Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il razionalismo

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Rosmini, Antonio 1 occorrenze

Nulladimeno venendo que' teologi cattolici mossi da zelo, e a tutta la Chiesa altamente importando che fossero abbattute intieramente quelle mostruose eresie che strappavano dall' ovile di Cristo milioni d' anime e minacciavano stragi sempre maggiori, era ben naturale, che non eccitassero gran fatto l' attenzione le esagerazioni da prima non gravi di que' campioni che combattevano l' eresia ne' campi della fede. Ma così si venne gradatamente a formarsi una, non so se io mi dica, scuola o fazione di teologi cattolici, la cui pendenza era già pronunciata verso il razionalismo (1). Egli era un leggero razionalismo pratico che senza trarre ancora l' osservazione comune, venia dominando e alterando tutte le dottrine che professavano. Ma che? Niun principio insinuato una volta nelle menti e nelle opinioni degli uomini, può giacersi a lungo inoperoso ed inerte; anzi egli ubbidisce alla legge universale che l' obbliga a svilupparsi, a completarsi, a farsi conoscere, mettendo fuori suoi tralci, e fiori e frutti. La tendenza dunque che inclinò i teologi suaccennati a scemare il guasto originale dell' umanità ed a crescere le forze del libero arbitrio, gli recò bel bello a pronunciare tali dottrine, che riscossero finalmente l' attenzione degli altri teologi della Chiesa cattolica, i quali non mancarono di censurare l' eccesso de' primi (2); e la stessa santa Sede più e più volte li riprese, condannando diverse loro proposizioni, e diversi loro libri. Avvenne ancora un altro sconcio da questo inconsiderato trasporto della parte buona, e fu che per esso rincrudì l' eresia. Si volevano distruggere gli errori di Lutero e di Calvino, e si diede occasione al Bajanismo ed al Giansenismo; tanto è vero che da niun eccesso si vantaggia mai la Chiesa cattolica. Così un distinto teologo comincia la notizia che dà del Bajanismo: [...OMISSIS...] . Da questa spinta adunque fu precipitato Giansenio a' suoi errori, che tanto danno alla Chiesa apportarono. Laonde nella bolla « In Eminenti » (6 marzo 1642), con cui Urbano VIII condannò l' « Augustinus », proscrisse parimenti le tesi e gli opuscoli che pro e contra erano usciti, essendovi eccesso da una parte e dall' altra, affine di restituire alle cattoliche scuole ed alla Chiesa la pace per que' dissidii miseramente turbata. E quanto mai sarebbe stato desiderabile, che tutti i cattolici, ammoniti dalla sapienza di questa decisione dogmatica del sommo Pontefice, si fossero uniti unicamente a combattere l' eresia, conservando, insieme colla mansuetudine dell' animo, la via media nella dottrina, dove sta il vero, evitando fino l' apparenze di scostarsi da quella! Ma i semi di razionalismo erano sparsi, e sotterra, in vece di spegnersi, fermentavano. Perocchè costa pure assai all' umano amor proprio il ritornare indietro, dopo essersi a lungo e non senza passione inoltrato per un cammino. Laonde si preferì di coprire gli errori già pronunciati con espressioni cattoliche, e d' acconciarli con posticcie dichiarazioni, continuandosi intanto a riprodurli, mutata lor solo d' intorno la veste; s' assottogliarono gl' ingegni a difenderli cavillosamente, traendo i testi delle divine Scritture, de' Concili e de' Padri, a dire il contrario di quel che dicono; sotto il qual lavoro assiduo svanirono i dogmi più fondamentali della cattolica fede, salve le convenienze e le apparenze in contrario; fra' quali dogmi rimase nella sostanza annientato quello del peccato d' origine, che oggimai non pone più gli uomini in istato di riprovazione, nè impedisce agl' infedeli, anche colla sola legge naturale, il salvarsi come in proprie parole sostenne il P. Gius. M. Gravina, condannato perciò con decreto dell' apostolica Sede il 22 maggio 1772. Ed ella è pur cosa indubitata essere il dogma del peccato originale fondamento di tutto il cristianesimo. Distrutto quel dogma è resa inutile la redenzione di Gesù Cristo: ella almen cessa di essere redenzione. Quindi è tolta la cagion massima dell' Incarnazione del Verbo. Caduto il dogma dell' Incarnazione, che si rimane Gesù Cristo, se non un puro uomo, un personaggio storico e nulla più? (1) Per tali gradi si perviene alla distruzione del Cristianesimo, all' abolizione di tutto l' ordine soprannaturale, allo stabilimento del perfetto razionalismo. Deh considerino bene per qual via si sono messi, a qual termine sono rivolti que' teologi, che si dicono cattolici, e che pur si vanno limando il cervello per distruggere il peccato d' origine, e per negare la corruzione pur troppo intima e profonda che ne venne all' umana natura. Pazienza, che il facessero avanti due secoli, quando lo spirito d' errore ad altra parte conduceva gli uomini; ma come non tremar di farlo in questa nostra età, in cui il bisogno della Chiesa richiederebbe pure il contrario; richiederebbe che si mettesse anzi in piena luce l' importantissimo dogma dell' originale infezione, che umilia sì salutarmente l' uomo, contro il quale tutto il secol superbo alza la fronte; e sentesi qua un Lamennais rigettarlo, colà un Libri accagionare la credenza in quel dogma d' avere rattenuti i seguaci del Cristianesimo nella barbarie; (1) e altrove i protestanti biblici, di cui un cattolico fu precursore, il P. Arduino, discepolo anch' egli alla sua volta de' Sociniani, (2) già non più trovarlo nelle Scritture; mentre i filosofi più avanzati di strada, il considerano solo come una di quelle opinioni umanitarie, che si producono nel comun delle menti, in virtù delle leggi soggettive e necessarie dell' umano pensiero? (3) Pur troppo tutti gli empii del secol nostro, figli legittimi delle eresie del settentrione tendono incessantemente a constituirsi in una società meramente umana e naturale, rinunziando al Cristianesimo ed alla Chiesa, come hanno testè pubblicamente dichiarato alcuni filosofi, o, a vero dire, sofisti, di Berlino. Ella è dunque singolar cosa a vedere, che quei teologi cattolici, che aveano a principio preso a combattere le eresie dominanti nella loro forma accidentale, vadano ora approssimandosi a gran passi a quello stesso risultamento a cui le eresie stesse pervennero, e si trovino ben presto essi ed i protestanti venuti ad un termine per due strade contrarie, cioè a quel sistema di razionalismo, che è l' ultimo e più maturo frutto delle spirito ereticale. E l' origine di questo sottil errore, in cui si sono implicati alcuni de' nostri teologi, spiega altresì i loro costumi. Conciossiachè essi presero tal direzione per un riscaldo di zelo contro le eresie, prima di Lutero e di Calvino, e poscia di Bajo e di Giansenio; onde non è maraviglia, se nelle loro operazioni tengano l' avventatezza propria dello zelo disordinato. S' aggiunge, che essendosi creati quel sistema di dottrine che dicevamo per opporlo alle eresie, il loro impegno acquistò da quell' ora due oggetti in vece di un solo: cioè, oltre l' abbattimento dell' eresia, anche lo stabilimento del loro proprio sistema dottrinale; e quest' ultimo divenne presto il principale. Or poi, quanto più s' impegnavano nell' abbracciato sistema, tanto più cresceva in essi la persuasione che la loro dottrina fosse la sola contradditoria dell' eresia, e però la sola vera, la sola cattolica. Colla qual intima persuasione dovette ingenerarsi ne' loro animi l' intolleranza di tutte le teologiche scuole, benchè difese ed onorate dalla Chiesa; come ancora l' estrema facilità di credere e d' affermare che cogli eretici consentano necessariamente i teologi cattolici, che da essi dissentono. E tanto più dovea infiammarsi loro l' animo, perchè a tutti gli altri teologi cattolici dispiacevano le loro novità, e riprendevano quella tendenza a sottilizzare col discorso dell' umana ragione più tosto che attenersi semplicemente alla parola divina rivelata e tramandata; fecer anco condannare a quando a quando dalla Sede apostolica proposizioni estratte da' loro libri, o insegnate da loro in sulle cattedre. Così la fazione si trovò avvolta in una lotta accanita contro tutti; e nell' abbassamento di tutti osò da quell' ora sperare il proprio trionfo. Ed ecco ond' avvenne, che ne' due secoli, che precedettero a questo, quasi tutti i maggiori teologi della Chiesa si videro ingiustamente tacciati d' eresia, cioè di luteranismo, di calvinismo, di bajanismo e di giansenismo con infinito scandalo de' fedeli. Il venerabile Cardinal Bona n' andava dolentissimo veggendo il suo tempo pieno di sì orribili imputazioni; [...OMISSIS...] . Tanto più che la fazione, ad infamare e deprimere i più grandi uomini usava allora di tutti i mezzi, benchè indiretti, ch' ella avesse alle mani, massime dell' influenza che godea nelle corti. Onde avendole dato favore il P. Tellier, confessore di Luigi XIV, e non sano in tutte le sue opinioni egli stesso (2), fece proibire in tutta la Francia lo spaccio e la ristampa di un' opera d' uno de' più grandi e sani teologi di que' tempi, al quale il citato venerabile cardinal Bona persuase il silenzio, prevalendo negli avversarii della verità il potere. [...OMISSIS...] . E qual maraviglia che l' insigne porporato desse questo consiglio in un tempo in cui tutti potevano nel regno i confessori del re di Francia? E che a un bisogno sapean dire, come il P. La Chaise disse nel consiglio reale, [...OMISSIS...] era lodevole certamente che il re accordasse tanta confidenza a' direttori di sua coscienza: ciò mostrava la fede, e la religion sua; e dovea riuscire utilissimo alla Chiesa. Perocchè qual bene non avrebbero arrecato alla Chiesa que' direttori, se della loro potenza, che era acquisto legittimo de' grandi meriti di quella società religiosa a cui essi appartenevano, lasciati da parte i partiti, si fossero giovati solo in prò della Chiesa, e della pietà, e in estinzione delle eresie? Ma l' essersi essi dati in quella vece a favorire la fazione de' teologi, che, sgraziatamente eccedendo, avea nella sacra dottrina introdotte le sottigliezze dell' umano discorso, a queste affidandosi più che all' autorità dei maggiori, quanti mali non cagionarono; il minore de' quali fu la discordia sparsa nel seno della Chiesa! Poichè, chi era mai quest' uomo, che, come eretico giansenista, si perseguitava sì crudelmente? Non altri che quell' Enrico Noris, che non avea temuto di offendere i giansenisti per proclamare la dottrina insegnata dall' apostolica Sede (1) e che tuttavia prevedeva la persecuzione che l' aspettava (2); quel Noris che, denunziato più volte per eretico alla santa Sede, se n' era uscito sempre pienamente giustificato (3); quegli che avea risposto agli avversari, a giudizio di tutti i savj, in modo il più irrepugnabile (4); quegli, la cui opera erasi pubblicata coll' approvazione della suprema romana Inquisizione, e che da Clemente X era stato eletto qualificatore del sant' uffizio, era stato desiderato e chiamato a Roma da più altri Pontefici, in varii e delicati uffizi adoperato, e finalmente da Innocenzo XII, a scorno de' suoi calunniatori, della sacra porpora rivestito. Ma che? Nè pur tutto questo impedì che fin dopo morte fosse perseguitato dall' ostinata fazione dei teologi di cui parliamo; il che gli aggiunse la gloria di esser difeso dal sommo pontefice Benedetto XIV col suo famoso breve de' 31 luglio 174. all' Inquisitore maggiore di Spagna, col quale, narrando quel dottissimo Papa tutti i replicati e calunniosi assalti dati alla dottrina Norisiana, e come [...OMISSIS...] e annoverato altresì fra' presidenti della suprema romana InquisizŒone; riprende quell' Inquisitore per averne proibite le opere; e dimostra a tutto il mondo, qual sicuro rifugio e difesa ebbero mai sempre trovato appresso la Sede apostolica non solo le verità cattoliche di cui ella è maestra e custode; ma altresì i cattolici dottori calunniati, de' quali ella è madre, protettrice, condottiera. Le stesse calunnie di Bajanismo e di Giansenismo colle quali fu il Noris perseguitato, ricompariscono ogni istante nel secolo XVII: niun uomo grande, che non fosse della fazione, ne andava salvo; e accennerò due soli, ma solenni esempi, l' uno de' quali sarà Cristiano Lupo (1), lume chiarissimo dell' Agostiniana famiglia, e l' altro Pietro Soto, non minor gloria della domenicana (2): a' quali non valse nè la santità della vita, nè la eccellenza della dottrina, nè lo zelo ardentissimo per la purità della fede, nè i travagli per essa sostenuti, nè la benevolenza e la protezion de' Pontefici, non valse, dico, a far sì, che come Luterani e come Giansenisti non fossero iniquissimamente dilacerati. Continuò questo spirito nella fazione dei teologi di cui parliamo a produr fuori i suoi attossicati germogli, turbando la pace e la salutare concordia delle cattoliche scuole nel secolo susseguente XVIII, e l' illustre card. Giuseppe Agostino Orsi, ne mena alti lamenti nel volume XX della sua « Istoria Ecclesiastica (3) », osservando che quegli incessanti calunniatori sono spesso ignoranti a segno da non saper ben dire che cosa sia quel Giansenismo, del cui nome si valgono a denigrar l' altrui fama, onde si può dir loro con s. Gregorio, « Tacete igitur nec tam ignorantes, alios judicare velitis ». Troppo sono note le accuse date in cotesto secolo al Bellelli ed al Berti (4), dalla santa Sede giustificati e protetti, e ad innumerevoli altri illustri teologi (1). Si composero ben anco delle « Biblioteche (2) » e de' « Dizionarj , (3) » per infamare, quasi direi in corpo, quelli che era troppo lungo infamare per singulo. Delle quali calunnie, niuna ve n' ha più strana e più caratteristica di quella data dall' Arduino a tanti scrittori cattolici della Francia alieni dalla sua fazione, dei quali egli pretese avere scoperto e disvelato al pubblico niente meno che L' ATEISMO! (4). Nè le riprensioni e le condanne frequenti a cui soggiacquero questi infaticabili calunniatori, castigati dalla santa Sede apostolica, imparziale mantenitrice della verità, e insinuatrice di carità e di concordia, giovarono ad emendarli; parendo loro di conseguire colle acri loro censure fama di zelanti avversarii dell' eresia; e di potere più facilmente sotto un tal manto, diffondere il sistema loro, senza che nel fervor de' partiti se ne scorga il veleno; sia perchè le menti quinci e quindi appassionate non veggon chiaro, sia perchè rimane indebolita l' autorità de' pochi chiaro veggenti dal sospetto che facilmente s' ingenera nella moltitudine, non forse anch' essi sieno partigiani dell' errore. Erano già trascorsi più di sessant' anni senza che apparissero nella Chiesa di quelle accuse apertamente false e calunniose, che avevano sì rattristati i due secoli precedenti. La qual dolce tranquillità delle cattoliche scuole in gran parte dovevasi alla sapientissima bolla, con cui la santa Sede avea repressi i funesti attentati di Pistoia. Perocchè, determinando quella Bolla , sempre mai memorabile, in che precisamente consistesse l' errore, avea tagliate dalla radice le dispute che fossero potute insorgere in fra i cattolici; nè poteanvi essere più che due sole parti, quella de' figliuoli docili alla Chiesa, e quella de' manifesti refrattari alla sua parola. Che se l' incredulità del secolo, e le gelose sue pretensioni non avessero dato mano a' ribelli, questi si sarebbero spersi come la polvere al vento. Perocchè, ritrovavano tutti i cattolici di buona fede uniti fra sè, e certi di quello che dovean fare; ed incontro al corpo de' fedeli e de' pastori così ammaestrati e concordi, niun errore, che sempre è di pochi a principio, può mantenersi. Laonde le antiche discordie e calunnie cadevano in obblivione. Nè io avrei avuto mai necessità di rammentarle, non avrei avuto occasione di far sì dolorose riflessioni, e di pronunciare sì dure benchè amiche parole, se improvvisamente non si fossero veduti girare nel pubblico quegli opuscoli troppo oggimai conosciuti, ne' quali si mostrò di nuovo, teologicamente acconciato, lo spirito di razionalismo, insidiante, s' io non erro, alle più importanti verità di nostra fede, sotto coperta di difender la fede. Ed egli si mostrò coll' antico vezzo, che sol basta a farlo conoscere, dell' aperta calunnia. Perocchè piacque alla Provvidenza il permettere alla fazion di teologi che trovavasi così trascorsa nelle opinioni, e che non fu spenta giammai, che ella scegliesse l' umile mia persona a segno dell' ira sua, assalendomi; della qual nuova eruzione l' occasione fu questa. La sana dottrina della Chiesa insegna (1), avervi due forme di moralità, l' una libera , e l' altra necessaria : alla prima appartenere la nozione di lodevole e di meritoria, di colpevole e di demeritoria; alla seconda, soltanto quella di bene morale, di perfezione, di difetto e di peccato: coll' avvertenza però, che quanto all' immoralità necessaria, ella trae sempre l' origine da una causa libera sia nella persona stessa a cui aderisce, sia in altra persona; giacchè nè Iddio, nè il demonio, nè la natura sola creata buona da Dio, può mai esser causa necessaria d' una immoralità nell' uomo (1). La qual dottrina d' una parte dà al libero arbitrio quel che gli spetta, e dall' altra dà pure quello che le spetta alla grazia del Salvatore; e in pari tempo rende possibile il dogma del peccato originale consistente in una deordinazione della volontà umana, necessaria nel soggetto a cui aderisce, benchè libera nella prima sua causa, Adamo. Ancora, s' ella d' una parte abbatte intieramente gli errori degli antichi protestanti, dei Bajani e de' Gianseniani, che riconoscon nell' uomo solo un operar necessario, attribuendo a questo lode e colpa, merito e demerito, onde giustamente furono dalla Chiesa anatematizzati; dall' altra abbatte pure i contrarii errori de' Pelagiani e de' Razionalisti, che rifiutano di riconoscere qualsiasi moralità non proveniente dal libero arbitrio dell' uomo in cui ella si trova, e negano per necessaria conseguenza il peccato d' origine, benchè alcuni simulatamente il confessino; nè ammettono in modo alcuno, che l' uomo possa mai per sè soggiacere alla necessità del male, ma danno all' umana libertà, senza la grazia, il potere di evitare tutti quanti i peccati e di vincere tutte le tentazioni de' peccati, così rendendo superflua, non necessaria almeno, la sesta petizione dell' orazione domenicale; [...OMISSIS...] Or questo appunto cuoceva a' nostri teologi, l' ammetter noi una moralità necessaria, benchè da essa segreghiamo ogni nozion di lode e di colpa, di merito e di demerito. Essi all' incontro opinano, non avervi alcun atto umano che non sia essenzialmente libero (1), e poichè ogni atto morale dee essere umano, quindi non avervi moralità senza libertà. Dicono per conseguente, che il peccato originale ne' bambini non è peccato simpliciter (2), ma solo secundum quid; ed aggiungono ch' esso non suppone già alcun disordine nella volontà dell' uomo, ma che consiste semplicemente nella mancanza della grazia santificante in quanto ell' è dovuta alla natura umana secondo il primitivo ordine di Dio, e della quale essa natura riman privata per la colpa del primo padre (3). Nella quale loro dottrina mescolano più equivoci e contraddizioni che malamente nascondono il marcio che occultan sotto. Perocchè, se allorquando essi ricorrono all' atto umano e libero per ispiegare l' esistenza del peccato, intendessero semplicemente che ogni peccato, ogni disordine morale della volontà si rifonde in un atto libero, perchè da un atto libero dee esser sempre prodotto come da causa, e ad un atto libero si riduce ogni colpabilità di quel disordine; essi non direbbero altro, se non quello che noi pure diciamo; nè avrebber cagione di montare in sulle furie, siccome fanno sì sconciamente, contro la dottrina della Chiesa da noi esposta; avendo noi sempre detto, che ogni inordinazione necessaria della volontà ebbe una libera causa, e solo in causa, colpa s' appella (4). Quando poi sostengono che non si dà verun atto umano che non sia libero , errano sì sformatamente contro le prime nozioni della teologia, che vengono con ciò a negare la qualità di atti umani agli atti de' celesti comprensori, e dell' umanità sacratissima di Cristo e della Vergine assunta in cielo, che per essere necessariamente buoni non cessano dall' essere umani, e giunti anzi alla loro ultima perfezione. Il negar poi che fanno qualsivoglia moralità necessitata, trae dopo sè le più gravi conseguenze. Poichè o si parla di stato o di atto morale, e, per restringerci al male, su cui cade principalmente il discorso, o trattasi di uno stato, ovvero di un atto peccaminoso. Che v' abbia uno stato peccaminoso non possibile ad evitarsi dal libero arbitrio dell' uomo, è tanto di fede, quant' è di fede che sia uno stato peccaminoso quel dei bambini che non rinacquero nel battesimo, o quel de' dannati. Che poi vi possano essere degli atti peccaminosi di necessità, che sieno in sè colpevoli e demeritorii; questo da noi al tutto si nega. Quanto poi ad atti peccaminosi in sè (cioè involgenti un disordine nella volontà che li produce), e colpevoli e demeritorii in causa; questi s' ammetton da tutti i maestri in divinità. Di più, si distingua: o s' intende che tali atti sieno necessitati per modo che non abbiano mai avuto una causa libera almen fuori del soggetto che li pone, di maniera che non sia stato mai possibile alla natura umana l' evitarli; e tali atti non si danno certamente, poichè, come abbiamo detto le tante volte, anche il peccato originale fu evitabile un tempo dalla natura umana, cioè non dai bambini che lo ricevono, ma da Adamo che lo commise. Ovvero s' intende parlare di tali atti, che erano una volta evitabili nella loro causa rimota, ma accade che nol siano più all' istante in cui opera la causa prossima, cioè la volontà in certe circostanze e tentazioni così disposta a produrli; e questi da noi sono ammessi, sempre che se ne rifonda la colpabilità nella causa libera (1). E i nostri teologi fan le viste almeno di negare i peccati necessarii anche in questo senso. Ma quante ree conseguenze indeclinabilmente procedono da una tale loro dottrina? Per sostenerla essi debbono dire, che il libero arbitrio può sempre da sè solo, senza la grazia, evitare tutti i peccati; e questo sembra marcio pelagianismo. Poichè se accordassero che il libero arbitrio senza la grazia non può talora evitare il peccato, accorderebbero in pari tempo quel che voglion negare, darsi il caso di peccati necessarii. Vero è che ricorrono a dire, che quando sono necessarii, già non sono più peccati. Ma se non sono peccati, dunque l' uomo non è obbligato d' evitarli, dunque non ha bisogno della grazia, perchè senza la grazia è già interamente difeso dal peccato col solo libero arbitrio; giacchè tutto ciò che supera le forze del libero arbitrio non è peccato. Noi diciamo che tali azioni sono in sè stesse inordinazioni della volontà , e quindi peccati, benchè non sieno colpe se non nella loro rimota libera causa. Ma essi non riconoscono alcun male morale nella inordinazione di fatto della volontà , e riducono la nozion del peccato stesso a quella della colpa. E perciò non posson dirci, se voglion essere coerenti, che si diano peccati in causa; che sia un peccato in causa, a ragion d' esempio, quello di colui che pecca necessariamente perchè trascura per sua libera volontà l' orazione che gli darebbe forza ad evitare il peccato, perchè in tal caso riconoscerebbero che l' atto peccaminoso nella sua causa prossima è necessitato; e quindi che si danno de' peccati attuali in questo senso necessarii, il che essi mostran negarci. Oltredichè, se quando opero necessariamente non fo alcun male morale, perchè avrò il debito di pregare? perchè di cercare quelle forze che non ho, e senza le quali non pecco? Che si dia l' obbligazione di usare tutti i mezzi possibili per evitare ciò che è male, s' intende; ma per evitare ciò che non è male, non s' intende. Chi riconosce una inordinazione della volontà , un male morale in un' azione contraria alla legge, può ammettere l' obbligo di evitarla con tutti i mezzi, pena il rendersi COLPEVOLE se non gli adopera; ma chi non vede in tale azione alcun male, non può riconoscere nè pur COLPA in colui che li trascura. Laonde la loro dottrina rende gli uomini inerti e pigri a cercare coll' orazione e con altri mezzi gli aiuti divini, potendo essi sempre dire a propria scusa, che se fanno qualche azione opposta alla legge per impotenza dell' opposto, non è finalmente male alcuno, onde niun dee prendersene scupolo; che anzi, non essendo male alcuno ciò che non si può colle proprie forze evitare, nè pure dee dirsi dalla legge vietato. Il qual principio fu certamente, chi ben considera, una delle funeste cagioni da cui nacque il lassismo, fu cagione, segreta o palese non importa, di quella morale che tanto facilmente dispensa gli uomini dall' adoperare i mezzi necessarii a preservarsi da' peccati, massimamente se costano qualche grave o anche piccolo incomodo (1), o, com' aggiungono disonore, condannata più volte da' Pontefici, e raccolta tuttavia dal P. Giumenio (2) in quel libro, che fu pure condannato col breve d' Innocenzo XI del 16 settembre 16.0. Quando poi pretendono che l' uomo, qual nasce presentemente, non rechi seco corruzione alcuna nè nella volontà, nè in altra potenza, distruggono manifestamente il dogma del peccato originale, e, a mio parere, di nuovo convengono co' Pelagiani; onde, scavando il fondamento della fede, gettano quello del razionalismo. Nè giova loro cosa alcuna il tenere tenacemente le frasi cattoliche (benchè non sono sempre sì vigilanti che non si tradiscano in favellando), essendo la Chiesa nelle sue difinizioni assai più sollecita del senso che non delle parole; perchè, [...OMISSIS...] , come dice sant' Ilario, [...OMISSIS...] . Questa medesima dottrina poi che dichiara la natura umana sana in tutte le sue potenze, ottimamente armoneggia colla precedente nelle perniciose conseguenze morali ed infausti effetti. Perocchè anch' essa non distrugge solamente il dogma, ma anco la buona morale che col dogma è intimamente connessa, ed eccovi per qual via. Non riconoscendo cotesti teologi difetto alcuno nelle facoltà e tendenze dell' umana natura, essi giustificano e coonestano anche la concupiscenza tale quale ella si trova presentemente nell' uomo. Di che consegue, che tutti gli atti suoi sieno naturalmente buoni e per sè onesti. Quindi una seconda ed ampia cagione di quel lassismo, che pur troppo provocò la reazione del non meno pernicioso rigorismo. Da tal fonte in fatti provenne, che si giustificò il mangiare ed il bere pel solo fine del diletto, argomentandosi che essendo buono l' appetito naturale, si poteva ben godere de' suoi atti; onde il papa Innocenzo XI fu costretto di condannare la proposizione [...OMISSIS...] che è l' ottava di quelle dannate con suo decreto del 2 marzo 1679. Lo stesso si sostenne dell' uso del matrimonio, in cui non si volle riconoscere neppur venialità, se al fine del solo piacere rivolto; sentenza condannata nella proposizione 9 dallo stesso Pontefice, [...OMISSIS...] . Era conseguente ad una tale dottrina, che la fornicazione stessa, e fin anco la ributtante mollizie, fosse dichiarata per sè stessa onesta da cotali teologi patrocinatori della natura incorrotta, e proibita solo dalla legge positiva, senza la quale, essi giunsero a tale amenza, da dichiararla alcuna volta obbligatoria, sotto pena di peccato mortale, quasi che la legge positiva di Dio potesse vietare ciò che fosse, secondo la natural legge, così obbligatorio, come essi s' esprimono nelle due seguenti orrende proposizioni condannate collo stesso decreto: [...OMISSIS...] . Chi non sa che ad eguali cause rispondono eguali effetti, e che da uguali principii nascono uguali conseguenze? Chi non vede, che come dall' antico pelagianismo venìa la licenza de' costumi, così ella venne pure dal nuovo; muovendo tanto Pelagio, quanto i moderni teologi di cui parliamo, dallo stesso principio, che la concupiscenza con cui or nasce l' uomo non abbia in sè niente di reo, per esser ella un mero appetito naturale non punto disordinato, e che [...OMISSIS...] ? Chi non s' accorge che a tali teologi si possono giustamente rivolgere, senza far loro torto, le stesse parole che sant' Agostino rivolgea ai Pelagiani dei tempi suoi: [...OMISSIS...] Senonchè, hanno forse mai gli antichi Pelagiani cavate tante ree conseguenze sovversive de' costumi e di ogni umana società dal principio che la concupiscenza è un appetito naturale che non ha in sè alcun disordine, e dall' altro, che « licite potest appetitus naturalis suis actibus frui », quante ne cavarono i moderni teologi sotto coperta sempre di far guerra all' odiosissimo Giansenismo? L' amore delle ricchezze, delle comodità, dell' onore e d' ogni altro oggetto della concupiscenza, divenne cosa onesta anche eccedendo i confini della legge naturale e divina, perchè l' appetito naturale può di sua natura lecitamente soddisfarsi. Quindi tali teologi disobbligarono gli uomini dagli atti delle virtù teologali costando essi qualche cosa alla concupiscenza (2); li disobbligarono dall' amare il prossimo, purchè fingessero d' amarlo con atti esterni (3); che anzi, per cagione di qualche eredità o altro bene temporale, permisero loro di desiderar l' altrui morte, foss' anche de' proprii genitori, e fin di godere d' averli uccisi nell' ubbriachezza (essendo necessitati in tal caso e però ottenendosi l' intento senza peccato (4)) per raccoglierne le grandi ricchezze, giacchè l' appetir queste è naturalmente onesto (1); e per l' appetito di esse o de' beni che seco adducono, non dubitarono disobbligarli ancora dall' elemosina (2); permisero loro altresì, per soddisfare la naturale e innocente tendenza al ben temporale, di mentire, d' usare restrizioni mentali, di spergiurare, di simulare l' amministrazione de' sacramenti (3), di uccidere (4), di calunniare (5), di procurare l' aborto (6), di rubare (7), di commettere simonia (1), di tener mano all' altrui libidini (2), e di commettere in una parola ogni specie di furfanterie e di scelleraggini, con infinito scandalo degli eretici stessi, e degli empii. Non vi sono più oggimai, io voglio credere, teologi che osino apertamente sostenere queste turpissime conseguenze dai sommi Pontefici fulminate; ma perchè dunque non si abbandonano altresì i principii ond' esse derivano? perchè un Eusebio Cristiano e i suoi seguaci e difensori insegnandoli ne menan vanto e trionfo, ed osano applicare il titol d' eretici a quanti da loro discordano? Ella è cosa deplorabile a veder la maniera colla quale tali teologi sostengono le proprie dottrine e si fanno a refutare le altrui. Vi si ravvisano riprodotte pur troppo le maniere orgogliose de' loro predecessori, e l' imitazione dell' arti degli eretici. A questo segno si può ben conoscere qual sia lo spirito loro; e noi crediamo necessario di chiamare anche su di ciò l' attenzione del pubblico. Abbiamo accennato, che molte eresie nacquero dallo zelo indiscreto ed amaro, con cui alcuni uomini, per lo più di chiostro o almen di chiesa, tolsero a combattere altre eresie, cadendo nell' eccesso opposto. Così Ario pretese di far guerra a Sabellio, e rovesciò nell' error contrario; così Eutiche presalasi indiscretamente con Nestorio, si fece autore dell' opposta empietà; così Pelagio vantavasi di far fronte col suo perverso sistema al Manicheismo. Può essere, che a principio vi avesse in alcuni dello zelo, vi avesse della buona fede; ma non era in tali uomini carità; quindi caduti in errore, vi s' indurarono, e l' errore suggellato dalla caparbietà contro le decisioni della Chiesa, divenne nuova eresia, non men funesta al mondo di quelle che prendevano ad impugnare. Laonde qual maraviglia, se la fazione de' teologi di cui parliamo nata da buon zelo d' opporsi alle novità protestantiche, degenerato poscia il suo zelo in accanimento e superbia, e rimescolate tante passioni, si veda ora, dopo tre secoli, uscita alquanto dal giusto confine? Certo, che a quel modo che gli Ariani calunniavano i cattolici di Sabellianismo, ed Eutiche li dicea Nestoriani, e Pelagio gli accusava d' essere Manichei (1); così que' teologi moderni continuano a pigliare per loro caval di battaglia, come i loro predecessori, il Protestantismo, il Bajanismo e 'l Giansenismo, ed ella è dolorosa cosa a vedere, come, senza rispetto alla verità od alla carità, ne appongano altrui la colpa, o se non posson di più, ne faccian rumore, ne diffondan sospetti. Il che ben dimostra altresì quanto sieno alieni dalla vera ubbidienza alle leggi della Chiesa. Perocchè quante volte i sommi Pontefici non s' opposero alla temerità, colla quale i teologi inclinati al razionalismo accusavano di Bajanismo e di Giansenismo tutti quelli che non andavano loro al verso, non solo pigliando le difese de' calunniati, come vedemmo, e astringendo i calunniatori a ritrattarsi (2); ma ben anco divietando con solenni decreti di dare appellazioni così ingiuriose a chi non tiene le proposizioni da lor condannate! Così fece Innocenzo XI con Decreto de' 2 marzo 1679. Così fece Innocenzo XII col suo Breve de' 6 febbraio 1694 ai Vescovi del Belgio ordinando loro, [...OMISSIS...] . Ma, non essendo state sufficienti tali ordinazioni a contenere i falsi zelanti, Clemente XI dovette pubblicare la sua Bolla, che incomincia « Pastoralis », de' 2. agosto 171., nella qual dice, [...OMISSIS...] . Le quali parole gravissime che valsero? Hanno forse obbedito almeno a sì minaccevole Bolla i teologi inclinati al razionalismo? Hanno deposto quel loro « consuetum calumniandi modum », di cui parla il Pontefice? Non vel crediate. Onde Clemente XII si vide di nuovo costretto a pubblicare contro di essi un' altra costituzione, che incomincia « Apostolicae providentiae officio » del 2 ottobre 1773, nella quale deplorando le loro tenebre dice: [...OMISSIS...] , e passa a reprimere le calunnie, imponendo pene a' calunniatori. I quali non cessarono perciò di vessare colle nere tacce di Bajanismo e di Giansenismo le due preclarissime scuole Tomistica e Agostiniana; di che Benedetto XIII colle sue lettere in forma Brevis , che incominciano « Demissas preces » a tutti i Frati dell' ordine de' predicatori, scrivea confortandoli, [...OMISSIS...] . Ed ora, in questo nostro secolo, questi figliuoli di dissensione , secondo la frase di Clemente XII; questi diffonditori di tenebre, tenendo sè stessi nelle tenebre, mandano pure alla luce nuove calunnie, ripigliando il gioco de' loro antenati, e nella piena pace della Chiesa, seminano altre discordie; nel che sono tanto più riprensibili, quanto che non ne fu loro data nessuna, nè pure apparente, cagione. Conciossiachè quelle sentenze che essi dichiarano infette degli errori proscritti, non hanno nè pure qualche analogia coi sistemi di Bajo e di Giansenio. [...OMISSIS...] (1). Si osservi dopo di ciò che lo stesso riprovevole artifizio che movea gli eretici ad opporre a' cattolici la taccia d' eresia, li conducea pure a spacciare per soli cattolici sè medesimi. Ed anche di questo mal costume veggonsi deplorabili imitazioni nel recente attentato de' nostri teologi anonimi. E in vero asserendo il finto Eusebio Cristiano che tutti i cattolici sostengono la sua opinione (2), egli già dichiara con ciò accatolici quanti rifiutano d' opinare con lui. Collo stesso tuono insolente e temerario vanno scritti i libricciattoli che ogni dì si moltiplicano de' suoi seguaci. Specialmente pretendono di formar essi soli il corpo de' teologi italiani; e fra i colpi di mano che provano la loro miserabile destrezza, accennerò quello con cui, sorpresa la buona fede di un giornalista oltramontano, gli fecero inserire un articolo che incomincia con queste parole: [...OMISSIS...] (1). Più tardi questo giornale, l' « Union », avvertito della sorpresa che gli si fece corresse il suo articolo (2). Ma quell' articolo si rimarrà tuttavia un monumento di più dell' arti infami della fazione de' teologi nostri razionalistici. Questi dunque parlano in quell' articolo com' essi fossero tutta l' Italia, e come altri teologi non v' avessero fuori del loro numero. Ma qual è questo numero? Nessuno lo sa in Italia. Quali sono almeno i loro nomi? di grazia, si pronuncino; udiremo le cime della teologia italiana. Non è così; nessuno in Italia li può nominare, perchè han vergogna di manifestarsi, [...OMISSIS...] . Alcuni ANONIMI diffondono in secreto de' libercoli, de' quali gli spropositi furon messi supini alla luce del sole: eccovi tutti i teologi d' Italia di cui parlò l' « Union » senza conoscerli, o, per dir meglio, che parlarono nell' Unione! E qui, giacchè me ne si dà l' occasione, e men cade la necessità, farò quello che altramente parrebbe offendere la modestia: invierò cioè i miei pubblici ringraziamenti al chiarissimo sig. Federigo Del7Rosso, professore di pandette nella regia università di Pisa, e al signor dottore in teologia abate Gio. Fantozzi, i quali poco fa s' aggiunsero difensori alla santa causa del vero e della divina religion nostra (1). E che la causa presa a difendersi contro gli sconosciuti teologi, dopo che da tant' altri (2), da questi due valent' uomini, non sia la mia personale, ma quella della verità e della sana dottrina, provalo anche il non esser io a lor conosciuto di volto, nè di letteraria corrispondenza; e il non aver essi temuto d' affrontare quella sottilissima maldicenza (parlo di cosa pubblica), che non pur si pratica colle stampe, ma ancora, a guisa di lubrico serpe, s' insinua per le rime e per gli pertugi, nelle case de' grandi del secolo che più professan pietà, e in quelle dei religiosi e fin delle religiose, e le contamina di suo veleno. Imperocchè quegli uomini dotti, e di soda religione forniti, non occultarono già al pubblico vilmente i loro nomi; chè il difensore della verità non ha cagion di vergogna; e la verità stessa, massimamente poi la cattolica verità, conforta siffattamente il suo campione, che gli fa piacere l' obbrobrio che dovesse per lei sostenere. Gli stessi ringraziamenti poi e le stesse lodi da me si debbono al chiarissimo sig. canonico e teologo don Lorenzo Gastaldi (3), e all' ottimo mio confratello e missionario apostolico don Gio. Battista Pagani (4), i quali, animati dallo stesso zelo purissimo per la sana dottrina, negli opuscoli coi quali la difesero, impugnando l' error contrario, esposero pure lealmente i loro nomi, e quasi le loro fronti agli insulti di quelli occulti, che di soppiatto coi mezzi più illegittimi le fanno guerra. Se dunque si dovessero allegare i teologi italiani , questi per fermo potrebbero addursi in mezzo per italiani teologi, ed altri che scrissero nella stessa sentenza, di cui si conoscono i nomi onorati e la dottrina; nè parrà mai ragionevole che s' arroghino di essere soli rappresentanti de' teologi italiani alcuni pochi, di cui s' occulta il nome, si sentono i vanti, si ammira l' ignoranza, si abborriscon gli errori tali da far credere, che piuttosto che de' teologi, degli increduli beffardi sotto le loro maschere si nascondano (1). Conciossiachè cotestoro, benchè invitati replicatamente a manifestarsi, continuano a tenersi carissime le loro tenebre, e a mandar fuori i loro scritti senza data di luogo e di tempo (2), e senza nome, ovvero con nome finto e vanaglorioso, o con nome segnato a sole iniziali, le quali, giudicandosi dallo spirito d' errore da cui sono raggirati, si dovrebbe credere che mentiscano anch' esse. Nel qual loro procedere continuano a dimostrare la falsità dello zelo che ostentano per la religione, imitando nuovamente gli eretici nel disprezzo delle leggi della Chiesa e de' sommi Pontefici, giacchè Clemente VIII, e di nuovo ultimamente Leone XII, ebbero decretato che non si stampi alcun libro, il quale non porti in fronte il nome, il cognome e la patria dell' autore, o, se vi è giusta ragion di tacerlo, il nome almeno del censore ecclesiastico che abbia esaminato il libro ed approvatolo (1). Ed or, a malgrado che noi, rispondendo ad Eusebio, l' abbiamo di tale disubbidienza alla Chiesa ammonito (2), i suoi seguaci e discepoli non per tanto vanno innanzi dello stesso tenore, facendo così conoscere se sia la Chiesa che stia loro in sul cuore, le cui leggi conculcano ad occhi aperti; o più tosto quel reo partito in cui si sono ostinatamente collegati, da alcuni sostenuto, il confesso, sol per cieca consuetudine, e, per passion presa, a corpo morto difeso. Ma quello che è più singolare si è, che, quantunque incogniti, menan alti clamori, che io non tratti con esso lor dolcemente. Che significato ha mai questo lamento in bocca di persone occulte? Chè, appunto da ciò stesso che stanno celati, ogni discreto può ben convincersi, che a disvelare quel veleno di razionalismo pratico che fa lor dire tanti errori, non mi muove animosità personale; e che se talora adopero, traendolo in aperto, delle maniere forti di dire (entro i confini però del giusto e del vero), queste non feriscono persone determinate, ma sono v“lte ad eccitare gl' incogniti, qualunque sieno, ed a scuoterli, acciocchè veggano, se non traviarono ancora del tutto, quanto irreligioso, quanto deforme e pernicioso a sè stessi sia il loro procedere, quanto erronea la loro dottrina, e salutarmente se ne vergognino. Certo non potevo io credere al cominciamento di questa lizza, nè l' avrei creduto giammai quand' anco me l' avesser giurato egregie persone, che ci covasse sotto un impegno di molti congiurati alla diffusione d' un irreligioso sistema: alla possibilità di questo fatto non ci avevo pensato mai. Laonde, allorchè a' miei orecchi pervenne il rumore d' un opuscolo che censurava un' opera mia, non avendolo io ancor veduto, diffidai grandemente di me medesimo, conscio d' essere troppo fallibile, e mi consolai insieme colla mia fede; mi consolai pensando che il cuor mio e l' anima mia non avea professato, nè professava altra dottrina da quella in fuori della Sede apostolica, quand' anco mi potesse essere sfuggita dovecchessia qualche espressione od opinione inesatta per ignoranza od inavvertenza (1), ed ero troppo disposto a dir loro con sant' Agostino, [...OMISSIS...] (2). Ma veduto poscia il libello del finto Eusebio, insiem col pubblico che ne portava simil giudizio, nè pur io vi scorsi altro che un meschinello che s' era riscaldato non poco il capo. Nella Risposta adunque e gli additai gli errori contro la sana teologia ch' egli evidentemente prendeva, e gli mostrai che tutti i dottori ch' egli citava, probabilmente sull' altrui fede, dicevano espressamente il contrario di quello ch' egli loro metteva in bocca, e sopra tutto mi lamentai com' egli avesse addotti tanti brani delle mie opere tronchi, alterati, evidentemente male interpretati ed intesi, lasciandogli poscia aperto il campo ad una ritrattazione, qualora fosse di buona fede; la quale, se sempre è onorevole e doverosa a quelli che sbagliansi a pubblico danno, niente poi dovea costare ad uno incognito. E però io speravo ch' egli avrebbe dato al mondo questa prova, che ciò ch' egli avea scritto in un modo cotanto alieno dal vero e dal convenevole, non era stata l' opera dell' impostura, nè ci covava alcun reo disegno. Ma andò fallita la mia speranza. In quella vece ammutolì ben egli, ed una sola scusa non fece o alle dottrine falsamente attribuitemi, o agli altri suoi propri sbagli. Del che, pazienza; chè il suo silenzio potea valere in vece di parole di pentimento. Ma quale fu poi il mio stupore e il mio disinganno al vedere uscire ben presto in pubblico uno sciame di altri anonimi, i quali, dissimulando in tutto o nella maggior parte, e più sostanzial delle cose, le ragioni evidentissime colle quali io avea convinto Eusebio d' innumerevoli falsità di fatto e di dogma, si fecero a ricantare le stesse menzogne, e ad inserire gli stessi semi, alla cattolica fede sì funesti, di pelagianismo e di razionalismo? Questo avvenimento m' aperse gli occhi, e mi spiegò tanti altri fatti della teologica storia degli ultimi secoli, di cui io non avevo mai c“lto bene il segreto. Certo nè io conobbi allora, nè conosco adesso chi sia l' uomo che si ascose sotto il finto nome di Eusebio Cristiano, nè di conoscerlo nutro vaghezza. Quanto poi agli altri anonimi, che gli sottentrarono nel tristo arringo da lui aperto, e dov' egli cadde, niuno d' essi conosco, almeno con certezza, non prestando io intiera fede alle voci che pur ne corsero. Anzi, troppo persuaso a mie spese, che i calunniatori non mancano, quanta non ho io ragion di temere, che anche le persone additate siccome autrici di quegli indegni libercoli, sieno segno di scellerata calunnia? Comecchessia la cosa, che lascio al giudizio di Dio, e vorrei nasconderla, se per me si potesse, a quel degli uomini, egli è troppo chiaro che non trattasi più di un individuo accidentalmente ingannato; trattasi di molti associati nei medesimi sentimenti, collaboranti al medesimo fine; trattasi di una fazione non surta adesso, di un sistema di dottrine tradizionali, il cui effetto, se prevalesse, sarebbe quello (ne abbiano essi coscienza o no), di scavare, come accennammo, il fondamento alla religion rivelata, qual è il dogma del peccato d' origine, di render vana la morte di Cristo, vani i sacramenti da lui istituiti, il che è quanto dire di rovesciare il Cristianesimo, la cattolica Chiesa, e quella stessa pietra, su cui ella è fondata. Non dirò io esser questo lo scopo conosciuto e voluto dagli scrittori anonimi di cui parlo, ma dirò che questo è l' effetto inevitabile di loro dottrine; ed egli è oggimai necessario che sia pienamente conosciuto al pubblico: nell' avvenuto scorgo la Provvidenza che il vuole. Scrivo adunque, ubbidendole; scrivo, rispondendo a degli scrittori inetti che non meriterebbero ch' altri entrasse con essi a tenzone, mentre taccio con altri, benchè dotti, che mi onorano di loro osservazioni in altri argomenti scientifici, perchè coi primi pericola la causa della fede e non co' secondi; scrivo senza aspettazione di lode che in altre materie potrei forse raccogliere; scrivo, interrompendo il corso d' altre mie doverose occupazioni, e privando a tempo il pubblico di quello che da me aspetta e che gli promisi: scrivo, a malgrado dell' indifferenza di questo secolo in opera di religione, che, penetrata ne' buoni stessi alla loro insaputa, son presti a darvi biasimo dell' entrar che facciate in questioni teologiche, per quantunque importanti, importanza che essi non veggono; scrivo a malgrado di que' prudenti, che temon sempre, e consiglianvi o fuggir tali brighe, più solleciti d' una falsa pace, che della madre della pace vera, la verità; scrivo, non ignaro delle persecuzioni che tale scrivere seco adduce, rassegnato a patir quelle che mi s' aggiungeranno, come a Dio piacerà, alle patite sin qui; scrivo, conoscendo quanti sieno per farsi a me giudici colla leggerezza che è il carattere dei tempi, senza precedente dottrina, senza usare di bastevole studio, senza ponderare le mie parole, senza intenderle; scrivo in somma ripugnandomi l' inclinazione, il dover comandandomelo, non per odio d' altrui, non per amor di me stesso, se ben m' intendo; ma solo per la causa di Cristo, della sua croce, della sua Chiesa, de' suoi sacramenti, a cui l' uomo inimico sempre fe' guerra, ed ora la trama più sottil forse e più insidiosa che mai coll' insinuare il più cavilloso razionalismo nel seno stesso della Chiesa. Chi avrà letto la « Dottrina del peccato originale » contro il finto Eusebio, e le « Nozioni di peccato e di colpa », contro il primo articolo dell' « Esame critico7teologico », ed avrà meditato le osservazioni che que' due miei scritti contengono, già si sarà pienamente convinto che pur troppo oggidì si spacciano presso di noi delle dottrine razionalistiche, corrodenti i visceri del Cristianesimo. Laonde intenderà agevolmente la cagione, il bisogno di questo terzo opuscolo, che continuandosi a que' primi apertamente le sveli, e quasi le denunzi a' pastori della Chiesa. Ci danno poi occasione d' innalzare questo terzo grido ai custodi d' Israello, i nuovi articoli usciti, che senza saper replicar cos' alcuna a quello che noi abbiamo risposto, seminano gli stessi errori, tenendosene sempre occulti gli autori. Uno di essi, che si mantella sotto le lettere iniziali C. B. P., ne stampò due a Firenze (non avendoli potuti stampare in Roma) all' insegna di Clio (1.41) contro i teologi piemontesi compilatori del « Propagatore