Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbellisce

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Fisiologia del piacere

170658
Mantegazza, Paolo 4 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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La fantasia allora ci abbellisce immensamente ciò che veduto nella sua nudità potrebbe appena interessarci un momento, e noi desideriamo vivamente di penetrare col nostro occhio in quelle regioni sconosciute, che sembrano nasconderci tante delizie. Se allora la nostra mano vuole arditamente sollevare il velo che difende il santuario, la donna si difende col pudore, e la calma dignità di un suo sguardo basta a frenare l'indiscreto. Non è che dopo una lunga lotta, ch'essa cede al desiderio acuito da una lunga impazienza, e solleva l'ultimo velo del pudore, sacrificando sull'altare dell'amore un sentimento delicato, che cede soltanto alla prepotenza di una passione irrompente. La sublimità dell'arte dimostrata dalla natura in questo caso è veramente meravigliosa. Essa pone l'uno contra l'altro due esseri di forza molto disuguale, e dispone uno di essi a deludere gli attacchi dell'altro, in modo da cedere a poco a poco il terreno, finchè si dà vinto e, cedendo, sorride del giuoco ameno sostenuto con tanta maestria. Dal primo ardente incontrarsi di quattro occhi amorosi all'ultimo languido abbassar delle palpebre, fra le mille vicende di una sconfitta attesa e desiderata e di una agognata vittoria, il pudore accompagna i due amanti come un angelo, che li segue e li difende, facendo prudentemente da economo e da cassiere a due spensierati, che darebbero fondo in un giorno alle ricchezze di Creso. Egli non si ritira che quando con la sua economia ha potuto concedere la prodigalità di un momento, e il velo del pudore che arde manda un profumo soave che armonizza con tutti gli altri piaceri di quei beati momenti. La natura voleva far brillare un ultimo raggio di poesia sopra un atto meccanico e di necessaria volgarità, e vi riusciva col delicato sacrifizio che la verecondia fa all'amore. Ogni volta che il pudore è sodisfatto nei suoi bisogni, l'uomo prova un piacere che si esprime con un senso di raccoglimento, e che rassomiglia alle gioie che noi proviamo nel riscaldarci a una temperatura tiepida quando si rabbrividisce ancora pel freddo. Nessuno può, senza commuoversi, immaginare il piacere che prova una vergine quando, uscendo dal bagno, si precipita nel lenzuolo in cui si avvolge, rannicchiandosi in se stessa e guardando attorno con aria smarrita e tremebonda. Chi ha veduto la Venere di Canova che esce dal bagno, deve fremere di pudica voluttà al solo richiamarsela alla mente. I piaceri del pudore si esprimono anche col riso, specialmente quando la paura di essere sorpresi in uno stato di nudità indecente scompare ad un tratto. Queste gioie squisite son riservate in tutta la loro purezza al sesso gentile, del quale formano un ornamento prezioso. È con orrore che si vede la donna prostituire il proprio pudore alle libidini più sfacciate. Anche quando questo sentimento arriva ad una suscettibilità morbosa, non può mai dispiacere, perchè è quasi sicura caparra degli affetti più delicati e gentili. La donna che per prima osa fissare gli occhi in faccia all'uomo, o che non arrossisce nel sentire stringersi a lungo la mano da un giovane, mi fa pensare subito ch'essa possa essere un fiore senza profumo. Il sentimento del pudore in tutta la sua perfezione si associa ad alcuni elementi intellettuali, e si compiace non solo della verecondia del corpo, ma anche delle idee, delle immagini e di tutti gli oggetti fisici e morali decenti. Il suo sviluppo è sempre in ragione del progresso civile dei popoli. Ad accennare l'immenso campo che abbraccia questa questione diremo soltanto che tra gli indigeni di Otahiti, che sacrificavano senza scrupoli al dio d'amore innanzi a tutti, e l'Inglese che ha vergogna di nominare il ventre e le mutande, stanno le donne di Musgo, nell'Africa centrale, le quali rifuggono con orrore dall'idea di abbandonare per un sol momento il frac, che copre la parte che sia fra il dorso e le cosce, e lasciano scoperto tutto il resto del corpo agli sguardi dei profani. Così rimangono abbozzati i confini indeterminati di uno dei sentimenti più misteriosi, ch'io definirei volentieri rispetto fisico di noi stessi.

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Tutto ciò che passa attraverso lo spazio e il tempo si depura e si abbellisce: i morti diventano migliori dei vivi, i lontani più grandi dei vicini; tutto ciò che appartiene alla storia è assai più poetico di ciò che è contemporaneo. E ciò deve essere. La memoria non ci conserva che un abbozzo nebuloso e incerto dei nostri piaceri o dei nostri dolori, e la fantasia, dovendo supplire al vuoto che esiste, vi pone i suoi ornamenti più splendidi, le sue gemme più preziose. D'altra parte, tutto ciò che è incerto e che oscilla, che si indovina più che non si veda, che si presenta più che non si intenda, ha sempre una attrattiva particolare che commuove e seduce. Le gioie della memoria intellettuale servono a perfezionare questa facoltà. L'abuso isterilisce la fabbrica delle idee: accumulando troppi materiali, non si lascia più spazio all'officina del pensiero. Vi sono molti eruditi che non hanno mai pensato un'idea che non avessero rintracciata in qualche autore. Essi però, quando sappiano fare buon chilo delle materie che trangugiano, possono essere utili alla società. I piaceri della reminiscenza ravvivano la fantasia, e fanno nascere un culto per il passato, il quale va quasi sempre accompagnato a gusti delicati e gentili. Sono piaceri però che possono andar congiunti all'egoismo, e che si misurano più dalla perfezione dell'intelletto che dalla squisitezza del cuore. Il vecchio dovrebbe goderne più degli altri, perchè ha maggiori tesori da conservare; ma il giovane, avendo una sensibilità più squisita e una fantasia più fervida, li gusta sicuramente con maggiore intensità.

