Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Versione elettronica di testi relativi al periodo 800 - 900 Donna Folgore

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Faldella, Giovanni 2 occorrenze

Ma oltre al salvare i virgulti umani, un giorno egli pensò ai rami e ai tronchi abbattuti, dispersi o putrescenti. Visitando una fabbrica a Cossila biellese, vide che di stracci abbominevoli raccattati dai bassifondi di Napoli, dalle cantine di Londra e persino dagli immondezzai di America si formava una virginea bambagia e si filavano tappeti da rallegrare l'immaginazione dell'Oriente. E così non si potrà pure fare del ciarpame umano? Come di cavalieri macchiati e d'avventurieri scampaforche si formano terribili legioni straniere in sussidio degli eserciti europei, così la civiltà religiosa potrebbe redimere i caduti ostaggi del vizio. Ma all'alta impresa occorre il nerbo di ogni guerra: il denaro. Il denaro, osservava il canonico Puerperio pieno di riconoscenza mortificata conversando con Suora Crocifissa, il denaro non manca mai alla virtù redentrice, profluendo eziandio dalle sorgenti del vizio pentito. Senza peccati non vi sarebbero pentimenti, senza pentimenti non vi sarebbero riparazioni. Da una parte generali o presidenti acciaccati, che nella loro irreflessiva gioventù tradirono a diecine serve e padrone, crestaie e signorine, dall'altra parte venerande patrizie o banchiere, la cui focosa inesperienza puerile fu forse abbassata da palafrenieri, e la cui pompa matronale ebbe un dizionario biografico di amanti, tutte le peccatrici e tutti i peccatori di alto bordo cercano di mettere in pace la loro garrula coscienza, facendo cospicue elargizioni alle opere pie. Per cui la generosità femminile ( generosità nel senso dell'on. Morelli) non serve soltanto ad ottenere impieghi, secondo lo scherzo della burocrazia pontificia: Mater dat, filia dat, uxor dat, soror dat; propterea quod ille missus est in Datem (nella Dateria apostolica). Ma la generosità femminile serve pure ad innalzare pie opere di virtù. Ah! (con un profondo sospiro soggiungeva il canonico Puerperio). Noi ci siamo consacrati alla Purità ... E dobbiamo domandare l'obolo ... come sapone di chi sa quante macchie ... Via! Mettiamoci in campagna. * Sette ! * le rispose con un monastico pattone sulla schiena Suora Crocifissa, arrubinando il bell'ovale del virginio pallore. E si misero ambidue in campagna. Sulla sepoltura di una città, che nei tempi etruschi e romani si meritò il nome di Industris, si screpola un gramo inoperoso villaggio, che con il nome di Passabiago scivola dai margini collinosi del Basso Monferrato alla sponda destra del Po. In una valletta storta e profonda, quasi inesplorata come una foresta vergine, esisteva un rudere preziosissimo di antichità cristiana; un tempietto, la cui costruzione si fa risalire a trecento anni dalla natività di Gesù Cristo. Lo si dice fondato da San Mauro. Subì incursioni di saraceni. Un mozzicone di iscrizione scalfita nella vecchia pietra " XI Kal. Nov. Rolandus" , ed una vaga tradizione lasciano supporre una visita di Orlando innamorato, che poscia ritornò furioso a ricuperarvi il senno smarrito. Napoleone I vi sorprese una lauta badia di Cistercensi, che facevano bollire i capponi nel vino bianco, e mandavano i vitelli a tuffare un istante nel Po per ripescarli e mangiarseli nei giorni di magro come pesci. L'imperatore còrso abolì la badia, disperse i padri badiali, e ne donò terreno e fabbricati a un brioso maresciallo Bonnelane, che li giocò e perdette a tarocchi. Nella restaurazione politica, si restituì il convento in più modesti costumi. Il ministro Urbano Rattazzi, coul Rataz, fieul d'Cain, fratel d'Caiffas, sulle zucche incapucciate a l'a dait un famos crep *; onde il padre guardiano poté intonare, secondo la lepida canzone piemontese del Brofferio: * Bruta neuva * orate frates * Bruta neuva per dabon. * Babilonys impii patres * portu 'l Diau an procession . In quella nuova soppressione di Conventi venne pure colpito il Convento di Sant'Oblito a Passabiago, Sant'Oblito, forse un santo inesistente, in cui si personificò per eufemismo o trapasso popolare l'originale Sant'Oblio. I fabbricati e i terreni vennero comperati all'asta pubblica dalla solerte ditta Israelitica Salomon Todros e Segre, felice acquisitrice di beni ecclesiastici in blocco, e rivenditrice al minuto. Ma la Ditta trovò insolite difficoltà a disfarsi di quei beni, anche offrendoli spezzati in piccoli lotti con dilazioni straordinarie al pagamento. Tanta era la diserzione e l'apatia dei capitali, che regnava loro intorno. La mania litigiosa, l'afflizione della crittogama e della peronospera, la testarderia del così faceva mio padre e il conseguente assoluto misoneismo avevano congiurato per formare un presente contradditorio, quasi ingiurioso all'antica nomea di Industris. La moderna Passabiago pareva la mummia di un rospo. Uno sparpaglio di case scrostate o screpolate o non finite; poggiuoli, che aspettano da anni ed anni la ringhiera; modiglioni, che si protendono inutili per ricevere la pietra di un balcone, che mai non viene. Ignorati o respinti i concimi artificiali; * una voluttà di andare a dormire, rimandando ogni cosa al Die Domani; una assoluta mancanza di volontà, niuna prontezza, fuorché nel litigare. In fondo della valletta giaceva quasi sepolta dai rovi e dalle rose canine la gemma della chiesetta. Ai due lati si ergevano in secolare contrasto storico e tellurico i due poggi dominati dalle rispettive famiglie Rotellana e Pressendina, che dalle spaccature e feritoie delle loro bicocche diroccate ancora si lanciavano freccie di cartabollata. Oramai alle due famiglie di litiganti cronici non rimanevano più che queste due risorse; * per l'una, la Rotellana, pattuire la conversione dei numerosi componenti al protestantesimo, con una sfondolata società di propaganda londinese, che pagava le conversioni in contanti. Per l'altra famiglia, la Pressendina, rimaneva il rinfranco di spazzare il sepolcreto avito nel Cimitero di Torino delle ossa dei Maggiori, ammucchiandole in un angolo chiuso della cripta, e vendere il restante spazio a un milionario costruttore di strade ferrate. Si aggiunse la complicazione di un amore improvviso in tanto odio secolare. L'unico figlio dei Pressendina, l'avvocatino Oreste si innamorò perdutamente di Onorina, la primogenita dei Rotellana, che perdutamente gli corrispose; onde era minacciata una nuova tragedia di Giulietta e Romeo. Invece il dramma ebbe lieto fine come negli amanti di Castello e Cascina di Roberto Sacchetti. Un santone, dei