Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbellire

Numero di risultati: 28 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

La fatica

169764
Mosso, Angelo 1 occorrenze
  • 1892
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Egli comprende che la trepidazione vostra non nasce dalla incertezza del pensiero, che anzi vi anima e vi trascina la foga delle idee, e che cercate solo la forma più esatta per rivestire i vostri concetti, per abbellire colla parola un pensiero lungamente accarezzato. Sono queste le ore che vi ringiovaniscono, in cui sentite il fuoco sacro della scuola; in cui avete la certezza che nessun trattato, nessun libro può supplirvi ed eguagliarvi nell'efficacia dell'educare. I concetti, le idee nuove espresse da voi in quel momento, dalla voce che sentite risuonare nell'aula, dischiuderanno nuovi orizzonti nelle menti dei giovani che vi ascoltano, e dureranno in alcuni di essi come un ricordo affettuoso per tutta la vita, e vi rallegra la speranza, che forse da una di quelle fronti giovanili irradierà la gloria, alla quale voi avete aspirato invano.

Pagina 272

Fisiologia del piacere

170072
Mantegazza, Paolo 5 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Quando esso non ha un fine diretto, contribuisce ad abbellire la vita e quindi concorre al fine supremo di far amare l'esistenza e di difenderia da potenze avverse. Quando invece il piacere è causa o effetto di un male, noi ci troviamo in condizioni patologiche. Nel primo caso l'uomo, essendo libero, usa di un bene, del quale può fino ad un certo punto disporre, e quindi presenta un fenomeno di patologia morale. Nel secondo caso, invece, una lesione organica dei centri sensorii o dei nervi periferici inverte l'ordine delle cose e fa sorgere un piacere dalla presenza di male. Ecco quindi stabilite due classi di piacere, cioè i fisiologici e i patologici. I primi sono conformi alle leggi ordinarie dell'organismo, e quindi anzichè offenderlo, tendono a preservarlo e migliorarlo; mentre i secondi costituiscono sempre una deformità o una malattia. Questa distinzione ci sarà resa più chiara dai casi particolari. I piaceri non esistono per sè, ma sono stati d'animo e di corpo delicati e misteriosi, che noi non conosciamo che a mezzo della nostra coscienza; essi sussistono isolati, ma formano dei momenti o dei fenomeni semplici della vita, e per poterli studiare è opportuno dividerli in varie classi, prendendo per base della classificazione le fonti dalle quali essi provengono.

Le gioie dell'amore sono feconde di tante delizie, che possono bastare molte volte ad abbellire un'esistenza, e a fissare lo scopo ad una vita. L'influenza però di questi piaceri non si può assolutamente determinare in un modo generale, perchè varia in mille guise, secondo la varietà che presenta questo sentimento così multiforme. In generale però tendono a renderci egoisti, perchè ci sono tanto cari, che la sola idea di restarne privi ci fa paura, e noi difendiamo spesso il nostro tesoro con vero furore. Qui però entriamo già nel campo della patologia. L'amore è il sentimento che più d'ogni altro distribuisce inegualmente i suoi tesori, mostrandosi or prodigo ed ora avaro, a seconda di una folla di circostanze diverse. La massima differenza però è segnata dal sesso. La donna sola arriva ai gradi massimi di queste gioie, come sola spasima delle torture più atroci dell'amore. Questa passione è per lei il primo idolo, e quasi sempre anche l'unico, e per caso arde gli incensi degli altri affetti minori, quasi un tributo necessario dovuto al culto del dio che adora. Il mondo delle sue sensazioni più delicate e più veementi, il mistero intricatissimo de' suoi affetti, tutto irradia da questo centro e vi ritorna. La donna non domanda quasi mai a se stessa il fine della vita e lo scopo dell'esistenza, perchè trova che l'amore basta a riempire una vita di secoli. Le trepide paure del pudore, le leggi severe dell'opinione pubblica, le abitudini solitarie della famiglia le pongono ostacoli da ogni parte ad amare, ma la prepotenza del bisogno vince ogni cosa; e, dapprima peritosa, poi riservata, infine confidente, appassionata, si getta a precipizio giù per la china della passione, per abbandonarsi coll'impeto più veemente alle richieste del cuore. È uno spettacolo che commuove insieme e sorprende quello della donna che, debole e soggetta, si fa forte e sovrana quando è infiammata dal sacro fuoco dell'amore. Nell'esaltazione del sentimento, nelle sublimi imprudenze del coraggio, e nei temerari impulsi del cuore di una donna, si vede ad ogni istante una forza gigantesca che sempre risorge più impetuosa e più forte, per spiccare nuovi voli e ritentare prove più perigliose e più ardite. Chi ha conosciuto una donna innamorata e ha saputo intenderla, non può nè deve sprezzare un essere, che merita di stare a livello del sesso più forte per gli slanci del cuore. All'uomo lo scettro, alla donna la corona; ma sovrani entrambi, che reggono con eguali diritti d'impero due esistenze. Nessuno primo, nessuno secondo; l'uno è re dell'intelletto, l'altra regina del sentimento. Non si ama, come è stato già detto, che nell'età feconda. Le gioie che può dare il sentimento dell'amore prima dei quattordici anni e dopo i cinquanta, sono nei nostri paesi pallide ombre o giuochi di fantasia. I fiori più splendidi e più profumati dell'amore si colgono nella giovinezza, quando ci si abbandona alla prima passione col cuore vergine e coi tesori del sentimento ancora incorrotti. Si ama in tutti i paesi e in tutti i tempi; ma credo che la civiltà abbellisca queste gioie di molti delicati ornamenti, ed è innegabile l'influenza che esercitano su questi piaceri le diverse condizioni sociali. Tutti possono nella vita passare qualche istante di piacere con una persona di sesso diverso, ma non tutti possono amare. Per provare questa passione in tutta la sua perfezione fisiologica bisogna avere nel cuore un certo materiale di forza e di fuoco che non tutti posseggono. Per godere le maggiori gioie di questo sentimento bisogna prenderlo a grandi dosi alla volta. La donna e i più generosi amatori tracannano quasi sempre la tazza dell'amore in un sol fiato, sicchè non possono inebbriarsi che una sola volta nella vita; e se amano ancora, non è che spandendo sopra qualche creatura le ultime stille di affetto rimaste nel fondo del calice. Alcuni altri, invece, sono per natura tanto spilorci, che libano sempre a sorsi e a centellini. Questi usurai dell'amore dicono di essere stati innamorati centinaia di volte, e negli archivi polverosi delle loro memorie conservano pacchi di letterine profumate e spasimanti, ciocche di capelli e residui di fiori secchi. Essi però non hanno mai amato. La natura non concede che una sola tazza del nettare dell'amore, e per inebbriarsi bisogna vuotarla di un sorso. Chi mostra di bevervi continuamente, o finge o fa da barattiere, diluendo coll'acqua il santo liquore. Vi sono però alcuni genii o mostri del cuore, che sanno mare più volte e sempre più caldamente, ma sono vere eccezioni.

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I fatti più volgari, le persone più indifferenti, i piaceri più insignificanti si elevano e si sublimano passando nel mondo della reminiscenze, dove pare che la fantasia getti il suo splendido manto per abbellire ogni cosa. È un mistero avvertito anche dai più volgari osservatori. Vi sono alcuni piaceri che abbiamo goduti con la massima indifferenza e che, richiamati poi alla mente, risuscitano una gioia più viva ed intensa. Perfino molti ineffabili dolori, quando vengono disseppelliti da uno strato molto profondo, e quando sono resi ben fossili dal tempo che tutto pietrifica, possono ridestare una malinconia soave: spesso si sentono assai più vivi i dolori sofferti che i piaceri goduti. Tutto ciò che passa attraverso lo spazio e il tempo si depura e si abbellisce: i morti diventano migliori dei vivi, i lontani più grandi dei vicini; tutto ciò che appartiene alla storia è assai più poetico di ciò che è contemporaneo. E ciò deve essere. La memoria non ci conserva che un abbozzo nebuloso e incerto dei nostri piaceri o dei nostri dolori, e la fantasia, dovendo supplire al vuoto che esiste, vi pone i suoi ornamenti più splendidi, le sue gemme più preziose. D'altra parte, tutto ciò che è incerto e che oscilla, che si indovina più che non si veda, che si presenta più che non si intenda, ha sempre una attrattiva particolare che commuove e seduce. Le gioie della memoria intellettuale servono a perfezionare questa facoltà. L'abuso isterilisce la fabbrica delle idee: accumulando troppi materiali, non si lascia più spazio all'officina del pensiero. Vi sono molti eruditi che non hanno mai pensato un'idea che non avessero rintracciata in qualche autore. Essi però, quando sappiano fare buon chilo delle materie che trangugiano, possono essere utili alla società. I piaceri della reminiscenza ravvivano la fantasia, e fanno nascere un culto per il passato, il quale va quasi sempre accompagnato a gusti delicati e gentili. Sono piaceri però che possono andar congiunti all'egoismo, e che si misurano più dalla perfezione dell'intelletto che dalla squisitezza del cuore. Il vecchio dovrebbe goderne più degli altri, perchè ha maggiori tesori da conservare; ma il giovane, avendo una sensibilità più squisita e una fantasia più fervida, li gusta sicuramente con maggiore intensità.

