Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbellire

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La chiave a stella 1978

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Levi, Primo 1 occorrenze

Ho promesso a Faussone che mi sarei attenuto con la miglior diligenza alle sue indicazioni; che in nessun caso avrei ceduto alla tentazione professionale dell' inventare, dell' abbellire e dell' arrotondare; che perciò al suo resoconto non avrei aggiunto niente, ma forse qualche cosa avrei tolto, come fa lo scultore quando ricava la forma dal blocco; e lui si è dichiarato d' accordo. Cavando dunque dal grande blocco dei dettagli tecnici che lui, non molto ordinatamente, mi ha forniti, si è delineato il profilo di un ponte lungo e snello, sostenuto da cinque torri fatte di scatole d' acciaio, ed appeso a quattro festoni di cavo d' acciaio. Ogni festone era lungo 170 metri, e ognuno dei due cavi era costituito da una mostruosa treccia di undicimila fili singoli del diametro di cinque millimetri. "Le ho già detto quell' altra sera che per me ogni lavoro è come il primo amore: ma quella volta ho capito subito che era un amore impegnativo, uno di quelli che se uno ne viene fuori con tutte le penne vuol dire che è stato fortunato. Prima di incominciare ho passato una settimana come a scuola, a lezione dagli ingegneri: erano sei, cinque indiani e uno dell' impresa; quattro ore al mattino col quaderno degli appunti e poi tutto il pomeriggio a studiarci su: perché era proprio come il lavoro del ragno, solo che i ragni nascono che il mestiere lo sanno già, e poi se cascano cascano dal basso e non si fanno gran che, anche perché loro il filo ce l' hanno incorporato. Del resto, dopo di questo lavoro che le sto raccontando, ogni volta che vedo un ragno nella sua ragnatela mi ritornano in mente i miei undicimila fili, anzi ventiduemila perché i cavi erano due, e mi sento un poco suo parente, specialmente quando tira vento. Poi mi è toccato a me di fare la lezione ai miei uomini. Questa volta erano indiani indiani, non come quegli alascani che le ho raccontato prima. Da principio devo confessarle che non avevo fiducia, a vedermeli lì d' intorno seduti sui calcagni, o qualcun altro invece con le gambe incrociate e le ginocchia larghe, come le statue nelle loro chiese che avevo visto a Calcutta. Mi guardavano fisso e non facevano mai domande; ma poi, un poco alla volta, li ho presi uno per uno e ho visto che non avevano perso una parola, e secondo me sono più intelligenti di noi, o forse è che avevano paura di perdere il lavoro, perché da quelle parti non fanno complimenti. Sono poi gente come noi, anche se hanno il turbante e non hanno le scarpe e tutte le mattine caschi il mondo passano due ore a pregare. Hanno anche loro le loro grane, ce n' era uno che aveva un figlio di sedici anni che giocava già ai dadi e lui era preoccupato perché perdeva sempre, un altro aveva la moglie ammalata, e un altro ancora aveva sette figli ma diceva che lui non era d' accordo col governo e l' operazione non la voleva fare, perché a lui e a sua moglie i bambini gli piacevano, e mi ha anche fatto vedere la fotografia. Erano proprio belli, e era bella anche sua moglie: tutte le ragazze indiane sono belle, ma Peraldo, che era in India da un pezzo, mi ha spiegato che con loro niente da fare. Mi ha anche detto che in città è diverso, ma c' è in giro certe malattie che è meglio lasciar perdere; insomma alla finitiva non ho mai fatto digiuno come quella volta in India. Ma torniamo al lavoro. Le ho già detto dei chetuòk, cioè delle passerelle, e del trucco dell' aquilone per tirare il primo cavo. Chiaro che non si poteva mica far volare ventiduemila aquiloni. Per tirare i cavi di un ponte sospeso c' è un sistema speciale: si piazza un argano, e a sei o sette metri sopra ogni passerella si tira un cavo senza fine, come una di quelle cinghie di trasmissione che usavano una