Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Oro Incenso e Mirra

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Oriani, Alfredo 1 occorrenze

Rispondeva coll'uscio sulla scala e si abbelliva nella parete dicontro al letto di un antico ritratto di matrona. La sua cornice ancora dorata riverberava in certe notti di luna, l'abito cremisi della vecchia signora sembrava quasi nuovo in alcune pieghe, mentre l'ombra coagulatasi nel fondo del quadro dava come una tristezza più pensierosa al giallore opaco della sua fronte. Non si capiva bene se fosse in piedi o seduta, ma in ogni modo il suo busto scollacciato dignitosamente sino alla sommità del seno stava eretto e il superbo atteggiamento della testa sormontata da una piuma bianca le induriva alquanto la bonarietà grassa della fisonomia. Egli lo spazzolò accuratamente il primo giorno pensando di copiarlo, poi non lo fece. Un'altra volta, a secco di quattrini da molti giorni e non avendo quindi pranzato, pensò di venderlo, giacché il ritratto dimenticato nella soffitta dai vari rivenditori del palazzo evidentemente non apparteneva più ad alcuno. La notte fredda e ventosa urlava alla finestra. Egli aveva bighellonato tutto il giorno cercando qualche lavoro inutilmente: non si era incontrato in un amico, non aveva fermato una donna. Una tramontana frizzante levatasi nel pomeriggio assiderava le vie, ma sebbene i suoi calzoni avessero le pillacchere e il soprabito balenasse al gomito e al bavaro non poteva cangiarli. Era venuta la sera senza mangiare, il digiuno filava verso le quarant'otto ore. Egli si prese davanti i calzoni in una mano e li strinse. Da tutti gli usci dei caffè uscivano folate calde, su dalle finestre, dalle porte delle osterie irrompevano odori mordaci di cucina, mentre la gente, più frettolosa del solito, urtando lo destava dalle sue distrazioni di affamato. Era tornato a casa per accendere la pipa e cenare così; il tabacco gli fece bene. Quindi ravvoltolato strettamente fra le coperte, lanciando boccate di fumo come un camino, si mise a considerare fantasticamente quel ritratto. Chi era? Che cosa le era accaduto nella sua vita di quattrocento anni fa? Aveva avuto degli amanti? Tutti i suoi discendenti erano morti? La immaginazione eccitata dalla fame cominciò a battere la campagna attraverso il passato radunando le più strane novelle, i più inconciliabili aneddoti intorno a quel ritratto, finché a poco a poco la stanchezza lo vinse e la gioventù trionfando del digiuno lo addormentò. Per qualche minuto la pipa proseguì a fumare innocuamente fra le lenzuola, poi si spense, la candela poco più che a mezzo durò un'altra ora. Sognò. La soffitta rimaneva sempre la stessa, la candela agonizzava fumando: egli era triste, colla testa affondata melanconicamente nel cuscino, quando gli parve d'intendere un fruscio di seta. Qualcuno era entrato. Era una bella fanciulla dal viso pallido, vestita con rara eleganza, che si dirigeva sorridendo verso la vecchia signora: questa discese dal quadro e le gettò amorosamente le braccia al collo. Poi avevano parlato. In quel momento la vecchia signora sembrava ringiovanita; i suoi occhi grigi brillavano di bontà, la piuma bianca della sua fronte tremava come del sorriso della sua bocca, ma egli non poteva più ricordarsi le loro parole; solamente gli rimaneva il ricordo confuso di un riconoscimento, qualche cosa di drammatico fra le due donne che si ritrovavano finalmente dopo parecchi secoli di assenza. La bella fanciulla era anche più commossa; i magnifici capelli biondi le si scuotevano fra un nimbo dorato sopra la fronte di un pallore meraviglioso. Egli nascosto sotto le coperte cercava di farsi più piccolo per non essere veduto, tendendo l'orecchio ad ogni accento con una angoscia di curiosità che gli acuiva orribilmente le sofferenze della fame. Poi la ragazza uscì senza guardarlo ed egli vide daccapo la vecchia signora immobile nel proprio ritratto. Che cosa si erano detto? La fanciulla era una sua discendente? Perché era entrata in quella notte, sola ed elegante, per uscire così presto? E a poco a poco credette di indovinarlo. Quella fanciulla nobile e ricca era sola come lui; una mestizia desolata, quell'abbandono inconsolabile degli orfani come lui, senza amore nel passato e senza alcuno da amare nel presente, l'avevano spinta fuori del proprio palazzo in cerca di una mamma o di una nonna alla quale confidare la tristezza del proprio cuore. Infatti qualche cosa rischiarava adesso la fisonomia della vecchia signora dando al suo sorriso una bontà giuliva di mistero. Perché mai lo guardava così? Avevano esse parlato di lui? La sua immaginazione eccitata dalla febbre del digiuno gli persuase che la vecchia signora aveva raccontato alla fanciulla tutta la miseria di quella sua vita d'artista col cuore vuoto come le tasche, in preda ai più strambi deliri della fame e dell'amore. Anch'egli era solo nella vita, più solo di quelli che hanno tutto perduto, giacché non aveva mai avuto nulla, aspettando sempre indarno qualche cosa o qualcuno. Ma chi era quella fanciulla? Come si chiamava? Dopo aver pensato lungamente concluse che si sarebbero riconosciuti