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Lo studio diretto ad abbellire ed accrescere i tesori delle gioie concessi dalla natura, non è per se stesso colpevole, e costituisce una vera arte, che si confonde con tutte le altre, che ci ispira e dirige, ma che finora non è stata individualizzata. In ciò l'occhio acuto dell'osservatore più vedere una raffinata ipocrisia o un'ingenua delicatezza, invece io vi trovo un tratto di vero pudore del sentimento che mi commuove. L'uomo aspira al piacere con tutta la prepotenza della passione, lo cerca nel lavoro e nel riposo, nella scienza e nell'ignoranza, in cielo ed in terra. La civiltà ne' suoi sforzi generosi non ha altro scopo che di diffondere il piacere lecito e onesto nel maggior numero di individui; la manìa dell'utile che divora il presente secolo non è indirizzata che a generare e a diffondere il piacere; le belle arti, la letteratura creano sempre nuove gioie; il denaro è onnipossente, e adorato appunto perchè ci permette di acquistare molti piaceri. Siccome però il cuore ci insegna che il piacere non deve essere l'ultimo e unico scopo della vita, noi non abbiamo il coraggio di confessare la nostra fame ingorda di gioia, e, mentre con tutti gli sforzi dai tempi di Adamo fino a noi si lavora e si suda per accrescere il numero e la squisitezza dei piaceri, l'umanità pudica non ha ancora formato una parola per esprimere l'arte del piacere. Di mezzo alla nostra miseria questo tratto di delicatezza ci onora altamente, provando che, se non sappiamo raggiungere l'alta cima della perfezione, sappiamo però guardarla e, sopra tutto, rispettarla. La gloria più grande nell'arte del piacere è la musica, la quale si può dire veramente creata dall'uomo, perchè in natura non si può parlare di armonia e di melodia, sebbene esistano i suoni e i canti di mille cose diverse. Quest'arte divina deve essere messa al disopra delle altre, perchè produce i più vivi piaceri, e perchè è intesa da tutti, sebbene dal lato della perfezione ideale essa debba cedere ai capolavori dell'ingegno umano, alle produzioni della poesia e della filosofia. Tutte le altre belli arti producono parimenti nuovi piaceri; ma in esse l'imitazione entra sempre più della creazione. Il più bel quadro e la statua più stupenda sono sempre copie di un oggetto che esiste o che può esistere; mentre una composizione musicale è un vero prodotto della mente umana, una creazione. Alcuni preferiscono sicuramente la pittura o la scultura alla musica; ma la musica sola è una lingua intesa da tutti, e da quasi tutti parlata o balbettata, perchè essa è il linguaggio che esprime il sentimento.

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Come devo comportarmi?

172141
Anna Vertua Gentile 1 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Alcune signorine, di quelle che si fanno un dovere di abbellire la casa, mi scrissero volgendomi le seguenti domande: « Le piante da appartamento sono dannose?... sono velenose ?... sono pericolose ?» Lascio rispondere a quell'egregio igienista e brillante scrittore che è il prof. dott. Carlo Anfosso.. «Vorrebbe fare di sua casa una fiorita per sè e per gli altri?... prudenza... anche nell'arte! «Ha ragione la lettrice artista di preferire le piante e i fiori a quel furore di mania giapponese, che fa oggi ricoprire di ventagìi, ombrelli, carte, armi e simili giapponerie i muri, i mobili e le mensole, per non parlare dei globi giapponesi che pendono dal soffitto. «Le orchidee, che lasciano cadere una chioma argentea, penzigliante di radici aeree, il verde perenne delle felci dalle fronzure frastagliate, siano il volgare sclopendrio dei boschi o il prezioso cibozio, il comune capelvenere dei pozzi o dei ruderi o l'adianto macrofillo dalle ampie foglie tremolanti ad un soffio, simili a ventagli giapponesi agitati da una fata invisibile, la felce femmina delle siepi o gli pteris esotici tinti di roseo o di giallo, i calladi e le begonie dalle foglie spruzzate di tinte vivissime e di chiazze di madreperla, le selaginelìe ricadenti e i coleus dalle foglie bizzarre, che hanno sempre nuovi capricci effimeri di colori, sono ornamenti graziosi assai dei gingilli dell' articolo giapponese o di quello di Parigi. «I fiori possono produrre un po' di mal di capo e dei sogni angosciosi se troppi ce ne sono nella stanza in cui si dorme. Questo avviene un po' per il profumo ed un po', forse, per la diminuzione dell'ossigeno. La verità sarebbe, che dormendo si abbisogna di aria pura più ancora che di giorno per abbruciare le sostanze ponogene che dànno stanchezza ai muscoli e sonno al cervello e che non v'ha bisogno di questo sibaritismo dei profumi. «Utili invece saranno i profumi al mattino nella camera da letto, giacchè questi profumi sono anche dei veri disinfettanti che sviluppano dell' azono, questo re dei disinfettanti, che non ha l'odore del catrame, dell'acido fenico, nè le proprietà velenose del sublimato corrosivo nè il lezzo del cloro e dello zolfo abbruciato. Oggi tutti sanno che le parti verdi delle piante, le foglie, esalano alla luce dell'ossigeno dopo di avere assorbito dell'acido carbonico. Così la pianta lavora a mantenere le proporzioni dell'ossigeno dell'aria, ed in una camera assai illuminata le piante faranno quello che fanno in natura; purificheranno l'aria dal soverchio acido carbonico. «Se la luce diminuisce, cessa questa funzione e rimane solamente la respirazione per cui le piante esalano nell'aria dell'acido carbonico come gli animali. «Ma questa esalazione di acido carbonico non ci deve mettere paura. «Il maggior danno delle piante negli appartamenti ove si abbondasse in questo adornamento, sarebbe l'umidità soverchia dell'aria, giacchè le foglie esalano dell'acqua e traspirano del vapore. « Ma le piante possono assorbire per le foglie i vapori ammoniacali, che si trovano sempre nell'aria delle stanze.»

Pagina 138

Il successo nella vita. Galateo moderno.

174454
Brelich dall'Asta, Mario 4 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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Con ciò e con razionali esercizi del corpo, specialmente una persona giovane sarà in grado di abbellire sensibilmente il suo corpo.

Pagina 229

Le carote, che del resto sono pregevolissime anche per il loro grande contenuto di vitamine e di sali basici, mangiate regolarmente ed in stato crudo, hanno la proprietà di abbellire e di dare un colorito chiaro alla pelle e splendore agli occhi. Carne grassa, cucinata al vapore, danneggia la pelle. All'incontro le frutta, mangiate dopo terminato il pasto, depurano il sangue, favoriscono la digestione e rendono la pelle meno sensibile, impedendo specialmente la formazione di comedoni. Ci sono poi dei cibi che a singole persone producono delle eruzioni cutanee, per esempio le fragole, le pere, il formaggio, il pesce, ecc. Ognuno sa per esperienza quali di questi cibi esercita su lui simile effetto dannoso, e potrà quindi facilmente evitarlo. L'uso di medicamenti per abbellire non è raccomandabile, perchè non è cosa naturale. Ove però essi siano assolutamente necessari, non se ne faccia uso in nessun caso senza consiglio e controllo medico. Uno dei più conosciuti medicamenti di tal genere è l'arsenico - velenoso in quantità maggiori -, che ingrassa, dà un bel colorito ed aumenta lo splendore degli occhi. Anche gli innocui preparati di ferro, come per esempio la «Tinctura ferri pomati » sono molte volte atti a dare alla pelle un bel colorito roseo, avendo i preparati di ferro la proprietà di aumentare i globuletti rossi del sangue. In ogni caso, chi può farlo, preferisca di conseguire quest' aumento dei globuletti del sangue per mezzo di un confacente sistema di vita igienico e mediante un soggiorno in un clima di alta montagna. Per ultimo, ancora alquante parole sull' alcool e sulla nicotina. Un regolare consumo di alcool danneggia la salute e la bellezza. Le sue conseguenze esteriori sono i ben noti pannicoli adiposi sul volto, il colorito arrossato del naso e delle guance. Particolarmente dannoso è il consumo di alcool la sera. La nicotina in generale è meno dannosa dell'alcool, però nuoce facilmente agli occhi, produce catarri cronici nelle vie respiratorie, arrossamento del naso e imbrunisce i denti, le dita e le unghie. Nondimeno un consumo moderato di alcool e di nicotina, da persone sane, non influisce dannosamente dal punto di vista della cura della bellezza.