soppressi Tornaboni, padre Funari, venuto in concetto di santità per le sue reliquie (fra cui due capelli della Madonna) per le sue astinenze e per il suo moto perpetuo, era una grande provvidenza per tutti, e un grande specialista nel ricondurre le mogli fuggitive ai mariti spasimanti e maritare i rampolli di famiglie discordissime. L'avvocatino Pressendina e tota Rotellana si erano rivolti a lui taumaturgo; ed egli per maggiore sicurezza aveva richiesto il superiore intervento del Canonico Giunipero e di Suora Crocifissa. La signorina si era inginocchiata davanti al Canonico, l'avvocatino davanti alla Suora. E canonico, suora, e taumaturgo avevano combinato un miracoloso sopralluogo. * Iesus! * esclamarono in un duo la suora e il Canonico, quando mirarono sotto i rovi e le rose canine la facciata della Chiesa di Sant'Oblito. * Iesus! * tenne bordone padre Funari, completando il trio. * Questa facciata pare un incastro per un rivo di devozione, che conduce al Paradiso * osservò Suor Crocifissa. * Dovrebbe essere dichiarato monumento Nazionale! * asseverò il canonico. * Me ne occuperò io, * promise padre Funari * parlandone al commendatore Itaglia, Ministro dell'Istruzione Pubblica, e a un mio amico usciere omnipotente al Ministero dell'Interno. Fecero un viaggio e due servizii. Non solo combinarono il pateracchio tra l'avvocatino Pressendina e tota Rotellana, ma gittarono le basi della florida Casa del Sant'Oblio. Comperarono a buon prezzo dalla Ditta Israelitica quella gemma di antichità cristiana, e i circostanti terreni. Tacitando e mandando a spasso i creditori delle oberate famiglie Pressendina e Rotellana, i quali non isperavano oramai più niente dai giudizii di graduatoria, si impossessarono dei due poggi laterali coi relativi versanti, si può dire per un tozzo di pane. Di vero non vi era mai stato un candidato così ambizioso, così chimerico e così scemo di piattaforme elettorali, che avesse proposto un tracciato ferroviario per quella valletta abbandonata dagli uomini e da Dio. L'avvocato Pressendina si ebbe una cattedra di diritti civili in un istituto tecnico di Torino, donde, come è noto, salì al Consiglio di Stato. La famiglia Rotellana inoculata di nuove cognizioni rimase preposta all'agenzia agraria della rinnovata Casa del Santo Oblio. La Chiesa ebbe un generoso restauratore in un patrizio eccellente architetto archeologo. La facciata splendette come una paratoia di rivo conducente al Paradiso; nell'interno le gemine colonne apparveno gambe di santi onestate di brache luminose. La vasta possidenza venne circondata da un muraglione rivestito di edera, lungo come una cinta daziaria, destinato, come una muraglia della Cina a separare il Santo Oblio dal bulicame del mondo restante. Per evitare gli incameramenti di Rattazzi e dei ministri suoi successori la proprietà venne acquistata privatamente in testa del Canonico Giunipero. Sovventori furono principi plebiscitarii e pretendenti a ristorazione reazionaria, squarquoie arricchitesi nel commercio della carne umana e candide colombe della nobiltà e dell'alta borghesia. Avevano largamente concorso il comm. Vispi droghiere emerito, l'emerito macellaio Baciccia Calzaretta, il marchese Stefanina, i conti De Ritz padre e figlio, e il barone Rollone Svolazzini, non senza ragione di imbeccata personale. Il Canonico Giunipero nell'estasi della riuscita impresa, ebbe un'ossessione immaginosa, come la visita tentatrice del Diavolo. * Sta bene! * egli immaginò! * Sta bene in fondo alla valletta attaccato alla Chiesa il nido del Santo Oblio per le spericolate e le pericolanti salve dai morsi e dai rimorsi del mondo. * Ma là in alto sui due poggi vorrei giganti fronteggianti due ganglii virili. Sopra l'uno vorrei raccogliere uomini maturi, vecchi cadenti, sbattuti e rialzati per la Santa Fede; sopra l'altro vorrei raccogliere un reggimento di giovani operosi devoti alla santa forza! Ora che la soppressione degli ordini religiosi necessita il rifarsi, rinverginarsi del monachismo insito perpetuamente alla natura e ai destini dell'umanità, vorrei risuscitare i frati gramieri avamposti dell'agricoltura intensiva, vorrei risuscitare gli Umiliati pionieri dell'industria tessile e tintoria. * Vorrei in più, * e qui l'immaginazione vinceva le redini al canonico ... * Vorrei stazioni taurine di eccellenti riproduttori. Come se il diavolo gli ridesse sfolgorando in faccia, egli fantasticava: * L'imbecille civiltà ha creduto distruggere un'impostura nociva, abolendo dei conventi; invece ha distrutto utili verità, che fruttificavano sotto l'ipocrisia apparente ... Oh! la bella popolazione, che cresceva intorno ai conventi! Alla mia Laghetto da Po si ammiravano ninfe delle risaie, che le migliori non avevano potuto dipingere i classici pittori della Grecia, e ciò perché v'erano fratacchioni ben pasciuti di corpo e di spirito a benedire con il loro amore le contadine: essi nel bacio recavano non solo un vitale nutrimento, ma portavano un soffio di canti, studî e sogni sublimi, come un intreccio raffaellesco di arcangeli e madonne. * Erano depositi di stalloni umani per una razionale stirpicoltura e col celibato religioso offrivano una buona soluzione al problema di Malthus pauroso, che le popolazioni aumentino in proporzione geometrica, mentre i mezzi di sussistenza crescono soltanto in ragione aritmetica. * Invece, ora, aboliti i conventi, lasciata la procreazione rurale soltanto ai mal nutriti fisicamente e intellettualmente, sparvero le ninfe delle risaie; e loro sottentrarono femmine verdognole dalle bocche di lucertola e di rana, facile preda, gaglioffe e terribili alleate dei galeotti sfruttatori ed impresarii del socialismo professionale. In quel punto entrò Suor Crocifissa solenne, pallida e pura, al pari di Santa Clara. Il canonico, come se avesse esposto a lei il discorso diabolico, le domandò: * Non è la mia una concezione dantesca? Suor Crocifissa, che mangiava poco o nulla di Dante ed adorava soltanto l'Immacolata Concezione, fece un viso di voluta ignoranza e rimprovero. Allora il canonico Puerperio, cioè Giunipero, si sentì calare le ali diaboliche dell'orgoglio e del rigoglio virile, e domandò a Dio perdono dei suoi peccati di immaginazione. Egli allora si dedicò unicamente alla nuova fondazione femminea del Santo Oblio. Le prime reclute furono una dozzina come gli apostoli, e primario agente di arruolamento fu il padre Funari. Passato il cancello, in cui i ghirigori del ferro battuto delineano curve di nuvole a bambagia d'angioli, si vede spaziare un prato, intersecato da redole di ghiaia minuta, che partono