volta, teso fra due carrucole una per sponda; attaccato al cavo senza fine c' è una puleggia folle, con quattro gole; dentro ogni gola si passa un' ansa del filo singolo, che viene da un grande rocchetto; e poi si mettono in moto le carrucole e si tira la puleggia da sponda a sponda; così, con un viaggio si tirano otto fili. Gli operai, a parte quelli che mettono su le anse e quelli che le tolgono, stanno sulla passerella, due ogni cinquanta metri, a sorvegliare che i fili non si incavallino: ma dirlo è una cosa, e farlo è un' altra. È fortuna che gli indiani sono gente di buon comando: perché lei deve pensare che le passerelle non è come andare a spasso in via Roma. Primo, sono inclinate, perché hanno la stessa pendenza che avrà poi il cavo di sostegno; secondo, basta un filo di vento a farle ballare che è una bellezza, ma del vento avrò poi da parlargliene dopo; terzo, dato che devono essere leggere e appunto non dare presa al vento, hanno il pavimento fatto di griglia, così uno è meglio se non si guarda i piedi, perché se guarda vede l' acqua del fiume sotto, color del fango, con dentro degli affarini che si muovono, e visti di lassù sembrano pesciolini da frittura mentre invece sono le schiene dei coccodrilli: ma gliel' ho già detto che in India una cosa sembra sempre che sia un' altra. Peraldo mi ha contato che non ce n' è più tanti, ma quei pochi vengono tutti dove si monta un ponte perché mangiano le immondizie della mensa, e perché aspettano che qualcuno caschi giù. L' India è un gran bel paese ma non ha delle bestie simpatiche. Anche le zanzare, a parte il fatto che attaccano la malaria, e che appunto oltre al casco uno bisogna sempre che porti la veletta come le signore di una volta, sono delle bestiacce lunghe così, che se uno non sta attento mollano dei morsiconi da portare via il pezzo; e mi hanno anche detto che ci sono delle farfalle che vengono di notte a succhiare il sangue mentre uno dorme, ma io veramente non le ho mai viste, e per dormire ho sempre dormito bene. La malizia di quel lavoro di tendere i fili è che i fili bisogna che abbiano tutti la stessa tensione: e su una lunghezza come quella non è tanto facile. Facevamo due turni di sei ore, dall' alba al tramonto, ma poi abbiamo dovuto organizzare una squadra speciale che montava di notte, prima che venisse il sole, perché di giorno capita sempre che ci sono dei fili al sole, che scaldano e dilatano, e degli altri all' ombra, e allora la registrazione bisogna farla a quell' ora lì, perché tutti i fili hanno la stessa caloria: e questa registrazione poco da fare mi è sempre toccato di farla a me. Siamo andati avanti così per sessanta giorni, sempre con la puleggia folle che andava avanti e indietro, e la ragnatela cresceva, bella tesa e simmetrica, e dava già l' idea della sagoma che il ponte avrebbe avuto dopo. Faceva caldo, gliel' ho già detto, anzi, le avevo anche detto che non glielo avrei più detto, ma insomma faceva caldo; quando calava giù il sole era un sollievo, anche perché allora potevo rientrare in baracca e bere un bicchiere e cambiare parola con Peraldo. Peraldo aveva cominciato da manovale, poi era diventato muratore e poi cementista; era stato un po' dappertutto, e anche quattro anni in Congo a fare una diga, e da raccontare ne aveva, ma se mi metto a raccontarle anche le storie degli altri in più delle mie finisce che non finisco più. Quando la tesatura è stata terminata, a guardare da lontano si vedevano i due cavi che andavano da una sponda all' altra coi loro quattro festoni, fini e leggeri appunto come fili di ragno: ma a guardarli da vicino erano due fasci da far paura, spessi settanta centimetri; e li abbiamo compattati con una macchina speciale, come un torchio fatto a anello che viaggia lungo il cavo e lo stringe con una forza di cento tonnellate, ma in questo io non ci ho messo mano. Era una macchina americana, l' avevano spedita fin laggiù col