Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

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IL BENEFATTORE

662569
Capuana, Luigi 1 occorrenze
  • 1901
  • CARLO LIPRANDI EDITORE
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Di cima al Muraglione, i galantuomini del Casino andavano ad osservare, due, tre volte al giorno, i lavori delle squadre di uomini che laggiù abbattevano siepi di fichi d'India, ammonticchiavano sassi per costruire il gran muro di cinta lungo lo stradone, appianavano rialzi di terreno, sgombravano la linea, tracciata dall'ingegnere, che dal posto dove dovea sorgere il cancello saliva a zigzag fino alla casetta rurale dei Laureano già abbattuta dalle fondamenta per far luogo al Cottèg , come avevano sentito dire che sarebbe chiamata la villa. E di lassù si distingueva benissimo l' inglese che andava qua e là, dando ordini, sotto l'ombrello cenericcio sempre aperto contro il sole, e sollecitava e dirigeva, instancabile. Poi, verso sera, gli vedevano riprendere la via del paese, cavalcando alla testa dei suoi uomini, al pari di un generale, com'era partito la mattina, all'alba, dopo averli rassegnati (erano quasi un centinaio) e averli disposti in squadre, secondo i diversi lavori a cui venivano addetti. Gli uomini partivano cantando in coro, con gli strumenti del lavoro in ispalla, marciando alla soldatesca. E come i soldati pel loro capitano, si sarebbero fatti ammazzare per quel padrone che li pagava bene, puntualmente; che li ristorava con buone minestre, con ottimo vino; che li faceva riposare un paio d'ore, quando il sole saettava dal meriggio; non rifiutando mai una persona che gli si fosse presentata per chiedere lavoro; pagando il medico e le medicine, se qualcuno di loro si ammalava. Nei primi mesi, i galantuomini sorridevano di compassione, crollavano la testa, pensando che la cosa era troppo bella da poter durare. Convenivano però che l' inglese si rivelava più furbo di quel che non sembrasse. Facendo a quel modo, otteneva che i contadini e gli operai lavorassero il doppio quasi senza accorgersi di lavorare. Infatti in meno di due mesi, le grillaie di Tirantello e del Cucchiaio erano quasi irriconoscibili; il muro di cinta, terminato; lo stradone serpeggiava fino a piè della collina; e si vedevano già i fossati delle fondamenta che tracciavano lo scheletro del Cottage . - E poi? - domandava il canonico Medulla. - Dice che vuol piantare un vigneto da una parte - rispondeva il sindaco - e un giardino di agrumi dall'altra. - E l'acqua? D'onde la caverà l'acqua per inaffiare il giardino? - Ha già fatto cominciare gli scavi. Intanto ha quella del mulino dal Cucchiaio . - Due gocce! È pazzo da catena costui. Un giorno, abbandonerà baracca e burattini e scapperà coi debiti che ha fatto nelle Banche di Catania; lasciatevelo dire da me! - Ma sono quattrini suoi quelli che prende dalle banche, quattrini depositati, messi a frutto. - Fandonie! - Costui ci darà una bella lezione, signor canonico! - La lezione la riceverà lui, e di che sorta! Andare ad affacciarsi dal Muraglione per osservare i lavori dell' inglese , laggiù, era diventato l'occupazione giornaliera dei galantuomini che ordinariamente ozieggiavano in Casino, dicendo male di questo e di quello, ammazzando il tempo con interminabili partite a tarocchi o al bigliardo, o sbadigliando seduti in circolo, su la terrazza che dominava il Largo della Matrice e quasi segregava il Casino dal contatto della gente radunata davanti a la chiesa, le domeniche; contadini la più parte. Le gite al Muraglione formavano un diversivo, davano pretesto a discussioni, a malignità anche; perchè quando noi vediamo fatto da altri quel che, con nostro profitto, avremmo potuto fare e non abbiamo voluto o saputo fare, l'attività altrui ci insinua nell'animo un rancore chiuso; ci sentiamo quasi frodati di quel che ci sarebbe stato facile possedere e che scorgiamo intanto in mano di uno che ci apparisce ora un intruso e fino a ieri compiangevamo o disprezzavamo come illuso o pazzo da legare. Chi di quei galantuomini si sarebbe mai immaginato che Tirantello , Cucchiaio , Pennino e Santa Barbara , avessero potuto divenire un gran podere modello, trasformati dall'attività di un sol uomo; e coprirsi di vigneti, di giardini di agrumi, con polle di acqua fatte scaturire quasi miracolosamente dalle viscere della terra; con un vasto casamento, con stalle, comode abitazioni pei contadini; con una vita rigogliosa, fiorentissima, regolata come un orologio dall'intelligenza direttrice che aveva saputo operare tale trasformazione, da rendere impossibile a qualunque immaginazione il ricostruirsi la visione di quell'aggregato di grillaie dove poco addietro le capre, i buoi trovavano a stento un po' di erba da brucare? E c'era voluto meno di tre anni, perchè i viaggiatori che passavano con la vettura postale per lo stradone, mentre davanti la rimessa avveniva il ricambio dei cavalli, si accostassero al cancello meravigliati di scorgere una scena così ridente colà, dove prima non si vedeva altro che miseria e desolazione!