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In tal modo si può rapidamente abbellire un viso sfinito dalla stanchezza, abbattuto, affaticato da una lunga veglia o gonfiato dal pianto. Questo mezzo non deve però venir usato troppo spesso, per esempio ogni giorno, perchè il continuo inturgidirsi dell'epidermide sotto l'influenza del calore e dell'umidità, può, similmente ai troppo frequenti bagni caldi inflaccidire la pelle. Il più efficace e in pari tempo più duraturo mezzo per evitare ed eliminare le rughe e le grinze, è il massaggio. Nel massaggio del viso si deve però ancora con maggior cura guardare di evitare qualsiasi lesione, graffio o scalfittura, perchè queste potrebbero avere per conseguenza anche una più forte formazione di rughe. Già per questo motivo, prima di intraprendere il massaggio, è consigliabile di farsi debitamente istruire da un intenditore. Il dott. Arnecke nel suo volume « Praktische Schönheitspflege » (Pratica cura della bellezza) consiglia il seguente sistema di massaggio, che può venir praticato facilmente anche da un profano: « Prima del massaggio la pelle del viso deve venir pulita molto accuratamente con acqua calda e sapone mite; così pure le mani, adoperando per la pulizia di queste molto energicamente anche una spazzola. Già sin da qui va osservato, che soltanto quelle signore che hanno le unghie corte possono eseguire da sole il massaggio del loro viso. Le unghie lunghe sono già per sè inadatte al massaggio, ed oltrecciò non possono venir mai completamente o sufficientemente disinfettate. I batteri, che si trovano in massa sotto le unghie, potrebbero durante il massaggio introdursi nei pori della pelle, e la conseguenza del massaggio sarebbe dopo uno, due o tre giorni, una formale eruzione di bollicine e pustole sul viso. E' ben naturale che il massaggio può venir eseguito soltanto su un viso che sia assolutamente immune da simili prodotti d'impulitezza. Quale mezzo per il massaggio serve, per una pelle del viso secca, un grasso (vaselina), per una pelle molto grassa, la cipria. Chi ha in casa alquanto alcool, prima di cominciare il massaggio, si sfreghi con ovatta imbevuta d'alcool, il viso, precedentemente lavato, e le punte delle dita, anche queste precedentemenee ben pulite. Il massaggio si comincia per lo più dalla fronte. L'indice e il medio di ambidue le mani giacciono orizzontalmente uno presso l'altro, le punte delle dita strettamente vicino alla linea media, le dita della mano destra sulla parte destra, quelli della mano sinistra sulla parte sinistra della fronte. La linea del massaggio va sempre in direzione orizzontale, dalla metà della fronte verso fuori (e mai in direzione contraria). Poichè la pelle della fronte è aderente ad una base solida, non abbisogna d'un sostegno speciale. Nel massaggio del viso si deve esplicare soltanto una forza moderata, per non staccare la pelle dal suo sostrato di grasso, il che produrrebbe un'aumentata formazione di rughe. Dopo il massaggio di frizione, segue il tambussamento. Durante questo le dita si tengono piegate ad angolo retto nell'articolazione media, e le punte della dita cadono leggermente, ma rapidamente, come piccoli martelli, sulla fronte, nella quale operazione prendono parte tutte e due le mani, però una alla volta, scambiandosi a brevissimi intervalli. I pollici in generale non partecipano al massaggio del viso. Molto importante è di solito il massaggio che ha lo scopo di eliminare quella ruga piuttosto perpendicolare, che si estende dall'angolo del naso a quello della bocca. Il massaggio di questa parte del viso è alquanto più difficile che quello del viso. Nel massaggio della ruga sulla faccia destra, la mano destra tiene leggermente tesa verso fuori la pelle della guancia, mentre la mano sinistra compie il massaggio propriamente detto, dapprima lisciando e impastando (pétrissage), quindi tambussando (tapotement) la suindicata parte del viso. La direzione del massaggio per strofinamento o frizione deve qui venir sempre da su all'ingiù. Anche nel massaggio della regione delle tempie è opportuno che la corrispondente mano tenda leggermente all'infuori la pelle, mentre l'altra mano eseguisce il massaggio, anche qui da su all'ingiù, con strofinamenti semicircolari. Per eliminare il cosidetto « doppiomento » si pone la mano destra, biforcata come una forchetta, sull'orlo della mascella inferiore; la direzione delle dita della mano sinistra, che eseguiscono lo strofinamento, va pure in giù e verso fuori. Il massaggio può anche farsi, ponendo le punte degli indici e dei medi nella linea di mezzo, e movendoli poi orizzontalmente verso fuori, come nel massaggio della Ogni altra sorta di massaggio deve in ogni caso venir sconsigliata ai profani. La natura e la disposizione della muscolatura del viso sono tanto complicate, che soltanto una persona che ne conosca a fondo la struttura anatomica, può eseguire ancora altri e più complicati massaggi. Con altri massaggi oltre a quelli ora indicati, profani non farebbero che nuocere alla bellezza del viso, prescindendo dal fatto che sarebbe anche quasi impossibile di darne la descrizione. Inoltre per la maggior parte dei casi, le specie di massaggio ora indicate, bastano perfettamente ». Dopo il viso, segue il massaggio del collo con tutte e quattro le dita, in una linea diagonalmente discendente, verso fuori. Si abbia speciale riguardo per la cura del collo. Perchè al collo si manifestano dapprima i segni della vecchiezza. La sua pelle diviene facilmente rugosa e raggrinzita. Per chi ha il collo magro, un mezzo radicale è la cura per ingrassare, il cui effetto però naturalmente non si può limitare al collo. Un collo grasso potrà diventare più snello soltanto mediante massaggi speciali, che devono venir eseguiti soltanto da persone abilitate, poichè il delicato tessuto della pelle del collo è molto sensibile. Della cipria e del belletto s'è già parlato al capitolo « Cura della pelle » E' naturale che una signora ci tenga a voler esser sicura in certe occasioni - concerti, feste, divertimenti, ecc. - dell'aspetto piacente ed attraente del suo viso, e perciò fa alquanto uso di belletto o cipria. Non è in nessun caso una cosa bella, ma la potranno comprendere specialmente quelle persone che appunto in tali occasioni usano soffrire di un susseguirsi di pallori ed arrossimenti. L'imbellettarsi ed incipriarsi regolarmente, e specialmente l'incipriarsi con ciprie liquide e vegetali, è assolutamente dannoso alla salute della pelle e a lungo andare nuociono anche alla bellezza. Nel darsi il rossetto chi ha la faccia larga e gli zigomi sporgenti, cominci sotto agli occhi, e conduca quindi il rossetto a forma di falce sino agli orecchi. Chi ha una faccia sottile, cominci sotto agli occhi, sorpassando i pomelli. Il miglior rossetto è quello di Dorin (Parigi). Mai si deve arrossare soltanto le guance, poichè in tal caso si vedrebbe a prima vista che si tratta di un colorito artificiale. Terminato il bellettamento col rossetto, bisogna incipriarsi tutto il viso, più fortemente le guance, più leggermente il naso e la fronte. Il passaggio dalle guance al collo deve armonizzare con la gradazione di cipria del naso e della fronte. Un viso può dirsi veramente bene incipriato soltanto quando nemmeno il più severo sguardo indagatore può scoprirvi la traccia d'un mezzo artificiale. L'incipriarsi è quindi un'arte, che esige molta cura ed attenzione. In generale si dovrebbe tener sempre presente, che la cipria ha effetto soltanto su una pelle curata. Non si adoperi cipria troppo bianca o di una tinta che contrasti troppo con quella della pelle. Del lapis per le labbra si faccia uso molto moderato specialmente durante il giorno, se non si vuole dar spiacevolmente nell' occhio con un aspetto provocante e poco distinto. Il lapis per le labbra è molto più usato in America che da noi, dove in grandi masse della società esso incontra ancora sempre ripugnanza e opposizione. In ogni caso è da sapersi, che l'uso del lapis offre la possibilità di correggere non solo il colore, ma anche la forma delle labbra. Così, chi ha le labbra troppo sottili, può portare il colore un po' oltre al loro orlo. Chi invece ha le labbra troppo grosse, non si tinge gli orli. Le bionde si servano di lapis color rosa, le brune adoperino lapis rosso; di sera la gradazione può essere più satura che di giorno. Chi ha le labbra troppo grosse, se le spazzoli alquante volte ogni mattina con una spazzola da denti con acqua fredda: con tale mezzo esse diverranno più salde e più sottili. Chi al contrario ha le labbra sottili, le sottoponga ad un quotidiano massaggio, comprimendole e tosto lasciandole, a brevi rapidi intervalli, col pollice e l'indice. In tal modo esse diventeranno più piene, più grosse ed acquisteranno un colorito fresco e sano. Sotto l'influenza dell'aria fredda e troppo cruda molte persone soffrono di labbra screpolate. Contro questo inconveniente giovano gli unguenti contenenti lanolina comune. Le labbra screpolate cronicamente mancano per lo più di grasso (deficiente secrezione delle glandole sebacee, che si trovano anche nella pelle delle labbra). In tali casi si faccia uso di una pomata per le labbra, consistente di diversi grassi con ingredienti, ed in ogni caso colorata. Se le labbra, in seguito a bollicine che vi s'erano precedentemente formate, sono ferite, non si deve in nessun caso strapparsi i lembi di pelle mucosa che pendono dagli orli delle piaghe. Si eviti in tali casi l'uso di acque troppo forti per sciacquarsi la bocca. Un buon rimedio per questo caso è l'unguento di ichthyol (ittiolo). Le bollicine delle labbra, che si formano assai spesso in seguito a una più forte febbre, possono venir allontanate più presto, cospargendole con cipria. Se cagionano una tensione dolorosa, gioverà l'uso d'un unguento refrigerante. Il trattamento delle sopracciglia fa parte della quotidiana cura della bellezza di una signora. Esse devono venir spazzolate ogni sera con una crema grassa o con olio, muovendo la spazzola sempre da giù all'insù. Si può correggere la piega delle sopracciglia, spazzolandole giornalmente nella direzione desiderata. Precedentemente bisogna però ungerle con alquanta crema grassa. Le signore bionde non si tingano mai le ciglia e sopracciglia in nero, se non vogliono che il loro viso faccia l'effetto d'una maschera. In nessun caso è consigliabile di usare per la tintura delle sopracciglia un lapis nero. Se già si vuol far uso d'un lapis, anche le signore brune adoperino soltanto un lapis bruno. Prescindendo da un quotidiano lavacro con una leggera soluzione di acido borico che dà loro freschezza e limpidezza, non si può e non si deve nemmeno tentare di « correggere » gli occhi. E' straordinariamente pericoloso l'uso della belladonna, l'alcaloide dell' « atropa belladonna », che dilata le pupille, ma che applicata falsamente può facilmente causare anche la cecità. Contro i disturbi agli occhi l'unica misura saggia e razionale è di ricorrere al medico. Lo stesso vale anche per l'allontanamento della cosidetta Dernola della pelle. Persone che hanno gli occhi sensibili evitino d'intrattenersi in stanze dove si fuma; naturalmente nuoce anche il fumo della propria sigaretta. Inoltre si lavori soltanto in sufficiente luce, e quando si legge, si tenga una distanza di almeno 40 centimetri. Molto inestetici sono i sacchi lacrimali. Se questi si formano dopo notti passate vegliando, dopo eccessive fatiche e dopo un eccessivo consumo di alcool, potranno anche facilmente venir eliminati con un corrispondente riposo, possibilmente giacendo in posizione orizzontale. Se invece la loro causa va cercata in malattie o altri disturbi, bisogna ricorrere al medico. Il naso rosso può derivare da differenti cause, per esempio da una falsa nutrizione, da un eccessivo consumo di alcool e anche di caffè, da disturbi del funzionamento della pelle, da un catarro cronico e da altri mutamenti interni del naso, anche da congelazioni. Quest'ultime saranno curate similmente ai geloni (vedi sotto « Cura dei piedi »). Per il resto in generale bisogna la dieta: poco alcool e poco caffè, poco thé e cibi poco drogati. Un rimedio che giova quasi sempre è di premere sulla punta del naso per un brevissimo tempo (uno o due secondi) un batuffolo d'ovatta, immerso precedentemente in acqua calda di 60 centigradi. Momentaneamente giova anche sfregare il naso con benzina. Per eliminare definitivamente il male, bisogna ricorrere al medico. E ciò vale specialmente quando si tratta di forme più gravi, quali i nasi bitorzoluti e tuberosi.

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L'uso di acque e di creme per abbellire il seno, non giova. Il loro effetto consite tutt'al più nel fatto, che la loro applicazione va congiunta ad una sorta di massaggio del seno. Oltrecciò sono in commercio anche alcuni medicamenti, come per esempio le « pillole orientali ». Queste hanno effettivamente un'influenza sullo sviluppo del petto, e precisamente mediante il loro contenuto d'arsenico. Si deve però tener presente che una cura d'arsenico può venir presa in considerazione soltanto se si tratti di persone molto snelle; perchè l'arsenico agisce su tutto il corpo, non solo sul seno. Se nell'organismo ci sono già depositi di grasso, la cura dell'arsenico ingrasserebbe tutto il corpo. Una cura di arsenico può naturalmente venir intrapresa soltanto sotto controllo medico. Un seno troppo forte può venir rimpicciolito al meglio mediante ginnastica, la quale è tanto più raccomandabile, inquantochè in tali casi di solito tutto il corpo è troppo forte. Molto spesso si procede all'abbellimento del seno femminile anche in via operativa. Mediante tali operazioni le glandole lattee non vengono bensì danneggiate, molte però restano però cicatrici, che non spariscono più, In via operativa possono ancor venire eliminati i seni pendenti, che - per mezzo d'iniezione di grasso - seni flosci possono venir resi pieni, mentre viceversa i seni troppo opulenti, togliendo loro il grasso, possono venir rimpiccioliti. Dopo l'operazione bisogna in ogni caso badare che, ricadendo negli errori commessi nel passato, il vecchio male non si rinnovi. Occasionalmente si adopera anche la diatermia.

