Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Otto giorni in una soffitta

204551
Giraud, H. 8 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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La mamma ne ha abbastanza della sua cura ad Aix-les-Bains, e soprattutto di esser separata dai suoi bambini, e si propone di tornare presto a casa, senza però dire in qual giorno: farà una sorpresa. La prossima lettera sarà per Alano. - Che fortuna!... - esclama Maurizio saltando come un capriolo. - Scommetto che la mamma arriva senza avvertirci, forse domani. - Domani no, - replica Alano - poichè dice che la prossima lettera è per me, e ci vogliono ancora due giorni. - Quando la mamma sarà qui, le diremo di Nicoletta? - chiede Maurizio. Francesco è pensieroso. - Certo, a lei non potremo nasconderla, - dice. - Prima di tutto perchè le diciamo ogni cosa, e poi perché è quasi sempre con noi. E inoltre, credi che a tavola potrai riempire il sacco come fai ora sotto il naso dello zio Fil e di Maria? La mamma lo vedrebbe subito. - Che cosa penserà? - Anche Alano è inquieto. - La mamma ha sempre detto che non voleva delle bambine e che era molto più contenta coi suoi ragazzi, e forse sarà seccata di aver Nicoletta. - Soprattutto avrà paura di qualche storia con lo zio Fil, - riprende Francesco. - E se quella vecchia strega vede che Nicoletta è qui, verrà a riprenderla, - aggiunge Maurizio. Tutto ciò è molto preoccupante per quei tre giovani babbi. Essi rimangono un momento silenziosi, accasciati sotto il peso di quel tormento; ma Francesco pronunzia finalmente la formula magica, che ha servito sempre a consolarli: - Ci penserà la mamma. - La seconda seduta di pettinatura è ancora più laboriosa della prima. Francesco ha corso il rischio di perdere la pazienza e Nicoletta ha le lacrime agli occhi. Ma Nicoletta è risoluta a chiedere l'aiuto di Maurizio, e quando viene, un momento dopo, gli espone il suo desiderio. - Capisci, - gli dice - così non può durare. Francesco mi fa troppo male, e poi si arrabbia. Mi domando a che cosa mi, servono tutti questi capelli. - Anche Maurizio è dello stesso parere. - Del resto, - aggiunge egli - tutte hanno i capelli corti, anche le signore, anche le signore vecchie. - Anche la tua mamma? - No, ma ne parla sempre. Lei è tanto carina così, i suoi capelli le fanno come una corona intorno alla testa. - Ascolta, Maurizio, io starò molto meglio coi capelli corti; dovresti andare a cercarmi un paio di forbici e tagliarmeli. - Se si domandasse un parere anche a Francesco? - chiede Maurizio un po' inquieto per questa responsabilità. - No, no, rifìuterebbe. Se hai paura, dammi le forbici, proverò da me.

Orsù, abbiamo chiacchierato abbastanza, e m' impedite di fare il mio lavoro. Signor Francesco, siate ragionevole: fate lavorare i vostri fratelli. - È molto difficile fare problemi e analisi quando si hanno delle preoccupazioni, e i tre ragazzi pensano assai più alla loro «figlia» che ai compiti. La « figlia » è molto savia, e Francesco la trova a cantar la ninna-nanna alla bambola. Egli giunge con un pettine, una spazzola e un gran libro. - Qui son descritte le avventure di Beccaccino, - dice. - Ma tu non sai leggere e non ti divertirai tanto. Se vuoi, t' insegnerò a leggere. - Oh, sì! - dice Nicoletta. - La mamma voleva farlo, ma era sempre malata e non aveva la forza di muoversi. - T' insegnerò io, - ripete Francesco. - Intanto ti pettinerò meglio che mi è possibile. - Ahimè, è un terribile compito, quello a cui si accinge, e benchè tanto lui che Nicoletta diano prova di una pazienza angelica, la

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Tra un compito e l'altro Maurizio viene a farle una visitina, e il tempo trascorre abbastanza presto. Giù i compiti son fatti, ma assai male: i ragazzi tengono un consiglio di famiglia per deliberare su una questione importante. - Bisogna trovare un mezzo per andare in soffitta senza che vengano a cercarci, - dichiara Francesco. - Non sarebbe molto comodo.... - soggiunge Maurizio scotendo la testa. - Io credo che sarà meglio non parlare di soffitta, - dice Francesco. - Maria è curiosa e vorrà sapere quello che ci facciamo; e se venisse a cercarci, la nostra Nicoletta sarebbe scoperta.