Il Marchese di Roccaverdina

662609
Capuana, Luigi 1 occorrenze

E pochi giorni dopo, la casa era piena di operai che buttavano giù pareti intermedie, smattonavano pavimenti, abbattevano volte reali; di ragazzi che ammonticchiavano i calcinacci ai lati del portoncino, donde li portavano via i carrettieri, di mano in mano, per non ingombrare il viale che conduceva alla spianata del Castello. Impolverato peggio dei manovali, il marchese andava da un punto all'altro dando ordini, gridando come un ossesso se si vedeva mal capito, togliendo di mano il piccone a un operaio se questi esitava nel dare i colpi per paura di vedersi crollare addosso un pezzo di muro: «Così, animale! Debbo insegnarti io il tuo mestiere?». E la domenica appresso, non avendo chi sgridare né di che occuparsi, sentì con piacere che due forestieri , pecorai a giudicarli dall'apparenza, chiedevano di consegnargli una lettera e di parlare con lui. Li squadrò mentre apriva la busta. Vestiti da festa, con camicia di grossa tela candidissima sotto il bianco corpetto di frustagno casalingo, ornato di fitti bottoncini di madreperla; giacchetta di albagio nero con maniche attillate; calzoni della stessa stoffa, a ginocchio, dall'orlo dei quali scappavano i lembi delle mutande; calze di lana grigia, e calzari a punta, di pelle suina, legati con corregge di cuoio incrociate attorno al collo del piede, quei due, un vecchio e un giovane, parevano intimiditi dalla circostanza di trovarsi al cospetto del marchese di Roccaverdina. «Di che si tratta? La lettera non spiega nulla», egli disse. «Vostra eccellenza scuserà l'ardire», balbettò il vecchio. «Questi è mio figlio.» «Me ne rallegro con voi; bel pezzo di giovane!» «Grazie, voscenza ! Abbiamo detto! "È giusto richiedere prima il permesso al padrone". I grandi meritano rispetto. Noi non vogliamo offendere nessuno ... Se voscenza acconsente ... » «Spiegatevi.» Si vedeva che non era facile spiegarsi perché padre e figlio si guardarono negli occhi, invitandosi l'un l'altro a parlare. «Siamo di Modica, eccellenza», riprese, esitante, il vecchio. «Ma, pel pascolo delle pecore, veniamo spesso da queste parti ... Così si sono conosciuti, per caso. Egli mi ha detto: "Padre, che ne pensate? Io la sposerei, però ... ".» «Chi?», domandò il marchese che cominciava a comprendere. «La vedova ... di voscenza , cioè, la Solmo ... » «E venite da me? Che può importarmi a me di cotesta signora? ... Vi compatisco, perché non siete del paese.» « Voscenza deve perdonarci», s'intromise il giovane. «Ci hanno consigliato ... », balbettò l'altro. «Vi hanno consigliato male. Non ho niente che spartire con costei ... Sono suo parente, forse? Perché è stata ... al mio servizio? Ha preso marito ... È vedova, libera ... Che c'entro io?» Il marchese alzava la voce, corrugando le sopracciglia, facendo gesti di negazione con le mani. «Che c'entro io?», agitato da improvviso sentimento di rancore, quasi di gelosia, contro colui che infine (egli lo riconosceva nello stesso tempo) veniva a rendergli un bel servizio portando via, lontano, quella donna che forse tratteneva la signorina Mugnos dal prendere una risoluzione affermativa. «Chi vi ha consigliato? ... Essa?» «Eccellenza, no. Un nostro amico che rispetta tanto voscenza ... » «Ditegli che lo ringrazio, e che poteva far a meno di suggerirvi una sciocchezza ... E sposatevi, sposatevi pure! È libera, vi ripeto. Io non c'entro, né voglio entrarci ... Subito vi sposereste?» «Bisogna cavar fuori le carte e fare i bandi in chiesa.» «E la condurreste a Modica?» «Se voscenza permette.» «Io non c'entro; non volete intenderlo?», urlò il marchese. Era rimasto turbato. Per poco non gli sembrava che Agrippina Solmo gli facesse ora un altro tradimento; giacché doveva essere di accordo con lui, se pure quel tentativo non nascondeva un'insidia, un mezzo di rammentare a lui, marchese, che ella