Pagina 271

Il tesoro

181945
Vanna Piccini 1 occorrenze
  • 1951
  • Cavallotti editori
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Si usano anche i regali utili, i ninnoli che poi serviranno ad abbellire la dolce casa. I doni che si fanno in occasione di onomastici sono di due specie: doni imposti da relazioni formali, ove non entra il sentimento, ma solo il dovere di ricordarsi alla persona festeggiata, e allora il campo è ristretto, giacchè nulla autorizza alla libertà d'un dono di valore e per sua natura intimo. Generalmente soccorrono i fiori, in questi casi, grandi mazzi, splendidi mazzi di fiori, costosi come gioielli, talvolta, oppure vasi con piante rare o fiorite. Si può variare, donando un libro, la novità libraria, d'una certa importanza. Alle donne piacciono i romanzi; se si vuol fare buona figura, quanto a sostanza, non mancano i libri omnibus, vale a dire voluminosi e costosi. Agli uomini possono piacere i romanzi, ma anche libri politici, storici, di attualità in generale. Il marito, se può, donerà alla moglie un gioiello, e sarà sicuro di far cosa oltremodo gradita. In compenso la moglie gli offrirà... una cravatta, una giacca a maglia, una camicia di seta. Si sa che gli uomini amano le cose pratiche, e la signora ha il borsellino sempre sguernito (per la tircheria del consorte, ella dice). Talvolta il marito dona anch'egli oggetti utili; qualche paio di calze di seta, ad esempio, una pelliccia, una bicicletta. È la signora che dà il nome di utili a questi oggetti. Ella poi non sottilizza se sono più o meno costosi. L'amica donerà un gingillo; sarà una graziosa ceramica, un vaso per fiori, una cartella da scrittoio, una tovaglietta da tè ricamata. A un uomo si regala l'immancabile penna stilografica, la matita a più colori, la racchetta da tennis, l'orologio da polso, i bottoni da camicia, un borsellino, un portafoglio.

Pagina 611

L'angelo in famiglia

182883
Albini Crosta Maddalena 1 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Pagina 492

Galateo ad uso dei giovietti

183808
Matteo Gatta 1 occorrenze
  • 1877
  • Paolo Carrara
  • Milano
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La donna è creata da Dio per abbellire la vita, temperarne le amarezze, raddoppiarne e santificarne le gioie. In qualsiasi condizione della sua esistenza, figlia e sorella, sposa e madre, ella vuol essere sempre esempio di bontà operosa, di virtù sincera, di soavità, di costume, circondandosi di quel profumo di grazia e di amabilità che è il solo, l' unico elemento iu cui può adempiere degnamente all'alta missione assegnatale dalla provvidenza.

Pagina 24

Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188229
Pietro Touhar 1 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
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I figliuoli devono in tutto consolare e abbellire la vita dei genitori, il chè principalmente dalla religiose e dalla morale deriva; ma anche la civiltà vi ha molta parte. I doveri dei padri e delle madri verso i loro figliuoli sono cosa della maggiore importanza; non s'appartiene a questa operetta il parlarne; ma non sarà fosse inopportuno ricordare che la educazione, affinchè non apparisca goffa e affettata, vuol essere annoverata fin dal bel principio tra le utili istruzioni da dare all' adolescenza. Quest'avvertenza è viepiù a proposito per le convenienze della società, imperocchè facilmente si acquistano con la imitazione: perciò la gioventù educata sotto gli occhi di genitori o di precettori, che le buone usanze conoscono e seguono, a poco a poco vi si assuefà e vi si conforma, senza che, per così dire, sia necessario farlene la spiegazione. Sonovi da osservare questi doveri anche verso i parenti prossimi, come zii, zie, cugini, ai quali già ci lega affetto di famiglia. Invero i diversi gradi di parentela, d'età e di stato possono indurre qualche differenza nella nostra condotta riguardo a ciascuno di essi, quanto al rispetto, alla familiarità, all'intimità; ma a tutti dobbiamo voler bene, usare attenzione, portar rispetto quand'anco la nostra condizione ci facesse essere al di sopra di loro nella scala sociale. Chi sfuggisse di riconoscere parenti che il caso abbia posto in istato inferiore, darebbe indizio di orgoglio ridicolo e imperdonabile. Non dovete dunque studiarvi di tenerli lontani da voi, o di farli accorti che vi reputate da più di loro; chè anzi quanto maggiore vi sembrerà la distanza, tanto più vi conviene usar con essi delicati riguardi, procurando di far dimenticare la differenza di condizione che passa tra voi e loro. Se aveste maggior trasporto d' affetto per alcuni che per altri, non dovreste addimostrarlo in presenza di questi, che sarebbe lo stesso che mortificarli. E da ciò nascono talora quelle avversioni di famiglia che fanno divenir nemiche le persone tra le quali esser dovrebbe affettuosa e durevole amicizia. In una parola, non dimenticate mai questa massima: Onorare la famiglia, è lo stesso che fare onore a noi medesimi. Dobbiamo: Portar rispetto e usare attenzione ai genitori; ascoltare i loro consigli; mostrare riconoscenza delle loro cure paterne; essere affetto per tutti i parenti, e darne lor prova in ogni miglior modo e occasione. Non dobbiamo: Far trapelare agli estranei quelle dissenzioni leggiere che talora si suscitano in seno della famiglia; diportarsi con orgoglio verso i parenti di condizione inferiore; mostrare più affetto verso gli uni che verso gli altri.

Pagina 34

Le buone usanze

195518
Gina Sobrero 1 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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Anzi adesso è assai più prezioso questo genere di regali; per i gioielli occorrono forti somme, e poichè il gusto della casa si va sviluppando tutti i giorni, si preferisce il dono destinato ad abbellire il regno gentile della donna. Un amico della famiglia deve essere più severo nella scelta; se è artista può regalare un'opera del suo ingegno altrimenti mostrerà buon gusto se limiterà le sue preferenze ai gingilli, escludendo le cose di uso domestico. Vige adesso il costume che gli amici dello sposo o della sposa, i giovanotti che frequentano la casa della sposa, si riuniscano per offrire un ricordo; sarebbe meglio abolirlo, impone sovente un sacrifizio a giovanotti che hanno appena quel tanto necessario alla loro vita materiale. Gli sposi debbono a questi donatori, oltre la partecipazione delle nozze celebrate, un invito a pranzo o ad una serata nella nuova dimora. Trattandosi di una sposa non ricca è delicato cercar di saper che cosa le tornerebbe più gradito e utile; sarebbe ridicolo offrirle un ventaglio di piume o un oggetto artistico, quando si sa che la sua vita è destinata ad essere casalinga e laboriosa; ma bisogna andare molto guardinghi, ed è necessaria una grande intimità per non urtare la sua naturale fierezza coll'offerta, per esempio, di una pezza di tela o di un servizio da tavola. Per i parenti: fratelli, nonni, cugini, ecc., oramai di prammatica il dono di oggetti per uso della nuova famiglia, quali argenteria, porcellane, mobili; ed è una bellissima e pratica abitudine, che permette di utilizzare cose antiche e spesse volte vere ricchezze; e poi francamente tra una collana di perle scadenti, e un bel servizio in porcellana di Ginori, io non esito un istante. L'arte di chi riceve un regalo sta nel mostrare ugnale compiacimento, tanto per la ricca offerta quanto per il modesto ricordo, frutto di pazienza, di economia, di lavoro personale. Se il dono fu portato da un domestico, da un fattorino, magari da un facchino; chi lo riceve è obbligato ad una mancia. Se il donatore porta in persona la propria offerta, colei cui è destinata, apre subito il pacco, e non si rivela troppo entusiasta se il dono soddisfa i suoi gusti, come non resta fredda e indifferente se esso urta il suo senso artistico; lo allinea con grazia e con compiacimento accanto agli altri precedentemente ricevuti. Chi ha voluto ricordarsi a lei nella circostanza che decide del suo avvenire prova di nutrire a suo riguardo una certa affezione, e sarebbe sconveniente che ella mostrasse di attenersi solo alla manifestazione di questo affetto trascurandone la parte sentimentale. Mi è piaciuto tanto il pensiero di una novella sposa dei nostri giorni, che esponeva il regalo delle sue cameriere, due piccoli orrori, negazione assoluta di buon senso e di gusto, vicino ad un quadro del Delleani, e ad una quantità di oggetti artistici e di cose di valore. In molti paesi una fidanzata negli ultimi giorni che passa nella casa paterna, regala alle sue amiche d'infanzia i minuscoli gioielli, i gingilli che le furono compagni durante la sua vita giovanile. Per questa cerimonia ella riunisce qualche giorno prima del matrimonio tutte le sue amiche. Ella ha già disposto sopra una tavola del salotto i piccoli ricordi, quei tanti nonnulla che le furono cari, e nel dì del convegno li distribuisce affidando la scelta alla sorte per evitare urti e gelosie. Se lo sposo ha i mezzi, dà alle compagne della sua futura sposa in questa stessa circostanza una medaglietta, un porta-fortuna qualsiasi, colla data del giorno e le iniziali della coppia fortunata. È un'usanza molto gentile, poco comune finora, e che corrisponde al pranzo d'addio dato sovente dallo sposo ai suoi compagni di gioventù. A questa festicciuola di congedo data dalla sposa non assistono i genitori di lei, ma solo lo sposo che si presenta in abito di società: ella indossa una veste chiara e può portare qualcuno dei gioielli offerti dal fidanzato. È un modo grazioso di mostrarli e che soddisfa la vanità del suo futuro signore e padrone. La sposa deve un ricordo ai suoi maestri, alle maestre, alla sua bàlia, se le è rimasta affezionata, infine a tutti quelli che hanno avuto cura della sua infanzia, fisica ed intellettuale; non si fa mai abbastanza per farsi amare; ora io credo giusto il proverbio francese: Les petits cadeaux entretiennent l'amitié. Cambiano alquanto le cerimonie, se la sposa ha oltrepassato i trent' anni; in questo caso ella darà prova di buon senso non facendo pompa dei suoi sentimenti; il suo matrimonio, anche se ispirato soltanto dall'affetto, ha, per il mondo piuttosto scettico, l'apparenza di un affare; quindi ella evita tutto ciò che aggiunge grazia al matrimonio di una giovinetta. Non annunzia il suo fidanzamento, non fa visite, salvo che agli amici intimi, i quali per la tenerezza che li lega a lei, capiscono che qualche ruga, qualche capello bianco non invecchiano il cuore e che ai suoi trent'anni, fossero pure suonati, non è negata tutta la poesia, l'entusiasmo di un primo amore. Lo stesso dirò per una vedova che si rimarita; fortunata o no nelle sue prime nozze, ella, se anche giovanissima, non fa sfogo di sentimento per il nuovo imeneo; mette a parte della notizia pochi intimi, Per lettera, non in istampa; non parla di regali, di viaggio nuziale; la società che è disposta a perdonarle la sua, magari giustificata, infedeltà, riderebbe delle puerili, per quanto sante manifestazioni, che sono giustificabili appena in una sposa giovanetta.

