Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbattuti

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Il successo nella vita. Galateo moderno.

176605
Brelich dall'Asta, Mario 2 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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I birilli del quadrato abbattuti soli, o con altri, contano due punti e quello centrale quattro; ma se questo cade solo, allora conta cinque punti. 2. Quegli che è di mano si mette con la palla e il pallino. Nel mettersi, il pallino deve toccare la mattonella alta. 3. Se nel mettersi si manda la palla in buca, si perdono due punti, e la palla si colloca sulla penitenza, a metà tra i birilli e la mattonella alta. Però, è lecito mettersi di nuovo. 4. Se nel mettersi il pallino cade nella buca non si perdono punti; ma il pallino si colloca alla metà dell'orlo della buca in cui cadde. 5. Se nel mettersi si fanno cadere i birilli, si perdono tanti punti quanti i birilli e si ripete l'acchito. 6. Se nell'acchito il pallino tocca prima la palla e poi la mattonella, la palla deve essere ricollocata al posto primitivo. 7. Sono perduti tutti i punti rappresentati dai birilli abbattuti dalla propria palla, o fatti da quella dell'avversario, quando la palla propria cade in buca. 8. Si perde un punto, quando: a) non si tocca la palla avversaria, ma la si sorpassa; b) si manda in buca il pallino, acchitandolo, durante la partita, o toccando una palla; c) si fa il colpo se le palle combaciano, o se quella che deve battere combacia col pallino. 9. Si perdono due punti, quando: a) si tocca il pallino e non la palla avversaria; b) si va in buca con la propria palla; c) facendo il colpo, si muove il pallino che combacia con le due palle; d) acchitando il pallino gli si fa toccare le due palle; e) si fa saltare fuori del biliardo la propria palla, dopo aver toccato quella avversaria; f) si devia o si ferma la palla avversaria; g) battendo sul pallino si manda in buca la propria palla. 10. Si perdono tre punti, quando: a) si tocca prima il pallino, poi la palla avversaria per finire in una buca con la propria; b) si manda in buca il pallino, ma non si tocca con la propria la palla avversaria; c) si fa saltare fuori dal biliardo la palla propria, senza aver toccato quella avversaria. 11. Si perdono quattro punti, quando: a) si mandano in buca le due palle; b) facendo il colpo, si muove la palla avversaria e il pallino che combaciano con la propria palla; c) si fa saltare fuori dal biliardo la palla propria e il pallino. 12. Si perdono cinque punti quando: a) si fa il pallino con la palla avversaria e si manda in buca la palla propria; b) si fa saltare fuori dal biliardo la palla propria e il pallino, senza aver toccato la palla avversaria. 13. Si perdono sei punti, quando: a) si fa la palla dell'avversario, si tocca il pallino con la propria, e con questa si va in buca. 14. Si perdono otto punti, quando: a) si ferma la palla o le palle in moto. 15. I punti rappresentati dai birilli fatti cadere dal pallino, quando si acchita, durante la partita, vanno a beneficio dell'avversario. 16. Perde i punti rappresentati dai birilli caduti, quegli che nel mettersi in posizione di giuoco fa cadere uno o più birilli. 17. Perde la partita quegli che con la propria palla, col pallino o con l'una e l'altro, fa cadere tutti i birilli; e quegli che fa cadere tutti i birilli col pallino o con la palla dell'avversario, ma va poi in buca con la propria, o la caccia fuori dal biliardo, o che, battendo prima il pallino, manda fuori le tre palle. 18. Guadagna tanti punti, quanti ne rappresentano i birilli fatti cadere, quegli che li fa con la palla avversaria o col pallino. 19. Guadagna due punti: chi fa balzare fuori dal biliardo la palla avversa o il pallino. 20. Guadagna tre punti: chi manda la palla avversaria sul pallino. 21. Guadagna quattro punti: chi dopo aver toccato la palla avversaria con la propria, tocca con questa il pallino. 22. Guadagna la partita chi fa cadere con la palla avversaria, o col pallino, tutti i birilli ( senza andare in buca con la propria); o chi fa tre palle, sia in buca, sia in alto, purchè non faccia cadere i birilli con la propria e colpisca prima con questa la palla dell'avversario. 23. Chi ha palla in mano deve fare il colpo dalla parte opposta a quella della palla su cui deve giuocare. 24. Si batte sul pallino quando ambo le palle sono andate in buca. 25. Quando ambo le palle hanno toccato il pallino i punti si calcolano sulla prima palla che lo toccò. 26. Quando le due palle ed il pallino combaciano, i punti fatti con la palla da giuocare non valgono se questa non tocca prima una mattonella (v. articolo 8 c) e 11 b). 27. Acchitando con la palla o col pallino s'ha da toccare la sponda alta. 28. Se nell'acchitarlo il pallino va in buca, si perde un punto e si ricolloca a metà dell'orlo della buca. 29. Se durante la partita il pallino va in una buca di mezzo, quegli a cui spetta di ricollocarlo, lo può mettere dove più gli aggrada. 30. Il collocamento del pallino non spetta a chi lo mandò in buca, sibbene all'avversario, dopo che avrà fatto il colpo senza pallino. 31. Quando un giuocatore manda in buca la palla avversaria e il pallino, chi ha palla in mano batte sulla prima palla contraria e poi colloca il pallino. 32. Se il pallino, o la palla, occupano il posto di un birillo, questo non si rimette fino a quando il suo posto non sia rimasto libero. 33. I birilli allontanati dal proprio posto ma non fatti cadere, non si toccano, nè si calcolano come punti fatti.

Pagina 372

I punti rappresentati dai birilli abbattuti per errore con la propria palla, sono segnati a vantaggio del proprietario della palla sulla quale si fece il giuoco. La linea di partenza deve essere tracciata a un metro e mezzo dai birilli; i birilli distano da quello rosso 20 centimetri circa.

Pagina 375

Il libro della terza classe elementare

210556
Deledda, Grazia 1 occorrenze
  • 1930
  • La Libreria dello Stato
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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- Gesù, risorto, rimase sulla terra quaranta giorni, durante i quali, con ripetute apparizioni, confortò i cuori abbattuti dei suoi, dissipò i dubbi, richiamò i suoi insegnamenti, e fidò agli Apostoli la

