Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il Marchese di Roccaverdina

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Capuana, Luigi 2 occorrenze

Unico svago del marchese era la passeggiata, lassù, su la spianata del Castello, tra le rovine dei bastioni e delle torti abbattute dal terremoto del 1693@. 1693. Ne rimaneva ben poco. Il marchese grande , come chiamavano suo nonno quando viveva, non aveva avuto scrupoli di servirsi delle pietre intagliate di quelle storiche rovine, per rivestirne la facciata della sua casa; e nessuno aveva osato opporsi a quell'atto di vandalismo. Così ora il marchese, passeggiando per la spianata, con le mani dietro la schiena, in pianelle, vestito come si trovava, stimava quasi di essere in casa sua, e teneva udienze seduto su gli scalini di gesso dello zoccolo, sul quale anni addietro i missionarii liguorini avevano piantato una croce di legno che un colpo di levante aveva portato via sfasciandola, e non era stata sostituita. Verso il tramonto, i contadini del vicinato salivano lassù per osservare come si coricava il tempo e per dare un'occhiata alla campagna; e il marchese si degnava di attaccar discorso con loro; e li interrogava, e dava consigli. E se c'era qualcuno che osava di fargli osservare che si era fatto sempre così, da Adamo in poi e che era meglio continuare a far così, il marchese alzava la voce, lo investiva: «Per questo siete sempre miserabili! Per questo la terra non frutta più! Avete paura di rompervi le braccia zappando a fondo il terreno? Gli fate un po' di solletico a fior di pelle, e poi pretendete che i raccolti corrispondano ! Eh, sì! Corrispondono al poco lavoro. E sarà ancora peggio!». Sembrava che stesse per azzuffarsi con qualcuno; lo sentivano fin da piè della collina coloro che tornavano dalla campagna e ne riconoscevano la voce: «Il marchese predica!». Ormai sapevano quasi tutti di che si trattava. Durante l'estate, venivano lassù a prendere una boccata d'aria fresca anche parecchi galantuomini dal Casino , e il canonico Cipolla, dopo l'ufficio del Vespro nella chiesa di Sant'Isidoro. Ma il marchese evitava più che poteva di attaccar discorso con quei signori; non voleva mescolarsi affatto nei loro torbidi intrighi di partiti municipali. Gli bastava pagare le tasse, che erano troppe! Quei signori infatti non sapevano ragionare d'altro che del sindaco che si lasciava menar pel naso dal segretario; dell'assessore per le liti, che rovinava il comune e i debitori di esso per la nota ragione: Fabbriche e liti , padre Priore ; dell'assessore per l'annona che chiudeva un occhio e anche tutti e due sul conto dei macellai e dei panettieri ... perché i migliori bocconi dovevano essere per lui! ... Sempre le stesse accuse, per tutti, sempre una musica! ... «Ah, lei, marchese, potrebbe fare un gran bene al comune! ... » «Con lei sindaco, le cose andrebbero diversamente!» «Ci vogliono persone pari a lei! ... » Venivano lassù, come il diavolo, per tentarlo. Ma egli non li lasciava neppur finire: «E gli affari di casa mia? Ho appena tempo di badare ad essi! Gente sfaccendata ci vuole per servire il comune! ... Buona sera, signori!». E scappava, quando non poteva lasciarli a prendere il fresco, e continuava le sue passeggiate in su e in giù, dal bastione agli scalini dello zoccolo, e dagli scalini al bastione, affondando i piedi tra le pianticine di malva che coprivano la spianata. Neppure col canonico Cipolla aveva molto piacere di discorrere. Che gli importava a lui, marchese di Roccaverdina, e del papa Pio IX e dei conventi e dei monasteri che il governo voleva abolire? Il papa era lontano, e a Palermo c'era la Monarchia che funzionava da papa pei siciliani. In quanto ai conventi e ai monasteri, certamente erano una risorsa per certe famiglie ... Ma i frati non avevano aiutato i rivoluzionari? Ben fatto, se ora i rivoluzionari li ringraziavano coi calci! ... Egli non voleva impicciarsi di politica, né d'amministrazione comunale, né del papa, né dei conventi! «Bado ai fatti miei, signor canonico! E, vedete, i fatti miei sono laggiù, a Margitello; e