Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbattendo

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Il sistema periodico

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Levi, Primo 2 occorrenze

Alberto se ne partì a piedi coi più quando il fronte fu prossimo: i tedeschi li fecero camminare per giorni e notti nella neve e nel gelo, abbattendo tutti quelli che non potevano proseguire; poi li caricarono su vagoni scoperti, che portarono i pochi superstiti verso un nuovo capitolo di schiavitù, a Buchenwald ed a Mauthausen. Non più di un quarto dei partenti sopravvisse alla marcia. Alberto non è ritornato, e di lui non resta traccia: un suo compaesano, mezzo visionario e mezzo imbroglione, visse per qualche anno, dopo la fine della guerra, spacciando a sua madre, a pagamento, false notizie consolatorie.

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Qualche volta avevamo studiato insieme: era serio e non aveva indulgenze per se stesso, studiava senza genialità e senza gioia (sembrava che non conoscesse la gioia), abbattendo successivamente i capitoli dei testi come un minatore in galleria. Col fascismo non si era compromesso, e aveva reagito bene al reattivo delle leggi razziali. Era stato un ragazzo opaco ma sicuro, di cui ci si poteva fidare: e l' esperienza insegna che proprio questa, l' affidabilità, è la virtù più costante, quella che non si acquista né si perde con gli anni. Si nasce degni di fiducia, col viso aperto e gli occhi fermi, e tali si resta per la vita. Chi nasce contorto e lasco, tale rimane: chi ti mente a sei anni, ti mente a sedici e a sessanta. Il fenomeno è notevole, e spiega come certe amicizie e matrimoni sopravvivono per molti decenni, a dispetto dell' abitudine, della noia e del logorarsi degli argomenti: mi interessava verificarlo su Cerrato. Versai la quota, e scrissi all' anonimo Comitato che alla cena avrei preso parte. La sua figura non era molto cambiata: era alto, ossuto, olivastro; i capelli ancora folti, la barba ben rasa, la fronte, il naso e il mento pesanti e come appena abbozzati. Ancora, come allora, si muoveva malamente, con quei gesti bruschi e insieme incerti che in laboratorio l' avevano reso un proverbiale spaccatore di vetreria. Come è usanza, dedicammo all' aggiornamento reciproco i primi minuti di colloquio. Appresi che era sposato senza figli, e simultaneamente compresi che questo non era un argomento gradito. Appresi che aveva sempre lavorato in chimica fotografica: dieci anni in Italia, quattro in Germania, poi di nuovo in Italia. Era stato lui, certo, il promotore della cena e l' autore della lettera d' invito. Non provava vergogna ad ammetterlo: se gli concedevo una metafora professionale, gli anni di studio erano il suo Technicolor, il resto era bianco e nero. Quanto agli "eventi" (mi trattenni dal fargli notare la goffaggine dell' espressione), gli interessavano veramente. La sua carriera era stata ricca di eventi, anche se per lo più, appunto, non erano stati che in bianco e nero: anche la mia? Certo, gli confermai: chimici e non chimici, ma negli ultimi anni gli eventi chimici avevano prevalso, per frequenza e intensità. Ti dànno il senso del "nicht dazu gewachsen", dell' impotenza, dell' insufficienza, non è vero? Ti dànno l' impressione di combattere un' interminabile guerra contro un esercito avversario ottuso e tardo, ma tremendo per numero e peso; di perdere tutte le battaglie, una dopo l' altra, un anno dopo l' altro; e ti devi accontentare, per medicare il tuo orgoglio contuso, di quelle poche occasioni in cui intravvedi una smagliatura nello schieramento nemico, ti ci avventi, e metti a segno un rapido singolo colpo. Anche Cerrato conosceva questa milizia: anche lui aveva sperimentato l' insufficienza della nostra preparazione, e il dovervi surrogare con la fortuna, l' intuizione, gli stratagemmi, ed un fiume di pazienza. Gli dissi che andavo in cerca di eventi, miei e d' altri, che volevo schierare in mostra in un libro, per vedere se mi riusciva di convogliare ai profani il sapore forte ed amaro del nostro mestiere, che è poi un caso particolare, una versione più strenua, del mestiere di vivere. Gli dissi che non mi pareva giusto che il mondo sapesse tutto di come vive il medico, la prostituta, il marinaio, l' assassino, la contessa, l' antico romano, il congiurato e il polinesiano, e nulla di come viviamo noi trasmutatori di materia; ma che in questo libro avrei deliberatamente trascurato la grande chimica, la chimica trionfante degli impianti colossali e dei fatturati vertiginosi, perché questa è opera collettiva e quindi anonima. A me interessavano