venir giù certi goccioloni grossi grossi... Quando sono entrato in salotto tutti erano a tavola ad aspettarci. Sulla tovaglia c'era un bellissimo vassoio pieno di crema e di savoiardi che mi hanno fatto venir subito l'acquolina in bocca. - Oh, eccoli finalmente! - ha esclamato la mamma vedendomi, con un respirone di sollievo. - Dov'è Maria? Dille che venga a pranzo. - Abbiamo fatto il gioco dello schiavo, - ho risposto. - Maria deve fingere di essersi smarrita. - E dove si è smarrita? - ha domandato la mamma ridendo. - Oh, qui vicino, nel viale dei Platani, - ho continuato, mettendomi a tavola a sedere. Ma il babbo, la mamma, la signora Merope e l'avvocato Maralli sono scattati in piedi, come se la casa fosse stata colpita da un fulmine, mentre invece tonava appena appena. - Dici sul serio? - mi ha domandato il babbo, stringendomi forte il braccio, e imponendo agli altri di mettersi a sedere. - Sì; abbiamo fatto quel giuoco del signore e dello schiavo. Per questo ho dovuto travestirla da mulatto; e io che facevo il padrone che l'abbandonava l'ho lasciata sola laggiù; poi viene la fata, che la conduce in un palazzo incantato, e lei diventa, non si sa come, la più potente regina della terra. - Nessuno ha più messo un boccone in bocca, dopo che ebbi detto questo, meno io. La signora Merope si torceva le mani dalla disperazione e diceva che la bambina sarebbe morta dallo spavento, che aveva paura dei tuoni, che le sarebbe venuta certamente una malattia, e altre esagerazioni simili. A sentirla, pareva che dovessero succedere tutti i guai del mondo per un po' di freddo e un po' d'umidità. - Brutto! Cattivo! Scellerato! - ha esclamato Virginia, strappandomi di mano i biscotti che stavo per mangiare. - Non la finisci mai con le birbonate? Che coraggio hai avuto di venire in casa e di lasciare quell'angiolo caro, laggiù. sola, al freddo e al buio? Ma che cosa ti viene fuori dalla tasca? - Oh nulla, sono i capelli di Maria. Glieli ho dovuti tagliare perché non fosse riconosciuta. Non ho detto che l'ho travestita da mulatto, con i capelli corti e la faccia nera? - Qui la signora Merope si è fatta pallida pallida, ed ha chinato la testa. La mamma ha cominciato a spruzzarle il viso con l'aceto, e piangeva e singhiozzava. Il babbo si è alzato per andare a prendere una lanterna. Che furia d'andare a cercare quella bambina! Nemmeno se fosse stata un oggetto di valore! Mi faceva stizza di veder la casa in iscompiglio per una cosa da nulla. Il fatto è che mi è toccato di smetter di mangiare per andare a far vedere in che posto avevo lasciato Maria. Era una vergogna sentire quello che dicevano di me; pareva che non fossi lì presente! Dicevano che ero un disubbidiente, uno sbarazzino, uno scellerato, un ragazzo senza cuore, come se le avessi tagliato la testa, invece dei capelli! Questo è il fatto nella sua semplicità. La signora Merope parte oggi per Bologna, perché non mi può più vedere, e perché ha piovuto mentre che la sua bambina era smarrita nel viale. E io che mi infradiciai tutto per andare a cercare Maria, non ebbi in ricompensa né baci, né abbracci, non ebbi una tazza di brodo bollente con l'uovo dentro, come lei, non ebbi un bicchierino di marsala con i biscottini, la crema e le frutte, né mi stesero sul sofà per farmi tante carezze. Neppur per sogno! Fui invece cacciato in camera come un cane, e il babbo disse che sarebbe venuto su per conciarmi per il dì delle feste. So purtroppo quel che vogliono dire queste minacce. Ma io feci le barricate, come nelle città in tempo di guerra, e non mi prenderanno che sulle rovine del lavamano e del tavolino da scrivere che ho messo contro l'uscio. Zitto! Sento del rumore... che sia l'ora del combattimento? Ho le provvigioni in camera, l'uscio è chiuso a chiave, ci ho messo davanti il letto, sopra il letto c'è il tavolino da scrivere, sul tavolino lo specchio grande. Ecco il babbo... picchia alla porta perché gli apra, ma non gli rispondo. Voglio star qui zitto zitto, come il gatto quando è in cantina. Oh, se per un miracolo un ragno filasse la tela, a un tratto, a traverso l'uscio! Il nemico crederebbe la camera vuota, e se n'andrebbe. E se volesse aprir per forza? Sento un gran fracasso! Spingono la porta... Andrà a finire che lo specchio cadrà, e andrà in bricioli, e dopo la colpa sarà mia, tanto per mutare.. ...Sempre così: è il ragazzaccio cattivo, è il famoso Gian Burrasca che fa sempre tutti i malanni... Roba vecchia!