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Essa tocca col suo magico pennello l'umile pietruzza e il colosso delle Alpi, il passero comune e il re della foresta, e abbellisce e sublima tutto col suo tocco miracoloso. In alcuni individui la fantasia prova una vera mania di dipingere ogni cosa, e non appena una sensazione o una idea si riflette nella coscienza, il magico pennello la tocca, e l'oggetto fisico o morale si presenta così vestito quasi in abito di gala. Nulla riesce per essi indifferente, e tutto il mondo passa davanti ai loro occhi come attraverso ad un caleidoscopio. Ma contemporaneamente ogni oggetto, per quanto piccolo e volgare, risente sempre una doppia influenza sotto il tocco della fantasia, riceve una tinta che lo abbellisce, e oscilla in modo da produrre luce e armonia. Dal petalo appassito di una rosa la maga della mente sa trarre un torrente di delizie per il cuore, un volume di soavi ispirazioni; come da un chiodo irrugginito sa con un tocco di verga far scaturire una storia da rabbrividire o da piangere di gioia. Nulla vi ha di sterile e di inutile per la fantasia. Essa trova sempre una miniera o un tesoro in ogni oggetto, e sopra un granello d'arena fabbrica una piramide o un palazzo, che non saprebbero accontentarsi di avere per base un mondo. La fantasia è concessa agli uomini in una misura molto diversa. Alcuni l'hanno così debole e incerta che non ne sentono la presenza, e spesso arrivano al sacrilegio di dichiararsi privi di questa sublime facoltà della mente. Essi rassomigliano all'uomo che si vanta d'essere eunuco. Nei gradi minori questa facoltà impartisce piccole gioie, alcuni minuscoli giuochi di ottica, che si producono combinando in diverso modo le immagini presenti con quelle raccolte dalla memoria. Quando la mente avverte la reazione che lega due idee, delle quali una ha suscitato l'altra, prova il piacere dell'associazione delle idee, nel quale entra, come elemento principale di gioia, la sodisfazione della facoltà di osservare. Moltissimi piaceri prodotti dalla fantasia si possono paragonare a quelli che in piccolo ci procura un caleidoscopio. Essa sa combinare, coi frammenti delle nostre memorie e delle nostre reminiscenze e colle immagini presenti, veri quadri di prospettiva morale, dove tutti gli elementi che concorrono a produrre il bello artistico possono trovarsi combinati in diversa maniera. Ora vi si ammira la semplicità armonica ottenuta con poche tinte e poche linee, ed ora si contempla attoniti l'arditezza di un'immagine straordinaria; or si guardano con compiacenza i mille frastagli degli ornamenti più intralciati e bizzarri; ed ora si provano le vertigini dinanzi a un quadro dove tutti gli elementi del mondo morale si trovano confusi in modo da formare un caos indefinibile, sublime. Le gioie più elevate della fantasia si provano quando essa, con tutti gli artifizi dell'arte, ci presenta vere creazioni, nelle quali i giuochi più bizzarri e miracolosi del panorama, del diorama, della fantasmagoria e del caleidoscopio si combinano coi contrasti di luce più arditi e più vaghi.

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La vostra fantasia vi abbellisce gli oggetti che vi circondano, e vi fa battere il cuore alla magnifica fantasmagoria dei sogni dell'avvenire. L'amore, l'amicizia, la gloria, la scienza, vi fanno trepidare di speranza, e sospirare al pensiero che la vostra vita sarà troppo breve per poter abbracciare e comprendere il mondo che vi circonda. Eppure voi sacrificate tutto questo a un miserabile piacere di pochi istanti, che vi lascia avviliti, stupidi e impotenti di tutto. La lucida intelligenza si oscura, la tenace e pronta memoria della vostra età si fiacca, l'immaginazione non riflette, più nel lucido suo specchio i fulgidi colori delle vostre fantasie, la volontà si spunta; una molesta inquietudine vi tormenta e vi fa penare lunghe ore in uno stato di indifferenza e di ozio intellettuale, che dovreste aborrire più che la morte. Anche il vostro corpo è compagno di dolore al sentimento e all'intelletto: le digestioni si fanno difficili; si provano dolorose sensazioni; spesso si ha la nausea; la pelle, specchio della salute generale, impallidisce; e la fisonomia acquista un tal carattere sbattuto e squallido, che quasi sempre svela la colpa all'occhio di un acuto osservatore. Ma tali incomodi riescono tollerabili, e il giovane si accontenta di passare alcune ore nella sonnolenza o in lievi occupazioni, aspettando che il processo riparatore lo abbia messo ancora in grado di abusar di se stesso. Allora l'organismo abituale in cui vengono tenuti gli organi genitali dalle lascive immagini della mente lo fa ricadere nella colpa. Altre volte lo scoraggiamento e l'impotenza di eccitare altre sensazioni per le quali si richiederebbe tutta l'energia, trascinano al malaugurato piacere onde provare una scossa e sentire di vivere. Una vita passata fra occupazioni languide, fra lunghe ore di sonno o di sonnolenza, fra momenti d'ira e di dispetto, e segnata qua e là dalle abitudini sozzure, è miserabile e vile. Voi tutti che, incatenati dai pregiudizi, vi siete chiusi nell'angusto sentiero di una vita modellata dalle esterne circostanze che vi ballottano e vi urtano; voi che vivete senza esservi mai domandato perchè e a che vivete, voi che non siete che morte cifre nella formula di una generazione; continuate pure nelle vostre abitudini depravate, dacchè non potete intendere gioie più elevate o men basse. Ma tutti voi altri che avete infrante le catene del pregiudizio e salendo sulle alture del pensiero spaziate libero lo sguardo sull'orizzonte che vi circonda; voi che intendete la sublime voluttà del pensare, e che indirizzate la vostra vita ad uno scopo, come la religione, la scienza, la gloria o l'affetto; per quanto vi è sacra la vostra dignità di uomo, non cedete ad un vizio che vi farebbe precipitare dall'alto, e vi spezzerebbe fra le mani quelle armi, con le quali dovete combattere i formidabili nemici che ingombrano la via del vero, del bello e del buono. Se ancora non conoscete i solitari piaceri, non tentateli affatto, perchè la prova sarebbe pericolosa. Se fatalmente li imparaste a conoscere in un'età nella quale l'intelletto era ancora bambino, combattete il nemico coll'arme più potente concessa all'uomo, colla suprema facoltà della sua mente: la volontà. Educate questa potenza preziosa: vogliate tutto ciò che è difficile a conseguire; vogliate combattere ciò che è quasi invincibile: vogliate fabbricarvi la vita fin dove in natura ve lo concede; e allora proverete la sublime compiacenza dell'aver voluto e dell'aver vinto, la quale vale assai più del sacrifizio dei fremiti più voluttuosi. Se la natura non vi ha concesso che un fiacco volere, associatevi ad altri, confidate il vostro segreto ad un amico, unitevi a lui per vincere il nemico, e rendetevi degno di una delle vittorie più difficili.