Pagina 203

Il ponte della felicità

219165
Neppi Fanello 1 occorrenze
  • 1950
  • Salani Editore
  • Firenze
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Quando giunsero davanti alla casetta del rio Foscari, si fermarono impietriti, come abbattuti dalla folgore: porta e finestre erano chiuse. D'un balzo Alvise sollevò il picchiotto di bronzo a foggia di serpe e lo fece ricadere più e più volte. L'onda sonora vibrò nell'aria, si propagò, si disperse in echi lontani; ma nessuno rispose. Con gesto disperato Lorenzo Sagredo si cacciò le mani nei folti capelli che molti fili bianchi inargentavano. Aveva dunque tanto sofferto e tanto sperato invano? Al rumore dei colpi del picchiotto una bimbetta era uscita dalla casa di fronte e si era avvicinata curiosa. Riconobbe subito nel giovane il figlio di Zuambattista Benedetti, e tirandolo per una mano gli disse: - Nonna Bettina è andata a stare in quella casa. insieme con la damigella bionda. - Alvise si curvò sulla bimbetta e le fece ripetere la frase, poichè nel suo smarrimento non aveva compreso bene. - Non può essere, Catina.... - Ma sì, Alvise! L'ho vista io. - Non può essere, non può essere! - ripetè con desolata ostinazione il giovane. .... sollevò il picchiotto di bronzo.... Seduti sul muricciolo.... - Vieni e vedrai. - Con aria d'importanza la bambina precedette i due uomini. Sentendo bussare, il Màuria corse ad aprire, e Catina non gli lasciò neppure il tempo di meravigliarsi della presenza dei due forestieri. Alvise, cerca di nonna Bettina, - disse in fretta, e scappò via. Lorenzo Sagredo e Alvise Benedetti entrarono. Nella tepida sera di giugno la famiglia ricongiunta sedeva sotto le acacie olezzanti. Il richiamo degli uccelli tra le verdi fronde si era spento, ma sui rami più alti era venuto a posarsi un soave cantore la cui voce animava l'umida frescura delle foglie. Seduti sul muricciolo del rio dove si rifletteva lo splendore delle stelle, Loredana e Alvise finivano di raccontarsi le loro avventure. - Non puoi credere, Lori, come fu tremenda la bufera che c'investi mentre eravamo diretti a Tropea! Dopo lo schianto della nave ricordo solo un lungo andare alla deriva, stretto tra le braccia del babbo; poi il mio risveglio nell'isola deserta. - Gli occhi della fanciulla, lucidi di commozione, guardavano il caro amico d'infanzia al quale i pericoli affrontati avevano dato un aspetto virile, ben diverso da quello fanciullesco che aveva prima della• partenza. Alvise continuò: - Dio mi mandò un amico a conforto della mia solitudine in quella terra abbandonata. Lo conoscerai anche tu, il mio caro Agnolo, e sono sicuro che lo amerai come lo amo io. - Certo, Alvise. - E poi, Lori, avevo il tuo leone di san Marco. Mi ha portato sempre fortuna, e nei momenti di maggior pericolo mi ha infuso forza e coraggio. - Poi a bassa voce, con grande dolcezza: - Mi pareva di averti vicina e che tu m'incitassi a proseguire. - Sei stato bravo, Alvise! - Ma tu, Lori, sei stata più brava di me. Chi avrebbe mai pensato di ritrovarti, ammirata da tutti, nella tua vecchia casa? Il babbo ed io eravamo andati a cercarti in quell'orribile stamberga. - E l'avete trovata vuota! - disse Loredana ridendo per vincere la commozione che la dominava. Nonna Bettina mi ha detto quante delicate cure le hai prodigate. Te ne sono veramente grato, Lori! - Non ho fatto che il mio dovere. Non me l'avevi forse affidata, Alvise? Ho mantenuto la mia promessa come tu hai mantenuto la tua. Un brillante avvenire ti attende, ora, Alvise. - Tutta bontà di Sebastiano Veniero che mi ha compensato più del mio merito. - Ma anch'io devo eterna gratitudine al nostro ammiraglio, perchè è stato lui che ci ha consigliato di rivolgerci al medico che ha reso la vista alla mamma! - soggiunse Loredana, mentre il suo sguardo si volgeva ai genitori beatamente seduti, insieme con nonna Bettina, vicino alla casa; poi aveva aggiunto con voce scherzosa: E ora, Alvise, tornerai a gettare l'antica asse sul rio per venire a trovarmi? - Mai più, Lori mia! Con una parte del tesoro dei corsari farò costruire un bel ponte di marmo candido e lo chiamerò il Ponte della Felicità. - Si guardarono a lungo negli occhi, e il loro sguardo era ilare e amorevole. In quegli istanti compresero che la loro antica tenerezza fraterna si era mutata nel sentimento più forte e più profondo che si chiama Amore. Fine

Pagina 167

Contessa Lara (Evelina Cattermole)

220055
Storie d'amore e di dolore 1 occorrenze
  • 1893
  • Casa editrice Galli
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Certi lunghi corridoi, è vero, nonostante che al candor di calce delle loro pareti si fosse sovrapposto un disegno a stampino a uso carta di Francia, serbavano sempre l'impronta claustrale; abbattuti i tramezzi delle antiche celle, s'eran fatte stanze più vaste: che avevano, però, finestrelle e usciolini troppo fitti e regolari per non ricordarne l'origine; le porte esterne, fortemente corazzate di grossi chiodi disposti a rombo, ben che verniciate d'una tinta vistosa, s'aprivano ancora con pesante lentezza, accompagnata da una specie di mugghio sordo somigliante alla nota d'un organo; e il gran cortile con in giro la doppia fila di logge a colonne agili ornate di foglie d'acanto, con al centro il pozzo di pietra alto su' circolari gradini rabescati di musco color ruggine, in qualche queta ora del giorno, mentre il sole batte in pieno su 'l quadrato silenzioso della meridiana, forse consentivano ancora che la fantasia tornasse a dietro di parecchi secoli. Ma l'illusione durava poco. A un tratto una nidiata di bimbi irrompeva clamorosa dall'antico quartiere del Padre Abate, e mettendosi a correre sotto i portici bociava a squarciagola per chiamare altri compagni di ricreazione. Quelli s'affacciavano alle finestre, rispondendo, poi ne venivano di su, di giù, da ogni parte; e fra risa, litigi e grida si stabilivano i giuochi: un gruppo di maschietti con fucili e tamburi si schierava a far gli esercizi militari; parecchie bambine, prendendosi per mano tutte in fila, intonavano il monotono ritornello:

Mitchell, Margaret

221338
Via col vento 3 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Il prato era coperto di uomini abbattuti, troppo stanchi per camminare ancora, troppo indeboliti dal sangue perduto per potersi muovere. Zio Pietro li caricava a gruppi nella carrozza per portarli all'ospedale, facendo un viaggio dopo l'altro senza interruzione; finché il vecchio cavallo fu coperto di schiuma. La signora Meade e la signora Merriwether mandarono le loro carrozze e anche queste furono caricate, con le molle che cigolavano sotto il peso dei feriti. Piú tardi, nel caldo crepuscolo, giunsero dal campo di battaglia le ambulanze rumoreggianti e i carri dei commissariati, coperti di tele inzaccherate. E poi carri agricoli, carri tirati da buoi e perfino carrozze private requisite dal Corpo sanitario. Essi passarono dinanzi alla casa di zia Pitty, traballando sulla strada: ineguale, carichi di feriti e di morti, lasciando strisce di sangue sulla polvere rossastra. Alla vista delle donne coi secchi e i mastelli, i veicoli si fermavano, ed era un coro misto di grida e di sussurri: - Acqua! Rossella sorreggeva teste abbandonate, perché le labbra aride potessero bere, versava secchi d'acqua su corpi impolverati, febbrilmente, nelle ferite aperte per procurare un attimo di sollievo ai disgraziati. Si avvicinava coi secchielli in mano ai conducenti delle ambulanze e chiedeva col cuore in gola: - Che notizie? Che notizie? E da tutti aveva la stessa risposta: - Niente di certo, signora. È troppo presto per poter dire qualche cosa. Giunse la notte soffocante. Non un soffio d'aria; le fiaccole di pino tenute dai negri rendevano l'atmosfera ancora piú calda. La polvere ostruiva le narici di Rossella e inaridiva le sue labbra. Il suo abito di calicò color lavanda, cosí ben stirato e inamidato la mattina, era macchiato di sangue, di sudore e di sudiciume. Ecco ciò che intendeva dire Ashley quando scriveva che la guerra non era che sudiciume e miseria. La stanchezza dava alla scena un aspetto irreale, fantomatico. Non poteva esser vero... perché se fosse stato vero, il mondo doveva essere impazzito. Altrimenti, perché ella si troverebbe qui, nel tranquillo prato dinanzi alla casa di zia Pitty, in mezzo a luci oscillanti, a versar acqua sui suoi spasimanti moribondi? Infatti molti dei feriti le avevano fatto la corte e vedendola cercavano di sorridere. Vi erano tanti uomini che vacillavano su quella strada buia e polverosa, uomini che ella conosceva bene e che morivano sotto i suoi occhi, coi volti insanguinati coperti di zanzare, uomini coi quali aveva riso, ballato, per i quali aveva suonato e cantato e che aveva stuzzicato, confortato anche... amato un pochino. Trovò Carey Ashburn fra un mucchio di feriti in un carro da buoi, ancora vivo benché avesse una pallottola da fucile nel capo. Ma non poteva trarlo dal carro senza disturbare altri sei feriti, quindi lo lasciò andare all'ospedale. Piú tardi seppe che era morto prima ancora di esser veduto da un dottore, e che era stato sepolto non si sapeva precisamente dove. Ne erano stati sepolti tanti in quel mese, nelle tombe scavate frettolosamente nel cimitero di Oakland. Melania fu molto addolorata per non aver potuto tagliare una ciocca di capelli di Carey da mandare a sua madre ad Alabama. La notte trascorse; Pitty e Rossella avevano la schiena indolenzita e le ginocchia che si piegavano per la stanchezza, ma continuavano instancabilmente a chiedere: - Che notizie? Che notizie? E dopo lunghe ore ebbero risposta: una risposta spaventosa. - Stiamo indietreggiando. - Ci ritiriamo. - Sono migliaia e migliaia piú di noi. - Gli yankees hanno tagliato la strada alla cavalleria vicino a Decatur. - Bisognava mandar dei rinforzi. - Tutti i nostri saranno fra poco in città. Rossella e Pitty erano attaccate l'una al braccio dell'altra sorreggendosi a vicenda. - Stanno... vengono... gli yankees? - Sí, signora, vengono; ma non c'è d'aver paura. «Non abbiate paura, Miss, non possono prendere Atlanta.» «No, signora, abbiamo costruito troppe fortificazioni intorno alla città.» Ho sentito il Vecchio Joe dirmi personalmente: posso tenere Atlanta indefinitamente.» «Sí, se ci fosse il Vecchio Joe. Ma...» «Sta' zitto, imbecille! Che bisogno hai di spaventare le signore?» «Gli yankees non potranno mai conquistare Atlanta.» «Ma perché non andate a Macon o in qualche altro posto? Non avete parenti?» «Gli yankees non possono prendere Atlanta; ma certo sarebbe meglio che le donne non rimanessero qui, sia pure per assistere al tentativo.» L'indomani, in una giornata soffocante e piovosa, l'esercito sconfitto affluí ad Atlanta: migliaia di uomini esauriti dalla fame e dalla debolezza, demoralizzati da 70 giorni di battaglie e di ritirate, coi cavalli macilenti e spauriti, i cannoni e i cassoni tenuti insieme da pezzi di corda e strisce di vecchio cuoio. Ma non venivano col disordine di un esercito in rotta. Marciavano in buon ordine, malgrado i loro stracci, con le rosse e lacere bandiere di battaglia sventolanti sotto la pioggia. Avevano imparato a ripiegare col Vecchio Joe, il quale aveva fatto della ritirata un elemento strategico come un'avanzata. Le file di uomini barbuti e laceri percorsero la via dell'Albero di Pesco, cantando: «Maryland! O mia Maryland!»; e tutta la città venne fuori a salutarli. Vincitori o sconfitti erano i suoi soldati. La Milizia di Stato, che era andata in campo poco tempo prima, splendente nelle sue nuove uniformi, si distingueva a malapena dalle truppe stagionate, tanto i suoi componenti erano in disordine. Nei loro occhi era una nuova espressione. I tre anni, durante i quali non avevano fatto che giustificarsi, spiegando la loro assenza dal fronte, erano ormai dietro di loro. Essi avevano abbandonato la sicurezza delle retrovie per i pericoli della battaglia; molti di loro avevano lasciato una vita facile per una morte dolorosa. Ora erano dei veterani, veterani di un servizio breve, ma veterani ugualmente per la maniera in cui s'erano comportati. E cercavano nella folla i volti degli amici, fissandoli con fierezza. Adesso potevano tenere la fronte alta. I vecchi e i ragazzi della Guardia Nazionale marciavano: i primi movendo a stento il passo, e i secondi col volto di bimbi stanchi che avevano troppo presto conosciuto le tristezze della vita. Rossella scorse Phil Meade e stentò a riconoscere il suo volto nero di polvere e di sudiciume, irrigidito dallo sforzo e dalla stanchezza. Zio Enrico si avanzava zoppicando, senza cappello sotto la pioggia, col capo riparato alla meglio da un pezzo di tela impermeabile. Il nonno Merriwether era in un carro d'artiglieria coi piedi nudi avvolti in ritagli di coperte. Ma per quanto guardasse non riuscí a scorgere John Wilkes. I veterani di Jonhson, però, camminavano col passo instancabile che avevano avuto per tre anni, ed avevano ancora la forza di sorridere alle belle ragazze e di insolentire gli uomini senza uniforme. S'avviavano alle trincee che circondavano la città; non fossati scavati in fretta, ma trincee costruite in piena regola, con parapetti all'altezza del petto, rinforzati con sacchi di terra e travi di legno. Erano miglia e miglia di solchi purpurei, che attendevano gli uomini che dovevano riempirli. La folla salutava le truppe come le avrebbe salutate se fossero state vittoriose. In ogni cuore era la paura; ma ora che si conosceva la verità, ora che il peggio era accaduto, ora che la guerra era tra loro, un mutamento sopravvenne. Non vi era piú panico né isterismo. Ciò che era nel cuore non si leggeva sul volto. Ciascuno cercava di mostrarsi coraggioso e fiducioso dinanzi ai soldati. E tutti ripetevano ciò che il Vecchio Joe aveva detto proprio prima di essere esonerato dal comando: «Terrò Atlanta indefinitamente.» Ora che Hood si era dovuto ritirare, molti desideravano, come i soldati, il ritorno del Vecchio Joe; ma non osavano dirlo e si limitavano a ripetere la sua frase: «Conserverò Atlanta indefinitamente!»

Pagina 335

Non erano stati abbattuti dal crollo di imperi, di rivolte di schiavi, guerre, proscrizioni, confische. Il fato maligno aveva spezzato la loro vita, a volte, ma non i loro cuori. Non avevano ceduto; avevano lottato. Tutta quella gente il cui sangue scorreva nelle sue vene sembrava muoversi silenziosamente nella stanza inondata dal chiaro di luna. E Rossella non era sorpresa di vederli, quegli antenati che avevano avuto il peggio che il destino può assegnare e lo avevano trasformato nel meglio. Tara era il suo destino, la sua lotta, ed essa doveva vincere. Si voltò pigramente su un fianco; a poco a poco il suo spirito naufragava nell'oscurità. Erano davvero presenti, i fantasmi, e le mormoravano parole incoraggianti, o questo faceva parte del suo sogno? - Siate o non siate qui - mormorò sonnacchiosa - vi do' la buona notte... e vi ringrazio.