religioso », che avean reso al finto Eusebio quella giustizia che si meritava. Fu risposto al primo vittoriosamente dal signor teologo Gastaldi. Mi giunse or solo alle mani il secondo, benchè stampato da più d' un anno; chè l' autore, o quelli che il fecero per lui stampare, secondo la tattica loro propria di operar sempre per vie segrete, ne ritrassero tutti gli esemplari in Roma; ed ivi solo, per quanto io so, cautamente il diffusero, sperando che, non essendo ivi io presente potessero farvi qualche breccia, prima che ne pervenisse a me la notizia, quasichè nella capitale del mondo cattolico si potessero con tutta facilità vendere i pruni per melaranci. A' quali articoli di C. B. P. uscì compagno l' articolo secondo (1) dell' « Esame critico7teologico », non so se anteriore, posteriore o contemporaneo, perchè l' autor di questo, più pudico ancora del suo confratello, nascose col proprio nome anche il luogo e il tempo fin della stampa. Ed a questi pubblici attacchi non si cessa mai d' accompagnare i privati, secondo il costume anche qui delle sette ereticali: lettere artificiose, maldicenti parole, [...OMISSIS...] , per usare le parole che s. Girolamo rivolse ad Elvidio, [...OMISSIS...] ; non finendo poi di amplificare con aria di religiosa riverenza i grandi uomini, che sono quelli che, sotto coperta di straziar me, strazian la Chiesa; i quali per pura modestia si turano il viso; chè forse non li offenda del sol la luce. Ma deh che mai fanno con tali vanti di grandezza, se non invitare gli occhi del pubblico a misurarne la piccolezza? e in vece di crescer credito alle ree dottrine, discreditarle? Perocchè, di che statura sien quelli che le seminano, fingendosi miei oppositori, ognuno il può ben vedere, anche ignorandone i nomi, giacchè non occultan perciò nè l' intrinseca erroneità delle loro scritture, nè i difetti accessorii, la triviale erudizione, il tuon magistrale con cui pronunciano tante inezie, e quelle stiracchiate argomentazioni, su cui C. B. P. specialmente (che per brevità d' or innanzi citeremo colla sua prima lettera C) sospende quasi sull' eculeo il lettore; che da vero, volendo io celiare, se me ne restasse vaghezza in tanta gravità di cose, direi che quel mio gaio parente di Girolamo Tartarotti, aggiungerebbe, vivendo, qualche ottava per celebrarle, al suo famoso poemetto delle « Conclusioni ». Il signor C. poi va sì d' accordo coll' Anonimo autore dell' « Esame critico7teologico », che lo ricopia, se non è ricopiato, ne' sofismi, negli sbagli, nei bassi costumi, nelle frasi pedantesche del dire; sicchè rifiutato l' uno, è rifiutato anche l' altro; nè gli errori e i costumi d' entrambi differiscono poi da quelli del finto Eusebio, di cui prendono a sostenere la causa perduta, quantunque insieme l' onorino del titolo di linguacciuto (1), e con gravità l' esortino « « ad adoprare più blandamente »(2) ». Esaminando adunque tali opuscoli e le loro accuse, darò un nuovo saggio del rincrescevole fatto, che giova avverare, cioè che anco nelle scuole teologiche, anche in questa nostra Italia, le razionalistiche dottrine, se non s' accorre al riparo, vanno dannosamente introducendosi. Ma prima d' additare al pubblico questi nuovi documenti di fatto, prima di dimostrare come i recenti teologi accusino di bajana e di gianseniana la dottrina stessa cattolica, affine di far prevalere il razionalismo nelle scuole della sacra teologia; io debbo scaltrire il pubblico, di nuovo, contro la lor mala fede, che è il principale, anzi l' unico nostro avversario, alle seguenti cautele richiamando tutti quelli che bramano conoscere il vero. 1 Che ogni qual volta gli occulti teologi espongono le nostre opinioni, essi non sono degni di fede; ed io rigetto tutte in fascio quelle ch' essi ci appongono, perchè non ve n' ha forse una sola che non sia da essi inventata, o alterata, tale quale la producono: 2 Che io chiedo all' equità pubblica di essere giudicato sui miei proprii scritti e non sui laceri brani ch' essi n' adducono e commentano con suprema malizia: 3 Che venga osservata la dissimulazione che essi fanno degli argomenti irrepugnabili da me addotti contro di loro negli scritti precedenti, ai quali essi mai niente risposero. Dopo di ciò merita, che si osservi la cavillosità del loro argomentare, massime quando maneggiano quell' arma che dicevamo così favorita agli eretici, d' apporre altrui falsamente la taccia o il sospetto dell' eresia contraria a quella a cui essi pendono: un esempio schiarirà meglio quanto vo' dire. Alla faccia 361 dell' « Antropologia », io scrivea, che [...OMISSIS...] Nella « Risposta poi ad Eusebio », faccia 253 scrivea pure: [...OMISSIS...] Or il C. sente in questi due brani odore di Giansenismo! Perocchè nota, ecco il cavillo, che con inesattezza di parlare io adopero le parole contrario e contraria , in luogo di contraddittorio e contraddittoria , come appunto pure fecero i Giansenisti, di che conchiude altresì, che io confondo una cosa coll' altra: [...OMISSIS...] . Ma dove riesce questa sì frivola cavillazione? Ad accusare non più me, che i santi dottori della Chiesa, e i Concilii ecumenici, che han fatto sempre lo stesso uso della parola contrario . S. Tommaso in un luogo de' molti dice: [...OMISSIS...] ; e il sacro Concilio di Trento adopera il medesimo modo di favellare ogni qual volta scrive, [...OMISSIS...] . Onde applicando le parole con cui tosto appresso il C. riprende una maniera, a suo parere, sì impropria, dovrebbesi dire: [...OMISSIS...] Siamo adunque nuovamente ridotti a difendere s. Tommaso e il sacro Concilio di Trento contro il C., come li abbiamo dovuti difendere contro il finto Eusebio, e gli altri innominati, senza alcun pro finora per essi, ma con qualche pro, io voglio sperare, pe' fedeli, a cui vantaggio scriviamo. Quanto dunque al « « confondersi l' una cosa coll' altra, » » io dimando, se ne' luoghi citati del sacro Concilio, di s. Tommaso, e del minimo discepolo e figliuolo della Chiesa, il Rosmini, la parola contrario abbia dell' equivoco, ovvero esprima men chiaramente un sentimento cattolico? Non vi può essere nessuno che ne dubiti; giacchè la parola contrario negli addotti luoghi non ammette che un solo senso, e questo cattolicissimo. Dunque il finto Eusebio ed il C. non possono accusare di confondere una cosa coll' altra nè il Concilio di Trento, nè il Dottore angelico, nè quanti usano delle loro maniere di favellare. Ma se non v' ha confusione d' idee nell' uso che della parola contrario fanno il sacro Concilio ed i dottori della Chiesa, tuttavia, insiste il signor C., vi ha [...OMISSIS...] . Prima di rispondere, farò osservare che qualora ciò fosse (e non gliel accordiamo certamente), non tratterebbesi più d' inesattezza che abbia odore di giansenismo, ma di difetto grammaticale; poichè, riuscendo la proposizione chiara e vera, cessa ogni possibile censura sulle cose, e non restan inesatte che le parole. Così il C. confonderebbe la teologia colla grammatica. Ma non si può conoscere a pieno la frivolezza de' cavilli che usano i recenti nostri teologi, se non rivedendo tutto per disteso il processo che il C. fa addosso a quelli che ad imitazione dei Giansenisti, usano la parola contrario nel senso dell' Angelico e del sacrosanto Concilio; i quali tutti, nella povera persona mia, compariscono per rei convenuti. Egli comincia assai bene; perocchè stabilisce, che [...OMISSIS...] . - Che è questo che dite su? Potrebbe egli essere un artificio ereticale quello di seguire una regola sicurissima , ed un canone ricevuto da tutte le scuole? L' imputar questo agli eretici, è egli un confutarli, o non più tosto uno sgagliardire la causa cattolica esponendola alla derisione? Sarebb' egli forse questo il vero vostro scopo, mio signor teologo? Chi vuole abbattere efficacemente i gianseniani e gli altri eretici, non dee riprenderli di seguire una regola sicurissima e da tutte le scuole cattoliche ammessa, anzi dee mostrar loro che se n' allontanano, anche dove fanno le viste di seguitarla. Ma che ha poi da fare questo colle colpe che il C. trova nell' uso della parola contrario fatta da me, non sull' esempio de' Giansenisti, ma su quel della Chiesa? - Non manca la relazione. Acciocchè il peccato, di cui mi vuol reo, d' aver seguita la Chiesa nell' uso della parola contrario , appaia più smisurato, egli osserva, che quand' anco in vece di contrario , io avessi usato contraddittorio , non gli sarei sfuggito di mano. Perocchè avrei sempre usato d' un miserabile artificio de' Gianseniani che in perfidia e in mala fede non hanno pari; i quali, per eludere le bolle pontificie, prendono spesso a far uso di una regola sicurissima , e di un canone ricevuto da tutte le scuole! Per più sicurezza adunque, che non gli sguizziamo, ci fa sapere, che quand' anco noi avessimo parlato, com' egli stesso c' indetta, e la santa Chiesa avesse usato il suo barbaro contradictorium , in vece del latino contrarium che sempre usò; saremmo gianseniani egualmente. Ma veniamo più alle strette. - Che inesattezza di parlare è ella l' adoperare contrario in vece di contraddittorio , in que' luoghi ne' quali l' una e l' altra parola vale il medesimo? - Ve lo dirà il C.. Se è un primo artificio de' Gianseniani l' argomentare che una proposizione è vera, quand' è contraddittoria ad un' altra condannata, regola però sicurissima , e canone ricevuto da tutte le scuole; quegli eretici hanno poi un secondo artificio che il C. così sagacemente disvela: [...OMISSIS...] . - Gli resterebbe adesso a provare che noi abbiamo scambiata qualche proposizion contraria , con qualche proposizione contraddittoria alle condannate; ma questo è quello che egli si dimentica di fare. Se nelle proposizioni del sacro Concilio, di s. Tommaso, e nelle mie, alla parola contrario si sostituisca contraddittorio , diventan forse altre proposizioni di senso diverso? Mai no. Dunque non è il caso, in cui una proposizione venga all' altra sostituita. Egli non dissente dall' accordarcelo; anzi perciò appunto conchiude, dopo sì lunghe premesse, che la colpa nostra non è che una inesattezza di espressione sfuggitaci (2). - Ma se voleva dir questo solo, a che trar fuori i maligni artifizii degli eretici? Se la conclusione del suo discorso dovea essere, che noi abbiamo commessa un' inesattezza grammaticale, con che logica conseguenza deduce, che noi, cioè il sacro Concilio e gli altri miei socii, siamo sospetti d' eresia? - Doh? acutezza d' ingegno! Sillogizza egli così: Voi altri siete inesatti nell' uso delle parole, senza alterazione però della dottrina. Ma quella inesattezza di parole fu adoperata altre volte dagli eretici. Dunque sembra che voi altri vogliate stabilire quella inesattezza, acciocchè poi gli eretici se ne prevalgano contro le verità definite. - Possibile tanta stiracchiatura? - S' ascoltin di nuovo le proprie parole, colle quali conchiude: [...OMISSIS...] . Il sospetto è grave. Ma via, che poche linee appresso, ci fa grazia soggiungendo che è affatto improbabile che noi abbiamo voluto stabilire una regola sì rea (2). Ma non essendo però certo il contrario, rimaniamo tutti sospetti. Ma via, avvi almeno qualche inesattezza grammaticale nell' usare contrario per contraddittorio? - Nessunissima. A parte la giovanile pedanteria, che in qualche testo di scuola va rinvergando le arbitrarie distinzioni del senso delle parole. Ecco qual è la differenza vera e primaria tra la voce contrario e la voce contraddittorio . L' etimologia della voce contraddittorio dimostra che ella s' istituì a significare un detto contrario ad un altro detto . La voce poi contrario , non ha questa limitazione di significar solo la contrarietà dei detti o delle proposizioni; ma stendesi ad esprimere egualmente la contrarietà che hanno fra loro e i detti, o l' altre cose. Quindi dirassi acconciamente, che il caldo è contrario al freddo; ma non così, che il caldo è contraddittorio al freddo. All' incontro di due proposizioni contrarie si dice con egual proprietà che sono contrarie, ovvero contraddittorie, poichè contraddizione non significa altro che la contrarietà appunto di due proposizioni. E` questa la prima ed original differenza che corre tra le due voci contrario e contraddittorio; e da essa si posson dedurre tutte le altre, di cui qui noi non abbisogniamo. La conclusione adunque si è, che qualora si tratta di proposizioni contrario e contraddittorio valgono il medesimo; là dove quando si tratta di cose, impropriamente s' adopera la voce contraddittorio ma si dee adoperare la voce contrario . Ora noi parlavamo di proposizioni. Dunque l' osservazione del C. è vana. Conciossiachè non si possono dare proposizioni che veramente sieno contrarie fra loro (il che significa tutt' altro dall' esser diverse e dall' esser opposte ) (1), come sono quelle che io adducevo, le quali non sieno medesimamente contradditorie: poichè la loro contrarietà consiste appunto nell' avere contraddizione a differenza della contrarietà che aver posson le cose, la quale si chiama semplicemente contrarietà. Finiamola adunque con un verso del Petrarca, [...OMISSIS...] A tali cavilli sono astretti di ricorrere i teologi che hanno preso inclinazione al razionalismo: innumerevoli conferme se n' avranno in quanto diremo in appresso. Ma oltracciò hanno bisogno d' aggiungere a' cavilli un' altr' arma, nel maneggio della quale sperano assai, voglio dire, le falsità. Prendiamone intanto un esempio dal recente articolo del signor C.. Tratta innanzi la proposizione XLVI (2) di Bajo (giacchè a queste sempre ricorrono, siccome a quelle, di cui non essendo definito il senso preciso dalla bolla di condanna, possono facilmente abusare), così egli scrive: [...OMISSIS...] . Ma il vero si è, che nè il Propagatore nè il Rosmini ha mai insegnato nulla di simile. Dunque con questa falsità non fa il C. che accrescere il numero di quelle innumerevoli, che abbiamo notate ne' suoi predecessori e maestri co' due scritti a questo precedenti, invitandoli a giustificarsi, senza che abbiano più osato zittirne. Dando adunque il suo luogo alla verità, il « Propagatore » dimostrò, che tanto se la parola volontario nella citata proposizione di Bajo si prende in senso di volontario semplice , quanto se si prende in senso di volontario libero; quella proposizione non può mai applicarsi a condannare la dottrina della Chiesa da noi seguita. Questo non è certamente un insegnare, che quella parola si debba prendere in senso di volontario semplice, come asserisce il C.. Scoperta la bugia; egli è uopo che si vegga anche com' essa venga manipolata strada facendo moltiplicandosi, e da sè medesima fecondandosi. Da prima il teologo nostro, in vece di esporre la indicata alternativa, FINGE che i due membri di essa sieno due argomenti diversi adoperati successivamente dal Propagatore; e lo riconviene di contraddizione. E certo, che l' uno di quegli argomenti non può stare insieme coll' altro. Poichè se il voluntarium della proposizione di Bajo vuol dire volontario semplice , esso non può voler dire libero , e viceversa. Compiacendosi quindi di questa sua bell' INVENZIONE, scorrazza e trionfa a sua posta per molte faccie del suo articolo! (2) Dopo aver così finto, che il Propagatore rechi due argomenti successivi, nell' un de' quali supponga che il voluntarium significhi volontario semplice , e nell' altro che significhi volontario libero , sopprime quest' ultimo membro dell' alternativa, e dichiara avere il Propagatore INSEGNATO doversi prendere il voluntarium in senso di volontario semplice! (3) Per quello che riguarda a me, sono trattato colla stessa onestà. Dice che anch' io insegno , doversi prendere in senso di volontario semplice la parola voluntarium nella proposizione di Bajo (1). Se non che il suo mentire riesce più sguaiato; poichè 1 lungi dall' aver io insegnato, che il voluntarium di Bajo si debba prendere per volontario semplice , ho dichiarato espressamente il contrario. Mi si permetta di riprodurre le mie parole: [...OMISSIS...] . 2 Perchè il dire che io ho insegnato doversi prendere il voluntarium della proposizione per volontario semplice, cozza con quello ch' egli stesso poche faccie innanzi avea confessato, scrivendo, [...OMISSIS...] . Ecco adunque dimostrata in pratica quale sia la morale del razionalismo , quella morale che fu condannata in teoria da Innocenzo XI e da altri sommi Pontefici: si può mentire e calunniare ogni qual volta sembri necessario a sostenere il proprio partito. Ma ond' avviene poi, che i teologi nostri tanto si sdegnino al solo immaginare (ed è tutta loro immaginazione, come vedemmo), che a talun piaccia intendere la proposizione di Bajo, [...OMISSIS...] d' un volontario semplice? Sarebbe forse un assurdo, l' intenderla così? Sarebb' egli un cadere nel Bajanismo? Direbbe forse un errore colui che dicesse, che alla definizione del peccato appartiene il volontario in genere? quasichè coloro che esigono alla ragion del peccato il libero , possano poi negarle, senza contraddirsi, il volontario semplice già compreso nel libero? No, che il dir questo non è errore, se pur non si vuole tacciar d' errore sant' Agostino, che, prendendo così appunto la parola volontario , tolse nel libro I delle sue « Ritrattazioni », cioè nell' opera che sopra tutte l' altre del santo Dottore dee fare autorità, a dimostrare, che [...OMISSIS...] . Perocchè ivi egli dice, che tanto chi pecca con volontà libera, quanto chi pecca con volontà necessitata, sempre pecca con volontà , soggiacendo questi secondi alla necessità in pena d' altri peccati liberi che precedettero. Dimostra dunque prima, che peccano con volontà quelli che peccano liberamente dicendo: [...OMISSIS...] . Dimostra poscia, che peccano con volontà quelli che peccano necessitati così soggiungendo: [...OMISSIS...] . Di che si raccoglie contro l' assunto del nostro nuovo teologo 1 che la parola volontà , e di conseguente volontario , non ha il solo senso di libero, com' egli pretende; 2 che la proposizione di Bajo merita di essere condannata ugualmente anco se colla parola volontario in essa adoperata s' intenda esprimersi il volontario in genere; 3 che l' intenderla così, e l' averla per condannata anche in questo senso, può essere un errore d' interpretazione, non mai un errore contro la sana dottrina; se pure non si dimostra prima, che sant' Agostino erri in tali materie. E ciò posto, perchè dunque, noi torniamo a chiedere, i nuovi teologi tanto s' allarmano solo immaginando, che il volontario di quella proposizione si voglia intendere per volontario in genere? N' hanno la loro ragione; ed è perchè, così intesa, ella ferisce nel cuore il loro erroneo sistema, tendente ad esaltare indebitamente la natura umana, pretendendola immune da qualsiasi vizio originale (2); sicchè e la libertà non abbia un assoluto bisogno della grazia del Salvatore, almeno per osservare compiutamente la legge naturale, e la ragione non abbia un assoluto bisogno della rivelazione, acciocchè possa l' uomo ottenere il suo fine: alle quali dottrine conduce lo spirito razionalistico, che hanno preso a loro guida. E veramente se colla condanna di quella proposizione è stato solamente deciso, che a costituire un peccato è necessario il libero , essi si credono licenziati ad affermare, che l' atto di libera volontà che pose Adamo peccando è tutto quanto il volontario che entra a formare il peccato originale de' posteri, senza che rimanga un bisogno al mondo di riconoscere un vizio intrinseco nella volontà di questi, ne' quali non può essere certamente il libero. Ma se s' intende in quella vece essersi deciso, che a costituire un peccato è necessario il volontario (libero o no); in tal caso non possono più dire che quella proposizione non riguarda menomamente il vizio naturale inerente alla volontà de' bambini. Conciossiachè ella potrebbe benissimo riferirsi alla volontà viziosa di questi; e tanto più che rimarrebbe facile a chicchessia d' argomentare in questo modo. Egli è di fede, che il peccato originale in Adamo, e il peccato originale ne' suoi discendenti, sono peccati numericamente distinti (1). Se dunque sono distinti numericamente i peccati, devono esser distinti del pari gli elementi che li compongono e li costituiscono. Ma il volontario è un elemento costituente il peccato per la proposizione XLVI di Bajo condannata. Dunque dee esservi un volontario distinto che costituisce il peccato di Adamo, e un altro volontario numericamente distinto dal primo, che costituisce il peccato del bambino da lui discendente. La quale argomentazione irrepugnabile vale, si noti bene, pel solo peccato , non per la colpabilità del peccato , che tutta si dee desumere dalla libertà del primo padre che lo commise. Sebbene noi qui non abbiamo veramente bisogno d' insistere sul senso del voluntarium , che trovasi nella proposizione di Bajo; giacchè ad ogni modo sembra chiaro, che, come in ogni discendente di Adamo, ci ha un peccato proprio , così dee esserci un volontario proprio , cioè uno stato della volontà peccaminoso ed empio; non potendo la volontà di un uomo, per esempio di Adamo, essere nè l' elemento costitutivo, nè il soggetto del peccato originale, in quant' è proprio del suo discendente, e però distinto di numero da quel di esso Adamo. Come adunque Eusebio e i suoi compagni possono confessare sinceramente la fede cattolica che riconosce un proprio peccato ne' posteri, quand' essi escludono ogni infezione ed ogni vizio dalla volontà di questi, e però riducono il peccato (pel quale non intendono che un atto libero ) alla mera imputazione estrinseca dell' atto libero e colpevole di Adamo? A cansare ogni rimprovero, pongono essi mano a due spedienti. Col primo cercano di tranquillare i teologi, facendo lor credere essere intieramente alieno dalla loro dottrina il distruggere il dogma del peccato originale; e consiste in dichiarare, che ammettono per elemento volontario costitutivo del peccato proprio del bambino la stessa volontà libera di Adamo; e però che ben riconoscono essere il volontario un elemento necessario a costituire il peccato, e anzi si lagnano come il Rosmini creda ch' essi gliel voglian negare (1). Ma essendo tuttavia impossibile il non riconoscere un manifesto assurdo nell' ammettere che il peccato proprio d' un individuo, per esempio d' un bambino, abbia per suo elemento costitutivo il volontario proprio di un altro individuo, per esempio di Adamo: ed il Cristianesimo ammettendo sì de' misteri, non mai degli assurdi (2), essi ricorrono al secondo spediente, col quale credono di tranquillare i filosofi, confessando loro, che la voce peccato, quand' essi parlano dell' originale, la pigliano in tutt' altro significato, [...OMISSIS...] (3). Così realmente essi distruggono il peccato originale, confessandolo nelle scuole teologiche , ma rendendolo un assurdo; e poi correggonsi nelle scuole filosofiche , cioè dichiarando che la parola peccato applicata all' originale de' bambini non significa più peccato. Ma badisi bene, che quando un dogma è reso un assurdo, egli è bello ed annullato in tutte le intelligenze umane; e quand' esso è ridotto ad una parola, basta un frego sulla carta ed è cancellato. No; i dogmi della Chiesa non consistono in meri vocaboli; sono ciò che i vocaboli significano, e costituiscono l' oggetto della nostra credenza: la Chiesa colle sue parole non cerca di illudere gli uomini. Laonde, come S. Gregorio Nazianzeno diceva, che [...OMISSIS...] ; così noi possiam dire, che la verità cattolica al tutto manca ne' nostri teologi, perchè manca « in eorum sententiis », quantunque si studino ad ogni possa di far apparire che ella vi sia « in sono verborum ». E dee parere pure, a chi un poco riflette, la strana cosa, che si diano degli uomini i quali vogliano far credere, che un peccato proprio possa esistere senza una volontà propria peccaminosa . Certo, il profondo Estio non solo parlava cattolicamente, ma in modo conforme al senso comune, dicendo che a stabilire il dogma del peccato d' origine ne' bambini non basta nè il solo volontario in Adamo, nè il solo volontario ne' bambini; ma che entrambi questi volontarii s' esigono; quel d' Adamo che è libero esigendosi a spiegarne l' imputazione ossia la colpabilità , quel de' bambini a spiegare la sostanza del peccato che viene imputato (2). Quindi egli è più chiaro del sole, che « Ad rationem et definitionem peccati requiritur voluntarium », non solo inteso il voluntarium per libero , qual fu in Adamo, ma inteso anche per volontario semplice e non libero, qual ora è ne' bambini che nascono, checchè altri si cianci. E s' abbia qui il lettore, se ancor ne dubita, una sopraggiunta d' altri argomenti, acciocchè nessuno più s' ostini a negare una sì preziosa verità del cattolico insegnamento, o se la nega, sia inescusabile. Cominciamo dalla Scrittura. La Scrittura dice non solo che, [...OMISSIS...] ; ma ella usa altresì come formola solenne, quest' altra: [...OMISSIS...] , formola consacrata anche dal Concilio di Trento e da tutta l' ecclesiastica tradizione (3). Ora i teologi nostri, che non riconoscono altro costitutivo del peccato originale de' bambini se non il volontario libero di Adamo, debbono di conseguente negare all' Apostolo ed alla Chiesa che i bambini sieno [...OMISSIS...] , e in quella vece sostenere che sieno [...OMISSIS...] . Ma or che cosa dicevano altro gli antichi Pelagiani? Non era questa appunto nel fondo la loro dottrina? Uno de' loro primi padri, Teodoro vescovo di Mopsuesta, non ebbe scritto appositamente un' opera in cinque libri partita « contra asserentes peccare homines NATURA non VOLUNTATE? (4). » E chi mai erano questi « asserentes peccare homines natura »? Secondo Teodoro, erano certi eretici dell' Occidente, che andavano contaminando la Chiesa, uno de' quali, da lui chiamato Aram ( imprecatio, maledictio , se pure il nome non è storpiato dai copisti) si prende da lui direttamente a impugnare. Nè, a dir vero, la franchezza di Teodoro, d' onorare del titol d' eretici quelli occidentali ch' egli impugnava, andò senza effetto; perocchè ne fu gabbato lo stesso Fozio quattro secoli dopo, che veramente si persuase, scrivesse Teodoro « adversus Occidentales hac labe infectos », com' egli s' esprime dando conto di quell' opera (5). E che perciò? Non ha egli la calunnia, come si suol dire, sempre corte le gambe? E qual altro frutto raccolse Teodoro dalla sua, fuor di quel dell' infamia? qual altro frutto raccolse dall' aver egli, eretico, chiamati eretici i cattolici, e nominato imprecazione o maledizione ( «ara») il dottor massimo della Chiesa, s. Girolamo? Erano adunque i cattolici che sostenevano, come dice Teodoro, [...OMISSIS...] . Così Teodoro duramente alquanto esponeva il sentir de' cattolici, siccome eretici da lui tradotti al giudizio pubblico e combattuti. Nè egli fa maraviglia, se esponesse i loro sentimenti con espressioni un po' dure solendo così fare tutti quelli che tolgono ad impugnarli, sperando di riuscirvi più facilmente, più che infedelmente gli espongono. Per altro egli era vero, che la cattolica Chiesa insegnava [...OMISSIS...] (2). In questo trovava l' assurdità Teodoro, e in questo la trovano i nostri teologi; i quali, per evitarla, vengono a dire che gli uomini non sono improbi per natura (la quale anzi è sana, sanissima), ma solo per la volontà libera del primo padre ben inteso, così essi aggiungono poi, che non trattasi d' un peccato secondo tutto il valore della parola, ma secundum quid , e quadamtenus (1), il che, a parlar chiaro, significa un peccato per cotal maniera di dire usitata, non già un peccato reale ed effettivo; del che rimarrebbe più che contento Zuinglio, che insegnava del pari, il peccato originale ne' bambini dirsi solo peccato per metonimia (2). Per altro, l' obbiezione di Teodoro precursore de' Pelagiani, di cui questi poscia fecero si grand' uso, che il peccato si debba sempre porre in essere dalla VOLONTA`, e non possa dalla NATURA; nasceva, a mio parere, dalla poca meditazione sulla umana natura. Quell' obbiezione in fatti rimane confutata assai facilmente, benchè di tanta apparenza, rispondendo loro in questo modo: « Sì, egli è vero quello che voi altri dite, che il peccato dee sempre essere costituito dalla volontà di colui nel quale si trova, perocchè, essendo il peccato proprio, anche la volontà che lo costituisce dee esser propria. Ma voi errate nel tirare da questo principio la conseguenza, che dunque l' uomo non possa essere peccatore PER NATURA. Vi avviene di cadere in questo errore, perchè non avete osservato con estensione bastevole la condizione della umana volontà: voi vi persuadete, che tutta la volontà si riduca agli atti di essa, ma la cosa non è così. Innanzi agli atti suoi vi ha la potenza stessa della volontà, la quale forma parte della umana NATURA. Se dunque questa potenza riceve una QUALITA` E DISPOSIZIONE IMMORALE, l' uomo è improbo ad un tempo PER VOLONTA` e PER NATURA, poichè, come si diceva, quella è parte di questa. Che poi questa disposizione immorale possa dirsi peccato (abituale); egli è facile a provarsi quando si consideri, che il peccato è un' inordinazione della persona umana , e che la volontà immoralmente disposta è quella che costituisce propriamente la persona dell' uomo. »Tutto questo discorso è coerente; e con esso riman dileguato quell' apparente assurdo, che gli eretici rinfacciano all' insegnamento della Chiesa circa il peccato originale; e giustificato appieno questo insegnamento. All' incontro i moderni teologi razionalisti, per isfuggire da quell' assurdo, fanno una transazione cogli eretici, colla quale, abbandonando loro la sostanza del dogma, si contentano di salvare alcune frasi, come coloro che, dando i denari a' ladroni, salvan la borsa (1). Ora l' accennata risposta, che, ben intesa, chiude la bocca agli eretici, chi ne considera il fondo, non è mia; ma è de' Padri e de' Dottori ond' io la trassi. Per non essere infinito, mi limiterò a mostrare com' ella si trovi, argomentando da' principii di S. Tommaso. S. Tommaso rassomiglia il peccato originale de' posteri al peccato della mano dell' omicida. La mano è mossa al peccato dall' omicida stesso; e così i posteri, motione generationis , sono mossi al peccato dalla natura peccatrice di Adamo generante (2). Il movimento peccaminoso della mano è come una continuazione del movimento peccaminoso dell' anima dell' omicida; e lo stato peccaminoso de' posteri è come una continuazione, mediante l' abito rimasto nell' uomo che ebbe peccato, del movimento peccaminoso di Adamo prevaricatore. Ma qui nasce una grave difficoltà. La mano non è veramente peccatrice; ma si dice tale per sineddoche, o per metonimia come direbbe Zuinglio, o quadamtenus come dicono i nostri anonimi. Nè pure i posteri adunque, secondo tale esempio, saranno in senso proprio e vero peccatori. Tale difficoltà si vince benissimo argomentando dai principii di S. Tommaso. Il principio fondamentale, che egli pone è questo, [...OMISSIS...] Ritengasi bene questo principio, che è il fondo dell' argomentazione dell' Angelico, e non badisi materialmente alle parole. Argomentando da un sì chiaro e fecondo principio, che si deduce? Si deduce, che la similitudine della mano dell' omicida, benchè in sè stessa opportuna a illustrare il concetto, per accidente poi in qualche cosa non calza, come accade sempre colle similitudini. Ma il principio riman generale: « Il peccato è ricevuto secondo che quello a cui si comunica può essere o no soggetto di peccato. » Resta a dimandarsi: la mano può ella esser soggetto di peccato? Rispondesi: propriamente parlando no; ma per un cotal traslato può essere considerata come tale, a preferenza dell' asta e della spada (1). All' incontro poi, la volontà personale de' posteri è indubitatamente soggetto di peccato assai meglio della mano, perchè ella non è tale in linguaggio figurato, ma in senso proprio. L' infezione morale adunque, trovando nelle persone umane a cui si comunica, veri soggetti distinti di bene e di male morale, vi è ricevuta come tale e diviene in essi un vero peccato. Tutta questa dottrina dell' Angelico, intorno all' essenza ed alla comunicazione del peccato dimostra, 1 ch' egli considera i bambini come riceventi dalla mozione del generante l' atteggiamento peccaminoso; 2 che ricevono quell' atteggiamento come la mano riceve il movimento peccaminoso dall' omicida; ma che in essi è peccato più proprio che non possa essere nella mano; perchè essi sono veri soggetti idonei di peccato distinti dal generante; mentre la mano non è soggetto di peccato distinto dall' omicida, ma dicesi tale per un parlar figurato; 3 che i bambini sono soggetti di peccato, perchè hanno una volontà personale, onde a questa è comunicata l' inordinazione in cui il peccato consiste. Dalla qual maniera, che usa l' Angelico a spiegare, in che guisa i posteri sieno peccatori per natura , si può agevolmente dedurre, che se il loro peccato vien messo in essere dalla natura , è ad un tempo la loro natura morale quella che, essendo suscettibile di peccato, propriamente ne rimane affetta, la qual natura morale è la loro propria volontà personale: onde essi sono costituiti peccatori per volontà; e quindi cessa l' assurdo obbiettato dagli eretici. Nel che sta la sostanza della risposta nostra a Teodoro. Ma ora passiamo a vedere come i recenti teologi scavano sotto anche le fondamenta al dogma del peccato originale, e ad altri molti ad un tempo, distruggendo il concetto della volontà semplice , e altra volontà non riconoscendo nell' uomo che la volontà libera: quindi escludendo ogni altra specie di moralità, fuor di quella che dall' uso della libertà si produce. Il C. prende a far tutto ciò in un lunghissimo tratto del suo libro (1), nel quale, senza un bisogno al mondo, travaglia e suda a dimostrare, che nella citata proposizione di Bajo la parola volontario non significa altro che libero . Per riuscire a tale dimostrazione, bastava ch' egli avesse recate a confronto le tre proposizioni condannate 46, 47, 4.; nell' ultima delle quali si afferma, che [...OMISSIS...] ; dove dichiarasi volontario il peccato originale ne' bambini, perchè questi nol disdicono e non l' impugnano col loro libero arbitrio . Bajo ricorreva adunque al (preteso) arbitrio de' fanciulli per ispiegare come il peccato in essi fosse volontario; e però il volontario che Bajo esigeva nel peccato de' bambini era un libero7negativo , cioè era il non fare della loro libertà. All' incontro, egli non vedea necessario a costituire il peccato de' bambini il libero7positivo , che solo nella libertà di Adamo autore del peccato si rinviene, e quindi le proposizioni: [...OMISSIS...] . Così sarebbe rimasto dimostrato, che la parola volontarium ne' detti articoli intesa, ha il valore di libero; avvertendo però, che in generale quella parola, secondo la mente di Bajo, talora significa un libero7positivo , un atto, vera causa dell' azione peccaminosa [...OMISSIS...] ; e talora significa un libero7negativo , un non7atto della volontà, pel quale il peccato domina nell' uomo [...OMISSIS...] . Con tale confronto, egli avrebbe pur conosciuto in che stia precisamente l' errore bajano; cioè nel costituire l' essenza del peccato originale de' bambini nel non7atto del loro libero arbitrio, quasichè fossero obbligati di far quello che è loro impossibile; e perchè nol fanno, incolpar si dovessero; il che è ad un tempo un errore contro la fede, ed un assurdo contro la ragione. Ma il C., in vece di mettersi per la via piana e facile a dimostrare il suo intento, piglia un' ampia girata con iscialacquo di volgarissima erudizione, tutt' a risparmio di logica. S' impegna egli a provare, che il voluntarium negli articoli citati di Bajo significa libero; perchè la parola voluntarium correva nell' uso comune de' teologi in senso di libero . Acciocchè un tale argomento avesse forza da stringere, dovrebb' essere dimostrato pienamente, non già che la parola voluntarium si usasse molte volte per significare libero , ma che così si usasse sempre; di maniera che non vi fossero esempii di scrittori filosofici e teologici, ne' quali ella s' adoperasse in senso di volontario semplicemente o in genere, prescindendo dalla effettiva libertà. Certo non ci vuole una gran testa a capire, che se non si fa ciò, non si stringe che aria. Tuttavia egli s' appaga di trar fuori una cinquantina forse di testi, ne' quali, secondo il suo giudizio, la parola volontario vale altrettanto che libero; conchiudendo poi, che dunque anche negli articoli di Bajo ella dee aver avuto questa medesima significazione! Il fatto però si è, che la parola volontario non significa altro che volontario , cioè cosa voluta, cosa appartenente alla volontà. Tale è il suo primitivo significato, come l' origine e la formazione della parola dimostra. Ora ciò che è volontario , ciò che è voluto, può esser voluto in due modi, perchè la volontà opera in due modi, cioè necessariamente , e liberamente (1). La parola volontario esprime il genere , il necessariamente e il liberamente esprimono due differenze specifiche di questo genere; sicchè vi è un volontario necessario ed un volontario libero; e la parola volontario s' accomoda egualmente bene ad esprimere l' uno e l' altro; perchè il genere giustamente si predica di tutte le specie. In pari tempo si vuol notare, che gli atti che fa la volontà necessitata , sfuggono più facilmente alla osservazione ed alla riflession nostra; ed all' incontro si osservano in noi con assai più di facilità gli atti liberi, ne' quali sentiamo di collocare manifestamente la nostra propria energia personale (1). Di più, gli atti volontarii7liberi diventano la materia ordinaria de' nostri discorsi, perchè, essendo essi in nostra balía, possiamo e dobbiamo governarli secondo le leggi e i precetti morali, e mettiamo in essi somma importanza, dipendendo appunto da essi tutta quella prosperità e felicità che noi ci possiamo procacciar da noi stessi (aiutati da Dio) in questa e nell' altra vita. Dalle quali due cagioni procede, che quando noi parliamo di atti volontarii , intendiamo spessissimo favellare di atti volontarii7liberi; e non ci apponiamo questa parola liberi per brevità, contentandoci di dirli semplicemente volontarii . Conciossiachè il contesto del discorso fa già intendere da sè che noi intendiamo parlare di quelli. Questo che accade nel parlar comune quanto all' uso della parola volontario, accade simigliantemente quant' all' uso della parola peccato , che esprime il genere delle immoralità7personali, e però tanto la specie del peccato necessario7incolpevole , quanto la specie del peccato libero7colpevole; ma nel parlare ordinario tuttavia la si prende a significare il peccato7colpevole , per le stesse ragioni onde si usurpa la parola volontario significante il genere ad indicare la specie del volontario7libero, cioè perchè il peccato colpevole attrae di lunga mano più l' attenzione degli uomini, ed è l' oggetto de' comuni discorsi (1). Ma quando trattasi di scienza, e si vuol tornare alla rigorosa esattezza delle parole, affine di non confondere insieme perniciosamente i concetti affini; allora si dee restituire a quelle il proprio significato, usando le parole che segnano il genere come peccato e volontario , a significare il genere; e le parole che segnano le specie, come colpa e libero , a significare le specie e non altramente. Indi non è maraviglia, se, a malgrado delle citazioni del C., s' incontri bene spesso ne' filosofi e ne' teologi questa proprietà di parlare; e quanto alla parola volontario , che egli pretende usarsi per libero, è pure un fatto innegabile ch' ella si trova spesso adoperata per volontario semplice e generico. Mi si perdoni se discendo a cose assai comuni. Certo niuno che abbia a fior di labbra saggiata la teologica scienza può ignorare, che quando si tratta scientificamente del volontario , esso si suol prima definire in generale, senza farvi entrare esclusivamente la libertà; e poi lo si divide nelle sue due specie di necessario e di libero . Il qual metodo logico di procedere tiene al suo solito S. Tommaso (1); onde a principio definisce il volontario in modo, che si possa applicare tanto al necessario quanto al libero, dicendo così: [...OMISSIS...] . Nelle quali parole è chiaro, che volontario si chiama tanto l' atto necessario, quanto l' atto libero della volontà, perchè l' uno e l' altro est a propria inclinatione , e tende in un fine conosciuto. Ma di poi passa il santo Dottore a distinguere il volontario necessario , come sarebbe l' atto con cui l' uomo tende al fine e al bene universale (6), dal volontario libero , a cui spettano gli altri atti posti in balia dell' uomo. Non si puó adunque dubitare, che il primo e proprio significato della parola volontario sia quella di volontario in genere, non essendo la necessità e la libertà che due suoi modi accidentali. Tale significato si fa manifesto dalla ragione stessa e dall' etimologia della parola, dalla definizione de' citati Padri della Chiesa, e dall' autorità del Dottore angelico, a cui consentono tutti i teologi. De' quali in cosa così nota recherò due soli, in aiuto degl' imperiti, il Busembaum e il Viva. Il primo scrive: [...OMISSIS...] . Domenico Viva egualmente, lungi dal confondere il volontario col libero , ne dà due definizioni distinte, e ne mostra a lungo la differenza, e la definizione che dà del volontario in opposizione del libero è appunto questa, [...OMISSIS...] , che è quella stessa di S. Tommaso, che il nostro C. pretende doversi applicare non alla semplice volontà, ma alla libertà (5). E tuttavia, digiuno come si mostra delle nozioni elementari della sacra teologia, egli non dubita d' impegnarsi a dimostrare, che voluntarium non significa altro che libero; e si persuade che la sua dimostrazione sia pienissima coll' arrecare qualche dozzina di testi, in cui egli dice senza provarlo, che vi sta dentro la parola volontario usata in senso di libero! Riesce tanto più inconcepibile quella sicurezza di affermare che volontario si usi sempre per libero , se si osserva che più volte gli viene in sulla penna la proposizione 39 di Bajo, [...OMISSIS...] ; nella quale si contiene l' errore, che il voluntarie significhi liberamente sempre, anche congiunto colla necessità: il qual solo esempio rende inutile affatto la sua fatica materiale di razzolare da' teologi e fin dagli eretici tanti passi, ne' quali si trova la parola volontario . Anzi egli avrebbe dovuto ben imparare da quella proposizione, che è insegnamento della Chiesa avervi due volontarii, l' uno necessario e l' altro libero; e che l' errore condannato in Bajo nasceva appunto dal confondere que' due volontarii in un solo, pretendendo egli che si potesse chiamar libero anche quello che era necessario . Laonde la sola differenza fra Bajo e il C. consiste in questo, che Bajo non riconosceva nella volontà dell' uomo caduto, se non il modo dell' operar necessario che falsamente chiamava libero col pretesto che non era violentato; laddove il C. non riconosce (se dee aver senso il suo discorso) che un operar solo volontario mai necessitato e sempre libero; sicchè la parola volontario non possa ammettere che quest' ultimo significato (1). Ma l' inettitudine del ragionare che fa il nostro C., vedesi ancor più se si esaminano i molti testi che egli reca a provare il suo falso assunto. Dal qual esame, che ognun può fare da sè, manifestamente risulta, 1 che a dimostrare che la parola voluntarium ebbe sempre il significato di libero, egli reca più testi, ne' quali si parla di azioni libere ed imputabili, quasi che alcuno avesse mai negato, che le azioni libere si possano chiamare volontarie , dicendosi anzi da noi, che la parola volontario conviene ugualmente ai due modi di operare della volontà, il libero ed il necessario; e per esempio, tanto all' amore che portano a Dio i celesti comprensori, quanto a quello che gli portano i terreni viatori; benchè quelli il facciano attratti necessariamente, e a un tempo spontaneamente, dalla vista del sommo Bene; e questi mossi dalla loro libera elezione: 2 Reca alcuni testi ne' quali, così precisi dal contesto, non si potrebbe definire se il voluntarium si prenda per libero, o solamente per volontario in genere abbracciante i due modi di operare della umana volontà (1): 3 Reca alcuni testi, ne' quali si suppone che i bambini non facciano atti di volontà, e ciò perchè si suppone che non facciano atti di ragione. E qui si noti, non doverci noi far maraviglia, che alcuni autori non sieno giunti ad osservare, che i bambini quasi appena ch' esistono comincino ad usare di loro ragione e di loro volontà, benchè non possano nè riflettere, nè liberamente operare. L' osservazione continuata a farsi sull' umana natura per tanti secoli, ha finalmente fatto conoscere ciò che non si conosceva in altri tempi. Egli è ora certo, secondo ch' io stimo, che il bambino fino da' primi tempi di sua esistenza conosce e vuole la madre, conosce e vuole il cibo; e però non manca in lui il volontario , sebbene non siavi ancora il libero . Se adunque alcuni autori argomentavano che i bambini non facessero nessuna maniera d' atti volontarii, dalla supposizione che non avessero alcun uso di ragione; egli è facile il rispondere, che, trovata falsa quella supposizione, rimane parimente falsa la conseguenza che essi ne deducevano. 4 Reca alcuni passi, ne' quali si dice, o sembra che si dica, che ogni atto umano è un atto libero . Ma se per atto umano s' intenda un atto proprio del solo uomo, e non comune alle bestie, egli è chiaro che atto umano si dee dire ogni atto della volontà (difinita questa per la facoltà che opera dietro la cognizione) (1), sia esso libero o necessario. Così l' atto, onde la volontà tende al bene in comune, necessario , a giudizio d' ogni dottore; l' atto col quale i beati amano Dio, ed i dannati lo odiano; gli atti della volontà che precedono la riflessione e seguono la cognizione diretta , sono certamente atti umani. Che anzi è umano anche ogni atto d' intelligenza, non solo ogni atto di volontà (2). Qualora dunque S. Tommaso restringe l' atto umano all' atto libero, si dee conciliarlo seco stesso, che pur ammette indubitatamente degli atti della volontà umana necessitati, ed egli è facile il farlo, osservando, ch' egli definisce que' soli atti umani, su' quali si fonda il merito ed il demerito, ad essi riferendosi tutta la legge morale obbligatoria, scopo della sua trattazione (3). 5 Reca alcuni passi di Luterani, Calvinisti ecc. senza accorgersi che cotesti eretici negavano l' operar libero dell' umana volontà, e che quindi tant' è lungi, che la parola voluntarium in loro bocca valesse il libero , che anzi la stessa parola libero da loro si abusa a significare il semplice volontario, o spontaneo! 