Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbazia

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Demetrio Pianelli

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De Marchi, Emilio 4 occorrenze

Don Giovanni, durante la convalescenza, si lasciò vedere anche lui diverse volte e sedette a intrattenerla colla storia della vecchia abbazia, dei frati di Chiaravalle, di San Bernardo fondatore dell'Ordine, dell'eretica Guglielmina, che, dopo essere stata sepolta come una santa nel cimitero della Certosa, un bel giorno scoprono che è un'anima dannata, la disseppelliscono e bruciano il corpo sulla piazza di Sant'Ambrogio. Cose che capitano ai morti! Beatrice ristoravasi in mezzo a queste cure. Rifiorí daccapo, mentre le piante andavano perdendo a poco a poco le foglie. Paolino, ricuperata la confidenza di prima, andava segnando sul taccuino americano i giorni che lo separavano dal gran giorno. Demetrio, uomo onesto e sincero, nella prima lettera consegnata ad Arabella e poi in altre che scrisse, dalla sua nuova residenza (dove dice di non trovarsi malaccio), ha saputo toccare la nota giusta. Non si dubita dell'onestà di una donna come si dubita del vino degli osti. L'uomo si uccide nell'onore, — scriveva il buon cugino — la donna nel pudore. Se a questo mondo non ci sforziamo di far tacere la maldicenza e l'invidia della gente per ascoltare di tanto in tanto la voce sola e irragionevole del cuore, finiremo col non credere piú a nulla, nemmeno al pane che si mangia, e allora la vita diventa un inferno e chi trionfa è sempre il piú bugiardo e il piú sfacciato. Andiamo avanti con confidenza e verrà giorno che i buoni torneranno ancora buoni a qualche cosa — cosí scriveva il cugino. Si può immaginare che questi consigli furono altrettante goccie d'olio refrigerante sull'animo del buon Paolino, che un momento aveva dubitato anche lui delle cose del mondo. Ma ogni giorno piú, cioè ogni passo ch'egli fa verso il sospirato giorno, la realtà che lo aspetta gli pare irraggiungibile. Tutte le volte che torna da quella benedetta casa verso le Cascine, dubita ancora che sia un sogno. La gioia, il desiderio, la immaginazione crescono a tal punto che il cuore non può contenere tutta la felicità; il piacere tocca lo spasimo, l'aspettazione si cambia in paura. Gran destino che non si possa essere felici nemmeno in mezzo alla felicità! qualche cosa di guasto ci deve pur essere nel meccanismo del mondo — cosí pensava alla sua volta Paolino delle Cascine. E pare anche a noi. Passò anche quel mite autunno. La terra si coprí di foglie morte, e, dietro la siepe degli alberi nudi, la guglia sottile del duomo di Milano riapparve nell'aria pura degli ultimi giorni di novembre. Poi cominciarono le nebbie, che, come un mare di vapore, nascondono i prati. Seguirono lunghi giorni piovosi. Finalmente la campagna è tutta coperta di neve. Dal bianco strato e dall'orlo delle fosse, che mostrano la nera crosta della terra, i mozziconi delle piante capitozzate sporgono le braccia corte e intirizzite a un roseo sole di gennaio. Il cielo è bianco e netto, ma tira dai prati un'arietta sottile, fresca, che frusta le orecchie dei cavalli e passa i coturni di Bassano, che dalle Cascine va colla carrozza a prendere la sposa a Chiaravalle. Il gran giorno è arrivato. Il cavallantino è in gran tenuta: cilindro di pelle, nappina nuova fiammante, guanti di lana, fazzoletto bianco al collo, con due cocche svolazzanti, di cui si serve, di tanto in tanto, per asciugarsi i baffi dalla brina. Con lui viene il sor Isidoro Chiesa, il padre della sposa, l'uomo libero per eccellenza, vestito di nuovo, che manda dagli occhiali nuovi tutta la gioia fosforescente dell'uomo che trionfa. Avrebbe potuto esserci anche un altro signore, a cui il governo ha cambiato la greppia, e allora si sarebbe potuto dimostrare, strada facendo, che un Chiesa di Melegnano non è soltanto un gran buon uomo. "Ci rivedremo, Filippo!" aveva promesso un Chiesa, e il giorno era venuto. Le Cascine sono in festa fin dall'alba. Cominciano ad arrivare le carrozze dei parenti e degli amici. S'era detto di fare una cosa modesta, senza rumore, tra parenti intimi; ma un Chiesa di Melegnano avrebbe creduto di buttare la figlia ai cani, se non avesse trascinato alla festa mezza provincia di Lodi. E non contento ancora, pagò il campanaro perché rompesse i timpani alla gente. Le belle campane della badia annunciano ai popoli il lieto avvenimento e mettono una nota allegra nell'aria fredda ed abbagliante delle campagne coperte di neve. Non manca un raggio di sole sul celebre campanile, che torreggia dignitosamente coi suoi archi bruni, colle sue colonnine, colla sua svelta piramide, sotto un pittoresco cappuccio bianco. Arrivano tre o quattro carrozze, in mezzo a un rumoroso tintinnare di campanelli, tra gli evviva dei ragazzi e gli spari dei fucili da caccia. La buona Carolina, che non sa covare risentimenti, finisce di dare l'ultimo tocco ai capelli della sposa, mentre l'Elisa, fatta venire apposta da Milano, aggiusta le pieghe del vestito. I maschietti Mario e Naldo, vestiti come sposini essi pure, saltano, gridano cogli altri ragazzi sotto il portichetto. Dalle Cascine sono accorse tutte le ragazze curiose che hanno potuto scappar via, e fanno colle vecchie spettinate una siepe, un muro di gente innanzi alla casa. Beatrice sente che gli occhi le si gonfiano di pianto. In certi momenti le par di sognare, in certi altri le tornano in mente le circostanze che accompagnarono il suo primo matrimonio, e a volte non sa distinguere tra adesso e allora. Lo stesso chiasso, lo stesso tintinnare di campanelli, e sopra ogni altro rumore la stessa voce stridente del babbo, che predica, che ride, che comanda. Ogni momento le pare di vedere il suo Cesarino spuntare in cima alla scala, bello, elegante, nell'abito fresco, col cravattino bianco ... Asciugati gli occhi e ricomposto l'animo, pallida e ancora palpitante, scende, passa tra una doppia fila di persone, che gridano: "Viva la sposa!" Le ragazze curiose, le vecchie spettinate, i vecchi massai, che stanno sulla porta, fanno ressa, sporgono il capo, e, congiungendo le mani in orazione, esclamano con la sincera ammirazione della povera gente: " Gesus, se l'è bèla! " Le carrozze partono tutte insieme verso la chiesa. Solamente Arabella, indugiando sulla scala, s'è fermata a casa. Ritta dietro i vetri della finestra, essa stende il suo sguardo molle e afflitto sulla pianura tutta coperta di neve, pensa ai morti, pensa ai lontani e riempie l'avvenire colle ombre del suo passato.

