Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbeverate

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Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222303
Misteri del chiostro napoletano 1 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Disse: il convento non essere carcere, come il mondo generalmente suppone, ma sì orto di salute, intemerato asilo, ove le anime, superiori alle sociali vanità, od abbeverate da disinganni, rinvengono respiro non mai contaminato dall'alito funesto delle passioni nè soggetto alle procelle del secolo. Trovarsi d'altronde profusi in que' ritiri, non soltanto gli spirituali conforti, ma, inoltre tutti gli agi della vita nobile, e perfino le raffinatezze e le oneste ricreazioni del mondo elegante. - Se così non fosse, come vi si sarebbero albergate tante e tante centinaia di giovanette, discese dalle più illustri prosapie di Napoli, munite di vistose dotazioni? - Alla fin fine, l'ingresso mio nel chiostro non sarebbe stato che un breve saggio di due mesi, allo spirar de' quali avrei, volendolo, ricuperata senza fallo la mia libertà, per farne l'uso che meglio mi converrebbe. - Mi disse queste, ed altre cose ancora. Erasi frattanto proposta di condurmi al monastero nella giornata, ma l'enfiagione dei miei occhi essendo tale da metter paura, dovette suo malgrado astenersene. Il giorno appresso, veggendo che invano si sarebbe attesa la fine del pianto, mi ordinò di apparecchiarmi.... Povera Giuseppina! io non aveva nè la mente nè il cuore a segno..... Fu dessa che mi allestì. La madre, ora rimproverava le mie esitazioni, ora m'incoraggiava dicendomi: "Sta' pure certa che fra due mesi verrò a riprenderti!" Dalla carrozza scesi alla porta del monastero contristata, e montai piangendo la prima scala che mena alla seconda, detta della clausura. Nell'aprire la porta suddetta, la portinaia suonò un campanello onde avvertire la Comunità che la vittima stava per entrare. Mia zia, l'abbadessa, trovavasi nella portería, e fu la prima a venirmi incontro. Tutta contenta mi strinse al seno, e susurrommi all'orecchio in tuono affabilmente imperioso di ringraziare le monache del favore che mi avevano usato, accettandomi per loro compagna. - Le venerande sembianze e la voce di mio padre, ripetute nel volto e nella pronunzia della badessa, mi scossero per modo che credetti di cader tramortita. Frattanto le monache accorrevano in folla per vedermi, cacciando la testa le une sulle altre, e salendo per fine sulle seggiole. Nè facevano a bassa voce i loro commenti intorno alla mia persona. Chi mi trovava bella, chi brutta, chi simpatica, chi antipatica, chi di contegno docile, chi d'aspetto recalcitrante. Io mi sentiva oppressa, soffocata: avrei preferito di morire piuttosto che entrare per ispontanea volontà in un luogo, dove il libro della civiltà prometteva fin dalla prefazione guarentigie sì scarse. I ringraziamenti, raccomandati dalla badessa, furono proferiti non da me stessa, ma sibbene dalla madre, la quale fra le altre cose disse come la mestizia del mio volto non dovevasi attribuire ad altra cagione, se non alla morte recente di mio padre, e alla separazione dalla famiglia. Il discorso, non lungo, ma condito di complimenti copiosissimi a nome mio recitati, venne interrotto dall'arrivo dell'altra mia zia paterna, chiamata Lucrezia, la quale, perchè accidentata sì nelle membra che nel senno, entrò sostenuta da due converse. Gli sponsali di Giuseppina erano stati fissati al due gennaio l840. Si fermò adunque col consenso della madre e della zia badessa, che sarei entrata nel convento due giorni dopo le nozze. Ritornata in casa, ricusai di prendere alimento alcuno; e fino al giorno fatale, i miei occhi non cessarono di versare gran copia di lagrime. Quanti sforzi magnanimi non usarono i parenti paterni, onde indurre mia madre a non sacrificarmi! Rispondeva costei, che farmi dimorare due mesi in un convento di nobili donzelle, non era al certo volermi immolare. Tale