dal piedestallo di una Madonna Stellata, come raggi da una stella. La statua della Vergine Madre Divina lucente di ceramica bianca, ha sulla fronte una stella metallica di doratura raggiante. Porta due iscrizioni sui quadri del basamento. L'una: Ave, Maris Stella è il saluto dei naufraghi della vita, che si salvano in quella casa del Sant'Oblio. L'altra: Hujus domus regina significa quale sovrana devesi riconoscere dalle casigliane e dai visitatori. Personificazione viva della statua è la superiora Suor Crocifissa. Il suo ideale vivente ed attuoso appare più fulgido e più alto della stessa statua. Dal beato Calasanzio al Pretore Martini è provato che l'abilità di consolare ed avvincere beneficamente gli afflitti ed i derelitti è una prerogativa personale straordinaria; non si può insegnare con regole; perché varia secondo l'infinita varietà delle afflizioni e degli abbandoni. Unica efficacia è l'asseveranza di una irradiazione d'amore. * Tu orfanella, adunghiata, sputacchiata dalla matrigna, derubata dai costei drudi, non hai mai avuto un bacio rispettoso. Ed io ti bacio nel Divino Amore. * Bella sartina, tradita dal sottotenente, a cui credevi dedicare il cuore e la vita, mentre egli ti ha presa come un'appendice di camera mobiliata, come il sopracaffè del mattino, * vieni qui; ché la Madonna ti assegna nella sua casa un posto di eguaglianza umana e di fedeltà nell'amore Divino. * Zitelle e dame gonfie dal livore e corrose dalla gelosia, che è il reagente più torbido e più corrosivo della chimica psicologica, venite qua dentro; e troverete nelle pieghe del Manto di Maria Immacolata la più olezzante fiducia in Dio, che fa sperdere persino la memoria dei terribili sospetti, per cui afferravate come documenti di tradito amore finanche le carte destinate a fetidi recessi. Oh! ben lo disse il canonico Puerperio, cioè Giunipero. Anche nella mitologia vi erano simboli di verità, che qui si realizzano. * Qui in quel Rio "Lavatojo" abbiamo realmente il fiume Lete, che travolge, sperde la memoria di ogni male; e in quell'altro rivo "Ortolano" abbiamo realmente il fiume Eunoè che coltiva ed accresce la memoria di ogni bene. La immagine matura di Suor Crocifissa in mezzo al prato dirimpetto al cancello raffigura quella di una cruda bambina che erige una pertica invitando a posarvisi le libellule: "Signorine e signorone! Venite sul mio bastone" . Ma la bambina acchiappa le libellule per infilzare crudelmente una pagliuzza nella loro coda. Invece Suora Crocifissa offre a tutte le ferite, a tutte le offese del devoto femmineo sesso il balsamo, pregustazione del Paradiso. Ai disordini della materia umana niun riparo più sicuro, che un ordine spirituale, in cui si riflette umanamente un raggio di ordine divino. La creatura bersagliata dal delitto altrui o dalla propria passione ha perduto il contatto benefico con l'Universo creato. Può riacquistarlo in una comunità religiosa. Questo è il vero socialismo ideale, per cui con gli altri vantaggi sociali si moltiplica il tempo. Come è difficile per un individuo ed anche per una privata famiglia il fissare e mantenere un orario! La mancanza di zuccaro nel caffè o il male di denti d'una sorella possono assorbire o fare cadere nel nulla, come per un giuoco di mattoni, tutte le ore della mattinata preziosa al lavoro. Invece in una comunità governa inamovibile l'orologio di precisione. Quanto possa fare uno studioso libero dalle cure domestiche, lo riconobbe il Taine deplorando lo strazio e lo sperpero delle corporazioni religiose fatto dalla Rivoluzione francese. Simile beneficio si può riconoscere per qualsiasi lavoro. Alle cinque del mattino la campanella sveglia per la preghiera. Il cronometro distribuisce il tempo esatto per la religione, lo studio, il lavoro, e la ricreazione; dalla Santa Messa, alla grammatica, all'aritmetica, alla inaffiatura dei fiori, alla potatura, all'innesto, alla composizione italiana, al saggio di lingue straniere, alle refezioni, alla raccolta dei frutti, alla macchina da cucire, al telaio Iacquart, al lawn tennis e al missisippì ecc. ecc. Nel nitore di un paesaggio romito ed aprico, tra Terra e Cielo, Dio e Natura, studio, lavoro, ed Amore Divino danno unicamente la pace umana. Questa sentirono, dopo l'abbraccio e il bacio di Suor Crocifissa le prime ricoverate, che non sospettarono neppure di essere recluse. Una figliastra ritrovò la madre ideale; una tradita ritrovò fedeltà d'amor celeste, nove altre vittime di gelosie o martiri di persecuzioni entrarono in quel porto della rassegnazione generosa e persuasiva, persuadendosi che la partecipazione accresce l'amore e la vera contentezza risiede nel volere di Dio. Notevoli tra le prime reclute le soprannominate Bimblana e Gibigianna. Bimblana nata ottava da una famiglia di schiavandari ad Ypsilon Novarese era stata battezzata coi nomi di Ottavia Rosa Antonia. Era cresciuta come un rosolaccio; di bella presenza, era mandata a servire in città, essendo già superflua la precedente figliuolanza per la schiavenza in campagna. Aggirandosi nel mercato degli erbaggi veniva ammirata ed amata per le sue forme slanciate e scultorie e per il suo andamento di maternità anticipata, che ai bambini e alle bambine la faceva parere una superiora amorevolissima. Suo gesto favorito era un ritmico allargare di braccia e scotimento di mani, con cui si direbbe avesse voluto raccogliere e sollevare in Paradiso un asilo infantile. Per quella sua andatura ondeggiante, quasi cascante di noncuranza estatica, aveva avuto il nomignolo popolare di Bimblana. Un ardito scultore l'aveva voluta per sua modella. Una guardia carceraria le diede prigioniero il suo cuore. Ma essa, senza riuscire ad amare nessuno, si lasciava amare quasi da tutti. La sua letteratura erano le avventure di Ol Carlin e la so dona a Milan , anche tradotte dal dialetto milanese al piemontese. Ma essa orgogliosa di aver appreso il meneghino, in modo da non disimpararlo più, realizzava pur troppo il distico originale: Te pacjria tuta * E mi me lassi pacià . Piegava la testa pudibonda, e lasciava fare e si lasciava baciare. Ottavia Rosa Antonia era on tocc da marcantoni da bon , che tirava i baci stagn . Non di rado aveva verificato nella vita i dialoghi del suo libro galeotto: * Sa gh'avii Carlin! * Sont scia ch'a va mangi coi eucc. A sii na gran bella forlana vidii ... ! Sanforment! * Lassem no Carlin! ... lassem no! Salveves mia col ... sentimento ... Essa aveva più docilità muta, che espressione di sentimento. Vittima dei capricci di fantasia, da cui sperava forse qualche tesoro del Caso era caduta d'una in altra