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. - È tanto dispiacente perchè non lavorate abbastanza.... - Lo vedrai, - dice Francesco - ma non prima che sia finito. E non verrai a disturbarci, capisci? - Non bisogna esser disturbati quando si lavora, - aggiunge lo zio Fil. - Lo senti? - Francesco è trionfante. Alla fine del pranzo, quando Maria se ne va, Maurizio mostra fieramente ai suoi fratelli il sacco nel quale è riuscito a fare scivolare la colazione di Nicoletta: il salame e le olive, mescolati con una fetta di vitello, che a sua volta è stata sepolta da una valanga di patate fritte, e tutto ciò contornato di pane. Ma è stata una tale fortuna, di esser riusciti a prender tutta quella roba in barba, se cosi si può dire, di Maria, che non bisogna esser troppo sofistici per il modo col quale è stata disposta. Nicoletta è incantata del suo desinare, e piena di ammirazione per il racconto che Maurizio le fa della sua destrezza. Le spiegano anche la storia del ritratto. Francesco è andato a cercare una tela e comincerà il suo schizzo in soffitta. Nello scendere metteranno la tela sul cavalletto, e questo nella stanzina, come se realmente dovessero lavorar là. E così Nicoletta, abituata alla tristezza e alla solitudine, passa dei bei momenti, con quei tre ragazzi allegri e felici. Essi le raccontano storie divertenti, farse da loro recitate, e imprese da loro compiute. Nicoletta nella sua poltroncina, con la bocca semiaperta e le mani congiunte, non sa come esprimere i propri sentimenti. Matù, pieno di dignità, ha ceduto il posto a quelle creature chiassose: egli preferisce vedere la sua nuova amica quando è sola. La bambola, seduta sul lettino, sorride in aria canzonatoria. Quando giunge l'ora della merenda, Nicoletta è triste. - Ritornate, - implora la sua vocina. - Maurizio ti porterà la merenda, - dice Francesco. - Ma bisogna anche che andiamo a giocare un po' in giardino. Sai, Nicoletta, siamo abituati a passarci tutto il nostro tempo e non bisogna che si accorgano che non ci andiamo più. - Nicoletta è rassegnata. Con un piccolo sospiro dice: - Capisco. - Ah, - ripete ancora Francesco - se tu sapessi leggere, Nicoletta, come ti divertiresti in questa soffitta, con tutti i nostri libri! - Ma non so, - dice umilmente Nicoletta. - Sì, me l' hai detto. Domattina cercherò i nostri alfabeti e ti darò una lezione subito. - E quel giorno termina come il giorno prima. Ma quella sera Nicoletta trova il tempo un po' lungo: si annoia e sospira profondamente, accarezzando Matù che è placidamente coricato e trova la vita bella e non tediosa, poichè egli ha il beneficio del sonno. È da credere che Maurizio abbia indovinato la noia di Nicoletta, perchè, arrivando come un pazzo, con le braccia cariche di scatole, grida ansante: - Nicoletta, ho ritrovato un mucchio di costruzioni, di figure da ritagliare, e di album da colorire. Ti divertirai? - Nicoletta salta dalla gioia. - Oh, come sono contenta! Cominciavo proprio ad annoiarmi.... un pochino soltanto, sai, - confessa. - Come mi divertirò con tutte queste belle cose! - Ne cercherò ancora, - dice Maurizio. - E poi.... sai per caso cucire? - No, - risponde Nicoletta - so soltanto lavorare all'uncinetto. - Che cosa occorre per questo? - domanda Maurizio. - Un uncinetto, - risponde Nicoletta - e della lana. - Aspetta.... anderò a vedere nella