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Il successo nella vita. Galateo moderno.

174410
Brelich dall'Asta, Mario 2 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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Il senso di benessere si riflette poi sui lineamenti del viso, ed agendo su essi costantemente, li abbellisce. Lo stesso vale, e in proporzioni anche maggiori, nei riguardi della vita famigliare. Continui litigi e dissidi coniugali sconvolgono ed amareggiano l'anima ed imprimono sul viso quell'impronta, che presso alcune persone maritate fanno riconoscere a prima vista il peso del giogo matrimoniale.

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Una lieta espressione degli occhi abbellisce molto il volto. Quest'espressione è raggiungibile ben facilmente, quando si è di buon umore. Non si battono le palpebre e non si alzano ipocritamente gli occhi verso il cielo. Non si guarda nessuno con perfidia o malizia , e non si tirano in sù le sopracciglia. Si deve possibilmente evitare: di scuotere il capo, di corrugare la fronte, di voltare il capo di torcere il volto o di arricciare il naso, ecc. ecc. Non accompagniamo le parole con gesti delle mani. Parlando, non gesticoliamo, e possibilmente teniamo fermo e tranquillo anche il capo. Manifestando certi sentimenti evitiamo l'esagerazione. P. e. se vogliamo esprimere a qualcuno la nostra gratitudine basta dirgli qualche semplice parola adatta. Frasi esagerate sono ridicole e fuori di luogo. Meravigliandoci non facciamo un viso sciocco. Non lasciamo la bocca semiaperta, ma viceversa non comprimiamo nemmeno con violenza le labbra: diamo alla nostra bocca un'atteggiamento leggero e normale. Una bocca chiusa bene dà al volto un'espressione di forza, energia e sicurezza. Comportarsi dopo un godimento artistico ansando da forsennati, è assolutamente fuori di luogo. Ciò si può osservare spesso in gente che vuole ad ogni costo attrar l'attenzione su di sè. Anche nel salutare evitiamo l'espressione di una gioia esagerata. Persone che hanno l'uso di prenderti la mano tesa per il saluto, accarezzartela teneramente, e scuoterla sono ordinariamente adulatori e falsi. Le risate troppo rumorose sono anche fuori di luogo e servono soltanto ad attirare l'attenzione. In generale, è una offesa contro il buon contegno il ridere sempre, ad ogni minima occasione. Una sgarbatezza abbastanza comune è: di coprirsi, quando si ride, il volto con le mani. Non si canticchia o zufola se ciò può disturbare altre persone. Si tralascino anche le abitudini che possono rendere nervosi i nostri vicini, p. e. di battere dell'uscio, di cantare nel pianerottolo