di più le storie della chimica solitaria, inerme e appiedata, a misura d' uomo, che con poche eccezioni è stata la mia: ma è stata anche la chimica dei fondatori, che non lavoravano in équipe ma soli, in mezzo all' indifferenza del loro tempo, per lo più senza guadagno, e affrontavano la materia senza aiuti, col cervello e con le mani, con la ragione e la fantasia. Gli chiesi se a questo libro gli sarebbe piaciuto contribuire: se sì, mi raccontasse una storia, e, se mi era permesso dare un suggerimento, doveva essere una storia delle nostre, in cui ci si arrabatta nel buio per una settimana o per un mese, sembra che sarà buio sempre, e viene voglia di buttare via tutto e di cambiare mestiere: poi si scorge nel buio un bagliore, si va a tentoni da quella parte, e la luce cresce, e infine l' ordine segue al caos. Cerrato mi disse seriamente che in effetti qualche volta le cose andavano così, e che avrebbe cercato di accontentarmi; ma che in generale era proprio buio sempre, il bagliore non si vedeva, si picchiava il capo più e più volte contro il soffitto sempre più basso, e si finiva coll' uscire dalla grotta carponi e a ritroso, un po' più vecchi di quando ci si era entrati. Mentre lui interrogava la sua memoria, con lo sguardo verso il soffitto presuntuosamente affrescato del ristorante, gli scoccai una rapida occhiata, e vidi che era invecchiato bene, senza deformarsi, anzi crescendo e maturando: era rimasto greve come un tempo, negato al refrigerio della malizia e del riso, ma questo non offendeva più, si accettava meglio da un cinquantenne che da un ventenne. Mi raccontò una storia d' argento. _ Ti racconto l' essenziale; il contorno ce lo metti tu, per esempio come vive un italiano in Germania; del resto, ci sei pure stato. Ero al controllo del reparto dove si fabbricano le carte per radiografia. Ne sai qualcosa? Non importa: è un materiale poco sensibile, che non dà rogne (rogne e sensibilità sono proporzionali); quindi anche il reparto era piuttosto tranquillo. Ma devi pensare che, se funziona male una pellicola per dilettanti, nove volte su dieci l' utente pensa che sia colpa sua; o se no, al massimo ti manda qualche accidente, che non ti arriva per insufficienza d' indirizzo. Invece, se va male una radiografia, magari dopo la pappa di bario o l' urografia discendente; e poi ne va male una seconda, e tutto il pacchetto di carte; ebbene, allora non finisce così: la grana fa la sua scalata, ingrossando mentre sale, e ti arriva addosso come un' afflizione. Tutte cose che il mio predecessore mi aveva spiegate, col talento didascalico dei tedeschi, per giustificare ai miei occhi il fantastico rituale di pulizia che nel reparto si deve osservare, dal principio alla fine della lavorazione. Non so se ti interessa: ti basti pensare che .... Lo interruppi: le cautele minuziose, le pulizie maniache, le purezze con otto zeri, sono cose che mi fanno soffrire. So bene che in qualche caso si tratta di misure necessarie, ma so pure che, più sovente, la mania prevale sul buon senso, e che accanto a cinque precetti o divieti sensati se ne annidano dieci insensati, inutili, che nessuno osa cancellare solo per pigrizia mentale, per scaramanzia o per morbosa paura di complicazioni: quando addirittura non capita come nel servizio militare, in cui il regolamento serve a contrabbandare una disciplina repressiva. Cerrato mi versò da bere: la sua grossa mano si diresse esitando verso il collo della bottiglia, come se questa stesse starnazzando sul tavolo per sfuggirgli; poi la inclinò verso il mio bicchiere, urtandovi contro più volte. Mi confermò che spesso le cose stavano proprio così: per esempio, alle operaie del reparto di cui mi stava parlando era vietato usare cipria, ma una volta, ad una ragazza era caduto dalla tasca il portacipria, si era aperto cadendo, e ne era volata per aria un bel po' ; la produzione di quel giorno era stata collaudata con rigore particolare, ma andava benissimo. Bene, il divieto della cipria era rimasto. _ ... però un dettaglio bisogna che te lo dica, se no la storia non si capirebbe. C' è la religione del pelo (questa è giustificata, te lo assicuro): il reparto è in leggera sovrapressione, e l' aria che ci si pompa dentro è accuratamente filtrata. Si porta sopra gli abiti una tuta speciale, e una cuffia sopra i capelli: tute e cuffie vanno lavate tutti i giorni, per asportare i peli in formazione o catturati accidentalmente. Scarpe e calze vanno tolte all' ingresso, e sostituite con pantofole antipolvere. Ecco, questo è lo scenario. Devo aggiungere che, da cinque o sei anni, incidenti grossi non ne erano capitati: qualche