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Ho un bel fare il conto: non ce n' è mai abbastanza!... Costa caro dar da mangìare a questi tre ragazzi. Fortunatamente la signora non è in condizioni di badarci tanto. Via, Leonia, vado a finire di preparar la tavola. Riempitemi bene il vassoio. - State attenta, Maria, - dice Leonia, brontolando - stasera non potranno rifarsi con la pietanza: c' è soltanto una focaccia per ciascuno, non di più. - Fatele grosse, almeno, - chiede Maria che si lamenta, ma che poi è la prima a viziare i suoi padroncini. I ragazzi si sono messi a tavola. Maurizio ha richiesto l'arrosto, e Maria consiglia a Francesco di fare come suo fratello. - Non mangiate abbastanza, signor Francesco, siete troppo magro. - E io? - domanda Alano. - Anche voi potreste ingrassare un poco, signor Alano. - Via, Maria, lasciate tranquilli i ragazzi, che mangiano anche troppo, - dichiara lo zio Fil, uscendo dalla sua apatia, non si sa per qual miracolo. Maria non insiste, ma Francesco la consola chiedendo ancora dei fagiolini. Dopo la colazione di Nicoletta, colazione così abbondante che ha durato fatica a finire, Francesco le mostra un grande alfabeto, ma rimane sorpreso di vedere « sua figlia» ridergli sul naso. - Oh, - esclama essa ridendo di tutto cuore - tu hai creduto che non sapessi nemmeno questo! Conosco tutte le lettere e le sillabe, ma non so leggere correntemente, nè leggere i caratteri troppo piccoli. - Occorre dire che Francesco è rimasto un po' deluso? Sperava di avere la gioia completa d' insegnare a leggere a « sua figlia». - Ebbene, - dice però in tono allegro - sarà più facile. Ci vuole il primo libro dì lettura: eccolo! - Oh, Francesco, - esclama Alano - speravi che dopo la prima lezione Nicoletta avrebbe imparato l'alfabeto?! - Ma Francesco non è perfettamente in buona fede quando risponde: - Come vedi, ho fatto bene, poiché ne abbiamo bisogno. - Io, - dice Alano - propongo di far leggere Nicoletta quando

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Con Alano va un po' meno bene, ma la ragione è che Nicoletta comincia ad essere un po' stanca, e quando viene la volta di Maurizio, ne ha abbastanza e lo dice. Ma Maurizio vuol darle la sua lezione ed insiste. - Insegnami piuttosto a giocare a dama; me lo promettesti ieri, - chiede Nicoletta con la sua maniera carezzevole. Dopo tutto la fanciulla fa ancora appello al suo talento di professore, e, sia a leggere sia a giocare a dama, Maurizio insegnerà qualche cosa anche lui, anzi qualcosa di più divertente. Ridiscende dunque a cercare il giuoco della dama, ma ritorna quasi subito come un fulmine. - Francesco! Alano! - grida ansante. - Maria sta salendo quassù! Viene a vedere il ritratto. Siamo scoperti. - I due ragazzi sussultano. - Dov' è? - chiede Alano. - Al primo piano; non abbiamo il tempo di scendere. - Presto, presto, - dice Francesco. - Usciamo dalla soffitta. Non aver paura, Nicoletta. - E, come un. buon capobanda, Francesco ha organizzato, in un batter d'occhio, il suo piano di difesa. Egli tiene in mano il ritratto, e insieme coi suoi due fratelli scende la scala a passi di lupo. Prima che la povera Maria, poco svelta, sia arrivata nello « studio », i tre ragazzi sono seduti su uno scalino a mezza strada tra la soffitta e il piano inferiore. E quando Maria apre la porta e vede, con suo grande stupore, la stanza vuota, ode tre scoppi di risa e tre voci allegre sopra a lei. - Benissimo! - Ti abbiamo sorpresa! Curiosa! - Così imparerai! - La vecchia sale i tre scalini e vede i tre fanciulli. - Oh, mi avete sentito salire? - dice ingenuamente. - Perbacco! - Ti avevo raccomandato di non disturbarmi, - dice Francesco in tono severo. La povera Maria è umiliata. - Io non volevo disturbarvi, signor Francesco. Soltanto, avevq dimenticato di avvertirvi che esco. Tornerò per l' ora della merenda. - Va bene, - risponde Francesco in aria maestosa. - Per questa volta ti