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Galateo popolare

183485
Revel Cesare 1 occorrenze
  • 1879
  • Vinciguerra
  • Torino
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Quando la stima conforta e abbellisce il matrimonio, presenta questa comunanza uno spettacolo sublime e caro di affettuosa concordia, succedendo all'amore, che inebbriò i primi anni, una deliziosa amicizia, una tenera intimità, un dolce bisogno di vivere insieme, di consacrarsi l'uno al bene dell'altro. Ma per godere delle dolcezze, piene di affetto, di questa vita, l'uomo deve guardarsi da dissipate costumanze e anche dall'abusare della sua autorità; e la donna deve dedicarsi tutta alla casa, rispettare i diritti del marito, e cercare di rendere soavi i vincoli matrimoniali. Devono l'uno e l'altro fare concessioni, e non mai rendersi colpevoli di villana rozzezza o anche solo di fredda negligenza e di trascuratezza nei loro rapporti. L'intimità coniugale vuol essere delicata e nulla deve togliere di quella riverenza e cortesia, che si dimostravano gli sposi prima di giurarsi amore e fedeltà sull'altare. Il marito si astenga dal far sentire autorità dispotica o anche solo dal correggere con asprezza. La dipendenza della moglie verso lo sposo sia dettata dall'affetto e dalla stima, non già imposta dall'alterezza. Non le comandare, diciamo al marito perchè tu sei più forte, il che sarebbe una gran viltà, ma sopporta eroicamente ogni suo corruccio pensando alle tante sue sofferenze come Donna, ma non declinare allorchè teco è la ragion morale del comando. Il più utile mandato, dice Frua, dell'uomo nel santuario di sua famiglia, sta in questo: che i figli fin dove l'abnegazione è culto di virtù, imparino da lui nella modesta epopea del matrimonio la virtù della civile malizia e del sopportare dignitoso; ma la tolleranza è scortata dalla prudenza, e questa guarda all'ordine e alla dignità. Il marito adunque si guardi dall'incuria, dallo sgarbo e persino dalla ineleganza; e sia pieno di attenzione verso la moglie; né mai dimostri al di lei fianco l'indifferenza e la noia; e la moglie renda attraente e cara al marito la casa, ponendo ogni studio per piacergli, concentrando su di esso e i suoi figli le sue tenerezze e le cure. Si ricordi la donna, che se con leggerezza di mente solo pensa agli acconciamenti e alle mode, se solo sogna feste e teatri, se il suo studio è soltanto quello di brillare in mezzo alle dissipazioni del mondo, non può a meno di finir male, con disdoro proprio e rovina della famiglia, rendendo se e tutti disgraziati. La ritenutezza e la prudenza, le virtù casalinghe e i gentili affetti soltanto possono rendere rispettabile e rispettata la donna, stimata ed amata la madre di famiglia, il genio tutelare della casa. E qui ci sia lecito di ricordare con Silvio Pellico i doveri dell'uomo e ripeterne i consigli. « L'obbligo, egli dice, è maggiore, perchè la donna è creatura più debole; e tu, siccome forte, le sei maggiormente debitore d'ogni buon esempio e d'ogni aiuto.» « L'anima della donna è naturalmente dolce, riconoscente, disposta ad amare in supremo grado quell'uomo che è costante in amarla ed in meritare la sua stima. Ma perch'ella è molto sensitiva, si sdegna agevolmente dell'inamabilità del marito e di tutti i torti che possono degradarlo. E questo sdegno può spingerla ad invincibile antipatia ed a tutti gli errori che ne conseguono. La sventurata sarà grandemente rea allora, ma cagione di sue colpe sarà di certo il marito.»

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Nuovo galateo

189777
Melchiorre Gioja 3 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Alla pulitezza e pudicizia deve unirsi la convenienza, e ciascun sesso, ciascuna età, ciascuna condizione e magistratura deve di particolari abiti adornarsi: quindi é condannabile l' uomo che s' abbassa a vestire abiti donneschi, e a guisa, di femmina si abbellisce; perciò dà prove di poco senno un vecchio che si presenta cogli ornamenti, co' vezzi e colle pretensioni de damerini. . . Non offende l'altrui sguardo, ma scema rispetto alla sua carica un ecclesiastico che passa il suo tempo ne' caffé, e vi comparisce

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Ora né la stessa foggia di vestire abbellisce tutti gli uomini, nè lo stesso colore a tutte le belle conviene. Il nero, diceva Ovidio, dà risalto ai vezzi della bionda, e il bianco ingentilisce la bruna; chi brilla in roseo giubbettino, perde di pregio in lunga veste d' amaranto. Le dame inglesi che sacrificarono le loro belle chiome sull' altare della moda e adottarono l' uso delle parrucche, più la voce dell' opinione rispettarono che gli interessi della bellezza. Cresce il dritto di scostarsi dall' uso, allorché questo disagevole riesce ed incomodo. In Roma si portava sul principio un solo anello, poscia un anello a ciascun dito finalmente uno a ciascuna giuntura; il che doveva rendere quasi impossibile l' uso della mano. Per colmo di bizzarria la moda volle anelli per ogni stagione. Della quale bizzarria la cagione si è, che alla ricerca degli ornamenti non tanto ci spinge la brama dí comparir belli ed eleganti , quanto quella di comparir ricchi ed agiati ; perciò i ricchi apprezzano gli ornamenti non in ragione della vaghezza che procurano alla persona, ma in ragione del denaro che costarono. Il ciambellano di Guglielmo il Rosso, re d' Inghilterra portandogli un giorno un paio di scarpe, il re gliene dimandò il costo. - Tre scellini, rispose il ciambellano. - Che diavolo hai tu fatto, replicò il re ? La sola stoffa dovrebbe valerne di più: comprane un paio che valga un marco, se vuoi essere ben, accolto. - Il ciambellano ne comprò un paio di minore bontà, e accertò d' avere speso un marco. - Oh! ecco ciò ch' io voleva, il re soggiunse servimi così, o non mi servirai mai più. Finalmente devono esser proscritte tutte quelle fogge d' abiti che eccitano idee di partito, o fomentano crudeli immagini nell' animo del pubblico. Una donna di sentimento gentile non avrebbe mai dovuto vestir gli abiti alla ghigliottina; perciò disse il buon Parini:

