Definito questo scheletro strutturale o di supporto, lo «abbellisce», cioè lo adorna od addobba. Si noti: le decorazioni floreali di San Giovanni hanno un’estrema, nuovissima vivezza naturalistica, eppure sono dello stesso colore e della stessa materia delle membrature architettoniche a cui si sovrappongono. Quasi per miracolo gli adornamenti festivi si transustanziano per fissarsi a ricordo perpetuo del giorno fausto della festività religiosa.
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Ci dà, insomma, il restauro o la conservazione in atto: nel senso testuale di «tener su» e in quello traslato o simbolico della Chiesa attuale che, rinnovandosi tutta, pure restaura, sostiene, ripristina e finalmente celebra (o abbellisce) la sostanza ideale della Chiesa primitiva.
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La protegge, la risana, la abbellisce, poi la contempla con lo sguardo umido e sorridente di un padre burbero, ma beato. Nessuno gli chiede conto di ciò ch’e’ spende, poichè nessuno potrebbe cavare da quei soldi neppure la metà delle opere che egli ne cava. Per la chiesa del Santo è la Provvidenza, incarnata in un Bavarese.
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Perché mettere sullo stesso piano un artista come François Morellet, che, invitato al Louvre, studia lo spirito del palazzo e lo abbellisce, e un Koons o un Murakami di cui ci vorrebbero far credere che il loro kitsch, trasportato a Versailles, ‘dialoghi’ con lo sfarzo magnificente di Le Brun, Le Nôtre o Lemoyne? [...] La chiave del malessere attuale è il conflitto di interessi velato che ha indebolito, se non proprio annullato, la distinzione classica fra Stato e mercato, fra politica e affari, fra servizio pubblico e interessi privati, fra servitori dello Stato e collaboratori di uomini d’affari. Le considerazioni di estetica, di gusto, di arretratezza e di avanguardia sono soltanto cortine di fumo per dissimulare un’offensiva in piena regola del ‘business dei beni culturali’ (copyright di Salvatore Settis) contro quel poco di buon senso che resta nel pubblico francese e quel poco di senso dello Stato che resta nell’amministrazione e nella classe politica francesi.” Marc Fumaroli, “Le Monde”, 1 ottobre 2010
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