Pagina 52

Galateo morale

196478
Giacinto Gallenga 3 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
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L'intimità con cui viviamo colle persone di casa nostra ci avvezza a trattarle con soverchia veruna per essere con loro amabili, per abbellire la loro esistenza. PELLICO - Doveri degli uomini. Alla famiglia noi diam nome di Santuario. Essa racchiude infatti ciò che vi ha di pù prezioso, di più venerando dopo Iddio fra gli uomini, le domestiche affezioni. Allorché dici famiglia, il tuo labbro pronunzia un non so che di soavemente grato che ti va dentro nell'anima; sembra che questo nome debba escludere ogni idea che non sia di rispetto, di tenerezza, e non possa andar accoppiato che alle più sublimi e più amabili qualità del cuore in colui che ne risente la benefica influenza. «Più la società è perfetta, e più si fa simile a buona famiglia. Chi cerca le origini della società civile in uno Stato selvaggio, ove i vincoli della società domestica, sognansi o ignoti o rotti, crea penosamente un tristo e brutto romanzo smentito dalle tradizioni dei popoli, dal buon senso e dalla coscienza umana, dal cuore de'figliuoli e da quel delle madri». (Tommaseo). Lo studiarsi di render prospera con leggi ed ardinamenti una nazione in cui le famiglie fossero tra loro in guerra, in cui i santi e soavi affetti dei padri e dei figliuoli fossero tenuti in dispregio, sarebbe lo stesso come un voler innalzare un edifizio senza solido fondamento, sopra un mobile ed infido terreno.

Pagina 36

«Le occupazioni dell'ingegno crescono grazia ed utilità alle donne: prima, hanno quella di occuparle innocentemente, poi quella di abbellire l'ingegno che è la parte più amabile di esse; compagne dell'uomo,l'accompagnano tanto più quanto sono capaci d'innalzarsi con esso ai più nobili, al più alti pensieri: riposo, consolazione e ricompensa dell'uomo, tanto più adempiranno siffatti amorevoli uffici, quanto più sapranno apprezzare le loro azioni, le loro parole generose e spronarli ad esse, e, riuscite o no, ricompensarli della loro dolcissima approvazione».

Pagina 65

Siamo dunque civili in famiglia; procuriamo di abbellire per quanto sta in noi l'esistenza di quelle persone, che tante volte pur troppo piangeranno in silenzio dei nostri errori e soffrono, ignorati, di quei domestici dispiaceri che per essere volgari e comuni hanno per altro il triste potere di torturare, talvolta di uccidere chi sen trova troppo duramente colpito. Quando, trascorsa in lavori di corpo o di mente la giornata, noi rientriamo per rinfrancarci, per ristorarci le forze fra le domestiche pareti, non facciam conto, no, d'entrare in un albergo, con quei modi freddi, burberi, dispotici che non son proprii d'un padre, di uno sposo, d'un fratello, ma di uno straniero e di un padrone. Anche se la tristezza c'invada il cuore, sforziamoci di diradare, entrati in casa, le rughe della fronte, le nebbie che c'intristiscono l'anima. Il volto sereno, il saluto affettuoso mostri agli amati nostri che la loro vista ci rianima e ci allieta: il bacio dei nostri cari sia per noi il più soave, il più prezioso compenso alle nostre fatiche: e se qualche lacrima sulle loro ciglia ci rivela l'esistenza di qualche secreto rammarico, studiamoci con quei caldi, accenti che ci suggerisce l'affetto di discoprirlo, di consolarlo; studiamoci di ricondurre in quelle anime oppresse la gioia, la speranza, la rassegnazione.

Pagina 78

Come si fa e come non si fa. Manuale moderno di galateo

200649
Simonetta Malaspina 1 occorrenze
  • 1970
  • Milano
  • Giovanni de Vecchio Editore
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Se è la prima volta che andate a un cocktail in casa d'amici, ricordate di mandare dei fiori alla padrona di casa: mandateli prima anziché dopo, serviranno alla signora per abbellire i locali dove si svolgerà il ricevimento. Il cocktail si offre tra le ore 18 e le 22, e di solito con parecchi invitati. Questi devono rispettare i limiti dell'orario e non possono trattenersi oltre, poiché la padrona di casa non li ha invitati per la cena. Questo ricevimento è di importazione anglosassone. Non consente a nessuno di fare una lunga pacata conversazione, ma permette a molte persone di conoscersi o rivedersi dopo tanto tempo. Sotto questo punto di vista è il tipo di ricevimento più consigliabile a chi voglia avere molti rapporti sociali. Non è d'obbligo per la padrona di casa assicurarsi che tutti gli ospiti abbiano da sedersi. Di solito, anzi, gli invitati preferiscono stare in piedi per passeggiare e incontrare il maggior numero possibile di persone. Per gli invitati non è obbligatoria la puntualità. Tutti possono concedersi un certo ritardo e trattenersi appena una mezz'ora. La padrona di casa deve prevedere queste eventualità, perciò fare in modo che il numero degli invitati sia superiore a quello di qualsiasi altro tipo di ricevimento. Più gente c'è e si rinnova, più l'atmosfera diventa gaia e festosa. Il buffet di un cocktail è abbastanza semplice. Vengono serviti cocktail, bevande analcoliche, salatini, tartine e qualche pasticcino. Niente torte. Quando ci sono due o tre camerieri (come nel caso di chi affidi l'organizzazione di un cocktail a una ditta specializzata in ricevimenti), le bevande vengono servite su un vassoio, già versate nei bicchieri, e offerte agli invitati. Soltanto quando si può contare su una sola persona di servizio, il cocktail può essere servito al buffet insieme ai salatini e ai dolci, e ciò per semplificare il servizio. Quando il cocktail è molto numeroso occorre preparare più di un buffet. In questo caso, è chiaro, bisogna disporre di locali molto grandi e di un servizio accurato. Se il cocktail invece viene servito a pochi ospiti, manca il tono del ricevimento.È allora lo stesso padrone di casa che prepara e serve le bevande ai suoi amici insieme con qualche salatino. È logico che sia l'uomo a occuparsi di tutto ciò, perché si presuppone che egli abbia più pratica della moglie nel preparare bevande alcoliche. Bisogna tener presente che non tutti amano l'alcool, e quindi bisogna avere sempre nel frigorifero qualche bottiglietta di succo di frutta o altra bevanda analcolica. Non è necessario abbondare con salatini e olive: bastano due piattini, tanto per accompagnare il liquido. A un cocktail gli uomini vestiranno di scuro, e le signore indosseranno abiti da pomeriggio elegante. Se il cocktail è di poche pretese, le signore potranno indossare un semplice abito di tessuto elegante, o un tailleur da pomeriggio ravvivato da un bel gioiello. Naturalmente se il cocktail ha un tono molto elegante, bisogna regolarsi di conseguenza. Le signore, potranno indossare un abito un po' scollato e portare in testa un'acconciatura-cappello: quest'ultima, oltre tutto, è quasi obbligatoria se la signora non è più molto giovane. Le giovanissime, per un cocktail molto elegante, potranno sfoggiare qualche scollatura più audace, meglio se accortamente velata. Nessuna donna, comunque, deve dimenticare che la propria eleganza si misura dal suo saper adattarsi alla circostanza, all'ora e al proprio fisico. Ragazzi e bambini sono esclusi dai cocktail, e non solo quelli degli invitati, ma anche i bambini dei padroni di casa saranno allontanati.

Pagina 102

Eva Regina

204349
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 1 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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LA VELETTA La veletta è un' appendice del cappello, appendice non necessaria, ma opportuna per preservare il volto dal freddo, dalla polvere, dal vento, dal sole, e per abbellire, anche. Infatti certi veli pare non abbiano altro ufficio: per esempio quelli così detti « illusione » per sapiente antonomasia, perchè come le illusioni si lacerano subito, e attraverso ai quali il viso acquista una delicatezza gentile, una freschezza nuova, specie se lo avvolgono in una nube vaporosa. Anche i veli a rete contesti di fili fini come quelli che si vedono luccicare sui campi di grano nelle asciutte giornate estive, non riparano molto, ma dànno al volto morbidezza e leggiadria. E i tulle punteggiati di palline bianche come minuscoli bioccoli di neve, o neri come i capricciosi nèi settecenteschi che si posano all' angolo delle labbra, sulla guancia, sulla fronte, pieni di malizia e di suggestione ?... Vi sono anche le foltissime garze o i fittissimi tulle ricamati di cotone, lavabili, che proteggono la faccia, come una maschera lasciandone soltanto indovinare in modo vago i lineamenti. Ho notato che sono questi i veli che più attirano gli sguardi maschili, forse per il mistero, grande o piccino, che sembrano nascondere. Vi sono le garze di tutti i colori : rosso per le brune e pallide; celeste per le rosee e bionde; violetto per chi ha una carnagione di cardenia; rosa per le giovanissime, giallino e bianco per tutte. Vi sono i fini veli con la trina intorno da ricacciare indietro sul cappello, l'estate, e i lunghi veli da automobile nei quali così poeticamente s' avvolgono le belle signore acquistando una vaga somiglianza con le odalische che passano lente sul Bosforo nei bei tramonti di giugno. Vi sono delle donne che non vogliono o non sanno portare la veletta. Le prime hanno torto, giacchè se la veletta copre un poco il cappello e non lo lascia esposto in tutta la sua pompa all' ammirazione del pubblico, la veletta lo armonizza meglio col viso, tiene a posto la pettinatura, lo spiritualizza, quasi, lo fa più personale. Un cappello posato sui capelli senz' altro, ha sempre un po' l' aria di appartenere più alla modista che alla legittima proprietaria. Ma alcune — è vero — non sanno mettere il velo; lo annodano troppo lungo, troppo corto, gli fanno fare delle pieghe false, riuniscono i lembi in un grosso viluppo che toglie l' armonia delle linee al cappellino. Giacchè l' arte di mettersi la veletta è tutt' altro che facile e richiede assai più tempo e maggior attenzione che puntare il cappello. Il velo é una poesia della femminilità. Conserviamolo. Esprime modestia e dà agli occhi un più vivo splendore, attenua le offese del tempo, del dolore, delle sofferenze fisiche; spiritualizza la giovinezza, cancella pietosamente la vecchiaia, finalmente dona il fàscino di ciò che s'intravede, tanto più squisito della cruda esposizione. Anche i poeti hanno cantato il velo. Ricordate il noto verso:

