Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbattuto

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Oro Incenso e Mirra

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Oriani, Alfredo 1 occorrenze

- Ha abbattuto la sua colonna - rispose il giovane punto dal freddo di quella indifferenza. Il vecchio non ebbe che un fremito. - Nemmeno i vermi avranno rispettato il suo cadavere! L'Europa è dunque come egli l'ha lasciata. Napoleone solo poteva farne un impero; era la sua idea, noi l'abbiamo seguita dappertutto. Io aveva quindici anni quand'egli mi prese nel suo esercito, camminavo quasi nascosto nell'ombra della bandiera. Allora un sergente valeva un re! A Roma abbiamo battuto il papa, alle Piramidi abbiamo sconfitto Maometto, abbiamo trionfato dovunque: egli guardava, noi vincevamo. A Madrid, quando l'imperatore ha fatto scoperchiare la tomba di Carlo V, io ero lì: a Vienna ho visto l'imperatore Francesco seguire Napoleone col cappello in mano, a Berlino pigliammo la spada di Federico, da Mosca ci trasportammo dietro nella ritirata la grande croce d'Ivano il Terribile. - E la perdeste. - La buttammo in un lago, Napoleone buttava via tutto, le croci e le corone, i reggimenti e gl'imperi. Che cosa credete che sia un regno? Ci avevano messo dei secoli a farlo, noi lo conquistavamo in una settimana. Noi eravamo la Grande Armata, il resto era il mondo. Se Napoleone non fosse morto giovane, l'avremmo preso tutto, saremmo andati per le Indie e ritornati per l'America. Tutti i popoli ci aspettavano. - E che cosa avreste recato loro? - Il vecchio sostò, poi guardandolo serenamente rispose: - Napoleone. - Comprendo - proseguì l'altro rattenuto un istante da quella immensa parola. - Il vostro è stato un gran sogno, ma la nostra realtà è anche più grande. Voi eravate la gloria e noi siamo la libertà, voi eravate l'esercito e noi siamo la moltitudine: voi siete stati gli ultimi conquistatori della storia. La guerra millenaria dell'umanità condensandosi in uno sforzo supremo ha prodotto le vostre battaglie; ora la guerra dei popoli è conchiusa e comincia quella delle classi: la prima condensò le nazioni, la seconda le dissolverà in un solo popolo. Una volta il soldato si batteva per il generale, domani vincerà per se stesso. Il vecchio evidentemente affaticato fece uno sforzo. - Vedete là quella costellazione? Un giorno la chiameranno forse di Napoleone: io ci sono, voi con chi siete? - Sono nichilista! - Poi abbassando la voce soggiunse: - Noi lavoriamo nel secreto a rovinare il vecchio impero per costruire la giovane Russia, cospiratori nell'ombra, martiri al sole. - Le vostre armi? - Tutte quelle che un uomo può usare. - Avete vinto nessuna battaglia? - Abbiamo ucciso un imperatore. - Ma l'impero è rimasto. E il vecchio non parlò più. Il mare era buio, le stelle brillavano ancora. Passarono forse due ore senza che i due strani interlocutori, caduti in una meditazione, forse profonda come quel mare, e scintillante di pensieri come il cielo di stelle, parlassero. Il vapore avanzava sempre agitando nell'ombra un pennacchio di fumo. Poi il vecchio mormorò: - Sono tutti morti... - e la testa gli ricadde pesantemente sopra le mani congiunte sulla canna, come sotto il peso di quell'enorme poema, del quale era l'ultimo verso, di quei due milioni e mezzo di soldati, ai quali solo era sopravvissuto. In quel momento l'alba cominciava a spuntare; lontano, in fondo all'orizzonte, una macchia bruna ed immobile poteva essere un'isola. - Eccola! - esclamò il giovane levandosi. La faccia del vecchio raggiò. Il mare mormorava, l'alba cresceva, il vapore rantolava sordamente. Allora il vecchio alzò ambo le mani come invocando e una lagrima, l'ultima, gli scese dagli occhi appannati. L'altro lo guardò trasalendo. Il vecchio soldato si trasfigurava: i primi rossori dell'alba sembravano vampate di cannoni lontani, l'onde avevano dei fremiti di battaglia, la costellazione era scomparsa, quando uno scoppio immenso squarciò l'Oceano e il sole sfolgorò. - Viva Napoleone! - gridò il vecchio salutando militarmente come se lo pigliasse per il fantasma del morto imperatore. Il sole saliva sopra Sant'Elena. - Andate a visitare la sua tomba? - domandò il giovane. - A morirvi. Egli è stato il primo, io sono l'ultimo. E fu l'ultima parola.