6 Finalmente, se questo C. sa poco il latino e l' italiano, non vuol pretendersi che sappia di greco; nè dee far maraviglia che, sbagliando nell' assegnare alla parola voluntarium il suo vero valore, molto più la sbagli, quando presume di assegnarla alla parola greca «ekusion», sostenendo che altro non significhi che libero! (4) Non credo io dover essere inutile il metter qui sotto gli occhi del lettore un brano del Petavio, nel quale questo teologo, 1 dà il vero valore della parola «ekusion», 2 e espone la dottrina di S. Tommaso sui due valori della parola volontario, valendo ora un volontario libero detto anco volontario perfetto , ed a un volontario non7libero, detto volontario7imperfetto . Il brano di cui parliamo è questo: [...OMISSIS...] . Or vada il C., e veda se gli conviene attribuire il suo volontario libero alle bestie! La conclusione si è, essere un errore tanto il dire con Calvino, Giansenio e Bajo, che la volontà dell' uomo nel presente stato di natura scaduta non opera mai in altro modo che per necessità, quanto il dire, ciò che cercano insinuare i moderni teologi tendenti al razionalismo, che la volontà non opera mai in altro modo che per libertà. La Chiesa, con tutti i teologi suoi, tenendo la verità che sta nel mezzo, se da una parte insegna, che l' uomo al presente opera bene spesso con libertà, dall' altra riconosce altresì ed insegna, che talora egli soggiace alla necessità, dichiarando però che in quest' ultimo caso nè merita nè demerita. Al numero XLV del suo articolo (3) il C., desideroso di far credere che il Pelagianismo abbia il merito di distruggere l' orribile mostro del Bajanismo, ne parla come se quella dottrina fosse la contraddittoria appunto di quest' ultimo errore, quella nè più nè meno a cui Bajo fè guerra. Ma il vero si è, non essere già il Bajanismo quello che abbatte legittimamente il Pelagianismo, ma esser la dottrina cattolica che abbatte e sterpa l' uno e l' altro errore. [...OMISSIS...] . Sul qual passo chiamo il lettore ad osservare, 1 Che, acciocchè il santo Dottor della grazia mescolato a Calvino e a Giansenio vada più uniforme in tal compagnia; piace al C. di chiamarlo Agostino, in vece di seguir l' uso comune, che il chiama sant' Agostino; il che non meriterebbe di essere osservato, se il contesto e lo spirito dell' autore non dimostrasse un' affettata mancanza di rispetto al santo Dottore; 2 Che, opponendo egli i Pelagiani alla dottrina di Bajo, che tanto detesta, non aggiunge nè pure una mezza parola di disapprovazione della dottrina di quegli eretici; 3 Che, essendo verissimo che i Pelagiani non a Bajo, com' egli vuol supporre, ma alla dottrina cattolica, contrapponeano il principio, che « « ogni peccato dee esser libero » »; il nostro C. subdolosamente asserisce [...OMISSIS...] , volendo così far credere, che quella sia un' obbiezione che ponea loro in bocca Bajo, quasi che dei Pelagiani non fosse veramente; sperando così di cessare da sè l' odiosità dell' eresia pelagiana nell' uso continuo che egli fa di quella loro cara obbiezione, siccome fanno altresì i suoi compagni, affine di poter distrugger sotterra il dogma del peccato originale, come facevano quegli eretici; 4 Che, dicendo egli che Bajo [...OMISSIS...] , senz' aggiungere alcuna spiegazione, viene ad insinuare, che la dottrina di Agostino sia appunto quella di Bajo, con ingiuria gravissima a questo santo Dottore. La quale ingiuria viene da lui ripetuta più sotto, dove, volendo dimostrare come Bajo erroneamente risponda alla detta obbiezion pelagiana, egli non fa altro che riportare per risposta di Bajo le stesse precise parole di sant' Agostino, e queste, quasi fossero di Bajo, e contenessero la stessa dottrina di quel condannato dottore, interpolandole anche di sue chiose, e riprendendo il Rosmini perchè anch' egli consenta in quella medesima dottrina che è di sant' Agostino e di Bajo! Ecco questo brano singolare (avvertasi che le parole che cominciano, « Frustra putas, etc. » sono di sant' Agostino (1), e le parole italiane sono del nostro C.): [...OMISSIS...] . Questo brano comincia così: [...OMISSIS...] Ascrive adunque a Bajo quanto vi si contiene. Ma nel brano non si contiene altro che la soluzione che dà sant' Agostino ad una obbiezione di Giuliano pelagiano. Dunque il C. attribuisce a sant' Agostino, che scrive contro i Pelagiani la precisa dottrina di Bajo; dando torto a sant' Agostino e di conseguenza ragione ai Pelagiani! (2). Di poi nelle sue chiose, apposte alle parole di sant' Agostino, come se fosser parole di Bajo stesso, egli attribuisce a Rosmini il Bajanismo, perchè egli fa la stessa distinzione che fece e fa sant' Agostino colla Chiesa cattolica contro gli eretici pelagiani, la distinzione cioè contenuta, a sentenza del nostro C., nelle citate parole di sant' Agostino, fra i peccati liberi, unde liberum est abstinere , e i peccati non liberi, unde liberum non est abstinere; venendo così a dichiarare infetta di Bajanismo quella distinzione con cui il campione più grande della cattolica Chiesa, da tutta la Chiesa seguito in tale materia, combatte il pelagianismo; e con cui solamente quest' eresia può essere trionfalmente combattuta! Ora, che cosa è egli questo, se non un favorire sott' acqua, e difendere l' eresia più di tutte l' altre terribile a' tempi nostri, il pelagianismo cioè, e la sua necessaria prole, il razionalismo? Certo il pretendere o l' insinuare destramente che la dottrina di sant' Agostino sia quella di Bajo, è quanto un pretendere che la Chiesa romana, cioè la cattolica, abbia condannato sè stessa (1). Non poche volte i romani Pontefici dichiararono solennemente che la santa Sede non tiene altra dottrina circa il libero arbitrio e la grazia, che quella dell' aquila fra i dottori. Lo dichiarò il pontefice Ormisda, scrivendo al vescovo Possessore: [...OMISSIS...] ; lo dichiarò il pontefice Giovanni II, scrivendo: [...OMISSIS...] . Lo dichiarò Clemente VIII quando alle celebri Congregazioni de auxiliis non prescrisse altra norma, a cui dovessero riscontrare la sanità della dottrina moliniana, se non quella della dottrina di sant' Agostino, rendendone per ragioni che da tal DUCE capitanata ebbe già combattuto e vinto la Chiesa, e che alla dottrina di lui niente mancava di ciò in cui versavano le suscitate questioni e finalmente [...OMISSIS...] . Lo dichiarò infine più recentemente Innocenzo XII nel celebre suo breve del 6 febbraio 1694 ai dottori di Lovanio, simigliantemente dicendo di sant' Agostino, che [...OMISSIS...] . Lo stesso attesta il venerabile cardinal Baronio circa il professare che fa la Chiesa Romana la dottrina di sant' Agostino intorno la grazia e il libero arbitrio che lodando il decreto con cui Clemente VIII prescrive che non si debba partire dalla dottrina di sant' Agostino: [...OMISSIS...] . Lo stesso della santa Sede attesta il Petavio, [...OMISSIS...] . Lo Suarez finalmente non dubita di confessare: [...OMISSIS...] . Onde a ragione dice il Bossuet, che [...OMISSIS...] . Ora chi è dunque costui, che, rinnovando gli sfregi fatti in altri tempi dagli eretici al santo Dottore (3), osa dargli posto a lato di Calvino e di Giansenio, e affermare mendacemente parole di Bajo, e in Bajo dannate, quelle che sono d' un sì grande splendor della Chiesa? Chi è costui, che ingiuria sfacciato la Sede apostolica nel suo Dottore! Conciossiachè ella, maestra costante di verità, condannando Bajo, continuò sempre, giusta la tradizione antichissima in quella prima cattedra conservata, ad aver Agostino a maestro. Ella se ne dichiarò altamente, noi n' abbiamo portate altrove le ripetute dichiarazioni. Deh, che mai possono fare cotesti cozzi contro la pietra? Che posson fare questi attacchi contro la gloria di colui, che, vinto dalla grazia un dì, ne glorificò la possanza, e ne divenne l' umile banditore e a tutto il mondo il maestro? Del quale ora, dopo quattordici secoli, così Iddio compensando l' umil suo servo, rinverdiscono l' ossa, e dall' Africa ridimandate all' Italia vi approdano portate in solenne trionfo a ribenedire quella terra; e la pastorale sua verga inaridita, rigermogliando, di freschi fiori, con bel prodigio, si copre (4). Ma torniamo allo scopo a cui mirano i Teologi razionalisti in deprimere S. Agostino, e in escludere l' operare necessitato dell' umana volontà, lasciandole solo l' operar libero, che è sempre quello d' esaltare indebitamente l' umana natura; escludendo da lei ogni infezione o vizio originale, vediamo com' essi frammischiano alla dottrina cattolica diversi errori. Al C. dà grandissima noia che si chiami co' Padri e coi teologi della Chiesa, il vizio originale: « una colpa naturale, » un peccato che s' imputa alla natura umana (1). Le traduce egli per bajane, e decreta loro il bando come a quelle che troppo bene esprimono il dogma che si vuole distrutto. Or che a ciò tenda questo sbandeggiamento delle maniere più comuni ed efficaci della cattolica teologia, si fa più aperto da ciò che scrive il nostro C. dal numero XC sino alla fin del suo Articolo. Quivi si può ravvisare uno studio incessante d' intessere a sottil trama insieme cogli errori di Bajo le cattoliche verità intorno all' originale peccato, acciocchè queste sieno ravvolte, se esser potesse nella stessa condanna di quelli. Da prima reca in mezzo un brano di Bajo, che contiene veramente l' errore di riconoscere imputazion ne' bambini, non perchè il peccato originale era libero in causa, ma perchè da essi non è contrariato con un atto di loro propria volontà, [...OMISSIS...] . Ma incontanente soggiunge a questo un altro brano di Bajo; [...OMISSIS...] . Ora qui l' errore trovasi colla cattolica verità mescolato: questa si contiene nelle parole di S. Agostino quello nell' abuso, che Bajo ne fa. Separiamo dunque la cattolica verità annunziata dal S. Dottore, dall' errore di Bajo, provvedendoci così contro il malizioso artificio di chi vuol confondere insieme tali cose, per dannarle entrambi. La cattolica verità da S. Agostino annunziata si è, che il male della concupiscenza tiene il fanciullo non battezzato nella morte dell' anima; e ve lo terrebbe sempre s' egli non ricevesse il battesimo: [...OMISSIS...] . La qual dottrina è insegnata da S. Agostino e ripetuta le mille volte, [...OMISSIS...] . E la dottrina stessa si contiene nelle parole del sacrosanto concilio di Trento. [...OMISSIS...] . Ora se questa è la dottrina cattolica, qual' è poi l' errore di Bajo? quale l' abuso che Bajo fece delle parole del santo dottore? L' errore è indicato in quel QUAPROPTER, col quale comincia il brano arrecato. S. Agostino dice, il bambino dannato pel suo proprio peccato: questa è verità. Ma Bajo dice, il bambino dannato, perchè gli viene imputato a colpa il suo peccato e gli viene imputato a colpa, perchè quel peccato aderente a lui, domina in lui senza ch' egli s' opponga al medesimo con un atto di sua volontà: quest' è l' error condannato. E` sempre l' errore dell' imputazione , sempre il pretendere, che ogni peccato anche necessitato sia colpa, è un volere sostituire la colpa al peccato, un dire che alla COLPA non è necessario il LIBERO: [...OMISSIS...] . Ora teniamo conto di questa distinzione tra la dannazione ammessa da S. Agostino e dalla Chiesa, come aderente al peccato del bambino, e l' imputazione ammessa da Bajo come aderente allo stesso peccato e non proveniente dalla libertà d' Adamo che lo commise, e seguitiamo ad analizzare il ragionamento del nostro C. il quale aggiunge anche un terzo brano di Bajo, in cui è riprodotta la stessa confusione tra la verità cattolica della dannazione de' bambini, e l' errore bajano della imputazione a un principio non libero. Perduta dunque di vista la distinzione tra la parte vera e la parte falsa insieme tramischiata dice, che il Rosmini non sembra veramente appaciarsi con Bajo perchè [...OMISSIS...] . E certo, quando non si voglia dire altro che questo, il Rosmini non s' astiene dall' affermarlo; perchè quelle parole, che [...OMISSIS...] sono parole non di Bajo, ma del dottor della grazia; a cui il Signor C. si mostra tanto nemico da confonderlo sempre cogli eretici. Il dottor della grazia non altro esprime con quelle parole che un dogma infallibile della Chiesa. Sotto il nome di Bajanismo dunque i teologi razionalisti combattono anche il dogma dell' originale peccato, pel quale i cattolici credono, che il peccato d' origine detiene in istato di morte, come dicono le parole di S. Agostino, il fanciullo, e lo terrebbero nella morte eterna, se non venisse a salvarnelo il santo battesimo. E` dunque manifesto il reo effetto di stabilire il Pelagianismo col pretesto di confutare il Bajanismo. Adesso si vede perchè i teologi razionalisti si perdano in tanti andirivieni di parole, ed in tante contraddizioni: la coscienza gli inquieta. Sono arditi perchè non sono soli. Il signor C. è una cosa col finto Eusebio, di cui si fa patrocinatore, uomo tanto addentro ne' segreti dell' eterno, da potere scrivere: [...OMISSIS...] che è appunto l' argomento di Pelagio contro il peccato d' origine tante volte ribattuto da quell' Agostino, che con Bajo si vuol confuso (2). E` una cosa coll' altro anonimo stampato alla macchia di cui dice, che il libro meriterebbe per avventura di essere più divulgato e conosciuto (3), anonimo che osa mettere in bocca a S. Tommaso queste parole: [...OMISSIS...] colle quali parole viene negato anche espressamente il peccato originale. Tutti questi, ed altri ancora vi hanno preceduto, o signor C., a distruggere il peccato d' origine: e perchè la Chiesa non gli ha ancora repressi con ispeciale decreto, voi credete che l' abbiano fatto impunemente, e n' avete assunto, più audace e di lor più maligno, il patrocinio. Certamente che voi troverete delle simpatie nei biblici della Germania, e in tutti i razionalisti de' tempi nostri, di questi tempi orgogliosi che non fanno che esagerare le forze dell' uomo fino a disconoscere il bisogno ch' egli ha della redenzione, e del battesimo; troverete delle simpatie ne' deisti e in tutti gli empi che aspettano, che l' uman genere vada avanti per la via del progresso, senza Dio, senza battesimo, senza bisogno di grazia, ma con tutte queste simpatie, da qualsiasi parte ve le pensiate riscuotere, non giungerete però al fine di contraffare la parola immutabil di Dio, che affidata specialmente a Pietro dee conservarsi intatta sin alla fine dei secoli. Or questa parola è stata quella che ha detto, [...OMISSIS...] , e però il peccato d' origine [...OMISSIS...] , come dice non Bajo, ma la Chiesa. [...OMISSIS...] le parole son dette allo stesso proposito da S. Agostino, [...OMISSIS...] . Prosegue quindi collo stesso argomento ad investire non noi, ma la Chiesa, perchè ammetta, che sieno detenuti nella morte del peccato i bambini non battezzati, in questo modo: [...OMISSIS...] . Che accusa è questa? Il dire « a seguitare Bajo anche nel materiale delle parole »suppone già provato per innanzi, che Bajo sia stato seguito nel formale, cioè ne' suoi sentimenti. E in quella da voi fu provato, che il Rosmini ammette colla Chiesa, che [...OMISSIS...] , che gli attribuì la dannazione, anche eterna se non vengono redenti dal Salvator col battesimo. Dobbiamo dunque dirgli di nuovo, come S. Agostino a' Pelagiani. [...OMISSIS...] (2). Ma se il teologo che esaminiamo come un tipo dei teologi razionalisti, attaccò questo dogma, sotto specie, che contenga il formale della bajana eresia, ora quali argomenti adduce poi a provare, che il Rosmini abbracciandolo, seguita Bajo anche nel materiale delle parole? Primo argomento: che egli cita, è il testo « regnavit mors » di S. Paolo. Anche con S. Paolo se la prendono. Anche S. Paolo pute di bajanismo? Secondo argomento: che [...OMISSIS...] Il che suppone che sia un seguitar Bajo lo spiegare S. Paolo con S. Agostino dalla santa sede seguito. E quello che il Rosmini ha mostrato con S. Agostino, l' ha egli mostrato bene o male? Se male, perchè non lo dite accennando dove stia il difetto? Se bene, perchè togliete a riprenderlo? [...OMISSIS...] quasichè il dire coll' apostolo, che negli uomini tutti che nascono vi ha peccato abituale e originale, vi ha dannazione, se il Salvator non la toglie, sia un errore, a cui sia bisogno soggiungere un correttivo, quand' egli è pure il dogma fondamentale del cristianesimo, quello che voi in tutt' i modi vorreste distruggere. Colla stessa astuzia dice poco appresso, che [...OMISSIS...] . Nessuno, se è cristiano cattolico, dirà mai, come fingono costoro di temere, che le cose da voi riprese come infette di Bajanismo, sieno semplicemente innocue, quasichè indifferentemente si potessero o ammettere o rifiutare; e molto meno nessuno dirà, che sieno punto o poco malvagie; ma ogni cristiano cattolico dirà, che sono di fede; che il dichiararle malvage è un proscrivere ciò che crede la Chiesa; e il far loro grazia di chiamarle innocue, è una maniera degna di chi vuol seminare di coperto la rea dottrina. Pelagio appunto soleva usar questa tattica, di far credere che fossero mere opinioni quelle ch' erano punti di fede. Nel numero, che viene appresso (1), pigliando a ricapitolarsi, il C., riproduce la confusione tra la dannazione annessa al peccato originale ne' posteri, per sentenza della Chiesa, coll' imputazione , riferita al bambino in vece che al libero autor del peccato, nel che sta l' errore di Bajo. E dopo aver detto, come Bajo stabilì, che a costituire l' essenza del peccato non è necessaria la libertà, senza punto aggiungere, che la libertà è solo necessaria a costituire il peccato7colpevole, e che per aver questo negato, Bajo incorse nella condanna; dopo aver detto ancora, come Bajo considerò la macchia d' origine per vero peccato, non riferendolo alla volontà libera del primo padre, anche qui, senza aggiungere, che Bajo errò perchè parlava di colpa, la quale non può stare senza riferirsi alla sua causa, soggiunge: [...OMISSIS...] . Ecco attribuito di nuovo a Bajo, quel che è della Chiesa cattolica. Sono i soli pelagiani quelli, che il negano. [...OMISSIS...] , così scriveva appunto contro i Pelagiani S. Agostino, [...OMISSIS...] . Laonde la Chiesa riconosce la necessità del battesimo de' bambini, acciocchè evitino la condannazione del peccato e la morte eterna, e però nel corpo stesso del D. Canonico trovasi registrato questo luogo di S. Agostino, [...OMISSIS...] e quell' altro ancora: [...OMISSIS...] . Perchè dunque dichiarare bajana la dottrina, che fa i bambini soggetti all' eterna condannazione se non vengono rigenerati? perchè togliere così la necessità del battesimo? perchè adulare in tal modo l' umana natura? perchè ingiuriare alla redenzione, ed alla grazia di GESU` Cristo sotto coperta di difendere la cattolica fede? E veggasi inesausta astuzia! Dopo aver posta la questione [...OMISSIS...] quasichè questa fosse la dottrina di Bajo e non della Chiesa, soggiunge immediatamente: [...OMISSIS...] . Egli vuol dunque far credere, che l' Accademia della Sorbona, abbia involto nella riprovazione la dottrina della Chiesa intorno alla condanna annessa al peccato d' origine ne' bambini! Ma la frode riuscirà troppo palese a ciascuno, che ponga mente alla connessione delle sue parole e alla sconnessione dei sensi: quel perciò , col quale egli passa ad annunziare la censura della Sorbona, non attacca colle parole precedenti; e la conseguenza al tutto discorda dalle premesse. Nelle premesse c' è la dottrina della Chiesa intorno alla condanna, che trae dietro a sè necessariamente l' originale infezione, e quindi la necessità del Battesimo per la salute [...OMISSIS...] : nella conseguenza c' è la condanna della dottrina erronea intorno al poter demeritare nello stato di natura decaduta con atti necessari [...OMISSIS...] dottrina appartenente all' imputazione, e non alla semplice dannazione: e di più riguardante atti di peccato distinti dall' originale, nel quale il bambino non peccat , nè egli è peccante, come dicono i teologi, benchè sia peccatore. Costante è dunque la mira, a cui collimano tutti i sofismi di cotesto occulto scrittore; ed è perfettamente la stessa degli altri occulti dommatizzanti: fingono d' assalire una persona particolare, per assalire la fede di Cristo; la falsità, e le astutezze sono le medesime: si vuol distrutto il dogma che tanto oggidì pesa alla superbia degli uomini e che è la base della Cristiana umiltà, quello dell' originale peccato. Al qual tristo intendimento, affin di pescar sempre nel torbido, confonde di nuovo sformatamente le idee. Poichè egli espone l' errore di Bajo, dicendo che [...OMISSIS...] . A cui la Chiesa risponde: Siete voi stesso in errore, e in error gravissimo Signor C. così ragionando. Nella proposizione XLVI che voi citate [...OMISSIS...] , la chiesa decise che è necessaria la libera volontà a costituire una COLPA; nella proposizione XLVII, che [...OMISSIS...] , la Chiesa decise conseguentemente, che il peccato de' bambini, non può essere considerato come una COLPA, se non si riferisce alla libera volontà d' Adamo che lo commise. E perchè dunque confondete la colpa, il peccato, la pena del peccato? perchè attribuite quel che disse la Chiesa della colpa alla pena del peccato? Con questa vostra fallacia, venite a proscrivere la dottrina della Chiesa coll' autorità della Chiesa. Se dunque debbo ripetere quel che ho già detto, sappiate che nell' uom che nasce vi è la pena del peccato , ed il peccato (che è insieme una pena) distinto numericamente da quel d' Adamo. Il peccato poi essendo necessario e non libero nel bambino appunto come una lepra od altro mal fisico, non è colpa in se stesso, come voleva Bajo; ma la qualità di colpa gli s' applica, considerandolo siccome effetto della libera volontà d' Adamo « in quo omnes peccaverunt »: Questa è la riprovazione della dottrina bajana, la quale riguarda la colpabilità, e non il peccato ne' pargoli. Ma qual è poi la riprovazione della dottrina della Chiesa che fate voi, Signor C.? Si è il pretendere, che il peccato ricevuto da' bambini, benchè in essi necessario e non libero, non tiri dietro a sè la conseguenza penale della dannazione e della morte eterna. Vedete dunque, che tra la dottrina che condannate voi per bajana, e la dottrina che condanna la Chiesa, vi ha tanta distanza quanta ve n' ha appunto tra la dottrina infallibile della Chiesa, e la dottrina erronea di Bajo e di Pelagio. Il che si vedrà ancor più chiaramente distinguendo queste due questioni. 1 Prima questione riguardante la penalità (il male eudemonologico) annessa al peccato: Quale è la cagione prossima della dannazione de' bambini non rinati? - E la Chiesa risponde: « non il peccato d' Adamo, ma il peccato lor proprio ad essi inerente, il qual li perde « tantummodo quod inest », come l' esprime non Bajo, ma S. Agostino. 2 Seconda questione riguardante l' imputazione a colpa del peccato de' bambini: Come si può giustificare la divina giustizia pel peccato ereditario, e per la pena che trae seco ne' fanciulli non rinati? - E la Chiesa risponde: convien ricorrere alla colpa del primo padre, da cui fu liberamente il primo fallo commesso, cagione vera di tutto il resto. Illustriamo l' una e l' altra risposta con delle ecclesiastiche autorità. Dice la prima che la pena a cui i bambini non rinati soggiacciono è conseguenza del peccato loro inerente . Quest' è ammesso da tutti universalmente i teologi della cattolica Chiesa i quali per ispiegare la pena a cui soggiacciono quanti individui dell' umana specie son generati, (eccettuata sempre MARIA Santissima) non ricorre già di colpo al peccato d' Adamo, ma al loro proprio peccato per vizio di generazione da essi contratto (1): ed anzi dalle penalità, che essi soffrono, traggono argomento a conchiudere, che in essi stessi ci dee avere un peccato non certo commesso con libera volontà, ma per necessità di natura ricevuto. Il santo Dottore suscitato da Dio nella Chiesa ad umiliare la pelagiana superbia, così appunto argomentava contro questi eretici razionalisti: [...OMISSIS...] . Trovava dunque giusto il gran Padre che conseguitasse la penalità a quel peccato, che era ne' bambini, numericamente distinto dal peccato di Adamo, a quel peccato che essi non avevano commesso per proprio volere, ma nella propria volontà per natura aveano ricevuto, e ciò perchè mal morale e mal fisico, secondo l' ordine delle idee dell' eterna giustizia, debbono sempre trovarsi insieme. Altra volta diceva, che sono puniti i bambini pel peccato d' origine non in quanto è altrui (e intanto è colpa), ma in quanto è proprio (e intanto è morale infezione): [...OMISSIS...] (dove sta la necessità). E se non fosse così, dic' egli, le penalità a noi applicate non avrebbero la sua ragione, non bastando che Adamo abbia peccato, se non abbiamo peccato anche noi in lui, senza nostra volontà, cioè in quanto eravamo individui che dovevamo germinare da lui per naturale generazione. Onde prosegue: [...OMISSIS...] , ed altrove incalza i Pelagiani nuovamente dicendo, [...OMISSIS...] . La qual dottrina si ripete da S. Tommaso, il quale si fa l' obbiezione, che se i bambini sono puniti pel peccato di Adamo, il sarebbero pel peccato altrui, non per il proprio, e così vi avrebbe ingiustizia. A cui risponde quello stesso, che avea risposto prima il Dottor della grazia, esser essi puniti pel peccato proprio, per quel peccato che in loro trasfuso per generazione sta loro inerente (2). Onde gli autori dell' opera intitolata « « Concordantiae dictorum et conclusionum D. Thomae de Aquino » » vedendo che talora il santo dichiara il peccato d' origine volontario in Adamo, ed è in que' luoghi nei quali il considera come colpa , e talora il dichiara volontario anche ne' posteri, ed è in que' luoghi ne' quali il considera come semplice peccato, a togliere quest' apparente contraddizione, ed a conciliare il Santo dottore seco medesimo, rispondono: [...OMISSIS...] . Il che premesso, tolgono via l' obbiezione dall' ingiustizia della penalità soggiungendo: [...OMISSIS...] . E nel vero, sarebbe inesplicabile, come per la sola colpa d' Adamo potessero soggiacere i posteri al male fisico, qualora essi stessi non ricevessero in sè il mal morale, posto il quale, quello dee venir dietro come appendice. E non è egli un assurdo manifesto il supporre che i bambini che nascono non sieno corrotti, come vogliono gli scrittori, che rifiutiamo, ne' guasti nella volontà (4); e voler che debbano tuttavia scontar la pena, non già pel proprio peccato, ma solamente per la colpa del primo padre a loro resa comune? Che giustizia ci avrebbe qui? [...OMISSIS...] , dirò anch' io con S. Agostino, [...OMISSIS...] . Se dunque viene imputata la colpa prima a' posteri, ella non vien loro imputata, se non perchè in essi passa il peccato, il morale disordine: [...OMISSIS...] , mi continuerò col medesimo santo, [...OMISSIS...] . Non già che l' anime de' posteri fossero in Adamo peccante; ma vi erano i semi carnali, che doveano poi, per la generazione, infettare moralmente l' anime intellettive che avrebbero avvivati i corpi separati da quel d' Adamo. Quelli adunque i quali pretendono che le penalità a cui soggiacciono gli uomini non sien sequele del loro proprio peccato, ma sol della colpa Adamitica, e che, come fa il nostro C., condannano, per erronea quella dottrina; mirano direttamente a distruggere il peccato originale trasfuso nei posteri; perchè lo rendono inutile a spiegare i mali, a cui gli uomini vanno sommessi, riputandoli questi alla sola colpa di Adamo, senza bisogno d' altro intermezzo (3). Egli è dunque il Pelagianismo, che sordamente introducono cotestoro, quel Pelagianismo che tentò di continuo introdurre nella casa di Dio il serpentino suo capo, e che cercò d' entrar per ogni fessura del tempio strisciandosi e contorcendosi; ma tutto indarno fin qui. Ecco a ragion d' esempio siccome Ugone Vittorino descriveva a' suoi tempi la stessa rea opinione, che ora si riproduce nel cuor d' Italia, [...OMISSIS...] . - Anche il nostro C. confondeva poco fa la dannazione che è la pena dovuta, col peccato a cui è dovuta; e ciò che decise la Chiesa del peccato, l' applicava alla dannazione pena di lui. Andiamo avanti, e sentiamoli a parlare anche con un po' più di coerenza del nostro C. [...OMISSIS...] Non possono cioè, disconfessare, che questo è un distruggere il peccato originale. Ne ammettono però l' imputazione posticcia e senza base, come fanno i moderni razionalisti, e dicon con essi: [...OMISSIS...] , cioè distruggono del tutto il peccato colla solita ragion pelagiana. Nondimeno, non hanno essi coraggio d' escludere il nome del peccato simili anche in ciò a' nostri. [...OMISSIS...] Ma ne andrà ella soddisfatta la Cristiana teologia? Il grand' uomo, che noi citiamo, giudica risolutamente di no, e il giudica colla Chiesa: [...OMISSIS...] . Laonde anche S. Paolo dice, che la morte entrò nel mondo, perchè prima v' era entrato il peccato; sicchè quella in ciascun uomo è effetto immediato di questo, non del peccato originante, ma dell' originato; e il sacrosanto Concilio di Trento, dopo altri Concili definì; che ne' posteri d' Adamo non entrarono solo le penalità del peccato; ma il peccato stesso fondamento di quelle (1); perchè quantunque il peccato passato ne' bambini non sia libero; tuttavia è un morale disordine, che trae naturalmente seco anche il fisico. Aggiungerò una prova che ci somministra la ragione teologica. S. Tommaso, e dopo lui un gran numero di teologi, opinano, che i bambini che muoiono senza battesimo sieno privi della pena del senso, soggiacendo solo alla pena del danno. E, onde raccolgono questa lor conclusione? Se si pon mente al modo del lor ragionare, non da altro, che dalla condizione del bambino. Non gli attribuiscono cioè una pena adeguata al peccato colpevole di Adamo, che sarebbe pena di danno e di senso insieme, ma adeguata al peccato suo proprio. E` dunque chiaro, che considerano la pena non come un' immediata sequela della colpa del primo padre, ma del peccato messo in essere nel fanciullo coll' atto della generazione. Lo stesso si argomenta dal chiamarsi minima dai Dottori e non già nulla, la malizia del peccato originale del bambino (2); e dall' indurre che fa quindi S. Agostino, che dee esser minima altresì la sua pena (3). Se al bambino fosse applicata la colpa d' Adamo, nè minima la malizia sarebbe, nè minima pur la pena. Nè si può dire, che glien' è applicata una parte e non tutta; poichè o di tutta dovrebb' egli esser reo o di nulla. Che se non c' è ragione d' applicargliela tutta, dunque nè pure una parte. Il che conferma quanto sia falso il sistema de' nostri Anonimi, che senza riconoscere nel bambino alcuna inordinazione, pensano di ricorrere ad una semplice relazione con Adamo (cosa d' altra parte al tutto mentale), ad una estrinseca imputazione, la quale se valer potesse, o dovrebbe aggravarlo di tutta la colpa Adamitica, o pure di nulla. Ora veniamo all' altra questione - come si possa giustificare la divina giustizia; della condizione dei bambini. In quanto al mal penale, l' abbiamo veduto giustificato pel peccato passato in essi. Rimane dunque la dimanda: come i fanciulli senza atto di libera loro volontà debbano ricevere il peccato? Rispondesi, che questo peccato passa per generazione, e che [...OMISSIS...] , (così scrive Raimondo Sabunde), [...OMISSIS...] . E` dunque una cotal legge della natura, che il corpo del generante corrotto, generi un corpo corrotto, e che il corpo corrotto attragga a se l' inclinazione della volontà essenziale, onde l' uomo da quell' ora non è più atto a tener la bilancia della giustizia in molti de' suoi giudizii, ne' quali il ben sensibile viene a collisione col retto e col giusto; il che è mal morale, e peccato, se trovasi così piegata la stessa punta dell' anima sede dell' umana persona. Ma non poteva Iddio impedire questo effetto necessario e dalle leggi stesse della natura e della generazione, procedente? Potea, ma nol fece per giusto gastigo (oltre la gloria della sua misericordia, che ne volea trarre per la redenzione). Or qui ricorre l' imputazione, e la pena dovuta alla colpa. Era dovuto al colpevole Adamo ch' egli fosse lasciato col guasto di sua natura: questo guasto di sua natura, giustamente lasciatogli, si propagò ne' posteri, non già per miracolo, ma da se stesso, e così si propagò necessariamente, insieme la primitiva giustissima punizione: e i posteri si trovarono ravvolti nella pena del primo lor padre, la quale affettava giustamente quella natura che il primo padre, e poscia i figliuoli di lui di mano in mano per generazion propagavano. Onde si dicono colpevoli [...OMISSIS...] , dice S. Tommaso, [...OMISSIS...] . Dove si osservi bene, che la colpa personale d' Adamo è già tolta interamente: non esiste più. Che cosa è dunque la causa efficiente, che mette in essere il peccato ne' posteri? Non la stessa colpa d' Adamo che operi immediatamente in essi, la quale non può operar, non essendoci; ma è la pena d' Adamo, effetto della sua colpa, che in lui generante rimase; cioè, è il guasto fisico di sua natura, che comunicò generando alla stirpe e con esso surse il guasto morale. Laonde non si trasfonde immediatamente la colpa d' Adamo di padre in figlio, quasi che sia la colpa come un liquore che travasar si possa di vaso in vaso; ma sì la pena per dirlo di nuovo, è la natura guasta che si travasa; ond' anco i giusti generano de' peccatori, perchè in sè portano ancor la pena: [...OMISSIS...] , come dice S. Agostino, [...OMISSIS...] : il che viene a dire: « Perciò il giusto genera de' peccatori perchè la generazione non è già un atto della giustificata persona, ma è un atto della corrotta cioè giustiziata natura. »Ma ereditando la pena del peccato, cioè la natura guasta; questa mette in essere il peccato nel nuovo individuo, l' inordinazione del corpo traendo seco un' inordinazione nell' anima (3), nella stessa volontà personale, dove ogni guasto è morte, e giustamente s' appella dalla Chiesa peccato: colpa poi in quanto quella inordinazione si considera come una cotal continuazione ed estensione dell' atto libero, con cui Adamo prevaricò, del quale è veramente effetto. Ecco dunque come tutti i mali morali e fisici dei posteri hanno veramente la prima loro ragione e giustificazione nella libera colpa di Adamo, ma tenendo tuttavia tra loro quell' ordine, che l' Apostolo nella sua lettera a' Romani accuratamente descrive dicendo: [...OMISSIS...] , è il primo anello, la colpa di Adamo, che introduce nel mondo il peccato, il quale così passato ne' posteri forma il secondo anello: E viene a dire: Non è più la colpa d' Adamo, ma è il peccato già introdotto nel mondo per la colpa d' Adamo quello che introduce le penalità a sè dovute, tra le quali principale è la morte: [...OMISSIS...] , le quali ultime parole ci richiamano all' origine, cioè esprimono la congiunzione de' due estremi anelli la morte e la colpa del primo padre, mediante l' anello di mezzo, il peccato ne' posteri. L' attribuire dunque al peccato inerente ne' bambini la dannazione, non è mica un negare che il loro proprio peccato sia una pena della colpa Adamitica, la quale riman sempre come la suprema ragione di tutti i mali della misera umanità (2). E qui potrei cessarmi dal parlare di ciò che dicono i nuovi teologi contro l' antica e costante dottrina della Chiesa circa il peccato d' origine, se lo scopo di questo scritto, che è di metter riparo, quanto per me si possa, o più tosto d' eccitare altri maggiori di me per autorità e per dottrina a metterlo, al pericolo del razionalismo che assai tempo minaccia d' invadere le nostre scuole di teologia, non mi tirasse a fare un cenno della più vicina origine ch' ebbe in Italia quel sistema che agli occhi nostri distrugge l' originale peccato. L' articolo, intorno al peccato originale inserito da Alessandro Zorzi nel suo « Prodromo della nuova Enciclopedia Italiana », Siena 1779, quando uscì riscosse l' attenzione, e meritò la censura di gravi teologi. Ma sopravvenuta la morte dell' autore, e le guerre, rimase dimenticato ai più. Ora si può dire che i più moderni teologi razionalisti ritraggono da quell' articolo del Zorzi senza però mai citarne il fonte, benchè ne copiino le espressioni e le parole. Dicevo, che de' gravi teologi ripresero quell' articolo giudicandolo distruttivo del dogma, e n' accennerò in prova il Zovetti ed il Cesari (1), il quale nella vita di Clementino Vannetti amicissimo al Zorzi, di cui anche scrisse la vita, narra questo fattarello col Vannetti appunto avvenutogli: [...OMISSIS...] Abbiamo qui dunque il giudizio uniforme di tre dottissimi uomini del Cesari, del Zoretti, e del Vannetti: udiamone un quarto e sarà Alfonso Muzzarelli (2). Quest' uomo distinto scrisse un Opuscolo (3) a posta per confutare il sistema de' nostri teologi intorno al peccato d' origine, e vi s' introduce con queste parole: [...OMISSIS...] Passa poi a provare l' erroneità della sentenza dei nostri Anonimi, che il peccato originale non sia, se non « « una pura privazione dei doni indebiti alla natura umana » » ed ecco alcune delle sue ragioni: 1 Sparirebbe la difficoltà d' intenderne la natura, difficoltà riconosciuta da tutti i padri: [...OMISSIS...] . 2 In quella definizione non si riscontra la nozione di peccato e di colpa. Egli distingue queste due nozioni e prova che il peccato originale ne' bambini dev' esser vero PECCATO; poi passa a provare che dee esser vera COLPA; e che tal non sarebbe con quella definizione. [...OMISSIS...] 5 E` riprovata da' sommi teologi come eretica l' opinione del Cattarino e del Pighio. Dunque anche quella degli anonimi nostri [...OMISSIS...] Con queste ed altre ragioni il Muzzarelli rifiutava l' opinione del Zorzi e de' nostri più moderni, intorno al peccato d' origine. La quale fu immaginata per buon fine a principio, cioè per allontanarsi via più dal Giansenismo, da cui gli autori di essa non vedeano come meglio proteggere se stessi e gli altri, che inventando un nuovo sistema, e difendendol poi con tutta la sottigliezza e lo zelo che ispira l' odio dell' errore in chi crede. Ma a farli eccedere dall' opposto lato contribuì: 1 il non cogliere essi il vero senso, in cui furono proscritte alcune proposizioni di Bajo, e 2 il non saper trovare risposta nell' antico sistema contro a ciò, che era veramente in quelle proposizioni proscritto. Vediamo l' una cosa e l' altra ad un tempo. I Il Zorzi cita la proposizione LXXIX di Bajo, Falsa est doctorum sententia primum hominem potuisse a Deo creari et institui sine justitia naturali intendendola di una giustizia veramente naturale, senza riflettere, che Bajo chiamava naturale la giustizia soprannaturale e che per questo fu condannata (1). Il Zorzi del pari cita la proposizione LV di Bajo [...OMISSIS...] , intendendola materialmente, mentre egli è certo che la Chiesa non altro proscrisse in essa, se non l' errore, che Iddio non avesse potuto creare l' uomo nell' ordine meramente naturale, come ho altrove mostrato. [...OMISSIS...] II Il Zorzi teme, che ponendosi nel bambino, che nasce una positiva avversione da Dio, che noi dichiariamo per togliere ogni equivoco: « « un atteggiamento ritroso al bene ed a Dio e pendente al male ». ( Tratt. della Coscienza f. 37) » il che esprime meno di un' avversione positiva, frase usata da' teologi, ne avverrebbe che giunto all' uso della ragione dovrebbe odiare attualmente Iddio, che è la proposizione di Bajo: [...OMISSIS...] . Ma la conseguenza è falsa se « « l' avversion da Dio » » s' intenda, come la intendono i teologi cattolici. Un « « atteggiamento ritroso al bene » » è meno di un abito vizioso (1). E pure nè anche un abito vizioso toglie il libero arbitrio, come ottimamente prova S. Tommaso (1); quanto meno un semplice atteggiamento della volontà verso il ben sensibile disordinato. Nè ell' era già sfuggita all' angelico quell' obiezione (il che conferma, d' altra parte, che per l' avversione che ponea nel peccato originale egli intendea qualche cosa di positivo), ma se l' era sciolta dicendo, che l' avversione in cui quel peccato consiste non necessita di peccar sempre, ma sol qualche volta (2), se non soccorre la grazia. Il Rosmini poi aggiunge un' altra risposta, poichè, distinta prima la volontà dal libero arbitrio , dimostra che questo può dominare su di quella, anche se quella è naturalmente male atteggiata e disposta «( Antropol. L. III, c. ., e 10) ». Si teme ancora, che col porsi il peccato d' origine in una positiva avversione da Dio, sembri che esso si riponga nella concupiscenza, la quale è di fede non esser peccato dopo il battesimo. Ma perchè schifano tali teologi di definir chiaro ciò che si deva intendere per concupiscenza? Certo se con tal parola s' intende semplicemente « la facoltà d' appetire il bene sensibile »; come talun d' essi la definisce; anzichè peccato, ella è cosa buona e non solo potea essere nello stato di mera, ma sana natura, ma vi fu anche nello stato di grazia, in cui fu Adamo costituito. Se poi s' intende un vizio nella facoltà d' appetire il bene sensibile, non ancora può stare in essa propriamente il peccato, poichè la speciale facoltà d' appetire il bene sensibile, non è la volontà e quindi non è la sede del peccato. Se poi s' intende per concupiscenza un vizio inerente alla facoltà d' appetire il bene in generale, in tal caso si dee distinguere. O questa facoltà si considera nella suprema sua parte; (cui per distinguere da ogni altra attività, il Rosmini chiamò volontà personale ), o si considera nelle sue parti, inferiori alla suprema. In queste non può stare il peccato. Nella suprema poi è ancora a distinguersi. Il vizio che la inclinava ad appetire eccedentemente il bene sensibile, servendo così alle potenze inferiori è ciò che S. Tommaso considera come la parte materiale del peccato d' origine e tien luogo di conversione alla creatura; ma questo stesso vizio in quanto è avversione da Dio, cioè in quanto è alieno dall' ordine morale costituisce il formale del peccato originale; e qui è dove S. Agostino ripone il reato della concupiscenza, la quale avversione da Dio viene tolta e annullata interamente dalla grazia battesimale, che ricongiungendo l' uomo al Creatore, gli dà una nuova volontà o potenza suprema di volere il bene soprannaturale e di dominare sulle potenze inferiori. Ma su questo torneremo più avanti. Passiamo a vedere come il Zorzi si persuade di dimostrare il nuovo sistema, e ciò che dico del maestro si può applicare a' discepoli. Egli ci adopra autorità e ragioni. Quanto alle autorità, egli ne ha tante, che dopo aver detto che « « i buoni teologi dietro la scorta di S. Tommaso » » convengono nell' accordare ai bambini morti senza battesimo una natural beatitudine, e, dopo avere esposta questa natural beatitudine in tre proposizioni, soggiunge: [...OMISSIS...] . Queste sono le solite frasi de' teologi razionalisti, non certo scrupolosi in punto di veracità. Egli è vero, che giocano di sottigliezze affine di tirare i testi del Concilio di Trento, e di S. Agostino principalmente, ad un senso alienissimo dal vero, dall' ovvio, da quello che ad ogni uomo di buona fede corre tosto alla mente. Una di queste sottigliezze si è il pretendere, che quando il sacro Concilio con S. Agostino parla d' un decadimento, e d' un guasto dell' uomo che nasce, debbasi SEMPRE intendere d' un guasto relativo allo stato soprannaturale in cui fu Adamo costituito, non d' un vero guasto della natura umana in se stessa considerata. A dar valore a tal sistema, recano in mezzo qualche parola del Concilio, o qualche lineuzza di S. Agostino, che da sè sola sarebbe suscettibile dell' una e dell' altra interpretazione, usando poi la mala fede di dissimulare i passi più chiari, e di lasciar da parte il contesto di ciò che precede e che sussegue ne' passi dubbi, i quali, considerati nella serie de' concetti, cessan per lo più di esser dubbi. Essi vi arrecheranno quelle parole del Concilio in cui si definisce, che Adamo perdette per sè, e per noi, l' innocenza, la giustizia, la santità; e tosto conchiuderanno: [...OMISSIS...] . Ma in primo luogo, altro è l' innocenza e la giustizia e altro è la grazia santificante: altro è la colpa e l' ingiustizia , ed altro la perdita della grazia : questa è una conseguenza di quella, non più. In secondo luogo, perchè tacere, che il Concilio dopo aver detto d' Adamo [...OMISSIS...] . Si dirà dopo di ciò, che l' uomo col primo peccato sia decaduto solo rispetto all' ordine soprannaturale in cui fu costituito, ma rispetto all' ordine naturale? E` ella dunque cosa conforme alla natura dell' uomo, l' esser esso soggetto all' ira ed all' indegnazione di Dio? Si dovrà considerar l' uomo in stato d' intatta natura, benchè sia schiavo del demonio? O il demonio lascerà intatti quelli che gli sono dati in balía come schiavi? Apparterrà alla pura natura il servire al diavolo? O si potrà dire che sia peggiorato tutto l' uomo (TOTUMQUE ADAM), se la natura dell' uomo nulla ha sofferto, nulla perduto, non avendo perduto nulla del suo, ma solo toltole il vestimento de' doni a lei superiori? Appresso, il Concilio dice che Adamo dopo il peccato (ancorchè si sia convertito) l' uomo rimase macchiato, inquinatum illum; ora, la natura umana per essere nuda e sola, è ella per questo macchiata? Dichiara ancora, che Adamo trasmise a' posteri non solo la pena, ma anche il proprio peccato. E in Adamo, il peccato fu egli la sola perdita della grazia? Cessando l' atto peccaminoso d' Adamo, non restò alcun altro male in lui, se non tale privazione? Ma che è mai la privazione della grazia se non una pena e conseguenza del peccato, e non il peccato? Ora Adamo non trasfuse le pure pene; ma il peccato stesso. M' andrei troppo a lungo, se volessi tutto analizzare ciò che dice intorno a ciò il Concilio di Trento, che quasi ad ogni parola fa intendere, quanto l' uomo sia rimasto degradato sotto l' ordine naturale; non essendo cosa, che più intacchi e guasti LA STESSA NATURA del peccato. Quanto poi a S. Agostino, dice che NON SEMPRE parla del decadimento dell' uomo in rispetto al suo stato soprannaturale; spesso anzi parla di un decadimento e di un guasto assoluto, che intacca la natura, e questo è indubitato. Quando scriveva contro i Pelagiani, che ammettevano le divine scritture, a convincerli dell' esistenza del peccato originale, egli usava dell' uno e dell' altro argomento; cioè provava il peccato, in cui l' uom nasce 1 sì dal confronto tra lo stato presente dell' umanità, e quello in cui la divina scrittura ci dipinge costituito l' uomo da Dio a principio; e 2 sì dal confronto tra lo stato presente, e ciò che la natura stessa dell' uomo addimanda per non esser monca e deforme, qual non potrebbe mai uscire dalle mani di Dio. All' opposto qualora egli pugna co' Manichei, che non ammettevano le scritture, usa solo questa seconda maniera d' argomentare, come sola loro adattata. Quantunque poi già nella « Dottrina del peccato originale » abbiamo recati de' luoghi di S. Agostino attissimi a convincere chicchessia, che il Santo dottore riguarda il presente stato dell' uomo siccome guasto e corrotto anche rispetto all' ordine naturale, tuttavia non sarà inutile che aggiungiamo due altri argomenti, atti a finire ogni question sulla mente di S. Agostino intorno alla qualità del guasto, che di presente trae seco l' umana natura. Il primo si è che S. Agostino non crede che si possa rispondere a' Manichei, i quali dimandano perchè l' uomo nasca soggetto a tanti mali, cioè dimandano: [...OMISSIS...] , non crede, dico, potersi rispondere a queste domande de' Manichei, se non ricorrendo al peccato originale (1). Il che mostra chiaro, ch' egli giudicava che Iddio non avrebbe mai potuto creare con un tal guasto la natura umana, come gl' Anonimi nostri pur vogliono sostenere; e sfida i pelagiani di risponder validamente, senza ricorrere al peccato d' origine, all' istanza de' manichei, [...OMISSIS...] I razionalisti moderni più audaci degli antichi pelagiani, rispondono a questa sfida dicendo, che tali cose non sono propriamente mali, ma conseguenze necessarie della natura umana. Ma S. Agostino non credeva possibile, che gli eretici del suo tempo avesser fronte da rispondere così, esponendosi alle fischiate di tutto il mondo, onde gli invita a produrla se ne hanno l' animo, così loro dicendo: [...OMISSIS...] . Il dire adunque che il guasto con cui nasce al presente l' individuo umano potesse trovarsi in un uomo creato così da Dio, ell' è cosa, secondo S. Agostino, da ghignate di fanciulli e da sardelle; e tuttavia ell' è degna de' teologi nostri, tanto men verecondi di quegli antichi pelagiani. Il secondo argomento, io lo traggo da tutti que' luoghi, e sono moltissimi, di S. Agostino, ne' quali egli prova l' esistenza del peccato d' origine dal sentimento del pudore, costantemente affermando, che ciò di cui l' uom si vergogna, non potrebbe mai essere opera stessa di Dio (3); argomento che non avrebbe forza, qualora fosse vero, come vogliono i nostri moderni teologi, che Iddio avesse potuto creare l' uomo con tutto il guasto ch' egli porta di presente dal suo nascimento. Questi due tra gli altri argomenti moltissimi convincer possono della vera mente di S. Agostino, a cui s' attiene la sede Apostolica, tutti gli uomini di buona fede. Ciò nondimeno i teologi inclinati al Razionalismo giunsero a mettere il pudore fin nel Paradiso terrestre! Così fecero i P. P. Arduino, e Berruyer; e così fanno ora dopo di loro, i razionalisti biblici della Germania, e così fanno e devono fare tutti quelli che interpretano malamente la condanna della proposizione 55 di Bajo; [...OMISSIS...] . Le autorità di S. Tommaso (1), del Gaetano (2), del Soto e del Bellarmino, ch' essi vanno non citando, ma rosicchiando, furono esaminate nella « Dottrina del peccato originale », e trovate espressamente a loro contrarie (1). Fra gli scolastici, si potrebbe trovar taluno nel primo aspetto a lor favorevole, ma non così, se si considerano diligentemente. Mi servirò qui nuovamente delle riflessioni che fa intorno a ciò Alfonso Muzzarelli: [...OMISSIS...] (2). Il Zorzi ci rimanda ancora in fine del suo articolo all' opera di Bernardo Maria De