Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbastanza

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Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

188499
Pitigrilli (Dino Segre) 14 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Come se di nemici non ne avessi abbastanza, con questo " Galateo „ ho voluto farmene ancora qualcuno. P.

Ecco il problema, abbastanza conosciuto, ma sempre nuovo, perchè nessuno ne ricorda la soluzione: Un capo cannibale dice ai suoi tre prigionieri: «Questi sono tre bottoni bianchi e due bottoni neri. Un bottone sarà cucito sulla schiena di ciascuno di voi e ognuno dovrà indovinare il colore del proprio bottone. Ognuno avrà il diritto di guardare il colore del bottone degli altri due, senza rivelarlo, beninteso, e di ascoltare le risposte». Se uno di voi indovina e ne dà la dimostrazione, sarete liberi tutti e tre. Il terzo interrogato avrà gli occhi bendati senz'altra guida che le risposte udite dei primi due interrogati. Fatti i preparativi, il primo rispose «non so». Il secondo, «non so». Il terzo, che aveva gli occhi bendati, indovinò, ma che cosa rispose? Soluzione: Il terzo che aveva gli occhi bendati, rispose che il proprio bottone era bianco. - Dimostralo - disse il capo cannibale. - Facilissimo - rispose il prigioniero. - La base del ragionamento è questa: se uno dei due primi interrogati avesse visto due bottoni neri, avrebbe concluso che il suo era bianco. Io dico che il mio bottone è bianco, perchè non può essere nero. Infatti, supponiamo che io abbia un bottone nero. I due primi hanno dunque visto questo bottone nero sulla mia schiena. Ora, avendo il primo risposto che ignorava il colore del proprio bottone, divenne evidente per il secondo che lui, il secondo, non poteva avere che un bottone bianco. Essendo rimasto nel dubbio, bisogna concludere che il mio bottone non è nero. E' bianco. E così il capo tribù liberò i tre, la professoressa sposò il discepolo, Dio benedisse le loro nozze, e dopo cinque mesi ebbero un figlio, che rivelerà presto una forte disposizione per il ragionamento matematico. Ma se voi proponete il problema in un gruppo di amici, uno dirà a casaccio «bianco» o a casaccio «nero». Un altro dirà che il problema è insolubile perchè il terzo aveva gli occhi bendati; un altro protesterà contro il vostro attentato all'integrità delle sue meningi; un altro... La gamma della stupidità umana è troppo estesa perchè io mi avventuri in supposizioni. Provate! E se poi volete assistere a una esplosione di cretineria, vi offro un ultimo test, il più intelligente che io abbia trovato finora. E' ragionamento puro. In un'isola imaginaria, vivono bianchi e neri. I bianchi dicono sempre e solamente la verità. I neri mentono sempre. Qualunque cosa i bianchi dicano è vero, qualunque cosa dicano i negri è falso. Una notte senza luna passano in una piroga tre uomini. Un tale che è sulla riva, domanda: «Siete bianchi o siete neri?» Il primo dà una risposta, ma non si odono le sue parole, perchè se le porta via il vento. Il secondo dice testualmente: «Ha detto di essere bianco; è proprio bianco; anch'io sono bianco». Il terzo, dice: «No, è un nero. Io sono bianco». Domanda: di che colore sono i tre? Ebbene, non avrete ancora finito di esporre il problema, che qualcuno o qualcuna risponderà: «Sono tutti e tre neri, perchè mentono». Oppure: «Due neri e un bianco». Oppure «Il primo è nero perchè non ha voluto rispondere». Guardatevi bene dallo sposare costui o costei. O dall'intraprendere qualcosa di serio insieme. E se volete spingere la vostra indagine psicologica all'estremo limite, osservate come reagiranno quando voi darete la soluzione, e le obiezioni che si scateneranno, e le cadute e ricadute da una stupidaggine all'altra, e la lentezza nel ragionare e la refrattarietà a capire. La soluzione è questa: Come avrà risposto il primo del quale non si udì la voce? Avrà risposto «io sono bianco», perchè o è bianco, e allora ha risposto io sono un bianco perchè dice la verità, o è un negro, e avrà risposto io sono un bianco perchè i negri mentono. Quando il secondo, affermando che il primo «ha detto di essere bianco» ci dà la dimostrazione di dire il vero, ne deduciamo che è un bianco. Ormai la verità la sappiamo, e concludiamo che il terzo mente, e perciò è un nero. Conclusione: il primo è un bianco, il secondo un bianco, il terzo un nero. Ma, conclusione delle conclusioni, avrete scoperto che razza di cranio avete come compagno d'ufficio, di caffé o di letto matrimoniale.