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Pagina 9

Le buone usanze

195588
Gina Sobrero 1 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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Se non c'è la lampada, sono preferibili i candelabri, la luce della candela abbellisce la tavola e i convitati. Sulla tavola si dispongono, nei trionfi, nelle coppe, le frutta, i dolci, i fiori; anche per questo la moda cambia ogni giorno; anticamente tutti i recipienti destinati a contenere questi accessori per la tavola erano alti, oggi si è più pratici, essi hanno forma bassa e non impediscono la vista della persona seduta al lato opposto; i fiori si disponevano a mazzi, oggi invece adornano la tavola senza ingombrarla: ora sono raccolti in piccoli mazzettini davanti ad ogni persona, ora serpeggiano in catena, tutto ciò secondo il gusto delle signore o il capriccio del momento. Questo però non condanna all'ostracismo i ricchi trionfi d'argento, orgoglio delle nostre nonne. È da osservarsi che i fiori non siano di quelli troppo odorosi, per impedire gli incidenti spiacevoli. In molte famiglie, un po' eleganti, si usa mettere sempre sulla tavola la così detta "minuta,, del pranzo: anche la scelta di questa minuta è affatto libera: può essere d'argento, e allora generalmente non è destinata all'ospite: oppure è di cartoncino molto fino, istoriato a penna, a matita, a colori, ecc.; porta la data del pranzo, sovente il nome della persona: per gli inviti in campagna è molto elegante avere di questi cartoncini coll'incisione della villa o del castello. Gli inviti a pranzo si fanno vari giorni prima, e, per essere compiti, almeno otto giorni prima di quello stabilito; se si sono fatti per iscritto, esigono una risposta collo stesso mezzo. Gli uomini si presentano in abito di società, marsina o abito chiuso, cravatta bianca o nera, guanti chiari, panciotto bianco o nero; le signore in abito da teatro, o da visita, ma sempre elegante e fresco; tengono i guanti fino a che comincia il pranzo: dico questo non perchè sia indispensabile per ogni pranzo un abbigliamento nuovo, ma perchè è necessario, a seconda dei mezzi, di mostrare alla persona che invita il maggiore riguardo. Bisogna supporre che ospite abbia messo tutto il suo impegno per accoglierci degnamente; il meno che possiamo fare per contraccambiarlo è di provargli che ci siamo ornati per piacergli. L'invito a pranzo, impone, l'obbligo della puntualità; obbligo questo tanto per chi è invitato quanto per chi invita; si giunge dieci o quindici minuti prima dell'ora, e la padrona di casa deve fare in modo che all'ora stabilita tutto sia pronto; ella, anche se si occupa delle particolarità della tavola, deve essere vestita e libera di ogni cura, per ricevere gli ospiti. Il domestico o la cameriera aprono la porta delle sala dove stanno riuniti gli invitati e annunziano che "la signora è servita,, . Ogni cavaliere sceglie la dama che le è stata destinata, e l'accompagna al suo posto; l'aiuta a sedersi, s'inchina e siede a sua volta. In questi pranzi deve essere gran cura dei padroni di casa aggruppare persone che si conoscano e simpatizzino, o per lo meno fare in tempo le presentazioni necessarie, affinchè non nascano freddezze o succedano i soliti inconvenienti facili tra sconosciuti. In qualche famiglia si conserva l'uso della preghiera prima del pasto; esso va rispettato, e mancherebbe di riguardo l'ospite che si sedesse prima che sia terminato l'atto religioso. La minestra non si serve a tavola, anche se non vi sono molti domestici, è la padrona di casa, o una figliuola, se c'è, che riempiono i piatti portati in giro dai servi. Non è necessario colmarli questi piatti, bisogna supporre che pranzo conti portate, è inutile quindi di empirsi lo stomaco di zuppa. Non occorre aspettare per mangiare, che padroni di casa abbiano dato il segnale, ma certo non è una fanciulla, nè un giovinotto quegli che prende l'iniziativa. Noi Italiani stiamo molto male a tavola e gli stranieri hanno la giustificata scortesia di dirci sovente che ci riconoscono a certe cattive abitudini a pranzo. Non si mette in bocca tutto cucchiaio per assorbire il brodo o la minestra: se è solo brodo, si assorbe dalla parte del cucchiaio vicino al manico; se vi è qualche cosa di solido, paste, crostini, ecc., si introducono in bocca dalla punta evitando ogni sorta di rumore. Se manca il cucchiaino per il sale, bisogna badare di non servirsi del proprio coltello se non è perfettamente pulito. Non si inclina il piatto per raccogliere fino l'ultima goccia di minestra; a lavare i piatti pensano i servi. Il pane non si taglia, si spezza; dopo mangiate le uova al guscio, si rompe questo per evitare che rotoli o sulla tovaglia o sul vestito. Il pesce non si tocca col coltello: anzi non si porta mai assolutamente alla bocca questo strumento, bruttissima abitudine pur troppo generalizzata più di quanto possa sembrar vero; le uova non si tagliano col coltello; gli asparagi non si mordono, si tagliano, poi si prendono colla forchetta. Ora si usano le pinze, ma non trovo grazioso staccare la parte verde coi denti. I frutti non si mordono, si pelano tenendoli colla forchetta, si tagliano a pezzetti e si mangiano a piccoli bocconi, come qualunque altro cibo; se hanno noccioli, questi non si sputano nel piatto, nè nella mano, serve a questo scopo il cucchiaio della piccola posata. Il formaggio si taglia col coltello e lo si porta alla bocca colla forchetta. La posata non si prende troppo bassa per non insudiciarsi le mani. Non si rosicchiano le ossa dei volatili; è un'operazione che va lasciata ai cani e ai gatti. Non si parla servendosi; è facile distrarsi e cagionare danni agli abiti dei vicini; non bisognerebbe neppure parlare avendo la bocca piena, ma con un po' di buona grazia si può farlo, evitando di far vedere il prodotto della masticazione. Servendosi non bisogna scegliere il pezzo migliore, bisogna pensare agli altri che vengono dopo; specialmente alle tables d'hôtes degli alberghi, alcuni sembrano voler godere tutta la loro quota senza riguardo degli altri commensali. È inutile empirsi il piatto correndo il rischio di lasciare una parte di cibo; se fanno ridere quelli che hanno la posa di far credere che si nutrono di poesia e di amore, fanno addirittura nausea coloro che non sembrano mai sazî. Un bell'appetito è una cosa invidiabile e simpatica, dà subito l'idea di una persona sana e felice; l'ingordigia, l'avidità ragguagliano l'uomo al bruto. Non si fa mai osservazione sui cibi, sui vini; gli ospiti non debbono avere l'aria di vantare le loro offerte e gli invitati di darvi troppa importanza. Se la padrona di casa ha preparato essa stessa un piatto speciale, si può farne l'elogio: se un proprietario vi offre vini delle sue terre, non é sconveniente lodarli; anche se il donatore è persona rigida osservatrice delle piccole leggi sociali, vi sarà grato dell'apprezzamento. Quando una cosa non piace, o non si confà alla propria salute, si evita di prenderne senza farvi copra i commenti. Non è necessario ringraziare il servo o la cameriera ad ogni piatto che vi portano. Il caffè non si beve nello scodellino; si aspetti che sia freddo e poi si beva nella tazzina. Non si soffia sui cibi per farli raffreddare. Per fortuna l'uso degli stecchini si va perdendo: niente di più disgustoso che quella pulizia fatta a tavola; si eviti anche di far rumore colle labbra o colla lingua per asportare le particelle rimaste fra i denti. Dalla tavola non si porta via niente, tutt'al più la minuta, quando vi è una ragione di ricordo, e