Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbelliva

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

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Eva Regina

204165
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 1 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Era una consolazione ciò che ci abbelliva, era una tristezza quello che ci imbruttiva. Non c'è volto per quanto disavvenente che la gioia non trasformi col suo raggio divino, che la speranza non ringiovanisca, che la calma non ricomponga in armonia. Una creatura vissuta sempre nella tristezza e che un giorno, finalmente, abbia la sua parte di sole, si rinnova anche nell' aspetto fisico. È un fenomeno che ci avviene non di rado d'osservare : ed è così che molte donne già al tramonto hanno una nuova primavera; che molte donne ancora nel mattino della vita furono precipitate nella notte dalla decadenza da qualche immenso dolore. Vi sono donne soggette ad una maggior variabilità d'apparenza : e questo accade sopratutto alle nature nervose, impressionabili, irritabili. Altre sono più belle vedute tra le pareti della casa che all'aria aperta. Altre più belle di sera che di giorno. Talvolta il colore di un paralume sapientemente scelto, la trasparenza d' una veletta, il riflesso delle tende, la foggia d' una pettinatura, il taglio d'una veste giungono a correggere i difetti di un viso o d'una figura. Molte signore per modificarsi giungono sino ad infliggersi dei veri tormenti di fascette rigide, di scarpe piccine, di pettinature complicate. Ma c'è un vecchio proverbio che dice: « Chi bella vuol comparire, qualche dolor l'ha da patire ». A Parigi e a Londra sono state istituite di recente delle case di cura « estetica ». Col massaggio, con l'elettricità, con incisioni sotto-cutanee si pretende di correggere la natura. E si assicura che gli effetti sono soddisfacenti e che le clienti vi accorrono.

