Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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LE NOVELLE DELLA NONNA. Fiabe fantastiche

679062
Perodi, Emma 1 occorrenze
  • 1992
  • Newton Compton Editori s.r.l.
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Questi si abbatterono sul viso di ser Lapo e con le grandi ali sbatacchiavano sulle coltri, sul guanciale e facevano un vero diavolìo. Lapo, che dormiva con un occhio solo, si destò di soprassalto, e stava per balzare dal letto e correr su da Riccio, quando sentì questi che urlava: - Salvatemi! Ho i diavoli in camera! Mi scorticano vivo! Allora capì che era inutile ricorrere al buffone, e messa la testa sotto le coltri si raccomandò l'anima a Dio. Quando piacque a Riccio, i pipistrelli cessarono di sbatacchiar le ali sul letto di Lapo; ma questi non si riaddormentò più, e la mattina dopo disse al Conte che nella Torre non ci voleva più stare, perché c'erano i diavoli, e invocò la testimonianza di Riccio. - Guardami, signor mio, e ti accorgerai dal mio viso quello che io abbia passato stanotte. A centinaia sono comparsi i diavoli alati in camera mia e io ho gridato, ho tempestato, mi son fatto il segno della croce, ma tutto è stato inutile. Se non mi dài un'altra camera, io me ne torno oltralpe, da dove son venuto, - disse Riccio. La contessa Berta, che sapeva tutto, non poteva trattenere le risa, vedendo la faccia impaurita che faceva il giullare nel raccontar a sua volta le avventure della notte, e lo spavento vero che gli si leggeva negli occhi. - Ti darò un'altra camera e a te pure, messer Lapo, - disse il Conte. - Voi dormirete nelle stanze terrene, che mettono alle prigioni; queste sono vuote, e là non ho mai inteso dire che vi fossero spiriti né diavoli. Anche quel giorno il poeta e il buffone presero le loro carabattole e le portarono in due stanzoni quasi bui. Riccio faceva animo al poeta dicendogli: - Stasera, prima di andare a letto, faremo venir qui fra' Leonardo con l'acqua santa, e quando avrà benedetto le pareti non temeremo più di nulla. Riccio, nell'entrare in quegli stanzoni disabitati, aveva veduto uscirne impauriti una quantità di scarafaggi e la vista di quegli animali gli suggerì un'idea, che mise subito ad effetto appena fu solo, dando loro la caccia e acchiappandone una gran quantità. La sera, com'egli e Lapo avevano stabilito, fecero andar fra' Leonardo a benedir le camere, e poi ognuno si ritirò nella propria, lasciando socchiuso l'uscio che le poneva in comunicazione fra loro. Lapo andò subito subito a letto, perché era stanco morto della veglia delle notti precedenti, e s'addormentò; Riccio, invece, cavò con cura a uno a uno gli scarafaggi dalla cassetta ove li aveva riposti, adattò loro un moccolino sulla schiena, e poi li portò davanti l'uscio di ser Lapo, e, accesi che ebbe i moccolini, spinse gli scarafaggi dentro la camera del poeta. Poi socchiuse l'uscio in modo che gli animaletti non tornassero indietro, e si mise a gridare: - Aiuto! aiuto! Ecco i diavoli! Il poeta si destò, spalancò gli occhi e vedendo quella processione di lumicini impazzì quasi dalla paura, mentre Riccio continuava a urlare: - Ahimè! Amico, soccorrimi, dei piccoli diavoli mi salgono nel mio letto, mi camminano sulle carni, mi entrano in bocca, sono indiavolato anch'io! Ser Lapo non parlava per non aprir la bocca e non esporsi alla stessa sorte del compagno. S'era tirato le coltri fin sopra al capo e si raccomandava a tutti i santi del Paradiso, promettendo a san Francesco un pellegrinaggio alla Verna, e a san Jacopo di Campostella, uno in Gallizia, se avevano misericordia di lui e lo salvavano. Intanto Riccio urlava sempre: - Son dannato! Me ne sono entrati dieci in bocca, mi brucian le viscere, mi dilanian lo stomaco, mi strappano il cuore! Tutta la notte il buffone continuò a gridare e a smaniare, e quando fu giorno andò in camera di ser Lapo, facendo gesti di ossesso e boccacce e sgambetti, come se avesse davvero avuto cento e non dieci diavoli in corpo. Ser Lapo era più morto che vivo, e questa volta, senza vedere né messere né madonna, fece un fagottino e se ne andò da Romena per compiere il pellegrinaggio prima alla Verna e poi in Gallizia. Quello che ridessero la Contessa e il conte di Romena al racconto delle avventure di quella notte, fatto da Riccio, non si può dire con parole. La