Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbeverata

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Lilit

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Levi, Primo 1 occorrenze

Venivano in quel luogo all' abbeverata anche gli unicorni ed i minotauri, timidi come ombre, ma solo ad ora tarda, quando il crepuscolo cede alla notte. Brokne e Danuta non avevano nemici, al di fuori del tuono, e del gelo negli inverni rigidi. Il pascolo preferito di Danuta era una valle verde e profonda, ricca d' erba e d' acqua; il fondo era percorso da un rio, e questo era scavalcato da un ponte di pietre. Danuta passava lunghe ore a considerare il ponte: in tutto il loro territorio, che girava più di cento miglia, non c' era niente di simile. Non poteva averlo scavato l' acqua, né poteva essere caduto così dalle montagne. Qualcosa o qualcuno lo doveva avere costruito, con pazienza, ingegno, e mani più sottili delle sue: si curvava per vederlo da vicino, e non si stancava di ammirare la precisione con cui le pietre erano state tagliate e commesse, a formare un arco elegante e regolare che a Danuta rammentava l' arcobaleno. Doveva essere molto vecchio, perché era ricoperto di licheni gialli e neri sulle parti esposte al sole, e di muschio spesso sulle parti in ombra. Danuta lo toccava delicatamente col dito, ma il ponte resisteva, sembrava proprio fatto di roccia. Un giorno radunò parecchi macigni che le parevano di forma adatta, e cercò di edificare un ponte come quello, ma che fosse della sua misura; non ci fu verso, non appena aveva installato il terzo macigno, e lo abbandonava per afferrare il quarto, il terzo le crollava addosso, e qualche volta le ammaccava le mani. Avrebbe dovuto avere quindici o venti mani, una per ogni pietra. Un giorno chiese a Brokne come, quando e da chi il ponte era stato fatto, ma Brokne le rispose di malumore che il mondo è pieno di misteri, e che se uno volesse risolverli tutti non digerirebbe più, non dormirebbe e forse diventerebbe matto. Quel ponte c' era sempre stato; era bello e strano, ebbene? Anche le stelle e i fiori sono belli e strani, e a farsi troppe domande si finisce con il non accorgersi più che sono belli. Se ne andò a pascolare in un' altra valle; a Brokne l' erba non bastava, e ogni tanto, di nascosto da Danuta, divorava alla svelta un giovane pioppo o un salice. Sul finire dell' estate, Danuta s' imbatté un mattino in un faggio abbattuto: non poteva essere stato il fulmine, perché splendeva il sole da molti giorni, e Danuta era sicura di non averlo urtato lei stessa inavvertitamente. Si avvicinò, e vide che era stato reciso con un taglio netto, si vedeva a terra il disco biancastro del ceppo, largo come due delle sue dita. Mentre guardava stupita, sentì un fruscio, e vide, dall' altra parte della valle, un altro faggio che crollava a terra, sparendo fra gli alberi vicini. Discese e risalì, e scorse un animaletto che fuggiva a tutta forza verso la balza delle caverne. Era diritto e correva con due gambe; buttò a terra un arnese lucente che lo impacciava nella corsa, e s' infilò nella caverna più vicina. Danuta sedette lì accanto con le mani tese, ma l' animaletto non accennava ad uscire. Le era sembrato grazioso, e doveva anche essere abile se da solo era riuscito ad abbattere un faggio; Danuta fu subito sicura che il ponte l' aveva costruito lui, voleva fare amicizia, parlargli, non farselo scappare. Infilò un dito nell' apertura della grotta, ma sentì una puntura e lo ritirò subito di scatto con una gocciolina di sangue sul polpastrello. Aspettò fino a buio, poi se ne andò, ma a Brokne non raccontò niente. Il piccolino doveva avere una gran fame di legno, perché nei giorni seguenti Danuta ne rinvenne le tracce in vari punti della valle. Abbatteva di preferenza i faggi più grossi, e non si capiva come avrebbe fatto per portarseli via. In una delle prime notti fredde Danuta sognò che la foresta era in fiamme e si svegliò di soprassalto; l' incendio non c' era ma l' odore dell' incendio sì, e Danuta vide sull' altro versante un chiarore rosso che palpitava come una stella. Nei giorni seguenti, quando Danuta tendeva l' orecchio, sentiva un ticchettio minuto e regolare, come quando i picchi perforano le cortecce, ma più lento. Cercò di avvicinarsi a vedere, ma appena lei si muoveva il rumore cessava. Venne finalmente un giorno in cui Danuta ebbe fortuna. Il piccolino si era fatto meno timido, forse si era abituato alla presenza di Danuta, e si mostrava di frequente fra un albero e l' altro, ma se Danuta accennava ad avvicinarsi scappava svelto a rintanarsi fra le rocce o in mezzo al fitto del bosco. Danuta lo vide dunque avviarsi verso la radura dell' abbeveratoio; lo seguì di lontano cercando di non fare troppo rumore, e quando lo vide allo scoperto con due lunghi passi gli fu addosso e lo intrappolò