disgrazia, fino a parere una bella e grossa mela fracida da buttare sul letamaio. Una notte la folata di giovani briganti esteti, che terrorizzano quella cittadina rurale, rimanendo impuniti, perché figli di avvocati o nipoti di canonici, con cui il deputato non vuole assolutamente disgustarsi, dopo avere ubbriacandosi fraternizzato con i garzoni da caffè e rotto il naso al busto del generale Garibaldi nei giardini pubblici, avevano attirato Bimblana sulla panca più scura del viale per godere in combutta il distico: * Bimblana! a va paci da sbalz ... mi * E vu paciem ... * E mi va paci * E mi me lassi pacià ... traduzione bestiale, note alla Spirito Losati, traduzione bestiale dell'angelico invito pronunziato dagli inquilini danteschi nella Stella Venere: Tutti sem presti al tuo piacer, perché di noi ti gioi. La lasciarono con le vesti oscenamente stracciate. Così turpemente abbandonata essa pianse a dirotto ... In quello stato miserabile non osava più presentarsi ai padroni e ai genitori. Voleva gettarsi nel Canale. Ma un filo di luce la salvò: la fama dei capelli della madonna, posseduti dal Santone padre Funari. Fece otto miglia a piedi per portarsi da lui; e fu condotta alla Casa del Santo Oblio. Vi era allora in visita apostolica il canonico Giunipero, il quale, veduta la rifugiata e sentitine i casi, appartossi nella libreria, si fregò gli occhi, come per un'aspra visione ed esclamò in un soliloquio silenzioso, che sarebbe stato forte, se pronunziato in un teatro filodrammatico di venerando seminario: * Manzoni! Manzoni! Dove hai conosciuto la tua immacolata ingenua Lucia Mondella? ... Oh! tipi di campagnuole oneste ed istruite offerte ad imitazione da Cesare Cantù e Felice Garelli! ... Perché, perché la verità è così diversa? Soltanto la musa stenografica, fotografica porca villana o villana sporca è la sincera interprete dell'anima femminile popolare, se non la salva, se non la purifica Religione. Con questa esclamazione in pectore Egli si curvò sull'inginocchiatojo a pregare per la salvezza dell'eterno femminino popolare. Nei primi giorni del suo ricovero Bimblana si sentì non solo salva, ma felice. Ravvisando un godimento senza peccato, sentendosi amata, senza essere goduta, né sprezzata né vituperata, confessò ingenuamente: * Non sono mai stata così bene a questo mondo. Mi pare di essere in un paradiso terrestre. Di meno facile contentatura si palesò Gibigianna, che irruppe nel Santo Oblio come una meteora annunziatoria di fulmine maggiore. Intanto dessa la bella Gibigianna faceva notevole riscontro alla bella Bimblana. Questa purificava le sue meneghinate; quella guardando nella lampada della chiesa rattizzava il fuoco errante dei suoi occhi e lo splendore vago dei suoi capelli, che le avevano fruttato il nomignolo fin da bambina. Come un raggio riflesso da un piccolo specchio, che si muova o si rompa, coagula sopra una volta grummi di luce, che vanno e vengono con l'agitazione di uno staccio o setaccio, fenomeno, dai toscani detto occhibagliolo, la vegia dai piemontesi, e dai lombardi gibigianna , così era la biondezza di Lia Lei, una biondezza da traveggole. Si conformava a tale biondezza la grazia mobile del capo chino arieggiante alla filigrana pendula di argento dorato, che adorna la testa alle fattoresse lomelline. La piccola Gibigianna sarebbe riuscita una Vespina, una svelta ed onesta cameriera da commedia di Tommaso Gherardi Del Testa, se il padre non l'avesse menata agli stravizii. Il padre suo, Teodoro, tramviere, dopo parecchi mestieri ed uffici abbandonati, aveva fatto girare la testa alla maravigliosa signorina figliuola di un causidico da mandamento rurale, e se l'era sposata o piuttosto rubata. Con una faccia innamorativa da impostore aveva fatto sognare castelli in aria alla sposa; e l'aveva condotta in una soffitta. Ma egli si ripagava delle strettezze domestiche nei pubblici esercizii. Questi gli parevano la vendetta sociale dei proletarii, che nei caffè e nelle trattorie si trovavano eguagliati da una illusione di Corte, facendosi servire da camerieri in coda di rondine come diplomatici. Teodoro aveva educato, addomesticato all'ubbriacatura dei pubblici esercizii non solo la moglie maravigliosa, ma altresì la piccola innocente Gibigianna. Gli esercenti, anche socialisti, non sono gratuiti; e adottano il cartello dei vecchi osti: oggi non si fa credito, domani sì. Teodoro il tramviere , con quel bel titolo e con la posa attraente da teatro diurno, aveva sempre difficile il quarto d'ora di Rabelais, cioè quello di pagare il conto; ma riusciva a superare le difficoltà, facendo la corte alla padrona con occhi lampeggianti, o chiudendo un occhio, se il padrone faceva la corte alla maravigliosa di lui metà . Ognora egli aveva dimenticato il borsellino a casa; o non aveva voluto uscire con un biglietto di grosso taglio; ed ordinava che si registrasse il suo debito. Ma una sera, in cui Teodoro accompagnato dalla inseparabile mogliera e figliuola dopo avere preso il caffè e sopracaffè, aveva ordinato una bottiglia di barolo, e poi ancora il ponce, il trattore del Cannon d'oro dichiarò a se stesso: basta!; e poi venne a proclamarlo davanti alla triade, che si indugiava a libare nei lieti calici, mentre gli altri avventori avevano già lasciato l'esercizio. L'esercente del Cannon d'oro si era offeso, accorgendosi, che Teodoro in una momentanea uscita gli aveva abbracciata l'aurea moglie intronizzata al banco. Della moglie di Teodoro egli non sapeva che farne, egli che possedeva una cannonessa d'oro. Quindi: * Alle strette! Teodoro, sono stanco di riempire il mio gran libro dei tuoi puffi . Stassera, o mi paghi; o ti rinchiudo in questa stanza, e faccio chiamare le guardie vicine, perché arrestino te come un gargagnan e tua moglie come una Venere Vagabonda. * E la piccina? * domandò Teodoro. * La piccina * rispose il trattore, sarà condotta dalla Questura in qualche ospizio, dove starà meglio che a casa tua. Teodoro si era rivolto indarno a fiammeggiare uno sguardo per implorare la padrona che non si lasciava vedere. * Discese invano uno sguardo sulla propria moglie per illustrarne le offerentisi bellezze. Addolcito dal vino, egli aveva più che le prepotenze e le viltà del gargagnan , l'amenità del brillo. * O cannon d'oro! Che credi di guadagnarci? Io non ho in tasca un cito . I gioielli, che porta mia moglie, sono di princisbecco. Il trattore del Cannon d'oro con uno sguardo d'acciaio da banchiere crudele aveva avvistato che non erano di princisbecco gli orecchini di Gibigianna. * E questi qui? * Questi sono un regalo del nonno procuratore, che sarebbe