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La giornata finisce tranquillamente, i ragazzi sacrificano a Nicoletta la loro partita di calcio; la faranno più tardi, quando Maria sarà rìtornata, o dopo cena, se sarà ancora abbastanza giorno. Per divertire Nicoletta organizzano una grande partita di steeplechase, lo steeple su tappeto verde regalato dal comandante Grey ai tre fanciulli. E Nicoletta è così estasiata nel vedere il suo cavallo arrivare il primo al palo, attraverso i mille ostacoli del giuoco, e ride con tanto gusto nel vedere Maurizio e Alano sempre perdenti, che i ragazzi non si sono mai divertiti tanto col loro steeple. Soltanto lunedì Francesco, a sua volta, ha una idea e la espone ai suoi fratelli, nel giardino, sotto l'albero grande, dove sono soliti tenere i loro conciliaboli. - Ecco, - spiega - non è necessario che stiamo a casa tutti e tre. Basterà che resti uno di noi.... e propongo che quello faccia tante monellerie da qui a giovedì, che Maria sia obbligata a punirlo privandolo della passeggiata. - I due fratelli sono convinti, una volta di più, che il loro fratello maggiore è proprio un «tipo geniale», come dice Mano. - Bastava pensarci, - dice modestamente Francesco. - Chi di noi? - domanda Maurizio. A questo punto la situazione si complica sempre Maurizio che ha l'abitudine di fare più monellerie degli altri, ma è anche il più piccolo e il beniamino di Maria, e i due più grandi lo sanno. Perchè c' è il caso che Maria gli perdoni tutto per non privarlo del divertimento. - E poi, - aggiunge Francesco - a Maurizio dispiacerà di più di non andare al bosco delle Fate. Per me, invece, fa lo stesso, se rimango in casa. - Anche per me. - Anche per me.... Voglio fare quante più monellerie potrò; - dice Maurizio - ma avevo proprio voglia d'esser buono in questi giorni, ed è molto difficile esser cattivi, quando ce lo dicono.... - Ti occorre qualche ispirazione? - domanda Francesco, serio. - Proprio, - risponde Maurizio, che sdegna l' ironia. - Vuoi che tiriamo a sorte per vedere chi dovrà farsi punire?

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. - Infine, - dice Francesco adirato - sono abbastanza grande, credo.... - E Maria, debole, cede. Essa versa il contenuto della bottiglia in un bicchiere, lo posa sul comodino e scende in cucina. In un batter d'occhio Francesco s' impadronisce del bicchiere e lo porta a « sua figlia». Ne ha versato un po' per la strada, ma ne rimane abbastanza per il gusto di Nicoletta. Francesco la induce a bere. - Non è buona, - dice essa con una piccola smorfia. - Ma ti guarirà. Mia cara Nicoletta, bisogna assolutamente che tu la beva per farmi piacere. - E Nicoletta vuota docilmente il bicchiere. - Fra poco ti porterò qualcosa di caldo.... - Così cattivo? - No, no, molto più buono. E domani sarai guarita. - In due salti Francesco ridiscende da Alano e posa il bicchiere vuoto sul comodino. I due ragazzi sono molto curiosi di sapere se Nicoletta ha preso bene la medicina. - Benissimo, - risponde Francesco. - Ora bisogna che le porti il decotto.... Non so come fare. - Ma trascorre una buona mezz'ora prima che Maria riapparisca, e i fanciulli hanno tutto il tempo di pensarci. Quando essa arriva, con la tazza del decotto, Alano non è più nel letto. - Dov' è il signor Alano? - domanda essa, con stupore. - Dice che è guarito, e che gli è bastato di vedere il dottore, - risponde Maurizio che è rimasto solo. - Non ha preso la purga? Dov' è, ora? - In giardino con Francesco. - In giardino!... - Maria sta per soffocare. Posa la tazza e corre in giardino. Trova Alano, senza Francesco, che corre come un pazzo. Maria è fuori di sè. - Signor Alano! - Alano arriva di corsa e salta al collo della vecchia. - Maria, sono guarito, sono guarito! - E la prende per le mani e balla davanti a lei. Ma essa non ha voglia di ridere. - Signor Alano, avete fatto molto male, - comincia essa. Ma Alano non la, lascia finire. - Come, ti dispiace che io non sia ammalato? Ci tenevi molto che io stessi a letto? - Ma chi mi dice che siete guarito? soltanto per non prendere la purga che fate così. E se dopo vi sentirete peggio? - No, mia cara Maria, non sarò più malato; sto proprio bene; guarda come ballo. - E Alano riesce a trascinare, in un girotondo poco dignitoso, la vecchia Maria che ripete: - Mi domando se è permesso di burlarsi così della gente! - Maria non ha ritrovato la tazza del decotto dove l'aveva messa. Con suo grande stupore Francesco le annunzia che l' ha portata in cucina. - E avete buttato via tutto, - domanda Maria - la medicina e il decotto? - Tutto, - risponde Francesco. Maria ricomincia a dire che non è permesso prendersi giuoco della gente in quel modo. Ma quella mattina i ragazzi hanno l'argento vivo addosso, e Maria non può far nulla. La trattengono nella stanza da studio e la obbligano a giocare come quando erano piccoli. Francesco intanto è scomparso, dichiarando che andava a dare un ultimo tocco al ritratto. - E i compiti? - dice debolmente Maria. - Stamattina facciamo vacanza in onore della malattia di Alano. - E Maria ha ceduto. È così contenta quando i ragazzi ritornano piccini e vogliono giocare con lei! La mattinata passa. Francesco l' ha trascorsa quasi tutta con Nicoletta, che sta già un po' meglio. Essa ammira molto il sacrificio di Mano, che ha rischiato di prendere una purga per lei. - E se Maria l'avesse costretto a berla? - domanda essa. - Non so se l'avrebbe bevuta, - risponde Francesco. - È già una cosa abbastanza noiosa quando si è ammalati. - Oh, sì! - sospira Nicoletta convinta.