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Il pubblico è il tuo termometro, il tuo barometro, il tuo voltimetro; quando lo interessi è immobile, tutti gli sguardi sono rivolti verso di te, se arriva un ritardatario, colui che deve spostarsi per cedergli il passaggio assume un'espressione contrariata: ha l'aria di lagnarsi perchè questo disturbatore non fa abbastanza in fretta, è giunto nel momento più interessante e avrebbe fatto meglio a rimanere in piedi in fondo alla sala; e dopo che è passato, il signore che gli ha ceduto il passaggio si slancia con lo sguardo ancora più attento verso il conferenziere, come per ricuperare le gemme che ha perduto. Se invece si annoia, l'arrivo di un ritardatario è una distrazione, un diversivo: lo guarda, lo segue, gli sorride, e se l'altro gli chiede scusa, egli si prodiga in inchini e in sorrisi e lo segue con lo sguardo fino a che non si è comodamente seduto. L'interesse dell'uditorio è dimostrato dalla immobilità e dal silenzio; quando tutte le teste oscillano, si voltano indietro, si studiano a vicenda, e le borsette delle signore si aprono e si chiudono, e si sente il fruscio della carta delle caramelle, e i signori accavallano e scavallano le gambe, dànno un'occhiata all'orologio, al programma, alle proprie unghie, allora vuol dire che la tua conferenza è fallita. 7°: Ma queste cose tu non le puoi vedere se leggi. Se invece parli e le vedi, e non hai l'abilità necessaria a risollevare l'interesse, non credere che basti ogni tanto alzare la voce, assumere un tono polemico e rivendicatore come se tu affermassi una coraggiosa verità che nessuno finora ebbe la temerità di proclamare. Ormai il pubblico non ti segue più. Quando l'interesse è esaurito, è come se l'uditorio fosse già per le scale o nella strada. Non è ricuperabile. La sola salvezza è tagliare, tagliare eroicamente, anche se ti pare che il taglio sia brusco, che la dimostrazione che volevi dare di un tuo pensiero sia incompleta. Nessuno si accorgerà che il tuo taglio è violento, perchè a questo punto di noia e di esaurimento, il pubblico ha rinunciato a seguirti; tu potresti, oramai, inserire nella tua prosa una pagina dell'annuario del telefono, un capitolo della Bibbia, la biografia dell'inventore del paracqua, e nessuno si domanderebbe «ma che c'entra?», perchè da venti minuti non ti seguivano più. Un taglio improvviso apparirà coerente come apparirebbe coerente la lettura dell'orario ferroviario; nessuno aspettava che tu dicessi cio che sopprimi, come nessuno si meraviglierebbe delle più stravaganti aggiunte. 8°: Il coefficiente di sopportazione del pubblico è limitato. In linea generale posso offrirti dei dati: una conferenza con i fogli di carta in mano non deve durare più di venticinque minuti, perchè al ventiseiesimo il pubblico comincia a considerare lo spessore dei fogli che ti rimangono, a guardare se i rimanenti sono impermeabili alla luce della lampada o se lasciano già filtrare una rosea e promettente luce crepuscolare. Altri si domandano se le pagine che hai letto le hai posate da parte o se le hai collocate sotto quelle che ancora debbono passare. Considerazione che, oltre a impedire all'uditorio di seguire il tuo argomento, aumenta la sua intolleranza. Se invece di leggere delle pagine invariabili, implacabili e insopprimibili, tu parli senza appunti, con gli occhi negli occhi del tuo pubblico, e girando lo sguardo come un riflettore di qua e di là per la sala, la cerimonia non deve oltrepassare i 55 minuti. Al cinquantaseiesimo il pubblico è stanco; metà del pubblico ti ha già mentalmente abbandonato da un quarto d'ora. 9°: Esigi che accanto a te non ci siano lampade; dànno fastidio. Che la sala sia illuminata in pieno e che sulla tribuna o sul palcoscenico si diffonda una luce discreta. Tu devi vedere il tuo pubblico, per metterti in sintonia con lui, per dare a te stesso la sensazione che tu sia il suo interprete, che tu non gli tenga una lezione, ma gli faccia delle amichevoli confidenze. 10°: Non credere agli applausi che, partiti da un piccolo gruppo o da un parente isolato, si sono estesi faticosamente alla sala. Sono applausi autentici quelli che esplodono collettivamente e non ti permettono di finire la frase. Tutto il resto è usanza mondana, accettazione sociale, «tanto non costa nulla». 11°: Quelli che poi ti diranno che è stata «un'ora di fine godimento spirituale» sono tutti bugiardi. 12°: Le conferenze sono un castigo di Dio. Il solo momento emozionante è quando l'oratore dice: «Ma non voglio abusare della vostra pazienza e mi affretto a concludere».