i fiori che rallegrarono il vostro posto. Finito il pasto il tovagliolo si depone a sinistra del piatto senza piegarlo, ma con garbo; se il cavaliere vi toglie la sedia, ringraziate; se vi alzate da soli, procurate di non far rumore. Bisogna aver l'abitudine giornaliera di queste piccole finezze, se non vogliamo trovarci imbarazzati nei giorni d'invito. Se è la padrona di casa quella che scalca, bisogna che ne impari l'arte; il miglior pezzo di carne, il pollo più fino sembreranno cattivi se sono presentati senza grazia. Se il piatto è portato in giro da un servo, egli deve alternarne l'ordine di precedenza; bisogna supporre che tutti gli invitati sieno tenuti nella stessa considerazione; sarebbe ad ogni modo scortese dimostrare a tavola le differenze. Una signora dell'alta aristocrazia, forse un po' egoista, ma certo molto elegante, ha stabilito che alla sua tavola deve ella essere sempre la prima servita, gli altri vengono dopo, alternando come ho detto la precedenza. Gli ospiti sanno la sua debolezza e sono sempre soddisfatti. Se si fanno brindisi non bisogna dimenticare la signora che invita; le donne non rispondono, si inchinano e ringraziano poi quando si sono alzate da tavola. Tocca per diritto alla persona più autorevole essere prima a brindare, ma un invitato, per quanto giovane, può dare l'iniziativa, dopo averne avuto con un cenno, l'approvazione dei padroni di casa. A tavola sarebbe meglio non soffiarsi il naso e non sternutire; quindi chi è raffreddato farà bene a rifiutare un invito simile: però come l'educazione non riesce a toglierci certi improvvisi bisogni materiali, se questi fatti noiosi avvengono, bisogna saperli superare con grazia. Il fazzoletto si porta al naso senza spiegarlo, senza voltarsi, con naturalezza, rapidità, e lo si rimette in tasca o nella cintura senza guardarvi dentro. Se cade un coltello, una forchetta, un cucchiaio, se ne chiede uno in ricambio, ma bisogna far di tutto perchè questo non succeda. Non ho bisogno di raccomandare la discrezione nell'uso dei vini e degli alcools in genere; oltre che ciò nuoce alla salute, molte persone si esaltano facilmente ed è allora pericoloso il fare o dire cose sconvenienti. A tavola non si tengono discorsi malinconici; è meglio evitarci le discussioni politiche, religiose, che tanto appassionano gli spiriti; disapprovo altamente coloro che credono leciti alla fine del pranzo facezie un po' troppo libere e discorsi che certo non terrebbero in un salotto per bene. Anche nei pranzi di famiglia mi pare che sarebbe preferibile evitare i rimproveri, le recriminazioni, tutto ciò infine che può scemare l'armonia e la letizia dell'ora. È questione non solo di educazione, ma di igiene. Combinare l'ordine e la natura dei cibi da servire deve essere impegno della padrona di casa, a meno che non vi sia un maggiordomo molto esperto; è impossibile dettar leggi a questo riguardo; un pranzo, una colazione sono più o meno abbondanti e di cibi più o meno fini, secondo la fortuna di cui si dispone. Vi sono però regole generali che tutti possono seguire. Così al pranzo non sono adatte le costolette alla milanese, come per colazione non si gradisce un lesso o un piatto umido. Una volta i pranzi erano interminabili; ora le proporzioni sono diminuite assai, e si preferisce una portata di meno ed un po' d'eleganza di più: badi però l'anfitrione, che di ogni piatto ci sia abbondanza per tutti, affinchè non tocchi, per esempio, ad uno dei suoi ospiti la testa del pesce; ella non sa se ha da fare con un ittiofago, e non a tutti piace questa parte, che certi buongustai ritengono la migliore. Non è necessario offrire primizie, ma chi si permette questo lusso, deve procurare che ce ne sia per tutti, senza che si debba lesinare sul boccone. È meglio evitare di dar pranzi i giorni di magro; è più difficile la combinazione di cibi, senza contare che non si ha il diritto di imporre agli ospiti il sacrificio delle loro opinioni. Nei pranzi in campagna molte cose si semplificano; non sempre si trova tutto il necessario per comporre un pranzo o una colazione secondo le norme stabilite; ma se la padrona di casa è una donnina fine, intelligente, può colle più modeste risorse dare alla sua tavola un aspetto di ricchezza, di benessere, di buon gusto, che tengono luogo di tutte le delizie. L'industria moderna ha trovato modo di conservare nelle scatole tutte le verdure e le carni più fine; io non le ammiro e preferisco sempre un pollo arrosto, una frittata di uova fresche, al salmone, a tutte le golosità conservate; ma con la scienza culinaria si può ottenere un grande aiuto dalle piccole scatole di conserve. Il pesce, il gelato, le fritture, i pasticcini grassi e dolci, il formaggio, vanno posti sopra una piccola tovaglia ricamata, guarnita di trine o di frangie. Ho detto che nei pranzi in campagna lecita una maggior libertà, però anche in una colazione fatta sull'erba, all'ombra fresca, di un boschetto, è obbligo di una donna fina, di un uomo bene educato, il condursi come in casa propria. Qualche volta si fa a meno di posate, ma anche un'ala di pollo può essere presa e tenuta fra le dita con grazia, quando chi la mangia possiede questo preziosissimo fra i doni. Del resto, è tanto facile mettere nel paniere qualche posata, qualche tovagliolo; si evita così di veder le smorfie di qualche raffinato o la grossolanità di altri, che, colla scusa della libertà campestre, si permettono qualunque licenza. Poichè ho parlato di posate, voglio accennare ad un fatto disgustoso che pur troppo accade in molte case: le posate sono male lavate, ed esalano un fetore che par fatto apposta per togliere l'appetito. In Francia, per economia, non cambiano le posate ad ogni portata; e mettono una stanghettina di cristallo, d'argento, o d'un metallo qualunque accanto al piatto di ciascuna persona, sulla quale stanghettina si appoggia la posata dopo essersene serviti, per non macchiare la tovaglia; uso davvero non troppo simpatico, al quale mi pare assai preferibile il nostro di cambiare posate ad ogni portata, non lavando però male e in fretta la posata, ma tenendone in serbo la quantità necessaria, quando è possibile. Nei caffè e nelle trattorie sovente si tengono molto male le posate, ed io non saprei immaginare un fetore più disgustoso ed ingrato di quello come di pesce crudo o d'olio rancido, che esala il metallo mal lavato. Sono ora molto in voga i five o' clock teas, ossia il tea, offerto alle cinque; ci si va in toeletta da visita molto elegante, e anche, se il tea non è che una scusa per fare i quattro salti, si tiene il cappello. La tavola per il tea deve essere presieduta dalla padrona di casa, e messa con tutta la cura possibile, più che mai ornata di graziosi gingilli, di fiori, di buon gusto. Non vi si mettono coperti, ma ognuno deve avere la posatina completa, il piccolo tovagliolo, il piatto. Si mangiano dolci, sandwiches, si beve il tea, il cioccolatte nelle tazze di porcellana fine: se si balla sono necessarie varie qualità di vino bianco, se si può, e rinfreschi in abbondanza. È un lusso esotico, questo ricevimento diurno, e per imitarlo, bisogna adoperare tutta l'eleganza che vi sfoggiano gli stranieri, se non si vuol riuscire ridicoli. Tocca agli uomini occuparsi delle signore, giacchè, molte volte, per dare alla festa un carattere di maggiore intimità, i servi non vi compaiono neppure. A questi ricevimenti si va vestiti come per le visite; gli uomini, in stifelius o frac con cravatta bianca: le signore, eleganti quanto vogliono, ma mai scollate, poichè non debbono deporre il cappello.