capace di mandarti in galera, se tu li toccassi. * Non temo la galera. Dammi alla buona in pegno questi orecchini. Ed io, anziché molestarti e minacciarti, faccio portare due altre bottiglie di barolo stravecchio ch'a rangiu lo stomi e per addolcirti ancora più la bocca alla fine ti darò un passito di Caluso, che non hanno i Cardinali ... E berremo anche in compagnia della mia signora moglie, che farò venire per te ... Vieni qua, Madama, Madamona Catlonessa! Fu la stessa Cannonessa d'oro , che tolse gli orecchini del nonno a Gibigianna, dei quali padre e madre non furono inconsolabili; Gibigianna sì. La fanciulla, dopo una notte fremente, ebbe alla mattina da una compagna di scuola un filo di salvezza; andò in una sacrestia, si confessò a un prete; e venne anch'essa destinata al Sant'Oblio con il consenso dei genitori, ai quali venne regalata una cesta di bottiglie. Onde lo spensierato Teodoro, quando gli domandavano della figlia scomparsa, rispondeva: * Sta bene al caldo! Me la sono bevuta. * * * Qualche volta il protettore canonico Giunipero e la superiora Suora Crocifissa, contemplando quell'onda di vivezza giovanile, che corrispondeva ai raggi del sole, sentivano il rammarico di imprigionarla là dentro fuori della vita mondana. Ma loro si affacciavano i fantasmi dei persecutori dell'innocenza: faccie torbide, ferine, culari e patibolari. Via da loro gli angeli della terra. Bisogna sottrarre dall'empietà, salvare gli angeli della terra. Gli è vero, che bisognava ripulire le ali di questi angeli da molte brutture. * Bisogna convenirne, mia cara, mia santa Suor Crocifissa. Un presidente nord-americano ci chiamerebbe muck rakers , frugatori di fango. Però anche il fimo giova alla buona semente, che per noi è la Parola di Dio. Proseguiamo senza ribrezzo nell'opera buona e necessaria. Il materialismo moderno troppo sequestra l'Umanità dalle speranze celesti, fondandosi sull'ignoranza precisa dei Cieli, che pure indubbiamente esistono. Noi purghiamo le anime avvelenate, noi preserviamo le creature vergini, pascendole del più puro azzurro. I nostri sono serbatoi e traiettorie, che mantengono il contatto, sia pure forzato, dell'Umano con il Divino. Il Canonico Giunipero e Suora Crocifissa intrecciando le mani alzate come in una figura di ballo celestiale, formavano un arco mistico, sotto cui invitavano a passare tutte le minacciate od offese da brutali persecutori, tutte le guaste dalla corruzione, tutte le tocche dalla follia contemporanea. * Venite, passate alla salvezza del regno di Dio e della Madre Divina. Vieni Regina delle Gambe, rappresentante delle Risaie, ai tempi delle laute abbazie. Vieni Fiorina Lucy, vieni Tilde, vieni Maria, vieni Eugenia, vieni bastarda, vieni, purissima. Vieni anche tu, conferenziera socialista, anarchica, Solima Del Lago, che i curati e i sacrestani chiamano limo del lago. Vieni a zampillare fresca, purgata dalla contemplazione delle verità divine. E vieni nell'abbraccio della Croce, o Gilda, nell'abbraccio della più bella croce, che possa piallare, intarsiare e scolpire il buono e curvo Simone tuo padre. Non aveva costato molto al prefetto emerito barone Rollone Svolazzini il sequestrare babbo Simone e relativa figlia, a fine di preservare il proprio Svembaldo allontanato. Il falegname Simone era un'anima di vassallaggio medievale; aveva insita nel sangue la fedeltà alla Chiesa e all'Impero rappresentato dal nobile barone. Era pure medievale nella sua abilità tecnica. Invece del macchinario a vapore per l'impazienza moderna, egli aveva la curosa lentezza della commettitura e dell'intarsio manuale. Pella concorrenza del giorno e dell'ora egli sarebbe rimasto senza ordinatori; sarebbe languito nell'abbandono ad intagliarsi la cassa da morto. Di questa prospettiva si rese presto capace l'angusta e rispettosa mentalità dello stipettajo rurale, a cui parve una Terra promessa dalla Sacra Bibbia la dimora e la pensione vitalizia al Santo Oblio. Con la minuzia consentita dalla massima larghezza del tempo, senza disturbo di sollecitazioni, egli finirebbe armadii di sacrestia, cassepanche da sancta sanctorum , stalli da coro, cofani da Suore; incrosterebbe di fiori lignei, sottili come carta, la nicchia della Madonna ... Oh se potesse lui fabbricare la custodia per le ali dell'Angelo Custode! Intanto egli era relativamente felice, perché la sua Gilda sotto i suoi occhi paterni sarebbe custodita, sarebbe riparata dalle insidie, dalle seduzioni e dalle pretese sproporzionate del mondo. Gilda si mostrò restia dinnanzi alla facile contentatura del papà; oppose lacrime e lacrime; ed entrò al Sant'Oblio irrorata di lacrime, come un passerotto bagnato dalla pioggia, il quale si rincantucciasse sprofondandosi sotto una gronda. Volgeva gli occhi spauriti, come se spiasse tra i fili della gabbia un'evasione. Suora Crocifissa sentiva difficoltà ad ammansarla, asciugarla, e intepidirla del suo fuoco sacro. E temeva, che l'operazione del prosciugamento venisse compita invece da un terribile vento, che pur si aspettava. Il vento della Contessa De Ritz ... Sorridendo con ironia celeste il canonico Giunipero aveva notato, che la Contessa De Ritz era destinata al Santo Oblio dal Clericalismo e dalla Massoneria. Ma pigliarla quella contessa! Qui stava il busillis ... Si erano tese le ragne in Europa e nell'Asia Minore. Fino allora era stato come tendere la rete per acchiappare un vento. Le informazioni secrete dei gesuiti e della Massoneria recavano avventure strabilianti. C'erano di mezzo corone di re e corone da rosario, scimitarre, pugnali e bisturì. Le informazioni massoniche facevano capo principalmente al conte De Ritz; e le informazioni gesuitiche al Comm. Vispi padre della Contessa. Ma gli stimoli e i reagenti, e le direttive, e le curve strategiche si intrecciavano, quando non si intralciavano. Ostinate forze congiuravano ad attrappare finalmente quell'indomita potenza della bellezza e del capriccio femminile. * Ci riusciranno? Ci riusciremo? * si domandavano il canonico Giunipero e Suor Crocifissa; e le loro stesse persone diventavano due punti interrogativi ripiegati tra il desiderio e il terrore. Che beneficio sarebbe salvare quell'anima: un beneficio grande per l'anima da salvarsi, e un beneficio ancora più grande per le innumerevoli vittime, di cui è ancora capace quella furia allettatrice di pervertimenti! Ma che pericolo per il Santo Oblio! Alle reminiscenze classiche del Canonico Giunipero pareva, che neppure Eolo sarebbe capace di incarcerare quel vento di lussuria. E con un videmibus infra si chiudeva la longanime aspettativa del Santo Oblio.