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Colui che rende un servizio crede di aver dato il massimo; quello che lo riceve è convinto di non avere avuto abbastanza e finisce per raggiungere la sicurezza che tutto sarebbe andato bene e forse molto meglio senza il vostro intervento. Un proverbio spagnuolo (anche una persona di spirito può, una volta nella vita, citare un proverbio Prometto che non lo farò più. dice che «cada comedido sale jodido», ogni piacere, ogni servizio, riesce fottuto. E poiché la serie rossa non è infinita, e inevitabilmente tutte le situazioni si rovesciano, dopo un certo tempo, come una clessidra, colui che vi ha chiesto la presentazione al ministro, alla professional beauty, all'agente di cambio o a vostra moglie, il giorno che constaterà un passivo nel bilancio delle proprie avventure, vi dirà: - Me lo hai presentato tu.

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Nei giorni di visita i bimbi stiano nella «nursery», e se non puoi pagarti questo lusso, mandali a passeggio in un giardino pubblico, ma i tuoi angioletti goditeli tu e non imporli alla ammirazione del prossimo, che ne ha già abbastanza dei suoi.

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E fra la sigaretta e il foot-ball, mi pare che di servitù volontarie ne abbiamo più che abbastanza. Non esagerare in temerità citando le frasi dei grandi uomini («più suonano forte e più mi piace»; « la musica è il più costoso dei rumori»), perchè non faresti altro che esasperare l'amor proprio di colei o di colui che assume il ministero di decongestionarti il timpano. Non so chi ha detto che la musica intenerisce i cuori più duri. Forse ha voluto usare un riguardoso eufemismo per dire che rompe le scatole più robuste. Ignorando questa mia variante, l'appassionato di musica piomberà su di voi, col peso delle sue dieci dita e la violenza dei suoi pedali per ammorbidirvi il cuore. Il tentato proselitismo dei musicisti non ha confronto in nessuna religione e in nessun partito politico. Il motivo? E' molto semplice: se a colui che vi offre il whisky voi dite che non prendete whisky, egli non insiste perchè è tanto whisky risparmiato; ma se vi negate alla musica, voi oltraggiate il povero dilettante; colui che dal vostro rifiuto riceve un danno, è lui; e quello che gli nega qualche cosa siete voi; senza di voi e altra mezza dozzina di cavie come voi, tutte le fatiche del suonatore sarebbero inutili. Il dilettante e la dilettante sostengono che «suonano per se stessi». Ma non è vero; suonano per farsi ascoltare: la vittima designata che si sottrae ai loro esperimenti costituisce un'occasione perduta di farsi sentire. Noel Clarasò ha scritto: «Può darsi che parlare di musica non sia interessante, ma parlare durante la musica lo è sempre: anche coloro che confessano di amare la musica, dormono durante una terza parte dei concerti, e se qualche spirito estremamente sensibile non può conciliare il sonno dopo aver udito una sinfonia, lo si deve unicamente all'aver dormito abbastanza durante l'audizione». Se questo sollievo è possibile in una pubblica sala a pagamento, non