Sta' allegro e abbi giudizio. - Gigino non aveva inteso a sordo: e con alcuni suoi amici era andato a fare una visita a certi compagni che stavano in campagna. Arrivati sul posto, tutti insieme si misero a fare il chiasso e, via via, il numero della comitiva era andato aumentando, tanto che da ultimo erano non meno di una ventina di ragazzi di tutte le età e di tutte le condizioni sociali, tutti affratellati in una grande baldoria d'urli e di canti. A un certo punto Gigino che si dava una cert'aria per essere il figlio di uno dei capi del partito socialista, entrò a parlare del primo maggio, della giustizia sociale e di altre cose delle quali aveva sentito parlare spesso in casa e che aveva imparato a ripetere pappagallescamente: ma ad un tratto uno della comitiva, un ragazzaccio tutto strappucchiato gli rivolse a bruciapelo questa inopportuna domanda: - Tutti bei discorsi; ma che è giusta, ecco, che tu abbia una bottega piena di paste e di pasticcini a tua disposizione, mentre noi poveri non si sa neppure di che sapore le sieno? - Gigino a questa inaspettata osservazione rimase male. Ci pensò un poco e rispose: - Ma la bottega non è mica mia: è del mio babbo!... - E che vuol dire? - ribatté il ragazzaccio. - Non è socialista anche il tuo babbo? Dunque, oggi che è la festa del socialismo dovrebbe distribuire almeno una pasta a testa a tutti i ragazzi, specialmente a quelli che non ne hanno mai assaggiate... Se non comincia lui a dare il buon esempio non si può pretendere certo che lo facciano i pasticcieri retrogradi!... - Questo tendenzioso ragionamento ebbe la virtù di convincere l'assemblea e tutta la comitiva si mise a urlare: - Ha ragione Granchio! (Era questo il soprannome del ragazzaccio tutto strappato) Evviva Granchio!... - Gigino, naturalmente, era mortificato perché gli pareva, di fronte, a tutti quei ragazzi, di farei una cattiva figura, e non solo lui ma anche il suo babbo; sicché si struggeva dentro di trovar qualche ragione colla quale ribattere il suo avversario, quando gli venne una idea che da principio lo spaventò quasi per la sua arditezza, ma che gli apparve poi di possibile esecuzione e l'unica che avesse la virtù in quel frangente di salvare la reputazione politica e sociale sua e di suo padre. Aveva pensato che in quel momento il suo babbo era alla Camera del Lavoro a fare un discorso, e che le chiavi di bottega erano in casa, nella sua camera, dentro il cassetto del comodino. - Ebbene! - gridò. - A nome mio e di mio padre vi invito tutti nel nostro negozio ad assaggiare le nostre specialità... Ma intendiamoci, eh, ragazzi! Una pasta a testa! - L'umore dell'assemblea si mutò come per incanto e un solo grido echeggiò, alto, entusiastico, ripetuto da tutte quelle bocche in ciascuna delle quali serpeggiava la medesima acquolina tentatrice. - Evviva Gigino Balestra! Evviva il suo babbo! - E tutti quanti mossero dietro di lui, compatti con l'ardore e la velocità di un eroico drappello alla conquista di una posizione lungamente vagheggiata o il cui possesso si presenti a un tratto privo dì ogni ostacolo. - Sono una ventina fra tutti - pensava intanto Gigino - e per una ventina di paste... mettiamo pure una venticinquina... dall'esserci al non esserci, in bottega dove ce ne sono a centinaia, nessuno se ne può accorgere... In verità non varrebbe la pena che per una simile miseria compromettessi il mio prestigio, quello di mio padre e perfin quello del partito al quale apparteniamo! - Arrivati in città Gigino disse ai suoi fedeli seguaci: - Sentite: ora vo a casa a pigliar le chiavi di bottega... fo in un lampo. Voialtri intanto venite dall'usciolino di dietro... ma alla spicciolata, per non dar nell'occhio! - Bene! - gridarono tutti. Ma Granchio osservò: - Ohé!... Non ci farai mica la burletta, eh? Se no, capisci?... - Gigino ebbe un gesto di grande dignità: - Sono Gigino Balestra! - disse - e quando ho dato una parola si può esser sicuri! - Andò lesto lesto a casa, dove c'era la sua mamma e una sua sorellina; senza farsi vedere sgusciò in camera del babbo, prese dal