Rubeis, quasi che questo dottissimo domenicano fosse tutto per lui, e n' adduce un breve testo, in cui il De Rubeis nega, che ciò che v' ha d' aderente all' anima del bambino nel peccato originale sia qualche pravo giudizio o qualche prava conversione « in bonum « commutabile » », il che sarebbe un atto, perchè il giudizio è un atto della mente e la conversione nel bene è un atto dell' affetto; nè niuno di noi certo dirà che ci fu ne' bambini un atto compiuto di tal sorte. E pure di quelle due linee tratte da un buon volume in quarto, egli n' ha abbastanza per farlo passare per suo! In queste simulazioni e dissimulazioni vedesi la passione di un partito, e colla scorta della passione non si trova la verità. Fatto sta, che il celebre De Rubeis è affatto alieno dal moderno sistema intorno al peccato d' origine, che ci vogliono vendere per antico, e a provarlo esporrò qui il suo vero sentimento. Prova il De Rubeis a principio, che ne' posteri vi ha un peccato abituale, simile a quello che rimase in Adamo dopo la sua prevaricazione. Affine dunque di conoscere qual sia il peccato de' posteri si fa a ricercare qual sia il peccato abituale d' Adamo, e prima lo riscontra col suo peccato attuale. All' uno e all' altro conviene la definizione general del peccato: « un pravo amore » [...OMISSIS...] . Ma questo genere si divide nelle due specie così: [...OMISSIS...] . Dove si noti, che nel peccato abituale qual è quello d' Adamo e del bambino, il celebre teologo scorge « un affetto permanente del peccato »; il quale, domanderò io a nostri teologi moderni, se possono crederlo un elemento della natura umana, da trovarsi altresì nello stato di quella pura natura, in cui Iddio può crear l' uomo. Andiamo avanti. Questo affetto pravo, che suscitò Adamo in se stesso e che rimase in lui fino alla sua conversione, spogliò l' uomo della santità e della rettitudine, e d' altri beni: [...OMISSIS...] . E seguitando a dichiarare l' effetto che rimane nell' anima dopo il peccato attuale, quell' effetto cioè che peccato abituale si dice poco appresso soggiunge: [...OMISSIS...] . Dopo di che viene a dire con espressive parole in che fa egli consistere il peccato abituale e di conseguente l' originale de' posteri, [...OMISSIS...] ; e ne fa tosto appresso l' applicazione a' bambini, come pure dimostra ampiamente esser questa la dottrina dell' Aquinate (2): all' incontro nè la sottrazione che fa Iddio della grazia santificante, nè la mera privazione di questa è peccato, come contendono i teologi razionalisti, negandolo apertamente quel teologo, che allegano essi medesimi come autorevole. La sentenza dunque d' Alessandro Zorzi seguito dai recenti è una novità nella Chiesa, e in vano si cercherebbero gravi autorità a mantenerla. Nè hanno più polso le ragioni, con cui si studiano sorreggerla: esaminiamole pigliandole dal P. Perrone. I ragione . Il Concilio di Trento definì il peccato originale « morte dell' anima ». Ma la morte è la privazione della vita, e la vita dell' anima è la grazia santificante. Dunque il peccato non è altro, che la privazione della grazia santificante; senza bisogno alcuno di supporre altro vizio nella natura. Risposta . La grazia è la vita soprannaturale dell' anima, allo stesso modo, dice S. Agostino, come l' anima è la vita del corpo. Ora quando si dice, che l' anima è la vita del corpo non si vuol dir altro, se non che l' anima è la cagione formale della vita del corpo. Per altro la vita del corpo non istà meramente nell' anima considerata da sè sola; ma essa vita è un effetto delle mutue azioni dell' anima da una parte sul corpo, e del corpo dall' altra in sull' anima. Di più, trattandosi qui di spiegare come il corpo sia vivo, e come sia morto, trattandosi di definire che cosa voglia dire la vita del corpo, e che cosa voglia dire la morte del corpo, è necessario riporre la vita in un atto dello stesso corpo, onde S. Tommaso sull' orme d' Aristotele definì propriamente la vita, dicendo, che l' anima est ACTUS CORPORIS organici ; (1) [...OMISSIS...] . Ciò posto, che cosa è la morte del corpo? E` la cessazione di quel suo atto, onde mettendosi in comunicazione coll' anima, vive. Ora la cessazione di quest' atto è ella cosa meramente negativa? Mai no; perchè il cessar da quell' atto che fa il corpo, è una intima disorganizzazione, è per lui un vero interior disordine. Applichiamo dunque la dottrina intorno alla morte del corpo a spiegare la morte dell' anima, che è il peccato. Come la morte del corpo è la cessazione dell' atto con cui il corpo vive in comunicazione coll' anima; così la morte dell' anima è la cessazione di quell' atto dell' anima, con cui questa vive in comunicazione con Dio. E come la cessazione di quell' atto del corpo è un disordine ed intima disorganizzazione del corpo stesso; così la morte dell' anima importa un disordine ed una intima disorganizzazione, per così dire, dell' anima, onde non è più atta all' atto della vita, [...OMISSIS...] cioè il peccato. Il peccato adunque, che secondo il Concilio di Trento è « la morte dell' anima »non si può far consistere nella semplice privazione della grazia santificante, qual ella sarebbe quella dell' uomo creato da Dio in istato di pura, ma sana ed intera natura; ma si dee far consistere in un disordine inerente all' anima, che la rende incapace ed indegna di comunicare con Dio e viver di lui. In secondo luogo, la morte importa un male dell' umano individuo, cessandogli quella cosa che più di tutti è necessaria alla sua costituzione. Ma non così può dirsi della mera privazione della grazia santificante; questa non è necessaria alla natura dell' anima; ma è una sopraggiunta, sicchè l' anima anche priva della grazia, può avere tutto ciò che esige la sua natura, ed altresì la vita sua propria e la perfezione naturale, come decise la Chiesa contro Bajo (2). Dunque la semplice privazione della grazia santificante non può ricevere il nome di MORTE dell' anima, se non si suppone nell' anima stessa un disordine che la renda incapace ed indegna di essa, come dice Francesco Suarez, il Bellarmino, e tanti altri. L' ordinazione ed il proposito fatto da Dio di elevare ad una sfera soprannaturale la natura umana, non può già fare, che l' ordine soprannaturale diventi perciò una parte della natura umana; sicchè la natura umana senza la grazia sia mancante di una cosa alla sua costituzione o natural vita e perfezione necessaria; perocchè quell' ordine e quel proposito divino non muta la natura delle cose, non cangia i costitutivi dell' anima e le sue naturali esigenze. Vero è che quando l' anima ha già la grazia, come l' aveva Adamo, l' atto con cui la grazia si perde non è altro che il peccato, e in questo senso il rimaner privo della grazia e l' essere in peccato cioè nella morte spirituale è il medesimo. Ma riman sempre vero, che il peccato consiste nell' atto dell' uomo con cui caccia da sè la grazia, atto che rimane poi come abito, e non nella semplice mancanza della grazia, che in tale condizione è solo l' effetto del peccato, non il peccato medesimo. In terzo luogo la grazia nel modo detto cagiona la vita soprannaturale dell' anima , ma l' anima innocente nell' ordine naturale, come sarebbe quella del bambino che nasce, se fosse vero il sistema de' nostri teologi, non sarebbe mica priva di ogni vita morale. Ell' avrebbe una vita morale nell' innocenza e nella rettitudine naturale. Onde non si avvererebbe, che ora l' anima del bambino avesse quel peccato che è mors animae secondo il Concilio di Trento in senso semplice e incondizionato. In quarto luogo, riponendosi la definizione del peccato che è morte dell' anima nella semplice privazione della grazia santificante ne verrebbe, che colui che ha già perduta la grazia santificante non potrebbe più peccare. E non varrebbe il dire, che costui, peccando, mette un ostacolo maggiore all' ottenimento della grazia; perchè in tal caso il peccato, ostacolo all' ottenimento della grazia, non sarebbe più la semplice privazione della grazia santificante, senza alcun difetto realmente inerente alla natura dell' anima che la renda peccatrice; verrebbero dunque con tale risposta a contraddirsi. 2 ragione . Col nuovo sistema si spiega con tutta facilità come si propaghi il peccato di padre in figlio: [...OMISSIS...] . Risposta , questa ragione non prova altro, se non che il sistema è nuovo nella Chiesa, e perciò al tutto falso ». Perocchè avendo sempre creduto tutti i Padri, i Dottori, i teologi, i sommi Pontefici, i Concili che [...OMISSIS...] ; avendo la stessa gran mente di S. Agostino confessato che, [...OMISSIS...] ; deve pur esser falso un sistema, da cui risulterebbe tutt' il contrario di ciò, che ha tenuto sempre la Chiesa (3). E onde nasce mai il Razionalismo, se non dalla voglia di spiegar tutto colla ragione? Che bisogno c' è che voi spiegate i dogmi della Chiesa, se le vostre forze intellettive non ci arrivano? Non è ella forse questa la ragione, per la quale i sociniani e razionalisti hanno distrutti tutti i misteri? 3 ragione . Rimovendosi col nuovo sistema dal dogma della propagazione del peccato tutto ciò che è opposto alla retta ragione, rimangono sciolte le difficoltà degl' increduli e de' filosofi. Risposta . Le difficoltà che gl' increduli ed i filosofi contrappongono ai dogmi della Chiesa si rendono certamente impossibili colla distruzione de' medesimi dogmi; ma non è questo uno sciogliere le loro difficoltà, ma un fare ch' esse trionfino della rivelazione. Certo, se voi siete da tanto da sciorre le difficoltà de' filosofi contr' a' dogmi della chiesa, senza distrugger questi, farete assai bene a darne la soluzione, facilitando loro il ritorno all' ovile di Cristo col rimovere dalle loro menti gli ostacoli. Ma se la vostra intelligenza non giunge fino a questo, altro non vi resta che di creder voi, e di esortar pur essi a CREDER CIECAMENTE alla parola di Dio che è per sè luce bastevole, senza più. [...OMISSIS...] , dice S. Agostino (1). In terzo luogo col sostituire ai dogmi da credersi dei sistemi razionalistici, che li distruggono; voi non conciliate i filosofi colla Chiesa, ma esponete la Chiesa a' loro dileggi. Poichè essi si persuaderanno, che la Chiesa si contenti di ciance, e che i suoi dogmi non sieno che baie di teologi accozzanti insieme parole, e parole senza significato. E veramente la voce peccato nel vostro sistema, non significa peccato. Vi sfideranno dunque i filosofi a dar loro una definizione del peccato, che sia universalmente ricevuta dagli uomini, e non foggiata da voi stessi al vostro bisogno presente, a cui si possa ridurre il preteso vostro peccato originale. E voi che farete? che risponderete? Non potete applicare a cotesto vostro peccato originale nè l' « actus humanus malus » di S. Tommaso, perchè questa definizione conviene al peccato attuale d' Adamo, non a quel del bambino; nè il « flagitiosus amor voluntatis » del Padre De Rubeis, perchè voi negate al bambino ogni affetto disordinato; nè il « mors animae » del Concilio di Trento, perchè la morte è il maggior difetto positivo che aver possa la natura umana, e voi negate a questa natura qualsiasi positivo difetto; nè altra definizione insomma ricevuta nell' uso; perchè nessuna conviene al vostro preteso peccato. I filosofi da voi istruiti dileggeranno dunque la Chiesa, come poco sincera, poco verace, anzi frivola e che cerca illudere il genere umano, quand' ella fa suonare quelle grandi parole circa il peccato originale chiamandolo [...OMISSIS...] , e quando vuole fino che un Dio sia morto per soddisfare alla divina giustizia, e sanarne gli uomini tutti, quasi che ella intenda d' atterrire gli uomini con istrepitose voci, ma senza concetto. Così diran certamente all' udire, che il peccato che infetta il mondo; pel quale morì l' uomo Dio, non è in fine, che la mera mancanza dell' ordine soprannaturale, essendo l' umana natura senza difetto alcuno, nè vizio di sorta. Que' filosofi mondani che crederanno al vostro detto assai facilmente, non si contenteranno essi della natura senza vizio che voi loro promettete, e della beatitudine, a cui la natura così sana come voi li assicurate ch' ella è, vien destinata? Che diligenza avranno di fare amministrare il santo battesimo a loro bambini? O come si persuaderanno, che vi sia qualche obbligazione di dover cercare di più del ben naturale, avendo già la natura umana tutto il suo, e di questo andando essi contenti? Oltre di che vi faranno essi ancora una piccola dimanda tra le innumerevoli che farsi potrebbero, la quale di nuovo v' impaccerà più che un poco, e sarà: « Il bambino che nasce come voi dite, senza vizio nella natura e sol privo di grazia, è egli si o no in possesso del Diavolo? »Che cosa risponderete loro? Se direte di sì, essi resteranno stupiti, sentendo che il demonio sia padrone di una natura che non ha vizio, e che il bambino in braccio del demonio possa godersi tuttavia, morendo, una sua natural beatitudine. Direte voi dunque di no: non vi resta altro. Ma certamente in tal caso prenderete il partito di dirlo loro in orecchi; acciocchè nessun vi senta, e la Chiesa non conosca le vostre faccie; e S. Agostino aggiungerebbe qui ancora, acciocchè la plebe cristiana non vi sputacchi, e le donnicciuole di piazza scalzate non vi diano per avventura delle loro pianelle in sulla bocca (1). Ed oltre al pericolo che vi minaccia il Santo, di dover fiutare le donnesche pianelle; i filosofi stessi all' ultimo vi daran dietro la baia scorgendovi in tant' impiccio, vi loderanno poscia per gratitudine, come Voltaire l' Abatino suo ammiratore di cui scrivea ad un suo collega che era un bon diable per raccomandarglielo (2). Sarei troppo lungo se io volessi aggiungere un saggio della maniera con cui poi si pensano di rispondere alle difficoltà innumerevoli che contrappongono loro senza numero i sacri teologi (1). Conchiuderò invece questo capitolo, notando in qual maniera essi spogliano la Chiesa d' un bellissimo e palmare argomento, che dimostra il peccato originale. Tutti i più grandi filosofi dell' antichità, hanno riconosciuto un guasto della natura l' hanno ben sovente appellata matrigna (2) ed hanno inventato de' sistemi per ispiegare un fenomeno così straniero a un ente ragionevole, così opposto ai voti dell' umanità. Rispondono i nostri, che tali testimonianze non provano il guasto originale, perchè gli antichi scrittori, se talor deprimono l' uomo, talor anco l' innalzano oltre il dovere (3). Quasichè non esistessero negli uomini veramente le traccie di due estremi, di una piccolezza cioè, e miseria infinita, e di una grandezza e ricchezza di doni maravigliosa. D' altra parte che esagerassero gli antichi filosofi la nobiltà ed eccellenza della natura umana, ella è cosa all' inclinazione umana conforme (1); e non distrugge punto l' altro fatto, che i mali a cui l' umanità soggiace secondo il giudizio naturale degli antichi sono sì gravi e sì strani da doversene almen sospettare un guasto primitivo. Si cita qualche elogio fatto all' umana natura da Platone e (lasciando anche stare che il passo diligentemente esaminato non prova ciò che si vuole) si dimentica, che Platone immaginava le anime preesistenti a' corpi, appunto per dar loro un luogo, dove avesser peccato prima di nascere, e così spiegare in qualche modo l' umana pravità e l' umana miseria che gli saltava vivamente negli occhi. Si cita Galeno che esalta la sapienza e la bontà divina in aver dato all' uom tanti doni, quasichè anche dopo il peccato non ci si trovino nella nostra natura le vestigia di un Creator ottimo e sapientissimo, e si dimentica che insieme colle lodi che dà Galeno al Creatore, sta benissimo senza contraddizione alcuna l' osservazione d' Ipocrate che [...OMISSIS...] . Non trattasi già di sapere se l' uomo abbia ancora de' pregi: trattasi di sapere se insieme co' pregi scorgasi mescolato un guasto così profondo da potersi indurre colla sola ragione, che la natura stessa è vulnerata per qualche antica caduta. E` questo il giudizio, che ha fatto il buon senso di tutta l' antichità; e che sta fermo, qual testimonio manifesto del vero, anche dopo l' osservazione de' nostri teologi. Non ha dunque creduto il buon senso naturale dei savii del paganesimo, che il guasto morale e fisico che ravvisasi nel genere umano si potesse spiegare ricorrendo alla natura dell' uomo, come potrebbe fare un ateo che non crede in Dio; ma prestando essi fede ad un ottima e sapientissima provvidenza, trovavano ripugnante, che Iddio avesse prodotto l' uomo senza sapere o volere mettere in armonia le forze della sua ragione con quelle del suo senso, da dover quelle comandare senza fatica e molestia a queste seconde, come esige il buon ordine dell' umana natura, e S. Tommaso, che ha una testa alquanto più grande di quella de' nostri Teologi dà loro piena ragione. Egli prova che ragionavano bene nell' opera contra i Gentili (1). Quivi dimostra, che dalla debolezza e dalla fallacità della ragione, dalle forze de' bestiali appetiti che l' uomo non vale talora a contenere, può benissimo indursi colla sola ragion naturale, l' esistenza d' un antico peccato, di cui tali mali sieno pene od effetti. Nè egli dimentica punto l' obbiezione de' nostri teologi da lui ben preveduta. [...OMISSIS...] e la va lungamente svolgendo; ma poi la dichiara inetta a provar cos' alcuna, [...OMISSIS...] . Onde conchiude, che colla sola ragion naturale giustamente si può rilevare, almen con probabile argomento, dalla lotta della ragione colla concupiscenza, che così non dovesse un Dio ottimo e sapientissimo averlo creato, [...OMISSIS...] . Bene dunque argomentarono i savii del Paganesimo, e male assai a detta dell' Aquinate, i nostri teologi che si sforzano incessantemente a sostituire un sistema nuovo intorno al peccato d' origine a quel della Chiesa. Ed è per questo che S. Agostino chiama i pelagiani al paragon de' pagani filosofi, che colla sola ragione avean pur veduto nell' umane miserie la prova dell' antico delitto. [...OMISSIS...] . E adduce quel bellissimo luogo di Cicerone, nel quale coll' autorità degli antichi dagli errori e dalle miserie dell' umanità argomenta che in qualche occulto reato sia involta l' umana natura. Nè tuttavia dissimulo, che B. De Rossi giudica questa prova de' filosofi non più che congetturale (2), ma giova fare su di tale sentenza le seguenti riflessioni. Le prove congetturali sono di due maniere, altre sono tali in se stesse, quando si fondano sulla probabilità degli eventi contingenti; altre sono congetturali solo inverso all' uomo che non sa dar loro la piena sua persuasione pel vacillare della riflessione e per debolezza della facoltà della persuasione benchè in se stessa la prova sia concludente, come dee esser se è prova, ed è fondata in un rapporto necessario delle idee. Ora se la prova di cui parliamo, che dal male eudemonologico, da cui è affetta l' umanità, induce un male morale ad essa aderente è congetturale , a quale delle due classi di prove congetturali crediamo noi che appartenga? Certamente alla seconda, essendo fondata a parte sui in un rapporto necessario d' idee; onde in se stessa considerata o non val punto, o conchiude a certezza. E in vero ella fondasi « sulla sconvenienza che l' umanità soffra tanto senza reato. »Ora questa sconvenienza o c' è, o non c' è: mezzo non ci ha. Se una tale sconvenienza c' è, la prova rigorosamente stringe; se non c' è, il suo valore, è nullo. S' ella dunque è congetturale, non è tale che relativamente a quell' uomo, che non ha forza o coraggio di aggiungere ad essa, come a ragione alta e spirituale, l' intera sua persuasione. Ora le prove di tal indole riescono congetturali o certe secondo la disposizione de' soggetti; il che spiega come, mentre S. Tommaso si limita a dire [...OMISSIS...] , S. Agostino assai più francamente dica [...OMISSIS...] . Ma io aggiungerò, che la detta prova in sè stessa considerata non dee dirsi congetturale , ma certa secondo la dottrina stessa di Francesco Bernardo de' Rossi. Eccone la dimostrazione. Essa prova è certa, se lo stato dell' umana natura presente si conceda sì tristo, che tale non potesse uscire dalle mani del Creatore; e perciò dimostri un decadimento morale da quello stato, qualunque esso sia, nel quale un Dio sapiente ed ottimo dee averla creata. Ora il De Rossi prova, che Iddio potea crear l' uomo nello stato di natura pura e di natura integra; ma trova in pari tempo un' immensa diversità tra lo stato di natura pura od integra dallo stato presente. Supposto l' uomo creato da Dio nello stato di natura pura o di natura integra, Iddio l' avrebbe fornito altresì degli aiuti necessarii co' quali potesse amar Iddio d' un amor naturale sopra ogni cosa ed anche questo, io aggiungerò, facilmente. All' incontro l' uomo nello stato presente dell' umanità non ha, senza la grazia, quest' amor naturale di Dio così facile e perfetto; perchè la sua volontà è moralmente piagata, [...OMISSIS...] . Quindi la differenza immensa fra l' uomo caduto e l' uomo che fosse creato da Dio in istato di pura od integra natura, [...OMISSIS...] . E quest' avversione da Dio non è già una relazione mentale o esterna, come pretendono i nostri teologi che mettono in campo l' arguzia dell' uomo vestito e dell' uomo nudo; ma importa una vera e grande differenza di forze morali nella volontà tra l' uomo caduto che ha quell' avversione, e l' uomo supposto creato [...OMISSIS...] . Onde prosegue il De Rossi: [...OMISSIS...] . Così scrive quel teologo, al quale appellano, come ad uno tutto lor favorevole, il Zorzi e il P. Perrone! Dal che intanto si può raccoglier così: L' umanità presente (non ristorata dalla grazia) si trova in uno stato di deficienza di forze morali, e n' è prova manifesta il mare delle iniquità che innonda e innondò sempre la terra. Così non può essere stata da Dio creata, nè pure nell' ipotesi, ch' egli l' avesse lasciata colla sola natura, egli l' avrebbe fornita di maggiori forze morali che non sono quelle ch' essa mostra aver di presente. Non è dunque il presente stato dell' umanità quello di prima istituzione, ma è uno stato di decadimento: giace sotto il fascio di colpe antiche; è disordinata e infelice, dunque è rea. Così i filosofi del Paganesimo (1); l' argomento è ridotto a dimostrazione. Avean dunque ragione, e con essi il senso comune. E con un testimonio del senso comune, a cui rinunziano i nostri teologi, conchiuderò questo capitolo. Poichè qual semplice testimonio del senso comune, chiedo io che mi valga l' autorità dell' illustre autore delle « veglie di Pietroburgo ». Il quale certo non era nè si inerudito da non conoscere, che alcuni filosofi dell' antichità esaltarono indebitamente l' uomo, nè sì piccol di testa da non saper conoscere, se tale esagerazione potesse distruggere l' induzione che altri filosofi, o anche gli stessi in altri luoghi delle loro opere facevano dallo stato in cui si trova l' umanità, ad una colpa originale di questo stato infelice cagione. A lui sembra evidente, che i tanti mali morali e fisici del genere umano non sieno punto limitazioni necessarie della umana natura, o difetti da queste limitazioni di necessità provenienti; ma uno stravolgimento di essa natura. Onde dando ragione a que' pagani filosofi, (ed egli sarebbe pure strano che con un raziocinio falso, come vogliono i nostri teologi, avesser colto sì giusto nel segno del vero) favella in questo modo: [...OMISSIS...] . Chi adunque sostiene, che la natura umana nello stato in che al presente si trova, non ha vizio in sè stessa nè morale nè fisico, ma solo è priva della grazia santificante; non pure s' oppone all' ecclesiastica tradizione, ma alla filosofia e al senso comune del genere umano. Altri argomenti dimostrano il disordine contro natura che è nella volontà dell' uomo che nasce, pertinacemente negato da' moderni razionalisti. Crediamo tanto più necessario comprimere coll' abbondanza degli argomenti la loro baldanza, ch' ella è tanta, che giungono ad attribuire il loro coperto Pelagianismo a tutti i cattolici (1), ad asserirlo ammesso universalmente (2) a dichiararlo dottrina di fede (3). E cominciamo dal paragonare insieme i tre errori de' giansenisti , de' razionalisti biblici della Germania, e dei teologi nostri razionalisti pratici . Benchè l' error de' primi sia opposto a quello degli altri due; tuttavia non sarà difficile scorgere, che tutti e tre, questi errori, hanno una base, un principio comune. Avviene quasi sempre, che si rinvenga un elemento comune ne' contrari errori, come già osservammo. Il principio, o la base comune consiste nel venire a riporre il peccato originale in una LIMITAZIONE della natura umana; anzichè in ciò che è guasto e disordine. Tutti e tre gli accennati erronei sistemi si fondano sopra questo primo sbaglio (1); ma spiegano poi diversamente il modo, onde attribuiscano l' appellazione di peccato alla mera limitazione della natura. Esponiamo la diversità di questa spiegazione. I giansenisti sulle tracce di Bajo dicono che la natura umana lasciata sola, senza la grazia soprannaturale, è imperfetta e monca, formando così della grazia un costitutivo all' interezza e sanità dell' umana natura (2). Questa natura così scema d' una sua parte, si dee chiamar viziata e peccatrice, perchè non si solleva colla volontà a Dio soprannaturalmente conosciuto (al che le mancano le forze), e in questa non elevazione ch' essi dichiarano volontaria, fanno consistere l' original peccato (3). I biblici razionalisti della Germania pure accordano a' giansenisti che il peccato originale consista nella limitazione della natura; ma spiegano la cosa più filosoficamente. Questa limitazione non è già peccato, come vogliono i giansenisti, perchè l' uomo in essa costituito non si leva a Dio colla sua volontà impotente; ma perchè è lontano dalla sua ultima possibile perfezione alla quale non si solleva che a gradi. Onde secondo il signor Baur il peccato è simultaneo colla natura dell' uomo, come è simultanea con quella natura la limitazione (1). Imperocchè l' uomo, in quanto è creato da Dio, [...OMISSIS...] . I nostri teologi moderni (stando alla sostanza delle loro dottrine, benchè colle parole si dichiaravano nemici di tutte l' eresie) sono obbligati a parlare in questo modo, quando vogliano esser sinceri: Avete ragione, o giansenisti e razionalisti biblici, nel cercare nella LIMITAZIONE dell' umana natura il peccato originale: anche noi facciamo lo stesso; ma spieghiamo la cosa in modo diverso dal vostro. Noi diciamo che la natura umana presentemente ha tutto il suo senza difetto alcuno; ed aggiungiamo, che ha il peccato, unicamente perchè le manca l' ordine soprannaturale, che ella dovrebbe avere; quindi definiamo il reato di cui è presentemente l' uomo aggravato [...OMISSIS...] . Anche noi dunque diciamo co' razionalisti biblici che l' uomo non ha alcun difetto, ma aggiungiamo che gli manca la grazia, e in questo sta il peccato. Diciamo anche co' giansenisti, che questa grazia è dovuta all' uomo perchè la natura umana non sarebbe intera senza di essa, ma unicamente perchè Iddio a principio ha fatto liberamente il decreto di concederla all' umanità, e in virtù di questo decreto le è dovuta. Or Adamo colla sua prevaricazione spogliò la natura umana di questa grazia per sè stessa non dovuta, e non fece alcun altro male all' umana natura. Noi dunque, suoi figliuoli, nascendo senza grazia, siamo peccatori, figliuoli dell' ira, inimici di Dio e almeno negativamente avversi a Dio, [...OMISSIS...] . Nell' uomo dunque che nasce non v' ha alcun difetto morale, v' ha sola la limitazione naturale , che importa il non aver la grazia soprannaturale; e questa è peccato formale, perchè non dovrebbe esservi « juxta ordinem a Deo constitutum ». La stessa limitazione, la stessa mancanza di ciò, senza cui la natura può esser perfetta, è peccato, o non è peccato, secondo il decreto di Dio. Se Iddio non avesse decretato di dar al figliuolo di Adamo la grazia, non sarebbe per lui peccato l' andarne privo; ma avendo decretato di dargliela, se il padre la conservava; è un peccato del figliuolo l' andarne privo a cagion del padre, che gliela perdette. Non dipende dunque dalla cosa in sè, ma dal positivo decreto di Dio l' esser peccato la nudità della grazia, che per se non è punto peccato; ma Iddio il rese peccato col suo decreto! Se non che ci sarebbe senso nel dire, che un decreto con cui Dio decretò di dare agli uomini un dono, sia obbligatorio anche per quegli uomini, a cui questo dono non è dato? quel decreto di Dio poteva essere obbligatorio pel bambino che nasce? ovvero, contribuì il bambino a invalidarlo? Nulla di ciò. Tutto si fece all' insaputa del povero bambino. Iddio fece il suo Decreto ab eterno senza consultarlo. Il padre peccò pure senza farglielo sapere, nè il figliuolo che ancora non esisteva acconsentì punto al peccato del padre. Nacque nella sua persona innocente, senza difetto alcuno nella sua natura; ma nacque privo di ciò che la sua natura non esigeva, e che non dipendeva da lui l' avere o il non avere. Non vale. Incontanente che viene al mondo gli si dice; « sappiate che voi siete formalmente peccatore, inimico di Dio, figliuolo d' ira, a Dio avverso! »Che stupore per una simile creatura a tale intimazione! A riceverla cioè da persone, che l' assicurano in pari tempo che la sua natura è in tutte le sue parti perfetta ed immacolata, non punto obliqua la sua volontà, che non ha altro in somma, che quella necessaria limitazione, che esclude l' ordine soprannaturale! Deh, come crederà sinceramente di portare in sè un vero peccato, unicamente perchè Iddio aveva intenzione di dargli de' doni maggiori di quelli che non esiga la sua natura, e non glieli diede a cagione che suo padre impedì un sì liberale divino consiglio? Ora che Iddio privi tutta l' umana stirpe de' suoi gratuiti favori, pel peccato del suo capo, a cui gli avea largheggiati acciocchè a tutta la stirpe si propagassero, niente v' ha, che pugni colla ragione. Ma che questa semplice privazione, acquisti in conseguenza del decreto divino, la ragione di vero peccato formale in chi nasce da Adamo senz' alcun difetto nella sua volontà naturale; questo non s' accorderà mai colla ragione umana; che l' esser una cosa peccato non dipende da un decreto positivo di Dio, come il fanno dipendere i nostri teologi (1); nè tampoco dipende meramente da un fallo altrui; dovendo essere ogni peccato vero e formale, un mal morale personale (2); onde convien ricorrere a mutare la significazione della parola peccato (1), o per dir meglio a distruggerne affatto la nozione. Veniamo ad esporre altre ragioni teologiche, che dimostrando inammissibile il sistema de' nostri moderni razionalisti, confermino la verità difesa, che il peccato originale cioè non pure priva l' uomo della grazia santificante, ma guasta di più la natura dell' uomo nella parte sua più eccellente, la parte morale. S. Tommaso dimanda, perchè passi di padre in figlio il peccato originale, e non gli altri peccati (2), e risponde: perchè il peccato originale offende la natura , non che la persona; quando gli altri peccati non offendono che la persona . Infatti trapassa per generazione solo quello che appartiene alla natura, non quello che è meramente e strettamente personale. [...OMISSIS...] Conviene dunque cercare, che cosa S. Tommaso intenda per giustizia originale . Sotto l' espressione di giustizia originale S. Tommaso comprende più cose: 1 l' elevazione della mente a Dio soprannaturalmente conosciuto: 2 la rettitudine naturale della volontà, o giustizia naturale: 3 l' ubbidienza delle parti inferiori e corporee alla volontà retta secondo la natura, e secondo la grazia. [...OMISSIS...] Di tutte queste cose si componeva ciò che S. Tommaso intende per originale giustizia: tutte erano annesse e legate per libero decreto di Dio, alla natura umana; ma la prima parte di esse perfezionava essenzialmente l' umana persona nella natura umana esistente. Che cosa è l' umana persona? E` il più elevato principio, che sia nell' uomo, la sua volontà suprema. Indi la prima parte della giustizia originale cioè la sommissione della mente a Dio, era per essenza sua personale. Egli è di qui che s' intende ragione, perchè, restituita all' uomo nel battesimo questa parte personale della giustizia; rimanga tuttavia l' uomo difettoso e privo dell' altre parti di essa giustizia originale , cioè della sommissione delle potenze inferiori alla ragione, e del corpo all' anima. Il qual difetto spiega, dice S. Tommaso, perchè anche l' uomo giustificato trasmetta generando il peccato d' origine. [...OMISSIS...] Ammessa questa dottrina, si dee pure ammettere, che la parte inferiore dell' uomo è guasta, ragione unica per la quale genera un individuo guasto. Se nella parte inferiore non vi avesse natural disordine, e il peccato consistesse, come vogliono gli Anonimi nella semplice privazione della grazia santificante che appartiene alla parte superiore dell' uomo; l' uomo giustificato, rimastosi già senza difetto, dovrebbe generare del pari individui immuni da ogni difetto, e da ogni peccato. Lo stesso si può argomentare dall' altra dottrina di S. Tommaso intorno ad un uomo formato altramente, che per generazione: questi non avrebbe il peccato, perchè il principio che lo formerebbe non essendo guasto, come è guasto il principio generativo, non potrebbe mettere in lui il guasto del peccato ancorchè avesse la sola natura perfetta priva di grazia (2). Nel che s' osservi attentamente, come S. Tommaso spieghi in modo diverso la trasfusione del guasto originale in quant' è COLPA, e in quant' è PECCATO. Quando egli toglie a spiegare come si propaghi la colpa sempre ricorre alla volontà peccatrice d' Adamo, perchè al guasto originale de' posteri non può applicarsi il nome di colpa, se non si considera nella causa libera che lo produsse. Laonde dice: [...OMISSIS...] . Da tutti i quali luoghi apparisce, 1 che il santo dottore distingue nell' originale infezione due cose, un difetto morale, che noi chiamiamo peccato, ed una colpa; 2 che a spiegare come trapassi la colpa sempre ricorre alla libera volontà d' Adamo, perchè niun difetto benchè morale riceve la nozion di colpa, se non è prodotto da una libera volontà. Resta a vedere come spieghi la trasfusion del peccato ossia il difetto morale della natura. Prima che ne esponiamo la maniera, vogliamo far notare, che il peccato e la colpa originale passano ad un tempo per generazione, perchè non si dà fra tali due cose DISGIUNZIONE REALE; ma tuttavia diversa è la maniera di spiegarne la trasfusione: cioè una diversa ragione è quella che fa passare il difetto morale della natura , da quella che fa passar la colpabilità di quel difetto. Quando si tratta di spiegare la trasfusione di quello, S. Tommaso non ricorre più alla volontà libera e prevaricatrice d' Adamo, ma alla generazione . La caduta d' Adamo il corruppe nella parte sua superiore che è la volontà, e nella parte sua inferiore che è principalmente la facoltà generativa. La corruzione della volontà libera d' Adamo è quella che spiega la trasfuzione della colpa ne' posteri; la corruzione della facoltà generativa è quella che spiega la trasfusione del peccato . Udiamo adunque il Santo Dottore: [...OMISSIS...] . Ora questa vis activa in generatione , che S. Tommaso nomina tante volte, come quella che trasmette il peccato, non è già la volontà prevaricatrice d' Adamo, ma una facoltà tutto diversa. E pure la COLPA non viene che dalla volontà prevaricatrice d' Adamo; ma il peccato viene da quella forza attiva; benchè essa non sia soggetto di colpa, nè di peccato; e l' uomo possa adoperarla senza peccare (2). Ma pel guasto, che ha la carne generante produce una carne che sconcerta l' ordine morale dell' anima del generato, e così mette in essere il suo proprio peccato, il quale però non riceve appellazione di colpa se non riferito all' atto libero della disubbidienza adamitica (3). E notisi che alla trasfusione del peccato non basta nè la volontà prevaricatrice d' Adamo, nè tampoco l' esser formato della sua carne: no, questo non basta; conviene che c' entri la forza generativa , perchè [...OMISSIS...] . Ora in costui formato dalla carne d' Adamo prevaricatore perchè mai non passerebbe il peccato? Forse perchè non ci sia in Adamo la volontà prevaricatrice? No. Forse che la carne d' Adamo non sarebbe priva de' doni gratuiti? Sarebbe priva certamente. Non basta dunque che la carne sia priva de' doni gratuiti, e che la carne che l' uom veste sia carne d' Adamo; ma si esige di più, acciocchè sia messo in atto il peccato, la forza generativa , che non è un atto di volontà peccatrice, essendovi anco ne' giusti. La ragione di ciò non si rinverrà mai nel sistema de' nostri Anonimi; ma nel nostro si troverà luminosissima. Così pure nel sistema de' nostri teologi moderni conviene rinunziare affatto a quella ragione, che spiega sì bene perchè il Signor GESU` Cristo, figliuolo di Adamo verissimo secondo la carne, non ebbe tuttavia l' OBBLIGAZIONE di contrarre il peccato originale. La tradizione tutta risponde con S. Agostino (1) e con S. Tommaso (2), che non l' ebbe, perchè non fu generato dal seme infetto, perchè ricevette bensì da Adamo la carne, ma non per via di generazione. E alla natura umana, che volle assumere il Verbo, non era dovuta la grazia; anzi fu predestinata all' unione personale col Verbo, e il Cristo fu unto per libero decreto del Padre. Se dunque non era dovuta alla carne che il Verbo poi assunse la grazia, perchè tuttavia l' umanità di Cristo non fu obnoxia al peccato? Se il peccato non è che la mera privazione della grazia in relazione alla volontà prevaricatrice del primo padre, la carne d' Adamo in qualunque modo da lui si tragga sarà obnoxia peccato . Niente di ciò: anzi benchè alla natura umana non sia dovuta la grazia; pure insegna la dottrina cattolica, che il Nato dalla Vergine non solo non contrasse, ma nè pure dovea contrarre il peccato. Dunque il peccato non è la mera privazione della grazia; ma esso è l' obice che impedisce la grazia, il quale obice è posto dalla seminale generazione, la quale non fu quella di Cristo operata per ispirito Santo. Essendo dunque l' originale vizio ne' posteri e peccato e colpa, due cose ci vogliono acciocchè trapassi coll' una e l' altra qualità: 1 la generazione seminale, 2 la relazione alla volontà di Adamo, che viziò la generazione, poichè [...OMISSIS...] . Ma se si trattasse di trasmettere una mera privazione de' doni soprannaturali, sarebbe vero quello che dicono i nostri teologi, [...OMISSIS...] . Ma questo appunto dimostra l' erroneità del loro sistema. S. Tommaso, e tutti i dottori, tutti i teologi, non hanno creduto inutile una tale questione, anzi difficile, difficilissima. S. Tommaso ha creduto di dover ricorrere ad una [...OMISSIS...] ed ha creduto che non ogni forza o virtù fosse atta a trasmettere il peccato, ma solo quella che opera [...OMISSIS...] . Certo che per trasfondere una privazione semplice non fa bisogno d' una forza, o vita attiva, d' una mozione, e d' una mozione determinata. E` dunque manifesto, che S. Tommaso (a cui non si può negare il buon senso, nè attribuire che siasi abbandonato alla fantasia , o che siasi lambiccato inutilmente il cervello (4); non sarebbe ricorso ad una forza, o virtù attiva di operare per ispiegare la produzione del peccato ne' posteri, se avesse stimato che in questo non ci avesse niente di positivo, ma fosse una mera privazione de' soprannaturali favori (1). Finalmente col sistema degli Anonimi pare almen che si cozzi in un altro errore, quel della proposizione LVI di Bajo, [...OMISSIS...] . Imperocchè nel peccato original de' bambini battezzati non v' ha più certamente l' atto del peccato, già trapassato in Adamo, nè pure v' ha il reato tolto coll' acque battesimali. Che cosa dunque resta, ci dicano, i nostri Anonimi? Nel loro sistema non resta più niente, come dice Bajo, niente più che spieghi veramente la trasfusione del peccato; mentre nel sistema della Chiesa in vece d' una carne naturalmente sana che produce una carne sana, rimane una carne inferma e guasta che produce una carne del pari inferma e guasta, la qual trae la volontà dell' anima dall' eguaglianza della giustizia (2). Ma qui gli avversarii ci fanno un mondo di obbiezioni, alle quali tutte noi vogliamo rispondere, registrandole per ordine, e soggiungendo a ciascuna la sua risposta. Obbiezione 1 E` vero che S. Tommaso dice che all' essere del peccato d' origine concorrono due cose, 1 un difetto naturale , e 2 che questo difetto sia stato in potere della natura mercè la libera volontà del suo corpo, nel che consiste la ragione della colpa (1). Ma S. Tommaso chiama quel difetto naturale , non lo chiama già peccato . Risposta . Quel difetto è chiamato da S. Tommaso ugualmente difetto naturale , o peccato naturale . Ecco le sue parole: [...OMISSIS...] (ecco la colpa), [...OMISSIS...] (non si ferma alla colpa, c' è qualche altra cosa da aggiungere) [...OMISSIS...] (e non solo privata de' doni maggiori). [...OMISSIS...] ; perchè, come disse altrove ne' posteri, il peccato originale « deficit a ratione culpae ». Laonde S. Tommaso al peccato dei posteri, astraendo dall' attual peccato d' Adamo, attribuisce ugualmente le appellazioni or di « defectus naturalis », or di « peccatum naturale ». Obbiezione 2 S. Tommaso chiama l' accennato difetto naturale [...OMISSIS...] . E` dunque in se stesso una semplice limitazione della natura, non un peccato. Risposta . Ci sono de' difetti, cioè delle mancanze che conseguono necessariamente alla natura umana, e questi sono mere limitazioni della natura; ma vi sono de' difetti che conseguono accidentalmente alla natura; e questi non sono mere limitazioni. Che la natura umana sia fallibile , questo è un difetto necessario, e solo per accidente ella può essere difesa e premunita contro l' errore, e il peccato. Ma che la natura erri, o pecchi realmente, questo è un difetto che consegue a' suoi principii accidentalmente. Dato poi che sia venuto in essa questo accidentale difetto, qual fu il peccato, ch' ebbe luogo nel primo padre; esso difetto si rende necessario nella natura: tale è il disordine abituale della volontà ne' posteri, o il peccato originale. Onde il peccato originale originato è un difetto naturale [...OMISSIS...] ; perchè i principii della natura umana, che è quanto dire i suoi essenziali costitutivi non esigono di necessità che la natura umana sia senza peccato. Se dunque il peccato si considera in Adamo che lo commise, egli è un difetto [...OMISSIS...] ; se si considera trasmesso ne' posteri dopo commesso, egli è un difetto [...OMISSIS...] . Laonde S. Tommaso dichiara, che l' inordinazione della volontà che non può domare le potenze inferiori, [...OMISSIS...] per mezzo della colpa (1), non della natura umana semplicemente. Nel che egli è uopo considerare, che S. Tommaso, come abbiamo già notato, nella giustizia originale distingue una doppia rettitudine di volontà , cioè una rettitudine di volontà soprannaturale , che nasce essenzialmente dal dono della grazia santificante: e la mancanza di questa è un difetto che consegue i principii della natura umana necessariamente, è una limitazione; ed una rettitudine di volontà naturale , che potrebbe esser nell' uomo anco senza la grazia santificante, se Iddio l' avesse creato in istato di natura integra, senza la grazia: e la mancanza di questa rettitudine naturale è un difetto che consegue la natura umana per accidente. Onde un suo interprete preclarissimo, a cui appellano gli stessi nostri avversarii, dopo distinto l' amore di Dio soprannaturale, e l' amor di Dio naturale che si conteneva nell' originale giustizia, dice, [...OMISSIS...] . Di che conchiude che nel peccato originale rimase perduto non che l' amor di Dio soprannaturale, ma anche il naturale: [...OMISSIS...] . Di entrambi questi amori rimasero dunque privi anche i posteri d' Adamo spogli della originale giustizia. Ora il difetto dell' amore naturale di Dio, l' impotenza di amarlo naturalmente , quanto si conviene; è un difetto che consegue i principii della natura umana corrotta; e non mai quelli della natura umana, nell' ipotesi che fosse creata da Dio senza grazia, ma in pari tempo senza vizio. Obbiezione 3. Benchè S. Tommaso dica, che i difetti naturali, che peccato originale si dicono, sieno [...OMISSIS...] ; tuttavia dice anco che questi difetti potrebbero trovarsi in una natura non iscaduta per cagion di peccato, ma formata da Dio medesimo, nel qual caso non avrebbero ragione di colpa . [...OMISSIS...] Risposta . La conclusione che voi tirate dal testo addotto di S. Tommaso non procede in modo alcuno, perchè in quel testo S. Tommaso non parla del formale del peccato originale, ma solo del materiale . A convincervene vi basti quest' altro luogo di S. Tommaso medesimo: [...OMISSIS...] . Ora rileggete il testo addotto, e vedrete se il S. Dottore ivi parli dell' insubordinazione della volontà a Dio, che è il formale del peccato; ovvero se parli solo dell' inordinazione delle forze dell' anima, che è il materiale . Dell' insubordinazione della volontà , voi scorgerete che non vi fa motto alcuno, non dice se non che Iddio potea creare [...OMISSIS...] (2). S. Tommaso dunque non insegna nel testo addotto che Iddio avesse potuto creare un uomo la cui volontà non fosse subordinata a Dio, il che è il formale, l' essenziale del peccato; ma solo che avrebbe potuto crearne uno passibile, mortale, concupiscibile; il che forma nel presente ordine di cose la pena, l' effetto, e il materiale del peccato; ma nell' ordine ipotetico in cui Iddio l' avesse creato tale, sarebbe un difetto, a cui non si potrebbero nè pure applicare tali appellazioni. Laonde si dee conchiudere che dove S. Tommaso parla del peccato intero, racchiudente tanto la parte formale, quanto la materiale, egli nol dice difetto naturale, o conseguente i principii della natura, se non intendendo della natura decaduta, come ho detto nella risposta all' obbezione precedente; dove poi parla della sola parte materiale del peccato, egli concede che possa dirsi un difetto della natura stessa, e che l' uomo potesse esser creato da Dio in tale stato, benchè anche ciò per via di mera congettura, o con qualche limitazione, come vedremo (1). E in fatti egli è troppo assurdo l' attribuire a S. Tommaso l' insegnamento, che Iddio avesse potuto creare un uomo avente un FORMALE PECCATO, quale egli dichiara essere LA MANCANZA DI SUBORDINAZIONE A DIO DELLA VOLONTA` (2). Obbiezione 4. Quel naturale difetto col quale Iddio avrebbe potuto crear l' uomo, S. Tommaso lo chiama peccato originale; onde per esso non intende, come voi dite, la sola parte materiale del peccato. Risposta . Può tirarne questa conclusione solo colui che non conosce la maniera di parlare del Dottore angelico. Esponiamola, e sarà tosto dissipata l' obbiezione. L' espressione giustizia naturale , come l' usa S. Tommaso, comprende 1 la subordinazione della volontà a Dio; 2 la subordinazione delle potenze inferiori alla volontà buona. Il peccato originale poi è la perdita dell' originale giustizia; e però sotto tale espressione egli intende pure 1 l' insubordinazione della volontà a Dio, che perdette per propria colpa la grazia santificante, e così rimase abitualmente insubordinata e spossata, e 2 l' insubordinazione delle potenze inferiori alla ragione. [...OMISSIS...] , dice Francesco de Sylvestris, [...OMISSIS...] . Ora talvolta S. Tommaso dà il nome di peccato originale alla sola parte materiale del peccato, come dà il nome di giustizia originale alla sola seconda parte che si può dir materiale di questa giustizia. Tutto ciò c' insegna l' accennato interprete de Sylvestris, il quale, dopo esposta la dottrina di S. Tommaso che, [...OMISSIS...] ; si fa l' obbiezione: in qual modo S. Tommaso possa dire che resta il peccato originale dopo il battesimo, mentre la concupiscenza che rimane non è peccato, perchè non è [...OMISSIS...] ; e per rispondere a quest' obbiezione e spiegare in che senso S. Tommaso dica che rimanga il peccato dopo il battesimo, ricorre alla maniera di parlare da lui usata, mostrando che secondo questa, la giustizia originale , come pure il peccato originale ha due sensi: [...OMISSIS...] . Onde quando S. Tommaso dice, che il peccato originale è [...OMISSIS...] . Quando poi dice che resta il peccato originale dopo il battesimo perchè resta la concupiscenza, deesi intendere che manca solo la seconda parte