riesce in una casa, in mezzo al «circolo di famiglia», dove tutti ti osservano, tutti stanno svegli per il tumulto che li agita: la madre, vibrante per la battaglia vinta sul padre che non voleva saperne; il padre, per i denari sperperati in lezioni, in partiture e negli onorari incontrollabili dell'accordatore che è sempre per casa e non si sa bene che razza di lavoro faccia; le amiche per le quali la suonatrice ha della tecnica («è una macchinetta» - dicono graziosamente) e manca di sentimento oppure ha un po' di sentimento perchè è una stupida, ma sbaglia le note e mette troppo pedale. Finito il saggio si aspettano da voi l'incenso. C'è tutto un vocabolario: «il tocco, i legamenti, i pianissimo, le note brillanti». La frase che fa effetto e non costa più delle altre è questa: - Signorina, sotto le sue dita, la tastiera non è più una tastiera: e tutta un'orchestra. Se proprio ci siete cascato, ditela anche voi questa frase bugiarda, sebbene vi venga la voglia di esprimervi come Labiche, che, invitato dalla padrona di casa a dir qualcosa di gentile al virtuoso, gli domandò: - Ebbene, avete finito, piccolo scocciatore?

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Se non lo è, per idiota che sia la nostra poetica prosa, non sarà mai abbastanza idiota. Nel primo caso conviene ridurre al minimo le occasioni di far ridere. Un invito a un concerto, alle corse, a una prima; un cesto di frutti esotici, qualche bottiglia di champagne, un libro dicono meglio che le solite frasi. E non fanno ridere. In più, provocheranno come risposta una telefonata, un incontro. Con una donna di una certa categoria mentale è più delicato «far capire» che «dire». Il «dire» si ridurrà a esprimere il desiderio di vederla, di udirla, di passare mezz'ora nel suo campo magnetico. Se invece è di una categoria scadente, si può tirar fuori la batteria di cucina del cuore, del sentimento, dell'anima, di «tutta la vita», del «la più bella», l'unica, l'eletta, la «differente da tutte le donne». E' questa la linea da seguire quando si tratti di una donna resa indipendente dalla vedovanza, dal divorzio, dal coniuge in alto mare, non sposata, artista, professionista o consorte addivenuta a un accordo col marito, il quale se ne va per gli affari di cuore suoi. Se sopravvive qualche giovanotto retrogado, che per fidanzarsi con una fanciulla all'antica segue la vecchia procedura, sappia che le sue lettere saranno commentate dalla mamma, dai parenti ragguardevoli e dal parroco. Usi quindi le formule convenzionali: «unire il mio destino al Suo», «renderla felice, costruire un focolare», «trovare nei Suoi genitori un babbo e una mamma» e altri fiori secchi dell'immortale erbario romantico. Quest'ultima classe di fanciulle allevate nelle incubatrici di provincia si va rarefacendo. Le signorine d'oggi, laureate, laureande, impiegate, professioniste, hanno eliminato quel retorico vecchiume. Un pomeriggio la signorina torna a casa un po' più radiante del solito, si dà un colpo di pettine e un tocco di rouge nell'ascensore, butta su una sedia la borsa e i guanti, e annuncia: - Sposo il Tal dei Tali.