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Eva Regina

203563
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 3 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
  • paraletteratura-galateo
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La maternità spesse volte l' abbellisce, modifica il carattere, sviluppa in lei qualità che si sarebbero atrofizzate in germe: la fa più paziente, più sagace, più equilibrata, più buona : più sensibile ai mali altrui, più coraggiosa contro le piccole traversie proprie, contro le piccole infermità. E tante volte un figliuolo è una salvezza. Certe donne di temperamento impressionabile e ardente si sarebbero smarrite dietro false immagini di felicità se non fosse venuto il piccolo angelo dai capelli d' oro a concentrare in sè tutti i pensieri e tutto l' ardore di dedizione : certe famiglie si sarebbero disgregate, senza il minuscolo e possente tratto d'unione. Una nobile educatrice che l' Italia ha di recente perduto, Maria gobba, scrisse a questo proposito : « Quante virtù salvate e quanti delitti impediti, quante sciagure arrestate dalla semplice presenza di un bambino ! In quante famiglie gli affetti più cari sarebbero state profanati, infranti i legami più sacri, distrutta per sempre la felicità e resa impossibile la pace se non fosse stato il vagito d' un bimbo. » Le ansie e le gioie si alternano dai primi tempi della maternità, come le spine alle rose. La fragilità del piccolo essere, già tanto necessario, che par sempre metterne in pericolo la vita: le indisposizioni e le crisi inevitabili a cui i lattanti vanno soggetti: le preoccupazioni pel loro allevamento, l' angoscia, se malati, di non saper che cosa li fa soffrire o di non poterli curare degnamente, si avvicendano alle dolcezze di scoprire sul tenero viso il primo barlume d' intelligenza, di vedere i primi sorrisi, i primi atti; l' estasi d' udire balbettare per la prima volta il nome di mamma : la compiacenza di rivestire i corpicini ancora fragili, ma già sodi e vivaci, dei primi abiti, delle prime scarpette; l' ambizione delle prime passeggiate sotto i lunghi veli, tra le braccia della nutrice, delle visite ai parenti e alle amiche che ne fanno mille elogi. Ma la mamma moderna che conosce le prescrizioni dell' igiene e le fa rispettare, che ha il medico per direttore e per consigliere e non si fida che di lui: la mamma moderna che può vantare il non piccolo merito di aver fatto diminuire di gran numero le morti nelle statistiche delle malattie dell' infanzia, potrà risparmiarsi ansie e dolori nient' altro che con la regola, pel suo bambino, e l'igiene. E in ogni caso, nel più lieve come nel più grave, pro- curi di non smarrire la calma, di agire anzichè lagnarsi o disperarsi, di rendersi utile, come è suo dovere, abbandonando ogni esagerata manifestazione di angoscia che può solo danneggiare. Molte madri salvarono le loro creature con la prontezza di un rimedio, con l' energico dominio della loro sensibilità. Inutile aggiungere, credo, che la madre non dovrà lasciarsi sostituire da alcuna nelle cure che il suo bambino richiede nei giorni di malessere o di malattia. Se anche ha la nutrice, le sue mani sole dovranno toccarlo, ella sola dovrà vegliare accanto alla culla.