dell' originale giustizia, [...OMISSIS...] . Ora si dee osservare, che la seconda parte della giustizia originale non è essenzialmente cosa morale, ma è morale solo in quanto dipende dalla prima parte; e così del pari la privazione della seconda parte della giustizia originale non è essenzialmente peccato, ma è peccato in quanto dipende e sta unito colla privazione della prima parte della giustizia originale, ed anche allora è ciò che forma la parte material del peccato. Quando dunque nell' uomo non manca la prima parte, quando non manca la RETTITUDINE DELLA VOLONTA` SUPREMA, allora la mancanza della sola seconda parte di essa giustizia non è più veramente peccato, e nè pure materia di peccato (cessandole la qualità di materia col cessarle l' unione colla forma); e tuttavia si suol dire ancora peccato per denominazione continuata, cioè perchè fu prima tale, e così pure si dice materia di peccato: dicesi poi reliquia del peccato, perchè inclina al peccato; [...OMISSIS...] . Quando dunque S. Tommaso dice peccato a quel difetto col quale potrebbe Iddio creare l' uomo, lasciandolo alla sua condizione naturale; egli parla al modo stesso come parlò l' Apostolo, quando disse che [...OMISSIS...] . Ma il Concilio di Trento dichiarò che non è quel peccato [...OMISSIS...] . Onde noi dicemmo che tale specie di peccati [...OMISSIS...] . Così l' obbiezione che ci si faceva rimane annullata. A conferma poi della stessa verità si osservi, 1 Che non si troverà mai un passo in S. Tommaso, nel quale egli insegni che Iddio poteva crear l' uomo « con una volontà a lui insubordinata ed avversa »; nel che sta il formale del peccato originale; ma dove parla de' difetti naturali, co' quali Iddio potea crear l' uomo, mostra d' intendere costantemente dell' insubordinazione delle parti inferiori alla ragione, cioè della concupiscenza presa in questo senso, o della mortalità, della passibilità ecc.; 2 Che in quei luoghi, ne' quali si ferma il Santo a mostrare, che que' difetti naturali non sarebbero COLPA se l' uomo fosse stato creato con essi, parla di que' soli difetti che non sono ESSENZIALMENTE morali, com' è l' insubordinazione e l' avversione della volontà a Dio, ma di quelli soli che acquistano la qualità di morali e di colpevoli da questo che hanno proceduto in origine da un peccato colpevole, come nel passo seguente: [...OMISSIS...] . In questo brano si vedono distinti i DIFETTI di cui si parla, 1 dal peccato libero di Adamo, 2 dalla privazione della grazia, e si dicono effetti dell' uno e dell' altra. Non sono adunque per se stessi il peccato, nè la privazione della grazia, la privazione della grazia e il vero peccato prese insieme sono cose che appartengono alla parte superiore dell' anima, e mettono in essa un' inordinazione. Prova dunque S. Tommaso, che meritano il nome di COLPA anche quei naturali difetti, che non sarebbero da sè peccato, unicamente perchè vennero dal libero peccato, e non si trasmettono soli, ma si trasmette per generazione anche il peccato, e venendo essi comunicati in tale compagnia pigliano anch' essi la natura di peccato e di colpa in quanto sono effetti intimamente legati col peccato. Così si debbono intendere tutti que' luoghi, nei quali S. Tommaso si estende a provare che que' difetti non hanno la nozione di peccato in sè stessi, ma la mutuano dal peccato libero che fu loro causa; divenendo anco un male fisico morale, se è prodotto dalla malizia della volontà. Obbiezione 5. Conceduto anche, che i naturali difetti di cui parla S. Tommaso quando dice, che Iddio avrebbe potuto creare un uomo con essi, non sia ciò che v' ha di formale nel peccato originale; ma solo ciò che presentemente forma la parte materiale di esso peccato, cioè la pugna della carne collo spirito, egli è da concedersi che con questa pugna l' uomo privo di giustizia non può amare Iddio sopra tutte le cose, nè naturalmente, nè soprannaturalmente. Dunque l' uomo creato da Dio con questa pugna, benchè non potesse amare Iddio sopra tutte le cose; tuttavia non avrebbe in sè peccato; stantechè Iddio non può creare l' uomo in peccato. Dunque nè pure l' anteporre la creatura al Creatore sarebbe peccato, se non dipendesse dalla libera volontà. Quello dunque che non è colpa, nè pure è peccato. Risposta . I teologi inclinati al Razionalismo cercano di descrivere la concupiscenza inferiore quale presentemente esiste nell' uomo nel modo il più mite: e giungono a dire, ch' ella non impedisce assolutamente l' uomo dall' eseguire tutta la legge naturale, e quindi, dico io, nè pure il dee impedire secondo essi, dall' amare naturalmente Iddio sopra tutte le cose (che è certamente il primo precetto anche della legge naturale), e questa a malgrado di tutte le più forti tentazioni; benchè concedano, che ella renda all' uomo tale virtù ed innocenza naturale assai difficile. Ma questo è il primo errore dei teologi razionalisti apertamente confutato da S. Tommaso in più luoghi. Il S. Dottore dà alle forze della concupiscenza due gradi; l' uno e il maggiore nell' uomo non battezzato, il quale è tale, che l' uomo non può colle proprie forze resistere a tutti i suoi assalti, ma dee cadere dopo qualche tempo di resistenza, almeno nascendogli forti tentazioni, in peccato mortale; l' altro e il minore nell' uomo battezzato; il quale è sempre vincibile colle forze, che l' uomo ha acquistato dalla grazia battesimale, usando i mezzi, che questa grazia gli presta, ma non sì, che non gl' incontri di essere da quel grado di forza leggermente ferito, cadendo ne' peccati veniali; da' quali nessun giusto, senza special privilegio, interamente si libera «( Dottrina del pecc. orig. XCVIII 7 CI) ». Ora s' attribuirà forse a S. Tommaso l' opinione che Iddio potesse crear l' uomo con quel grado di concupiscenza, col quale ora nasce, di maniera che fosse necessitato a peccare contro la legge naturale, e contro il Creatore? Qual torto non si farebbe con ciò al santo Dottore? Si adduca un solo testo dal quale apparisca ch' egli così la pensi, se si può: questo testo non fu mai addotto, nè mai s' addurrà: se ne possono all' incontro addurre molti che spiegano quant' egli sia lontano da un tale assurdo. Se S. Tommaso concede, che l' uomo lasciato alla natural sua condizione sentirebbe la pugna della carne colla mente [...OMISSIS...] , questo non determina ancora il grado della pugna: non è un dire che l' uomo creato da Dio nell' ordine naturale potesse avere quella stessa terribil lotta che ha di presente, perocchè di presente, [...OMISSIS...] . Dove mai dice questo S. Tommaso dell' uomo creato da Dio senza peccato e lasciato da lui all' ordine della natura? Di presente l' uomo che non può resistere alla molteplicità degli assalti della concupiscenza, benchè resister potrebbe a ciascuno, quando cade stretto in tali angustie ACCONSENTE, che senza qualche consenso non si dà certamente peccato, all' incontro nell' uomo creato da Dio senz' ordine soprannaturale non pone mai il santo Dottore alcun NECESSARIO CONSENSO AL MALE, ma solo un SENSO; perocchè dice [...OMISSIS...] . Non intende adunque di dire che Iddio potesse creare un uomo colla stessa lotta, colla quale or nasce l' uomo caduto, l' uom peccatore; ma con un' altra specie di lotta, che nè sarebbe peccato, nè l' indurrebbe mai necessariamente a peccato alcuno. Dunque l' uomo presente, secondo S. Tommaso, è moralmente guasto nella natura, a differenza di quell' uomo, che Iddio potesse creare nell' ordine naturale; il quale sarebbe sì limitato , ma non guasto . E perchè splenda ancora più chiara la dottrina dell' Angelico, si consideri, che l' obbiezione, che ci fa, parla d' una concupiscenza, colla quale l' uomo non potrebbe sempre amare Iddio sopra tutte le cose, nè pure naturalmente. Tale è certamente la concupiscenza, che, secondo S. Tommaso, trae seco uscendo alla luce l' uomo di presente. Ma si osservi, che una tale concupiscenza non è meramente quella che abbiamo designato come la seconda parte del peccato d' origine, e che spesso concupiscenza si dice; ma ell' è una concupiscenza che abbraccia tanto la prima (l' insubordinazione della volontà a Dio) quanto la seconda parte di esso peccato (l' insubordinazione delle potenze inferiori alla ragione). Poichè anche in questo senso si usa spesso la parola concupiscenza da S. Agostino, da S. Tommaso, e da tutta l' ecclesiastica tradizione. Ora, quando sotto il nome di concupiscenza s' intende non solo la semplice parte materiale del peccato d' origine, ma anche la formale, allora si verifica, che la concupiscenza è il peccato stesso originale, allora è una concupiscenza « cum privatione originalis justitiae », presa l' originale giustizia per l' ordinazione e la dirittura della volontà che è uno de' due sensi assegnatile. E questa concupiscenza è quella che ha forze sì potenti da captivare l' uomo sotto il peccato, e da trarlo nel consenso del peccato, se lungamente senza grazia dimora. Che alla concupiscenza vengano sì sformatamente accresciute le forze dalla stortura della volontà superiore, dov' è il formale del peccato d' origine, l' insegna espressamente S. Tommaso, e lo spiega così: [...OMISSIS...] , parole che S. Tommaso dice per dimostrare che presentemente l' uomo privo della grazia santificante non può rimanere a lungo senza mortalmente peccare. La concupiscenza adunque che impedisce l' uomo dall' amare Iddio sopra tutte le cose è quella che è unita colla parte formale del peccato, consistente nell' insubordinazione della volontà a Dio. Ma abbiamo veduto rispondendo alla quarta obbiezione, esser mente di S. Tommaso, che coll' insubordinazione della volontà a Dio, Iddio non potrebbe costituire mai un uomo. Dunque cade l' obbiezione quinta (1): dunque è falso che Iddio potrebbe crear l' uomo con una tale concupiscenza; o che il preferire qualche creatura al Creatore, l' amar più quella che questo, potesse mai non esser peccato; o che la natura umana presentemente sia solo spogliata de' doni gratuiti e non anco ferita nelle parti sue naturali, non certo ne' principii essenziali, ma quanto alle perfezioni accidentali (2). Obbiezione 6. Almeno voi dovete accordare, che « il sentire una qualche lotta della carne collo spirito »consegue dai principii della natura umana, e quindi si troverebbe in un uomo creato da Dio senza la grazia santificante. Risposta . Questa obbiezione eccede i confini della questione. Noi avevamo tolto a provare che l' uomo presentemente non solo è spogliato della grazia, ma è ferito moralmente nella sua stessa natura; e questo è provato coll' autorità di S. Tommaso, disciolte tutte le obbiezioni che si potevano fare per eludere l' autorità sua di tanto peso nella cristiana teologia. Ma per soprappiù rispondo anche a questa sesta obbiezione, osservando, che si possono distinguere tre necessità venienti dalle potenze inferiori: 1 necessità, di meramente sentire, [...OMISSIS...] . 2 necessità, di provare tentazione nella volontà di guisa che la volontà viene incitata ad amare qualche cosa contro l' ordine morale, [...OMISSIS...] . 3 necessità, di consentire alla tentazione o tentazioni moltiplicate, [...OMISSIS...] . Quest' ultima è la trista necessità dell' uomo caduto, che descrive S. Tommaso quando dice, che l' uomo, senza la grazia divina, non può a lungo astenersi dal peccato mortale. Questa necessità non indica solo la nudità della grazia santificante , indica una profonda mortal ferita nella stessa natura morale dell' uomo. Fu provato, che a questa Iddio non potrebbe abbandonare un uomo da lui creato, ciò sconvenendo alla sua infinita bontà e santità. La seconda necessità è quella che si trova nell' uomo caduto, ma rigenerato, è la madre feconda delle venialità. Anche questa è una trista necessità, un vero male morale. Nè pure a questa, diciam noi, potrebbe Iddio abbandonare l' uomo che uscisse senza grazia dalle sue mani (2). Quanto poi alla prima necessità, quella di sentire meramente ciò che è sensibile, senza che la volontà sia eccitata a preferire il bene sensibile al suo dovere, non volendolo il libero arbitrio (1): questo non è certamente un male morale, nè un morale difetto. Dove la volontà non entra affatto con atti disordinati, non ci può essere immoralità: ogni immoralità supponendo qualche attività volontaria. Ora, se questa necessità di sentire sia in qualche parte condizione della natura umana lasciata a sè stessa ed eccellentemente compaginata, questa non è questione teologica; ma meramente filosofica. Si può opinare l' una e l' altra cosa senza pregiudizio della fede. E però si può opinare che Iddio potesse crear l' uomo nell' ordine della natura con questa necessità di sentire, se si tiene ch' ella sia una necessaria limitazione della natura, e si può opinare il contrario, se si tiene che l' uomo anche naturalmente, supposta la natura sua perfetta nell' ordine naturale, dovesse avere un libero arbitrio così signore della volontà da impedire a questa, col suo imperio, anche i primi spontanei movimenti, le prime tendenze attive verso il bene sensibile, opposte all' ordine morale, o a prevenire l' atto stesso del senso. Aggiungerò due osservazioni: 1 Alcuni teologi avvisano, che l' uom primo costituito in grazia non soggiaceva nè pure alla necessità di sentire, [...OMISSIS...] dice il De Rubeis, [...OMISSIS...] . Quello che è certo si è, che la sensazione non avrebbe attratto e nè pur cominciato ad attrarre necessariamente la buona volontà: questa avrebbe potuto impedire ogni lusinga della sensazione sopra di sè con un amore assoluto e non comparativo al proprio dovere. Onde S. Agostino, [...OMISSIS...] . 2 Que' teologi i quali sostengono possibile lo stato di natura pura , intendendo per esso una condizione, nella quale l' uomo sentirebbe la pugna della concupiscenza colla volontà buona, a tale che questa non potrebbe sempre resistere, ed amare Iddio per lungo tempo sopra ogni cosa, questi teologi, dico, nello stesso tempo che dichiarano possibile questo stato dell' uomo, non intendono di lasciar veramente l' uomo ignudo di aiuti gratuiti; ma anzi dicono, che Iddio supplirebbe al bisogno con aiuti ordinarii e speciali, i quali però essendo transeunti e non abituali non impedirebbero che si potesse quello dire « stato di natura pura. »Così Tommaso di Lemos, [...OMISSIS...] . Aggiungiamo alle addotte, altre testimonianze ancora, le quali dimostrino che il parlare di tutta la tradizione ecclesiastica esprime continuamente non già solo uno spogliamento de' doni gratuiti, ma un guasto profondo nella stessa natura. 1 Un gran numero di scrittori ecclesiastici antichi e moderni dicono chiaramente, che la volontà dell' uomo che nasce è curva verso il male, di guisa che convien ritorcerla indietro affine d' addurla alla rettitudine della legge divina, come appunto si farebbe d' un pallone storto. S. Ilario di Poitier commentando quelle parole del salmo [...OMISSIS...] . Si parlerebbe egli d' un vizio opposto alla legge di Dio, da cui conviene togliere il cuore; per dire che il cuore è naturalmente retto? Tanto più che trattasi d' un cuore che già ha la grazia colla quale può staccarsi dal vizio della natura. Che cosa sarebbe questo vizio nel sistema de' nostri Anonimi? La natura spoglia della grazia? no. Che dunque? 2 Se la natura non fosse che spogliata della grazia, basterebbe vestirla di questa, e sarebbe tolto il suo difetto. Ma non così le scritture ed i padri descrivono la giustificazione dell' uomo. S. Paolo parla della deposizione dell' uomo vecchio, e della vestizione del nuovo. Che uomo vecchio ci sarebbe a deporre, se la natura non ha alcun male in se stessa? Dovrebbe bastare di rivestire l' uomo vecchio, senza deporlo, anzi conservandolo tutt' intero. Al tenor dell' Apostolo consuonano i padri. S. Ilario di Poitier così descrive la giustificazione: [...OMISSIS...] . Se la natura umana è di presente senza difetto, che cosa avrebbe ella da deporre? Nulla: avrebbe solo da vestir la grazia. Medesimamente le Scritture, i Concili e i Padri non dicono solo che diventa novo, ma prima dicono che viene seppellito nella morte di Cristo, [...OMISSIS...] , dice S. Leone, [...OMISSIS...] , che è il costante insegnamento di S. Paolo, [...OMISSIS...] (esprime la remozione di ciò che v' ha di male nell' uomo), [...OMISSIS...] (esprime il vestimento della grazia di cui l' uomo viene coperto, deposta la reità del peccato) (3). 3 I Padri non parlano solo de' doni che abbiamo perduto col peccato di Adamo, parlano d' un male positivo, che abbiamo ricevuto dentro di noi. Così S. Gregorio Nazianzeno: [...OMISSIS...] . Questa pravità, questa malvagità non può certo significare un semplice spogliamento della grazia: è qualche cosa che si riceve dentro di se, non qualche cosa che si lascia. Medesimamente il mal dell' uomo si chiama da' Padri un veleno comunicatogli dal serpente, e un veleno non indica una semplice perdita del bene, ma un vero acquisto del male. Così Origene nel commento sulla Cantica, esponendo le parole del Salmo XLII, v. 1, [...OMISSIS...] . La tradizione ebraica parla costantemente d' un veleno nascosto nel frutto vietato, che guastò la costituzione intera dell' uomo (2). 4 Quindi anche il peccato originale si chiama costantemente un morbo , un languore della natura, un contagio , una tabe: parole tutte non significanti un mero spogliamento del vestimento soprannaturale, ma un vero guasto nella naturale costituzione fisico7morale. Così S. Basilio: [...OMISSIS...] . E S. Ambrogio di Cristo, [...OMISSIS...] . S. Anselmo poi, [...OMISSIS...] . 5 I santi Padri di più distinguono espressamente fra lo spogliamento de' doni supremi, e le ferite della natura, e attribuiscono l' uno e l' altro effetto al peccato originale: applicandogli la parabola del Samaritano non solo spogliato dai ladri, ma ancor ferito. Così S. Ambrogio: [...OMISSIS...] ; dove anche chiaro apparisce che S. Ambrogio non mette la morte, l' uccisione dell' uomo nel semplice dispogliamento della grazia, ma nella disorganizzazione morale prodotta dalla ferita del peccato. 6 I padri e i dottori dicono oltracciò, che l' uomo nasce lordo, macchiato (4), immondo, infetto, espressioni tutte che lungi dall' esprimere una semplice privazione della grazia, indica una positiva deformità rimasta nella natura umana. Così il Venerabile Beda: [...OMISSIS...] . E prima di lui S. Ambrogio: [...OMISSIS...] . Da' quai luoghi si vede, come il gran vescovo milanese fissava l' occhio sulla corruzione annessa alla generazione per ispiegare il contagio del peccato astraendo dalla nozione di colpa. Prima però ancora di S. Ambrogio, lo stesso Origene, quando parlò guidato dalle parole della scrittura, descrisse il peccato originale come una verissima sordidezza della natura umana non pur nuda, ma sozza: [...OMISSIS...] . 7 Sono i santi Padri eloquentissimi a descrivere i mali profondi, che il peccato d' origine produsse nella natura. Ecco alcuni de' loro passi. S. Giovanni Grisostomo: [...OMISSIS...] ; passo recato anche da S. Agostino contro i Pelagiani (6). S. Atanasio: [...OMISSIS...] . Ci si dica, quando volessero dire solamente che nell' uomo ora è solo la privazione della grazia, colla qual privazione Iddio potrebbe crearlo, non avrebbe potuto dirlo schiettamente? E che di più facile? O avrebbe detto in quella vece che tutte le cose sono ora contaminate, tutte perturbate? Che il paradiso sia chiuso all' uomo senza grazia, s' intende; ma perchè aperto l' inferno? perchè nemico il cielo? Come si potrebbe significare più vivamente il guasto dell' umana natura, che dicendo l' uomo corrotto, e divenuto simile a' giumenti? potrebbe Iddio creare un uomo corrotto? e a vili giumenti somigliante? o l' uomo che fosse senza la grazia, ma colla natura del resto perfetta, potrebbe mai a' giumenti paragonarsi? E se la natura fosse rimasa senza difetto e sol priva dell' ordine soprannaturale, come potea dire S. Gregorio di Nazianzo: [...OMISSIS...] . Anzi dovea dire: « non son caduto che dall' ordine soprannaturale: del resto ho tutto il mio: sto ancor bene: sono ancor sano: non sono dannato ». E come Cristo avrebbe salvato tutto l' uomo, se tutto non fosse perito? se fosse perito solo quanto all' ordine soprannaturale, v' avea una parte nell' uomo, che non avea bisogno di Cristo, e quest' era tutta intera la natura umana, nella quale, secondo i nostri teologi, non v' ha difetto alcuno. Ma il parlar della Chiesa è ben altro: ella non si stanca di ripetere il concetto, che Tertulliano così espresse: [...OMISSIS...] . Del pari, potea esprimersi con più di chiarezza la corruzione della natura umana ed il bisogno della ristorazione operata da Cristo, di quel che facesse S. Cirillo di Gerusalemme in quelle parole, [...OMISSIS...] . . E non si contentano i Padri e i maestri in divinità di esprimere con parole traslate il guasto intimo, che nell' ordine naturale recò all' uomo il primo peccato: lo dichiarano anche in parole proprie. L' esser privo meramente di grazia non costituisce alcuna malizia; ma la tradizione tutta vede nell' anima dell' uomo espressamente LA MALIZIA, il disordine morale. S. Ilario di Poitier dice: [...OMISSIS...] . La qual malizia è così descritta da S. Bonaventura: [...OMISSIS...] , or non si ferma qui il santo, come gli Anonimi fanno, ma seguita: [...OMISSIS...] . Ora la natura umana senza alcun vizio contratto, ma sol privata dell' ordine soprannaturale, sarà ella d' indole così maligna, da dover esser priva dell' abito di tutte le virtù, prona ad ogni genere di colpa, soggetta alla concupiscenza, schiava e schiava del demonio? Il dirla tale per se stessa, non sarebb' egli un rovesciare, non che altro, nel Manicheismo? Questo appunto dicevano i manichei impugnati da S. Agostino. Ma udiamo anche Gersone, com' egli descriva la malizia, che col peccato d' origine l' uomo ha contratto: [...OMISSIS...] . Tale è la definizione di Gersone. Ora la natura pura avrà ella un' abituale avversione a Dio? quest' abito può egli esser creato da Dio stesso colla natura? o l' abito non è sempre cosa distinta dalla natura che lo riveste? La natura umana, secondo Gersone, non solo ha deposto l' abito della grazia, ma vestito altresì quello dell' avversione a Dio, il quale la rende inchinevole a negare la giustizia a chi è dovuta. Pur seguitiamo ad udire il Gersone. [...OMISSIS...] Di che poi conchiude così: [...OMISSIS...] . Ora avrebbe potuto Iddio creare un uomo nel qual fosse « carentia utriusque partis justitiae », secondo che s' esprime Gersone? quei teologi cattolici che sostengono la possibilità dello stato di pura natura, o come si potrebbe chiamare di natura non intera, aggiungono, come vedemmo, che Iddio supplirebbe al bisogno con degli aiuti speciali, ma in tal caso, cessa la questione (2): questi aiuti speciali sono appunto quelli che dimenticarono nella penna i nostri Anonimi; e così s' allontanarono dalla sana e comune dottrina. 9 S. Giovanni Crisostomo rassomiglia la corruzione dell' anima pel peccato alla corruzione e dissoluzione del corpo, e l' attribuisce al primo peccato [...OMISSIS...] . Questa somiglianza tra la corruzione dell' anima pel primo peccato e la corruzione del corpo torna frequente negli scrittori ecclesiastici; mi valga in esempio un brano di Raimondo Sabunde [...OMISSIS...] . Dalle quali maniere di parlare si scorge 1 che i dottori cattolici non ripongono la morte dell' anima nella mera privazione della grazia, ma in un guasto simile a quello della disorganizzazione del corpo; 2 che l' anima così corrotta e macchiata dal peccato, com' è di presente, non poteva uscire dalle mani del Creatore. 10 Sono del pari gli antichi maestri costantemente intesi ad assegnare la sede dell' original peccato nella volontà, descrivendo il disordine, e l' impotenza di questa al compiuto bene. Così S. Gregorio Nisseno: [...OMISSIS...] . S. Macario d' Egitto (an. 370) distingue espressamente tra la perdita della grazia che dà diritto alla visione beatifica, e il possesso della propria natura che s' ha per la volontà ben ordinata; e dice non solo quella perita pel peccato, ma ben anco questa: [...OMISSIS...] , che è la grazia santificante. Questa perdita della possessione della propria natura fu oggetto d' una definizione di Papa Celestino, il quale in uno de' celebri suoi capitoli dice: [...OMISSIS...] . Il che Teofilatto ascrive agli affetti pravi, che opprimono l' uomo. [...OMISSIS...] . Sarà ella questa la natura pura dell' uomo? Sarà dunque l' uomo, per condizione di sua natura, venduto al peccato, sotto il dominio del peccato oppresso dagli affetti pravi in guisa da non potere rilevare il capo? Se questo fosse natura, non sarebbe la natura per sè mala de' manichei? 11 Quindi è anco, che si rassomiglia il peccato originale ad un vincolo, che lega l' umana natura, il che è troppo più che lasciarla nuda, ma libera. Così S. Ireneo: [...OMISSIS...] . Così pure S. Gregorio Nazianzeno del Battesimo [...OMISSIS...] . E Clemente Alessandrino usava la stessa maniera di favellare: [...OMISSIS...] . Al che s' accorda il parlare di Teodoreto. [...OMISSIS...] L' esser legata è ella cosa propria della natura umana? il legame rappresenta qualche cosa di sopraggiunto alla natura, non certo una condizione della natura stessa. Essendo dunque di presente legata la natura dell' uomo, essa natura dovette esser liberata e disciolta da Cristo, frase comune presso i Padri, in esempio della quale bastino recare queste parole dello stesso Teodoreto, [...OMISSIS...] ; che ripetono quello che avea insegnato Cristo di propria bocca, allorché disse. [...OMISSIS...] . 12 Un altro argomento validissimo, per conoscere intorno a ciò la mente di S. Agostino, si è l' osservare com' egli rispose ad una obbiezione di Giuliano. Abusando questi d' un luogo di S. Basilio, argomentava così: [...OMISSIS...] . Ora se S. Agostino avesse tenuto il sistema de' nostri Anonimi, quanto gli era facile rispondere a Giuliano, che nè la natura, nè la volontá umana ritiene alcun male dalla prevaricazione d' Adamo, ma solo è priva de' gratuiti favori? Ma non venne e non potea venire nella mente d' Agostino una tale risposta, e in quella vece rispose accordando che [...OMISSIS...] . Ammetteva dunque tutta intera l' antichità, ammetteva con essa S. Agostino, un vero male annesso alla natura umana, che Iddio solo potea da essa separare. Se questo male fosse un constitutivo della stessa umana natura, di maniera che creata da Dio priva dell' ordine soprannaturale, ella dovesse seco portarlo; già s' ammetterebbe una natura subbietto essenzialmente del male: che è appunto l' errore de' manichei. 13 Ora non solo dicesi la natura legata, e serva del peccato, ma di conseguente anco schiava del demonio. S. Ottato Milevitano: [...OMISSIS...] . Nè dicano già i nostri Anonimi, che questa è una maniera traslata di favellare, perchè S. Agostino risponderebbe loro, ció che rispose a Giuliano, che tentava di evadere per simili scappatoi, [...OMISSIS...] . Che anzi tanta si riputò l' influenza del nemico sull' uomo peccatore, che allo stesso peccato che porta in se si diede nome di serpente (3). 14 Finalmente anche dalle pene che trae seco il peccato d' origine può inferirsi lo spogliamento della grazia e il guasto della natura. Perocchè alla grazia compete il diritto della visione divina, ed all' incontro, [...OMISSIS...] . Ma colui, che muore col peccato originale non solo perde la vision beatifica o il regno celeste; ma ancora la vita dell' anima, perchè resta in lui il peccato definito dal sacro Concilio di Trento mors animae . Onde il Papa Siricio: [...OMISSIS...] , scrisse ad Imerio, [...OMISSIS...] . Vero è che noi siamo altamente persuasi, che oltre la redenzione di quegli uomini, a cui s' applicano per mezzo del battesimo i meriti della passione di Cristo, anche gli altri uomini, che muoiono senza colpa mortale partecipano della liberalità del Salvatore, il che noi chiamamo donazione di Cristo. E di questa sentenza molte autorità si potrebbero addurre, non solo de' Padri, ma delle Scritture, tra gli altri il testo del salmo citato dall' apostolo, che dice, non solo aver Gesù Cristo condotta sua schiava la schiavitù, cioè gli schiavi del demonio da lui redenti, ma ancora aver ricevuto dei doni da distribuire agli uomini: [...OMISSIS...] . Il che era figurato in Abramo, che fece Isacco suo erede, e dimise con dei doni i figliuoli delle schiave. Ed è d' altra parte di fede, che il beneficio della risurrezione è un dono fatto da Cristo a tutti gli uomini, anche ai non redenti. Onde noi già mostrammo, in un opuscolo su questo argomento, che i bambini morti senza battesimo possono benissimo, dopo la risurrezione, godere d' una naturale felicità, ma non perchè questa si appartenga loro di diritto, ma perchè è conveniente alla somma generosità di Cristo, ed alla sua gloria. Questa felicità dunque gratuitamente loro largita non può addursi a provare che il peccato originale non importi alcun disordine nell' umana natura, come vogliono i nostri teologi razionalisti, ma vale solo a provare la ricchezza e la bontà e l' amore di Cristo verso gli uomini. Lasciato dunque da parte quel che viene da Cristo come gratuito suo dono, e considerata la natural pena del peccato originale ne' bambini, questa è la morte, non pur del corpo, ma dell' anima, che nell' altra vita consisterebbe in uno stato d' eterna inazione, conservata solo all' anima intellettiva l' immota intuizione dell' essere, per la quale esiste. Il peccato originale dunque, cui l' uomo riceve coll' esser generato, è un male morale , e questo necessario . Dunque si danno de' mali morali necessarii. Questo male morale necessario viene nella sua origine rimota da un atto di libera volontà commesso dal primo padre: dunque il male morale è necessario nella sua prossima cagione, ma ha in pari tempo per cagione rimota anch' esso, la libertà. Che anzi la libertà umana dee essere sempre la cagion rimota de' mali morali necessarii, perchè altrimenti si farebbe autore di essi Iddio, o la natura mala, cadendo nel Manicheismo. Tali sono le dottrine della Chiesa: i teologi razionalisti le accusano di Calvinismo e di Giansenismo: di cui sono un documento gli ultimi opuscoli anonimi. Noi ci faremo ad esaminare di nuovo la questione in tutta la sua generalità. Due sono i principali errori de' calvinisti e de' giansenisti intorno all' umana libertà: Essi sostengono 1 Che l' uomo nello stato di natura caduta abbia perduto interamente ogni libertà, di maniera che egli al presente operi sempre necessariamente; operando il bene quando prevale in lui il peso della grazia, e operando il male quando prevale in lui il peso della concupiscenza, senza poter fare altramente; 2 Che operando con una tale volontà necessitata, l' uomo nello stato presente meriti, o demeriti. Tutti gli errori essendo abbinati, come sono sempre abbinati gli estremi, quali saranno gli errori opposti ai due errori calviniani e gianseniani sopra enunciati? I seguenti: 1 Che ogni atto dell' umana volontà sia essenzialmente libero, e la parola volontario non abbia altro significato che quello di libero , e che non sia nè pure atto umano quello che non è libero; sicchè l' uomo operi sempre con una libertà d' indifferenza; 2 Che perciò nella sfera delle cose morali non v' abbia che il merito e il demerito; non potendosi dare moralità buona o cattiva, che sia necessaria. Questi dunque sono i due estremi. Che cosa sente la Chiesa cattolica? Ella cammina dirittamente nel mezzo, e decide contro i primi: 1 Che la libertà d' indifferenza non è perita nell' uomo; 2 Che non si dà merito o demerito nello stato di natura caduta se non allora che l' uomo opera colla detta libertà di indifferenza. Decide ancora contro i secondi: 1 Che l' uomo non opera sempre con libertà d' indifferenza, ma che talora egli opera con una volontà priva di coazione, ma non priva di necessità; senza però che allora meriti nè demeriti; 2 Che quando la volontà umana soggiace alla necessità, se tale necessità è moralmente buona, viene da Dio; se ella è moralmente cattiva, viene da un abuso precedente della libertà umana, fatto o dall' uomo stesso in cui quella trista necessità si ritrova, ovvero dal primo padre; di maniera che ogni qual volta vi è la necessità nella causa prossima (la volontà istante), vi è o vi fu la libertà nella causa rimota (la volontà che liberamente produsse quel malo stato della volontà). Ora chi imprende a difendere la dottrina della Chiesa cattolica, converrà, per ragion di chiarezza, che incominci a distinguere due questioni. Poichè 1 Altro è il dimandare, se, considerata la sola natura della volontà umana, questa abbia due maniere di esser disposta, e di operare, l' una necessaria, e l' altra libera; e posto che sì, se operando il male morale colla volontà libera in causa, ma all' istante necessitata, o avendo allo stesso una suprema propensione, ella contragga od abbia in sè qualche specie di deformità morale; e 2 Altro è il domandare, se, posto il presente ordine di cose e la caduta adamitica, Iddio permetta di fatto, che la volontà umana soggiaccia talora alla necessità del male. La prima è questione astratta e filosofica; la seconda è questione di fatto e teologica, questa è legata con quella, non è quella. Noi cominceremo dalla prima: considereremo la volontà umana in sè stessa, e cercheremo se per sua natura questa volontà abbia i detti due modi di operare e di esser disposta, il necessario ed il libero; e se aderendo al male morale necessariamente, ella contragga o no qualche deformità morale. La prima parte di questa questione si dee sciogliere affermativamente per consenso di tutti i teologi cattolici e de' filosofi. Che la volontà dunque di sua natura abbia i due detti modi di operare il volontario ed il libero, non è a spenderci altre parole. Resta solo che vediamo se, dato che la volontà aderisca necessariamente al male, ella contragga da questa adesione per ciò solo una deformità. S' avverta che qui si tratta di un male morale che sia tale per essenza, com' è l' odio di Dio o del prossimo, l' amore della menzogna, l' amore disordinato di se stesso, e simili, e non che sia male solamente perchè vietato dalla legge positiva; giacchè in quest' ultimo caso non può aver luogo la questione, cessando ogni legge positiva qualora la volontà non possa adempirla. Sosteniamo dunque, che posta l' adesione al male morale della volontà, questa, anche se come soggetto o causa prossima di quell' adesione (1) soggiace alla necessità, dalla stessa e sola adesione contrae una deformità morale. Ed eccone brevemente le prove. I E` di fede che l' anima volitiva contrae necessariamente il peccato originale, e ne riceve una macchia, una deformità (1). Dunque non si può negare, che il male morale che aderisce all' anima, anche con necessità, perciò solo che le aderisce, la deformi; II Non vi sarebbe possibilità di precetto vetante il male , se il male non fosse tal cosa che deforma la volontà che in qualunque modo le aderisce; poichè male , ossia « oggetto moralmente cattivo (2) »altro non vuol dire, se non ciò che, informando la volontà, la disordina; e senza un male, un oggetto da fuggirsi, non può esservi precetto che ne ordini la fuga. Distinguansi bene le varie maniere di concepire l' oggetto. C' è l' oggetto materiale , che è la cosa considerata in se, per esempio Dio e il prossimo in se stessi; non è questo, a cui si riferisce prossimamente la legge vetante. C' è l' oggetto intellettuale , per esempio Dio e il prossimo presenti meramente all' intelletto; nè pur a questo si riferisce prossimamente la detta legge. C' è finalmente l' oggetto morale , cioè l' oggetto in quanto è amato ovver odiato: questo è l' oggetto prossimo della legge vetante. La legge vieta l' odio di Dio e del prossimo . L' oggetto prossimo della legge vetante è dunque ciò che prossimamente produce la deformità della volontà: la legge vieta quella mala adesione . L' odio di Dio e del prossimo per sè ed assolutamente la deturpa. Il male morale dunque è una deordinazione della volontà, la quale è tale in sè stessa, senza bisogno di sapersi s' ella sia stata prodotta necessariamente o liberamente. Essendo mala in se stessa, la legge la proibisce: quella malvagità è anteriore alla legge o al precetto, è fondata nella natura delle cose. Ella è quella che rende possibile il precetto. Questo viene dopo, e non parla che alla libertà , non obbliga che la libertà; la quale se obbedisce al precetto merita, e se disubbidisce, demerita. Ma se la libertà non esiste; se altro non vi ha nell' uomo che la volontà necessitata; la deordinazione di fatto non può mancare, benchè senza demerito, e quella deordinazione è una immoralità; perchè risiede nella volontà; e se questa è suprema nell' uomo, come accade nel bambino non battezzato, dicesi ed è peccato. Egli è vero, che la volontà potrebbe disordinarsi anco in quella sola parte che è libera. Questo è il caso del precetto positivo che è dato alla sola libertà; ond' anco non ammette che una specie sola d' immoralità, il demerito. E tuttavia, come dicevamo, anch' egli si riferisce ad un male reale esistente nella natura delle cose; qual' è l' inobbedienza , che si può definire la deordinazione della libertà . III Se mancasse il fondamento nella natura della cosa, se mancasse il male oggettivo, la deordinazione della volontà , o necessitata, trattandosi di cose intrinsecamente cattive, o libera, trattandosi anche di precetti positivi; se mancasse in una parola l' oggetto prossimo del precetto, nè pure potrebbe esservi colpa; appunto perchè come abbiamo detto al numero precedente non si dà possibilità di precetto, senza un male morale , oggetto del precetto. E però S. Tommaso dopo aver parlato del peccato semplice e della sua deformità intrinseca dicendo, che ella consiste nel deviare della volontà dal fine ultimo dell' umana vita, [...OMISSIS...] passa alla colpa, aggiungendo, ET IDEO (cioè essendovi precedente il male morale da evitarsi dall' umana libertà, che se non ci fosse, la colpa non sarebbe possibile) [...OMISSIS...] ; mostrando così, che anteriormente alla colpa c' è il male morale; e che perciò s' incolpa l' uomo che opera liberamente [...OMISSIS...] , perchè opera il male, perchè commette il peccato, che è l' oggetto della colpa, e della stessa legge vetante. IV Altra prova validissima io deduco dalle perniciose conseguenze della dottrina opposta. Sia vero, come vogliono i teologi razionalisti, che in quel tempo, nel quale l' uomo è privo di libertà nel suo operare, non vi avesse male morale di sorte alcuna. In tal caso quest' uomo non sarà obbligato a cercare i mezzi di accrescere le sue forze morali, non sarà obbligato neppure a domandare da Dio aiuto coll' orazione. Poichè a qual fine lo dimanderebbe? per evitare un male morale, no; chè egli non fa alcun male morale fin che è necessitato; e quando non è necessitato, egli non ha bisogno d' aiuto; può evitare il peccato colle sue forze: [...OMISSIS...] dice S. Agostino, [...OMISSIS...] . Nè vale il dire che il peccato, che commetterebbe negligentando d' accrescere le sue forze, è libero nella causa rimota; perocchè questa risposta supporrebbe quello che si nega, cioè che ci fosse un male da evitare; mentre si sostiene, che l' uomo costituito in necessità non fa alcun male, non ha per questo peccato, checchè egli faccia. Nè pur questa necessità è cosa cattiva, ch' egli debba cercar di evitarla, nel sistema de' nostri teologi; perchè cattiva non può essere, se non ha un oggetto cattivo, ma il suo oggetto cessa d' esser cattivo in faccia ad essa: negandosi che una volontà necessitata abbia un oggetto veramente cattivo che la deturpi. V Ebbe torto dunque, secondo questi maestri, nostro Signor GESU` Cristo, quando mise in bocca de' suoi fedeli quelle parole, « Et ne nos inducas in tentationem », parole tutt' al più utili, secondo il loro sistema, a renderci la fuga del male più facile, ma non necessaria, perchè o possiamo evitarlo colle nostre forze, o, se non possiamo, non è male; nè male è la necessità di commetterlo; rimanendo anzi per essa distrutto il male. Che anzi questa necessità in un tale sistema meriterebbe di dirsi buona, e dovremmo procurarcela. Ebbe del pari torto S. Paolo, quando consigliò a maritarsi coloro che non si potessero contenere, dicendo che « melius est nubere quam uri », giacchè, secondo i nuovi maestri, o l' uomo si può sempre contenere, o almeno chi non si può contenere, non fa male, se non si contiene; e però è inutile cercare un mezzo d' evitare ciò che non è male. Anche il sacro Concilio di Trento dee aver dato una ragione mal fondata, per non isciogliere i cherici costituiti negli ordini sacri, e tentati contro la castità, dalla legge del celibato, dicendo, che colla preghiera essi poteano bene ottener da Dio la grazia della continenza (1). I nostri maestri avrebbero dato una risposta più facile: Chi non può contenersi, non fa male ponendo l' opere della carne. In somma la dottrina che non vuole riconoscere altro male morale deformante la volontà e l' anima umana che il libero , distrugge la pietà ed apre l' adito ad ogni scostumatezza ed empietà, e questa è appunto una gran causa del lassismo in morale. VI Qui ritorna ancora, chi ben considera la questione circa i peccati d' ignoranza, che hanno una causa prossima non libera. Pelagio e Celestio che negava furono condannati dalla Chiesa (2). E condannati perchè il peccato originale si contrae pure ignorantemente e necessariamente, e pur esso è peccato, sicchè chi non riconosce peccato dove non v' è cognizione attuale , viene a negare l' originale infezione quanto colui, che non riconosce peccato dove non v' è libertà . Furono dannati ancora perchè al peccato originale riduconsi certi atti peccaminosi, in cui l' uomo, se non ha la grazia di Cristo, necessariamente cade, notar dovendosi, che qui intendesi per ignoranza non una mera nescienza , ma un errore del giudizio affascinato nelle cose morali dalla passione. [...OMISSIS...] . I quali atti, qualora del solo peccato d' origine sono effetti, non hanno altra colpa diversa che quella dello stesso originale peccato. In terzo luogo ancora furon dannati perchè venivansi con ciò ad escludere i peccati commessi per ignoranza invincibile , di quelle cose, di cui ha l' uomo dover d' istruirsi: dovere che egli non punto avrebbe, se non si desse un peccato, che non cessi d' esser peccato anche in chi ignora che sia. Conciossiachè e come mai potre' io avere obbligazione di conoscere i miei doveri, se, non conoscendoli, già non pecco? Conciossiachè se non li conosco non posso eseguirli, se non posso eseguirli, non sono più obbligato. Laonde io farò anzi bene a conservare la mia ignoranza, che mi lascia libero di far ciò che voglio senza però peccare! Laonde nella Censura fatta da molti Vescovi dell' « Apologia pe' Casisti (1) », già condannata anche dall' Apostolica sede con suo decreto del 21 Agosto 1659, si proscrissero più proposizioni, perchè [...OMISSIS...] . S. Tommaso dunque ha ragione, e han torto i moderni teologi che negano il male morale in causa prossima necessario, quando dice, che l' ignoranza vincibile non iscusa dal peccato, dando di ciò la ragione seguente: [...OMISSIS...] . VII Queste ultime parole mi conducono a por qui una settima ragione che prova l' esistenza d' un male morale nella sua causa attuale ed instante necessario, benchè libero nella causa rimota. I teologi morali si propongono la questione: se chi si mette nell' impossibilità di adempire alle sue obbligazioni pecca poi col non eseguirle. Alcuni rispondono, che non pecca in actu , ma solo in causa . Il Bolgeni si oppone, sostenendo, che pecca in causa ed anche in actu . [...OMISSIS...] . Se fosse vera la sentenza di questo autore, avremmo qui de' peccati necessarii in causa prossima. Io non di meno non posso acconsentirgli (2), ma trovo di dover distinguere. O l' atto peccaminoso che quest' uomo fa per necessità è un attuale deordinazione della sua volontà; o no. Nel primo caso c' è un nuovo male morale in lui; nel secondo, tutto il male morale sta nell' ommissione o commissione libera, per la quale s' è messo nella necessità di peccare. Poniamo il caso dell' uomo, che vinto dal talento di bere s' ubbriaca a malgrado ch' egli prevegga che nell' ubbriachezza commetterà molti altri peccati. L' ubbriacarsi è un peccato che comprende tutti i peccati da lui preveduti, li faccia o no; e in questo senso (in causa) è reo di tutti. Ma sarà egli vero, che come vuole il Bolgeni, faccia altrettanti peccati attuali, quant' egli ne farà di fatto? Ne verrebbe l' assurdo, che se de' preveduti da lui ne facesse di più, sarebbe più reo, se ne facesse di meno, sarebbe meno reo: ora il farne di più o di meno, non dipende ormai più dal suo libero arbitrio. Dico dunque, che una sola è la colpa che comprende tutti i peccati preveduti, almeno in confuso, non tutti i peccati realmente commessi nello stato di ubbriachezza. Ma poi tra questi peccati che commette ubbriaco e di cui nella causa è colpevole, ve ne posson essere di quelli che sono anche peccati in atto, benchè non colpe; ed altri che in atto non sono nè colpe nè peccati. Perocchè è solo peccato nuovo ciò che pone una nuova inordinazione della volontà. Laonde se ubbriaco facesse degli atti d' odio di Dio, e del prossimo; atti che puó e conoscere e volere anche un ubbriaco; questi disordinerebbero la sua volontà, benchè fosse trascinata a ciò dalla passione, dall' abito, o dalla mala inclinazione. Così se s' immergesse in carnalitá a cui l' eccitamento del vino il trascina, conoscendo e volendo quello che fa, chè anche un ubbriaco può conoscere e volere: la sua volontà riceverebbe un nuovo male morale: e male morale sarebbe l' inclinazione contratta a tali peccati, che in lui si rimarrebbe anche risanato dall' ubbriachezza. Ma se i peccati che fa ubbriaco non sono atti nè affetti disordinanti la volontà; come se dormendo ommettesse d' udir la messa in giorno di festa, e mancasse ad altri precetti positivi, che hanno per oggetto cose per sè indifferenti: niuna nuova inordinazione o mal morale in lui avverrebbe; eccetto quello che gli avvenne dall' atto libero, col quale si pose in quella mala necessità. Ad ogni modo nell' una o nell' altra sentenza, s' accorda ugualmente avervi un male morale, nella sua causa prossima ed attuale necessario. VIII Si dimostra la stessa tesi argomentando da diverse decisioni della Chiesa. Io mi restringo ad accennare la condanna della 2 proposizione condannata in Bajo, dalla quale si puó chiaramente inferire, che vi ha un male morale disordinante per se stesso la volontà, quando vi aderisce necessariamente o no. Essa proposizione dice: [...OMISSIS...] . Chi non intende da questa proposizione, che, secondo la Chiesa cattolica v' ha dunque un opus malum , il quale benchè ex natura sua sia malvagio; tuttavia non è demeritorio, provenendo il demerito dalla libertà e non dalla sola natura dell' opera; e che v' ha medesimamente un opus bonum , il quale benchè ex natura sua sia buono, tuttavia non è meritorio, provenendo di nuovo il merito dalla libertà (supposta la grazia), e non dalla sola natura dell' opera? E tuttavia quest' opera mala , e quest' opera buona , che se non è libera non demerita, ell' è un' opera volontaria; perocchè trattasi qui d' opere umane, d' opere ex sua natura buone e cattive moralmente, non già fisicamente: chè per essere opere buone o cattive moralmente si suppongono volute; non essendo nè buone, nè cattive nella loro entità puramente materiale (1). Adunque per far sì che un' operazione sia moralmente malvagia, basta ch' ella sia tale di sua natura; e perciò volontaria; come a fare ch' ella sia moralmente buona, basta che sia ancora tale di sua natura, e perciò all' uomo volontaria. Ma non basta già questo solo perchè si possa attribuire all' una ed all' altra il suo merito; giacchè questo ha bisogno della condizione d' una libera volontà. La Chiesa dunque condannò Bajo perchè egli distruggeva col suo sistema la distinzione tra il semplice peccato , e la colpa; e si può dire, attenendosi allo spirito ed al fondo d' una tale condanna, che contro quella eresia, ella, al suo solito, rimettesse in vigore una sì importante distinzione. IX Se il male morale coll' esser necessario cessasse per questo solo d' esser male, non sarebbe morto Cristo per salvare il mondo dal peccato. Poichè l' uman genere avrebbe potuto da se stesso esser giusto sol che adoperasse quelle forze, che