Questi però non poté accordarvi il consueto epigramma del Baratta, morto allora all'Ospedale Mauriziano per la quercia degli abbattuti viali pubblici cadutagli addosso, morto cantando: Qual tardo premio del mio lungo canto Un ramoscel d'allor sperai soltanto, Ma la città che il toro ha per bandiera M'incoronò con una quercia intera. Ecco con la scorta sincrona dell'appendicista giudiziario l'arringa dell'avv. Gioiazza: " La Società è colpevole di produrre e ridurre due esseri antagonisti, di cui l'uno richiede inesorabilmente la propria soppressione dall'altro. Con la pretesa scienza, con gli esempi non meno autorevoli, che deleterii, la Società presente sottrae all'umanità il sentimento religioso, il migliore vincolo, che legava gli esseri verso un ideale sublime di amore e virtù. Vi sono giuristi che ammettono il misticismo tutto al più, come coefficiente, circostanza attenuante, se non discriminante del reato. Un cattivo Clero meccanizzato nella tradizione intransigente di altri tempi, beffeggiando i più puri ideali moderni, incrudelendo contra i morti benemeriti e specialmente contra i martiri della Patria e della libertà, un cattivo Clero, per adoperare una frase di Gladstone, è divenuto negazione di Dio. Unica maestra, unica dispensiera di religione nella Società moderna è la madre, la divinità, che non conta atei. Se a Nerina fanciulla fosse rimasta la bella mammina, ad insegnarle il Vi adoro con le manine giunte, oh molto diversa e migliore sarebbe stata la sua trajettoria sociale! Invece sappiamo che la sua splendida mammina si spense nel darla alla luce. Sappiamo pure che la Maestra Genovieffa Garitti, prima di diventare signora Vispi, era un luminare nel corpo insegnante di Torino, e che ad essa l'accusato consacrò gli unici entusiasmi della sua giovinezza dedita per il resto al lavoro ed al commercio. Pertanto Nerina fu la risultante di una bellezza magistrale e di un entusiasmo sagace, nacque e crebbe con le maggiori potenze fisiologiche e psicologiche per esercitare una tirannia capricciosa. Quella fanciulla fu una tiranna domestica per eccellenza. La relativa compressione subita nel buon Educandato del Soccorso valse soltanto a temprarne e tenderne le forze per gli scatti maggiori. Ritornata in casa del babbo, fece di questo robusto gigante un debole pigmeo; e come aveva reso il babbo schiavo dei suoi capricci, così volle esercitare assolutamente il dominio capriccioso nei varii ambienti sociali fino all'abisso. La Società italiana, dopo le prime vittorie del Risorgimento dovuto in massima parte ai sacrifizii, si era fatta presto materialista gaudente, perdendo la spiritualità religiosa nei dissidii tra Chiesa e Stato. Perciò il tipo dell'eroina patriottica non era più assorbente. Non era ancora di moda fra di noi la dottoressa anglosassone di frigidità e operosità neutra, da terzo sesso di ape operaia. Tanto più lontano era il tipo ginnastico della spartana americanizzata, Fluffy Ruffles , la girl che impera graziosa ed onesta anche nello sport denudato della flirtation. Oh almeno fosse stata viva per lei la galanteria sovrana dei madrigali! Essa avrebbe costretto un poeta Voiture ad inneggiare alle sue calze, avrebbe eccitato un altro poeta ad immaginare che due rosignoli morissero di fascino per il canto, con cui essa accompagnava i suoi capricci per pianoforte. Sarebbe stata circuita in vita e cantata in morte da qualche vescovo di Arcadia. Al pari delle religiose di Port Royal sarebbe venuta su orgogliosa come un demone, ma pura come un angelo. Avrebbe serbato immacolate le nevi rosee del volto, fintanto che si fossero fuse tra le rughe di una vecchiaia intemerata. Ma i tempi non consentivano tale nobiltà e purità di forza e gentilezza. Nella preparazione del nuovo asilo di Romolo, nella nuova conquista di Roma, si affrettarono insieme con gli eroi ideali, non solo i ladri positivi, ma le Messaline lucratrici senza Lucrezia, ed i Cornelii senza virtuose Cornelie madri dei Gracchi." Con la frequenza dei richiami letterarii l'avv. Gioiazza dimostrava di essersi addottorato in lettere prima che in leggi. Egli seguitava divertendo e stupefacendo letterariamente la Corte, i Giurati, il pubblico, l'ufficiale giudiziario e i carabinieri, e lasciando assorto, impassibile l'accusato, che gremiva sogni, meditazioni e preghiere fatali sotto le ciglia chiuse. " Si potrebbe in qualche parte applicare alla De Ritz ciò che Swimburne applica alla regina Rosmunda, Clitennestra del Medio Evo, ricordante le imperatrici Romane, le quali un dì resero regale la colpa: imperatrice ognuna e ognuna per diritto di peccato prostituta. Ma come l'Italia a Roma per il dissidio religioso non poté trovare il suo perno morale, così la contessa Nerina diede al suo imperialismo erotico la circolazione viatoria, randagia. Essa ebbe gli attributi della Cavalleria errante di un Don Giovanni in gonnella, e di una signora Casanova di Seingalt. Essa volle divenire la superdonna, la regina zingara delle libertine. Come Don Giovanni giocava le donne alle carte, essa giocò gli amanti. Come Don Giovanni si provò a compilare un catalogo delle donne da lui sedotte e dei mariti da lui ingannati e riempitone un volumaccio in folio , lo riscontrò incompleto, così, quando ella avesse divisato noverare i suoi capricci amorosi e tessere l'elenco biografico dei suoi amanti per ordine alfabetico, avrebbe dovuto superare le forze spiegate dall'inclito e chiaro prof. Conte Angelo Degubernatis nei suoi copiosi dizionarii biografici del mondo letterario, artistico, scientifico e politico contemporaneo. Conscia della sua potentissima bellezza, una vera beltà di sogno, pire que belle (alla memoria tragicamente gioconda dell'oratore ritornavano forzosamente le dolcezze di Capri), essa deve avere persino sognato di obbligare il Papa ad ammogliarsi con lei. Ed era pur troppo una bellezza metuenda da tutti. Sul suo blasone poteva scrivere: Cave amantem , guardati se essa ti ama. Poteva paragonarsi alla Venere d'Ille, che amava consumare intera la sua preda.E ppure sì dolce risultava il prodigio della sua bellezza consumata e consumatrice, che penso possa applicarsi a lei l'ardita immagine del poeta Henri de Régnier, secondo cui Elena traghettante l'Acheronte è attesa sull'altra sponda da quanti morirono per lei. Invece di maledirla, con la bocca fioca la acclamano sempre bella." L'oratore si fermò quasi sudato di quella referenza poetica. Dopo breve pausa proseguì: " Ripigliamo freddamente, dolorosamente il filo del discorso. Io incolpo del vizio viaggiante, raggiante di Nerina il riflesso centrale di Roma peccatrice. Se Nerina attraversò la vita e il mondo, gettando fuoco di amore distruttivo