I FIGLI DELL'ARIA

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Salgari, Emilio 2 occorrenze

L'emozione provata deve averlo abbattuto. È il negoziante di tè costui? - Sì, signor ... - Chiamatemi semplicemente "il capitano". - Un capitano russo, perché parlate la nostra lingua come foste nato sulle rive della Neva o del Volga. Un sorriso enigmatico si delineò sulle sottili labbra del capitano. - Parlo il russo come il francese, l'italiano, il tedesco, l'inglese e anche il cinese. Vedete dunque che la mia nazionalità è molto difficile da indovinare. Ma che importa ciò? Sono un europeo come voi e ciò basta, o meglio sono un uomo di razza bianca. Venite, signor Rokoff, ah! Soffrite le vertigini? - No, capitano. - Meglio per voi: godrete uno spettacolo superbo, perché in questo momento noi ci libriamo sopra Pechino. Macchinista! - Signore - rispose una voce. - Rallenta un po'. Voglio godermi questo meraviglioso panorama. Stavano per uscire da quella specie di tenda, quando Rokoff udì Fedoro gridare con accento atterrito: - La mia testa! La mia testa! Il cosacco si era precipitato verso l'amico, frenando a malapena una risata. - L'hai ancora a posto, Fedoro! - esclamò. - Quei bricconi non hanno avuto il tempo di tagliartela. Il russo si era alzato, guardando sbalordito ora Rokoff ed ora il comandante dello "Sparviero". - Rokoff! - esclamò. - Dove siamo noi? - Al sicuro dai cinesi, amico mio. - E quel signore? Ah! Mi ricordo! L'uccello mostruoso! Il rapimento al volo! Voi siete il nostro salvatore! - Io non sono che il capitano dello "Sparviero" - rispose il comandante, tendendogli la mano. - Signore, non avete più da temere, perché siamo ormai lontani da Tong. Venite: vi mostrerò la mia meravigliosa macchina volante o meglio la mia aeronave. Macchinista! Preparaci intanto la colazione.

L'aria fredda delle vostre montagne mi ha abbattuto e mio padre, il grande Buddha, non mi ha inviato ancora la medicina che gli ho fatto chiedere. Onde però non privare i pellegrini del loro giusto desiderio, mio fratello mi surrogherà. - Nessuno però comprende il suo linguaggio, signore - disse il monaco. - Egli parla la lingua usata nel nirvana, ma quantunque non compresa, entrerà nel cuore dei pellegrini. Andate a dirlo al grande Bogdo-Lama. Udendo quelle parole, una profonda costernazione si era dipinta sul volto dei monaci, nondimeno salutarono rispettosamente e uscirono, facendo cenno al cosacco di seguirli. - Bada, Rokoff - disse Fedoro. - Non temere - rispose l'ex-ufficiale. - Farò stupire tutti, anche se non capiranno niente. Cinque minuti dopo Rokoff si trovava in presenza del Bogdo-Lama, a cui i monaci avevano narrato dell'improvvisa malattia che aveva colto Fedoro. Anche il vecchio pareva assai contrariato. Era bensì vero che Rokoff era il fratello di Fedoro, che al pari di lui era sceso dal Cielo, che aveva pure un aspetto più imponente e anche una magnifica barba rossa che doveva destare l'ammirazione generale dei pellegrini e che parlava la vera lingua usata nel paradiso di Buddha che nessuno, disgraziatamente o meglio fortunatamente, poteva comprendere. Vi fosse stato almeno qualcuno, fra i mille monaci che avesse potuto tradurre il discorso! ... Questa idea aveva però colpito il Bogdo-Lama. Possibile che nessun essere terrestre potesse capire quel maestoso figlio del grande Illuminato? Che parlasse proprio una lingua assolutamente ignota? Rokoff, che pareva indovinasse i pensieri che turbavano il cervello