lassù, per le colline di Casalicchio; e da questo lato, a Poggiogrande; e da quest'altro, a Mezzaterra, lungo il fiume ... E il papa qua sono io, e il padre guardiano pure; stavo per dire: e la madre badessa anche!» Il canonico Cipolla sorrideva, pensando che allora la madre badessa il marchese se la teneva chiusa in casa, e non era un bell'esempio di moralità! Intanto gli rispondeva: «Dite bene. Si parla per chiacchierare e per nient'altro!». E lo lasciava a misurare col compasso delle gambe la spianata. In quel tempo, il marchese restava spesso lassù fino a tardi assieme con Rocco o con l'avvocato. L'avvocato gli raccontava le sue frottole spiritiche, seduto di faccia a lui sul bastione che sovrastava alla vallata, ed egli lo canzonava rudemente; non ne aveva ancora paura. Intanto dietro le colline sorgeva la luna, enorme, rossastra, e montava su pel cielo, quasi arrampicandosi lesta lesta dietro le nuvole, inondando di luce biancastra la immensità della campagna, fino alle montagne lontane che si confondevano col cielo all'orizzonte. E il marchese interrompeva l'avvocato per indicargli: «Vedete quel lume laggiù? È nella stalla di Margitello; danno la paglia alle mule. Ora Rocco chiude le finestre della casina. Una, due, tre! ... Sembra che un lume si accenda e si spenga. Continuate! È Rocco che passa da una stanza all'altra ... ». Erano più di due mesi che il marchese tralasciava spesso quella passeggiata di cui sembrava non avesse potuto fare a meno. Infatti chi aveva bisogno di parlargli, in quelle ore, si avviava difilato lassù, sicuro di trovarlo a passeggiare o a tenere udienza su gli scalini di gesso dello zoccolo senza croce. Era andato soltanto quattro o cinque volte in campagna, non a Margitello, ma a Poggiogrande, a Casalicchio. E da due settimane non si muoveva di casa, mettendo mobili e oggetti sossopra, quasi per stancarsi con quel lavoro manuale; ricevendo soltanto l'avvocato che veniva, come le nottole, sempre di sera; o qualcuno dei garzoni di Margitello mandato dal massaio a chiedere ordini, perché nessuno voleva assumersi la responsabilità d'una risoluzione qualunque. Il garzone andava via grattandosi il capo. Oggi, un ordine; domani, uno contrario. E se esitava: «Bestia! Avresti dovuto capire!». Ci andava di mezzo lui. Mamma Grazia lo compativa: «Se non si fa la causa, questo inferno non finisce!». Ma ora che si trattava di giorni il marchese era di peggior umore del solito e sbraitava con don Aquilante: «Che istruttoria mi andate contando? Che processo? ... Tutto è imbastito male. Le testimonianze? Le prove? Basterà un soffio dell'avvocato della difesa per buttarle giù! Saremo daccapo. Dovrò stare ancora mesi e mesi con l'animo sospeso ... ». «Perché? È curiosa questa!» «Perché se io me ne lavo le mani, diranno: "Al marchese non glien'è importato niente del povero Rocco! Chi muore giace e chi vive si dà pace". E verranno fuori nuovi funghi ... Vedrete.» «Perché? È curiosa questa!» «Vi sembra curiosa, perché voi non vedete altro che la causa, la bella causa e la bella difesa che farete ... E se il giurì manderà assolto Neli Casaccio? ... Qualcuno ... l'ha ammazzato il povero Rocco, giacché è morto ... e non si è ammazzato con le proprie mani ... E così daccapo!» «Attendiamo che il giurì abbia giudicato. Ero venuto per sapere l'ora precisa della partenza.» «Quando vorrete. La carrozza è a vostra disposizione. Io non vengo.» «Siete citato anche voi.» «La mia deposizione è scritta nel processo; possono leggerla.» «Ma gioverà anche la vostra presenza. I giurati, lo sapete, giudicano secondo le impressioni del momento, secondo la loro coscienza; non hanno neppur bisogno di fatti precisi ... » E don Aquilante aveva dovuto stentare per indurlo ad andare assieme con lui alla Corte d'Assise. Se n'era quasi pentito. «Badiamo, marchese! ... Badiamo!», egli si raccomandava. Ma il marchese non gli dava retta, e continuava a dar colpi di frusta alle mule, lanciandole in corsa vertiginosa per quelle rampe di stradone che giravano in declivio attorno al monte in cima al quale Ràbbato stava esposto