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Al tempo dei tempi

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Emma Perodi 4 occorrenze
  • 1988
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Finalmente un giorno il Re scese dalla schiava, le si gettò in ginocchio e la supplicò tanto, che Rosetta, convinta che le voleva bene davvero e che era abbastanza punito del disprezzo con cui l'aveva trattata, acconsentì ad accettarlo per isposo. Fece venire il padre e le sorelle a Palermo e lo sposalizio si fece con gran pompa.

- Signor padre, non dovete negarmi quel che vi chiedo, abbastanza sono infelice; mi promettete che anderete dal Re e gli riferirete le mie parole? - Il mercante voleva molto bene a tutte le figlie, ma quella minore era la sua prediletta. Nel sentirsi pregare a quel modo da lei, non seppe dirle di no. Basta, partì, andò a Palermo e dopo che ebbe sbrigato i suoi affari, s'incamminò verso il Palazzo Reale,

Cambiava ogni momento le cameriere del Palazzo Reale perchè gli pareva che non fossero abbastanza pulite, e le voleva giovani, non giovandosi che le vecchie lavassero la sua biancheria, gliela stirassero, nè gli spolverassero i vestiti. Una volta ne mandò via una sui due piedi perchè la vide grattarsi la testa con l'indice; un'altra volta ne cacciò una come una ladra perchè la sorprese con la punta del mignolo nel naso. Un giorno poi mise sottosopra tutto il palazzo e fece correre anche le guardie perchè vide una pulce attaccata alla carne del collo di una povera donna di faccende. Dunque il Re cercava sempre donne di servizio e ogni tanto domandava a' suoi camerieri: - Dite, ce l'avreste una ragazza giovane, sana e pulita di molto per entrare al mio servizio? - Venne il giorno che fece questa domanda anche a quel cameriere che aveva veduto cader l'acqua dal terrazzino della casa di donna Peppa e di donna Tura. - Don Giovanni, - gli disse il Re - che novità ci sono? - Io, Maestà, non ho alcuna novità da raccontare; soltanto oggi ho adocchiato una certa casa dove deve esservi una ragazza bella e pulita; se Vostra Maestà la vuol vedere.... - Sì, don Giovanni, la voglio proprio vedere e subito domattina prima di mezzogiorno. - Vedremo, Maestà! - Che vedremo! - ribattè il Sovrano. - Con me non si dice vedremo! Domani quella ragazza ha da esser qui a tutti i costi, così ordino, e così voglio! - Quando il Re ordinava e il Re voleva, bisognava obbedire senza fiatare. E così fece don Giovanni, che uscì, camminando all'indietro, senza risponder nulla. La mattina dopo era appena giorno quando il cameriere andò a bussare all'uscio delle due sorelle. - Chi è? - domanda donna Peppa fra il sonno, con una vociaccia più brutta di lei. Il cameriere, nel sentire quella voce chioccia di donna bavosa e vecchia, stava per fuggire, ma poi pensò: - Sarà la donna di servizio, - e rispose: - Sono il cameriere di Sua Maestà il Re nostro signore per grazia di Dio! - Ma che re e non re ! Noi col Re non abbiamo mai avuto nulla da spartire, e a quest'ora non si viene a molestar la gente; andatevene! - La sorella, sentendo che era un messo del Re, mise le gambe fuori dal letto, s'infilò la sottana e scese per andare ad aprirgli. Risalì col cameriere e questi si guardò intorno e domandò: - Che siete sola? O le altre dove sono? - Ma si può sapere chi cercate? - domandò donna Tura mettendosi le mani sui fianchi e fissandolo con gli occhietti di porco. - In casa ci sono io, e lì in quella stanza c' è la mia sorella Peppa. - Chiamatela, chè debbo parlare con lei. - Donna Tura, lemme lemme andò a chiamarla. Quando il cameriere si vide davanti quelle vecchie orrende, si sgomentò tutto, ma pensò: - Col Re non si scherza, e se lo faccio aspettare e non gli porto nessuno, sale in furia e mi manda certo a morte; se, invece, vede un orrore di donna, è capace di mettersi a ridere e di sgridarmi soltanto; dunque è meglio portargliene una di queste, benché facciano spavento tutt'e due. - Allora il cameriere disse a donna Tura, che era la maggiore: - Il Re vi vuole subito, e il Re non intende di aspettare. Dunque vestitevi per bene e io vi ci accompagno. - Ma il signor Re che può mai volere da me? - Non lo so, e non facciamo chiacchiere inutili. Piuttosto sbrigatevi in un momento. - Donna Tura andò in camera sua tutta tremante e confusa. E mentre si pettinava i cernecchi, pensava: - Ma che vorrà mai il signor Re? Ma che vorrà? - Quand'ebbe terminato