restavano al suo libero arbitrio, niente nuocendogli poi il non adempire ciò che fosse superiore alle sue forze, nè lo stesso peccato originale gli avrebbe nociuto, il quale già non sarebbe stato più peccato nè male alcuno, perchè inevitabile. Laonde come l' ammettere e il riconoscere un male morale deordinante la volontà e perdente l' uomo, per se stesso, vincendo altresì la volontà soggetto o causa prossima di esso, e tenendola schiava del demonio, esalta immensamente la redenzione di Cristo e la riformazione del mondo da esso operata, e la dimostra opera d' un Dio fatto uomo; così il sistema, che riduce ogni male morale alle libere azioni fa ingiuria gravissima a Cristo, rende superflua o almeno non necessaria la redenzione del mondo, e apre il cammino al socinianismo, e all' empietà che la nega. X Ma anche la ragione naturale basta a dimostrare, che l' inordinazione della volontà è un male morale per se stesso, indipendentemente dalla ricerca se la libertà l' abbia o no come cagion prossima prodotto. Poichè la volontà è una potenza come l' altre, è una natura anch' essa, che ha le sue proprie leggi e condizioni necessarie, non dipendenti da se, o dalla sua libertà. Onde S. Tommaso colla sua solita veduta filosofica, applica al disordine della volontà, la stessa definizione, e gli stessi principii, che valgono parlando del disordine dell' altre potenze. Appunto per questa universalità di vedute, egli attribuisce alla parola peccato un senso così generale, che abbraccia anche i disordini non morali, cioè quelli che accadono nella natura, o nell' esercizio dell' arte, dicendo, che, [...OMISSIS...] . Dalla qual definizione induce, esserci tre generi di peccati, cioè peccati della natura , peccati dell' arte , e peccati della volontà; in ciascuno de' quali si verifica la definizione, perocchè ci ha peccato di natura quando la natura devia dal suo fine, ci ha peccato di arte quando l' arte devia dal suo fine, ci ha peccato di volontà quando la volontà devia dal suo fine. Si può poi conoscere, se la natura, o l' arte, o la volontà devia dal suo fine, osservando se queste potenze procedono o no secondo quella regola , che al suo fine le scorge, [...OMISSIS...] . Ora quale, dimanda egli, è la regola della volontà? Risponde. [...OMISSIS...] . Di che raccoglie quale sia il peccato della volontà dicendo, [...OMISSIS...] . Il peccato adunque della volontà, secondo l' Angelico, c' è sempre, ogni qualvolta ella si torca dalla rettitudine della legge morale, onde in universale, senza che c' entri per nulla la libertà, [...OMISSIS...] . Tutta la malvagità dell' atto volontario è cavata unicamente dall' esser quell' atto conforme alla regola o difforme da essa, ordinato o disordinato; allo stesso modo come l' atto della natura e dell' arte, dove non ci può esser libertà, è malo o buono secondo che è diritto o torto in verso alla regola sua che lo dirige al fine. Non entra per nulla la libertà prossima nel costituire il peccato, ma solo c' entra la dirittura o stortura della volontà. Ma, stabilito così da S. Tommaso in un articolo della sua « Somma », che il peccato della volontà sta nella deordinazione della volontà in verso al suo fine (5), passa nell' articolo che segue a parlare dell' accidente, in cui questa deordinazione sia libera, mostrando con ciò la differenza che passa tra il peccato della volontà di cui parla in un articolo, e la colpa di cui parla in un altro, e di cui non avrebbe parlato a parte, se avesse creduto che l' esser peccato fosse un esatto sinonimo dell' esser colpa. Nell' articolo dunque, dove egli parla di questa (1), pone per principio, che l' uomo può esser signore de' suoi atti, cioè che tutti gli atti volontarii sono in balía dell' uomo stesso, per quella forza che si giace nella sua volontà come volontà, e la libertà; e non della volontà come natura. Chè così e non altramente debbono intendersi le parole dell' angelico, [...OMISSIS...] . L' Angelico parla in generale di quello che compete agli atti volontarii come volontarii, non degli atti volontarii come naturali, essendo certo che tali atti hanno, per essenza loro, questa ordinazione e relazione d' essere sommessi alla signoria dell' uomo: il che non toglie, che per accidente avvenga poi altrimenti, perdendo l' uomo la sua signoria e libertà, o mancandogli le condizioni richieste per esercitarla, o in somma operando la volontà come natura, non puramente come volontà. L' attribuire a S. Tommaso un senso diverso, l' intendere le sue parole così materialmente, da fargli dire, che ogni singolo atto volontario è di fatto libero, è un mettere in un' aperta e indissolvibile contraddizione S. Tommaso con se stesso, che apertamente riconosce il movimento necessario della volontà (1). Attenendoci dunque al genuino senso delle parole di S. Tommaso, egli pone il principio, che [...OMISSIS...] ossia soggetto alla sua libertà. Ciò posto, raccoglie in questo modo: 1 l' atto volontario è un disordine, un peccato, ogni qualvolta devia dal fine comune dell' umana vita: [...OMISSIS...] ; 2 ma l' atto volontario di sua natura è nato ad essere in potere dell' uomo, [...OMISSIS...] . Dunque (ecco la conclusione) col peccato libero ci sono due inordinazioni, l' una quella della volontà , che è disordine dell' uomo, in quanto è uomo, in quanto la sua volontà è una natura avente le sue proprie leggi; l' altro quello della libertà , che è disordine dell' uomo in quanto è morale , intesa questa parola per idonea a dare a se stesso de' buoni o mali costumi . [...OMISSIS...] (poichè all' atto malo libero è deformata la libertà, e s' imputa perchè la sua libertà n' è la causa) (2). Si riconosce adunque e si dimostra col naturale discorso: 1 Che la volontà umana se fa un atto obliquo dal fine suo, per esempio se odia Iddio, od ama la menzogna, contrae un disordine, sia che ella aderisca così al male necessariamente, come i reprobi nell' inferno, o che vi aderisca liberamente; il qual disordine deforma e guasta la volontà umana, allo stesso modo come qualsivoglia altra potenza fisica e non libera rimane disordinata e guasta ogni qual volta ella erra dal suo proprio fine, o come dice l' Angelico [...OMISSIS...] ; 2 Che questo disordine della volontà può dirsi morale ogni qualvolta esso riguarda il fine comune della vita umana, perchè [...OMISSIS...] dice lo stesso S. Dottore, [...OMISSIS...] ; 3 Che se la volontà guasta è la suprema potenza, il supremo principio attivo dell' uomo, come accade nel peccato originale; tutto l' uomo ne riman guasto; dipendendo tutte le altre potenze di lor natura dalla prima e suprema; la personalità stessa è infetta, trovasi in istato di peccato; 4 Che se l' uomo è disordinato e guasto nel suo principio supremo, qual è la sua volontà personale, benchè ciò non sia opera della sua stessa libertà, egli non può a meno di averne qualche pena che lo impedisca dal godere una piena felicità, se questa non gli è da Dio misericordiosamente levata; perchè la piena felicità non si può dare, se non in un uomo ordinato e in tutte le sue potenze perfetto; attesochè, come dice S. Agostino, [...OMISSIS...] ; 5 Che sarebbe un manifesto assurdo l' immaginare, che una volontà disordinata, aderente per necessità al male morale fosse ricevuta in Cielo; dove tutto è ordine e bene; nulla vi può esser di disordine e di male. Onde basta che la volontà sia disordinata, eziandio che non sia libera, come accade nel peccato originale, acciocchè ella venga naturalmente esclusa dal Cielo. Di che S. Tommaso dice, che pel peccato originale [...OMISSIS...] , cioè l' anima è soggetta ad un male eudemonologico, che rispettivamente ad Adamo, causa rimota e libera di quella inordinazione necessaria della volontà, acquista il nome di poena , come il male morale, o macchia nella stessa relazione, acquista il nome di colpa. XI Di più. Egli è di fede, che [...OMISSIS...] , cioè che non può più risorgere da se stesso, ma è necessitato di starsi in istato di peccato, se Dio nol libera, quia sponte , dice S. Agostino, [...OMISSIS...] . Il qual dogma fu espresso dal Concilio di Trento: [...OMISSIS...] . Questo peccato, sotto cui è servo ogni peccatore, e di cui per natura è servo tutto il mondo, è egli necessario o libero? Fu libero prima di commettersi; ma commesso, è già divenuto necessario, chè niuno più colle sue forze [...OMISSIS...] . E bene; ne vien forse, che per esser soggetto l' uomo cosí necessariamente al peccato, il peccato non sia più peccato, o non faccia più male all' uomo, non gli deformi più l' anima? Il dirlo sarebbe manifesta eresia. Dunque si deve considerare come eresia anche il pretendere, come fanno i teologi razionalisti, che non ci sia un male morale necessario, e che ogni male morale sia libero. XII Gli abiti non meritano nè demeritano, per consenso comune de' Teologi (4). Ma perchè non meritano gli abiti cattivi , non saranno essi perciò un male morale? E non sono forse una morale inordinazione della volontà? Chi mai potrà disconfessarlo? Ci ha dunque un male morale diverso dal demerito; un male necessario, com' è l' abito; che colle sole forze nostre non si può levare, almeno all' istante. Quantunque però non possa io ammettere la dottrina dell' Estio sul demerito degli abiti; tuttavia ci gioverà riportarla. Conciossiacchè ella contiene una serie d' argomenti attissimi a provare queste due cose, 1 che l' abito malvagio è male morale , ed a Dio odioso, 2 che ha seco congiunto come naturale appendice il mal fisico , che dal morale mai si scompagna. Odasi adunque come l' Estio favella, tutto a confutazione della dottrina pelagiana, tendente sempre a ridurre ogni male morale al solo atto libero, affin di distruggere il peccato d' origine, e con esso tutta le fede di Cristo. [...OMISSIS...] Non che meritino lode o vitupero, ma che deformino la volontà umana si può mostrare con gli argomenti che seguono, i quali noi esamineremo ad uno ad uno: [...OMISSIS...] . Dall' abito non vengono di necessità le azioni delle virtù e de' vizi; che se qualche volta necessariamente venissero, non meriterebbero nè demeriterebbero pur queste. Ma come queste azioni adornano o deformano l' anima; così pure gli abiti; o sieno causa di tali azioni, o sieno solo disposizioni a porle più facilmente, con meno libertà, ma con più forza di volontà. [...OMISSIS...] La vita eterna va dietro alla giustizia infusa, e la dannazione al peccato ricevuto come una natural sequela, per l' unione intima fra il ben morale e il ben fisico, il mal morale e il mal fisico. Ma come la giustizia infusa è meritoria riferita a Cristo che per noi la meritò; così la dannazione dell' originale peccato è demeritoria riferita ad Adamo che per noi demeritò. [...OMISSIS...] Il biasimo che si dà a quell' uomo si riferisce alle azioni libere colle quali egli si pose in quello stato, ma niuno negherà perciò che quello stato sia moralmente cattivo, benchè nel dormiente almeno, necessario. [...OMISSIS...] Egli è vero che la dannazione consegue ad un' anima infetta da' vizii anche considerata questa infezione in se stessa, senza riferirla alla causa libera che la produsse; ma solo riferita a questa causa, quella dannazione dicesi meritata, e ne viene così giustificato Iddio, come ottimo autore di una natura che da se stessa liberamente decadde. Quanto poi alla giustizia ed alla santità, egli è certo che trae seco, per se stessa considerata, nell' ordine eterno delle cose, la beatitudine; e Iddio non ha bisogno di giustificazione se vuol donar questa e quella, informando la volontà della sua creatura pienamente di se, senza lasciargli nè pure la possibilità morale di contraddire a sì generosa comunicazione di bene, onde lo Suarez scrive: [...OMISSIS...] , e come fece con MARIA sua madre. Il che tutto dimostra darsi una moralità necessaria informante e attraente la volontà, e la volontà cooperante e consenziente, senza l' esercizio della libertà d' indifferenza. [...OMISSIS...] Sulle quali parole si debbono fare le stesse osservazioni che sulle precedenti; cioè che il PECCATO, ed il BENE MORALE si trova indubitatamente anche nell' abito , che è cosa di natura sua necessaria, e ha la sequela del male e del bene eudemonologico; ma che, in quanto alla COLPA ed alla LODE, quella si rifonde sempre in quegli atti liberi , che quegli abiti cagionarono. Ma gli abiti son difficili ad osservarsi e a perscrutarne la natura: onde sfuggono facilmente al pensiero degli uomini, benchè non a quello di Dio. Questo non dissi io solo (1); ma l' Estio ancora il vuol ben considerato, così concludendo il suo ragionare. [...OMISSIS...] Passiamo ora ad esaminare la seconda questione. Da tutte le cose fin qui ragionate evidentemente si dee conchiudere, che la risposta affermativa a questa questione, in generale, è DI FEDE. Solamente può aver luogo l' opinione teologica in determinare alcuni casi speciali, ne' quali s' avveri o no quella necessità. Che dunque sia di fede in generale, che v' abbia realmente un male morale, nella sua causa prossima e nel suo soggetto (la volontà), necessitato, si prova, 1 Dall' esser di fede, che i demoni ed i dannati sono in istato di peccato, del qual peccato in cui perdurano la causa prossima ed il soggetto è la loro perversa volontà; 2 Dall' esser di fede, che il bambino che nasce, prima di ricevere il battesimo, ha in sè il peccato originale, male morale, consistente in un' avversione a Dio della sua volontà, la qual volontà si mette colla stessa generazione in quell' atteggiamento per l' attraimento della carne; onde anche qui la causa prossima è necessitata; e il soggetto necessitato. Da questo poi avviene, che tutto il genere umano per se stesso considerato, quale è costituito dalla generazione, dicesi dall' Apostolo MASSA CORRUPTA, di corruzione non già fisica solamente, ma anche morale; come pure vien provando l' Apostolo, colle antiche Scritture che accennano gli effetti, che provano la natural corruzione, [...OMISSIS...] . Laonde S. Giovanni parlando della natura umana: [...OMISSIS...] . Tutto il genere umano dunque, di sua natura, e senza la grazia di Cristo, soggiace ad un MALE MORALE NECESSARIO, benchè libero nella causa remota (6); male che di sua natura lo perde eternamente, se Cristo non entra a salvarlo: indi la NECESSITA` ASSOLUTA DELLA REDENZIONE e della grazia per conseguir la salute, secondo la definizione della Chiesa: [...OMISSIS...] . Questo MALE MORALE NECESSARIO, a cui tutto l' uman genere soggiace dall' origine sua, trae seco, di sua natura, cioè prescindendo dalla virtù di Cristo che accorre a impedirlo, delle REE CONSEGUENZE MORALI NECESSARIE. Anche questo è di fede in generale parlando, e solamente entra l' opinione teologica, quando trattasi di determinare i confini di queste ree conseguenze necessarie . Alla fede appartiene. I Che l' uomo per se solo, senza l' aiuto della grazia di Cristo, non può, assalito da gravi tentazioni, star lungamente senza cadere in qualche peccato; ossia non può adempiere a pieno, di continuo, e in ogni possibil cimento, la legge naturale. [...OMISSIS...] Di che S. Paolo, non alludendo solo al peccato d' origine, ma anche a' peccati attuali, dice: [...OMISSIS...] . Poichè quantunque con tali peccati, se fossero necessarie conseguenze dell' originale, l' uomo, non demeritasse, come non demerita coll' originale; tuttavia ne contrarrebbe deformità morale; e questi peccati insieme coll' originale, di cui sarebbero un naturale sviluppo, lo terrebbero nello stato d' ingiustizia e di perdizione. II Che l' uomo colle forze sue naturali, nè colle opere può acquistarsi la giustificazione in cospetto a Dio, o la salute eterna (1), e nè pur muoversi colla sua sola libera volontà verso quella giustizia che è tale agli occhi di Dio (2); III Che l' uomo, anche così giustificato, non può perseverare nella giustizia senza uno speciale aiuto di Dio (3). Tanto impotente è l' uomo senza la grazia. Rimane a parlare della distribuzione, che fa Iddio di questa grazia del Salvatore sì necessaria agli uomini. Anche qui alcune cose sono di fede, altre appartengono alle opinioni delle scuole teologiche. Intanto egli è certo I Che Iddio non è obbligato per titolo di giustizia a dare la sua grazia a nessuno, sicchè qualor anco tutto il genere umano fosse lasciato alla sorte che gli toccherebbe in conseguenza del peccato del primo padre, e de' peccati che i singoli uomini commettessero a imitazione di lui, niuna ingiustizia vi sarebbe da parte di Dio; II Che quindi Iddio è libero padrone di scegliere quelli che vuole, a cui dare i suoi doni, e l' eterna gloria fra i perduti, il che divinamente dimostra l' apostolo colla figura de' due figliuoli d' Isacco dicendo, [...OMISSIS...] . E soggiunge, a mostrare quant' è libera e gratuita la divina chiamata; [...OMISSIS...] . Dice che la salute non viene dal volere e dal correre degli uomini: perchè non vi ha persona che senza l' aiuto di Dio, voglia e corra come bisogna. Laonde giustamente rivolto all' uomo peccatore e impotente l' Apostolo così favella: [...OMISSIS...] . E su questa gratuita elezione egli è uopo aver presente, come S. Agostino la discorre a confusione de' Pelagiani, discorso pe' nuovi teologi opportunissimo. Egli pone per primo fondamento, che qualunque essi sieno i giudizi di Dio, sono giusti, anche se l' altezza di sua giustizia fosse a noi del tutto inintelligibile, [...OMISSIS...] . Pone per secondo fondamento, che qualor anco Iddio non desse ad un uomo la sua grazia, e così costui perisse necessariamente, o pel solo peccato originale, o anche per altri peccati da questo fonte promananti, non avrebbe tuttavia ragione di lagnarsi, anche unicamente [...OMISSIS...] . E non deduce questo vero dai corti giudizii dell' umano ragionamento, ma dalle scritture, dalla fede della Chiesa cattolica, e dalla ragione teologica. Poichè osserva, che dicendo il contrario ne verrebbe l' assurdo, che la grazia fosse da Dio dovuta, e non fosse quindi più grazia. Pongasi dunque l' ipotesi, che Iddio, come potrebbe farlo, negasse ad un uomo discendente d' Adamo e quindi peccator per natura, il dono della sua grazia. Questi ed avrà l' originale infezione sopra di sè, e non potrà adempire perfettamente i divini precetti, onde dovrà necessariamente peccare (3). Ora potrà egli scusarsi al tribunale di Dio dicendo che è condannato per necessità? Non potrebbe scusarsene, per quantunque misterioso possa parer questo dogma all' umana miopia, e ripugnante all' umana superbia, [...OMISSIS...] , e soggiunge con quella immobile persuasione, che sola infonde la fede, e sol la parola dell' eterno crea nell' animo de' fedeli, [...OMISSIS...] (2). Egli è dunque di fede, che Iddio potrebbe con giustizia lasciare anche tutto il genere umano nella sua propria naturale e NECESSARIA perdizione (benchè l' umano ragionamento d' alcuni resti qui quale alocco esposto al raggio solare); ed è pur di fede, ch' ella è sua pura GRATUITA MISERICORDIA, se anco a un sol uomo accordi la grazia, colla quale egli viva bene e pervenga alla salute. E nulla di meno, dopo di ciò, III E` del pari di fede che tanta è la bontà di lui, ch' egli colla volontà sua antecedente e condizionata, ma verissima e sincerissima, [...OMISSIS...] . E l' efficacia di questa bontà s' intende chiaramente, qualora si considerino gl' innumerevoli mezzi ch' egli ha fornito di spontaneo moto al genere umano, pe' quali se l' umanità non n' avesse abusato colla più iniqua sconoscenza, potevano TUTTI I SINGOLI UOMINI pervenire all' eterna salute. E primieramente, avendo egli creati o costituiti i capi dell' umana stirpe in istato d' originale giustizia, questo stato fortunatissimo dovea trapassare in eredità a tutti i posteri, se non l' avessero que' primi, di propria loro libera volontà, perduto. Onde a tutti i singoli loro discendenti era destinato da Dio il mezzo sicuro e facile d' esser sempre santi e felici; e se ora più non sono tali, non a Dio, ma a' proprii padri, che hanno guasta l' umana natura, il debbono imputare; nè Iddio va loro debitore perciò di cos' alcuna, lasciandoli ad ogni modo con tutto il loro: IV E oltracciò egli è certo, in quarto luogo, che essendo Dio sommamente buono, nè pur avrebb' egli permesso il peccato de' primi padri, se non avesse scorto e provveduto, quanto indi dovea ricevere di splendore maggiore la sua misericordia, e quanto dovea crescere nel cuore de' suoi eletti la riconoscenza e la gratitudine di sua carità e la materia quindi alle lodi che gli avrebbero in eterno cantato. Onde S. Paolo, [...OMISSIS...] . V E` certo di più, che dopo il fatto adamitico, Iddio offeso, lungi d' abbandonare l' umana natura a se stessa, gratuitamente promise all' uomo disubbidiente un Riparatore, colla fede alla qual promessa era annessa la grazia di salvarsi: e questa fede nel Riparatore futuro doveva e poteva passare ai posteri, venendo così dato di nuovo a TUTTI I SINGOLI UOMINI un mezzo affatto gratuito di fuggire dal naufragio universale dell' eterna perdizione. Ma essi liberamente rigettarono anche questa seconda misericordia; e Iddio dovette con un castigo esemplare, cioè col diluvio, distruggere le generazioni corrotte, che avrebbero tramandato a' loro posteri non più ciò che avevano da Dio ricevuto di salutare, ma ciò che da sè avean contratto di vizioso e di pernizioso. Ora fino al diluvio non può essere perita quella rivelazione del futuro Messia consegnata a padri così longevi, che Noè era lungamente vissuto con chi avea per lunghi anni conosciuto Adamo. VI Iddio fece Noè, uomo giusto, nuovo capo della stirpe umana, e a lui consegnò il prezioso deposito di quella promessa, che conteneva la FEDE, mezzo di salute destinato di nuovo a TUTTI I SINGOLI DISCENDENTI del nuovo patriarca. Che però tutti i singoli uomini si sarebbero salvati, fino alla venuta del Messia, secondo il gran disegno della divina bontà e longanimità, se di quel dono s' avessero voluto prevalere. Ma molti rigettarono per la terza volta col libero arbitrio la profferta salvezza, facendo onta a quella infinita bontà che pur volea tutti salvi, e alla salvezza di tutti, anche prima della venuta del Messia, avea provveduto; onde, abbandonato Iddio, caddero nell' idolatria, smarrendo il limpido lume della rivelazione e della fede, e la grazia annessa. E come dice S. Paolo, [...OMISSIS...] . Ometto d' enumerare la vocazione d' Abramo, e i peculiari mezzi di salute dati al popolo ebreo, ed altri mezzi non mancati del tutto nè pure all' altre nazioni, benchè sien meno conosciuti; e dico in quella vece, esser certo che VII Iddio, considerata la sua potenza, poteva, senza trovar ostacolo da parte degli uomini, far tutti gli uomini salvi; nè tuttavia egli volle; ma preferì nella sua sapienza e bontà, di salvare alcuni fra rei per gratuita elezione, permettendo che altri perissero. [...OMISSIS...] . Nè agli orecchi di tutti pervenne dopo di ciò la parola di Dio; e nè pure dopo Cristo a tutti fu applicato col battesimo il merito della sua passione, come dichiarò il Concilio di Trento, [...OMISSIS...] . VIII E` certo quindi ancora, che come non è contro la giustizia e bontà di Dio, che egli permetta la morte de' bambini, non battezzati, nulla togliendo con ciò ad essi, ma non dando loro del suo quanto ad altri; così non si può provare che sia contrario alla sua giustizia e alla sua bontà il lasciar morire altresì degli adulti, a cui non sia stato annunziato il vangelo, dato anche che non avessero aggiunti all' originale, peccati attuali mortali, i quali in tal caso non riceverebbero pena maggiore di quella de' bambini, [...OMISSIS...] . Che se anco degli uomini adulti, a cui non fu annunziato il Vangelo, non potendo colle proprie loro forze eseguire a pieno la legge naturale, cadessero ne' peccati, in quanto ciò avvenisse loro per necessità, non n' avrebbero colpa; ma que' peccati sarebber pena dell' antica colpa, tralci dell' originale infezione. Nè però sarebbe men vero, che le loro volontà fossero inordinate e malvagie, ed essi conseguentemente dannati della dannazione del peccato d' origine. Onde S. Agostino osserva, ch' essi non potrebbero recar per iscusa, [...OMISSIS...] ; perocchè ciò non distrugge il fatto, che vivon male, cioè, per propria volontà, [...OMISSIS...] . In somma coll' esser malvagia la volontà per natura, non per una sua propria elezion precedente, non è men vero ch' ella sia malvagia, e che vivendo male, «DE SUO MALE VIVAT »; ma è vero in pari tempo, che tal morale malvagità è pena, e sciagura, non colpa; e trae dietro a se un male fisico minore di quello che è dovuto alla colpa. Il che riesce difficile a intendere da certuni, i quali pongono il caso di cui si parla in modo alieno dal vero: immaginano cioè quell' impotenza di fare il bene in un uomo, che pur vorrebbe il bene, e che si sforza di farlo, e non può, e perciò cade. Non trattasi, si noti bene, di questo. Colui ha già una volontà incipiente buona: e però s' egli brama, se seco combatte, se prega, sarà aiutato certo da Dio. Chi ne può dubitare, essendo Iddio ottimo? Egli acquisterà certamente tutte le forze che gli bisognano; niuno Iddio abbandona di quelli che a lui ricorrono, e desiderano sinceramente di potere quel che non possono. Ora il caso di cui si parlava è tutt' altro. Trattavasi d' una volontà che non desidera punto il bene, ma al male aderisce; onde di colui che ha tal volontà si può dire col santo dottore: [...OMISSIS...] Ora, se questo è lo stato di un uomo, da qualunque cagione provenga, foss' anco dal solo vizio « quod originaliter traxit », gli è chiusa, fino che così rimane, la porta del cielo; e s' avvera sempre, che [...OMISSIS...] . Di che ognuno che ben intende conoscerà, che il mal morale e la dannazione non vien che dall' uomo, avverandosi il [...OMISSIS...] ; e la misericordia e la salvazione vien solo da Dio; avverandosi il [...OMISSIS...] . E quantunque GESU` Cristo sia morto per tutti affatto gli uomini, non solo per gli eletti, come dissero gli eretici, e dalla sua morte ricevano tutti qualche salutare influenza (3), e a tutti altresì egli profferisca il lume e la grazia, come il sole che a tutti universalmente risplende; tuttavia per proprio difetto, come dicevamo, si perdon non pochi; nè il cieco può lamentarsi del sole se nol rallegra, ma piangere piuttosto l' imperfezione e il vizio della propria natura; quantunque le viziose volontà, di cui favelliamo, nè pure compiangano se stesse per essere moralmente cieche; ma solo si lagnino della fisica pena, che al loro vizio morale s' aggiunge. E tuttavia non è da credere che questo stesso male permetta la divina bontà, se non per cavarne un ben maggiore. Poichè questa crediamo l' unica ragione per la quale Iddio, o ritenga le sue grazie, o ne dia di minori, così esigendo il bene maggiore e l' ordine della sua infinita sapienza (4). IX E` certo del pari, che a tutti quelli che hanno pur conseguita la giustificazione, non possono più mancare gli aiuti senza lor colpa, all' eterna salute, assicurata loro da' meriti e dall' orazione di Cristo (1), bastando la minima porzione di grazia, come dice S. Tommaso, a vincere tutte le tentazioni (2), e dicendo S. Giovanni, [...OMISSIS...] , il che si può spiegare: « non è mai necessitato a peccare. »Laonde non è giammai impossibile ai giustificati l' adempimento de' divini precetti, se pregano, secondo il canone del sacro Concilio, [...OMISSIS...] . X Dee ancora affermarsi, che tutti quelli che dopo giustificati pel battesimo, caddero in colpa mortale, possono di nuovo ricever la grazia, ricorrendo al sacramento della penitenza, fonte di nuova grazia aperto sempre per essi da Cristo. Oltre di che coll' orazione possono impetrare la grazia loro necessaria, quantunque non possano meritarla. La fazione però di Teologi, i cui errori in questo scritto vogliam mostrare, eccedettero anche in questo fino a sostenere cosa probabile, che la sola attrizion naturale basti a giustificar l' uomo, in manifesta opposizione al Concilio di Trento (6), onde anche tale dottrina razionalistica fu dannata dal Papa Innocenzo XI (7). XI Di più, è ancor certo non pugnare nè colla giustizia nè colla bontà divina, che il numero delle grazie, ch' egli conferisce a' peccatori ostinati, sia limitato, e determinato in modo, che scorso quel numero, egli permetta, o che sieno sorpresi dalla morte, o indurati, non [...OMISSIS...] . Dove si noti bene, che tutti quelli che vogliono o sperano, possono sempre salvarsi; non verificandosi l' induramento se non in quelli che più non vogliono e che disperano, sicchè nessuno può dire veramente: io voglio, e non posso. XII E del pari, è certo non opporsi nè alla giustizia nè alla bontà di Dio, che ad alcuni non sia annunziato sufficientemente il vangelo, avvenendo ciò di fatto; come poniamo rispetto agli abitanti d' America e d' altre isole, che vissero in esse prima che fossero scoperte, o in altre ancor da scuoprirsi; giacchè la provvidenza divina, nella sua infinita sapienza e bontà, predispose i tempi e i momenti, ne' quali a ciascuna nazione sia annunziato il vangelo; forse acciocchè abbian prima una cotal preparazione rimota, come pare dal detto di Cristo agli Apostoli: [...OMISSIS...] , prevedendo forse, che non sarebbe ben ricevuta da essi la parola di Dio, e che quindi non servirebbe che ad aggravare le colpe di quelli, a cui fosse annunziata, e da cui fosse ripulsa. XIII Indubitato è pure, che quelli, che non giungono alla giustificazione e alla fede, periscono, perciocchè, [...OMISSIS...] ; non quasichè l' infedeltà loro negativa sia colpa; ma pel peccato originale, e pe' loro peccati attuali. Laonde la fede soprannaturale è di necessità di mezzo, necessaria alla salvazione, [...OMISSIS...] . Ed anche qui la fazione de' nostri teologi detraendo alla grazia divina, soverchiamente attribuirono alla natura, ed alla libertà, volendo che basti a giustificar l' uomo questo solo, ch' egli creda di quella fede che aver si può dal testimonio delle creature, ed alla sola esistenza di Dio, senza la fede esplicita in Dio come rimuneratore del bene e del male (3); dottrina razionalistica, e giustamente anch' essa da Innocenzo XI proscritta. XIV Nè meno si può dubitare, che a tutti quelli, a' quali è proposto sufficientemente il Vangelo, sia data altresì la grazia con cui possano credervi; giacchè le parole di Cristo: [...OMISSIS...] , indicano sufficientemente quella giudiciale condanna, che suppone la colpa, la quale aver non potrebbero, se rimanesser privi della grazia sufficiente per credere. Di più, a tutti quegl' infedeli, a cui Iddio dà delle grazie attuali disponitive alla giustificazione, non può pensarsi che lasci poi mancare i mezzi necessarii di pervenire effettivamente fino alla giustificazione, foss' anco bisogno di mandar loro per miracolo un Apostolo, o un Angelo ad annunziare loro il vangelo, acciocchè [...OMISSIS...] , e così pervengano a ricevere, almeno in voto, quel battesimo che è [...OMISSIS...] . Oltre di che, anche l' orazione d' un infedele, benchè meritar non possa, può però impetrare; ed egli può altresì dimandare nella sua orazione la naturale giustizia, sentendosi rispetto a questa in quella condizione che descrive l' apostolo, dicendo, [...OMISSIS...] . Poichè non supera le forze della natura il volere la naturale giustizia, con una volontà universale, cioè ancor piccola, e priva di forza pratica a perfezionare tutto il bene che l' umana ragione dimostra. Ed una tale volontà, ossia volizione attuale, benchè inefficace ad operare pienamente il ben naturale, può però guidare l' orazione della creatura al suo Creatore naturalmente conosciuto; il quale in tal caso non mancherebbe d' aggiungere per sua pura misericordia i suoi aiuti, implicitamente in quell' orazione dimandati. Se dunque gli atti della volontà (3) d' un infedele fossero naturalmente sì buoni, da desiderare la naturale giustizia, da dimandarla, ed isforzarsi, quanto può, ad adempirla, sarebbe costui, non punto io ne dubito, da Dio soccorso. Perocchè, come dice S. Agostino, [...OMISSIS...] . Ma dubito però assai, che, senza la grazia, possa la mente d' un uomo sollevarsi a sì alto pensiero di domandare al Creatore il dono della giustizia, benchè naturale. Se questo è possibile, sarà possibile a ben pochi; poichè naturalmente l' uom si persuade, essere la virtù riposta nel proprio arbitrio: e pare che solo un raggio superno ci abbia insegnato a conoscere il segretissimo e copiosissimo fonte di ogni giustizia e di ogni santità. Che se via più addentro meditar volessimo nelle divine giustificazioni, dandoci Iddio lume a ciò sufficiente, ci convinceremmo di più, che Iddio sempre mosso dalla sua essenziale bontà, ottimo ugualmente si trova e nel dare che fa le sue grazie, e nel negarle altresì; non negandole egli mai, se non per trarne un bene maggiore alle sue stesse creature; il qual bene, per le limitazioni necessariamente inerenti a tutto ciò ch' ebbe principio nel tempo, non si può ottenere senza permettere il male (1), salva almeno la legge di parsimonia, parte essenziale della divina sapienza. Le quali cose tutte rendono in fin manifesto, come alla giustizia contempera Iddio un' ineffabile, pienissima misericordia. [...OMISSIS...] , per usare ancora le parole di S. Agostino, [...OMISSIS...] . Che si dia adunque un male morale nell' uomo, necessario nel suo soggetto (l' uomo), e nella sua causa prossima (la volontà istante), benchè in origine veniente da un pravo esercizio della libera volontà, egli è un vero innegabile, dalla rivelazione insegnato, dall' esperienza e dalla ragion confermato; il qual vero nè offende la divina giustizia, nè ne impedisce la misericordia, a cui apre un campo amplissimo e gloriosissimo. Ma noia tuttavia un vero così luminoso alle pupille di quelli, che più che d' esaltare la bontà divina, si curano di celebrare la umana; onde strillano al vocabolo necessità , come se il solo pronunciarlo, fosse un distruggere quel libero arbitrio, che se in nulla fosse necessitato, certo potrebbe ogni cosa, e non avrebbe più bisogno di Dio. Oltre questo assurdo teologico, in cui s' urterebbe escludendo ogni necessità dai movimenti della volontà, s' incorrerebbe anche nell' errore filosofico (prolifico di gravi ed erronee conseguenze anche in teologia), che la natura non operasse con leggi fisse sue proprie, o che la volontà non fosse anch' essa una natura, come insegna così apertamente S. Tommaso. Una di queste leggi della volontà e dell' intendimento, come natura, fu da me espressa in queste parole, che dispiacquero a' nostri teologi inclinati al Razionalismo: [...OMISSIS...] Nelle quali parole ogni uomo, che un po' si conosca di filosofia, intende chiaramente, che si dichiara la legge della spontaneità della volontà, e che non vi si parla della libertà; ma della volontà , la quale viene ivi definita per la potenza di operare in conseguenza di ciò che s' intende. Le persone poi che non ignorano le dottrine da me premesse sulla semplice libertà, sanno ancora, che la libertà , è una forza dell' anima DOMINATRICE E DETERMINATRICE DELLA VOLONTA`, avendo io definita la libertà per [...OMISSIS...] . Coll' esporre dunque le leggi psicologiche, secondo le quali si move la volontà lasciata a se medesima, non si nega, nè si distrugge quella potenza superiore ad essa che LIBERTA` si chiama, e che è nata a dominare la volontà modificandone ed infrenandone gli spontanei movimenti. Quindi dopo aver noi parlato di questi spontanei movimenti della volontà semplice , passammo a parlare della libertà, definendo quando ella possa impedire que' moti spontanei, e quando non possa. Dicemmo poi, che essa può sempre farlo, qualora abbia tempo d' accorrere, e la rapidezza de' movimenti inferiori spontanei della volontà semplice eccitata non la prevengano, e così esprimendoci: [...OMISSIS...] . Il sig. C. all' intendere che la volontà si muova per una legge fisica dietro i bisogni pronuncia questa sentenza: [...OMISSIS...] . Ma, con sua pace, fa piuttosto meraviglia che egli non sappia, o non abbia imparato dalla lettura dello stesso libro che censura, che le leggi fisiche a cui obbedisce la volontà possono dalla libertà esser dominate, purchè non manchino le condizioni necessarie all' operazione di questa potenza, che tiene in sua balía gli atti stessi della volontà spontanea. E fa meraviglia ancor maggiore, che lo stesso nostro censore confessi poco appresso in altre parole, quel vero, che riprende in noi così acerbamente. Poichè alla facciata .4 del suo opuscolo, nota ( i ) dice così: [...OMISSIS...] . Dove in prima convien notare ch' egli traduce il praecipue di S. Tommaso per, al più . Siamo qui obbligati di mandare il teologo a consultare il Dizionario. S. Tommaso dicendo, che la consuetudine produce necessità PRINCIPALMENTE negli atti repentini, riconosce poter intervenire una necessità di operare anche in qualche altro caso non repentino , e così dice più di quello che diciamo noi, attribuendo noi sempre la necessità alla fretta con cui opera la spontaneità, quando tal fretta non lascia tempo alla ragione od alla libertà di accorrere e sovvenire all' uomo. In secondo luogo con ciò ritratta quello che avea detto prima, quando parlando del passo di S. Agostino che S. Tommaso interpreta della necessità in repentinis praecipue scrivea con una piena generalità di parole così: [...OMISSIS...] . Convien dire che S. Tommaso non sia un Dottore cattolico , secondo il nostro C., giacchè, per sua confessione interpreta quel passo diversamente da quel che fanno i dottori cattolici. Finalmente ognuno può vedere, se la dottrina di S. Tommaso d' accordo con quella di S. Agostino, che [...OMISSIS...] sia o non sia uguale a quella da noi esposta ne' passi surriferiti, ne' quali si riconosce necessità là dove [...OMISSIS...] . Se non che il C. con tuono quanto insultante, altrettanto menzognero continua così: [...OMISSIS...] . Io dimando compatimento al lettore cortese, se in questo e in altri scritti vo dicendo delle cose trite e soverchiamente comuni. Ma egli consideri (di nuovo il protesto) che la carità mi spinge a scrivere a mio mal cuore, ed a ripetermi e a diffondermi; ben sapendo che gli scrittori razionalisti non possono nuocere colle loro perniciose dottrine agli uomini pienamente istruiti; ma a quelli soli (e ne' nostri tempi sono troppi) pe' quali scrivono e di cui allettano, favellando religiosamente gli orecchi. A questi che nè sono teologi, nè sanno il loro giudizio sospendere, oppure lo sospendono a prò dell' errore e a danno del vero, vuole la carità di Cristo che si sovvenga quanto si può per me, e perciò adduco in questo e negli altri scritti copiose prove di quelle primarie verità che s' impugnano da' contrarii. L' una delle quali è questa appunto, che la passione giugne a legare in certi istanti l' umana libertà, e a trascinar seco la spontaneità del volere; benchè a nessuno di quelli che fedeli a Dio, vivono sotto la sua protezione avvenga giammai che sieno quinci condotti a peccati mortali tanto da essi odiati. A provar questo vero adunque, oltre l' autorità di S. Agostino, e di S. Tommaso, che il nostro C. questa volta volle accompagnar della sua, aggiungerò quella d' un solo Teologo pregiato da tutti senza eccezione, voglio dire di Domenico Viva della Compagnia di Gesù. Il quale scrive appunto nella nostra sentenza così: [...OMISSIS...] . Il nostro teologo dunque C. P., dopo molti andirivieni, è obbligato a concederci finalmente che esiste un modo necessario d' operare della volontà umana, e concede che questa sia dottrina de' dottori cattolici. Ma tempera poi questa concessione dicendo: [...OMISSIS...] . Le quali parole richiedono nel caso nostro diverse osservazioni. Primieramente è da ricordare, che già prima lo stesso nostro autore avea riconosciuto darsi un volontario necessario non solo nella perdita totale della ragione nell' ubbriachezza e nella mania; ma ancora ne' moti repentini. Avea confessato che S. Tommaso insegna, che [...OMISSIS...] . Di poi è da considerarsi, che le parole di S. Tommaso da lui addotte per provar le sua tesi, [...OMISSIS...] non riguardano lo stato di pazzia o di ubbriachezza, nel quale la ragione è perturbata per un eccitamento fisico, come falsamente pretende il nostro teologo. S. Tommaso parla di un eccesso momentaneo di passione veemente d' amore, o d' ira, o d' altra simile perturbazione, volendosi dire in fatto che l' uomo nel momento della passione venuta all' estremo, diviene siccome pazzo, secondo il detto che [...OMISSIS...] ; onde Cicerone del furore afferma, che [...OMISSIS...] , e in generale i latini scrittori usano la parola insanire per esprimere l' effetto d' ogni veemente passione (3). In terzo luogo qual è il valore e la forza di quell' espressione dell' angelico [...OMISSIS...] ; espressione ripetuta poi da' teologi? Nel brano stesso del « Trattato della Coscienza » citato dal Signor C. se ne dà la spiegazione e l' analisi; pure, dopo averlo riferito, egli si fa dimandare: [...OMISSIS...] . Rispondiamo che non vi si ravvisa certamente, nel senso, che pretende il Signor C., perchè non vi si dee ravvisare; ma vi si ravvisa nel senso di S. Tommaso, e della comune de' teologi. Poichè nè S. Tommaso, nè i teologi parlano, come egli suppone, di un uomo, che « sia interamente uscito di senno »qual è colui che si manda all' ospizio de' pazzarelli; ma parlano d' un uomo, che nell' istante che opera non può far uso di sua ragione all' intento di vincere l' impetuosa passione. E nè pure è da credere, ch' essi parlino d' un uomo « in cui cessi da ogni suo ufficio la ragione »; poichè anzi essi parlano solamente d' un uomo, in cui la ragione cessa dal suo ufficio di deliberare; parlano di un uomo a cui la passione ha tolto intieramente l' uso morale della ragione, o, in altre parole, in cui è sospeso quest' uso della ragione morale , com' io più spesso mi esprimo, chè così dee spiegarsi sanamente il [...OMISSIS...] di S. Tommaso. Poichè egli è certo che basta che la ragione non possa accorrere, e in tempo utile deliberare, acciocchè l' uso della ragione sia interamente tolto, quanto fa al caso, benchè la ragione non cessi da ogni altra sua funzione. Laonde [...OMISSIS...] , come dice S. Tommaso, [...OMISSIS...] , dal qual passo si vede chiaramente che S. Tommaso parla della ragione Deliberante , non della ragione presa in universale quando dice, [...OMISSIS...] , le quali perciò si debbon tradurre « che impedisce affatto all' uomo di deliberare a favore della giustizia. » E per vero niuno dica mai che pecchi colui (prescindendo dalla reità che può avere in causa) che non può coll' uso di sua ragione venire in soccorso alla volontà soprafatta dalla passione. Ora che quest' uso morale della ragione possa mancare, senza che perciò venga meno necessariamente ogni altro uso di essa, scorgesi osservando quant' accade negli stessi ubbriachi e negli stessi pazzarelli come pure ne' bambini. E` un pregiudizio volgare e crudele (e dovrebbe una volta cessare) il credere, che gli ubbriachi, i pazzi ed i bambini non facciano alcun uso affatto della loro ragione, e lo chiamo un pregiudizio non solo volgare ma anche crudele; perocchè ad esso si devono pur troppo imputare i barbari trattamenti che s' usavano una volta verso i miseri pazzarelli, de' quali non riguardati oggimai più come esseri ragionevoli, si faceva impunemente ogni strazio, ed ogni abuso: e lo stesso press' a poco è a dirsi degli ubbriachi. Non v' era nè pure chi pensasse seriamente all' educazione de' bambinelli, salve le sole madri che contraddicendo col provvido loro istinto alla comune ignoranza e barbarie; credevasi inutile studiarsi a dirigere e sviluppare le loro razionali facoltà che si negavano in essi o senza attività si credevano, e dovea solo forse allo scoccar de' sett' anni incominciare tutto improvviso l' uso della ragione . Il che era vero, presso a poco, se per uso della ragione si fosse inteso l' uso della discrezione del bene e del male , come pur dicevano i savi teologi, il che è quanto dire l' uso della riflessione e della libertà, l' epoca quinci del merito e del demerito. All' incontro l' uso della ragione in universale presa come potenza a cui appartengono le funzioni del percepire, dell' universalizzare, del giudicare, dell' analizzare, del sintesizzare ed altri tali, incomincia, vel crediate o no, nei bambini pure col primo riso, con cui salutan la madre. Negli ubbriachi parimente e ne' pazzarelli, sieno maniaci o monomaniaci, l' uso della ragione non è mai tolto del tutto, anzi v' è egli attivissimo; ma per isventura non regolato nelle cose necessarie al vivere e non preceduto da una sufficientemente ponderata deliberazione: percepiscono dunque, universalizzano, fanno de' giudizii e de' raziocinii e talora anco giusti; ma spesso anco sbagliati: e quando riescono troppo di frequente sbagliati in quelle cose ordinarie, nelle quali non falla il comune degli uomini, allora si hanno per pazzi. Che se si dimanda di più la causa onde avviene che l' uso della ragione proceda in essi così sregolato, l' osservazione di un tal fenomeno e la meditazion vi dirà che i loro giudizi sono traviati dalla loro propria volontà, la quale è la potenza che d' ordinario muove e conduce il ragionamento; vi dirà ancora che quella loro volontà poi che travia in essi il ragionamento è fieramente predominata e tiranneggiata dalla attuosità delle immagini, dalla potenza degl' istinti, dalla forza delle opinioni fisse, e dalle abitudini e dalla urgenza seduttrice delle passioni. Sotto alla qual crudele tirannide dell' animalità esaltata, irritata e prevalente la luce liberatrice della giustizia manda ancora i suoi raggi: e talora consiglia quegli infelici, talor li consola (1). La maniera poi onde la passione del sensitivo istinto domina cotanto e trascina la volontà ce l' insegna S. Tommaso, che insegna che non può la passione muovere la volontà direttamente, ma sì indirettamente (2), ed ella fa ciò sottraendo alla libertà le forze dell' anima; perchè dall' anima, come da loro radice, traggono la loro attività tutte le potenze; e l' anima ha una virtù unica e limitata; ond' avviene che se questa virtù sia distratta parte o tutta da una sola potenza, poniamo da quella del senso e dell' istinto animale, si rimane meno od anche nulla all' altre potenze, poniamo alla libertà, allora questa si dimostra indebolita, sfibrata, inerte, ed oppressa dalla veemenza dell' istinto sensitivo cresciuto a tal grado di vigorìa da rapire a se tutta l' anima. [...OMISSIS...] . Di più la passione sensitiva, dice S. Tommaso, trae la mente a fare de' torti giudizii sul valore delle cose, e quindi s' ha un altro modo, pel quale si sregola la volontà, [...OMISSIS...] . Ma qui si deve osservare, che se, dopo che l' uomo ha fatto un giudizio falso sul bene, dopo che, poniamo, ha giudicato che un oggetto sia più buono ch' egli non è, la volontà l' ama di più che non dovrebbe; la volontà stessa però aveva già prima fatto un altro atto col quale avea determinato quel falso giudizio, e quella falsa stima dell' oggetto. Perocchè sebbene la prima apprensione delle cose (percezione, sintesi primitiva) si faccia istintivamente, il giudizio però del loro valore morale ed eudemonologico, si fa sempre per un giudizio diretto dalla volontà, la quale perciò è la causa di tali giudizii (3); e sono sani e retti quando la volontà è sana e retta, e immune dalla violenza di quella passione che, come dice l' Angelico, talora trae a sè sola tutta la forza dell' anima. La mancanza adunque dell' uso della ragione, di cui parla S. Tommaso, che rende l' azione involontaria e, come noi diciamo, non libera, e quindi inetta a meritare, si è quella, per la quale la ragione legata dalla passione non può piú accorrere a deliberare in favore della legge, il qual fatto psicologico da noi viene descritto nelle parole non intese, ma censurate dal C., le quali furono queste: [...OMISSIS...] . La ragione del qual ultimo fatto è quella appunto data da S. Tommaso là dove con tanta sapienza scrive, [...OMISSIS...] . Nel brano arrecato io enumero i varii aiuti, che rendono l' uomo possente a vincere la seduzione di sue passioni ed istinti; e tra questi pongo la meditazione del proprio dovere, e l' animo ben disposto . Da questo il Sig. C. induce che io dunque insegno tutte le azioni essere necessarie, quando si fanno senza meditazione e senz' animo ben disposto! All' incontro le azioni necessarie sono da me descritte così: [...OMISSIS...] . Nelle