Pagina 637

Lo stralisco

208371
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
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Ganuan alzò la faccia, e disse: — Ora ho pensato di abbellire le stanze di mio figlio con figure e colori. Ho sentito parlare di te da mercanti e cacciatori di passaggio: per questo ti ho mandato a chiamare. Non avrai da lamentarti della mia ospitalità e del compenso, quando te ne andrai. Ti prego di accettare. Il burban guardava di nuovo gli occhi di Sakumat, e respirava profondamente. La sua mano destra, forte e scura, stringeva la cintura di pelle borchiata come si stringe la briglia di un cavallo ribelle. — Posso farti una domanda, signore? — disse il pittore. — Tutta la mia attenzione è tua, e tutta la verità che conosco sarà nelle mie risposte, — disse il burban. — Cosa desideri che io dipinga nelle stanze del tuo figliolo? — A questo non ho pensato, con precisione, — disse il burban, — lo decideranno la tua arte e il tuo pensiero. — Ecco un'altra domanda. Come è l'anima del tuo figliolo? La sua sorte, dura per un bambino, lo rende infelice? E il suo volto e il suo corpo, come si potrebbe immaginare, sono inerti e chiusi, simili alle piante che non ricevono luce? Il burban socchiuse gli occhi per un istante. La mano sulla cintura si rilassò. — A queste domande non risponderò, amico mio, — disse, — non perché non voglia: ma le parole di un padre non sono le piú adatte per parlare del figlio. Sentendole, tu non potresti fare a meno di pensare quanto è grande l'illusione, e quanto è bugiardo l'affetto. Ma poiché, se non mi inganno, hai generosamente accettato la mia preghiera, la risposta te la daranno direttamente il corpo e il volto e l'anima del mio figliolo. Tu stesso vedrai.

Pagina 3

L'idioma gentile

209450
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1905
  • Fratelli Treves Editori
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
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Pagina 99

Mitchell, Margaret

221687
Via col vento 1 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Quelle tombe maltenute rendevano inutili gli sforzi delle signore per abbellire quelle dei loro caduti. Il Circolo di Lavoro era favorevole; l'Associazione era contraria. I due campi si infiammarono; le signore parlavano tutte insieme sicché era impossibile intendersi. La riunione aveva luogo nel salotto della signora Merriwether; e il nonno Merriwether che era stato relegato in cucina, raccontò in seguito che lo strepito gli ricordava le fucilate che avevano iniziato la battaglia di Franklin. E aggiunse che certamente si sarebbe sentito piú sicuro alla battaglia di Franklin che a un'adunata di signore. Non si sa come, Melania riuscí a spingersi nel centro della folla eccitata; e non si sa come riuscí a far udire la sua voce dolce al disopra del tumulto. Aveva il cuore in gola e la voce tremante nell'osare rivolgersi a quel gruppo indignato; ma continuò a gridare: - Vi prego, signore! - finché ottenne un po' di calma. - Volevo dire... è un pezzo che ci penso... che non solo dovremmo strappare le erbacce, ma anche piantare dei fiori su... Io... non so quello che penserete; ma ogni volta che vado a portare dei fiori alla tomba del mio diletto Carlo, ne metto qualcuno sulla tomba di uno yankee sconosciuto che è accanto alla sua. Ha l'aria cosí abbandonata! Fu un nuovo clamore di voci eccitate; questa volta le due organizzazioni si trovarono d'accordo. - Sulla tomba di uno yankee! - Piuttosto dissotterrarlo e gettare al vento i suoi resti! - Oh, Melly, come hai potuto...! - Hanno ucciso tuo fratello! - C'è mancato poco che non ti ammazzassero! - E il tuo bambino! - Hanno cercato di incendiare Tara! Melania si appoggiò alla spalliera della sedia per sorreggersi dinanzi a quell'ondata di biasimo. - Lasciatemi finire, signore! - gridò supplichevole. - So che non ho il diritto di parlare in questa faccenda perché nessuno dei miei è stato ucciso, eccetto Carlo; e grazie a Dio so dov'è sepolto! Ma vi sono tante fra noi che non sanno dove sono sepolti i loro mariti, figli e fratelli, e... Si sentí soffocare; nella stanza fu un silenzio di tomba. Gli occhi fiammeggianti della signora Meade si incupirono. Ella aveva fatto un viaggio lungo e penoso fino a Gettysburg, dopo la battaglia, per riportare a casa la salma di Darcy; ma nessuno le aveva saputo dire ove fosse stato sepolto. In qualche fossa scavata frettolosamente in terra nemica. E la bocca della signora Allan tremò: suo marito e suo fratello si erano trovati a Ohio durante l'incursione di Morgan e l'ultima cosa che aveva saputo sul loro conto era che erano caduti sulle rive del fiume quando la cavalleria yankee aveva fatto irruzione. Non sapeva dov'erano stati sepolti. Il figlio della signora Allison era morto in un campo di prigionieri nel Nord; e lei, piú povera di tutte, non aveva avuto i mezzi per riportarne la salma a casa. Altre avevano letto sulle liste: «Disperso - probabilmente morto» e non avevano mai piú saputo altro degli uomini che avevano visto partire. La voce di Melania si levò nuovamente nel silenzio. - Le loro tombe sono in qualche luogo, in paese yankee, come le tombe dei loro soldati sono qui... e sarebbe tremendo pensare che qualche donna yankee propone (come ho udito dire da qualcuna) di dissotterrarli per gettare al vento i loro resti... Si udí nella sala un singhiozzo represso. - Ma com'è tranquillizzante il pensare che qualche buona donna yankee... (deve esservene qualcuna, checché si dica!) strappa le erbacce dalle tombe dei nostri caduti e porta loro un fiore! Se Carlo fosse morto nel Nord, sarebbe un conforto per me il pensiero che qualcuno... E non m'importa di quello che voi, signore pensate di me.... - la sua voce si spezzò... - ma darò le dimissioni da tutti e due i Circoli e... estirperò le erbacce da tutte le tombe yankee che troverò e vi pianterò dei fiori... Voglio vedere chi oserà impedirmelo! Con questa sfida finale, Melania scoppiò in lagrime e cercò di avviarsi vacillando verso la porta. Il nonno Merriwether raccontò che dopo questo discorso tutte le signore piangevano abbracciando Melania; la riunione finí con un accordo generale e Melania fu eletta segretaria di tutt'e due le associazioni. - E tutte quante hanno promesso di adoperarsi per le tombe yankee. Il male è che mia nuora voleva che andassi anch'io ad aiutare, visto che non ho nulla da fare. Io ritengo che miss Melly abbia avuto ragione e che le altre avessero torto; ma andare ad estirpare le erbacce alla mia età e con la mia lombaggine! Melania faceva parte del Comitato femminile dell'Orfanotrofio e aiutava a scegliere i libri per l'Associazione Libraria Maschile di recente formazione. Perfino i Tespiani che una volta al mese recitavano una commedia, reclamarono il suo aiuto. Melania era troppo timida per apparire alla ribalta; ma le toccò occuparsi dei costumi, fatti, si capisce, in grandissima economia. Fu lei che diede il voto decisivo nel Circolo di Lettura Shakespeariano perché le opere del poeta fossero alternate con quelle di Dickens e di Bulwer-Lytton piuttosto che coi poemi di Byron com'era stato suggerito da un giovine membro del Circolo che Melania, nel suo intimo, temeva fosse un tipo impertinente e sfacciato. Nelle sere della tarda estate la sua piccola casa debolmente illuminata era sempre piena di ospiti. Non vi erano mai sedie sufficienti e spesso le signore sedevano sui gradini del porticato anteriore, con gli uomini appoggiati alla balaustra o seduti sul prato. A volte Rossella, vedendo gli ospiti che sedevano sull'erba sorseggiando il tè - l'unico rinfresco che i Wilkes potevano permettersi di offrire - si chiedeva come mai Melania potesse esporre la sua povertà cosí, senza vergogna. Ella si guarderebbe bene dal ricevere - specialmente persone di riguardo come quelle che andavano da Melania - finché non potesse arredare nuovamente la casa di zia Pitty com'era prima della guerra e non potesse offrire agli invitati vini scelti e sciroppi, prosciutto e pasticci di cacciagione. Il generale John Gordon, l'eroe della Georgia, si recava spesso in casa Wilkes con la sua famiglia. Padre Ryan, il prete-poeta della Confederazione, non mancava mai di andare a salutare Melania quando si trovava di passaggio per Atlanta e in quelle serate deliziava gli altri invitati recitando loro qualcuno dei suoi poemi. Alew Stephens, l'ex-vice-presidente, era egli pure fra gli assidui; e quando si sapeva della sua presenza preso i Wilkes, la casa si riempiva di gente che rimaneva per ore ed ore sotto l'incanto della voce squillante di quel debole invalido. Di solito vi erano dozzine di bambini col capo ciondoloni per il sonno fra le braccia dei genitori; non vi era famiglia che non desiderasse che i suoi figliuoli potessero piú tardi raccontare di essere stati baciati dall'uomo che aveva tenuto le redini della Grande Causa. E tutti i personaggi eminenti che per una ragione o per l'altra giungevano in città, non mancavano di andare in casa Wilkes dove spesso passavano la notte. In queste occasioni Lydia era costretta a dormire su un materasso nella stanzetta di Beau e Dilcey correva da zia Pitty a farsi prestare le uova per la colazione della mattina seguente; ma Melania intratteneva gli ospiti graziosamente come se fosse stata la dama di un castello. No, Melania non si accorgeva che la gente si riuniva attorno a lei come attorno a una logora e amata bandiera. Quindi fu stupita e imbarazzata una sera quando il dottor Meade, dopo aver passato in casa sua una piacevole serata durante la quale aveva letto il «Macbeth» con delizia dell'uditorio, le aveva baciato la mano dicendole con la stessa voce usata in altri tempi nei discorsi in pro della Causa Gloriosa: - Cara miss Melly, è sempre un privilegio e un piacere venire in casa vostra, perché voi - e le donne come voi - siete il cuore di noi tutti; siete tutto ciò che ci è rimasto. Ci è stato tolto il fiore della nostra gioventú e il riso delle nostre donne. Ci hanno rovinato la salute, hanno distrutto le nostre abitudini, annichilito la nostra prosperità, ci hanno ricacciato indietro di cinquant'anni e hanno collocato un fardello troppo pesante sulle spalle dei nostri ragazzi che dovrebbero andare a scuola e dei nostri vecchi che dovrebbero godere il sole. Ma potremo ricostruire, perché abbiamo dei cuori come il vostro su cui posare le fondamenta. E fintanto che abbiamo questa ricchezza, si prendano pure tutto il resto, gli yankees!