di pettinarsi, si mise una sottanuccia nuova di cotone a fiori, un paio di pendenti falsi, un vezzo di vetro, si legò intorno al collo enorme un nastro vecchio, perchè era povera, e si infilò un paio di scarpe, le meglio che avesse. Poi si buttò sulle spalle una certa mantellina dell'anno mai, e così agghindata, che pareva la Befana, si presentò al cameriere. Non appena don Giovannino la vide, si sentì morire e sospirando disse: - Via, andiamo!!! - Scendono le scale, escono e salgono nella carrozza che aveva portato il cameriere e i cavalli partono. Ma avevano fatto pochi passi che donna Tura disse: - Fatemi il favore di far fermare un momento che debbo scendere, - e lo disse con l'intenzione di scappare e non tornar più perchè non aveva coraggio di comparire davanti al Re così brutta e mal vestita. Il cameriere chiama il cocchiere, fa fermare e donna Tura scende e tutta piangente imbocca un vicolo e si mette a correre all'impazzata, ansando come un mantice. Mentre correva così, senza sapere dov'andarsi a nascondere, viene a passare una Fata, che, vedendola tanto disperata, la ferma e le dice: - Figlia, che hai che piangi tanto? - State zitta! Peggior disgrazia non poteva capitarmi. Il Re mi ha mandata a chiamare, e come faccio a presentarmi a lui così brutta e vecchia da far paura? - Figlia mia, non t'affliggere; non sei brutta davvero; anzi, sei tanto bella, - e le passò la mano sulla testa, sul viso, sulle spalle e poi se ne andò. Bastò quella carezza della Fata perchè a un tratto da brutta si facesse bella, da vizza si facesse fresca. E come cambiò lei, così cambiò tutto quello che aveva addosso: il vestito si convertì in un abito sontuoso di broccato, i pendenti falsi in orecchini di diamanti, il vezzo di vetro in un magnifico vezzo di perle e quel mantellaccio dell'anno mai in un sontuoso mantello tutto foderato d'ermellino. Donna Tura, quando si vide così ben vestita da parere una principessa, smise a un tratto di piangere, si fece tutt'allegra e tornò addietro a cercare la carrozza. Figuriamoci come restasse il cameriere nel vedere quella bella ragazza che gli faceva cenno di aprir lo sportello! - Ma chi è lei? - le domandò. - Chi sono? Ma quella di poco fa. - Ma come mai in un momento è così cambiata? - Questo non deve importarvi; aprite e andiamo dal Re! - Il cameriere si sentì allargare il cuore di condurre al Re quella bella cameriera vestita come una gran signora e dette ordine al cocchiere di sferzare i cavalli. Arrivarono al Palazzo e don Giovanni per una porticina e per una scala di servizio, condusse donna Tura in un salottino privato del Re e le disse d'aspettare. Quando il Re entrò la squadrò da capo a piedi. - E lei chi è? - le domandò. Donna Tura fece una bella riverenza e rispose con una vocina tutta latte e miele: - Maestà, sono la nuova cameriera portata da don Giovanni. - Badi, - le rispose il Re che vedendola così bella e ben vestita non s'attentava a darle del voi come alle altre - io sono molto esagerato per la pulizia. - Per questo, - rispose donna Tura - Vostra Maestà può stare tranquilla, perchè io sono veramente sofistica e non posso tollerare nè macchie, nè polvere e non mi piace altro che l'acqua. Guardi le mie mani, come sono pulite, e le unghie? Così le tengo sempre anche quando faccio il servizio. - Il Re s'accostò per guardarle le mani e sentì che la cameriera era tutta profumata. - Bene! Bene! - esclamò. - Lei è proprio la cameriera che fa per me, e lei sola pulirà i miei abiti, avrà cura della mia biancheria e delle mie stanze particolari. Se mi contenta, non dubiti che la pagherò bene e alla mia Corte potrà invecchiare. - Donna Tura fece un'altra bella riverenza e uscì per farsi indicare dal cameriere quel che doveva fare. Ora lasciamola e torniamo all'altra sorella. Donna Peppa, il giorno dopo, aspetta aspetta, e non vedendo tornare la sorella, si veste e va al Palazzo del Re a cercarla, e là giunta la fa chiamare. Donna Tura le va incontro tutta impettita e la guarda d'alto in basso come se neppure la conoscesse, perchè era brutta e vestita male e, senza neppur lasciarla parlare, le mette in mano un'elemosina e le dice: - Buona donna, eccovi una moneta, andate in pace! - Donna Peppa se ne andò, brontolando e sputando veleno, e si fece anche più gialla e più secca dalla grande invidia che la rodeva. - Come, siamo cresciute insieme, siamo invecchiate insieme, siamo sorelle e mi tratta così? -

