Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il marito dell'amica

245140
Neera 1 occorrenze
  • 1885
  • Giuseppe Galli, Libraio-Editore
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Questo concetto stoico che ben si attagliava al suo indifferentismo, era il perno d'ogni suo ragionamento; o almeno lo fu fino al giorno in cui, rivedendo Maria, gli scattò improvvisamente nel cuore una di quelle passioni tardive nelle quali l'amore sembra vendicarsi di chi troppo a lungo lo ha rinnegato; passioni fatali, spasmodiche, che hanno tutta l'amarezza dell'esperienza e nessuno dei sorrisi che abbelliscono la prima età. In lui non c'era ombra di calcolo, non sapeva mentire. Quella dichiarazione che era parsa a Maria un ironico insulto, scaturiva spontanea da un cuore non avvezzo alla sofferenza e che soffriva, non avvezzo ad amare e che amava come un pazzo. Nel suo inconscio egoismo d'uomo, Emanuele non ricordava più le ore che Maria aveva passate in una agonia di desiderio, quando egli viveva nel mondo, viveva della sua giovinezza, e a lei - a lei - erano pungolo, non balsamo i baci; aveva dimenticato il suo no crudele che doveva strappare brutalmente ogni illusione alla fanciulla pura. Lui che soffriva, lui che piangeva, non pensava che prima di lui ella aveva pianto, ella aveva sofferto; gli sfuggiva il lento lavorio di quell'anima di donna che aveva pure i suoi sdegni, le sue debolezze, le sue rivolte; e perché non capiva, sentiva dentro di sè un avvilimento, un cruccio nuovo e insopportabile. Se Maria fosse stata commossa dal suo amore, se gli avesse detto che l'amicizia per Sofia, la dignità di sè stessa le impedivano di corrispondergli, se avesse trovato uno solo degli sguardi di una volta, si sarebbe creduto meno infelice; ma alla sua schietta tenerezza ella era rimasta di ghiaccio, alle sue tacite suppliche, aveva riso. Ora non lo sfuggiva nemmeno. Discorreva con lui a fronte alta, colla più perfetta tranquillità, lasciandosi guardare fino in fondo agli occhi, sicura. Una sera, sul tavolino della sua camera, Maria trovò un biglietto suggellato. Non ebbe bisogno di aprirlo per sapere chi fosse; tuttavia lo aperse, calma, e lesse: «No, Maria, non è una larva l'amor mio. Io vi amo quanto più sinceramente si possa amare. Non mi sono mai sentito così inquieto, non ho mai avuto un vuoto così desolante nel cuore come ora che ho perduto l'amor vostro e sento che mi è necessario. Se poteste leggermi nell'animo, se vedeste le mie angoscie in questi giorni e le lagrime che con dispetto e vergogna di me stesso spargo sopra questi fogli, Maria, non dubitereste più.» Lo rilesse ancora, quasi avesse desiderio o paura di risentire l'emozione che provava, un tempo, leggendo le lettere contenute nel vecchio vaso di terraglia. Ma non sentì nulla. Ripiegò il biglietto e lo pose in una cassettina dove sedeva tenere tutta la sua corrispondenza; non le venne neppure il pensiero di stracciarlo. Come uno che abbia avuto ammalato un braccio, lentamente lo tocca per sentire se gli duole ancora, Maria provava ad ascoltare sè stessa quando Emanuele le stava vicino, quando la fissava con quei suoi occhi chiari o, nel salutarla, le stringeva la mano con disperato ardore. Lo guardava qualche volta con un senso bizzarro di curiosità, pensando: È per costui che ho sospirato otto anni, che ho sciupato in ansie e desideri vani le forze vitali del mio cuore; è per costui che sono stata tanto infelice, è per costui che quasi morivo. E si metteva ad esaminarlo attentamente, minuziosamente nei capelli, sulle guancie, sulla bocca bella e gentile, fresca come quella di un bambino, nel collo forte, nelle larghe spalle quadrate, nelle mani virili. E poi ricordava i violenti amplessi sulla scala buia, quei baci, quei fremiti che la seguivano tormentosi nella sua cameretta di vergine, che per lungo tempo aveva creduto fossero anche a lui le sole gioie concesse: e il sorriso scettico le saliva sulle labbra, ed era in quei momenti che essa poteva guardarlo colla freddezza sprezzante che lo faceva disperare. I giorni di Emanuele erano diventati un supplizio senza nome. Trascurava gli studi, gli amici, le solite occupazioni, gli affari. Girava per la casa come un maniaco, spiando Maria, aspettandola ore ed ore, inventando il modo di poterle toccare la mano o sfiorare, con un pretesto, i capelli. Alla notte non dormiva, e se dormiva sognava di lei. Cercò tutto quello che gli restava di memorie, un ritrattino, una ciocca di capelli, due o tre libri; le lettere le aveva distrutte, ma faceva sforzi di pensiero per rammentare i brani più appassionati. Una sera, c'era qualche amico in salotto, e Sofia accompagnò sul piano un vecchio baritono che si fece applaudire nel coro del Nabucco. Quegli accenti così toccanti di un popolo che piange la patria perduta, quel malinconico lamento del passato, gli strapparono dal cuore un lungo gemito. La durezza della sua vita di stoico si fondeva nelle strette acute del rimpianto; l'anima ribelle all'amore ed al dolore, pagava finalmente il suo più largo tributo. Nascosto fra le tende della finestra, colla faccia contro il muro, Emanuele singhiozzava. Il giorno dopo Maria riceveva un altro biglietto, scritto convulsamente, quasi illegibile. «Vorrei poter rifare l'esistenza per consacrarla tutta a voi: vorrei essere giovane, vorrei essere poeta, vorrei essere ricco per conquistare il mondo e metterlo ai vostri