Un tratto ancora e il treno avrebbe rasentato uno stagno, all'orlo del quale appare la stupenda abbazia di Chiaravalle: ed eccola infatti uscire quasi dall'acqua livida, a venir addosso nella sua nera e solenne costruzione, colla stupenda macchina del campanile impressa come un'ombra sull'aria oscura; e piú in qua, segnato da alcuni lumi rossicci, il solido edificio delle Cascine, la reggia del signor Paolino. A quella chiesa quante volte aveva accompagnato la sua mamma nei tempi che meno si pensava alle miserie del mondo! C'erano, in quell'antico convent o degli angoli cosí tiepidi e santi, con certe figure lunghe e patetiche su per i muri: c'erano dei corridoi cosí lunghi con cento cellette che davano sul verde luminoso delle praterie: c'era insomma in quella vecchia badia del medio evo un tal senso di riposo, che solo a pensarci il cuore se ne immalinconiva. Peccato non esserci vissuto trecent'anni prima! peccato non esserci due braccia sotto terra. In quella chiesa Beatrice avrebbe detto il suo sí un'altra volta. Ributtato da questi pensieri, Demetrio si ritrasse dal finestrino, appoggiò la testa nell'angolo delle due pareti di legno, chiuse gli occhi come se si atteggiasse a dormire; e mentre il treno lo portava via sbattacchiandolo, una canzone ancora in fondo al cuore sussurrò in tono quasi di canzonatura "To-to ... finito."

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