nelle anime, figurando l'estasi devastatrice senza posa, l'aquila carnivora senza rimessione, essa corrisponde al focolare, capitale mondiale di cupidigie, della Roma liberata, ma rimasta con le corruttele di due immense civiltà, onde ebbe per degno organo la Cronaca bizantina del Sommaruga, né tutta la sua barbarie corrotta passò sotto le forche Caudine dello sbarbaro in parte tarlate dall'odioso errore. Come la Corte effeminata di Napoleone III preparò la debacle di Sedan, Dio voglia che l'orgia sensuale della Roma nuova e rinvecchignita non prepari all'Italia un nuovo rovescio nazionale. Eccone intanto un pernicioso singolare effetto in un rovescio individuale di anime, in un rovescio di vite. Nerina fu l'esponente di un momento politico sociale. Senza risparmiarle l'abbominazione, che si meritò, essa è preferibilmente maravigliosa per avere spinta la logica del vizio alle ultime conseguenze. Oso dire che nella pubblica esecrazione essa è preferibile alle illustri fellatrici da locanda e da camera mobiliata, che avvelenano coi sospetti e con le calunnie ogni figura, ogni nome di fanciulla cresciuta pura nel santuario domestico, per impedire ai drudi, agli amanti di maritarsi, e con queste fellonie rimangono alte dame e nei loro alti palazzi si chiamano dame d'onore ... " Nuova pausa sudata, dopo la quale l'oratore riprese il filo con un visibile strappo. " Lessi in un recente storico che il carattere di Maria Antonietta veniva così giudicato dalla Madre Maria Teresa: molta leggerezza, molta dissipazione e una grande ostinazione a fare di sua volontà con una grande abilità ad eludere ogni rimostranza. Ciò valse a condurla al patibolo. Lo stesso intervenne relativamente per Nerina. Rimane a spiegare, come giustiziero abbia dovuto essere socialmente suo padre. Emergeva la più assoluta incompatibilità, che coesistessero nel mondo vivente il comm. Atanasio Vispi, e la sua nobile figlia prostituta. Se la Società presente autorizza la prostituzione pubblica d'altra parte essa lasciò intatti tesori di moralità privata. Il comm. Vispi rappresenta cento generazioni di quel medio ceto, in cui la donna è santa, o per lo meno onesta. Vi sono famiglie popolane borghesi, in cui i padri ruberanno, i figli ruberanno, i fratelli ruberanno, trufferanno il prossimo o si minchioneranno magari tra loro stessi con la scaltrezza della fortuna commerciale, o per l'esercizio della proprietà immobiliare. Ma la donna vi permane castamente onesta. Ove in tale famiglia si produca il fenomeno di una donna, che ha per unico programma la Vita Sexualis , senza ritegno di capricci, e può intitolarsi Vita sexualis , come il periodico tedesco di ginecologia, Zeitschrift zur Erforschung der Geschlechtslebens , ciò riesce un fenomeno così mostruoso che domanda di esser fatto scomparire dal circolo della vita più presto di un bambino nato con una testa d'asino e una coda di serpente. La moralità delle fiabe si accorda con la moralità delle esistenze. Eccellenze della Corte, egregi signori giurati, mi direte che della pronta soppressione di siffatto fenomeno si doveva lasciare il carico all'Autorità Sociale. Ma il guaio si è che la prelodata autorità non se ne incarica punto di tale soppressione, anzi favorisce il fenomeno. Mi duole ripetermi dopo le lezioni universitarie pubblicate. Ma non occorre una lunga ripetizione. Voi, uomini, sapete l'esistenza legale delle così dette case di tolleranza , ma che in realtà sono case privilegiate, licenziate al sequestro delle persone, con i pubblici ufficiali costretti alla vergognosa connivenza. Proteggendo con il braccio regio i ginecei delle Veneri staggite e prezzolate per il servizio automatico della libidine maschile, l'autorità sociale ha irremissibilmente sanzionato in codeste schiave del piacere la inferiorità giuridica e morale del sesso femminile. È un marchio di bassezza indelebile. Da quell'onta non si può estrarre persona viva. Nessun Buon Pastore (uomo o ritiro) può rimettere in sesto una capricciosa Nerina sviata fino a quell'ultimo bassofondo. I medici risancioni sogliono dire delle malattie sifilitiche: che solo dalla prima volta non si guarisce più. Così una sifilide costituzionale irremediabile si attacca anche dal lato morale, e più non si distacca dal primo approdo all'ultima Tule della infamia femminile. Immaginate che il padre fosse riuscito a strappare la figlia fisicamente viva dal postribolo: ma i cent'occhi, i mille occhi velenosi dell'Argo Sociale glie l'avrebbero moralmente liquidata al suo fianco, dovunque l'avesse condotta, in città o in campagna, sui monti o nei piani, sui laghi o sull'oceano. La Società glie l'aveva ridotta moralmente perinde ac cadaver . Toccava a lui liberare veramente dai ceppi mondani la disgraziata figlia già condannata irrevocabilmente a morte civile. Potrete Voi condannare lui per ciò? Non lo potete. Quattro volte no. Imperocché il Comm. Atanasio Vispi fu un sacrificatore, non un delinquente, un sacrificatore giustificato da chiari esempi della Storia Sacra e della Storia Profana, giustificato da ampie e strette norme del diritto antico e del diritto attuale. Alla vostra cultura generale non farò torto allungandomi sui sacrifizii di Isacco, di Yefte, di Ifigenia ecc., V. nell'Enciclopedia la rubrica Sacrifizii. Quando si volle risparmiare umano sangue, sostituendo una fanciulla con una cerva, l'umano sangue ricadde più copioso da altre parti. L'innocenza pagò spesso la salvezza della colpa. Se un padre poté condannare mortalmente il figlio per supina ubbidienza ad un crudele oracolo, per l'immagine sovrana della Patria, o per la semplice umile trasgressione di un articolo secondario del Regolamento Militare, a fortiori un padre potrà sacrificare una figlia per una solenne riparazione morale. Il nostro antico diritto, il diritto romano investiva di tale sacerdozio il padre di famiglia. I figli erano chiamati liberi , ma viceversa il padre aveva realmente su essi il diritto di vita e di morte, ius vitae et necis . E la patria potestà spettava al padre di famiglia durante tutta la sua vita. Sapevamolo, che le tavole e le sanzioni del Diritto Romano più non figurano tra le vaglianti leggi . Ma esse permangono tuttavia ampiamente nell'atmosfera giuridica che abbiamo ereditato. Lasciamo pure quest'immanenza di ampiezza respirabile da parte, anche riducendoci nei vicoli dello strictum ius , io posso, o signori giurati, provarvi, che un Codice positivo preciso flagrante vi autorizza a prosciogliere l'accusato. Non potendosi tutte le norme di giustizia scrivere e tanto meno immobilizzare nelle leggi, il diritto costituzionale diede ai poteri legislativi la facoltà perpetua di condere , fabbricare e