Pagina 430

Gli accompagnatori ardevano di indignazione ed erano abbattuti dal dolore, specialmente tre di loro: il vecchio McRae, che era stato il compagno di Geraldo fin da quando egli era giunto da Savannah, tanti anni prima; la nonna Fontaine che gli voleva bene perché era il marito di Elena, e la signora Tarleton che aveva avuto per lui piú affetto che per qualunque altro dei suoi vicini perché - diceva - era il solo nella Contea che distinguesse uno stallone da un castrato. La vista dei volti cupi di quei tre nel salotto ove la salma di Geraldo giaceva prima del funerale, aveva turbato Ashley e Will, i quali si erano ritirati nello studiolo di Elena per consultarsi. - Qualcuno di loro è capace di fare un'osservazione a Súsele - disse bruscamente Will mordendo la sua pagliuzza. - Credono di avere il diritto di parlare. E può darsi che lo abbiano; non tocca a me giudicarlo. Ma ad ogni modo, Ashley, noi dovremo risentircene, perché siamo gli uomini della famiglia, e sarà un bel pasticcio. Col vecchio McRae non si può far nulla perché è sordo e non sente se qualcuno tenta di farlo tacere. E nessuno al mondo ha mai potuto impedire alla nonna Fontaine di dire quello che pensa. Quanto alla signora Tarleton... avete visto come roteava gli occhi ogni volta che guardava Súsele? Se essi dicono qualche cosa, ci toccherà prendere le sue difese; e abbiamo già abbastanza seccature a Tara, senza doverci anche guastare coi vicini. Ashley sospirò. Egli conosceva i caratteri di tutti coloro anche meglio di Will; e ricordava che metà delle questioni e delle risse prima della guerra, sorgevano appunto per l'abitudine della Contea di pronunciare dei discorsi dinanzi alla bara dei vicini. Generalmente erano parole di elogio; ma qualche volta non lo erano. E allora i parenti del morto attendevano a stento che le ultime palate di terra fossero state gettate nella fossa. In assenza di un sacerdote, Ashley doveva dirigere il servizio funebre con l'aiuto del libro di preghiere di Carolene, avendo rifiutato cortesemente l'assistenza dei predicatori metodisti e battisti di Jonesboro e di Fayetteville. Carolene, piú devotamente cattolica delle sue sorelle, era stata molto turbata perché Rossella non aveva condotto un prete da Atlanta; si era poi tranquillizzata pensando che il prete che sarebbe venuto per sposare Will e Súsele, avrebbe anche potuto celebrare il servizio funebre per Geraldo. Fu lei che non volle i predicatori protestanti, e affidò la cosa ad Ashley segnando nel libro i passaggi che egli doveva leggere. Ora Ashley, appoggiato alla vecchia scrivania, sapeva che la responsabilità di evitare questioni era sua; e conoscendo i caratteri litigiosi della Contea, non sapeva come comportarsi. - Non vi è nulla da fare, Will - disse grattandosi in capo. - Non posso mandar via la nonna Fontaine né il vecchio McRae né posso tener la mano sulla bocca della signora Tarleton. E la cosa piú gentile che diranno sarà che Súsele è un'assassina e una traditrice, e che se non fosse per lei, il signor O'Hara sarebbe ancora vivo. Maledetta abitudine di parlare sulle bare. È una barbarie! - Sentite, Ashley, - disse Will lentamente. - Io non permetto che alcuno parli contro Súsele, qualunque cosa pensino. Lasciate fare a me. Quando avrete finito la lettura e la preghiera, e dovrete dire: «Se qualcuno vuol dire poche parole», guardatemi; cosí io parlerò per primo. Rossella, mentre osservava la difficoltà con la quale i portatori facevano passare la bara attraverso l'angusto ingresso del cimitero, non pensava che al funerale potesse seguire qualche incidente. La sepoltura di Geraldo significava per lei la scomparsa di uno degli ultimi legami che la univano agli antichi giorni di felicità e di spensieratezza: e il suo pensiero si soffermava su questo. Finalmente la bara fu posata accanto alla fossa. Ashley, Melania e Will entrarono nel recinto e si collocarono dietro alle ragazze O'Hara. I vicini che riuscirono a entrare rimasero dietro a loro; gli altri si fermarono al di là del muretto di mattoni. Rossella, accorgendosi di loro per la prima volta, fu sorpresa e commossa dalla quantità di gente. Data la scarsità dei mezzi di trasporto, erano stati veramente buoni ad accorrere cosí numerosi. Erano cinquanta o sessanta persone, alcune delle quali venivano da tanto lontano che ella fu stupita che avessero fatto in tempo. Vi erano famiglie intere che avevano condotto anche i loro servi; e poi piccoli fattori, gente dei boschi e delle paludi. Questi ultimi erano giganti barbuti, coi berretti di pelo di tasso e i fucili imbracciati; con loro erano le mogli, coi piedi nudi sprofondati nella terra rossa e i volti giallicci e malarici sotto ai capelli mal puliti. I vicini piú prossimi erano al completo. La nonna Fontaine, gialla e grinzosa, era appoggiata al bastone; dietro a lei erano la nuora e Sally Munroe Fontaine. Queste due cercavano inutilmente di convincere la vecchia a sedere sul muricciolo. Il dottore era morto due mesi prima e dagli occhi della nonna era scomparso il lampo di malizia che vi brillava un tempo. Catina Calvert Hilton era sola, e veniva considerata come quella il cui marito aveva contribuito alla tragedia; la cuffia scolorita nascondeva il suo volto timido. Rossella notò con stupore che il suo abito di percalle era macchiato e le mani erano poco pulite. Non aveva piú l'aria di una signora: sembrava una «proletaria bianca» trascurata e negligente. «Dio mio! Che crollo!» pensò Rossella con orrore. Rabbrividí volgendo altrove gli occhi nell'accorgersi come era angusto il baratro che separava le persone per bene dai rifiuti della società. E provò un senso d'orgoglio nel dire a se stessa che lei e Catina erano partite dopo la sconfitta, con gli stessi mezzi; eppure lei era riuscita a farsi una posizione. Alzò il mento e sorrise; ma mozzò il sorriso incontrando lo sguardo scandalizzato della signora Tarleton. Questa aveva gli occhi rossi dal pianto e dopo avere guardato Rossella con biasimo, si volse a fissare Súsele con espressione di ira furibonda. Dietro a lei e a suo marito erano le quattro ragazze Tarleton, i cui riccioli rossi sembravano poco adatti alla triste circostanza. Tutti si immobilizzarono; gli uomini si tolsero i cappelli, le donne giunsero le mani e Ashley si avanzò di un passo aprendo il logoro libro di preghiere di Carolene. Si fermò con gli occhi bassi, mentre il sole faceva brillare i suoi capelli biondi. Un profondo silenzio piombò sulla folla, cosí profondo che si udí il frusciare del vento tra le foglie della magnolia; e il fischio lontano e ripetuto di un merlo sembrò insopportabilmente acuto e triste. Quando Ashley cominciò a leggere le preghiere, tutte le teste si chinarono; la sua voce sonora e modulata, pronunciò con dignità le parole sacre. «Oh!» pensò Rossella, sentendo un nodo alla gola «che bella voce! Sono contenta che sia Ashley piuttosto che un prete... e mi fa piacere che il babbo sia sepolto da uno dei suoi, piuttosto che da un estraneo.» Quando Ashley giunse alla parte delle preghiere concernente le anime del Purgatorio, chiuse bruscamente il libro. Solo Carolene si accorse dell'omissione e lo guardò perplessa, mentre egli cominciava a recitare il Pater noster. Ashley sapeva che metà dei presenti ignoravano che cosa fosse il Purgatorio; e coloro che lo sapevano avrebbero preso come un'offesa personale, se egli avesse insinuato, sia pure in una preghiera, che un uomo come Geraldo O'Hara non era andato dritto in Paradiso. Quindi, per deferenza alla pubblica opinione, egli preferí evitare ogni menzione del Purgatorio. Il mormorío delle voci si uní alla sua nel Pater Noster; ma quando egli cominciò l'Ave Maria, vi fu un silenzio imbarazzato fra i presenti. Essi non avevano mai udito quella preghiera, e si guardarono furtivamente fra loro, quando le ragazze O'Hara, Melania e la servitú di Tara risposero: «Prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Cosí sia». Quindi Ashley levò il capo e rimase per un attimo incerto. Gli occhi dei vicini erano sopra di lui, mentre ognuno si disponeva ad ascoltare un lungo discorso. Nessuno immaginava che egli fosse