quali parole si pone a prima condizione dell' atto necessario , che [...OMISSIS...] come accade ne' primi moti. Ma posciachè, quando l' uomo già ottenne il dominio della propria volontà col grand' uso e coll' abito della virtù; l' uomo previene anche i primi moti e gl' insulti impetuosi delle passioni e degl' istinti tenendo questi abitualmente infrenati; perciò non mi sono contentato d' esigere universalmente a costituire un' azione necessaria, che la passione sia urgentissima e repentina, ma ho soggiunto di più ch' ella non sarebbe ancor necessaria, ch' ella potrebbe essere tuttavia libera, qualora si trattasse d' un uomo abituato al bene sì fattamente, da aver già conseguito una piena signoria di sè stesso. Coll' aggiunta di questa seconda condizione si rende ancora più difficile ad avverarsi il caso dell' azione necessaria; e mentre il comune de' teologi si limita a riconoscerla tale dove una passione si renda eccessiva, io feci di più osservare, che la violenza della passione inducente necessità non si dee misurare dal grado assoluto della sua forza, ma dal grado relativo alla virtù dell' uomo in cui ella opera; poichè un uom virtuosissimo dominatore di sè, giunge in tempo a domare eziandio la passione urgente ed al sommo pressante. Ora quelle condizioni, che io posi acciocchè una azione si possa credere necessaria , il sig. C. asserisce che furono apposte acciocchè l' azione si possa dir libera, capovolgendo tutto il mio sentimento. Sicchè mentre io dico, che l' azione non è mai necessaria, se la passione non sia urgentissima d' una parte e dall' altra se l' anima dell' uomo non sia sgagliardita (1); egli mi fa dire all' opposto che [...OMISSIS...] . Egli dunque non intese che l' abito buono non fu da me posto qual condizione dell' azione libera, ma quale aiuto, pel quale l' azione diviene libera anche quando ella tale non sarebbe per l' urgenza della passione: nè intese pure che l' avere uno spazio di tempo nel quale poter sospendere il giudizio pratico, in considerazione della legge che la proibisce, sono condizioni che indubitatamente avverare si debbono in tutte le azioni libere, essendo assurdo il dichiarar libera un' azione, se chi la fa non ha tempo da sospendere il subito giudizio pratico che la produce, nè da considerar la forza e l' autorità della legge che la divieta. Scorgesi in fine che il nostro teologo dimenticò nell' enumerare le condizioni da me richieste, acciocchè un' azione possa credersi necessaria, la principale di tutte, senza la quale sono nulle le altre, la condizione espressa in quelle parole: [...OMISSIS...] . Dopo aver dunque il nostro teologo fatto supporre, che le condizioni da me richieste, acciocchè un atto sia necessario, sieno in quella vece da me richieste, acciocchè un atto sia libero, e dopo aver taciuta la principale o la sostanziale di queste condizioni, che cosa fa egli? Come rivenisse allora dal mondo nuovo, continua così: [...OMISSIS...] . Ma non solo non è da omettersi; ma lo si doveva dire prima; perocchè se fosse stato detto era resa impossibile la censura. Ma il lasciar fuori da una sentenza la parte principale e così renderla erronea e inveire contro di essa come erronea; e finita l' invettiva uscir fuori colla parte taciuta fino allora, e trovarvi un nuovo errore cioè trovare che la parte taciuta contraddice al sentimento precedente falsamente supposto; ella non è questa l' opera d' un uomo amico del vero, ma d' un cavilloso sofista, che tende a stabilire una dottrina erronea sullo scredito della vera (2). I teologi razionalisti per far prevalere il loro sistema falsificano dunque continuamente l' altrui. Il sig. C. giunge a scrivere così: [...OMISSIS...] . In questo passo il nostro teologo nasconde nel silenzio il preciso caso di cui si tratta. Non si tratta già in universale dell' uomo che opera dietro la concupiscenza e l' altre passioni, com' egli fa credere; ma unicamente e precisamente dell' uomo stretto dalla necessità che gli toglie la facoltà di deliberare a favor della legge. Cangiando la questione fa comparir Bajo un lassista, mentre finqui fu tenuto per rigorista, e dichiara il Rosmini ancora più lassista di Bajo! Affine di restituire la verità, metterò sotto gli occhi de' lettori un solo degli innumerevoli passi dal nostro teologo taciuti, e sarà quel che trovasi alla faccia 169 del « Trattato della Coscienza », che così dice: [...OMISSIS...] . I teologi razionalisti impegnati a dimostrare, che la dottrina cattolica sia l' eretica di Giansenio, e che l' eretica de' Pelagiani sia la cattolica, usano anche un altro artifizio. Solleciti di occultare le vere differenze che distinguono la dottrina eretica dalla cattolica, qualora s' abbattono ad alcuna di quelle differenze per confondere la mente de' suoi lettori s' accendono di zelo e con una cotal piega di artificiose parole togliono a far credere, che quella differenza che caratterizza la sana dottrina, sia un errore così sformato, a cui nè pure giunsero gli eretici fin qui conosciuti. Diamone un chiaro esempio. Uno degli errori di Bajo si fu che i moti della concupiscenza, intesa come un mero istinto animale, meritino in senso proprio l' appellazion di peccato, e si riducano al peccato d' origine anche nascendo CONTRO IL CONSENSO DELLA VOLONTA`. [...OMISSIS...] . La dottrina all' incontro della Chiesa Cattolica non conosce peccato di nessuna guisa, fin che la volontà dell' uomo ripugna; perocchè il peccato è « una declinazione (attuale, ovvero abituale) della volontà personale dalla legge. »Onde, se la volontà dell' uomo ripugna positivamente, e ripelle i moti carnali, egli è chiaro, che non può averci peccato , nè dopo, nè tampoco avanti il battesimo; perchè la volontà potenza superiore al senso è qui personale; e però quella, onde si dee desumere la condizione morale dell' uomo. Ma il Bajo disconosciuta questa dottrina, cadde nell' errore, che, avanti il battesimo, sieno peccato anche i movimenti disvoluti e disdetti dalla volontà, anche [...OMISSIS...] , errore che si contiene, almeno esplicitamente, nella condanna fatta dalla Chiesa del Bajanismo. La Chiesa, in pari tempo, non disconosce o nega alcuno de' fatti antropologici; e però nè pur quello che la volontà talora, ridotta a certe angustie e non soccorsa dalla ragione deliberante, sia tratta a consentire spontaneamente a' movimenti istintivi del senso, senza che le sia possibile ripugnare. Ma questo fatto non può già accadere in quelli, che trovandosi in istato di grazia, sono da questa sempre ne' lor bisogni fedelmente soccorsi, com' io ho dimostrato (nel « Trattato della Coscienza » facc. 165 e segg.). Laonde nell' uomo giustificato non ha mai luogo un necessario acconsentimento della volontà a un male conosciuto, perchè trattasi d' una volontà, come dice S. Agostino, dalla grazia liberata. All' incontro in quelli, che o non sono ancora rinati nell' acque battesimali, o mediante le volontarie loro colpe contrassero un abito di peccare, rimangono in istato di peccato, può accadere quel caso funesto, pel quale l' impeto delle passioni e di più tentazioni quinci e quindi assalitrici, tolgano il tempo all' arbitrio di venire in soccorso, onde vinti rimangono. I quali atti non essendo liberi sono peccati in causa, o che questa causa sia il peccato d' origine in essi non ancora rimesso, come S. Agostino tante volte ripete, o che sieno altre colpe nelle quali essi liberamente s' immersero, indebolendo così la propria libertà; con questa differenza però, che se la necessità venne dalla originale infezione, questi atti disordinati, al peccato originale si riducono, e sono uno con questo, e quindi non si possono dir colpe se non riferendole alla libera prevaricazione di Adamo, là dove, se la necessità fu figliuola delle loro proprie libere colpe che ingenerarono la consuetudine; le conseguenti cadute partecipano dalle dette colpe precedenti la denominazione pure di colpe, e diconsi colpe in causa. Tale è la sana dottrina, ed ognuno intende quanto differisca da quella di Bajo, il quale attribuisce la nozione di peccato anche a ciò che nasce contro la stessa volontà; quando la sana dottrina non attribuisce tale denominazione, se non a ciò, a cui la volontà consente, quantunque necessariamente, se questa necessità fu libera in causa. Ma i nostri teologi introducendo la maggior confusione d' idee, fanno in quello scambio, credere che la dottrina cattolica da noi professata, sia peggiore della bajana. Dopo avere il C. recato quel passo, dove noi descrivevamo il fatto della volontà affascinata dalla passione, alla qual cede miseramente, dicendo: [...OMISSIS...] . Per restituire la verità così violata è necessario fare le seguenti osservazioni: 1 Bajo disse, che non s' imputavano i moti della concupiscenza a' battezzati che non consentono, ma aggiunse che s' imputano insieme col peccato di origine a' non battezzati benchè non consentano; e la Chiesa Cattolica dice, che quando la volontà è contraria non s' imputano que' moti mai nè a' battezzati, nè a' non battezzati; 2 Bajo trova un' imputazione a colpa anche negli atti necessarii, e noi all' opposto diciamo che non si dà imputazione a colpa, se non là dove si dà libertà, e però, se si avvera il caso, che la volontà sia tratta a consentire necessariamente non si dà colpa, se non nella causa libera di questo disordine. E` ella questa dottrina peggiore della bajana? Il nostro teologo alla facc. 136, dopo citato quel passo di Bajo [...OMISSIS...] , ripete la stessa accusa così: [...OMISSIS...] . Non è il Rosmini, ma è la Chiesa, che senza il consenso non riconosce peccato alcuno, e che quando la volontà è necessitata a consentire a' subitanei movimenti non riconosce tuttavia colpa, se non nella causa libera che l' ebbe addotta a sì trista necessità. Ma qui a proposito del consenso il nostro teologo crede di ravvisare una contraddizione tra ciò che si trova scritto intorno al consenso nella « Risposta ad Eusebio » e ciò che si dice di esso nel « Trattato della Coscienza ». Ma questa pretesa contraddizione non è altro che un suo novo abbaglio. Egli asserisce che nella « Risposta ad Eusebio » si dichiari, che il consenso sia sempre un atto personale, quando all' opposto nel « Trattato della Coscienza » si ammette una volontà, che stretta dagl' impulsi istintivi, consente necessariamente alla passione, onde dice: [...OMISSIS...] . Ma o non ha osservato, o dissimula che nella « Risposta ad Eusebio » non si parla d' ogni maniera di consenso, ma di un consenso libero , leggendovisi: [...OMISSIS...] nel « Trattato della Coscienza » all' incontro si parla di un consentire necessario della volontà, il che toglie ogni contraddizione (2). E per vero tra lo spontaneo consentire della non anco libera volontà, di cui si parla nel « Trattato della Coscienza » e il libero consenso, di cui si parla nella « Risposta ad Eusebio », vi ha un immenso divario. La LIBERTA` è una facoltà superiore alla VOLONTA`, poichè è « la potenza di eleggere fra le volizioni. »Qualora adunque la volontà da se sola opera senza la direzione superiore, che consiste nella libertà che elegge, ella si lascia andare spontaneamente dietro alle sensazioni, e si dice che a queste consente , secondo l' etimologia della parola, che viene a dire sente con esse, si adatta ad esse. Ma il consenso della libertà è tutt' altro; questa facoltà non consente immediatamente ALLE SENSAZIONI, ma consente ALL' UNA DELLE DUE VOLIZIONI buone e cattive, fra cui elegge, e questo è appunto il consenso sempre personale, di cui parla S. Tommaso, e di cui noi, attenendoci alla sua guida, parlammo nella « Risposta al finto Eusebio ». Ma nella stessa « Risposta » fu distinto un cotal consentire necessario della volontà, e non della libertà, mostrando ivi esser questa maniera di dire usata da' teologi colla testimonianza dell' Estio (3): il che tutto dissimula il nostro censore. I teologi razionalisti diminuiscono col loro sistema la virtù e l' efficacia della grazia del santo battesimo. Questo si vede anche nell' opuscolo che abbiamo preso ad esaminare, come un recente esempio della dottrina teologica razionalistica. In un luogo si attribuisce ai dottori cattolici (questo è il perpetuo loro stile d' attribuire ai dottori cattolici in corpo i propri sensi) la sentenza, che non pone alcuna distinzione tra ciò che può la concupiscenza originale nel non battezzato, e ciò che può nel battezzato. Questo è manifestamente un diminuire l' effetto salutare del battesimo, per voglia d' esaltare l' umana natura, incorrotta, com' ei la crede, che, secondo la sostanza del suo discorso, non ha di questa medicina del battesimale lavacro bisogno assoluto e solo gli bisogna il battesimo, come diceva Giuliano d' Eclana, per ricuperare i soprannaturali ornamenti (1). Ecco quali sono le sue parole: [...OMISSIS...] . Il nostro teologo dunque attribuisce ai dottori cattolici la sentenza, che non ci sia differenza alcuna tra gli uomini battezzati e non battezzati circa il potere che hanno gli uni e gli altri contro gli assalti della concupiscenza, di maniera che, rispetto a questi, l' effetto del santo battesimo sia del tutto nullo. Ma è ella veramente questa la dottrina cattolica? Non è anzi un calunniare i dottori cattolici l' affibbiarla loro? Vediamolo diligentemente. Se dunque fosse vero, che i Dottori cattolici, (il che è quanto dire la Chiesa, perchè si prendono tutti i dottori in corpo senza eccezione), non riconoscessero alcuna differenza tra i battezzati e i non battezzati, quanto alla vigoria dell' umana volontà e libertà in vincere le passioni della concupiscenza; a che si ridurrebbero gli effetti del santo battesimo? A che vogliono ridurli i teologi razionalisti? Alla remissione del peccato originale? Ma questo peccato che essi diconlo peccato secundum quid e quadamtenus non è nel loro sistema che un peccato di mero nome, ed erano più conseguenti i pelagiani che schiettamente negavano il nome di peccato alla semplice privazione della grazia. All' infusione della grazia soprannaturale? - Ma che cosa è questa grazia, in bocca de' teologi razionalistici, i quali negano ch' ella abbia virtù di attenuare le forze della concupiscenza, e d' accrescere quelle del libero arbitrio, non facendo riguardo essi a questo distinzione alcuna tra battezzati e non battezzati? Il sacrosanto Concilio di Trento decise quanto segue: [...OMISSIS...] . Ora i cuori di quelli, ne' quali è diffusa la carità dallo Spirito Santo e a' quali questa caritƒ diffusa in essi è aderente ( illis inhaeret ), questi cuori che sentono in se stessi la figliuolanza di Dio, e, come dice l' Apostolo, chiamano, animati dallo Spirito Santo: Abba Pater , saranno essi egualmente deboli e fiacchi contro l' ingenita concupiscenza, come quelli che non hanno punto ricevuto col santo battesimo il dono di Dio? Io me ne appello a tutti i fedeli di Cristo, alle anime che amano Iddio; e sono certo, che s' ottureranno gli orecchi come a bestemmie ingiuriose a Cristo ed al Santo Spirito, udendo tali parole del nostro teologo anonimo, e de' suoi confratelli «(V. la mia Risposta al finto Eusebio n. 106) ». Ne' celebri capitoli intitolati: [...OMISSIS...] leggesi tra le altre cose della grazia santificante così: [...OMISSIS...] . Ed ora da che può esser liberato il libero arbitrio, in virtù della grazia, se non da' suoi nemici, che si riducono in fine sotto il nome di concupiscenza? Con qual verità dunque i teologi razionalisti asseriscono che i dottori cattolici insegnino, che circa il potere di astenersi dalle azioni peccaminose non v' ha differenza tra battezzati e non battezzati? Non è questo un passare da un estremo all' altro, e per evitare l' errore di quelli che distruggono nell' uomo, o prima che sia rigenerato, o prima e dopo, il libero arbitrio, cadere nell' errore di quegli altri, che spogliano dalla sua virtù liberatrice e santificatrice la grazia di GESU` Cristo, la qual viene infusa nel santo battesimo? Facciamo un semplice e spassionato paragone tra la dottrina di tali teologi e quella già condannata dalla Chiesa ne' pelagiani, e apparirà manifesto il loro inganno ed il loro errore. I pelagiani dicevano, che la natura umana nasce presentemente senza vizio alcuno e colla sola privazione de' doni gratuiti (1): e il medesimo dicono i nostri teologi moderni. Ma come si salvano dunque, cioè credon salvarsi, dalla condanna di questi antichi eretici? Ritenendo la stessa loro sentenza, ma vestendola d' altre parole. Gli uni e gli altri convengono, che la natura umana nasce senza vizio, con tutti i suoi pregi naturali, e solo priva dei doni gratuiti. Questa è la sentenza comune, ora viene la differenza nelle parole. Quegli antichi confessavano ingenuamente, che nè la privazione de' doni gratuiti, nè le naturali limitazioni, nè i difetti naturali procedenti da quelle, erano peccato , e in questo dicevano bene. Furono adunque condannati, perchè negavano il peccato originale. Questi moderni, tementi la condanna stessa, dicono che quella privazione de' doni gratuiti è peccato, e in ciò dicono male. Ma col dire in tal modo un errore di più, saranno dunque assolti dalla condanna antica? Non credo io. Similmente s' osservi quanto agli effetti del battesimo. Sì gli antichi pelagiani che i moderni teologi dicono, che l' effetto del battesimo consiste solamente nel restituire alla natura buona l' ordine migliore della grazia [...OMISSIS...] questa è la sentenza comune. Ma gli antichi eretici confessano ingenuamente, che l' innalzare semplicemente la natura umana all' ordine soprannaturale, non è lo stesso che assolverla dal peccato; e dicevano bene. Furono adunque dannati perchè negavano che i bambini si battezzassero « in remissionem peccatorum ». I moderni teologi dicono all' opposto, che innalzare la natura all' ordine soprannaturale, è lo stesso che rimetterle il peccato originale; e dicono male. Ora di nuovo, eviteranno questi la condanna, solo col dire un errore di più di quelli? L' eresia consiste in semplici parole o nel senso e nella dottrina, qualunque sieno le parole che si adoperano per esprimerla, o per coprirla? Non verrebbe esposta la nostra santa fede al dileggio degli increduli qualora ella si facesse consistere in puri giochi di parole? Non sarebbe esposta al ridicolo la sacra teologia, qualora potessero dire con qualche verosimiglianza, che i teologi ritenendo le parole sanno di mano in mano modificare e cangiare con sottigliezze e vocaboli, le più essenziali e fondamentali dottrine del cristianesimo? Se si cerca, qual sia la dottrina sana della Chiesa intorno alla naturale possibilità dell' uomo, ed a quella possibilità di viver bene che egli acquista coll' infusione della grazia, conviene indubitatamente rispondere, che la Chiesa decise: [...OMISSIS...] , cioè aver tutti gli uomini perdute due cose, 1 l' innocenza e giustizia, e 2 la possibilità naturale di viver bene; onde S. Innocenzo papa rispetto a questa seconda perdita, così s' esprime: [...OMISSIS...] . Contro alla qual dottrina della cattolica Chiesa offendono apertamente coloro che al battesimo negano la virtù di ristorare le forze del libero arbitrio infiacchite contro la concupiscenza e dichiarano, esser queste uguali nel battezzato e nel non battezzato, come fanno i recenti teologi. Dopo di ciò la Chiesa ancora decise, che [...OMISSIS...] . Fin qui va la questione della dottrina generale. Dopo questa, viene poi la questione del fatto, la quale dimanda: « quando si verifichi, che l' uomo operi il male senza libertà e però senza demerito. » La possibilità intanto di questo fatto la Chiesa l' ammette e suppone pur colla condanna delle proposizioni di Bajo: [...OMISSIS...] , dalle quali e da altre somiglianti, scorgesi, come abbiam provato innanzi, che la Chiesa riconosce ed ammette un operare volontario, ma necessitato, di modochè la parola voluntarium , giusta tali decisioni della Chiesa, non sempre significa liberum , come contende il nuovo Teologo. Questo dunque appartiene ancor alla dottrina della Chiesa cattolica. Ma per venire alla questione di fatto: « quando si verifichi che l' uomo operi senza libertà e però senza merito nè demerito, » oltre il sapere in generale che qualche volta si verifica, il che, come dicevamo, è già parte del cattolico insegnamento; conviene di più determinarne per quanto si può i casi precisi. Al che ottenere vi hanno due lavori a farsi. Poichè altro è determinare i casi, ne' quali l' uomo opera necessariamente in generale, descrivendo le condizioni e le circostanze, sotto l' influenza delle quali egli procede colla necessità; ed altro è poi nel fatto reale accertarsi che tali condizioni e circostanze abbiano luogo in questa o quell' azione particolare. A ragion d' esempio alcuno dirà, che la passione può in alcun istante pigliar tant' impeto ed una così veemente uscita, ch' ella tolga all' uomo la libertà. Ma il dir questo non è mica un dire che in un dato fatto particolare di Tizio o di Cajo siasi avverata questa condizione, non è un dire, che la passione in Tizio od in Cajo sia stata realmente così urgente e così pressante in una data azione da trascinare la spontaneità ed impedire l' arbitrio della volontà. Anzi ella è cosa difficilissima o piuttosto impossibile il definirsi questo con piena certezza nel caso reale, e a Dio solo suol essere pienamente noto. Laonde l' uomo che opera con passione, grandemente s' illuderebbe s' egli leggermente credesse d' aver operato con necessità, anzi in luogo di scusarsi dee certamente condannare se stesso, non solo per le colpe attuali, che gli cagionarono quella torbida e violenta passione, non solo per le occasioni, a cui probabilmente s' espose, e per gli irritamenti a lei conceduti, non solo per non esser ricorso bastevolmente agli ajuti, co' quali avrebbe dovuto e potuto prevenire la sua caduta, ma ben anco per l' atto posto quando essa passione irruente in lui, videsi traboccata nel precipizio: e ciò perchè se da una parte questo gli mostra che tutto è disordinato in lui fin la stessa sua volontà, che è egli stesso; dall' altra perchè egli ha sempre troppa ragione di temere che la stessa sua libertà non fosse legata del tutto, essendo questo, come dicevamo, oltre modo difficile, se non impossibile a definirsi. Dal che apparisce, che lo stabilire semplicemente colla Chiesa cattolica che la passione aiutata dalla consuetudine delle colpe e lasciata andare innanzi ne' suoi riscaldi senza la debita vigilanza, possa talora addur l' uomo a sì stretto passo, al quale egli sdrucciola necessariamente; non è già un dare ansa e sicurtà agli uomini appassionati od abituati a peccare; ma è piuttosto un ammonirli di non confidare nelle forze proprie, ma di ricorrere a G. Cristo liberatore, di cui hanno un bisogno assoluto, per andar salvi dalla crudele tirannide del demonio e dalla loro propria concupiscenza. A torto dunque i teologi di cui parliamo sostengono, che le forze del battezzato, e del non battezzato sono ugualmente capaci di resistere al male; scagliando acri invettive contro quelli che dicono il contrario, asserendo che coll' ammettere una necessitá di cader ne' peccati, senza la grazia di Cristo, aprano la porta alla dissolutezza, con troppo basse parole dicendo, che questa è [...OMISSIS...] . L' estenuare gli effetti del sacramento del battesimo, col quale gli uomini s' incorporano a Cristo, e sono sollevati dalla condizione della natura guasta, all' ordine delle cose soprannaturali, e al regno di Dio favorisce oltremodo la tendenza di questo secolo d' incredulità e di diserzione dalla fede cattolica. La filosofia divisa dalla religione indefessamente lavora a introdurre nel mondo un sistema di Razionalismo che tenga luogo d' ogni religione positiva. Il protestantismo che non può resistere a' suoi assalti si associa ogni dì più con esso allo stesso intento, e rifondendosi in una pretesa religion naturale va cessando d' esistere come credente ad una positiva rivelazione. Predicatori inspirati dall' umana superbia scuotono la fede delle plebi stesse, e già, nelle nazioni protestanti, si trascura l' amministrazione del battesimo, se ne altera la materia e la forma, non considerandosi oggimai questo principal sacramento che come un semplice rito, onde si trovano già moltissimi adulti non battezzati, e degli altri si dee giustamente temere, non forse sieno stati battezzati invalidamente. I filosofi del protestantismo, ed i razionalisti biblici della Germania, con migliaia di libri e d' opuscoli diffondono per ogni canto d' Europa lo stesso spirito freddo, falso, per essenza miscredente, lusingatore dell' orgoglio umano e lo comunicano di nazione in nazione. Nella Francia cattolica entrò legalmente sotto il titolo di Scuola Normale di Filosofia. E sarà ora una dottrina indifferente, e degna di trascurarsi a' nostri giorni quella de' nostri teologi, che insinuano apertamente che il battesimo non accresce le forze dell' uomo ad evitare il peccato? Alla quale, nello spirito razionalistico, consuona pur quella filosofica, che da' sensi, a' quali s' attribuisce la conoscenza, o che dalla forza subbiettiva dell' anima fa venire all' uomo le idee, onde la verità, che nelle idee si contiene, è fatta con ciò figlia anch' essa dell' uomo, non più eterna, non più divina, quand' anco con una perpetua incoerenza si protesti il contrario. Così accade che il Razionalismo corrompa ogni dì più l' educazione della gioventù cristiana, rendendola vana e superba; insegnandole che dalla sua ragione viene la verità, dal suo libero arbitrio la virtù: la rivelazione non esserle necessaria assolutamente; anche senza il battesimo poter essa volere e vincere le proprie passioni. Questo tentativo benchè ne' nostri Anonimi s' appalesi più manifesto, non è per avventura nuovo ma antico, essendosi insinuato già, lentamente, come dicevamo, da più di due secoli; egli non è accidentale, non è momentaneo; ma è concertato in sistema, replicato, incessante. Si è taciuto finora, o almen parlato sommessamente per non rinfrescare la memoria di scandali quasi obliati. Ma io credo, che Iddio già più non voglia che si nasconda la radice del male che occultamente serpeggia: la provvidenza divina ha permesso che quello spirito infausto di Razionalismo e di Pelagianismo, che segretamente corrode i visceri del cristianesimo, toglie la virtù a' sacramenti, ed anco la passione e la morte di GESU` Cristo, scoppiasse più aperto negli opuscoli di alcuni teologi cattolici, fors' anco in buona fede da parte loro, ma con dottrina non sana. Abbandoniamo ogni causa o disputa personale, e siamo solo solleciti della purità della fede, della causa di G. C. e della sua Chiesa. Nessuno che consideri le cose spassionatamente potrà dubitare che i nostri Anonimi in sostanza rinnovano insieme uniti, e sotto color di pietà un assalto alla dottrina della Chiesa ed alla grazia del Redentore; de' quali negli scorsi secoli s' ebbero tanti esempi e basti accennare solo quello celeberrimo dei PP. Arduino e Berruyer. La « Storia del popolo di Dio » di quest' ultimo, di cui s' era promessa la correzione, uscì alle stampe ancor tale, che dovette condannarsi in Roma stessa nel 1734, e poi due volte di novo da Benedetto XIV (1) ed una terza da Clemente XIII (2) dandosi così una prova di più che lo spirito razionalista e pelagiano non teme i replicati fulmini della Chiesa. Ora si raffrontino i sentimenti de' nostri teologi con quelli del Commentario sopra S. Paolo dell' Arduino e della « Storia del popolo di Dio » del suo confratello, e si riscontrino agli originali proscritti dalla Chiesa, le copie. Lo stesso esaltamento della forza della natura, la stessa depressione della grazia di Cristo; un estenuare gli effetti del battesimo, un disconoscerne la virtù salutifera di mitigare i moti della concupiscenza, un diminuire la necessità della redenzione: niuna grazia veramente medicinale, giacchè non può esservi medicina dove non ci ha malattia; una sufficienza, una integrità, una beatitudine all' uomo dovuta senza il lavacro del Redentore. E sogliono costoro attribuire tutti gli errori che seminano, a' dottori della Chiesa, ed alla stessa Chiesa. Laonde ci dicono francamente, che, quando si tratta passar dai primi moti ad azioni peccaminose, dicono TUTTI (i Dottori cattolici) [...OMISSIS...] Ed IN TUTTO QUESTO NON RICONOSCONO DIFFERENZA TRA BATTEZZATI O NON BATTEZZATI. Tanta ingiuria che si fa al battesimo del Salvatore, mi sprona a insistere in questo argomento, che d' altra parte può esser utile a confortare la fede de' cristiani. Pur troppo questi sono bene spesso male istruiti circa gli effetti del santo battesimo, e, attesa la materialità e l' incredulità de' tempi, ripugnano sovente a credere fedelmente a quello, che v' ha di più prezioso e di più divino in tali effetti qual è la riformazione e il miglioramento dell' anima umana, di cui l' uomo non ha coscienza, benchè poscia ne sperimenti i vantaggi. Sia dunque messo in più chiara luce il medicinale effetto che viene impugnato del santo battesimo. Nella « Dottrina del peccato originale (n. XCIII 7 CI) » fu dimostrato come si conciliano le opinioni apparentemente diverse de' teologi cattolici che ripongono l' essenza del peccato originale nella privazione dell' originale giustizia , di quelli che la ripongono nella stortura della volontà, e di quelli che la fanno consistere nella concupiscenza de' non rinati: riprendiamo la descrizione e le prove dell' esistenza della malattia, a cui egli, il battesimo, è soprannaturale rimedio. Fu dimostrato, che ritorna in fondo sempre la stessa dottrina sotto diverse espressioni; e questa unica e consentanea a se stessa è la dottrina della Chiesa dichiarata così sapientemente dal Tridentino. L' identità sostanziale della dottrina insegnata da quei teologi, con varie maniere di parlare, risulta chiara tosto che si definiscano nel debito modo le tre espressioni usate di giustizia originale , di stortura della volontà , e di concupiscenza de' non rinati . Appigliamoci anche qui alla guida di S. Tommaso. Egli distingue la giustizia originale dalla grazia santificante , benchè quella in Adamo dipendesse da questa, stantechè la giustizia originale d' Adamo non era solamente naturale, ma anche soprannaturale, e perchè perdendo egli la giustizia rendevasi anche indegno della grazia, in cui era stato da Dio costituito. La giustizia originale in generale è riposta da S. Tommaso nell' ordine delle umane potenze, pel quale le inferiori ubbidiscono docili alla volontà e la volontà ubbidisce al lume della ragione ed a Dio (1). Egli è chiaro, che supponendo l' uomo creato senza la grazia santificante l' ordine delle sue potenze non sarebbe mancato in un essere opera di Dio, e la natura umana sarebbe stata intera , come acconciamente la chiamano i teologi. Ma in tal caso Iddio sarebbe stato conosciuto dall' uomo col solo lume naturale; e la sua volontà sarebbe stata sommessa a lui così conosciuto: le inferiori potenze poi avrebbero tuttavia ubbidito alla sua buona libera volontà. La giustizia originale dunque in una tale ipotesi, non potea esser più che una giustizia naturale quanto alla sostanza, risiedente necessariamente nella volontà; perchè la sola volontà è per se stessa la potenza morale, non appartenendo alla moralità le potenze inferiori, se non in quanto contribuiscono o sono da lei mosse (1) a disporre bene o male la volontà. Laonde la giustizia originale in qualsivoglia caso riducesi alla rettitudine della volontà , che non si lascia distorre dall' ordine di ragione, per niuna lusinga di bene sensibile o soggettivo. Conseguentemente S. Tommaso mette l' essenza del peccato originale ora nella privazione dell' originale giustizia, or nella stortura della volontà, rientrando queste due cose l' una nell' altra; poichè, definito in che cosa consiste il disordine della volontà [...OMISSIS...] , applica questa definizione al primo peccato così: [...OMISSIS...] . Il qual medesimo disordine nella volontà è pure ne' discendenti del primo padre, che il ricevono insieme colla natura: [...OMISSIS...] . E nondimeno non si dee già credere che quest' avversione della volontà personale sia un positivo odio di Dio, o un' inclinazione che rechi la volontà ad odiare direttamente il sommo bene come pazzamente vollero i bajani (1). Ella consiste bensì in un lasciarsi andare facilmente e in certe circostanze irresistibilmente al dolce del sentimento della natura, in vece di starsi eretta e fissa in quel lume di ragione, dal quale essa dee prendere l' ordine dell' operare e la misura del godere (2). Laonde la ragione prossima di questa deviazione abituale della volontà dall' ordine di ragione, è attribuita all' animalità che agisce con insolente violenza e trae a sè e quasi lega l' anima intellettiva; e questa efficacia dell' animalità assorbente per così dire la miglior attività dell' anima umana si origina, a quanto sembra, dall' attuosità del seme, chiamato per ciò appunto da Innocenzo III ed altri dottori infetto e corrotto. Laonde benchè solo l' anima intellettiva e volitiva sia il subietto del peccato originale, tuttavia, [...OMISSIS...] . E tuttavia è ancor da notarsi, che questo attraimento soverchio che fa la carne dell' anima intellettiva a sè non è ancor propriamente il peccato originale; ma il peccato originale è l' immediato effetto. Poichè a cagione di quell' attraimento, avviene, che l' anima intellettiva sia alquanto ottenebrata (e quest' appartiene alla piaga dell' ignoranza), e alquanto sgagliardita (e quest' appartiene alla piaga della difficoltà) e così sia st“lta dall' ordine di ragione e però da Dio, non rimanendole più forze sufficienti a mantenere costantemente in tutti gli atti suoi ad un tempo quell' ordine di ragione, come quella la cui attività è perduta in parte nell' animalità, il che GESU` Cristo espresse colle parole, [...OMISSIS...] . Ora la naturale applicazione di tanta attività dell' anima intellettiva al sentimento della vita animale, è ciò che i teologi chiamano, conversione alla creatura ; e il conseguente languore dell' anima rimasta debole all' ordine di ragione, e priva della cognizione soprannaturale di Dio, è ciò che chiamano avversione da Dio . Essi insegnano adunque che la piega o conversione alla creatura che l' uomo riceve nell' essere generato, è la causa prossima dell' avversione da Dio; nella quale sta propriamente la ragion formale del peccato, [...OMISSIS...] , dice S. Tommaso, [...OMISSIS...] ; di che deduce, che il concetto del peccato attuale e dell' originale non è dissimile, contro i teologi razionalisti, che a quest' ultimo negano l' esser peccato semplicemente (2). [...OMISSIS...] ; la qual privazione della giustizia, come abbiamo veduto, consiste nel non esser più la volontà aderente all' ordine di ragione. Di che conclude l' Angelico: [...OMISSIS...] . Nella volontà de' bambini adunque (ancora immersa nell' essenza dell' anima) ha sua propria sede il peccato originale, perchè [...OMISSIS...] . E noi pure dimostrammo, che il peccato suppone sempre qualche attualità e solo un principio attivo può avere per suo subbietto. Dalle quali cose s' intende, come anche si dica, che il peccato originale consista nella concupiscenza de' non rinati , e in che senso il dir questo ritorni in fine allo stesso, che a riporre il peccato d' origine nella privazione della giustizia, ovvero nella stortura della volontà. La concupiscenza propriamente definita in un modo generale può dirsi l' inclinazione dell' anima intellettiva verso l' animalità e il bene subbiettivo. A torto i nostri Anonimi la restringono alle sole parti inferiori dell' uomo, nelle quali è l' appetito animale, che non ha per sè solo come è nelle bestie alcuna ragione di difetto morale (1). All' incontro S. Paolo attribuisce alla concupiscenza «phronema» e «nun» (2), e il catechismo del sacro Concilio chiama la concupiscenza ANIMI APPETITIO, e non appetitio carnis; acconciamente così definendola, [...OMISSIS...] . L' Angelico poi dice, [...OMISSIS...] . Si prende dunque acconciamente la parola concupiscenza anche a significare tutta la facoltà di appetire dell' animo umano la volontà stessa spontanea inclinata a fermarsi nel sentimento animale e nel bene subbiettivo; ed è in questo senso, che nella concupiscenza de' non rinati si può collocare il peccato di origine. All' incontro se per concupiscenza s' intendesse quell' attuosità della vita e del sentimento animale che tira a sè l' anima intellettiva, ella è più tosto la causa prossima del peccato originale, cioè della mala inclinazione della volontà anzi che peccato ella stessa (1). L' anima razionale dunque ed appetitiva dell' uomo, quando l' uomo è generato « si precipita, quasi direi nella carne; e il dolce della vita animale la diletta, senza il riguardo debito a quell' ordine di ragione, che a lei essenzialmente intelligente sta pur davanti almeno implicito nel lume della ragione. » Ma si devono distinguere tre cose in questa condizione dell' anima: 1 La potenza razionale di appetire ancor immersa nell' essenza dell' anima, non pur distinguibile colla mente nostra dall' altre potenze; 2 La stessa potenza che già esce e realmente si separa colla sua azione quando emette le sue appetizioni, o volizioni; 3 E questi stessi atti speciali, che si dicono volizioni. Queste tre attività vengono l' una dall' altra, come dalla radice d' un albero vien fuori il tronco; e da' tronchi escono i rami. Gli atti particolari, le volizioni dunque sono produzioni della potenza di volere; la potenza di volere è quasi direbbesi produzione dell' essenza dell' anima, si che consegue, che, se si tratta di atti spontanei della volontà, questi sogliono trarre la qualità loro dalla potenza, ed esser buoni se la potenza è ben disposta, non buoni se la potenza è male disposta. Medesimamente la volontà come facoltà spontanea di operare, tiene la sua disposizione buona o cattiva, cioè ben ordinata o no, che prima aveva quando si giaceva quiescente nell' essenza dell' anima. di che si deduce, che l' essenza del peccato originale quant' alla macchia non si può riporre negli atti particolari della volontà; e nè pure nella volontà come potenza; ma nell' essenza dell' anima volitiva e appetitiva; onde incomincia quel male che si propaga poscia alla potenza ed agli spontanei suoi atti e però il male di quella e di questi si riduce in fine alla mala disposizione dell' anima che è lo stesso peccato originale. Ma che l' anima stessa, l' essenza dell' anima abbia questa mala disposizione in sè riesce difficile a intendersi per cagione, che quella disposizione immorale sfugge alla coscienza. Ma la fede, rivelandoci il peccato originale che tutti i cristiani credono sulla parola di Dio rivelante proposta loro dalla santa Chiesa, c' insegna indirettamente una verità così profonda; e prevenendo la scienza umana, presta un argomento della sua divinità. La scienza dell' uomo fatta per pochi, viene in appresso e discopre, dopo ricerche di molti secoli, quei veri che erano già supposti dalla fede con divoto stupore degli stessi scienziati (1). Ell' era un' arma de' Pelagiani, negare il peccato d' origine, perchè l' uomo non ne ha immediata coscienza. E S. Agostino accordava loro che il reato della concupiscenza si toglie alla consapevolezza dell' uomo; anzi volea che si distinguesse diligentissimamente tra il sentimento della carne, di cui si ha coscienza, e quella mala qualità e disposizione dell' anima di cui la coscienza ci manca e in cui il peccato originale risiede; stringendo quegli eretici a credere a quanto dice la fede, eziandio che nol dica la coscienza diretta ed immediata. In fatti delle cose che giaciono in fondo all' anima, dove sta quel peccato, o è soprammodo difficilissimo, o al tutto impossibile, l' essere consapevole. [...OMISSIS...] . Il perchè accorda a Giuliano, che l' argomento di cui egli si serviva a negare il peccato d' origine (il non averne cioè noi coscienza) era tale da illudere gli uomini grossi e carnali, ma tanto più in ciò stesso offensivo della cattolica fede; [...OMISSIS...] . Ed avverte, che il male originale non istà nella volontà del fanciullo, presa questa volontà come potenza della quale, operando noi, siam consapevoli; ma è consopito nel fondo dell' anima, dove la coscienza non giunge, e tuttavia viene il tempo che quel peccato occulto si appalesi anche di fuori, colle sue male tendenze, e colle male sue operazioni; [...OMISSIS...] . Dove si scorge, secondo il parlare di S. Agostino, che il peccato originale prima è nascosto in fondo dell' anima ed ivi quiescente, poi operante al di fuori ed in battaglia colla libera volontà, che o il vince corroborata dalla grazia di GESU` Cristo e allora l' uomo è salvo; o si lascia vincere e allora l' uomo è perduto. Ma non si creda perciò soggiunge il Santo, che quel peccato non nuoccia, anche prima di mandar fuori i suoi tralci delle male operazioni, nuoce sempre, se non è sciolto dal Redentore. [...OMISSIS...] Invano adunque Pelagio sosteneva, come fanno i moderni teologi razionalisti, che la concupiscenza non fosse altro che il sentimento carnale (2). S. Agostino rispondeva, che il sentimento è quello che ci rende consapevoli della concupiscenza; ma non è la concupiscenza di cui si parla, occulta madre di quel sentimento. La concupiscenza, quella concupiscenza cioè in cui l' essenza del peccato originale consiste, è una mala disposizione dell' anima occulta in essa, una mala qualità (3). [...OMISSIS...] Ed illustra questo concetto con un esempio che mostra lo spirito veramente filosofico del grand' uomo, [...OMISSIS...] . Riassumendo dunque in poco ciò che abbiamo detto finqui intorno alla concupiscenza ed a' suoi vari significati, 1 Se la concupiscenza si prende per quell' impeto, per così dire, onde l' anima del bambino che si concepisce s' immerge nella viva carne, che l' attira all' atto della concezione, una tale concupiscenza è la causa prossima del peccato d' origine [...OMISSIS...] e non lo stesso peccato d' origine (3); 2 L' animalità così prevalendo trae seco la parte razionale dell' anima, la volontà, che tende da quell' ora spontanea a secondare i movimenti piacevoli della carne; e soddisfarsi nel bene della natura umana come se altro non ci fosse al di là, e a questa tendenza originaria, a questa volontà, o attività razionale dell' anima prona a riporre il suo finale compiacimento nella natura, si dà pure il nome di concupiscenza; ed è in questa, che ha sede quella mala qualità , quella macola , quel reato , in che consiste il peccato d' origine: mala qualità che cessa in virtù del battesimo, benchè rimanga la tendenza alle passioni del senso, ma minuita e che non s' acquieta in questa, perchè la parte suprema dell' anima è sostenuta dall' infusion della grazia. Quella tendenza dunque che rimane specificamente diversa dalla precedente allora dicesi fomite della concupiscenza (1); 3 Dalla detta concupiscenza, o che abbia congiunta la macchia , come ne' non rinati; o che non l' abbia come nei rinati, vengono i movimenti disordinati della volontà prona al senso, che si riducono al peccato originale, se questo vige, o si riducono al fomite, se il peccato originale è pel battesimo estinto. Acciocchè dunque chiaramente s' intenda questa espressione consacrata dalla tradizione, che il peccato originale è il reato della concupiscenza; non dee prendersi la parola concupiscenza per l' atto dell' animalità che attira a sè l' anima razionale nel primo momento dell' esistenza dell' uomo, atto che poi permane; non per gli atti spontanei della volontà, che alle speciali sensazioni abbandonasi; ma per la mera disposizione viziosa a questi atti, posta in essere nella congiunzione dell' anima col corpo; che in noi è quiescente e a noi stessi ignota fin a tanto che non erompe a' suoi atti. E quella disposizione in cui consiste il peccato non è già la semplice tendenza al bene sensibile (la mera concupiscenza senza determinazione di grado) ma ella è la mala qualità , come dicemmo con S. Agostino, che trovasi in quella concupiscenza, quale è a noi innata e dura avanti il battesimo, e che col battesimo cessa. Che cosa è dunque la mala qualità della concupiscenza innata che forma il peccato? Consiste in questo, per dirlo di nuovo, che quella tendenza al diletto animale e al bene subbiettivo della natura rapendo a sè tutta quasi l' attività dell' uomo, rapisce a sè e lega anche la parte suprema dell' uomo la cima dell' anima, nella quale sta la base dell' umana persona, che pure di natura sua dee conformarsi all' ordine di ragione, e sta pure il subbietto di ogni vero peccato. Il lume adunque della ragione, benchè non cessi di risplendere nell' uomo, non è più la costante guida dell' uomo in tale stato; esso lume ha troppo poca influenza sopra un essere così propenso in verso l' animalesca e subbiettiva dilettazione. Poichè quel lume è fatto di natura sua per dirigere a Dio, e già l' uomo non si lascia più da lui liberamente dirigere; quindi dicesi che v' ha in lui mancanza di giustizia consistente nell' inordinazione della volontà, o sia nell' avversione a Dio. Quindi la definizione che dà S. Tommaso dell' originale peccato. [...OMISSIS...] (e non in Adamo, giacchè altro è il peccato considerato in Adamo, altro è il peccato considerato ne' posteri, checchè ne dicano i nostri Anonimi, che menano piedi e mani per confonderli insieme) [...OMISSIS...] ; non la concupiscenza sola, in astratto presa, ma colla mala qualità della privazione della giustizia originale, la qual mala qualità non è meramente l' assenza della grazia, come vogliono i nostri Anonimi (2) (nè l' assenza della grazia è una qualità ); ma è l' indebolimento morale della volontà dell' uomo, pel quale ella non ha più virtù di viver bene, come dice S. Agostino (1), non ha più virtù di muoversi liberamente verso il bene oggettivo (2), il che pur è un disordine morale; e questa virtù non l' ha più, perchè le è sottratta l' attività dell' anima già soverchiamente attratta e legata nell' animalità. L' attività radicale dell' anima è dunque unica, perchè unica è l' anima, ed ella si comparte a diverse potenze (3). Laonde se qualche potenza attrae a sè un soverchio di quell' attività, l' altre ne provan difetto rimanendosi indebolite e torpide a muoversi. Indi accade che la facoltà di seguire il bene oggettivo, che costituisce la volontà buona , sia fiacca nell' uomo, perchè l' animalità oggimai tira a sè troppo dell' attività dell' anima. Rimane potente all' incontro la volontà della carne , cioè quella che segue il bene soggettivo e sensibile, volontà che ha la qualità cattiva in quanto non dà l' attenzione e l' importanza debita al bene oggettivo. Di che riceve gran luce la definizione che dà del peccato d' origine Ugone di S. Vittore, che il dice [...OMISSIS...] . La mala qualità che costituisce il peccato è quella « mortalis infirmitas » della facoltà di volere il bene oggettivo. Questa facoltà di volere il bene è debole perchè l' animalità trae soverchiamente a sè l' attività dell' anima, la quale attività diviene così potente solo a volere il bene soggettivo e sensibile, onde ne consegue quella che Ugone dice « concupiscendi necessitas ». Questa è la dottrina stessa di S. Agostino: [...OMISSIS...] . - Quest' è la dottrina stessa di S. Bonaventura: [...OMISSIS...] : questa in somma è la dottrina tramandataci da tutta l' ecclesiastica tradizione. Forte è dunque la volontà dell' uomo che nasce per volere il bene subbiettivo e sensibile; debole è la volontà di lui per volere il bene oggettivo e morale. Questa debolezza della volontà pel bene è quel languor naturae (3), in cui S. Agostino cogli altri Padri ripongono l' originale peccato; perchè in conseguenza di essa nasce una infelice concupiscendi necessitas contro l' ordine di ragione (4). Poste le quali dottrine innegabili della costante tradizione della Chiesa si può ben far giustizia delle parole, colle quali il moderno Teologo, detraendo alla virtù del battesimo, mette alla medesima condizione i non battezzati, ed i battezzati, dando a quelli una libera volontà capace di viver bene coll' evitare le azioni peccaminose, quant' a quest' ultimi; benchè S. Agostino con tutta la Chiesa chiami il peccato originale, [...OMISSIS...] . Poichè tutto ciò asserisce il nostro C. e parla, in nome di tutti i dottori cattolici: [...OMISSIS...] . Si pesino bene queste ultime parole principalmente. Se, anche l' uomo non battezzato può sempre come il battezzato