- La signora aveva inteso abbastanza. Fece cenno alla cameriera di salutare la comare e tutte e due se ne andarono: Vincenza tutta lieta, la signora con un diavolo per capello. Arrivò a casa di corsa e tutta trafelata andò dal figlio e gli disse: - Quella ragazza tu non la sposerai, se la madre non confessa come da pezzente è divenuta signora! - Il povero Cavaliere si sentì morire. Egli non voleva dire che i quattrini a donna Paola glieli aveva dati lui, e a Maricchia non voleva rinunziare. - Perchè prestate orecchio alle calunnie? - Non sono calunnie; è la verità che un mese addietro donna Paola stava in una catapecchia ed era una pezzente, dunque? - Avrà rivendicato qualche eredità! - Ma che eredità, se è figlia di poveri, se il marito era facchino del porto, se.... - La signora soffocava dalla rabbia all'idea che suo figlio potesse imparentarsi con certa gente. - Io sposerò Maricchia anche figlia di facchino, anche povera! - disse. In quel mentre capitò il padre, che aveva udito il diverbio, e quando fu informato del motivo di esso, dichiarò anche lui che non voleva assolutamente che si facesse il matrimonio, anzi ordinò al figlio di prepararsi a partire per Palermo ove aveva un vecchio zio, e gli promise che la moglie l'avrebbe trovata più bella di Maricchia e certo di miglior condizione, e senza dargli tempo d'avvertirla, lo fece imbarcare su una nave già pronta e lo spedì via. Torniamo a Maricchia. Aspetta aspetta il Cavaliere, il Cavaliere non si vedeva e Maricchia era nelle smanie. Passa un giorno, ne passano due, ne passano tre, finalmente Maricchia manda la cameriera al palazzo del promesso sposo a prender notizie, e la cameriera fa l'ambasciata a donna Vincenza. - Mi manda la signorina Maricchia a prendere notizie del suo promesso sposo, lo riverisce e gli fa dire che aspetta con impazienza una sua visita. - Risponde donna Vincenza trionfante: - Dite a Maricchia, figlia di Totò il facchino del porto, che il Cavaliere è andato a Palermo a sposare una signora pari suo e che tornerà soltanto con la moglie. -

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