suo specialista americano che guardava tutti di traverso, non parlava con nessuno e non lasciava che nessuno si avvicinasse, si vede che aveva paura che gli portassero via il segreto. A questo punto il difficile sembrava che fosse fatto; le funi verticali di sospensione le abbiamo tirate su in pochi giorni, le pescavamo coi paranchi dai pontoni che stavano sotto, e sembrava proprio di pescare delle anguille, ma erano anguille che pesavano quindici quintali l' una; e finalmente è stata l' ora di cominciare a piazzare la carreggiata, e nessuno lo poteva indovinare, ma è stato proprio lì che è cominciata l' avventura. Bisogna che le dica che, dopo il guaio di quella piena improvvisa che le ho detto, avevano fatto finta di niente ma il mio consiglio l' avevano pure seguito: mentre io ero a Calcutta avevano fatto arrivare un finimondo di camion carichi di pietroni, e come l' acqua è scesa, gli argini li hanno consolidati ben bene. Ma sa com' è la storia di quel gatto scottato, che dopo aveva paura dell' acqua fredda: per tutto il montaggio, da in cima del mio passo del gatto io l' acqua la tenevo d' occhio, e avevo anche ottenuto dall' ingegnere che mi mettesse un telefono volante a disposizione, perché pensavo che se aveva da venire un' altra piena era meglio arrivare prima; e non pensavo che il pericolo veniva da un' altra parte, e a giudicare da come sono andate le cose, non ci pensava nessuno, e neanche non ci avevano pensato i progettisti. Io quei progettisti non li ho mai visti in faccia, non so neppure di che razza fossero, però ne ho conosciuti degli altri, e tanti, e so che ce n' è di diverse maniere. C' è il progettista elefante, quello che sta sempre dalla parte della ragione, che non guarda né l' eleganza né l' economia, che non vuole grane e mette quattro dove basta uno: e in genere è un progettista già un po' vecchiotto, e se lei ci ragiona sopra vede che è una faccenda triste. C' è il tipo rancino, invece, che sembra che ogni rivetto lo deva pagare di tasca sua. C' è il progettista pappagallo, che i progetti invece di studiarci su tira a copiarli come si fa a scuola, e non si accorge che si fa ridere dietro. C' è il progettista lumaca, voglio dire il tipo burocrate, che va piano piano, e appena lo tocchi si tira subito indietro e si nasconde dentro al suo guscio che è fatto di regolamenti: e io, senza offendere, lo chiamerei anche il progettista balengo. E alla fine c' è il progettista farfalla, e io credo proprio che i progettisti di quel ponte fossero di questo tipo qui: e è il tipo più pericoloso, perché sono giovani, arditi e te la dànno a intendere, se gli parli di soldi e di sicurezza ti guardano come uno sputo, e tutto il loro pensiero è per la novità e per la bellezza: senza pensare che, quando un' opera è studiata bene, viene bella per conto suo. Mi scusi se mi sono sfogato, ma quando uno su un lavoro ci mette tutti i suoi sentimenti, e poi finisce come quel ponte che le sto raccontando, ebbene, dispiace. Dispiace per tanti motivi: perché uno ha perso tanto tempo, perché dopo succede sempre un putiferio con gli avvocati e il codice e i settemila accidenti, perché uno anche se non c' entra niente finisce sempre che si sente un po' di colpa; ma più che tutto, vedere venire giù un' opera come quella, e il modo poi come è venuta giù, un pezzo per volta, come se patisse, come se resistesse, faceva male al cuore come quando muore una persona. E proprio come quando muore una persona, che dopo tutti dicono che loro l' avevano visto, da come respirava, da come girava gli occhi, così anche quella volta, dopo il disastro, tutti volevano dire la sua, perfino l' indiano dell' operazione: che si vedeva benissimo, che le sospensioni erano scarse, che l' acciaio aveva delle soffiature grosse come dei fagioli, i saldatori dicevano che i montatori non sapevano montare, i gruisti dicevano che i saldatori non sapevano saldare, e tutti insieme se