era viva e che si teneva ancora come legata! ... Sposasse! Purché gli si levasse di torno! ... Non voleva darle neppure la soddisfazione di rinfacciarle la sua infamia! Aveva dunque fretta di riprendere marito? E una sconcia parola gli uscì di bocca, quasi la Solmo fosse là, a riceverla, in pieno viso! Per sfogo, ne parlò con mamma Grazia. «Meglio così, figlio mio!» «Se venisse, bada! ... non voglio vederla!» «La ha incontrata parecchie volte a messa. Ultimamente mi ha domandato: "È vero che il marchese prende moglie?".» «Chi gliel'ha detto?» «Non so. Risposi: "Se fosse vero, lo saprei prima degli altri". Ah, se le anime sante del Purgatorio facessero questo miracolo!» «E ... insistette?» «Disse: "Dio lo renda felice!". Nient'altro. E ogni volta ha soggiunto: "Baciategli le mani, se credete!". Ma io te l'ho sempre taciuto, per non farti dispiacere, figlio mio!» Eppure no, non doveva lasciare andar via quella donna senza prima rinfacciarle il suo nero tradimento! Doveva, invece, strappargliene la confessione, perché ella non potesse vantarsi, in cor suo, di essere riuscita a farsi gioco del marchese di Roccaverdina. Voleva che piangesse, che avesse rimorso dell'atto infame da lei commesso, e non ignorasse per quale motivo egli si era rifiutato di più vederla e le aveva chiuso in faccia la porta di casa! Poi rifletteva: «Ho torto. Vada via! Lontano! Vada!». Aveva paura di tradirsi, di farla sospettare per lo meno. E s'indignava contro se stesso della vigliaccheria che gli rimestava nel cuore i ricordi del passato, che gli faceva risentire il contatto delle verginali carni di lei, come la prima volta, a Margitello, quando egli le aveva giurato: «Non avrò altra donna!». Era un fiore, allora! ... E dopo ... anche! E, nei giorni scorsi, mentre il piccone dei manovali abbatteva le pareti della sua camera, non si era sentito stringere il cuore ... ? «Ho torto! Vada via! Lontano! ... Vada! ... E se ella avesse l'audacia ... » Ma quella sera, al vedersela improvvisamente davanti, avvolta nella mantellina nera e vestita a lutto, nell'andito del portoncino dov'ella lo aveva atteso quasi un'ora, sapendo che doveva arrivare da Margitello, al sentirsi salutare don voce commossa: « Voscenza benedica! » , il marchese non ebbe animo di passare sdegnosamente innanzi, né di fare un gesto o di dirle un'amara parola che la scacciasse. L'umile atteggiamento, il suono di quella voce che, non udita da un pezzo, gli ronzava da qualche giorno nell'orecchio col ricordo di parole e di frasi evocate suo malgrado (egli stesso non avrebbe saputo dire se per rimpianto, o per indignazione, o per rigurgito di odio), lo sopraffecero, anche perché lo coglievano alla sprovveduta. «Che fai qui? ... Perché non sei entrata?», le disse in risposta al saluto. «Volevo almeno vederlo ... Per l'ultima volta!» «Entra! Entra!» La voce del marchese si era già alterata, e il gesto era diventato brusco, imperioso. Mamma Grazia, accorsa ad aprire l'uscio al tintinnio dei sonagli delle mule e al rumore delle ruote della carrozza, indietreggiò spalancando gli occhi vedendoseli apparire insieme, e non poté trattenersi dall'esclamare sotto voce: «Oh, Vergine santa!». Agrippina Solmo la salutò con un cenno della testa, inoltrandosi dietro al marchese tra le impalcature e gli arnesi da muratori che ingombravano le stanze, fino alla sala da pranzo, rimasta intatta, dove il marchese si fermò, sbatacchiando nervosamente l'uscio per chiuderlo. «Volevo almeno vederlo ... per l'ultima volta», ella replicò tra i singhiozzi irrompenti. «Sto per morire, forse?», disse il marchese con cupa ironia. «Per te, lo so, sono morto da un pezzo!» «Perché, voscenza ?» «Perché? ... Non avevi giurato?», egli proruppe. «Ti ho costretto con la forza quel giorno? Ti feci una proposta. Potevi rifiutarla, rispondermi di no!» «Ogni sua parola era comando per me. Ho obbedito ... Ho