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Rimane il tempo di finire la sera in un teatro o in un variété, per medicarsi la gola e gli orecchi delle sciocchezze dette e udite durante il pasto; o, se non si crede di averne ancora dette e udite abbastanza, si può andare in casa di quello fra i commensali che ha delle poltrone comode, del whisky ragguardevole una intelligente biblioteca. Ma se proprio sei decisa a invitare in casa tua - articolo settimo - abbi almeno la precauzione di radunare persone che già si conoscano e abbiano un minimo di affinità mentale. Il vecchio sistema di alternare un signore e una signora è infondato, a meno che la tua non sia una casa di appuntamenti o un'agenzia matrimoniale. Due uomini politici cóllocali a grande distanza, per evitare che improvvisino un meeting: due cacciatori cóllocali vicini, in modo che si smaltiscano a vicenda le loro eroiche fanfaronate, senza che l'uno affligga l'uditorio con le virtù del suo setter, e l'altro con la precisione del suo fucile o la furberia dei coccodrilli del lago Tanganika. Se c'è un poeta, sistemalo fra due donne belle e analfabete (non scarseggiano mai), così gli impedirai di toccare il più impopolare di tutti gli argomenti: la letteratura.

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Quando gli presentarono il conto raccapricciante, D'Aurevilly constatò che aveva abbastanza per pagare il padrone, ma non gli rimaneva per dare la mancia. - Cameriere, ho lasciato tre fragole. A tre franchi l'una, sono nove franchi. Mangiátele, sono per voi. Agì molto male quello scrittore. L'albergatore e il cameriere vendono due merci differenti: primo vende vino, carne, vegetali e dolci; il secondo vende dell'imponderabile, dell'inafferrabile e del relativo, ed è per questo che la mancia non dovrà essere soppressa nemmeno il giorno in cui invece del 22 per cento il cameriere percepirà il 100 per 100 sull'importo. Chi non vuole andare al restaurant si comperi pane, formaggio e un fiasco di vino, e si consumi il suo pasto in casa, o a cavalcioni sul parapetto di un fiume o nella sala d'aspetto della ferrovia.

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Beniamino Franklin, uomo di incontestabile tatto - fu ambasciatore degli Stati Uniti in Francia in un quarto d'ora abbastanza difficile - diceva: «Io non critico nessuno; io dico tutto il bene possibile». Non criticare, non giudicare. Non dire «ingrassi, stai dimagrando, non sei stato bene?». Formule sconsigliabili che gli inglesi chiamano «personal remarks». E non dire nemmeno: «Ma hai la faccia della salute», perchè quel «ma» sembra il grido di protesta di tutti gli impresari di pompe funebri della città. Non consigliare il medicinale che ha fatto bene a te; non è detto che faccia bene a lui; gli stessi lubrificanti non servono per due motori diversi, né per le diverse parti di un motore. Non dare consigli. Un signore carico d'anni e di autorità disse a una giovinetta di non fumare, perchè il fumo... - Mio nonno è morto a novant'anni - rispose la giovinetta. - E che vuoi dire con questo? Tuo nonno è morto a novant'anni e fumava? - E' morto a novant'anni e non si è mai impicciato degli affari altrui.

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Ce n'era abbastanza per farlo assolvere per insufficienza di prove. Ma il vecchio innocente, per un'involontaria reazione, disse fra sé e sé: «Dio sia lodato! Ecco uno che non mi ha riconosciuto!» Voleva dire: «Ecco finalmente un galantuomo che ha la lealtà di mettersi contro i testimoni di accusa, e con una probità che contrasta con la faciloneria e l'incoscienza dei soliti testimoni, ha l'onestà di non riconoscermi!». La frase fu raccolta da uno dei tre giudici, che la interpretò in altro senso, come se avesse voluto dire: « io sono colpevole e non mi ha riconosciuto!» Quelle parole significavano il contrario. Il tribunale (che il Cielo ci liberi dagli psicologi togati e dagli psicologi in uniforme!) aderì alla sua tesi, e pronunciò la condanna a morte, che fu confermata dalla Corte d'Appello de la Tournelle. Due giorni dopo che l'innocente fu giustiziato, un criminale condannato alla stessa pena per un altro delitto dichiarò sullo stesso patibolo che il colpevole era stato lui. Piccolo contrattempo che, come al solito, non compromise la carriera dei tre signori del Tribunale e delle cinque Eccellenze della Corte, né tolse loro l'appetito, ma intanto un innocente per mancanza di self-control aveva lasciato sulla ruota le ossa e la vita.