infatti, com'ebbi più tardi l'occasione di verificare, era allora la sua intenzione. La principessa di Forino si offrì di tenermi in casa sua per quei due mesi, ed i suoi figli, miei cugini, s'impegnarono di farmi sposare il duca di*** nostro lontano parente, e allora vedovo. Mia madre rese grazie dell'offerta gentile, e disse che del matrimonio se ne sarebbe riparlato al suo ritorno di Calabria. Nè soltanto gli stretti parenti, ma pure agnati ed amici gareggiarono in quella circostanza di compassione e di benevolenza in mio soccorso. Il generale Salluzzi, uomo dotato di non comune filantropia, e commilitone di mio padre, mi assicurò che qualunque fosse per essere nell'avvenire lo stato mio, egli mi avrebbe fatto un dono di mille ducati. La sera de' 2 gennaio avvenne, com'era stato prestabilito, lo sposalizio di Giuseppina: l'accompagnai piangendo. - Inseparabili sono le lagrime dal mio dramma! - Essa andava nelle braccia d'un uomo che amava: io, misera, mi allontanava per sempre e da lei e da ogni altro essere diletto. Il mio pianto, estremo sospiro d'un agonizzante, contristò la funzione.... Funesto presagio in una sera di nozze! Al fine sorse l'alba del sabato 4 gennaio. Io portava allora i capelli in lunghi ricci. Nell'atto d'acconciarmeli in quella foggia consueta, la voce della madre mi fermò. "Che vai facendo?" mi diss'ella: "Ti pare sia quella un'acconciatura che si addica a convento? Sciogliti presto i ricci! Stamane devi solamente lisciare i capelli." "Ma, Dio buono, io non entro nel convento per farmi monaca!" risposi indispettita al sommo. "Se non devo abitarci che per due soli mesi, perchè disadornare la mia pettinatura, perchè smettere le mie abitudini?" "Ch'io non ti voglia far monaca, tu ben lo sai; ma la badessa mi ha raccomandato di non menarti stamani colla chioma preparata così, affinchè le monache non ti chiamino vanarella." E in così dire, prese il pettine, e di propria mano mi lisciò i capelli. Di là a poco venne il generale Salluzzi e la nuora della principessa di Forino, che dovevano accompagnarmi al chiostro. Lungo il tratto di strada che dalla Madonna delle Grazie a Toledo mena a San Gregorio Armeno, mi sentii immersa in uno stato morale, che partecipava dello stupore e dell'estasi. Parevami d'essere nelle angustie d'un sogno funesto. Fu assalita la mia memoria dalle più care e patetiche rimembranze d'un passato, ch'era in procinto di separarsi da me per un tempo non determinato con sicurezza: mi tornarono in mente gl'innocenti trastulli dell'infanzia, divisi con amiche più fortunate di me: le tenere carezze di mio padre, e gli ultimi fatali suoi compianti: i gaudi dei primi amori, e l'immagine di Domenico.... Ahi! specialmente a questa reminiscenza ricorse più spesso la mia memoria, straniera perfettamente a tutto ciò che avveniva o dicevasi a me d'intorno. Mia madre aveva avuto cura di coprirmi il volto d'un fitto velo, acciocchè il mio pianto non divenisse lungo la via argomento di pubblico spettacolo: nondimeno il fazzoletto, che spesso mi portava agli occhi, facea volgere la gente verso di me, siccome conobbi, ad intervalli, dalle osservazioni delle persone che m'accompagnavano. Giunsi intanto al luogo prefisso. Le porte si spalancarono: orride fauci di mostro. Mi sentii di repente aggraffata per le mani, spinta, urtata alle spalle, trascinata non so dove: udii stridere con sinistro cigolío i catenacci, che risbarravano l'orribile porta; mi fu strappato il nastro che fermava il cappello, tolto lo scialle.... ed allorquando cominciai a discernere partitamente gli oggetti, mi trovai inginocchiata innanzi ad un grande cancello di legno dorato. Era il coro! Una monaca mi disse: «Ringrazia Iddio del benefizio di averti condotta in luogo di salute!» Non risposi, nè ringraziai. Essendo in me ritornata la ragione, per poco smarrita, un'idea trista, mi balenò al pensiero: Il presagio, ahi! troppo presto avverato, del moribondo mio genitore.

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