giurato, sinceramente.» «E poi? ... E poi? ... Nega, nega, se hai coraggio!» «Per Gesù Cristo che deve giudicarmi!» «Lascia stare Gesù Cristo! Nega, nega, se puoi! ... Ti sei data ... a tuo marito, come una sgualdrina! Non era, non doveva essere marito di apparenza soltanto? ... Lo avevate giurato, tutti e due!» «Ah ... Voscenza! » «Tu, tu stessa me l'hai fatto capire!» «Com'è possibile?» «Ti faceva pena! Ti sembrava avvilito davanti alle persone! Me lo hai detto più volte.» «È vero! È vero! Ma pensi, voscenza ! ... Da prima, niente; come due estranei, come fratello e sorella. Spesso lo vedevo appena mezza giornata, le domeniche ... Dopo quattro o cinque mesi ... oh! sembrava scherzasse: "Bellavita, eh? Ho sotto gli occhi la tavola apparecchiata e debbo restare digiuno!". Io lo lasciavo dire. E poi, di tratto in tratto, mordendosi le mani: "Ci voleva il santissimo ... del marchese di Roccaverdina per farmi fare questo sacrificio!". E una volta: "Vi pare che io non indovini che cosa dice la gente? Quel cornutaccio di Rocco!". Gli risposi: "Dovevate pensarci prima! ... ". "Avete ragione! ... ". Pensi, voscenza. Sentirlo parlare così! ... Non ero di bronzo!» «E allora? ... Allora? ... Non me ne dicevi niente però!» «A che scopo? Perché voscenza andasse in collera? ... » «E ... poi?» «E poi ... Ma pensi, voscenza ! ... Un giorno gli risposi: "Femine ne avete quante volete ... Chi v'impedisce? ... Non vi bastano?". Si mise a piangere; come un bambino piangeva, imprecando: "Sangue ... qua! Sangue ... là! Dobbiamo finirla questa storia! Non reggo più! ... Che cuore avete dunque?". Che cuore? Non glielo davo a vedere, ma piangevo, di nascosto, pel peccato mortale in cui vivevo ... » «E per lui pure! ... Dillo! Confessalo!» «Niente! Niente, voscenza ! ... No», ella soggiunse dopo breve pausa, «non voglio mentire! ... Ma il Signore ci ha castigati ... per la mala intenzione soltanto! E, quella notte, non lo fece arrivare a casa! ... Oh! ... Saremmo venuti da voscenza, a pregarlo, a scongiurarlo ... Tanto, a voscenza che le è più importato di me? ... Il mio destino ha voluto così! Sia fatta la volontà di Dio! ... Ed ora, si perderà di me anche il nome. Vado via, in un paese dove nessuno mi conosce; per disperazione vado via ... Se un giorno però ... Serva, serva e nient'altro! Ah! Vorrei dare il mio sangue per voscenza !» Il marchese l'aveva ascoltata con crescente ansietà, stringendo tra i denti il labbro per non irrompere; e quando, fermatasi un istante, ella aveva subito soggiunto: «No, non voglio mentire!», il sangue gli aveva dato un tuffo, quasi egli dovesse vedere compirsi di nuovo l'infame tradimento e proprio sotto i suoi occhi. Stette immobile, senza fiato. Immediatamente però il petto gli si gonfiava con un gran respiro di tetra soddisfazione. Aveva colpito a tempo! Aveva impedito che il tradimento fosse compiuto! ... Ma la intenzione, la mala intenzione, c'era dunque stata! E, chi sa? - non osava di confessarglielo - essa rimpiangeva ancora il morto! Un feroce pensiero gli attraversò la mente: impedirle di sostituire il morto con un vivo! Tenersela sempre schiava, e colmarla di disprezzo, non guardandola neppure in viso! Quei singhiozzi, quelle lagrime, quelle proteste erano certamente menzognere! E già stava per dirle: «Non sposare! ... Resta!». Si trattenne a stento. Agrippina Solmo gli si era accostata umilmente, asciugandosi le lagrime; e, presagli una mano, gliela baciava con labbra gelide e convulse: « Voscenza benedica ! E il Signore le dia tutte le felicità ... se è vero che sposa!». Un lieve senso di tenerezza lo invase al contatto, ed egli ritrasse lestamente la mano. E prima che maggiore commozione lo vincesse, al gesto di commiato, fece seguire, con voce turbata, queste sole parole: «Se, per caso ... avessi bisogno ... Ricordati! ... ».

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