la prendevano con l' ingegnere e gli leggevano la vita, che dormiva in piedi e batteva la calabria e non aveva saputo organizzare il lavoro. E forse avevano ragione un po' tutti, o magari nessuno, perché anche qui è un po' come per le persone, a me è già successo tante volte, un traliccio per esempio, collaudato e stracollaudato che sembra che debba stare lì un secolo, e comincia a cioccare dopo un mese; un altro che non scommetteresti quattro soldi, niente, non fa una ruga. E se lei si mette nelle mani dei periti fa un bell' affare, ne vengono tre e dànno tre ragioni diverse, mai visto un perito che cavasse il ragno dal buco. Si capisce che se uno muore, o una struttura si sfascia, una ragione ci deve pur essere, ma non è detto che sia una sola, o se sì, che sia possibile trovarla. Ma andiamo con ordine. Le ho detto che per tutto questo lavoro aveva sempre fatto caldo, tutti i giorni, un caldo bagnato che era difficile abituarsi, io però verso la fine mi ero abituato. Bene, a lavoro finito, che c' erano già i verniciatori arrampicati un po' dappertutto e sembravano moscerini su una ragnatela, mi sono accorto che tutto d' un colpo aveva smesso di fare caldo: il sole era già spuntato, ma invece di fare caldo come al solito, il sudore asciugava addosso e si sentiva fresco. Ero anch' io sul ponte, a metà della prima campata, e oltre al fresco ho sentito due altre cose che mi hanno fatto restare lì bloccato come un cane da caccia quando punta: ho sentito il ponte che mi vibrava sotto i piedi, e ho sentito come una musica, ma non si capiva da che parte venisse: una musica, voglio dire un suono, profondo e lontano, come quando provano l' organo in chiesa, perché da piccolo io in chiesa ci andavo; e mi sono reso conto che tutto veniva dal vento. Era il primo vento che sentivo da quando ero atterrato in India, e non era un gran vento, però era costante, come il vento che uno sente quando va in auto piano piano e tiene la mano fuori dal finestrino. Mi sono sentito inquieto, non so perché, e mi sono incamminato verso la testata: forse sarà anche questo un effetto del nostro mestiere, ma le cose che vibrano a noi ci piacciono poco. Sono arrivato al pilone di testa, mi sono voltato indietro, e mi sono sentito drizzare tutti i peli. No, non è un modo di dire, si drizzano proprio, uno per uno e tutti insieme, come se si svegliassero e volessero scappare: perché da dove ero io si vedeva tutto il ponte d' infilata, e capitava una cosa da non crederci. Era come se, sotto quel fiato di vento, anche il ponte si stesse svegliando. Sì, come uno che ha sentito un rumore, si sveglia, si scrolla un po' , e si prepara a saltare giù dal letto. Tutto il ponte si scuoteva: la carreggiata scodinzolava a destra e a sinistra, e poi ha incominciato a muoversi anche nel piano verticale, si vedevano delle onde che correvano dal mio capo all' altro, come quando si scuote una corda lenta; ma non erano più vibrazioni, erano onde alte uno o due metri, perché ho visto uno dei verniciatori che aveva piantato lì il suo lavoro e si era messo a correre verso di me, e un po' lo vedevo e un po' non lo vedevo, come una barca nel mare quando le onde sono grosse. Tutti sono scappati via dal ponte, anche gli indiani andavano un po' più in fretta del solito, e c' è stato un gran gridare e un gran disordine: nessuno sapeva che cosa fare. Anche i cavi di sospensione si erano messi in movimento. Sa come succede in quei momenti, che uno dice una cosa e un altro un' altra; ma dopo qualche minuto si è visto che il ponte, non che si fosse fermato, ma le onde si erano come stabilizzate, andavano e rimbalzavano da un capo all' altro sempre con la stessa cadenza. Non so chi abbia dato l' ordine, o forse è qualcuno che si è presa l' iniziativa, ma ho visto uno dei trattori del cantiere che infilava la carreggiata del ponte rabastandosi dietro due cavi da tre pollici: forse volevano tirarli in diagonale