cassetto del comodino le chiavi di bottega e ritornò via di corsa lanciando alla mamma queste parole: - Vo con i miei compagni, ma tra poco ritorno a casa! - E se n'andò difilato al negozio, guardando a destra e a sinistra per paura che qualche persona di conoscenza della sua famiglia avesse a sorprenderlo durante quella manovra. Aprì la porta scorrevole di ghisa e la tirò su tanto da potere entrare in bottega, e una volta dentro la richiuse. S'era provvisto in casa di una scatola di cerini e con essi accese una candela che il babbo teneva sempre vicino alla porta; così trovò il contatore del gas, l'aprì, e accese poi le lampade della pasticceria; e fatto questo andò ad aprir l'usciolino dietro il negozio che dava in un vicolo poco frequentato. Da quell'usciolino incominciarono a entrare i compagni di Gigino, a uno, a due a tre... - Mi raccomando - badava a ripetere il figlio del pasticcere. - Uno per uno... al più due... Ma non mi rovinate! - Ma a questo punto è meglio che lasci la parola allo stesso Gigino Balestra che essendo stato il protagonista di quella avventura comica e tragica a un tempo, la racconta certamente meglio di quel che potrei fare io. - Lì per lì - dice Gigino - mi parve che il numero dei miei compagni fosse molto cresciuto. Il negozio era addirittura invaso da una vera folla che bisbigliava girando intorno sulle paste e sulle bottiglie de'rosolii certi occhi che parevan di fuoco. Granchio mi domandò se potevano prendere una bottiglia di rosolio, tanto per non murare a secco, e avendo acconsentito, me ne versò gentilmente un bicchiere pieno dicendo che il primo a bere doveva essere il padrone di casa. E io bevvi e bevvero tutti facendomi dei brindisi e invitandomi e ribere, sicché si dovette stappare un'altra bottiglia... Intanto anche le paste sparivano e i più vicini a me ne offrivano dicendomi: - Prendi, senti com'è buona questa, senti com'è squisita quest'altra - proprio come se loro fossero stati i padroni della pasticceria e io il loro invitato. Che vuoi che ti dica, caro Stoppani? Si arrivò a un punto che io non capivo più nulla; ero esaltato, mi sentivo addosso un ardore e un entusiasmo che non avevo provato mai, mi pareva d'essere in un paese fantastico tutto popolato di ragazzi di marzapane col cervello di crema e il cuore di marmellata uniti da un dolce patto di fratellanza condita con molto zucchero e rosolio di tutte le qualità... E ormai anche io seguitavo come tutti gli altri a mangiar paste a quattro ganasce e a vuotar bottiglie e boccette di tutti i colori e di tutti i sapori volgendo delle occhiate di beatitudine in quel campo aperto alla baldoria nel quale si agitavano come fantasmi tutti quei ragazzi che ogni tanto urlavano a bocca piena: - Evviva il socialismo! Evviva il primo maggio! - Io non ti so dire quanto durasse quella grande scena d'ogni dolcezza e d'ogni letizia... So che a un certo punto la musica cambiò a un tratto e una voce terribile, quella di mio padre, rimbombò nel negozio gridando: - Ah, razza di cani, ora ve lo dò io il socialismo! - e fu un diluvio di scapaccioni che piovve da tutte le parti fra le grida e i pianti di tutta quella folla di ragazzi ubriachi che si accalcava confusamente verso la porticina cercando di fuggire. Io ebbi un momento di lucido intervallo nel quale, con un volger d'occhi, abbracciai quel quadro bizzarro e sentii in un lampo tutta la terribile responsabilità che mi pesava... Il banco prima cosparso di centinaia di paste tutte messe per ordine era vuoto, gli scaffali attorno erano tutti in disordine e vi si affacciavano qua e là i colli di bottiglie rovesciate dalle quali colavano giù rosoli e sciroppi, in terra era un piaccichiccio di pasta sfoglia pesticciata, dovunque sulle sedie, nelle cornici degli scaffali e del banco eran bioccoli di crema e di panna sbuzzata fuori dalle meringhe, e ditate di cioccolata... Ma fu solo, come ho detto, in un lampo ch'io intravidi tutto questo, perché un maledetto scapaccione mi fece rotolar sotto il banco e non vidi né sentii più nulla. Quando mi svegliai ero a