Pagina 724

Come le foglie

239657
Giacosa, Giuseppe 1 occorrenze
  • 1921
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • teatro - commedia
  • UNICT
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Bisogna abbellire la bellezza. La natura è un artefice incompiuto. Intanto qui sotto ci vorrei un parco con dei grandi alberi infruttiferi. E dell'erba sempre rasa. E un'erma solitaria fra i tronchi. E non vedere mammà nel bel mezzo della spianata, seduta sull'ignobile tripode, col cavalletto davanti, intenta a vituperare col pennello la beltà delle cose.

Pagina 78

Cosima

243854
Grazia Deledda 1 occorrenze
  • 1947
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • verismo
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Allora Cosima, come già aveva fatto sul Monte, cominciò a riordinare e abbellire quella che, per far sorridere la madre, chiamava la villa. La madre non sorrideva: come sempre era taciturna e chiusa in una tutta sua segreta preoccupazione: ma gli occhi le si erano un po' illuminati, e il da fare che si diede, per preparare un po' di cibo nel camino della prima stanzetta, adibita a cucina, sala da pranzo e da ricevere, la distrasse. Si sarebbe potuto usufruire, per gli usí più comuni, della cameretta del colono, dove c'era un vecchio e grande camino che tirava molto bene; ma la padrona intendeva rispettare gli antichi privilegi del dipendente, che con la sua sola opera si era costruito quel rifugio da quando aveva assunto servizio nella vigna, e vi teneva i suoi stracci e il suo giaciglio. Cosima d'altronde ci sentiva odore di selvatico e non le sarebbe piaciuto neppure di guardare dentro se il vecchio non avesse attirato la sua curiosa attenzione, interessata, di osservatrice di tipi fuori del comune, con la nebulosità del suo passato e la sagoma della sua figura. Egli avrebbe forse potuto, ad esplorarlo, a farlo diventare docile e confidente, raccontarle qualche cosa d'interessante, con un colore diverso dal locale, qualche cosa da mettersi sulla carta e trasformarlo in materia d'arte. Appena dunque l'abitazione fu in ordine, ella andò nella vigna, dove i due uomini lavoravano, e diede ascolto ai discorsi del servo paesano, poiché l'altro conservava il suo assoluto e impassibile mutismo. «Speriamo» diceva il giovinotto «che la vostra mutria si cambi in buon umore fra una settimana, quando verranno le ragazze a vendemmiare. Verranno due mie cugine: ma quelle dovete contentarvi di guardarle da lontano e di non toccarle neppure con una canna: le altre, che la padrona sceglierà di suo gusto, ve le lascio liberamente, vecchio cinghiale.» Il vecchio cinghiale pareva non lo sentisse neppure: solo, all'accenno di una donna, una vedova già anziana, che un tempo si diceva avesse avuto relazioni con l'esiliato, i suoi occhi si allargarono un poco, ed egli scosse il mazzo di foglie di viti che teneva in mano: ma non apri bocca, non si volse a guardare Cosima che era arrivata in mezzo al filare e lo osservava silenziosa. Né piú fruttuosi furono gli altri approcci durante quella prima giornata, sebbene ai due uomini fosse servito un pasto certo per loro insolito, preparato dalla padrona, e anche lei tentasse di attaccare discorso col vecchio taciturno. Egli rispondeva sí e no alle domande di lei, riguardanti l'orto e la vigna, nel vederla si alzava e si piegava con segni di un rispetto quasi esagerato: null'altro. «È un idiota» disse il servo, quando l'altro non poteva sentirlo. «Ma è anche malizioso, e la sa lunga.» E raccontò della vedova, che un tempo veniva a trovarlo nella vigna, e accennò al lontano passato di lui. Pare che avesse tentato di derubare un suo ricchissimo parente, nelle cui terre lavorava: sebbene il parente avesse rimesso la querela, Elia era stato condannato. Poi la voce cambiava; il parente diventava un banchiere, o addirittura una banca, che era stata, svaligiata da un gruppo di ladri, dopo narcotizzato il custode, e fra i manigoldi era Elia. Disse la padrona : «Se fosse stato cosí, il mio povero marito non l'avrebbe assunto al suo servizio.» «Oh, il signor Antonio era buono: era un santo, di quelli che non ne nascono piú» disse il servo. Nel pomeriggio arrivò, a cavallo, Andrea. Fra le altre cose portava un giornale e una lettera per Cosima. Una lettera! Ella la prese, come faceva sempre, trepidando: le pareva, ogni volta, di afferrare un uccello a volo, l'uccello favoloso della fortuna e della felicità. Ma questa era una semplice lettera d'invito a mandare i suoi libri a un giornaletto, che prometteva di parlarne ai suoi lettori. Ed ella la lasciò andare, come appunto si lascia andare un uccellino che non serve a niente. Ad ogni modo la giornata fini bene: il tramonto arrossava la vigna, la vasca e i salici scintillavano; le distese della pianura avevano la calma e melanconica poesia della steppa, come Cosima l'aveva intraveduta in qualche racconto russo: ma il punto centrale del paesaggio, il piú bello, era il pino solitario entro il quale vibravano le fiamme del sole che pareva vi si annidasse come un grande uccello di porpora. E Cosima se ne andò per un sentiero della brughiera, dove avrebbe potuto camminare finché voleva, poiché non c'era pericolo di sperdersi, e dalla vigna potevano sorvegliarla con un solo sguardo. Le erbe sembravano colore di rosa, ogni seme, ogni fiorellino, ogni bacca, aveva come un occhio d'oro che rispondeva al suo sguardo: e i monti lontani, color d'acquamarina, svaporavano nel cielo arancione e verde e rosso che a poco a poco trascolorava e cambiava tinta. Una coccinella sali, da un cespuglio, sulla veste di Cosima, come su un cespuglio piú alto: andò su, su, tranquilla, fino al braccio di lei, fino alla sua mano. Era un essere meraviglioso e quasi terribile: sul piccolo dorso piatto, d'un rosso scuro di lacca, era disegnato in nero un viso umano perfetto, con gli occhi, il naso, la bocca, tutti un po' obliqui come nelle maschere giapponesi: parve a Cosima che quegli occhi la guardassero, con la stessa meraviglia misteriosa con cui lei li guardava. Arrivata all'estremità del dito medio, sull'unghia rosea di tramonto, la coccinella aprí due piccole ali iridate e volò via. Cosima avrebbe voluto imitarla, ma i suoi piedi erano legati alla terra, ed ella avrebbe dovuto camminare fino all'estremità del mondo per potersi slanciare cosí. Quando il sole spari, uno stupore quasi infantile parve incantare ogni cosa: il cielo si fece trasparente come l'acqua, e la stella che apparve sull'orizzonte vi tremolò come appunto riflessa dal mare. Mai Cosima, neppure sul limite dei boschi e delle roccie del Monte, davanti ai sontuosi tramonti visti dall'alto, aveva provato una malia simile a questa che l'avvolgeva in mezzo alla terra incolta, guardata solo da Dio. Invece di sentirsi piccola, e poiché era impotente a volare, le parve di essere alta, alta fino a toccare con la fronte la stella della sera; eppure in quel momento dimenticava tutte le sue ambizioni, i suoi vani sogni, la sua attesa di avvenimenti straordinari. La vita era bella cosí, anche fra gli umili steli nati da sé, fra le cose create da Dio per la gioia del cuore che è vicino a lui come il cuore del bambino a quello della madre: ed ella ne ebbe quasi la prima rivelazione, e si senti uno scalino ancora piú in alto, nella scala di Giacobbe che doveva essere la sua vita. Cosí, per nulla: solo perché vedeva la stella della sera brillare sopra i monti non meno e non piú meravigliosa della coccinella, e le erbe selvatiche odoravano al suo passaggio. Decise di non aspettare piú nulla che le arrivasse dall'esterno, dal mondo agitato degli uomini; ma tutto da se stessa, dal mistero della sua vita interiore. Cosí, ebbe fine l'attesa delle notizie dell'esploratore: e anche lui, del resto, non scrisse piú.

Pagina 123

L'indomani

246147
Neera 1 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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. - Fortunato mortale cui è dato abbellire la propria casa con la presenza di una donna! oh la donna!