della Perla dei sapienti, cominciava adiventare inquieto. Sentiva per istinto che quella testa pelata doveva maturare qualche cosa di pericoloso. E non si era ingannato. Mentre i gong e i tam-tam e i campanellazzi delle torri e dei tetti strepitavano senza posa, e in lontananza echeggiavano sempre più rumorosamente i colpi di fucile dei montanari, con sua viva sorpresa vide la sala riempirsi di monaci. Tutti gli sfilavano dinanzi rivolgendogli qualche parola ed inchinandosi. Ne erano già passati tre o quattrocento quando, con suo vivo stupore, udì uno di costoro salutarlo in lingua russa. - Tu parli la lingua del nirvana! - esclamò, involontariamente. - Non so se questa sia la lingua che si usa nel paradiso dell'Illuminato - aveva risposto il monaco. - Io l'ho appresa da un tartaro e son ben felice di conoscerla, perché mi permette di farmi comprendere da un figlio del cielo. Il Bogdo-Lama, che assisteva alla sfilata a fianco di Rokoff, udendoli parlare, aveva fatto un gesto di gioia. Il cosacco però era rimasto tutt'altro che contento e aveva mandato in cuor suo a casa del diavolo quel monaco che veniva a guastargli i progetti. - Se costui mi capisce, che cosa dirò ora su Buddha? - si era chiesto, con angoscia. - Me lo appiccicheranno ai fianchi perché traduca alle turbe tutte le mie corbellerie. Che s'affoghino Buddha, i pellegrini, il Lama e quell'imbecille di tartaro che ha insegnato il russo a questo monaco. Se potessi trovare un mezzo qualsiasi per rifiutarmi di parlare? Se dicessi di essere diventato improvvisamente muto? Era troppo tardi ormai per ritirarsi o per cercare dei pretesti per rinunciare alla famosa predica. I fedeli erano già entrati a centinaia e centinaia nel monastero, impazienti di vedere i figli di Buddha, che si erano degnati di scendere sulle sante acque del Tengri-Nor e di udire la loro parola divina. - Venite - disse il monaco che parlava il russo, prendendolo per una mano e traendolo con dolce violenza. Il tempio è pieno. Rokoff si sentì gelare il sangue. - Datemi prima da bere - disse, tergendosi alcuni goccioloni di sudore che gl'imperlavano la fronte, nonostante il freddo intenso che regnava in quella sala. - Avrete tutto ciò che desiderate. - Dell'acquavite e molta per ispirarmi meglio e acquistare un po' di coraggio - mormorò il disgraziato cosacco. Seguì il monaco attraverso parecchi androni, insieme a una dozzina di preti, incaricati probabilmente di sorvegliarlo e d'impedirgli qualsiasi tentativo di fuga e venne condotto in un gabinetto dove si trovava una tavola imbandita. Con mano nervosa afferrò un fiasco d'argento pieno di acquavite tiepida e senza preoccuparsi della presenza dei monaci, lo vuotò più di mezzo senza staccarlo dalle labbra. Era forse una grave imprudenza, essendo quel liquore fortissimo, del sciam-sciù cinese estratto dal riso fermentato, che doveva produrre una semiubriachezza quasi fulminante, ma Rokoff ne aveva proprio bisogno, in quel momento, per affrontare coraggiosamente la terribile prova. E quella bevuta fenomenale fece davvero un buon effetto. Il cosacco, mezzo stordito, si sentì tutto d'un tratto acquistare un'energia straordinaria. - Andiamo - disse con voce risoluta. Il monaco che doveva servirgli da interprete gli fece percorrere un ultimo corridoio, poi aprì una porticina e Rokoff, stupito, si trovò su una specie di palco coperto da un ricco baldacchino di seta gialla a frange d'argento e dinanzi a un mare di teste. Era entrato nel tempio