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e c' è l' amore stemperato nell' atmosfera che illumina, riscalda e facilita e abbellisce azioni e cose. Dopo un paio d' ore, la casa ideale d'ieri è identificata nella casa reale di oggi, e la dimora vera si riflette uguale nella dimora sognata. Quelle pareti sono già piene di memorie, di speranze; appartengono già alla nostra vita interiore, e le adoriamo come il passato, e le difendiamo come l' avvenire. Pure non saranno consacrate che il giorno in cui vi piangeremo per la prima volta.

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Il bell'anello di fidanzata, fatto d'una perla e d'un brillante — simbolo della purezza della fanciulla e dell' integrità del giovane - le abbellisce l'anulare, lo stesso dito che in un giorno solenne cingerà del semplice cerchio d'oro, emblema di fede. La sua stanza è piena dei ritratti di quel bel giovane che gli piace tanto — ritratti con dediche affettuose, poetiche e gentili. È adorna anche di piccoli doni che le vengono da lui: una cartella da scrivere, un astuccio da lavoro, un porta-fiori, una statuetta artistica, una bella immagine sacra, un tagliacarte, un porta-libro, o qualche volume ben rilegato: così ad ogni ora e in qualunque occupazione ella sentirà intorno il pensiero dell'amato e gli sarà unita quasi materialmente. Oggetti personali, il fidanzato deve evitare di regalarne, per un senso di delicatezza : tutt' al più un medaglioncino chiuso col ritratto, o coi capelli, o con un fiore; un ventaglio, un cerchiellino d'oro da portar sempre al braccio : ma abbondare in questi doni o sceglierli di semplice ornamento, senza un significato, non è corretto nè di buon gusto. Nei fiori abbondi pure ; non saranno mai troppi per l' amore e la poesia. La fidanzata corrisponderà sempre a tutti i doni, guardando però che si equivalgano nel genere e nel valore. Anch'essa dovrà evitare di regalare oggetti troppo personali come sarebbe uno spillo da cravatta, un paio di bottoni pei polsini, un bastone, un bocchino: ma potrà regalare un calamaio, una penna, una cartella da scrivere lavorata da lei, un oggetto artistico qualunque. Sopratutto procuri d'intonare i doni alle abitudini, alla professione del suo futuro sposo, giacchè in questa intenzione si vedrà la finezza del suo sentimento che ha presieduto alla scelta, non il desiderio di far dell' effetto per una soddisfazione di vanità. Molte signorine per la visita quotidiana del fidanzato mutano toilette, si pettinano diversamente, s'adornano in modo speciale. È un'abitudine che non mi piace. Tutt'al più si farà per le prime visite, durante quel po' di cerimonia che accompagna lo scambio della promessa: per ricevere i futuri parenti e le prime visite di congratulazione. Ma durante il periodo del fidanzamento che può anche essere non breve, la signorina si farà vedere quello che è di consueto fra le pareti della casa: giacchè non è ammesso che una fanciulla possa essere trasandata mai, neppure un'ora, nè nelle vesti, nè nella persona. E il fidanzato l'amerà di più con le sue camicette semplici e fresche, i suoi grembiulini ben guarniti, un vezzo di coralli o un collettino bianco intorno al collo e i bei capelli pettinati semplicemente, che non con un abbigliamento di parata che rivela l' ostentazione e la provvisorietà, e par nascondere quasi un inganno. Dove la signorina fidanzata può sfoggiare un poco è fuori di casa, alle passeggiate, ai teatri, alle conversazioni, ai ritrovi, per cui indosserà abiti più eleganti di quelli che indossava prima della promessa, metterà cappelli più guarniti. È bene però che una fidanzata non si faccia vedere con troppa frequenza in società. Si sa che è tutta al suo amore, ai suoi sogni d' avvenire: e l' amore e la felicità si appartano volontieri. E poi il mondo è curioso, è pettegolo, è maligno, numera i sorrisi, gli sguardi, spia i baci e le parole : « Si vous êtes heureux — ha scritto Bourget — ne le dites pas au monde: il n'aime pas ces confidences la. »

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Il libro della terza classe elementare

210385
Deledda, Grazia 1 occorrenze
  • 1930
  • La Libreria dello Stato
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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Il fanciullo che prega dà lode a Dio, fa sorridere Gesù, dà letizia agli Angeli, dà refrigerio alle anime dei suoi poveri morti, fa contenti i suoi genitori, abbellisce tutta la sua giornata.

Come le foglie

239527
Giacosa, Giuseppe 1 occorrenze
  • 1921
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • teatro - commedia
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La ricchezza abbellisce tanto tutte le cose! Sono un cattivo padre, Massimo.

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