Pagina 64

La sorte

247974
Federico De Roberto 1 occorrenze
  • 1887
  • Niccolò Giannotta editore
  • Catania
  • Verismo
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Per questa ragione Salvatore non pensava ad abbellire la sua bottega, e i bacili di rame lucente e le filze dei denti strappati da suo padre facevano ancora la loro bella figura sui ferri arrugginiti inchiodati sopra l'uscio. In città, nelle vie più frequentate, i saloni parevano altrettanti negozii di mobili: da per tutto poltrone, divani, specchiere alte fino al soffitto, tappeti e stuoie, vasi pieni di piante mai più viste! - Tutta illusione - diceva Salvatore all'amico Agostino - Tutta polvere agli occhi per far pagare tre lire il mese agli abbonati. Egli non aveva le poltrone che giravano attorno, nè gli spazzolini per i mustacchi; ma per una lira il mese tagliava i capelli anche ogni giorno, se così piaceva, e faceva la barba a dovere, senza lesinare il sapone con la scusa che era profumato. Ora non si poteva neanche andare in un salone alla moda, senza trovarci dei ragazzi che, fingendo d'imparare il mestiere, servivano veramente a scroccare i soldi delle mancie. Quando un galantuomo s'era fatta la barba e pigliava il cappello per andarsene, quelli gli venivano dietro, lisciandogli il soprabito con la spazzola, quasi gli facessero il solletico, e se uno non dava loro un soldone, non riusciva a cavarseli di mezzo alle gambe. - Una vergogna che da me non si trova, perchè io non ho bisogno di aiuti! Egli s'era dato all'arte da ragazzo e la sua mano aveva acquistata una straordinaria agilità; i capelli cadevano sotto le sue forbici come la lana quando tosano, e i suoi rasoi portavano via le barbe, di un colpo solo, senza lasciare il più piccolo frego sulle guancie. La domenica era giornata campale. Dall'alba a mezzogiorno, la bottega restava continuamente affollata da ogni sorta di persone: contadini che si facevano radere sulla faccia e sulla nuca, e lavare le teste talmente piene di terra che si poteva seminarvi il prezzemolo, e all'ultimo leticavano sui soldi, ch'egli non ci ripigliava neanche il sapone; giovanotti che gli sciupavano una bottiglia d'olio per ungersi i capelli e gli facevano perdere un'ora per la scriminatura; murifabri terrosi, tutti imbiancati di calcina sulle giubbe color mattone; poveri diavoli con le barbe ispide, con le capigliature boscose che non conoscevano altro pettine fuor delle dita e si dimenavano sulla sedia ad ogni strappata di forbice; operai di tutte le età e di vario pelo, che una volta seduti, dinanzi allo specchio, con tanti buoni odori d'acque e di pomate sotto il naso, non trovavano più il verso di alzarsi e di cedere il posto ai nuovi venuti. Egli spiegava allora tutta la sua pazienza e la sua abilità, trattando ogni persona secondo il suo grado, aiutandosi con le mani e con la lingua, raccontando storielle, ripetendo le notizie che aveva raccolto durante la settimana da questo e da quello, aggiungendovi di suo un pizzico di sale e pepe, per non dare agli avventori il tempo di seccarsi. - Perchè non v'abbonate alla Gazzetta? - gli diceva l'amico Agostino, che passava tutte le sue ore libere nella bottega. - È buona per gli scuoia-cani della città, la Gazzetta! - Il vero giornale è la mia testa, e la gente mostra di gustarlo. Egli andava anche in casa, a servir le pratiche, e cominciava il suo giro appena giorno, con la scatola degli strumenti sotto il braccio e le mani dentro le saccoccie del soprabito. I vecchi volevano esser serviti presto; essi si levavano col sole, e non lo facevano aspettare; ma i giovani si ravvoltolavano fra le coltri fino a tardi e non erano contenti se non gli facevano salir le scale un paio di volte almeno. - Lasciamoli fare! Ho buone gambe, sia lodato Dio! La gioventù è tutta a un modo - pensava - e anche lui, diciamo la verità, se si metteva assieme una serenata e l'amico Agostino gli veniva a dire di portare il suo mandolino, non c'era il caso che si facesse pregare! Il mandolino, fra le mani di Salvatore, cantava come una voce umana e aveva certe note che facevano piangere. In tutta la città non c'era chi gli potesse stare a fronte, e i capi-musica dei reggimenti, e le stesse signore lo mandavano a chiamare per sentirgli suonare quel suo strumento che, come la casa e la clientela, gli veniva dal padre e dal nonno. Ma il grande svago di Salvatore era un altro: la lettura. Nelle lunghe ore quando la bottega restava deserta e non c'era da affilar rasoi nè da spazzare capelli tagliati, egli divorava romanzi, seduto dinanzi alla porta, talmente assorto da non sentire nè vedere quello che accadeva per la strada. I romanzi glie li prestava l'amico Agostino, il quale era parente d'un libraio che teneva la biblioteca circolante; ma quando ne capitava uno che gli piaceva davvero, lo andava a comprare addirittura. Così aveva messo assieme una piccola libreria: i Misteri di Parigi, il Cornuto, i Vermi, le Avventure di Rocambole, i Miserabili e finalmente il Conte di Monte Cristo, ch'egli sapeva quasi a memoria, tanto lo aveva letto e riletto. Quei cinque volumi gialli, dopo aver fatto il giro dei suoi avventori, giacevano di qua e di là, per la bottega, squadernati e unti, ma indispensabili a lui più degli stessi ferri del mestiere. Con Edmondo Dantès, con l'abate Faria, con Mercede, col signor Villefort, e Caderousse, e Massimiliano, e Morcerf, con tutti quei personaggi meravigliosi e interessanti, Salvatore faceva vita assieme, si poteva dire, poichè li aveva sempre dinanzi agli occhi e parlava di loro come se fossero vivi. La sera, quando venivano gli amici, a passare un'oretta, egli socchiudeva la porta, metteva fuori una bottiglia di vino e raccontava quella storia con più piacere che giuocando a briscola o chiacchierando dei fatti del prossimo. - Dunque, s'era rimasti? - S'era rimasti che i gendarmi chiudevano Edmondo Dantès al castello d'If - rispondeva Michele Lisani. Salvatore riassumeva gli avvenimenti precedenti, s'interrompeva per richiamare qualche particolare dimenticato; ma bisognava vederlo quando si rimetteva in carreggiata, ripigliando il filo del racconto! Allora si animava straordinariamente, come se tutti quei casi fossero capitati a lui in persona; si alzava in piedi, dava alla sua voce l'intonazione necessaria, trovava gesti energici ed espressivi che commentavano le parole e lasciava i suoi uditori sbalorditi, con la bocca aperta e gli occhi intenti. Ah! quella fuga dal castello! quei custodi che portavano il sacco con dentro il morto, che non era morto e sentiva quell'incomprensibile discorso! E quel rumore del mare, nella notte, mentre dondolavano il carico sull'abisso: «Uno!.. due!.. tre!..» - Bene!.. Bravo Salvatore! - Sapete che a fare il cantastorie potreste egualmente guadagnarvi la vostra giornata? - diceva Giovanni Santoro. - Alla generosità di lor signori! - E Salvatore faceva il giro della compagnia, col berretto in mano, per raccogliere le offerte. Con i soldi che mettevano assieme, compravano delle castagne, o delle carrube arrosto, roba che metteva sete e faceva rasciugare i bicchieri d'un sorso solo. - Alla salute della società! - Alla salute di Agostino - Che m'ha regalato questo bel vino! - Alla salute dei vostri figli, quando ne avrete! Salvatore si metteva a ridere, perchè quell'idea non gli era mai passata pel capo. Si trovava così bene, in quella pace degli angeli! e le donne non sapeva neanche dove stessero di casa. - Che bisogno ho mai di andare a cercar degli impicci? Del resto, ci sarà sempre tempo di pensarci, a cotesta corbelleria. - Eh, amico caro! - gli diceva Agostino - lo sapete che i quarant'anni son passati da un pezzo! - E questo che importa? Se mi trovate un pelo bianco ve lo pago quello che voi volete. - Ma date retta a me; cercatevi una moglie che faccia per voi, e v'arricchisca la casa! Voi avete del vostro, e non dovrete angustiarvi se verranno i figli. - Trovarla! Dove volete ch'io la vada a pescare? - Gli amici ci son per niente? Ma dite piuttosto che avete la testa ai romanzi e fantasticate Dio sa che stramberie! Agostino diceva così per farlo indispettire. Quando toccavano quel tasto, Salvatore che era sempre buono come il pane, s'arrabbiava davvero. - Non ne capite niente! Quasichè io fossi un ragazzo da guastarmi la testa! Se leggo romanzi vuol dire che ci trovo il mio gusto. A voi che piace, il bagordo? E chi vi dice nulla! - Basta! non se ne parli più. Invece tornava a parlarne. Egli aveva una gran premura di dargli moglie, ma diceva pel suo bene; si conoscevano da ragazzi, e ne aveano passate tante, insieme! Lui non l'aveva fatta quella corbelleria; ma c'era la ragione, che non aveva un soldo di suo, e il poco che guadagnava non gli bastava pei suoi bisogni. Con le tre lire il giorno che gli davano dal principe Leoparretti, dove accudiva alla contabilità, sarebbe stato padrone di morir di fame se gli fosse venuta la malinconia di ammogliarsi! - Che dice la principessa? - chiedeva Salvatore, pigliandogli il mento con due dita, per levargli la barba dal collo. - Eh! amico caro... - masticava l'amico Agostino - quella tiene i ganzi a quattro per volta... Se n'è perfino perduto il numero!.. - Quando poi si dice! Queste gran signore, se ci si mettono, ne vogliono cento di quelle... - Ma che bel pezzo di donna.... vista in casa... in disabigliè!... - e quello si dimenava voluttuosamente sulla sedia, mordendosi le labbra. - Una volta di queste ve la farò conoscere! Infatti, un giorno l'amico Agostino venne a dirgli che la principessa lo voleva a palazzo, col mandolino. - È per domani sera. Sono venuti certi parenti da Palermo e ci sarà gran concerto. Lui da principio non ne voleva saper nulla. - Che figura mi toccherà fare, in mezzo a tanti signori? - Non ci sarà nessuno, sono fra loro parenti. Andiamo, non fate il difficile; hanno inteso che siete un gran suonatore e vogliono ammirare la vostra abilità! E poi, date retta: quando sarete lì, guardatevi bene attorno, e me ne darete notizie! - Che intendete dire? - Lo so io! Salvatore aveva un cuor d'asino e un cuor di leone, come si dice, e non sapeva decidersi tra la voglia di andare dalla principessa e la soggezione che lo vinceva soltanto a pensarci. - Dunque, stasera? - venne a ricordargli il cocchiere della signora, che era dilettante di chitarra. - Ci sarete anche voi? - Passerò a pigliarvi. Così, quando fu l'ora, Salvatore mise il suo abito più bello, prese lo strumento sotto il braccio e s'avviò.

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