ai quattro venti, che qualche volta sembrava se lo palleggiassero tra loro. «Badiamo, marchese!» Invano Titta, il cocchiere, seduto in cassetta accanto al marchese, si voltava di tanto in tanto per rassicurarlo. Don Aquilante ricordava, raccapricciando, che appunto lungo quelle rampe le mule avevano preso, tempo fa, la mano al marchese, e lo avevano trascinato giù per la china, tra sterpi e sassi, come impazzite, fino all'orlo del ciglione a precipizio, dove si erano fermate per miracolo; e pensava che certi miracoli non si ripetono, se si ripetono i guai. Doveva ricordarselo, il marchese! Invece le mule, spumanti di sudore, perdevano il fiato, smaniando sotto i colpi di frusta che piovevano fitti. Evidentemente il marchese sfogava contro di loro tutto il suo malumore, quasi l'istruttoria ed il processo li avessero fatti quelle povere bestie e potesse essere colpa di esse se Neli Casaccio veniva assolto! Erano trasvolati, come un lampo, accanto ai carretti coi testimoni, che scendevano senza fretta. Don Aquilante aveva intravisto Rosa Stanga, mastro Vito Noccia, Michele Stizza e non aveva avuto tempo di rispondere al loro saluto. Li invidiava. Stavano scomodi, sì, sui carretti, esposti alla polvere e al sole; ma almeno andavano tranquilli, senza pericolo di rompersi la noce del collo. «Badiamo, marchese!» E per distrarsi, don Aquilante si sforzava di pensare al marchese grande , di cui si raccontava ancora la storiella dei testimoni ... Quegli era un vero Roccaverdina! ... Altri tempi, altri uomini! ... Doveva vincere una lite? Occorrevano prove? E scriveva al suo agente, in paese: «Manda subito, subito, un'altra carrettata di testimoni!». Si compravano a due tarì l'uno! ... Falsi, s'intende! Il marchese grande , oh! oh! non guardava tanto pel sottile! La razza, su certi punti, è rimasta la stessa. Quando un Roccaverdina prende un drizzone, è capace di tutto, nel bene e nel male! ... Anche a costo di far scavezzare il collo a chi non c'entra ... «Badiamo, marchese!» Il marchese però scendeva da cassetta appunto quando, raggiunta la pianura, lo stradone filava dritto a perdita d'occhio, tra il frinire delle cicale su per gli ulivi e il zirlare dei grilli tra le stoppie. «Dicono che avremo la ferrovia fra quattro o cinque anni» «Anche i treni prendono la mano ai macchinisti negli scontri», rispose il marchese, sorridendo stranamente. «E con le macchine è inutile gridare: Badiamo, marchese!»

La sua volontà, il suo orgoglio, la sua fierezza erano cascati giù tutt'a un tratto, come vele abbattute da un tremendo colpo di vento. C'era, da un pezzo, dentro di lui qualcosa che lavorava a logorarlo, se n'era già accorto ... Aveva tentato di opporvisi, di contrastarlo ... Non era riuscito! ... Bisognava espiare! Bisognava espiare! Il silenzio gli faceva paura. Un gatto cominciò a lamentarsi nella via con voce quasi umana ora di bambino piangente, ora di uomo ferito a morte; e il lamento si allontanava, si avvicinava, elevandosi, abbassandosi di tono, prolungatamente; grido di malaugurio, sembrava al marchese, quantunque lo sapesse richiamo di amore. Non poté fare a meno di stare in ascolto, distraendosi, o piuttosto confondendo con quel grido l'intima voce che gli si lamentava nel cuore, mentre gli sfilavano quasi davanti agli occhi a intervalli o confusamente Rocco Criscione, Agrippa Solmo, don Silvio La Ciura, Zòsimo, Neli Casaccio, dolorose figure di vittime sacrificate alla sua gelosia, al suo orgoglio, alla sua impenitenza. Rocco, bruno, con neri capelli folti, con occhi nerissimi, penetranti, con impeto di virilità che scattava nella parola e nei gesti, eppure devoto a lui, altero di sentirsi chiamare Rocco del marchese , e in atto di ripetergli le parole di quel giorno. «Come vuole voscenza !». Agrippina Solmo, chiusa nella mantellina di panno scuro, che andava via singhiozzando, ma con un cupo rimprovero, quasi minaccia, nello sguardo. Don Silvio La Ciura, steso sul cataletto, col naso affilato, con gli occhi affondati nelle occhiaie illividite dalla morte, la bocca sigillata per sempre, come egli si era