Pagina 573

Cosima

243756
Grazia Deledda 1 occorrenze
  • 1947
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • verismo
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Il giovane servo, poi, abbelliva le avventure di banditi con la sua fantasia, e lui stesso si lasciava travolgere da una suggestione malefica che lo spingeva a farneticare sogni di libertà, di imprese ove, piú che altro, il ribelle alle leggi sociali, ha modo di spiegare il suo coraggio, la sua abilità, la sua forza d'animo, il disprezzo per il pericolo e la morte. Era, infine, una specie di anarchico, che non potendo eguagliare la sorte degli uomini liberi e svincolarsi dal suo destino di servo, intendeva distruggere il bene degli altri e crearsi una potenza, una regola di vita diversa da quella usuale. In quel tempo, specialmente una banda di uomini armati di tutto punto, decisi a tutto, protetti anche, o per amicizia, o per complicità, o per paura, da una vasta rete di favoreggiatori, infieriva nel Circondario. I capi erano due fratelli, giovanissimi, terribili, si diceva anche feroci: la radice del loro odio contro la società era una ingiustizia da loro subíta, una condanna per un reato del quale erano innocenti; condanna alla quale d'altronde sfuggivano con la loro latitanza. Bisogna dire però che, o per istinto, o esasperati dalla loro mala sorte, non rispettavano la roba altrui; cosí che in pochi anni s'erano fatti un patrimonio: possedevano terre, case, bestiame, servi e pastori. Un giorno, durante quell'ultima estate, una giovane donna, quasi fanciulla, si presentò di mattina nella casa del signor Antonio e chiese di parlargli. Egli la ricevette nella stanza dove sbrigava i suoi affari, e le domandò benevolmente che cosa desiderava. Ella era vestita in costume; aveva un viso pallido e fine, con due grandi occhi neri sormontati da sopracciglia foltissime, rivelatrici di un carattere forte. Disse, con una certa umiltà: «Lei possiede sul Monte Orthobene, un bosco di lecci, che tutti gli anni affitta per il pascolo delle ghiande ai porci. Si vorrebbe averlo noi in affitto, questa prossima stagione.» «È già affittato» dice il signor Antonio; «per tre anni lo ha esclusivamente il proprietario di bestiame Elias Porcu.» «Elias lo cederà volentieri se vossignoria lo permette.» «Non credo possa cederlo volentieri: ne ha bisogno assoluto.» «Se vossignoria glielo impone, Elias lo cederà immediatamente.» Calmo e fermo, col piccolo pugno bianco sul tavolo, l'uomo replica: «Io non ho mai imposto a nessuno cosa che non fosse giusta.» «Ma anche adesso sarebbe una cosa giusta. Poiché i miei fratelli hanno bisogno, per il loro branco di suini, di un pascolo di ghiande; e tutti i proprietari dicono di averli già affittati, mentre non è vero.» «Io non so quello che possono dire gli altri proprietari: ciò che so è che il mio bosco è già affittato; e basta!» concluse, sollevando il pugno; ma subito lo riposò sul tavolo senza picchiarvi sopra: i suoi occhi però avevano preso la luce argentea e lucente dell'acciaio affilato. «Vossignoria sa chi sono i miei fratelli?» E poiché l'altro non dimostrava curiosità aggiunse con fierezza, quasi vantasse una parentela di eroi: «Sono i fratelli... » e pronunziò un nome. «I banditi.» Allora il signor Antonio sorrise. «Fossero pure i sette fratelli della favola, i banditi che diedero il loro nome ai monti sui quali si nascondevano, io non manco di impegno con Elias Porcu. E basta!» ripeté; e questa volta batté il pugno, come quando sigillava una lettera con le ostie colorate. La ragazza si alzò; non proferí una minaccia, ma se ne andò senza salutare. Il signor Antonio non disse nulla in famiglia, sebbene tutti si fossero accorti della visita e ne provassero inquietudine. E un fatto strano accadde la sera stessa, a ora tarda, quando tutti erano già a letto, e solo il padrone vegliava ancora nella stanza da pranzo, leggendo un numero arretrato della sua prediletta nerolistata Unità cattolica. D'un tratto qualcuno bussò lievemente alla porta. Il signor Antonio aprí, e neppure per un attimo si illuse sullo scopo di quella visita insolita. La strada era buia, ma al chiarore che, per il corridoio d'ingresso, arrivava alla porta, egli vide, nel vano di questa, come in un quadro a fondo scuro, una figura gigantesca, con un ruvido costume nero dalle brache giallastre, che aveva qualche cosa di demoniaco. Il viso color bronzo era circondato da una barba a collare, di un nero corvino, che lasciava scoperte le grosse labbra sanguigne: gli occhi, con le sopracciglia come quelle della sorella dei banditi, ma esageratamente piú abbondanti, avevano la pupilla grande e la sclerotica azzurra. "Sono perduto" pensò il signor, Antonio, ma non finse neppure di sorridere per nascondere la sua forza. Fece entrare l'uomo, e notò che costui, nonostante la mole massiccia della sua persona, camminava silenzioso e leggero come