Pagina 316

La poetessa Anna de Noailles era abbastanza bella, con quei grandi e neri occhi greci vista di fronte, ma vista di profilo, ahimè, non aveva la purezza di Giovanna Tornabuoni nel ritratto del Ghirlandaio. Nella campagna elettorale del primo dopo-guerra ostacolò l'elezione di un tale, che aveva avuto la sincerità (la sincerità non è un lusso accessibile a tutte le corse) di dirle che era più bella di faccia che di profilo. Nel mondo degli artisti, questi eroi senz'armatura, questi semidei senza genealogia soprannaturale, la suscettibilità circoscritta a un punto della loro personalità è più frequente che presso la gente comune, forse perchè hanno una personalità più importante da difendere. Mentre suonava a un ricevimento principesco, Beethoven, accortosi che un invitato conversava sotto voce con una bella signora dell'aristocrazia, si alzò di scatto, strappò la musica e uscì senza salutare. E guai a parlargli di Mozart! Insoddisfatto dello scarso successo di cassetta del proprio «Fidelio», Beethoven esaminò i conti dell'impresario, il quale gli spiegò che non si erano venduti i palchi di second'ordine, ma che per l'avvenire... - Io non scrivo per il loggione! - protestò Beethoven. L'impresario, il barone Braun, ebbe la cattiva idea di rispondergli: - Eppure nemmeno Mozart disprezza il loggione. - Ebbene, si faccia scrivere le opere da Mozart! E proibì che da quella sera si rappresentasse il «Fidelio».