già alla fine delle preghiere cattoliche; i funerali della Contea erano sempre molto lunghi. I ministri battisti e metodisti non avevano preghiere preparate ma le improvvisavano secondo le circostanze, e raramente si fermavano finché non vedevano tutta la famiglia in lagrime. I vicini sarebbero dunque rimasti indignati se tutto il servizio funebre per il loro diletto amico si fosse limitato a quelle brevi orazioni. Tutti quanti avrebbero detto che le ragazze O'Hara non avevano mostrato abbastanza rispetto per il loro padre. Quindi egli lanciò un rapido sguardo di scusa a Carolene, e chinando nuovamente la testa, cominciò a recitare a memoria il servizio funebre episcopale che aveva letto tante volte alle Dodici Querce, quando si seppellivano gli schiavi. «Io sono la Via, la Resurrezione e la Vita... e chiunque crede in me vivrà in eterno.» Non se ne ricordava con prontezza, quindi parlava adagio, fermandosi ogni tanto in attesa che le frasi gli tornassero alla memoria, ma queste pause rendevano le sue parole piú impressionanti; e coloro che fino a pochi momenti prima avevano avuto gli occhi asciutti, furono persuasi che quella fosse la cerimonia cattolica; e senza indugio si ricredettero sulla loro primitiva opinione, che i servizi cattolici fossero freddi e privi di commozione. Rossella e Súsele, ugualmente ignoranti, trovarono le parole belle e confortanti. Solo Melania e Catina compresero che si stava seppellendo un irlandese profondamente cattolico col servizio funebre della Chiesa inglese. E Carolene era troppo abbattuta dal dolore e dall'offesa per quel tradimento di Ashley per intervenire. Alla fine, Ashley aperse i suoi malinconici occhi grigi e guardò la folla. Dopo una pausa incontrò lo sguardo di Will e disse: - Qualcuno dei presenti desidera dire poche parole? La signora Tarleton si agitò nervosamente; ma prima che avesse potuto aprir bocca, Will fece un passo avanti e cominciò a parlare. - Amici - cominciò con la sua voce incolore - forse vi sembrerà una pretensione la mia di voler parlare del signor O'Hara... parlarne io che lo conoscevo soltanto da un anno, mentre tutti voi eravate suoi amici da oltre vent'anni. Ma ecco la mia giustificazione: se egli avesse vissuto un altro mese, avrei avuto il diritto di chiamarlo «babbo». Un fremito di stupore serpeggiò tra la folla. Tutti erano troppo bene educati per mormorare; ma si drizzarono in punta di piedi per guardare il capo chino di Carolene. Tutti sapevano la cieca devozione di Will per lei. Vedendo la direzione di tutti gli sguardi, Will riprese, come se non si fosse accorto di nulla. - Avendo l'intenzione di sposare la signorina Súsele O'Hara appena giungerà il sacerdote che abbiamo chiamato da Atlanta, ho ritenuto che questo mi desse il diritto di parlare per primo. Le sue ultime parole andarono perdute fra il mormorio che venne dalla folla, simile al ronzare di un alveare disturbato. Tutti erano indignati e delusi perché volevano bene a Will e lo rispettavano per quello che aveva fatto per Tara; e tutti sapevano che egli amava Carolene; sicché la notizia che egli sposava quella perfida e antipatica Súsele fu come un fulmine per il vicinato. Fu un momento di tremenda tensione. Gli occhi della signora Tarleton fiammeggiarono e le sue labbra si agitarono in parole inespresse. Nel silenzio si udí la voce del vecchio McRae che supplicava suo nipote di dirgli che cosa era stato annunciato. Will li guardò tutti; il suo viso era dolce ma nei suoi occhi azzurri era qualche cosa che li ammoní a non pronunciar parola contro la sua fidanzata. Per un attimo la bilancia oscillò tra la simpatia che tutti nutrivano per Will e il disprezzo per Súsele. Ma Will vinse. E continuò come se la sua interruzione fosse stata una pausa naturale del discorso. - Non ho conosciuto il signor O'Hara nella sua giovinezza come tutti voialtri. Personalmente l'ho conosciuto come un brav'uomo un po' svanito; ma voi tutti mi avete detto com'era prima. E desidero affermare questo: egli era un irlandese bellicoso e in pari tempo un gentiluomo del Sud; e il piú leale confederato che sia mai esistito. E non vedremo mai piú uomini come lui, perché i tempi sono mutati. Egli era nato in paese straniero; ma l'uomo cui oggi diamo sepoltura era piú georgiano di tutti noi. Amava la nostra vita e la nostra terra; e se ci pensate bene, riconoscerete che è morto per la nostra Causa come i soldati. Era uno di noi; aveva le nostre qualità e i nostri difetti, la nostra forza e le nostre debolezze. Fra le nostre qualità aveva queste: nulla poteva fermarlo quando si metteva in mente di fare una cosa; e non aveva paura di nessun nato di donna. Nulla di ciò che veniva dall'esterno poteva abbatterlo. Non ebbe paura degli inglesi quando il loro governo voleva impiccarlo. Si limitò ad andarsene di casa. E quando giunse in questo paese era povero, ma la povertà non lo sgomentò. Lavorò e guadagnò. E venne in questa regione senza timore, quando essa era ancora selvaggia; e in questo luogo inospite creò una grande piantagione. Né ebbe paura quando venne la guerra e il suo denaro cominciò a dileguare; né quando vennero gli yankees e minacciarono di incendiare Tara e di ucciderlo. Rimase dritto in piedi a guardarli in faccia. Perciò vi dico che ciò che veniva dall'esterno non poteva abbatterlo. E questa è una nostra qualità. Ma egli aveva anche una nostra debolezza: la possibilità di essere abbattuto da qualche cosa che proveniva dall'interno. Quando morí la signora O'Hara, anche il cuore di suo marito morí; ed egli non si rialzò piú. E colui che vedevamo camminare non era lui. Will si interruppe; i suoi occhi girarono a guardare gli ascoltatori. La folla sembrava incantata; ogni rancore verso Súsele era dimenticato. Lo sguardo di Will si posò un istante su Rossella come per darle coraggio. E Rossella provò veramente un senso di conforto perché Will parlava con buon senso, invece di ripetere i soliti luoghi comuni sul mondo migliore e sulla rassegnazione alla volontà di Dio. - Noi tutti siamo come lui. Nulla può sopraffarci, come nulla ha potuto sopraffare lui: né yankees né «Carpetbaggers» né i tempi difficili né la miseria. Ma la debolezza che è nei nostri cuori può sopraffarci in un batter d'occhi. Non è soltanto la perdita di un essere caro, com'è stato nel caso del signor O'Hara. Ciascuno ha una molla diversa; ma voglio dirvi questo: per coloro la cui molla non funziona, è meglio esser morti; nel mondo d'oggi non vi è posto per loro. E vi dico ancora una cosa: che oggi non dovete affliggervi per il signor O'Hara. Ora il suo corpo è andato a raggiungere il suo cuore; quindi non vi è ragione di piangerlo, a meno di non essere egoisti... Ve lo dico io, che gli volevo bene come se fosse mio padre... Credo che non vi sia altro da dire. La famiglia è troppo depressa per ascoltare altre parole che non darebbero loro alcun conforto. Quindi si volse alla signora Tarleton e le disse sommessamente: - Vi dispiacerebbe, signora, accompagnare in casa Rossella? Non le fa bene rimanere tanto tempo in piedi e per di piú al sole. E, salvo il dovuto rispetto, consiglierei lo stesso alla nonna Fontaine. Rossella arrossí e tutti gli sguardi si volsero a lei. Ma perché Will faceva quella specie di pubblicità alla sua gravidanza? Gli lanciò un'occhiata piena di vergogna e d'indignazione; ma lo sguardo di Will sembrò risponderle senza turbarsi: «Vi prego, ubbidite... Io so quello che faccio». Era già il capo della famiglia; e volendo evitare scenate, Rossella si volse alla signora Tarleton. Questa, immediatamente distolta dal pensiero di Súsele - come Will aveva preveduto - dal fatto di una nuova nascita, sempre affascinante per lei, fosse umana o animale, prese il braccio di Rossella. - Vieni in casa, cara. Aveva un'espressione di affettuoso interessamento e Rossella si lasciò condurre atttraverso la folla che si aperse per lasciarla passare. Vi fu un mormorio di simpatia e parecchie mani si tesero ad accarezzarla. Quando giunse dinanzi alla nonna Fontaine, questa avanzò il mento e disse: - Dammi il braccio, bambina - e poi soggiunse guardando fieramente la nuora e Sally: - No, voialtre non venite. Non ho bisogno di voi. - Ma perché Will ha fatto questo?! - gridò Rossella appena furono fuori portata d'udito. - È come se avesse detto a tutti: «Guardatela! Aspetta un bambino!» - E non è forse vero? - ribatté la signora Tarleton. - Will ha fatto benissimo. Era una pazzia per te rimanere lí al sole a rischio di cadere svenuta e magari provocare un aborto. - Will non ha affatto pensato a questo - interloquí la nonna, un po' ansimante mentre si avviava verso i gradini. Sul suo volto era un sorriso arcigno. - Soltanto non voleva che rimanessimo accanto alla tomba né io né voi, Beatrice. Temeva ciò che avremmo potuto dire; e sapeva che questo era il solo mezzo per liberarsi di noi... E poi non voleva che Rossella udisse le palate di terra sulla bara. Ha fatto bene. Ricorda, Rossella, che finché non senti quel rumore tremendo, le persone non sono veramente morte... È il rumore piú terribile del mondo... Aiutami a salire i gradini, bambina; e voi, Beatrice, datemi una mano. Rossella non ha bisogno del vostro braccio... Will sa che tu eri la beniamina di tuo padre e non ha voluto rendere anche peggiore la tua sofferenza. Per le tue sorelle è piú facile. Súsele ha la sua onta per sostenerla, e Carolene il suo Dio. Ma tu non hai nulla, non è vero, bambina? - No - rispose Rossella aiutandola a salire i gradini, un po' sorpresa della verità che la vecchia voce aveva pronunciata. - Non ho mai avuto nulla che mi sostenesse... eccetto la mamma. - Ma quando l'hai perduta, hai trovato che potevi anche vivere sola, non è vero? Ebbene, alcune persone non possono. Tuo padre era uno di questi. Will ha avuto ragione. Non addolorarti. Egli non poteva esistere senza Elena; ed ora, dove si trova, è piú felice. Come io sarò felice quando raggiungerò il vecchio dottore. Parlava naturalmente come se suo marito fosse vivo e si fosse recato a Jonesboro, dove una breve corsa in carrozza le avrebbe permesso di ritrovarlo. La nonna era troppo vecchia e aveva visto troppe cose per temere la morte. - Ma... anche voi potete vivere sola - replicò Rossella. - Sí; ma a volte si prova non poca difficoltà. - Non dovreste parlare cosí a Rossella, nonna - interruppe la signora Tarleton. - È già abbastanza sconvolta. Col viaggio da Atlanta, quell'abito stretto, il caldo e il dispiacere, ce n'è abbastanza per abortire senza che anche voi aggiungiate alla misura venendo a discorrere di dolori e di guai. - Per la camicia di Giove! - esclamò Rossella irritata. - Non sono affatto sconvolta! E non sono una di quelle stupidine che abortiscono per nulla! - Non si può mai dire - ribatté la signora Tarleton onnisciente. - Io abortii del mio primo vedendo un toro che inseguiva uno dei nostri negri; e... ti ricordi la mia giumenta Nellie? Era la piú sana e robusta che si potesse vedere; ma era nervosissima; e se io non fossi stata attenta... - Smettetela, Beatrice - interruppe la nonna. - Rossella non è tipo da abortire. Sediamoci qui nel vestibolo dove fa fresco; c'è un po' di corrente. E voi, Beatrice, andate in cucina a vedere se c'è un bicchiere di siero. Oppure guardate in dispensa se vi fosse un po' di vino. Staremo qui ad aspettare che tutti vengano ad accommiatarsi. - Rossella dovrebbe andare a letto - insisté la signora Tarleton. - Suvvia, sbrigatevi. - E la nonna le diede un colpetto col suo bastone. La signora Tarleton si avviò verso la cucina gettando il suo cappello sulla credenza e lisciandosi i capelli con le mani. Rossella si appoggiò alla spalliera della sedia e sbottonò i due primi bottoni del corpetto. Si stava bene, nell'alto vestibolo; il soffio d'aria fresca e fragrante che penetrava dalla porta posteriore era piacevole dopo il sole ardente. Guardò attraverso il vestibolo nel salotto dov'era stata la salma di Geraldo e distogliendo il pensiero da lui alzò gli occhi al ritratto della nonna Robillard che, con la sua pettinatura alta, il seno largamente esposto e la sua fredda insolenza, aveva sempre sopra di lei un effetto tonico. - Non so che cosa ha colpito di piú Beatrice, se la perdita dei suoi figli o quella dei suoi cavalli - cominciò la nonna Fontaine. Come sai, non si è mai occupata molto di Giacomo né delle ragazze. È una di quelle persone di cui parlava dianzi Will: la sua molla non funziona. A volte penso che finirà ad essere com'era tuo padre... La sola cosa che le ha dato gioia è stata la venuta al mondo di esseri umani o di animali; e nessuna delle sue figlie si è sposata né ha probabilità di farlo; quindi ella non ha nulla che occupi la sua mente. Se non fosse una vera signora, si lascerebbe andare... Will ti ha detto la verità sul suo fidanzamento con Súsele? Sí - rispose Rossella fissando la vecchia signora negli occhi. Era passato il tempo in cui la nonna Fontaine le faceva paura! E ora si sentiva anche disposta a dirle che andasse al diavolo, se quella voleva immischiarsi negli affari di Tara. - Poteva trovare di meglio - riprese la vecchia candidamente. - Davvero? - fece Rossella con alterigia. - Non darti tante arie, madamigella - ammoní aspramente la nonna Fontaine. - Non ho nessuna intenzione di attaccare la tua preziosa sorella; cosa che avrei fatto se fossi rimasta alla sepoltura. Voglio dire soltanto che con la scarsità di uomini nel nostro paese, Will avrebbe potuto sposare chiunque. Vi erano le quattro Tarleton, le Munroe, le McRae.... - Invece sposerà Súsele; e questo è quanto. - È una fortuna per lei! - È una fortuna per Tara. - Tu ami questo luogo, non è vero? - Sí. - E perciò non t'importa che tua sorella sposi uno che non è della sua classe, purché vi sia un uomo che si occupi di Tara? - La sua classe? E che importa la classe al giorno d'oggi, quando una ragazza trova un marito che può aver cura di lei? - Questo è discutibile. Alcuni direbbero che tu parli con buon senso. Altri direbbero che tu distruggi delle barriere che non avrebbero mai dovuto essere abbassate di un centimetro... Certamente Will non è dell'aristocrazia, mentre alcune persone della tua famiglia vi hanno appartenuto. I suoi occhi penetranti corsero al ritratto della nonna Robillard. Rossella pensò a Will, scarno, incolore, dolce, con la sua eterna pagliuzza in bocca, il suo aspetto completamente privo di energia, come la maggior parte dei «crackers». Certo non aveva dietro di sé una lunga fila di antenati dotati di ricchezza, di autorità, di aristocrazia. Il primo della sua famiglia che aveva messo piede sul suolo di Georgia era stato probabilmente un bancarottiere o un servo. Will non era stato in collegio; come istruzione non aveva avuto che quattro anni di scuola rurale. Però era onesto e leale, paziente e lavoratore. Ma non era un signore; e secondo le idee dei Robillard, Súsele faceva un matrimonio al disotto della sua condizione. - Dunque tu approvi l'entrata di Will nella tua famiglia? - Sí - rispose Rossella brutalmente, pronta a rispondere male alla vecchia signora alla prima parola di biasimo. - Dammi un bacio - disse invece con suo stupore la nonna, sorridendo con approvazione. - Non ti ho mai voluto bene come adesso, Rossella. Sei sempre stata aspra, anche da bambina, e a me non piacciono le donne aspre; dato che sono abbastanza dura anch'io. Ma mi piace il tuo modo di affrontare le cose. Non perdi il tempo in lamentele quando una cosa non si può evitare, anche se è sgradevole. Salti gli ostacoli coraggiosamente come un buon cavallerizzo. Rossella sorrise incerta e baciò ubbidiente la guancia grinzosa che le si presentava. Era piacevole udire delle parole di approvazione, anche se il loro significato era un po' oscuro. - Molta gente troverà da ridire perché tu permetti a Súsele di sposare un «cracker», benché tutti vogliano bene a Will. Ma tu non te ne curare. - Non mi sono mai curata di quello che dice la gente. - Lo so. - Nella voce della vecchia era una sfumatura di acidità. - Dunque, lascia dire. Probabilmente sarà un matrimonio felice. Certamente, Will non muterà mai aspetto e anche se guadagnerà molto denaro non renderà mai Tara un luogo com'era ai tempi di tuo padre. Ma in fondo è un signore; per lo meno ne ha l'istinto. Solo un signore di nascita avrebbe