del monastero, una immensa sala sorretta da sessanta colonne di legno dipinte in rosso e con ornamenti d'oro, capace di contenere due o tremila persone. Nel mezzo, sotto un lucernario, troneggiava un Buddha di proporzioni gigantesche, seduto colle gambe incrociate, su un enorme blocco di pietra staccato probabilmente da una delle più sante montagne del Tibet, forse dalla famosa Tisa, la grande piramide dei Hano-dis-ri, il Mera degli antichi indiani. Tutto all'intorno, centinaia e centinaia di pellegrini, giunti da tutte le parti del lago, si pigiavano, conservando però un religioso silenzio. Erano tutti montanari dalle facce poco rassicuranti e colle cinture riboccanti d'armi, fanatici pericolosissimi, che potevano far passare un brutto quarto d'ora al povero cosacco se li avesse ingannati, anche se si trovavano nel tempio dedicato al grande Illuminato. Vedendolo comparire sul palco, i pellegrini erano caduti in ginocchio, battendo la fronte sulle pietre del pavimento e borbottando delle preghiere. Nessuno aveva avuto il coraggio di guardarlo. Rokoff, già stordito da quell'abbondante bevuta che gli faceva ronzare gli orecchi e girare la testa, era rimasto come inebetito dinanzi a quella folla in adorazione, colla bocca aperta e gli occhi dilatati da un terrore invincibile. - Devo confessare che ho paura - aveva mormorato. - Che cosa sta per succedere? Mi sento mancare il coraggio e paralizzare la lingua. Si era voltato per vedere se la porta era aperta. Se non fosse stata chiusa sarebbe certamente fuggito, precipitando la catastrofe. - I birbanti! - esclamò. - M'hanno chiuso nel palco. Coraggio, mio caro Rokoff: si tratta di salvare la mia pelle e anche quella di Fedoro. Alzando gli sguardi aveva veduto di fronte al suo palco, presso la statua di Buddha, il Bogdo-Lama assiso su un divano circondato da un numeroso stuolo di monaci e con a fianco il prete che doveva servire d'interprete. Il barbuto pontefice non staccava i suoi sguardi dal cosacco e cominciava a dar segni d'impazienza, meravigliandosi forse che il figlio di Buddha tardasse tanto a trovare la parola. Già due volte aveva alzato il braccio, facendogli cenno di principiare il sermone e anche i pellegrini cominciavano ad alzare la testa e a lanciare sguardi verso il palco. Rokoff, comprendendo che ormai non poteva più indugiare senza compromettere gravemente la sua posizione di uomo celeste, fece appello a tutto il suo coraggio e alla sua fantasia, e tossì rumorosamente tre o quattro volte per richiamare su di sé l'attenzione dei fedeli. Cosa strana però, l'eterno chiacchierone non riusciva a trovare la parola, né da qual parte cominciare. E poi si sentiva girare sempre più la testa e montare in volto delle fiammate ardenti. Certamente aveva bevuto troppo. Finalmente si decise. - Buddha! ... Il grande Buddha! - gridò con voce tonante e picchiando il pugno sul parapetto del palco con tale violenza, da far scricchiolare le tavole - Era il grande Illuminato! ... Un Dio ... il più possente Dio che regna sopra le nuvole, fra il sole e la luna ... Si era interrotto mentre il monaco traduceva ai fedeli, silenziosi e raccolti, le sue parole. Dopo quell'esordio, certamente di grande effetto quantunque assolutamente vuoto, il buon cosacco non si era più sentito in grado di continuare. Che cosa dire? Non lo sapeva assolutamente e poi nel suo cervello cominciava a regnare una tale confusione che nessuna idea voleva uscire. Doveva essere quel maledetto sciam-sciù