rallegrato di vederlo, davanti a la cancellata del Casino , tra la folla. Zòsima, con quella bianchezza smorta, con quel sorriso di tristezza rassegnata, che non osava ancora credere alla sua prossima felicità, con quel diffidente «Ormai!» su le labbra, che in quel punto gli sembrava profetico: «Ormai! Ormai! ... ». Come avrebbe potuto avere il coraggio di associarla alla sua vita, ora che egli si sentiva alla mercé di una vindice forza, avverso alla quale non poteva nulla? ... No, no! Doveva espiare, solo solo, non procurarsi un nuovo rimorso travolgendo quella buona creatura nella inevitabile ruina! Inevitabile! ... Non sapeva da che parte, né da parte di chi, né come, né quando; ma non poteva più dubitare che una parola rivelatrice sarebbe pronunciata, che un castigo gli sarebbe piombato addosso presto o tardi, se non si fosse volontariamente imposta una penitenza, un'espiazione, fino a che non si sentisse purificato e perdonato. Don Silvio gli aveva detto: «Badate! Dio è giusto, ma inesorabile! Egli saprà vendicare l'innocente. Le sue vie sono infinite!». E con l'accento di queste parole gli risuonava nell'orecchio anche il ricordo del vento che scoteva le imposte della cameretta, e passava e ripassava via pel vicolo, urlando e fischiando. Non osava più alzarsi dalla seggiola, con la strana sensazione che la sua camera fosse diventata una prigione murata da ogni parte, dove lo avrebbero lasciato morire di terrore e di sfinimento, com'era morto Neli Casaccio, immeritatamente, in scambio di lui. Si era lusingato di sfuggire alla giustizia umana e alla divina, dopo che i giurati avevano emesso il loro verdetto; dopo che don Silvio era stato reso muto prima dal suo dovere di confessore, poi dalla morte; dopo ch'egli si era illuso di essersi sbarazzato di Dio, della vita futura e di avere acquistato la pace con le dottrine e con l'esempio del cugino Pergola ... E, tutt'a un tratto! ... O aveva sognato? ... O continuava a sognare a occhi aperti? Sentì il primo cinguettio dei passeri sui tetti, vide infiltrarsi a traverso gli scuri mal chiusi del balcone il chiarore dell'aurora, e gli parve di destarsi davvero da un orribile sogno. Spalancò l'imposta, respirò a larghi polmoni la frescura mattutina, e sentì invadersi da un dolce senso di benessere di mano in mano che la luce del giorno aumentava. I passeri saltellavano, si inseguivano sui tetti, cinguettando allegramente; le rondini gorgheggiavano su la grondaia, dove avevano appesi i loro nidi; pel vicolo, per le case riprendeva il rumore, l'affaccendamento della vita ordinaria. E il sole, che già dorava la cima dei campanili e delle cupole, scendeva lentamente, gloriosamente sui tetti, faceva venire avanti, quasi le ravvicinasse, le colline lontane, le montagne che formavano una lieta curva di orizzonte attorno alle colline che digradavano e si perdevano nella vasta pianura verde, coi seminati qua e là luccicanti di rugiada, nell'ombra. Con la crescente luminosità del giorno, i tristi fantasmi che lo avevano contristato durante la nottata si erano già dileguati. E appena gli tornò davanti agli occhi la figura del cugino Pergola, col berretto bianco, di cotone, calcato fin su le orecchie, il collo circondato d'empiastri sorretti dalla grigia fascia di lana, seduto sul letto, appoggiato al mucchio dei guanciali, col viso congestionato e gli occhi rigonfi, quella risata che colà, nella camera, tra le candele ardenti sui candelabri di legno dorato attorno alle teche delle reliquie e al cordone di argento del Cristo alla Colonna, quella risata che gli era stata soffocata in gola, più che dal turbamento, dalla presenza dell'afflitta signora e dei bambini, gli scoppiò ora irrefrenabile in faccia al cielo azzurro, luminoso, in faccia alle cupole, ai campanili, alle case di Ràbbato, alla campagna, alle colline; e senza nessuna amarezza di delusione, quasi finalmente comprendesse di aver ecceduto, di essersi lasciato vigliaccamente impressionare anche lui! E apriva soddisfatto i polmoni a lunghi respiri di soddisfazione!

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