casa, nel mio letto, e accanto a me c'era la mia mamma che piangeva. Mi sentivo un gran peso nella testa e sullo stomaco... Il giorno dopo, 2 maggio, il babbo mi dette due once d'olio di ricino; la mattina di poi, tre maggio, mi fece vestire e mi portò qui nel collegio Pierpaoli... - Cosi Gigino Balestra ha concluso il suo racconto, con un accento comicamente solenne che mi ha fatto proprio ridere. - Vedi? - gli ho detto. - Anche tu sei vittima, com'è accaduto a me in più circostanze della vita, della tua buona fede e della tua sincerità. Tu avendo il babbo socialista hai creduto nel tuo entusiasmo di dover mettere in pratica le sue teorie distribuendo i pasticcini a que' poveri ragazzi che non ne avevan mai assaggiati, e il tuo babbo ti ha punito... È inutile: il vero torto di noi ragazzi è uno solo: quello di pigliar sul serio le teorie degli uomini... e anche quelle delle donne! In generale accade questo: che i grandi insegnano ai piccini una quantità di cose belle e buone... ma guai se uno dei loro ottimi insegnamenti, nel momento di metterlo in pratica, urta i loro nervi, o i loro calcoli, o i loro interessi. Io mi ricorderò sempre d'un fatto di quando ero piccino... La mia buona mamma, che pure è la più buona donna di questo mondo, mi predicava sempre di non dir bugie perché a dirne solamente una si va per sette anni in Purgatorio; ma un giorno che venne a cercarla la sarta col conto e che lei aveva fatto dire dalla Caterina che era uscita, io per non andare in Purgatorio corsi alla porta di casa a gridare che non era vero nulla e che la mamma era in casa... e in premio d'aver detto la verità ci presi un bello schiaffo. - E perché ti hanno messo in collegio? - Per aver pescato un dente bacato! - Come! - ha esclamato Gigino al colmo dello stupore. - Per uno starnuto d'un vecchio paralitico! - ho aggiunto io divertendomi a vederlo a sgranar tanto d'occhi. Poi, dopo averlo tenuto per un bel pezzo di curiosità, gli ho raccontato l'ultima mia avventura in casa del mio cognato Maralli, per la quale fu interrotto il mese di esperimento concesso da mio padre ed io fui accompagnato in questa galera. - Come vedi, - conclusi - anche io sono stato una vittima del mio destino disgraziato... Perché se quel signor Venanzio zio di mio cognato non avesse fatto uno starnuto proprio nel momento in cui lo avevo avvicinato la lenza con l'amo alla sua bocca sgangherata, io non gli avrei strappato quell'unico dente bacato che gli rimaneva e non sarei qui nel collegio Pierpaoli! Vedi un po', a volte, da che può dipendere la sorte e la reputazione di un povero ragazzo... - * * * Ho voluto raccontar qui le confidenze che son corse tra me e Gigino Balestra per dimostrare che siamo legati ormai in intima amicizia e che, se stamani egli era sveglio e mi guardava mentre io scrivevo nel Giornalino, non avevo nessuna ragione - come ho già detto in principio - di diffidare di lui. Anzi gli ho detto in grande segretezza di queste mie memorie che vo scrivendo, l'ho messo a parte dei miei progetti e gli ho proposto, d'entrare nella nostra Società segreta... Egli mi ha abbracciato con uno slancio d'affetto che mi ha commosso e ha detto che si sentiva orgoglioso della fiducia che rimettevo in lui. Oggi, infatti, durante l'ora di ricreazione, l'ho presentato ai miei amici che l'hanno accolto benissimo. Il Barozzo non c'era. Da quando ha dato le dimissioni egli vive solitario e pensieroso e quando ci incontra si limita a salutarci con un'aria triste triste. Povero Barozzo! Io in adunanza ho raccontato tutta la scena della seduta spiritistica di iersera e si è stabilito, di riflettere tutti seriamente per trarre partito da questa nuova situazione e per preparar qualche tiro per mercoledì notte. Domani martedì ci riuniremo per eleggere il nuovo presidente e per decidere sull'intervento dello spirito del compianto professore Pierpaoli all'appuntamento dato al signor Stanislao, alla signora Geltrude e al loro degno cuoco inventore della minestra della rigovernatura.

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