piedi. Ohimè, Maria, il mio cuore è consunto, i miei capelli diventano bianchi... Perdonate il male che vi ho fatto e amatemi, se non potete per amore, almeno per pietà.» Questa volta Maria si accinse a rispondergli una lettera affettuosa e ragionata, una lettera calma da persona educata e gentile. Aveva cento buoni argomenti per persuaderlo a desistere da quella frenesia; gli ricordava le sue stesse frasi di altri tempi, quando egli parlava non da innamorato ma da filosofo; accennava brevemente a Sofia e chiudeva assicurandolo che gli aveva perdonato, ma che amarlo non poteva più. Rileggendo la lettera, che era riuscita di quattro pagine, le parve troppo lunga; e poi non le piaceva l'allusione a Sofia; la stracciò in tanti piccoli pezzettini, ripromettendosi di scriverne una seconda più corretta; e difatti ci pensò per un po' di tempo, col desiderio di trovare delle frasi incisive come quelle di Emanuele. Dopo alcuni giorni, non avendo concluso nulla, decise di lasciare anche quel biglietto senza risposta. Coll'insistenza di Emanuele ritornò in Maria la paura di trovarsi sola con lui - o meglio che paura un senso di noia e di irritazione - ma per fortuna non sembrava che questo dovesse essere probabile, perchè era venuta a Milano la nutrice col bambino, i quali riempivano la casa. Sofia poi, che era guarita perfettamente, stava in moto dalla mattina alla sera, correndo dietro al piccino di camera in camera, ora per baciarlo, ora per provargli una vesticciuola; si nascondeva dietro agli usci facendo: bau! con risate clamorose, divertita da quel nuovo passatempo. Le poltrone erano seminate di cuffiette e di bavettine, le finestre di pannicelli; dagli usci sempre aperti passavano colle folate di vento primaverile gli strilli dell'erede, e la ninna-nanna della nutrice. Era, per tutta la casa, una gaiezza, una vivacità insolita. In pochi giorni, il dottore dalla barba mefistofelica si era fatto amico di casa. Veniva a tutte l'ore, o per guardare i denti al bambino, o per il latte della nutrice, o solo per prendere notizie della signora, discorrere un poco con lei sul divanuccio, giuocando di spirito e di civetteria. Sofia diceva: Il mio vecchio dottore: accompagnando la frase con una smorfietta piena di sottintesi. Ed era di una allegria! Sembrava rifiorire insieme alla stagione. Tutto, intorno a lei, si animava della sua espansività. Maria principalmente si sentiva attirata verso quella creatura mobile e cangiante, viva, impetuosa, guizzante come una serpe, misteriosa e indecifrabile sotto una apparente franchezza. Nel vuoto amaro del suo cuore Maria accoglieva quella amicizia così fervida, se ne faceva quasi un dovere, uno scopo umanitario, dal momento che Sofia aveva ascoltato i suoi consigli e aveva messo Bandini alla porta. Questo le sembrava un gran trionfo. Ora che cosa le rimaneva? Acchetare, colla sua freddezza il riacceso amore di Emanuele, rendergli la sposa onesta e pura, godere un istante della loro felicità, della loro pace, e poi... al di là dei mari, nella lontana America, la solitudine. Sofia insisteva perchè avesse a ristabilirsi in Italia; Maria non aveva preso ancora una decisione, ma nel suo paese tutto la rattristava; non la circondavano che memorie di lotte inutili, di sterili dolori, e il suo cuore ardente aveva bisogno di sacrificarsi ancora, di combattere, di amare. Molti progetti grandiosi le turbinavano nella mente. Pensava ai poveri, ai vecchi, agli abbandonati, agli infermi, ai bambini traviati, alle donne perdute e vedeva questa turba immensa di persone tendere le braccia a lei, chiederle quelle forze d'amore che non aveva potuto dare ad altri, quell'alta intelligenza del dolore che aveva acquistato soffrendo e prometterle in cambio un riposo di tutti i suoi affanni, una serenità completa e sicura nell'obblìo di sè stessa. Infervorandosi nella sua idea, andava più in là. Giunse al punto di chiedere a sè stessa se veramente avesse amato Emanuele, se tutto non era stato un sogno, una follìa di mente esaltata; e le parve in coscienza di dover conchiudere così. Da otto anni una ciocca di capelli biondi, chiusa in un piccolo medaglione d'argento con due iniziali intrecciate non l'aveva abbandonata mai. Ma ora, credette giunto il momento di distruggere anche questo ultimo avanzo di un amore che voleva rinnegare. Maria si avvicinò al caminetto, tenendo fra l'indice e il pollice la ciocca bionda, che il tempo aveva abbrunita come fosse oro vecchio; la contemplò per pochi istanti, con tristezza, e poi la lasciò cadere in mezzo alla fiamma, che divampò subito crepitando. Un odore disgustoso, leggermente nauseabondo, si diffuse per la stanza, odore di cosa morta, che fece indietreggiare Maria, mentre i suoi occhi aridi non abbandonavano il guizzo serpentino della fiamma. Così dunque, o amore, disseccato non sei altro che una putredine - pensava - ed io ti portai otto anni sul cuore, ciocca immonda, umida dei, baci di tutte le donne ch'egli avrà conosciute prima di me!... Prima e durante; quando ella lo aspettava sitibonda d'amore alla finestra, ed egli passava le serate fuori, tornando poi pallido e tranquillo... Ella avrebbe voluto ora avventarsi su quella ciocca già distrutta, perchè il fuoco le sembrava troppo nobile fine; e rammentava, indignata, la dichiarazione di poche sere prima, una dichiarazione d'amore, adesso che era marito e padre.

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