fra i cavi delle mani. Era piccolo ma fiero: aveva con sé quel suo arnese lucente, e tirò due o tre colpi contro le mani di Danuta prima che lei riuscisse a pizzicarlo fra l' indice e il pollice ed a buttarglielo lontano. Adesso che l' aveva catturato, Danuta si rese conto che non sapeva assolutamente che cosa farsene. Lo sollevò da terra tenendolo fra le dita: lui strideva, si dibatteva e cercava di mordere; Danuta, incerta, rideva nervosamente e tentava di calmarlo carezzandolo con un dito sulla testa. Si guardò intorno: nel torrente c' era un isolotto lungo pochi passi dei suoi; si sporse dalla sponda e vi depose il piccolino, ma questo, appena libero, si buttò nella corrente, e sarebbe certo annegato se Danuta non si fosse affrettata a ripescarlo. Allora lo portò da Brokne. Neppure Brokne sapeva che farsene. Brontolò che lei era proprio una ragazza fantastica; il bestiolino mordeva, pungeva e non era buono da mangiare, che Danuta gli desse il largo, altro da fare non c' era. Del resto, stava scendendo la notte, era ora di andare a dormire. Ma Danuta non volle sentire ragione, l' aveva preso lei, era suo, era intelligente e carino, voleva tenerselo per giocare, e poi era sicura che sarebbe diventato domestico. Provò a presentargli un ciuffo d' erba, ma lui girò la testa dall' altra parte. Brokne sogghignò che tanto domestico non era e che in prigionia sarebbe morto, e si stese in terra già mezzo addormentato, ma Danuta scatenò un capriccio d' inferno, e tanto fece che passarono la notte col piccolino in mano, a turno, uno lo teneva e l' altro dormiva; verso l' alba però anche il piccolino era addormentato. Danuta ne approfittò per osservarlo con calma e da vicino, ed era veramente molto grazioso: aveva viso, mani e piedi minuscoli ma ben disegnati, e non doveva essere un bambino, perché aveva la testa piccola e il corpo snello. Danuta moriva dalla voglia di stringerselo contro il petto. Appena si svegliò cercò subito di fuggire, ma dopo qualche giorno incominciò a farsi più lento e pigro. _ Per forza, _ disse Brokne: _ non vuole mangiare _. Infatti il piccolino rifiutava tutto, l' erba, le foglie tenere, perfino le ghiande e le faggiole. Ma non doveva essere per selvatichezza, perché invece beveva avidamente dal cavo della mano di Danuta, che rideva e piangeva dalla tenerezza. Insomma, in pochi giorni si vide che Brokne aveva ragione: era uno di quegli animali che quando si sentono prigionieri rifiutano il cibo. D' altra parte, non era possibile andare avanti così, a tenerlo in mano giorno e notte, un po' l' uno, un po' l' altra. Brokne aveva provato a fabbricargli una gabbia, perché Danuta non aveva accettato di tenerlo nella grotta: lo voleva avere sotto gli occhi e temeva che al buio si ammalasse. Aveva provato, ma senza concludere nulla: aveva divelto dei frassini alti e diritti, li aveva ripiantati in terra a cerchio, ci aveva messo in mezzo il piccolino e aveva legato insieme le chiome con dei giunchi, ma le sue dita erano grosse e maldestre, e ne era venuto fuori un brutto lavoro. Il piccolino, benché indebolito dalla fame, si era arrampicato in un lampo su per uno dei tronchi, aveva trovato una lacuna ed era saltato a terra all' esterno. Brokne disse che era tempo di lasciarlo andare dove voleva; Danuta scoppiò a piangere, tanto che le sue lacrime rammollirono il terreno sotto di lei; il piccolino guardò in su come se avesse capito, poi prese la corsa e scomparve fra gli alberi. Brokne disse: _ Va bene così. Lo avresti amato, ma era troppo piccolo, e in qualche modo il tuo amore lo avrebbe ucciso. Passò un mese, e già le fronde dei faggi volgevano al porporino, e di notte il torrente rivestiva i macigni di un sottile strato di ghiaccio. Ancora una volta Danuta fu svegliata in angoscia dall' odore del fuoco, e subito scosse Brokne per ridestarlo, perché questa volta l' incendio c' era. Nel chiarore della luna si vedevano tutto intorno innumerevoli fili di fumo che salivano verso il cielo, diritti nell' aria ferma e gelida: sì, come le sbarre di una gabbia, ma questa volta dentro erano loro. Lungo tutta la cresta delle montagne, sui due lati della valle, bruciavano fuochi, ed altri fuochi occhieggiavano molto più vicini, fra tronco e tronco. Brokne si levò in piedi brontolando come un tuono: eccoli dunque all' opera, i costruttori di ponti, i piccoli e solerti. Afferrò Danuta per il polso e la trascinò verso la testata della valle dove pareva che i fuochi fossero più radi, ma poco dopo dovettero tornare indietro tossendo e lacrimando, l' aria era intossicata, non si poteva passare. Nel frattempo, la radura si era popolata di animali di tutte le specie, anelanti ed atterriti. L' anello di fuoco e di fumo si faceva sempre più vicino; Danuta e Brokne sedettero a terra ad aspettare.

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