infallibilmente in qualche luogo, poiché ella doveva averlo veduto in quella strana visita e non potrebbe così presto dimenticarlo. Un profumo delicato ed acuto era rimasto nella soffitta: egli avrebbe voluto interrogare la vecchia signora, ma un rispetto pauroso, insolito ed invincibile, glielo impediva. Ella sorrideva cogli occhi grigi. L'aria del mattino dissipò quel sogno vivificandone il ricordo così che per un pezzo non poté distrarsene. La fanciulla misteriosa, l'ideale di tutte le sue visioni, era diventata una nipote dell'antico ritratto: qualche volta nelle stravaganze del suo lungo ozio gli accadeva di uscire appositamente per incontrarla, o più spesso tornando a casa si sorprendeva a domandarsi con ostinazione incredula se non fosse già su ad aspettarlo. Poi di commissione in commissione sperò che gli capiterebbe di farle il ritratto. Egli avendo già la sua fisonomia nell'immaginazione era sicuro di non ingannarsi, ella tornerebbe con lui a trovare la nonna. Ma fra tutte queste aberrazioni e i sogni del lotto, dei cavalli che dovevano rubare la mano al cocchiere e che egli arrestava ad una cantonata salvandole la vita, delle lettere profumate che non arrivavano mai; fra le fantasmagorie di troppi romanzi che si dissolvevano nell'impossibile, il suo buon senso popolano protestava ancora. Quindi scuoteva la testa per scrollarne tutte quelle immagini, ma allora una malinconia cupa come il fondo di quel vecchio ritratto gli si addensava lentamente nel cuore. Dopo molti mesi della più rigida miseria, all'avvicinarsi dell'inverno parve che la stagione per lui migliorasse. Gli furono offerti da verniciare tutti gli usci e le finestre di un appartamento, più i portoni di una stalla e di una rimessa. Il lavoro era poco nobile, ma c'erano trenta lire da guadagnare in una settimana. Accettò allegramente. A mezzo dell'opera aveva già comprato per dieci lire un vecchio paltò, nel quale si affagottava voluttuosamente andando girelloni apposta nei primi freddi notturni lungo una qualche mura della città. La sera del sabato, finito il lavoro, ne aveva intascato il resto del prezzo: quattordici lire. Erano troppe, la testa gli girò. Venne prima a casa: voleva lavarsi, pettinarsi, mutare camicia per entrare a cena in qualche buona locanda, ma la pigrizia lo rattenne da tale grossa follìa. Invece discese in una cantina, ove si cucinava anche da bettola, e vi scialò in una cena inesauribile quasi tre lire lasciando cinque soldi di buona mano all'ostessa. Fuori l'aria era pungente: nullameno egli si sbottonò il pastrano e col cappello sulla nuca, le mani dietro la schiena si mise a camminare sbuffonchiando. I maccheroni e il vino ingollato gl'infiammavano il sangue, gli pareva che la luce del gas facesse un'aureola intorno alla testa di tutte le donne, quando passavano sotto i lampioni. Ma improvvisamente, prima ancora che questo indistinto bisogno femminino gli si acuisse nella coscienza, allo svoltare di un cantone una fanciulla che veniva correndo gli urtò col viso nel petto. Era piccina, con un fazzoletto sulla testa: ella si rattenne, trattenne una risata domandandogli scusa: egli s'imbarazzò, ma l'altra rideva, risero insieme. La fanciulla aveva il visetto aguzzo, sguaiato, e le scarpette, egli ne vide una sola, scollate malgrado il freddo della stagione. - Dove vai? - finì per chiederle famigliarmente. - E tu? - Io sono stato a cena. La ragazza accettò di andare con lui. Nel passare dinanzi ad un caffè egli la guardò bene nella faccia: era pallidissima, coi pomelli rossi dal belletto. Entrarono, egli chiese un punch bianco e le disse di ordinare tutto quello che voleva. Ella esitava. - Dopo cena, quando si è mangiato bene, non c'è che un punch - egli concluse con una specie di vanteria beata. - Un punch dunque! - ripeté la ragazza, che non aveva cenato, con una contrazione fuggevole alla bocca; ma appena bevutolo d'un fiato come una medicina parlò di andare a casa. Il suo viso era talmente sconvolto che l'altro credette le venisse male. - Sarà il punch. - Che cosa vuoi? il nostro stomaco è così leggero... - ella ribatté sordamente. Strada facendo l'aria frigida la ristorò: salirono ridendo le scale. Quando ebbero acceso la candela, la ragazza rimasta nel mezzo fece un oh! di complimento sulla grandezza e sulla decenza della soffitta. Osservò il cavalletto. - Sei pittore? - Ma la tela del cavalletto era ancora bianca. Poi d'improvviso girando gli occhi gridò: - Un ritratto!... Tu che cosa fai? Ti levi il paltò. Lo hai fatto tu il ritratto? Lasciami vedere. Ma siccome era piccola corse ad una sedia, ve la portò sotto, vi salì, e cacciando la candela sotto il naso della signora: - Chi è? - si rivolse ridendo del suo riso monellesco. - Ma se è vecchia! Guarda, guarda la piuma bianca... Stupida! le piume si mettono ai cappellini. Quindi si curvò col naso sulla tela. Egli si era già levata anche la giacca e guardava dietro le sue spalle la testa del ritratto con un ricordo involontario del sogno. - Bella questa! - ella squittì; poi sillabando: - Aloisia comitissa ux... qui è cancellato... Lambertini... Toh! il mio cognome.

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