protesta isolata da qualche ospedale per la sensibilità alterata, ma si trattava quasi sempre di materiale già fuori del limite di scadenza. Le grane, tu lo saprai, non vengono al galoppo, come gli Unni, ma zitte, di soppiatto, come le epidemie. Incominciò con un espresso da un centro diagnostico di Vienna; era in termini molto civili, direi più una segnalazione che una protesta, e allegata c' era una radiografia giustificativa: regolare come grana (scusa il bisticcio: qui volevo dire grana dell' emulsione) e come contrasto, ma cosparsa di macchioline bianche, oblunghe, grosse come fagioli. Si risponde con una lettera compunta, in cui ci si scusa dell' involontario eccetera, ma dopo il primo lanzichenecco morto di peste è meglio non farsi illusioni: la peste è peste, è inutile fare gli struzzi. La settimana dopo c' erano altre due lettere: una veniva da Liegi e accennava a danni da rifondere, l' altra veniva dall' Unione Sovietica, non ricordo più (forse l' ho censurata) la complicata sigla dell' ente commerciale che l' aveva spedita. Quando fu tradotta, a tutti si drizzarono i capelli in testa. Il difetto, naturalmente, era sempre quello, delle macchie a forma di fagiolo, e la lettera era pesantissima: si parlava di tre operazioni che avevano dovuto essere rimandate, di turni persi, di quintali di carta sensibile contestata, di una perizia e di una controversia internazionale presso il Tribunale di non so dove; ci si ingiungeva di mandare subito uno Spezialist. In questi casi si cerca almeno di chiudere le stalle dopo che una parte dei buoi sono scappati, ma non sempre ci si riesce. Chiaro che tutta la carta aveva superato bene il collaudo di uscita: si trattava dunque di un difetto che si manifestava in ritardo, durante il magazzinaggio da noi o dal cliente, o durante il trasporto. Il Direttore mi chiamò a rapporto; discusse il caso con me, molto cortesemente, per due ore, ma a me pareva che mi scuoiasse, lentamente, metodicamente, e godendoci. Prendemmo accordi col laboratorio controlli, e ricollaudammo lotto per lotto tutta la carta che era a magazzino. Quella più recente di due mesi era in ordine. Nell' altra, il difetto fu riscontrato, ma non in tutta: i lotti erano centinaia, e circa un sesto presentavano l' inconveniente dei fagioli. Il mio vice, che era un giovane chimico neanche poi tanto sveglio, fece un' osservazione curiosa: i lotti difettosi si susseguivano con una certa regolarità, cinque buoni e uno cattivo. Mi sembrò una traccia, e cercai di andare a fondo: era proprio così, era guasta quasi esclusivamente la carta fabbricata il mercoledì. Certo saprai anche che le grane a ritardo sono di gran lunga le più maligne. Mentre si cercano le cause, bisogna pure continuare a produrre: ma come puoi essere sicuro che la causa (o le cause) non sia tuttora al lavoro, e il materiale che produci foriero di altri guai? Si capisce che puoi tenerlo in quarantena due mesi e poi ricollaudarlo: ma che cosa dirai ai depositi in tutto il mondo, che non vedono arrivare roba? E gli interessi passivi? E il nome, il Buon Nome, l' Unbestrittener Ruf? Poi c' è quell' altra complicazione: ogni variazione che tu faccia nella composizione o nella tecnologia, deve aspettare due mesi prima che tu sappia se serve o non serve, se annulla il difetto o lo accentua. Io mi sentivo innocente, naturalmente: avevo rispettato tutte le regole, non mi ero permessa nessuna indulgenza. A monte e a valle di me, tutti gli altri si sentivano altrettanto innocenti: quelli che avevano date per buone le materie prime, che avevano preparato e collaudato l' emulsione di bromuro d' argento, quelli che avevano confezionato, imballato e immagazzinato i pacchi della carta. Mi sentivo innocente, ma non ero: ero colpevole per definizione, perché un caporeparto risponde del suo reparto, e perché se c' è danno c' è peccato e se c' è peccato c' è un peccatore. È una faccenda, appunto, come il peccato originale: non hai fatto niente, ma sei colpevole e devi pagare. Non con denaro, ma peggio: perdi il sonno, perdi l' appetito, ti viene l' ulcera o l' eczema, e fai un grande passo verso la nevrosi aziendale definitiva. Mentre continuavano ad arrivare lettere e telefonate di protesta, io mi accanivo ad almanaccare sul fatto del mercoledì: un significato lo doveva pure avere. Il martedì notte era di turno un guardiano che non mi piaceva, aveva una cicatrice sul mento e la faccia da nazi. Non sapevo se parlarne o no col Direttore: cercare di scaricare la colpa sugli altri è sempre cattiva politica. Poi mi feci portare i libri paga, e vidi che il nazi era da noi solo da tre mesi, mentre il guaio dei