potuto dire le cose che egli ha detto dianzi... È vero; nessuno ci può sopraffare; ma noi possiamo essere prostrati dalla nostalgia di cose che non abbiamo piú... e dal ricordo. Sí, Will farà del bene a Súsele e a Tara. - Allora mi approvate perché permetto questo matrimonio? - Dio mio, no! Come potrei approvare l'entrata di un «cracker» in una vecchia famiglia? Ma Súsele ha bisogno di un marito; e dove lo troverebbe? E tu dove troveresti un buon intendente per Tara? Questo però non vuol dire che la cosa mi piaccia piú di quanto piaccia a te. «A me piace» pensò Rossella cercando di comprendere il significato di quanto la vecchia signora stava dicendo. «E sono contenta che Will la sposi. Perché dovrebbe dispiacermi?» Era perplessa e un po' vergognosa come sempre quando le venivano attribuite emozioni e sentimenti che gli altri provavano e che lei non condivideva. La nonna si sventagliò con un ventaglio di palma e continuò: - Non approvo il matrimonio; ma sono anch'io pratica come te. So anch'io che è inutile protestare e lamentarsi. Nella mia famiglia c'è un detto: «Sorridi e sopporta». E noi abbiamo sopportato sorridendo tante di quelle cose, perché era necessario. Siamo scappati dalla Francia con gli Ugonotti, dall'Inghilterra coi Cavalieri, dalla Scozia col principe Carlo, da Haiti davanti ai negri e ora siamo stati battuti dagli yankees. E sai perché? Drizzò la testa e Rossella pensò che somigliava a un vecchio pappagallo. - Non lo so - rispose cortesemente ma profondamente annoiata. - Te lo dico io. Perché noi ci pieghiamo dinanzi all'inevitabile. Noi non siamo come l'avena che quando è matura si irrigidisce e non si piega secondo il vento; siamo come il grano saraceno che ondeggia, e quando il vento è passato si rialza dritto e forte quasi come prima. Quando vengono le disgrazie, noi ci pieghiamo dinanzi all'inevitabile e sopportiamo sorridendo. E quando siamo nuovamente forti, diamo un calcio alle persone dinanzi alle quali ci siamo piegati. Questo è il segreto per sopravvivere. Fece una pausa come se attendesse un commento di Rossella; ma questa non sapeva che cosa dire e tacque. La vecchia riprese: - Sí, i nostri rialzano la testa; mentre qui vi sono tante persone che ne sono incapaci. Guarda per esempio che cos'è diventata la povera Catina Calvert. Piú abietta di suo marito! Guarda la famiglia McRae. Schiacciata, smarrita, senza saper che fare se non piagnucolare sui tempi passati. Guarda... sí, quasi tutti nella Contea, eccetto il mio Alex e la mia Sally, tu, Giacomo Tarleton, le sue figlie e pochi altri. Il resto è andato a fondo perché mancava di linfa, perché non è riuscito a risollevarsi. Gente che non ha capito mai altro che denaro e schiavi; e senza questi due elementi, fra un'altra generazione saranno diventati dei «proletari bianchi». - Dimenticate i Wilkes. - No, non li dimentico. Ho avuto la cortesia di non nominarli, perché Ashley è ospite di questa casa. Ma giacché sei stata tu a fare il loro nome... guardali! C'è Lydia che, da quanto mi hanno detto, è una zitellona rinsecchita con degli atteggiamenti di vedova perché Stuart Tarleton è stato ucciso; non fa nulla per dimenticarlo e cercare un altro uomo. Certo non è giovine; ma forse, se si desse un po' di pena, potrebbe trovare un vedovo magari con figli. La povera Gioia ha sempre avuto il cervello di un passerotto. E quanto ad Ashley... guardalo un po'! - Ashley è un bravissim'uomo! - lo difese Rossella con fervore. - Non ho mai detto il contrario; ma è bisognoso di aiuto come una tartaruga coricata sul dorso. Se la famiglia Wilkes riesce a superare questo periodo difficile, è perché c'è Melania che vince le difficoltà; non Ashley. - Melly? Dio mio, nonna! Che dite? Io ho vissuto abbastanza con Melly per sapere che è timida e malaticcia e non ha il coraggio di fare «sciò» a una gallina! - E a che serve fare «sciò» a una gallina? Mi è sempre sembrata una vera perdita di tempo... Sarà incapace di fare «sciò» a una gallina, ma è capacissima di farlo a tutto il mondo, al governo yankee, o a chiunque minacci il suo Ashley o il suo bimbo o le sue nozioni di distinzione. Lei ha un modo di fare che non è il tuo, Rossella, né il mio. È la maniera che avrebbe usato tua madre. Sí, Melly mi ricorda la tua mamma quando era giovine... E forse riuscirà a rimettere in piedi la famiglia Wilkes. - Oh, Melly è piena di buon senso. Ma fate torto ad Ashley... - Smettila, via! Ashley era nato per leggere dei libri e nient'altro. Questo non aiuta un uomo a togliersi dagli impicci. Ho sentito dire che è il peggior aratore della Contea. Confrontalo al mio Alex! Prima della guerra, Alex era il giovinotto piú inutile del mondo; non aveva mai pensato ad altro che ad aver delle belle cravatte, a ubriacarsi, a litigare e a stuzzicare le ragazze. Guardalo adesso! Ha imparato a fare il coltivatore perché altrimenti sarebbe morto di fame, e con lui tutti noi. Adesso coltiva il miglior cotone della Contea... sicuro! È meglio del cotone di Tara! E s'intende di porci e di pollame. E vedrai che quando tutto questo tremendo periodo della ricostruzione sarà finito, il mio Alex sarà ricco come suo padre e come suo nonno. Ma Ashley... Rossella si strinse nelle spalle. - Tutto questo non mi fa né caldo né freddo. - Hai torto - disse la nonna fissandola con lo sguardo penetrante. - Questa è la via che hai seguito da quando sei andata ad Atlanta. Non credere che pure essendo seppelliti in provincia, non si sappiano le cose. Anche tu sei mutata col mutar dei tempi. Sappiamo che hai relazione con gli yankees e con tutti i nuovi ricchi per cercare di guadagnar denaro con loro. Fai pure. Ma quando avrai guadagnato tutto quello che potrai, prendili a calci perché non ti serviranno piú. Sono sicura che lo farai come va fatto, altrimenti correrai il rischio di rovinarti. Rossella la guardò cercando di comprendere queste parole. Le sembravano arabo; inoltre ella era ancora irritata per aver sentito Ashley paragonato a una tartaruga rovesciata. - Credo che abbiate torto a proposito di Ashley - disse bruscamente. - Non sei abbastanza scaltra, Rossella. - Questa è la vostra opinione - ribatté Rossella seccamente, col desiderio di darle uno schiaffo. - Oh, sei scaltra per quel che riguarda dollari e centesimi. Questa è una scaltrezza maschile. Ma non hai la furberia delle donne. Non hai abilità nel giudicare le persone. Gli occhi di Rossella cominciarono a lanciare fiamme mentre le sue mani si aprivano e si chiudevano con movimento convulso. - Ti ho fatto arrabbiare, vero? - chiese la vecchia signora sorridendo. - È proprio quello che volevo. - Davvero? E perché, se è lecito? - Avevo le mie buone ragioni. La nonna si appoggiò alla spalliera della poltrona e Rossella ebbe improvvisamente l'impressione che fosse stanca e incredibilmente vecchia. Le piccole mani che stringevano il ventaglio, erano gialle e ceree come quelle di un morto. La collera svaní dal cuore della giovane, la quale si curvò in avanti e prese fra le sue una di quelle mani. - Siete una cara, vecchia bugiarda - disse. - Tutte queste storie le avete dette unicamente per, distogliermi dal pensiero del babbo, non è vero? - Non fare la sciocca! - esclamò burberamente la vecchia signora ritraendo la mano. - In parte è stato per questo, in parte perché ti ho detto la verità; e tu sei troppo stupida per capirlo. Ma sorrise un poco, sicché il cuore di Rossella si vuotò di ogni pensiero di collera. - Grazie lo stesso. Siete stata molto buona a parlare con me... e sono contenta che siate d'accordo meco per il matrimonio di Will con Súsele, anche se... molta altra gente lo disapprova. La signora Tarleton rientrò nel vestibolo portando due bicchieri di siero. Non era molto abile nelle faccende domestiche, quindi i bicchieri traboccavano. - Sono andata fino alla capanna del burro per prenderlo - disse. - Bevetelo subito, perché stanno tornando dalla sepoltura. Ma davvero, Rossella, permetti che Súsele sposi Will? Magari è anche troppo buono per lei; ma è un campagnolo e... Gli occhi di Rossella incontrarono quelli della nonna. In questi era una scintilla di malizia in risposta al suo sguardo.