per frenare le oscillazioni, certo chi lo ha fatto ha avuto un bel coraggio, o meglio una bella incoscienza, perché io non credo proprio che con quei due cavi, anche se fossero riusciti a fissarli, si potesse fermare una struttura come quella, pensi che la carreggiata era larga otto metri e alta uno e mezzo, faccia un po' il conto delle tonnellate che erano lì in giostra. Ogni modo, non hanno fatto a tempo a fare niente, perché di lì in poi le cose sono precipitate. Forse il vento si era rinforzato, non saprei dire, ma verso le dieci le onde verticali erano alte quattro o cinque metri, e si sentiva tremare la terra, e il fracasso delle sospensioni verticali che si allentavano e si tendevano. Il trattorista ha visto la mala parata, ha mollato lì il trattore e è scappato a riva: e ha fatto bene, perché subito dopo la carreggiata ha cominciato a torcersi come se fosse stata di gomma, il trattore sbandava a destra e a manca, e a un certo punto ha scavalcato il parapetto, o forse lo ha sfondato, e è finito nel fiume. Uno dopo l' altro, si sono sentiti come dei colpi di cannone, li ho contati, erano sei, erano le sospensioni verticali che si strappavano: si strappavano netto, a livello della carreggiata, e i monconi per il contraccolpo volavano verso il cielo. Insieme, anche la carreggiata ha cominciato a svirgolarsi, a dissaldarsi, e cadeva a pezzi nel fiume; degli altri pezzi, invece, rimanevano appesi ai travi come degli stracci. Poi è finito tutto: tutto è rimasto lì fermo, come dopo un bombardamento, e io non so che faccia avessi, ma uno lì vicino a me tremava tutto e aveva la faccia verdolina, ben che era uno di quegli indiani col turbante e la pelle scura. A conti fatti, erano andate giù due campate della carreggiata, quasi intere, e una dozzina delle sospensioni verticali; invece, i cavi principali erano a posto. Tutto era fermo come in una fotografia, salvo il fiume che continuava a correre come se niente fosse stato: eppure il vento non era caduto, anzi era più forte di prima. Era come se qualcuno avesse voluto fare quel danno, e poi si fosse accontentato. E a me è venuta in mente un' idea stupida: ho letto in un libro che, nei tempi dei tempi, quando incominciavano un ponte ammazzavano un cristiano, anzi non un cristiano perché allora non c' erano ancora, ma insomma un uomo, e lo mettevano dentro alle fondazioni; e più tardi invece ammazzavano una bestia; e allora il ponte non crollava. Ma appunto, era un' idea stupida. Io poi me ne sono venuto via, tanto i cavi grossi avevano resistito, e il mio lavoro non era da rifare. Ho saputo che dopo hanno cominciato a discutere sul perché e sul percome, e che non si sono messi d' accordo, e discutono ancora adesso. Io, per conto mio, quando ho visto il piano della carreggiata che incominciava a battere su e giù, ho subito pensato a quell' atterraggio a Calcutta, e alle ali del Boeing che battevano come quelle di un uccello, e mi avevano fatto passare un brutto momento, anche se ho volato tante volte; ma insomma non saprei dire. Certo il vento c' entrava: e infatti mi hanno detto che adesso il ponte lo stanno rifacendo, ma con delle aperture nella carreggiata, per non che il vento incontri troppa resistenza. No, di ponti sospesi non ne ho montati più. Me ne sono venuto via, non ho salutato nessuno, solo Peraldo. Non è stata una bella storia. È stato come quando vuoi bene a una ragazza, e lei ti pianta da un giorno all' altro e tu non sai perché, e soffri, non solo perché hai perso la ragazza, ma anche la fiducia. Bene, mi passi la bottiglia che beviamo ancora una volta: tanto stasera pago io. Sì, sono tornato a Torino, e c' è calato poco che non mi mettessi nelle curve con una di quelle ragazze delle mie zie che le dicevo al principio, perché ero giù di morale e non facevo resistenza: ma questa è un' altra storia. Poi mi sono fatto una ragione".

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