fagioli incominciava a manifestarsi sulla carta fabbricata dieci mesi prima. Cosa era successo di nuovo dieci mesi prima? Circa dieci mesi prima era stato accettato, dopo rigorosi controlli, un nuovo fornitore della carta nera che si usa per proteggere dalla luce le carte sensibili: ma il materiale difettoso risultò imballato promiscuamente in carta nera proveniente da entrambi i fornitori. Anche dieci mesi prima (nove, per l' esattezza) era stato assunto un gruppo di operaie turche; le intervistai una per una, con loro grande stupore: volevo stabilire se il mercoledì, o il martedì sera, facevano qualcosa di diverso dal solito. Si lavavano? o non si lavavano? Usavano qualche cosmetico speciale? andavano a ballare e sudavano più del solito? Non osai chiedergli se il martedì sera facevano all' amore: comunque, né direttamente né attraverso l' interprete, non riuscii a cavarne nulla. Capirai che frattanto la faccenda si era risaputa in tutta la fabbrica, e mi guardavano con un' aria strana: anche perché ero il solo caporeparto italiano, e mi immaginavo benissimo i commenti che si dovevano scambiare dietro le mie spalle. L' aiuto decisivo mi venne da uno degli uscieri, che parlava un po' italiano perché era stato a combattere in Italia: anzi, era stato fatto prigioniero dai partigiani dalle parti di Biella, e poi scambiato con qualcuno. Non aveva rancore, era loquace, e parlava a vanvera di un po' di tutto senza mai concludere: ebbene, è stata proprio questa sua chiacchiera insulsa a fare da filo d' Arianna. Un giorno mi disse che lui era pescatore, ma che da quasi un anno, nel fiumicello lì accanto, non si pescava più un pesce: da quando, cinque o sei chilometri più a monte, avevano messo una conceria. Mi disse poi che addirittura l' acqua, in certi giorni, diventava bruna. Lì per lì non feci caso a queste sue osservazioni, ma ci ripensai pochi giorni dopo, quando dalla finestra della mia camera, nella foresteria, vidi ritornare il camioncino che riportava le tute dalla lavanderia. Mi informai: la conceria aveva cominciato a lavorare dieci mesi prima, e la lavanderia lavava le tute proprio nell' acqua del fiume dove il pescatore non riusciva più a pescare: però la filtravano e la facevano passare per un depuratore a scambio ionico. Le tute le lavavano durante il giorno, le asciugavano di notte in un essiccatoio, e le riconsegnavano al mattino presto, prima della sirena. Andai alla conceria: volevo sapere quando, dove, con quale ritmo, in quali giorni svuotavano i tini. Mi mandarono via malamente, ma io ci ritornai due giorni dopo col medico dell' Ufficio d' Igiene; bene, il più grande dei tini di concia lo vuotavano ogni settimana, la notte fra il lunedì e il martedì! Non mi vollero dire che cosa conteneva, ma sai bene, i conciati organici sono dei polifenoli, non c' è resina scambio-ionica che li trattenga, e che cosa possa fare un polifenolo sul bromuro d' argento lo immagini anche tu che non sei della partita. Ottenni un campione del bagno di concia, andai al laboratorio sperimentale, e provai ad atomizzare una soluzione 1:10000 nella camera oscura in cui stava esposto un campione di carta per radiografie. L' effetto si vide pochi giorni dopo: la sensibilità della carta era sparita, letteralmente. Il capo del laboratorio non credeva ai suoi occhi: mi disse che non aveva mai visto un inibitore così potente. Abbiamo provato con soluzioni via via più diluite, come fanno gli omeopatici: con soluzioni intorno alla parte per milione si ottenevano le macchie a forma di fagiolo, che venivano fuori però solo dopo due mesi di riposo. L' effetto-fagiolo, il Bohneffekt, era stato riprodotto in pieno: a conti fatti, si è visto che bastava qualche migliaio di molecole di polifenolo, assorbito dalle fibre della tuta durante il lavaggio, e portato in volo dalla tuta alla carta da un pelino invisibile, per provocare una macchia. Gli altri commensali intorno a noi conversavano rumorosamente di figli, di ferie e di stipendi; noi finimmo con l' appartarci al bar, dove a poco a poco diventammo sentimentali, e ci promettemmo a vicenda di rinnovare un' amicizia che in effetti fra noi non era mai esistita. Ci saremmo tenuti a contatto, e ognuno di noi avrebbe raccolto per l' altro altre storie come questa, in cui la materia stolida manifesta un' astuzia tesa al male, all' ostruzione, come se si ribellasse all' ordine caro all' uomo: come i fuoricasta temerari, assetati più della rovina altrui che del trionfo proprio, che nei romanzi arrivano dai confini della terra per stroncare l' avventura degli eroi positivi.

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