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La sorte

248054
Federico De Roberto 1 occorrenze
  • 1887
  • Niccolò Giannotta editore
  • Catania
  • Verismo
  • UNICT
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La casa era sfondata, il tetto e i muri divisorii abbattuti come da un terremoto, ingombrando il suolo d'un monte di calcinacci, di travi vecchie e di tegole rotte. Restava in piedi soltanto la gabbia, che i murifabri, sui ponti, lavoravano ad alzare di due piani. - Verrà una bella palazzina! E prese in affitto una bottega lì vicino, nuova, con le mura bianchissime e un forte sito di calce. Vi adattò alla meglio le sedie, i due specchi, l'attaccapanni, le oleografie che gli restavano, e fece dipingere in nero, sui vetri dello sporto «Piccolo salone Venezia» che parevano mignatte appiccicate sulle lastre. Di lì seguiva i lavori nella sua antica casa, dove i muratori voltavano l'arco delle ultime finestre e impostavano il cornicione. L'ingegnere e il padrone venivano spesso a invigilare, guardando per aria i muri, facendo segnali col bastone, girando da una parte all'altra. - Quello mi par di conoscerlo - pensava Salvatore, guardando da lontano. E un giorno s'avvicinò. - Agostino! - Ah... siete voi? - L'amico pareva un signore, con la catenella sulla pancia e una spilla alla cravatta. - Che cosa fate da queste parti? - Ho ricomprato io la casa... - rispose quello, un po' confuso. - Mio suocero è morto... e m'ha lasciato ogni cosa... - Dunque, dicevamo, qui... - L'ingegnere lo chiamava e Agostino s'allontanò. Salvatore lo vedeva arrivare e partire, quasi tutti i giorni, spesso in carrozza; e una volta con la moglie, a braccetto, che se egli non avesse saputo ch'erano loro, non li avrebbe riconosciuti. - Che cosa vuol dire aver quattrini! Ora non guarda più nessuno in faccia! Un'altra volta passò Andrea, il figurino, l'antico giovane di bottega, che s'era fatto grande, e pareva sempre appuntato con gli spilli. Salvatore lo salutò, con la mano, ma quello tirò dritto. - Anche lui ha messo superbia! Lo Sciancato, che si spingeva di tanto in tanto fin lassù a strillare i fogli, tirandosi indietro la sua gamba, non aveva messo superbia, ed entrava nella bottega, per vendere una copia della Gazzetta. - Eh! - diceva, girando un'occhiata per le pareti nude - mi ricordo il bel tempo del salone grande! Anche Nardo gli era rimasto affezionato, e veniva a trovarlo, dandogli ancora del «principale». - Gli affari vanno bene? - Grazie a Dio, non posso lamentarmi. Nardo ne provava compassione, vedendolo ridotto in quello stato: un vecchio, coi capelli grigiastri e la fronte rugosa; ma più per via della moglie, che andava provocando tutti i maschi e lo riduceva la favola del quartiere. Ma come un giorno la incontrò per istrada, bianca e rossa in viso, con le labbra umide, grassa sotto lo scialle nero che si gonfiava sul petto, la guardò un momento. - E così, avete messo aria, col vostro salone? - diceva lei, fermandolo. - Gli amici non si vedono più? La sua voce s'era fatta più forte e veniva acquistando l'accento paesano. Nardo cercava di scusarsi, ma lei non lo lasciò parlare. -Venite a trovarmi. Avete ancora paura? - E lo guardò in un certo modo. Egli non voleva fare un torto a quel brav'uomo del principale, che gli aveva fatto sempre del bene. - Bel modo di compensarlo! Poi cominciò a pensare: - Uno di più, uno di meno!... Quella volta io l'ho rispettato; ma il principale è troppo minchione...

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