SENZA DIFFERENZA ALCUNA astenersi dalle azioni peccaminose, non ha dunque necessità per viver bene del santo battesimo; anzi, secondo il nostro autore, nè pure della grazia di Cristo, perchè egli sostiene che la ragione dell' uomo (non la grazia) può sempre accorrere e vincere la passione abusando delle parole dell' Angelico: [...OMISSIS...] . Non è ella questa la genuina sostanza dell' eresia pelagiana, coperta ora più, ora meno, di artificiose parole, ma costituente il fondo di tutti gli scritti de' nostri teologi razionalisti? Non ho io ragione di rispondere a quelli, che non fanno differenza fra battezzati e non battezzati quanto alla forza del libero arbitrio per bene operare, e che attribuiscono all' uno e all' altro un egual potere di reprimere le passioni, ed evitare le azioni peccaminose, quello stesso che S. Agostino rispondeva a quegli eretici che del pari estollevano il libero arbitrio de' non battezzati (e in ciò Agostino era bocca della cattolica Chiesa) [...OMISSIS...] . Laonde se la cattolica Chiesa condannò quelli che dicono impossibili i divini precetti a' giustificati, i quali hanno l' aiuto della grazia, facendo così differenza fra le forze del giustificato, e quelle del non giustificato. [...OMISSIS...] ; d' altra parte condannò altresì quelli che li dissero possibili a' non giustificati operanti colle naturali loro forze. Onde ne' capitoli di S. Celestino Papa si legge (4), [...OMISSIS...] . Che anzi la Chiesa, lungi d' ammettere che il non battezzato che non opera colla grazia possa egualmente che il battezzato astenersi dalle azioni peccaminose, come insegnano i moderni nostri teologi; Ella dichiara incapace di ciò il battezzato stesso, se non riceve ognora nuovo aiuto di Cristo, il quale lo dà a chi lo domanda. [...OMISSIS...] è il terzo capitolo di Celestino, [...OMISSIS...] . Laonde i nostri recenti teologi razionalisti danno più forze al non battezzato, che non dia la Chiesa cattolica allo stesso battezzato. Certo, se io scrivessi pe' soli teologi tali cose, mi darei una cura superflua, essendo loro troppo noto, appartenere alla fede, che le forze del libero arbitrio in un uomo giustificato e incorporato a Cristo pel battesimo, sono di gran lunga maggiori pel bene, di quelle che dalla mera natura abbia un altro non battezzato; e d' altra parte ho già dimostrato ampiamente nella « Risposta ad Eusebio », che passano tre ragguardevolissime differenze fra il potere d' operare il bene che ha l' uomo battezzato e quello che ha il non battezzato e privo di grazia, nel quale scorgesi 1 incapacità di eseguire a pieno i divini comandamenti; 2 cedevolezza al peccato; 3 incapacità di meritare la vita eterna (1), e le contrarie doti sono nel battezzato; tutte le quali dottrine vengono affatto dissimulate dal C., come se da me non fossero state nè manco accennate, non che provate con irrefragabili autorità, scrivendo io dunque piuttosto pe' fedeli non teologi, che si cerca ingannare sotto specie di zelo per la pura dottrina, seguiterò a dir quello, che il loro vantaggio mi sembra richiedere. E questo sarà dimostrare, deducendolo dall' intima natura del peccato originale e della liberazione da esso che si fa pel battesimo, che un effetto di questo sacramento è altresì la mitigazione delle forze della mala concupiscenza e che perciò erra dannosamente colui che non vuol riconoscere differenza alcuna fra battezzati e non battezzati quanto alle forze della libertà umana in evitare le azioni peccaminose, alle quali incita la mala concupiscenza. Egli è di fede, 1 che nel battesimo si ottiene la giustificazione de' peccati; 2 che questa giustificazione non consiste nella sola remissione de' peccati; 3 che ella consegue ad un' operazione della grazia divina, che si diffonde nei cuori per lo Spirito Santo, [...OMISSIS...] . Del sentimento diffuso in noi di questa grazia così parla S. Paolo, [...OMISSIS...] . Dal qual sentimento interiore nasce l' istinto dello Spirito Santo, e la facoltà di operare il bene soprannaturale meritorio di vita eterna. L' uomo battezzato è dunque congiunto con Dio, che a sè solleva l' attività dell' anima, come il senso animale dall' altra parte a sè la deprime. L' attività dunque suprema dell' anima, mediante la grazia, viene innalzata dalle cose terrene, ella è ingrandita, rinnovata, una nuova potenza comparisce nell' uomo superiore per dignità e per potere a tutte l' altre, essa diventa la cima dell' uomo, la base della sua personalità. Per questo le divine Scritture esprimono l' operazione che fa il battesimo dicendo che, l' uomo viene rigenerato; [...OMISSIS...] ; e la distruzione del peccato che ne consegue l' esprimono dicendo, che l' uomo nel battesimo muore al peccato (4), [...OMISSIS...] dove risiede la nova personalità dell' uomo; rimanendo l' attività prima, la precedente volontà, ma scaduta di posto (1), a cui perciò compete più l' appellazione di persona, onde la precedente persona infetta dal peccato è morta, cessando così dall' essere persona subbietto capace di peccato. In questa maniera la facoltà di volere e di fare il bene oggettivo è divenuta quella che S. Agostino colla tradizione chiama il libero arbitrio liberato (2). Messa adunque nell' uomo una volontà suprema retta, anche la giustizia è in lui restituita, che nella rettitudine della personale volontà si ripone; quindi è tolta la macchia del peccato, che sta nell' inordinazione, e nel languore della volontà suprema, e che è la deformità propria della volontà; quindi rimesso il reato, perchè il reato o sia il debito della pena segue la macchia del peccato, e questa tolta, è tolto quello altresì (3). Vero è che continua l' animalità ad operare sull' anima e a tirarne a sè quanto può l' attività; ma essa non la trova più così mobile e fiacca come prima; poichè, se essa la tira al basso; dall' altra banda havvi già Iddio nell' uomo che colla sua grazia la tira all' alto, e di tutto peso, per così dire, la sostiene. Quindi l' attività dell' anima è divisa, non più al solo senso lasciata andar col suo peso; anzi la miglior parte di lei, quella in cui l' uomo personalmente esiste è nella mano di Dio che se l' ha presa; e la guarda; se pure il libero arbitrio dell' uomo, che sempre ad peccandum valet , non gliela sottrae nuovamente. Di che si fa manifesto, che quella, che Ugone di S. Vittore e S. Bonaventura e dopo lui tant' altri, chiamano concupiscendi necessitas , dee nel battezzato di gran lunga mano diminuirsi di grado, e cangiar anco di specie; in una parola dee mitigarsi lo stesso fomite della concupiscenza; benchè la coscienza nol dica all' uomo immediatamente; bastando che gliel dica la fede, e l' esperienza. E in quanto al grado non può negarsi, che la tendenza dell' anima al bene soggettivo e sensibile deva riuscir minore dopo il battesimo, se una parte dell' attività dell' anima e la migliore è attratta dalla grazia che avvalora il libero arbitrio, e lo spirito vi diffonde l' affetto della carità, e dalla soavità di questo, tutta opposta alla carnale dilettazione, si trova occupata. Quanto poi alla specie; la concupiscenza dopo il battesimo varia certo specificamente dalla concupiscenza anteriore al battesimo in questo; che dopo il battesimo, non occupa più la parte superiore dell' uomo; e però non è più concupiscenza personale , ma è solo concupiscenza naturale; non è più concupiscenza con macchia e reato; ma toltole via l' una e l' altro; non è più peccato, ma solo fomite; non perde più l' uomo, ma gli dà occasion di combattere col suo libero arbitrio liberato, di vincere e di meritare. Le quali cose tutte mi si permetta di suggellare colle autorità del Maestro delle sentenze, e dell' Aquinate suo commentatore. Pietro Lombardo così scrive al nostro proposito, [...OMISSIS...] . E tosto passa a provare, che gli effetti del battesimo sono due principali, cioè 1 la soluzione del reato della concupiscenza, e 2 la diminuzione del fomite, e che nell' uno e nell' altro modo si suol dire, che il peccato originale nel battesimo si rimette. [...OMISSIS...] . E prova che la remissione del peccato originale nel battesimo suol dirsi, che si fa anche per la diminuzione della concupiscenza colla testimonianza di S. Agostino, di cui adduce questo testimonio: [...OMISSIS...] . Sulle quali parole aggiunge il Maestro delle Sentenze, [...OMISSIS...] . L' Angelico commentatore di Pietro Lombardo ammette pienamente i due effetti del battesimo, la soluzione del reato della concupiscenza e la diminuzione del fomite della stessa, e dopo aver insegnato, che ogni peccato reca due mali effetti nell' anima, l' avversione a Dio (macchia e reato), e l' inclinazione ad un simile atto (1); mostra come la giustificazione toglie l' uno e l' altro effetto (2). La qual dottrina egli applica in questo modo alla grazia del battesimo, [...OMISSIS...] . Questo è il primo effetto della grazia battesimale; il secondo poi è la diminuzione del fomite, e così viene descritto dal Santo Dottore, [...OMISSIS...] . E` dunque ingiurioso alla grazia di Cristo, è ingiurioso ai dottori cattolici, è ingiurioso alla cattolica religione il dire, che [...OMISSIS...] , di maniera che la ragione de' primi e quella de' secondi sia egualmente forte contro le lusinghe de' sensi, e possa sempre ugualmente [...OMISSIS...] : in tal caso la sola naturale ragione e libertà basterebbe da se stessa, senza la grazia, ad evitare tutti i peccati, e però a vivere giustamente, il che la Chiesa riprova (2). Convien dunque riconoscere da chi vuol tenersi nella dottrina della Chiesa cattolica; che la liberazione che Cristo fece della schiavitù del peccato, secondo la sua promessa (3) non ha un effetto solo, come voleva Giuliano d' Eclana; ma sì, ne ha due, come colla Chiesa cattolica volle Agostino d' Ippona: il quale dopo aver recate le parole del figliuol di Dio, [...OMISSIS...] . Dalle quali dottrine si può conoscere differenza immensa, che i dottori cattolici fanno tra i battezzati e i non battezzati relativamente al potere di operare il bene e di vincere il male. Perocchè nell' uomo non rinato 1 vi è una concupiscenza che è peccato (reatus concupiscentiae), perchè tiene captivata la umana persona, quando una concupiscenza con sì mala qualità , che è il peccato, non esiste più nel battezzato; 2 vi è una concupiscenza che è più intensa nel tirare l' uomo al male (fomes concupiscentiae), perchè ella sola tira quasi tutto l' uomo, anche la persona senza che abbia in opposizione a lei sufficientemente altra forza efficace, che attiri l' uomo, eccetto il troppo debole lume della ragione naturale; quando nel battezzato se da una parte vi è l' animalità che continua ad attrarre a' suoi istinti l' anima; dall' altra vi è la grazia, che possiede la parte suprema dell' uomo e avvalora il suo libero arbitrio, e però nol lascia più abbandonato alle forze della concupiscenza. Concludasi adunque, la concupiscenza dell' uomo rinato differisce di specie e di grado dalla concupiscenza dell' uomo non rinato; e quindi in quello è doppiamente accresciuta la potenza di resistere al male e di operare il bene. Consideriamo ancora la doppia serie di effetti, che ne scaturiscono. In quanto all' operare il bene, il battezzato ha ricevuto una potenza affatto nuova, cioè la potenza che riguarda il bene soprannaturale, colla quale fa le azioni de' figliuoli di Dio, che meritano la vita eterna. Questa potenza soprannaturale è ciò che rende la sua concupiscenza di specie diversa da quella dell' uomo non battezzato, e che gli dà forza di resistere al male. In fatti il non battezzato, come insegna l' Angelico (1), non può colle sue sole forze naturali astenersi per lungo tempo dal peccato mortale ove gravi tentazioni gli si presentino (2). E qui sono da distinguersi più questioni. Primieramente dico, che nel caso in cui il fomite della concupiscenza tragga l' uomo a seguire spontaneamente colla volontà sua il bene sensibile e subiettivo, dimenticato l' oggettivo e morale; senza che la libertà possa intervenire a dominare la volontà obbediente alle leggi piscologiche della spontaneità, il che indubitatamente accade ne' bambini, ne' pazzi, negli ubbriachi, e in tutti quelli in cui la forza dell' imaginativa esaltata e della passione antecede la libertà, togliendole il tempo di considerare colla ragione e di provvedersi di forza pratica; in questo caso dico, ne' non battezzati quella volontà che riman così vinta, suol essere quella stessa volontà, che è rea e macchiata; cioè che ha in sè l' originale peccato, e però gli atti d' una tale volontà cedevoli agl' istinti, riduconsi al peccato d' origine tuttora esistente e regnante, come a sua causa immediata e radice. Queste scorse della volontà quasi trascinata dagl' istinti appartengono in tal caso non già alla forma, ma alla materia dell' originale peccato, la qual materia, come egregiamente dice S. Tommaso, tien luogo della conversione al bene sensibile e soggettivo; senza che il formale del peccato d' origine, nè la colpa perciò si accresca. Laonde nè pure la colpa o il reato, riceve aumento ma s' accresce bensì nell' uomo per sì fatte passioni la disposizione al male, la quale nè anche colla morte si distrugge, ma solo colla liberazione e salvazione di Cristo. Ma ne' battezzati non accade così fino che colla loro libera volontà non hanno di novo perduta la grazia di Dio, essi non possono mai esser necessitati ad alcun atto di peccato, per quantunque forti sieno le naturali inclinazioni. Que' movimenti poi che si suscitano verso i beni sensibili nell' uomo, che è in possesso della grazia santificante, nell' età infantile, e in istato d' alienazione mentale non procedono mai da una concupiscenza macchiata e rea e personale; ma possono procedere dal mero fomite che rimane privo della macchia e del peccato personale o sia che non tocca la persona. Laonde questi sono allora figli di un' altra madre, e non si può più dire che in essi operi il peccato in senso vero e proprio, ma solamente che sieno effetti mediati e lontani di quel peccato, che non è più, ma che partendosi lasciò in essi il tristo legato del fomite che tenta, ma non distacca l' uomo da Dio. Onde nel « Trattato della Coscienza » noi spiegavamo il parlare dell' Apostolo seguendo i Padri e gl' Interpreti, dicendo che quelli, che l' Apostolo chiama peccati, sono peccati senza dannazione e senza imputazione (mentre ne' non battezzati hanno la stessa condizione del peccato d' origine), e il dire peccato senza dannazione e senza imputazione, è manifestamente un dire non peccato nel senso proprio del Tridentino, che il definisce acconcissimamente: « morte dell' anima. »Di che consegue che se ne' non battezzati sono propagini immediate di quel peccato che vige e regna e però possono insieme con lui ricevere la denominazion di peccato, ne' battezzati all' incontro sono meri effetti del fomite, che non è peccato; e al fomite si riducono, e però dal padre loro non possono ricevere la denominazione di vero peccato; nè lasciano dopo morte alcuna mala disposizione od altro malo effetto nell' uomo; perchè distrutto colla morte il fomite con tutte le sue conseguenze, l' anima del giusto rimane del tutto pura e viva in Cristo, che è « la risurrezione e la vita », eccettuate sempre le colpe veniali, a cui anche i battezzati soggiaciono. Oltre di ciò se ne' battezzati tali movimenti cangiano di natura, perchè nascono da una concupiscenza, che è diversa di specie da quella de' non battezzati; essi sono poi anche minori di numero, e meno impetuosi, come quelli che procedono da una concupiscenza diminuita ancora di grado . Ma un' altra differenza ancora, a mio parere, s' incontra fra il battezzato e il non battezzato. Talora il mero istinto animale opera da se solo, come suole avvenir nel sonno, o quando l' uomo si trova in uno stato convulsivo, a ragion d' esempio, perchè colto da idrofobia. A queste operazioni della mera animalità possono essere soggetti anche i giusti, non appartenendo esse all' ordine morale. Ma lasciando da parte questi mali della natura e venendo all' ordine morale la volontà allettata dal bene sensibile e soggettivo può lasciarsi muovere spontaneamente e necessariamente, trovandosi l' uomo in due condizioni diverse. E parlo ora dell' uomo in generale, astrazion fatta dal battezzato e dal non battezzato. Ella può esser rapita e mossa semplicemente e istantaneamente da bene sensibile, senza che l' uomo abbia tempo a considerar la legge e a confrontare l' azione oggettivamente malvagia con essa, e questo accade ne' primi moti, nel qual caso, la volontà umana opera disordinatamente, perchè in modo contrario alla sua natura che è di essere un ragionevole e morale appetito; ma questo disordine più tosto negativo che positivo non è che venial peccato. Può l' uomo in secondo luogo (sempre in generale prescindendo ora dalla grazia) vedere il bene oggettivo e morale, ma poi, attesa la forza della tentazione, essere addotto al bene subbiettivo7immorale, sottratta la forza pratica alla sua volontà, dalla seducentissima dilettazione giunta all' estremo suo termine; di che cade non perchè sia rimasta prevenuta la sua ragione e resa inetta a mostrargli il dovere; ma perchè è rimasta prevenuta e legata la sua libertà, la quale non potè aiutarlo contro lo spontaneo volere, ed a ciò che la ragione gli mostrava, attenersi. Nell' uno e nell' altro di questi casi vi può esser colpa in causa, se questa fu libera; ma in tali atti in sè considerati e prescindendo dalla causa libera, non vi è colpa; poichè si suppone in entrambi, operar l' uomo attualmente privo di libertà, benchè siavi peccato, che in relazione alla causa libera dicesi colpa. Ora sì nell' uomo battezzato che nel non battezzato, il primo caso può aver luogo indubitatamente, non però egualmente; ma più in questo e meno in quello. Quanto poi al secondo, reputo, che possa aver luogo solo nel non battezzato; e reputo che di questo caso intenda dir S. Tommaso, quando parla de' peccati mortali, a cui il non battezzato necessariamente soggiace (1). Egli dice, che quantunque l' uomo non giustificato possa evitare i singoli peccati, tuttavia, « quod diu maneat absque peccato mortali esse non potest », e il prova coll' autorità di S. Gregorio Magno (2), dandone questa ragione, [...OMISSIS...] . Dopo di che si fa l' obbiezione, che l' uomo può anche operare contro il fine preconcepito e contro l' abito, purchè ricorra alla meditazione; ma risponde, che [...OMISSIS...] . Di che conchiude che l' uomo non giustificato non può a lungo astenersi da ogni peccato mortale, perchè [...OMISSIS...] . La cosa però non procede egualmente nel battezzato; e se ne può dare questa ragione filosofica. Fino a tanto che la ragione non può accorrere, confrontando il bene soggettivo e istintivo col bene oggettivo e morale; la volontà va dietro al bene sensibile naturalmente; non gli è proposto veramente ancora un oggetto morale; né l' uomo conosce, nè sente l' obbligazione; e perciò l' operazione non viene dalla volontà personale e morale; o quel barlume che n' ha non basta a costituire una grave inordinazione, un peccato mortale. Ma qualora la ragione gli mostri attualmente e chiaramente ciò che dee fare, egli sente l' obbligazione di operare secondo il bene oggettivo e morale, che scorge. Laonde in questo caso se l' uomo non potesse resistere, sarebbe segno manifesto che v' avrebbe un languore nella stessa persona dell' uomo, non solo nella natura . Ma la persona non ha più languore dopo il battesimo, ma solo la natura. Dunque, come dissi nel « Trattato della Coscienza », non possono mai mancare all' uomo battezzato le forze, colle quali adempire alle obbligazioni da lui conosciute, purchè si giovi degli aiuti che sono in sua mano, fra i quali quello dell' orazione, dicendo il Concilio di Trento, colle parole di S. Agostino, de' giustificati, [...OMISSIS...] , alle quali consuona il Canone XXII. [...OMISSIS...] . Che se pur si avverasse che l' uomo giustificato e faciente quel ch' egli può cedesse necessariamente a qualche lusinga, ciò non potrebbe essere, che ne' primi moti, o in uno stato di ragione turbata, e ciò non farà mai con tutta l' attività voluta dal peccato mortale, a costituire il quale non basta che intervenga l' azione personale o la libera, ma si esige che l' oggetto stesso dell' azione sia personale , e però che abbia ragione di fine ultimo. Di che il cedere non sarà mai che parziale nel detto caso, da parte dell' attivitá umana, non totale: e dato che intervenga qualche disordine nell' azione personale non sarà tale da staccar la persona dall' oggetto buono e morale a cui aderisce. Onde non vi sarà che colpa veniale di cui rimane la miniera anche ne' battezzati, per usare una frase del Cardinal Pallavicino che è il fomite della concupiscenza (1). Possono adunque i giustificati, colla divina grazia, adempire tutte le obbligazioni da essi conosciute, se fanno quello che sta in loro, nè mai sono addotti dalla tentazione senza il consenso della loro libera volontà in tale strettezza e deficienza di forze da dovere arrendersi ad essa in modo da peccare gravemente; là dove a' non giustificati non è assicurata un' egual forza; quantunque sia vero, come dicevamo, che quando essi cadano sotto il fardello delle proprie obbligazioni per assoluta impotenza, non demeritano con ciò se manchi in essi al tutto la forza di evitare il peccato (1). Ma nella loro volontà, se questa è soccombuta rimane una maggior piega ed adesione al male commesso. Nè con questo è mio pensiero di negar loro la possibilità di pregare, eccitati dalla grazia. Reputo ancora, che una orazion naturale, che niente certamente può meritare, possa non di meno essere ordinata a domandare nell' ordine della giustizia naturale aiuti morali da Dio naturalmente conosciuto, ed impetrarli ancorchè non dovuti. S' aggiungono le grazie attuali, che dispongono l' uomo non giustificato, alla giustificazione; le quali Iddio certamente dona a chi vuole, secondo l' altissimo suo beneplacito, secondo quello che insegna il sacrosanto Concilio di Trento. E qui sembrami poter giovare a chiarire le idee (giacchè per questo appunto mi allungo in tali ragionamenti), l' esporre l' origine logica del Giansenismo; cioè il dimostrare, per quali passi sbagliati, l' intendimento degli autori di questa eresia traboccasse in essa miseramente. Lo sbaglio primo si fu l' aver confuso la volontà colla libertà; e il non avere avvertito che queste due facoltà operano con leggi diverse; e formano due sfere di operare; delle quali quella della libertà è superiore a quella della semplice volontà. Il moderno teologo precipita nello stesso sbaglio, quando vuol confuso il mero volontario col libero; e quando incontrandosi in alcuni luoghi in cui noi parliamo della volontà e delle leggi che ad essa presiedono; egli ci accusa (1) di negare la libertà , che pure in tanti luoghi dichiariamo essere una forza superiore alla volontà che perturba e modifica le leggi a cui la volontà da sè sola ubbidirebbe. Ora quali sono le leggi della volontà , quando quella facoltà (diversa dalla libertà) che dicesi, un appetito razionale , rimane abbandonata a se stessa? La legge si è che ella inclina a tutti quanti i beni dall' uom conosciuti, e si lascia muovere dalla loro azione; e acconsente di preferenza al maggiore, se non può aderire a tutti. E questo è infatti lo stato dell' uomo, prima ch' egli possa esercitare la sua libertà, lo stato del bambino, non pervenuto ancora all' esercizio della sua libertà bilaterale. In un tale stato la volontà è dolcemente attratta da ogni bene, perchè è la potenza del bene, ella è mossa da ogni stimolo per piccolo che si voglia perchè è mobilissima e soprammodo delicata; e per quella legge che dicesi anche spontaneità , se due agenti allettevoli contemporanei l' attirano, tende verso ad entrambi, ma a quello, che esercita su di lei una maggior forza, si volge più ardente, o con preferenza. Ora se il bambino non è battezzato, egli è attratto debolmente dal lume di sua ragione, che per se solo non esercita un' azione su di lui realmente sensibile (cioè al modo che è sensibile l' azione delle cose reali di cui ha percezione); ed è attratto fortemente dalla dilettazione del senso animale. Laonde quantunque l' intelletto umano aderisca per sua natura all' essere ideale , e quindi la volontà sia volta naturalmente anche al bene oggettivo universale, onde s' origina nell' uomo la facoltà di operare il bene morale, la quale non può in lui cessare giammai, e con essa si origina pure il libero arbitrio; tuttavia l' animalità e il bene soggettivo predomina nell' uomo in tale stato, essendo questo bene il solo agente reale che sull' anima influisca e che può a sè prevalentemente attirarla. Se dunque avvenga in progresso, che fra il bene morale e il bene subbiettivo nasca forte collisione, e la libertà non trovi in quello forze bastevoli contro questo, l' uomo seguita a veder quel primo, e ad approvarlo; ma s' appiglia coll' opera a questo secondo, [...OMISSIS...] . Nell' uomo battezzato incorporato realmente a Cristo la condizione delle cose è ben altra. Se da una parte v' ha l' azione reale del bene animale, che a sè l' attira, dall' altra v' ha un altro bene reale assai maggiore che pur l' attira o per meglio dire lo tiene; e questo è Dio, che si comunica all' anima, comunicandole la grazia e diffondendovi la dilettazione della carità e così avvalorando poi il libero arbitrio che può sempre vincere. Laonde nell' uomo in tale stato costituito accade che quantunque l' animalità da parte sua seguiti ad allettare a sè l' anima volitiva ed attiva dell' uomo anche dopo il Battesimo siccome prima, onde il fomite; tuttavia quest' anima stessa nella sua parte più eccellente è contemporaneamente tenuta e posseduta da Dio; e così il bene infinito risiede nell' anima non solo idealmente ma anche realmente. L' azione del qual bene, che è Dio, di sua natura (se il libero arbitrio non si oppone) prevale a quella della carne: prevale dico per due guise, l' una perchè Iddio occupando la parte superiore dell' uomo, la punta dell' anima, che è nata a comandare all' altre potenze, sana e santifica il principio personale dell' uomo che in quella punta risiede; ed altresì perchè l' operazione divina è più forte di sua natura di quella della carne, ed ella è sì forte che niente può separare Iddio dall' anima volitiva se non sopravviene la libertà dell' uomo stesso, la quale peccando, per sè medesima si stolga e separi da lui, che per usare le parole di S. Agostino consacrate dal sacrosanto Concilio, [...OMISSIS...] . Egli è dunque chiaro, che qualora si parli della sola volontà dell' uomo, considerandola in separato dalla sua libertà , che è la potenza nata a dirigerla, ma che sempre non si trova in esercizio, come accade ne' bambini, od è legata, o prevenuta dagl' impeti focosi dell' immaginazione e dagl' istinti de' nervi eccitati, come ne' pazzi, o in quelli che sono da veemente accesso di passioni sorpresi; in tal caso la volontà dell' uomo ubbidisce spontaneamente alle dilettazioni che la dileticano, e più a quella che la diletica maggiormente; e se un bene l' occupa nella più alta sua parte, le operazioni che da questa parte incominciano sono personali, e buone o cattive, secondo che quel bene che informa la persona dell' uomo è onesto o disonesto, e la dilettazione che da esso viene onde procedono le azioni, secondo la legge della spontaneità, è buona o cattiva ella stessa. Quindi l' aiuto che riceve il bambino col sacramento del salutare lavacro appartiene a quel genere, che S. Agostino chiama « adjutorium quo »; il qual aiuto è da S. Agostino negato ad Adamo, accordatogli il solo « adjutorium sine quo ». E così dovea essere. Poichè la volontà del bambino essendo rea e non avendo in sè il potere di giustificarsi da se stessa e di rettificarsi; nè potendo come rea che era usar bene nè del proprio arbitrio, come dicono i Capitoli di S. Celestino, nè degli aiuti superni, se non fossero tali che prima la giustificassero o alla giustificazione la disponessero; perciò conveniva, che Dio stesso operasse quasi una creazione novella e colla sua onnipotente grazia sanando e avvalorando l' anima, cangiandola cioè di mala in buona, onde di questa grazia acconciamente dice S. Agostino [...OMISSIS...] . All' incontro la volontà d' Adamo era già naturalmente retta, e però non facea mestieri di essere liberata dal male, bastando che fosse aiutata a fare il bene con quella grazia, «SINE QUA », non si può operare il bene perfetto, appartenente all' ordine soprannaturale (2). E quantunque all' « auxilium quo » di S. Agostino si riferiscano anche le grazie attuali, e sono tali per la loro interna efficacia, e per la certezza con cui realizzano l' eterna predestinazione (1): tuttavia egli prima di tutto lo fa consistere nella grazia [...OMISSIS...] ; al che è consentanea la definizione del sacro Concilio di Trento, il quale insegna che della giustificazione dell' uomo [...OMISSIS...] . Ora egli è certo, che con questa potentissima grazia del Salvatore, l' uomo non può da niuna cosa esser vinto, se liberamente non consente al male; e perciò il bambino battezzato o altri santificati nelle acque del battesimo, in cui il libero arbitrio sia impedito o legato, è in istato di certa salute; perchè prevale in lui la grazia e la carità di Cristo alla tentazione della carne e del demonio, in tanto che questa non può più distaccar l' uomo da Dio. Nè si dee credere, che non operando nel bambino la libertà , sia perciò straniera la volontà all' opera della salvazione; perocchè anzi la volontà è quella che viene santificata e informata dalla carità di Cristo, e quella che poi opera coll' aiuto di questa grazia e dell' attuale (2). Restringendoci adunque entro all' ordine della volontà, e prescindendo dall' ordine della libertà per un' astrazione, ovvero perchè si suppone la libertà inattiva come nel bambino, ha luogo il sistema delle due dilettazioni relativamente prevalenti. Nell' uomo non giustificato prevale la dilettazione della carne e lo perde; nell' uomo giustificato prevale di dilettazione della grazia di Cristo e lo salva. La volontà è tirata ed aderisce a chi l' attrae maggiormente e più altamente: tale è la legge della volontà; non quella della libertà che domina sopra la volontà. E alla volontà sgraziatamente si fermarono i giansenisti. Essi racchiusero tutti i loro pensieri entro la sfera della volontà che si definisce: « un appetito razionale; »entro la quale sfera, prescindendo da quella forza superiore che si definisce coll' Apostolo « « potere sulla volontà »(1) » e dicesi libertà; trova luogo il sistema delle due dilettazioni contrarie, che, secondo il grado di forza prevalente, esercitano successivamente, o alternativamente il dominio sull' umano appetito. Ma ella era una veduta ristretta ed esclusiva la loro. Essi errarono dunque per non avere osservato che al di sopra della sfera della volontà sta nell' uomo un' altra sfera, quella della libertà , nata ad essere signora della volontà, che è una facoltà inferiore relativamente a quella; e questo errore nacque nelle menti perchè non erano in allora ben distinte queste due attività dell' anima razionale, cioè quella di volere , e quella di eleggere fra le volizioni , la volontà e la libertà. Per la quale confusione medesima i pelagiani dall' altra parte coi nostri teologi disconoscendo le leggi della volontà , e attribuendo ogni potere alla libertà , fecero onta alla grazia ed alla salvazione di Cristo, insegnando, che anche ne' non giustificati [...OMISSIS...] . Il che è un manifesto abuso di alcune parole di S. Tommaso, le quali si riferiscono alla potenza rimota , e non alla potenza prossima , secondo la distinzione giustissima del Gaetano (2), nessuno negando che di natura sua la libertà possa accorrere, per se sola considerata; ma negandosi che possa sempre accorrere nelle circostanze dell' uomo caduto e non giustificato, [...OMISSIS...] come dichiara S. Tommaso medesimo, qual si richiede ad evitare il peccato (3). Onde vi ha la potenza, ma non la potenza propria e in assetto a produr fuori l' atto: vi ha la potenza , ma non la possibilità di operare . Di che i Padri del Concilio Diospolitano obbligarono i pelagiani a confessare, fra gli altri capi questo: [...OMISSIS...] . Là dove il nostro teologo viene a sostenere in quella vece che la vittoria contro alle illecite concupiscenze può sempre venire ex propria voluntate , che di conseguente alle forze naturali dell' uomo (battezzato o no è il medesimo) se ne deve dare la gloria! Iddio ci preservi da dottrine che cotanto alimentano l' umana superbia, e così rendono irrimediabile l' umana impotenza. Il vangelo in fatti è tutto nell' umiltà: dove non si semina questa, non si sparge il seme di Cristo. Il vangelo è nella virtù di Dio: ma la virtù di Dio non soccorre all' infermità dell' uomo, se l' uomo ricusa di sentire la sua infermità, non vuol riconoscerla nè confessarla. Il dire, che l' uomo può esser giusto da sè secondo la natura senza bisogno della grazia di Dio (1) non è un confessare la propria infermità; ma stabilire una giustizia dell' uomo contro la giustizia di Dio. [...OMISSIS...] Il Razionalismo introdotto nella Teologia trae seco l' umanismo nell' ecclesiastico ministero . Intendo per Umanismo quello spirito, che, senza dimettere le apparenze della pietà, propende sempre a giudicare in favore dell' esaltamento dell' uomo: sempre intende ad attenuarne la malizia e coprirne le piaghe, a dissimularne o negarne l' impotenza, a secondarne le naturali inclinazioni, ad adularne e giustificarne sottilissimamente le passioni ne' trovati dell' umano ingegno, e ne' mezzi dell' umana potenza, anche trattandosi d' imprese spirituali, a perdere di veduta la povertà e la virtù della croce, a dispregiare la semplicità evangelica, a modificare in mille guise le parole di GESU` Cristo, a interpretarle a voler della carne, quasi per giuoco d' ingegno, ad obliare le promesse del Principe dei Pastori, a non vivere oggimai più di fede ma d' artifizi e di maneggi, non più traendo seco forza dalla sola speranza riposta negli aiuti superni, fuori della quale speranza il più industrioso e costante ecclesiastico in vece della pace di Cristo reca da per tutto dove va la discordia, e in vece di stabilire tra popoli il regno di Dio, vi pone senza saper come impedimento; o fors' anco dopo un frutto momentaneo lascia il campo del Signore ingombro di triboli e di spine da lui stesso seminate. Coloro i quali conoscono la storia delle missioni straniere e n' hanno meditato le vicende potranno dire, quale altro spirito, se non uno spirito tutto particolare ed umano, sia stato quello che fece una sì sottile e sì costante opposizione allo stabilimento dell' Episcopato e della gerarchia in molte missioni straniere, onde avvenne, che appena nate perirono tante cristianità nell' Oriente, e specialmente nel Ton7King, nella Cocincina e nel Giappone? GESU` Cristo mandò degli Apostoli Vescovi ad annunziare il Vangelo. Così fece sempre la Chiesa. A' Vescovi prestarono aiuto grandissimo de' sacerdoti e de' laici. Ma successe un tempo, in cui alcuni religiosi, credendosi aver trovato de' mezzi migliori di propagare e di fondare il regno di Dio, esclusero l' episcopato quant' era da loro e la gerarchia, o le fecero quella guerra lunga or diretta ora indiretta che poteron maggiore (1). Qui basti di rammentare i viaggi, gli stenti, le afflizioni, gli anni ch' ebbe a patire e a spendere il P. Rhodes della Compagnia di Gesù per riuscire, avendo pure i Pontefici alla sua impresa favorevoli, ad ottenere, quanto l' esperienza gli aveva dimostrato sì necessario alla stabilità del Cristianesimo, che de' Vescovadi ed un clero indigeno fossero in quelle infelici e pereunti missioni stabiliti. Lo spirito di Razionalismo nella mente, d' Umanismo nel cuore e nella condotta, è quel sottil veleno, pura essenza, etere invisibile dell' amor proprio, che penetra ben anco in uomini molto innanzi nella virtù; i quali da esso insensibilmente condotti s' allontanano dalla verità e s' affezionano e parteggiano e quasi a sè ed altrui mentiscono lusingati di poter così far del bene e giovare alla pietà. E che altro mai se non questo umano e fallibile ragionare fu quello che in occasione de' riti Cinesi gettò fra i missionari quella sempre mai lacrimevol discordia, che tanto danno recò alle missioni della China, e cagionò la perdita di tante anime, impedì l' acquisto alla Chiesa di tante popolazioni? Che altro se non la propensione a giudicare con troppo favore della naturale sapienza ed a scusare poscia, se non anco lodare quelle debolezze che ad essa natural sapienza conseguitano fu la cagion vera di quegli errori che difesi ostinatamente (1) dovettero pur condannarsi con tante bolle de' Sommi Pontefici, e ultimamente con quella del dottissimo Benedetto XIV degli 11 Luglio 1742? Lasciamo parlare un recente scrittore lodevolissimo per lo spirito d' imparzialità, colla quale narra i principii di sì famosa questione. [...OMISSIS...] Quali funeste conseguenze traessero i nemici della religione cristiana contr' essa dalle accennate esagerazioni a favore della sapienza naturale de' Cinesi, e della giustificazione de' superstiziosi loro riti, con somma equità e moderazione si narra nelle belle lettere del Sig. Luquet che abbiamo citato. A noi rincresce troppo di trattenerci più a lungo in un argomento sì tristo, come quel de' riti cinesi; e ci basta avere solo accennato di nuovo quale sia la prole amara e funesta di quello spirito umano e razionalistico, che par talora servire alla pietà, ma in ver la distrugge. E qui egli è già tempo di chiudere il nostro ragionamento. Prima però debbo dichiarare, che tutto ció ch' io dissi in quest' opera, nol dissi coll' animo di definire, che a me non s' aspetta, ma sol per teologico raziocinio, che a ognuno è permesso. Del resto alla Chiesa, di cui mi glorio essere figliuolo e discepolo ogni mio sentimento sommetto. La Chiesa giudichi se i miei timori sono fondati: ella giudichi il mio giudizio. A me parve, e pare, per ritornare a ciò che dissi al principio, che il maggior pericolo, che or le sovrasti, sia in quel pratico Razionalismo che s' insinua per tutto, sotto apparenze di pietà, e che insensibilmente, come ruggine, la stessa sana dottrina rode e consuma. E questo pericolo è grave principalmente per due ragioni; la prima, che i ragionamenti de' razionalisti sono intesi e favoriti facilmente dal comune degli uomini, quando le verità della fede che quelli corrodono sono all' opposto profonde, arcane, talora all' umane menti ripugnanti: l' altra, che il Razionalismo teologico è sempre in sul far credere, che niun' altra via di mezzo si trovi, ma convenga seguitar lui, o cadere nell' odiosissima e rigidissima eresia del Giansenismo. E queste due cagioni, la somma difficoltà d' intendere in modo non ripugnante alla ragione il dogma profondissimo della grazia conciliandolo col libero arbitrio e colla bontà di Dio che vuol tutti salvi; e il gran timore di cadere nell' eresia de' predestinaziani (1) e de' gianseniani, eresia desolante e inducente a disperazione; ebbero tanta possa di spingere talor anche uomini santissimi sulla via apparentemente piana e fiorita che loro addittava il pratico Razionalismo (2). Indi è che vinto appena il Pelagianismo antico, surse nella Chiesa il Semi7Pelagianismo (3) a cui diedero il loro nome anche uomini, che onoriam sugli altari, o quando la chiesa non avea ancor dannata quell' eresia sottilissima o dopo dannatala, ma ritrattandosi essi innanzi morire. E tanti ebbe seguaci quell' errore seducentissimo, che S. Prospero lamentavasi [...OMISSIS...] . Benchè poi i sommi Pontefici con la Chiesa tutta decapitassero appena risorta in nuove fogge l' antica empietà, con tutto ciò qual idra andò rimettendo di tempo in tempo novelle teste. E allo stesso errore vestito di forme novelle, che non pareva il precedente già escluso, e di nuovi lenocinii provveduto, s' accostavano alcuni e dotti e pii, che altra via non vedevano di salvare a tutti gli uomini que' due beni oltremodo preziosissimi e necessarii la libertà e la speranza della salute. Laonde non è a stupirsi, se dopo le ultime eresie del secol XVI, avutane da esse occasione, lo spirito razionalistico e pelagiano ricominciasse l' antico lavoro più industrioso e più costante di quello che avea fatto o tentato ne' secoli precedenti, scaltrito dalle sconfitte avute, di migliori armi fornito d' erudizione, di dottrina, di astuzia, e di potenza ed influenza sociale, le quali a lui fabbricava la condizione de' tempi, il risorgimento delle lettere, l' incivilimento, la filosofia, la politica. Benchè queste due ultime, chi sottilmente e spassionatamente pensi la storia d' Europa de' tre ultimi secoli, s' accorgerà, che sono più tosto che sue madri, o nutrici, sue legittime figliuole, ed allieve. Poichè in questi ultimi secoli, il Razionalismo pratico introdotto prima nella teologia fu applicato all' educazione della gioventù, e recò pur troppo i suoi frutti amari alla civil società, in cui i fanciulli educati rifondonsi. Invano sperossi di neutralizzarne per così dire, il potente veleno coll' associarlo negli animi giovanili alla divozione. Fino che l' uomo è fanciullo stanno ben uniti in lui Razionalismo e divozione; perocchè ne' fanciulli anche il Razionalismo è fanciullo. Ma questo diviene adulto insieme coll' uomo, e con esso crescono la dottrina, sua prole immanchevole, l' orgoglio e l' immoralità; le quali spegnono la divozione; e spenta questa introducono l' incredulità, che perturba poi, a suo tempo, l' ordine pubblico massime fra genti cristiane. Vero è ch' ella non chiamasi da prima incredulità ma filosofia. Ma che è questo? Il falso nome sol giova ad illudere: e le masse ancora credenti onorano ingannate i filosofi, che loro promettono mari e monti di felicità, e si nutrono in seno gli increduli. Conviene persuadersi: l' educazione fu per lungo tempo in Europa e in Francia massimamente un misto di Razionalismo teologico e di devozione. Ma i principii della mente prevalgono alle abitudini della vita; e cresciuti quelli alla lunga ne cacciano queste, se sono loro contrarie, e se ne formano di omogenee. Così avvenne. I devoti giovani si cangiarono ben presto in filosofi; i filosofi in increduli; gl' increduli in rivoluzionari; i rivoluzionari in sanculotti, terroristi, cannibali: non si puó rompere la serie delle cause, perchè è in natura. Dai collegi adunque uscì la rivoluzione. Chi ben ha penetrazione, m' intenderà. Dove fu mai educata quella gioventù francese, che diede al mondo il più sanguinoso spettacolo che fosse mai? Dove i padri di essa? e dove gli avi? Ne' collegi a maximo usque ad minimum . Ma non instillavasi ne' collegi d' allora la pietà, la divozione? Qual dubbio? E nella divozione non si può certo trovar la causa del male atroce. Altrove dunque si vuol cercare il vizio d' un' educazione che si fece tanto conoscere da' suoi effetti. - Si mediti e si scoprirà il vizioso elemento, il seme funesto depositato negli animi de' giovani essere stato lo spirito razionalistico . Con tal compagno violento la divozione di collegio non potè a lungo reggere; egli spense crudelmente la sua compagna d' educazione: ed ingrato spense altresì in odio di lei i collegi stessi di cui molti buoni piansero la rovina; veggendo perire così i focolari della giovanil divozione. Ma veggendo la divozione uscire da' collegi, perchè le pratiche divote si veggon cogli occhi, non vedevano poi essi chi usciva con lei, perchè quel suo compagno feroce del Razionalismo non vedesi che colla mente, essendo un principio, un pensiero che nella mente risiede. Le quali riflessioni potrebbero per avventura riuscire salutari oltremodo ai nostri moderni teologi, se da esse apprendessero, che carezzando il Razionalismo teologico, com' essi fanno, s' accarezzano il più fiero nemico che aver possano essi stessi, non che la Chiesa, sì la fazione de' teologi razionalisti scava la fossa a se medesima, scavandola alla cattolica teologia. Perocchè, questa non può cadere, e però tutto il danno è suo proprio. Dunque parlo io così a suo favore; quanto ho scritto in quest' opuscolo a suo vero vantaggio ridonda. La fazione de' nostri teologi non pecca solo contro la sana dottrina col deplorabile impegno in cui ella è entrata, pecca ancora contro la savia politica. Deh non ne attenda gli effetti! Quanti mali avrebbe evitati, quanti guai risparmiati alla Chiesa, se avesse uditi docilmente i consigli de' due venerabili Cardinali Baronio e Bona, che scorgeano pure colle loro menti, da lontano i danni del Pelagianismo irruente! Non mancavano certo i veggenti in Israello, e se si vuole alle previsioni di que' due santissimi porporati aggiungere la previsione di un terzo splendore del sacro Collegio, nominerò il Contarini. Non avea questi ammonito certi teologi del suo tempo che indiscretamente pugnavano contro le nuove eresie, di procedere cautamente per non isdrucciolar forse nell' errore contrario? Non avea egli anche scritto: [...OMISSIS...] . Non era loro stato dato in tempo un avviso sì autorevole e savio, cioè prima ancora della metà del secolo XVI? Perchè dunque non approfittarsene? Quanto poi agli uomini di buona fede che non penetrano il fondo di questa lotta; io loro dirò così: Abborrite il Giansenismo, ma guardatevi altresì dal Pelagianismo, non credete mai questo necessario a fuggir quello. Abborrite pure da tutte quelle opinioni teologiche, che scoraggiano gli uomini a fare il bene, e ingiuriano la divina bontà; ma non appigliatevi perciò a quelle che fanno presumere gli uomini delle forze della loro natura, e li rendono negligenti a procacciarsi quelle della grazia, che attenuano la causa e il frutto della Redenzione di Cristo e scemano la virtù a' sacramenti, ed il bisogno che n' ha l' uomo figlio del peccatore. Sia pur questo il criterio che guidi la vostra scelta delle opinioni, quelle sien preferite che servon meglio a condurre le anime alla salute. La carità vi conduce pure alla verità. La morale che ne uscirà da tale scelta sarà dolce, come è dolce il giogo del Signore, ma non lassa. Chè una lassa morale non salva; sì, perde le anime. E che mai giovano alla salute dell' anima certi nuovi dogmi, non della divina Rivelazione, ma dell' umana corruzione? Che giova insegnare che l' uomo reca al mondo la natura incorrotta, e senza bisogno alcun di Battesimo, morendo bambino, l' attende al di là una beatitudine naturale, abitatore di un terzo luogo fra il cielo e l' inferno, come dicevano i pelagiani, se non a render gli uomini ingrati verso di Cristo e negligenti in procurarsi i sacramenti della Chiesa? Che giova insegnare che può l' uomo senza la grazia reprimere le sue passioni, resistere a tutte le tentazioni benchè con difficoltà, sicchè la grazia sia solo utile a ciò ma non necessaria, che giova dico se non a render la grazia meno preziosa e gli uomini men curanti di procacciarsela? Che falsa benignità non è ella questa, o piuttosto benignità crudelissima verso l' umana natura? Che giova il dire, che l' uomo, benchè senza la grazia, non è mai necessitato a peccare, e che peccando in tal caso con necessità niun mal gliene viene, niun peccato commette, se non ad aprire un fonte ampissimo d' immorali azioni, soffocata la voce della coscienza, e l' uomo reso piuttosto amante di rimanere nell' ignoranza e nella schiavitù degli abiti peccaminosi, che non di liberarsene? Che giova dichiarare la concupiscenza effetto naturale e non punto vizioso se non a levare dall' anima l' errore de' suoi disordini? « e ad exscusandas exscusationes in peccatis »? Esaltate adunque la bontà di Dio che vuol tutti salvi, e ne dà i mezzi a tutti quelli che li desiderano, e anche a molti di quelli che non li desiderano, facendo che li desiderino; ma nello stesso tempo non dimenticate, che quella bontà è santità essenziale: e che Dio è buono perchè vuol santi gli uomini, prima ancor che felici, e a ciò li aiuta, non perchè loro permetta di andare per una via larga e lubrica in Paradiso. Deh piaccia a Dio, che anche i nostri avversarii vogliano finalmente intendere con noi uniti queste santissime verità, e cessino dall' imbizzarrire sì sconciamente « sufflantes in pulverem », per usare delle parole di S. Agostino, « et excitantes terram in oculos suos! (1) ».

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