Contessa badava a dirgli basta, perché dal tanto ridere soffriva. E quest'avventura continuò a tenerla di buonumore per molto tempo e a rallegrare le veglie invernali. Intanto, l'anno pattuito per il soggiorno di Riccio al castello di Romena stava per terminare, e il giullare non si sentiva disposto a rimanere in quella solitudine. Egli era assuefatto alle Corti numerose, popolate di dame e di cavalieri, alle liete brigate, e sentiva che a lungo andare avrebbe perduta la vena comica in quel castello, dove convenivano poche persone e sempre le stesse. Voleva dunque andarsene e, senza prevenir nessuno, la mattina che compieva l'anno si presentò nella sala dov'erano messer Alessandro, madonna Berta, i loro valletti e le loro dame. - Salute alla compagnia! - disse Riccio entrando e agitando il berretto con i sonagli. - Salute a te! - rispose la Contessa. - Che vuol dir, Riccio, codesto saluto diverso dal solito? - Gli è, madonna, che oggi non è un giorno come tutti gli altri. - Come sarebbe a dire? Che io sappia, non ricorre nessuna solennità. - È giorno d'addio, madonna. È un anno che sono arrivato, e oggi, che termina l'anno, me ne vado. - Parli da senno? - Da senno, madonna; l'aria di Romena non mi si confà. - Ma tu sai, Riccio, che qui ti vogliamo bene e abbiamo mantenuto tutti i nostri patti. Hai avuto il morbido letto di piume per Collinetta amena, hai avuto quattro abiti di panno di velluto, hai avuto buoni bocconi ... - Sì, madonna; anche tu però hai avuto giorni lieti e hai imparato a ridere. - È vero. - Però Collinetta amena deve avere ancora tant'oro quanto ne può contenere. - È giusto; - rispose il Conte, - ma tu non ci lascerai, non è vero? - Io vi lascerò, e Collinetta amena vuole subito quello che le spetta. - Sia fatta la tua volontà! - disse il Conte; e presa una borsa d'oro da un forziere la fece scivolare dal collo nella gobba del giullare. Riccio intanto s'era messo una mano sotto il farsetto e guardava il Conte. - Non ti basta? - domandò messer Alessandro. - Collinetta amena può contenere altre monete, - rispose Riccio. Il Conte tornò al forziere, prese una manciata d'oro e la fece sparire nella gobba. Riccio tirò giù dall'imbottitura del farsetto una manciata di stoppa e disse al Conte: - Collinetta amena può contenere altre monete; signor di Romena, rammentati dei patti. Il Conte tornò al forziere, prese altro oro, e lo mise nella gobba; ma più lui ne buttava e più Riccio cavava capecchio. A farla breve, per empir la gobba ci volle tutto l'oro del forziere. Messer Alessandro era su tutte le furie e madonna Berta rideva. Quando la gobba fu piena zeppa di monete d'oro, Riccio si levò il berretto con i sonagli, e disse: - Collinetta amena contiene molte monete, ma l'allegria non si paga, e madonna, che ha imparato a ridere di cuore, riderà ancora per molti anni ripensando al falso gobbo. Salute alla compagnia e figli maschi! Dopo aver detto queste parole, uscì. Nel cortile, il cavallino, sul quale era giunto, era già sellato, un altro era carico della roba del giullare, e lo montava un villano. L'omino, nonostante il carico che aveva nella gobba, balzò presto in sella, perché aveva paura che il Conte si pentisse e gli riprendesse l'oro che gli aveva dato, e via. La contessa Berta rimase in sala a ridere e non dimenticò più la consuetudine presa di aprir la bocca alle franche e sonore risate, e tutte le volte che il Conte si lagnava di essere stato spogliato dal giullare, essa gli rispondeva: - L'allegria non si paga! La novella aveva messo tutti di buonumore, e Vezzosa aveva riso veramente di cuore. - Vedi se ti ho fatto dimenticare la tristezza di questa settimana? - disse la Regina a Vezzosa. - La novella mi ha fatto ridere, ma quel che ha dileguato la mia tristezza è stata la vostra accoglienza, la vostra bontà per me; io sono felice, felice, e non rammento più i brutti giorni passati. Ma ora dico come Riccio. Salute alla compagnia! e me ne torno a casa. Cecco e Maso uscirono insieme con Vezzosa, e per tutta la via non fecero altro che parlare del bel modo col quale la Regina narrava e della freschezza di mente di quella donna già tanto avanti negli anni. - È stata una benedizione per la nostra famiglia; - disse Maso, - cerca d'imitarla. Vezzosa sorrise e rispose: - M'ingegnerò. E corse su dalla malata.

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