riformare leggi, tanto che del Parlamento Inglese si disse essere capace di tutto, fuorché di mutare un uomo in una donna. Di riscontro nell'applicazione delle leggi penali, la Giustizia umana, ben sapendo, che non poteva fossilizzare norme imperscrittibili per la generalità dei casi, ha colla creazione della giuria fatto appello caso per caso alla sovrana cognizione del sentimento popolare. Secondo la loro sacrosanta istituzione, i giurati non sono periti giudiziarii, non sono verificatori metrici dei fatti. Perciò non si richiede loro una speciale competenza. Anzi se ne affida la scelta all'estrazione della sorte da qualsiasi parte del gran cuore dell'Umanità, sede di quel sentimento popolare, che unito al buon senso dell'intelligenza primitiva sa scorgere lume anche nelle profondità del vero imperscrutabili dalle scienze più esatte. Eccellenze della Corte! Egregi signori giurati! Lungi da me la pretesa di una rivoluzione catastrofica della giustizia. E voi, ferreo oratore della legge, di grazia non paragonatemi ad un farmacopola da estancia argentina, con una pancetta da calabrone pinzo di veleno, che sbottona la sua maldicenza contra le leggi, reputandole fatte per i minchioni, emulo di un nostro tiranno parlamentare, indegno del mandato legislativo, quando paragona le leggi a vergini, che per essere feconde devono essere violate. Lungi da me il paragone con il nostro tiranno parlamentare e col farmacopola da estancia argentina, i quali, se un benefattore dell'Umanità, socratico, catoniano, osservante inculcatore delle leggi, venga lodato da una gazzetta di provincia, crepano di invidia e gli minacciano un irrisorio monumento di neve ... Io vi richiamo alla pretta applicazione dell'art. 495 del Codice vigente di Procedura Penale. Esso prescrive: La questione sul fatto principale è posta colla formola seguente: l'imputato N.N. è egli colpevole di avere (si indicheranno il fatto o i fatti, che formano il soggetto dell'accusa ... ) Dunque Voi, giurati, sarete chiamati a rispondere, non se l'accusato ha compiuto un fatto incontrovertibile, ma se egli è colpevole di averlo compiuto. E che il Codice esiga precisamente da voi sul soggetto e sull'oggetto dell'accusa non una constatazione materiale, ma un giudizio morale di colpa o di innocenza lo chiarisce lo stesso articolo, riservando la convinzione mera sull'accaduto soltanto ai fatti che escludono l'imputabilità." Il rappresentante del Pubblico Ministero con un'obliqua occhiataccia mostrò che l'interpretazione del Codice doveva essere diametralmente opposta. Però il difensore proseguì imperturbato: " La legge, secondo l'art. 498 del Codice precitato, propone ai signori giurati questa sola domanda, che rinchiude tutta la misura dei loro doveri: avete voi l'intima convinzione della reità od innocenza dell'accusato? Tale istruzione, stampata in grandi caratteri ed in altrettanti esemplari , quanti voi siete, voi troverete distesa sulla tavola, intorno a cui siederete nella camera delle deliberazioni , parole del Codice, di cui Vi richiamo la sacra osservanza. Con ciò Voi, signori giurati, siete i veri padroni della pena e della perdonanza. A meglio precisare questa padronanza vostra, vi è un movimento forense, scientifico, legislativo in Francia, nella Svizzera, in Italia. Vi potrei citare le proposte dei deputati del Corpo legislativo di Francia onorevoli Lagesse, Bounet, Corentin-Guyho, gli atti e i voti della benemerita Societé Genéral des Prisons , la profonda memoria del Gautier professore dell'Università di Ginevra e membro di quel Tribunale Supremo, e i bei nomi italiani di Enrico Pessina, Luigi Lucchini ed Alessandro Stoppato, tutti per assicurare a Voi, signori giurati, l'esercizio della vostra funzione sociale nel senso più largo e pieno, non isolando mai dalla mente la coscienza ... Ma già vedo, già sento un baleno di luce celeste, che vi illumina le menti, e vi commuove i cuori. Nerina stessa vi prega confessando del padre sacrificatore: ... ..………… A morir m'invita Dolce desio di rinnovar la vita. Ricordate, che la violenza individuale è un diritto dove la ragione sociale non arriva. Il no tonante del vostro verdetto seguìto da sentenza assolutoria sarà alla società presente ed avvenire un documento, sarà un monumento di moralità popolare" . Il rappresentante del Pubblico Ministero nella sua crudeltà professionale rifletté, che il commendatore Vispi sarebbe maggiormente punito, se fosse rilasciato libero all'offesa che non gli mancherebbe della licenza sociale, che non se fosse ritenuto in carcere difeso, protetto, incolume dall'oltraggio della vita pubblica; e rinunziò alla replica. Il presidente stabilì definitivamente la questione sulla colpevolezza dell'accusato, e vinto in principio un visibile imbarazzo, procedè risolutamente al breve riassunto di rito: " Avete udito (si riassume il riassunto). Non vi è controversia sul fatto incontrovertibile, orribile. Vi è dissenso sul suo giudizio sociale (non dico morale, perché ogni coscienza inorridisce al fatto d'un padre che uccida la figlia). Il pubblico ministero vi invita a segnare tale padre col marchio della colpa, senza scuse, perché niuno può farsi ragione da sé contro la legge, e tanto meno dopo che si è abolita la pena di morte nella giustizia legale, si può approvarne l'applicazione fattane arbitrariamente da un padre sopra la figlia. Invece il difensore vi ha lumeggiato tutti gli stadii infernali d'infamia, per cui è discesa la figlia fino alla profondissima voragine sociale, da cui il padre non poteva più onestamente riscattarla, fuorché sulle braccia della Morte. Voi pertanto, o signori giurati, siete chiamati a profferire sopra un misfatto individuale un giudizio importante all'umanità per riconoscersi sul cammino percorso dalla società civile. Vi auguro, che il vostro umano giudizio non erri, e la vostra dirittura sia conforme ai disegni divini per il miglioramento del consorzio umano" . Ciò detto, il Presidente fa ritirare l'accusato dalla sala di udienza, legge ai giurati la dichiarazione prescritta dal Codice di P.P.; quindi li spedisce alla loro Camera di riflessione e deliberazione. Essi ne ritornano tosto con il verdetto a maggioranza negativo di colpevolezza; onde la Corte, richiamato l'accusato, pronunzia la sentenza di assolutoria. Infine il presidente, mostrandosi più montagnoso della sua montagna corporea, così lo accomiata: * Commendatore Vispi, Ella è libero per la giustizia del Popolo. Dalla libertà materiale non avrà molta gioia. Avrà certo conforto dalla religione spirituale purificatrice. Come magistrato Le do congedo. Come padre di famiglia Le auguro salute eterna.

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