che lavorava. Quella tregua però non poteva durare delle ore. Gli sguardi del Bogdo-Lama dicevano abbastanza che era giunto il momento di riprendere il sermone, e Rokoff, che vedeva dipingersi sui visi dei pellegrini una certa meraviglia per quel lungo e inaspettato silenzio, dovette ricominciare. - Buddha ... era Buddha ... un uomo ... ma che dico, un Dio ... più scintillante del sole e più dolce della luna! ... Un'orribile smorfia che fece il Bogdo-Lama e un gesto d'impazienza, lo rese avvertito che era tempo di lasciare in pace il sole e anche la luna, che nulla avevano a che fare con Buddha e di venire a qualche cosa di più concreto. Disgraziatamente le idee del cosacco si annebbiavano sempre più e anche le gambe cominciavano a piegarglisi sotto. Che cosa disse allora? Non lo seppe di certo nemmeno lui. Preso da una subitanea foga oratoria, una foga da ubriaco, il cosacco si era messo a predicare all'impazzata, tuonando spaventosamente e picchiando pugni formidabili sul palco. Parlava di santi, di religioni, confondendo Cristo con Buddha, tirando in campo Brahma, Siva e Visnù, il diavolo, le stelle, le nuvole, le macchine volanti, i cinesi, i tibetani e perfino gli asini che popolavano il nirvana dell'Illuminato e tante altre bestie che i veri credenti dovevano rispettare e amare invece di mangiarle. Il monaco, soffocato da quel torrente di parole, si era più volte interrotto, dimenticandosi di tradurre buona parte di quella massa di corbellerie. Guardava con spavento Rokoff chiedendosi se non capiva più quello che diceva o se il figlio di Buddha era diventato improvvisamente pazzo. Che cosa c'entravano gli asini, le divinità indiane, le macchine volanti, ecc., col grande Illuminato? Anche i pellegrini sembravano stupefatti di quel sermone sconclusionato, che il monaco aveva in parte tradotto. Il Bogdo-Lama invece era diventato furioso e guardava ferocemente il cosacco che continuava a parlare come un vero demente, tirando pugni a manca e a dritta, minacciando di sfasciare il palco e tentando di sfondare la porta. No, non era un figlio del cielo, costui! ... Era un energumeno, un ignorante, un buffone che minacciava uno scandalo enorme. Finalmente, non potendo più trattenersi, il Lama si era alzato.col pugno teso, gridando con voce sibilante: - Mentitore! Rokoff, che era completamente ubriaco in quel momento e che parlava delle steppe del Don e della guerra russo-turca, ebbe un barlume. Aveva compreso il pericolo. Tutti i pellegrini si erano alzati urlando a loro volta: - Mentitore! Non sei un buddista! Era una catastrofe completa. Rokoff intuì che stava per succedere qualche cosa di grave. Il baccano era diventato assordante e la confusione al colmo. Tutti lo minacciavano e delle armi luccicavano nelle mani dei più fanatici. Con una spinta irresistibile, il disgraziato predicatore sfondò la porta, mandò a gambe levate i monaci che gli stavano dietro, passando sui loro corpi a corsa sfrenata e fuggì a rompicollo attraverso i corridoi, mentre nel tempio scoppiavano rumori terribili. Un momento dopo, senza sapere il come, Rokoff piombava come una bomba nell'appartamento di Fedoro. Questi, vedendolo entrare ansante, col volto congestionato, colla tonaca raccolta attorno ai fianchi e gli sguardi smarriti, si era gettato giù dal letto, chiedendo: - Rokoff ... che cosa è accaduto? - Non lo so ... disastro completo ... mi vogliono accoppare ... fuggiamo! ...

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