un daino: aveva ai grandi piedi calzari di pelle grezza, allacciati sotto le uose di orbace: calzari da uomo che usa correre furtivo e allontanarsi in poche ore dal luogo del suo misfatto, in modo da procurarsi un infallibile alibi. "Questo, stanotte mi strozza" pensa il signor Antonio: tuttavia lo fa entrare nella stanza ospitale, gli assegna il posto d'onore davanti alla tavola, ma non si affretta a offrirgli da bere per dimostrargli la sua sicurezza. Anche prima di essere interrogato, l'uomo comincia a parlare: la sua voce è bassa e quieta; la parola lenta, prudente. E subito il signor Antonio respira: poiché tutto nell'uomo, anche l'occhio, può mentire: mai la voce, anche se egli cerchi di mascherarla. E la voce di quell'uomo che pareva un ciclope venuto giú dai monti pietrosi per abbattere qualche cosa che non gli andava a genio, era quella di un saggio. L'argomento era quello: l'affitto del bosco ghiandifero ai banditi. Egli non disse che era un loro favoreggiatore, anzi un loro complice, ancora a piede libero perché troppo furbo e prudente per lasciarsi scoprire; narrò che era un loro amico, perché i disgraziati erano pur degni di avere amici, fra tanti nemici che li perseguitavano come i cacciatori i cinghiali, colpevoli solo della loro fiera indipendenza: questi nemici arrivavano al punto di impedire ai due fratelli di far pascolare le loro greggie e i loro branchi di porci in terre di cristiani: onde il signor Antonio era pregato di aver compassione delle bestie e dei loro padroni. «Questo è il denaro: due, trecento scudi; quello che vuole, signor Antonio.» Trasse dal petto un portafogli legato con una correggia, e fece atto di toglierne il denaro: la mano bianca dell'altro fermò la sua, e non se ne staccò, mentre gli occhi chiari del galantuomo cercavano di penetrare in quelli scuri del colosso come un fanciullo fiducioso che si avanza in un bosco spinoso certo di trovarci un sentiero. Disse: «Amico, voi sapete che la cosa è impossibile.» Quel contatto, quello sguardo, sopra tutto la parola «amico» pronunziata in quel modo e in quel momento operarono, come l'uomo ebbe a dire piú tardi, un vero miracolo. Egli rimise il portafogli, ma insisté nella sua richiesta, calcando, forse con sincerità da parte sua, sul bisogno assoluto che i fratelli S. avevano di protezione e di soccorso da parte delle buone persone che conoscevano le loro disavventure. «L'unico soccorso che io posso suggerire ai due sviati, è che si costituiscano subito alle autorità» disse il signor Antonio; «prima che sia tardi per loro, ed anche per i loro amici.» L'uomo ha un sogghigno: il suo viso rassomiglia proprio, in quel momento, a quello del diavolo. Ma l'altro continua: «Noi un giorno ci rivedremo; e allora mi darete ragione. Quei due giovani sono come due pietruzze staccatesi dalla cima di una roccia: cadono, ne travolgono altre, precipitano sulla china, diventano una valanga, finiscono nell'abisso.» «Certo, se nessuno li aiuta.» Brontola il gigante. «È facile parlare cosí, seduti davanti a una tavola tranquilla, col foglio in mano. Bisogna però trovarsi nel loro covo, nelle loro difficoltà, per pensare in altro modo. E bisognerebbe parlare con loro, non coi loro ambasciatori.» «Io sono disposto a parlare con loro, e convincerli a cambiare strada. Procuratemi un abboccamento, dove e quando essi vogliono; parlerò ai due disgraziati ragazzi come fossi il padre loro.» Pensando forse che essi invece, noti anche per la loro loquela impetuosa e appassionata, avrebbero convinto lui, procurandosi in tal modo un nuovo amico e «protettore» potente per la sua sola bontà e la fama della sua rettitudine, l'uomo della montagna si animò insolitamente. Accettò il bicchiere di vino che l'ospite gli offriva, e se ne andò silenzioso, dopo aver promesso di tornare. Tornò, infatti, ma per il colloquio coi S. non si poté concludere nulla. I banditi erano diffidenti, e i discorsi romantici del signor Antonio li facevano ridere. Costituirsi? Può un guerriero barbaro, che difende la sua libertà e la sua sanguigna fame di vivere, darsi prigioniero al nemico? Eppure la profezia del signor Antonio si avverò. Di delitto in delitto, di rapina in rapina, essi e la loro banda precipitarono in un abisso. Fra gli illusi da loro travolti, vi fu anche, con dolore del signor Antonio, e di tutta la famiglia, anche il giovane servo, malarico e visionario, Juanniccu, che, senza aver commesso la piú lieve colpa, solo per spirito di avventura, si uní negli ultimi tempi alla banda e fu con loro preso. In compenso l'uomo della montagna tornò spesso dal signor Antonio, e diventò il suo «pastore porcaro». Per lunghi anni fu uno dei dipendenti piú fedeli e affezionati al signor Antonio. E confessò che quella notte era venuto con la sinistra intenzione di sopprimerlo, se non si piegava ai voleri dei malvagi.

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