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Non disporre a canne d'organo i grissini, e - non sarà mai abbastanza ripetuto - non fare pallottole di mollica di pane; per quanto limpidi siano i tuoi polpastrelli, le pallottole diventano grige. Il cucchiaio. L'estetica consiglia di non introdurlo in bocca per la punta, bensì di avvicinarlo alle labbra per la curva più ampia. Non si deve succhiare lo strumento a fondo a ogni cucchiaiata, e quando rimane un po' di liquido nel piatto, non lo si sollevi da una parte per racimolare le ultime gocce. Il sugo non va raccolto col pane, ma poichè quel sugo fu oggetto di cure particolari di uno specialista, invece di disprezzarlo lo si raccolga con un pezzo di carne o con un legume. E' consuetudine che il formaggio non si mangi con la forchetta, ma lo si posi su un pezzo di pane. Consuetudine. Mi pare che la forchetta renderebbe assai più comoda l'operazione senza obbligare a un gioco di equilibrio, che qualche volta non riesce; ma conviene sottomettersi alle usanze per dimostrare che non le si ignora. Non credo che a una tavola appena decente si giunga a tal livello di degradazione da offrire delle ova al guscio; può accadere, se c'è un dispeptico. In questo caso il dispeptico faceva meglio a ruttare a casa sua, o ad andare al sanatorio. Non c'è nulla che tolga l'appetito come la vicinanza di un dispeptico. Il problema di mangiare l'ovo «à la coque» ha diviso i tecnici in due scuole, i «grosboutiens» e i «petitsboutiens», sostenendo i primi che lo si deve rompere dalla parte più larga - le gros bout - e i secondi da quella più acuta - le petit bout. - Non ho preferenze, e per conto mio lascio insoluto il problema. Ciò che è da evitarsi è di intingere il pane. Vuotato l'ovo c'è l'uso di rompere il guscio. Non è obbligatorio. Gli spiriti pratici affermano che questa rottura tende a evitare che il cameriere portandolo via lo proietti per forza centrifuga fuori del piatto. Coloro che spingono lo sguardo oltre il velo del mistero, invocano l'autorità di Lévy-Bruhl, che immergendosi nell'etnologia, nella magia, negli arabeschi inesplorabili dell'anima primitiva, sostiene che un mago o una strega, essendosi procurato il guscio dell'ovo che voi avete mangiato, tiene in suo potere la vostra vita e la vostra anima. Io, più modestamente, penso che rompere il guscio sia da evitarsi, perchè si debbono risparmiare tutti i rumori, e con nessuna eccentricità si deve attirare l'attenzione sopra di sé. A una tavola di gente educata non si deve udire l'urto delle posate sui piatti; è questa una raffinatezza che non si impara da un giorno all'altro; conviene abituare i bambini fin dal giorno in cui hanno il dominio del proprio cucchiaino, come nelle antiche scuole di borsaioli si attaccavano i campanelli a un vestito e l'alunno riceveva un colpo di bacchetta sulle dita se un solo campanello suonava. All'età di dieci anni già troppo tardi. Educato si nasce; villanzone si diventa. L'invitato non ha l'obbligo di mangiare di tutto e di trovare tutto eccellente : i cinesi, maestri di etichetta, di formalismo e di saper vivere, applicano una formula che risolve il problema del mangiare e dell'astenersi da ciò che non piace: sono tre parole: «Ten; yen; hen» , che significano: attendi, évita, attacca. Aspetta quando ti servono una portata che non ti piace; evita quella dove la quantità è superiore alla qualità, ma passa senz'altro all'attacco quando ti servono un piatto perfetto. La dietetica moderna e le malattie più o meno immaginarie dell'apparato digerente, le raccomandazioni e le prescrizioni dei tecnici che giocherellano con le calorie e con le vitamine hanno allargato le frontiere della libertà. Oggi più nessuno si meraviglia se una signora si siede a tavola senza toccare cibo. Certi pranzi borghesi rassomigliano ai pranzi di corte, dove un cameriere non ha ancora finito di riempirti il piatto, che un altro cameriere te lo porta via. Per questo è consigliabile tenere nel proprio frigidaire un paio di ova da mangiare quando si rientra in casa, alla coque, con l'inalienabile libertà di immergerci il pane, di rompere il guscio dalla parte che capita e di scaraventarlo contro la fotografia di quel signore che ci ha inflitto l'immeritato castigo di invitarci a pranzo.

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Oltre il Circolo Polare Antartico non si è abbastanza protetti contro il vento, e la difesa naturale del sistema pilifero che l'evoluzione animale non ha ancora eliminato del tutto, ci pareva comoda. Al ritorno delle precedenti spedizioni al Sesto Continente, avevamo visto belle facce barbute e bruciate, che trasformavano i visi sudamericani in tipi di pescatori di Terranova e di esploratori scandinavi. Alcuni componenti della mia spedizione si ripromettevano di sbarcare a Buenos Aires col volto incoronato e inquadrato in una selva di peli ispidi, che rievocasse il tipo Viking delle antiche stampe. Ma il comandante è il solo padrone sulla nave, dopo Dio, e i suoi ordini e i suoi divieti non si discutono. Quando dopo alcuni giorni divenimmo amici, gli domandai perchè aveva proibito le barbe. Mi spiegò: - Perchè il lasciarsi crescere la barba è il principio di una trascuratezza generale. La barba nasconde il colletto anche se non è perfettamente candido, e la cravatta anche se non è accuratamente annodata o se è sfilacciata o se non c'è. Di concessione in concessione, si arriva ai polsini unti e alle scarpe non lucidate. L'atto di radersi ogni giorno impone una disciplina corporea e un'eleganza mentale. Il mio amico comandante aveva visto giusto; ognuno di noi si presentava alla tavola impeccabilmente spazzolato e pettinato, e dal suo viso emanava un profumo di talco alla lavanda e di acqua di Colonia; e quando, dal ponte o dalla passeggiata, assistevamo allo spettacolo stupefacente degli icerbergs, noi conservavamo la nostra Linea di gentiluomini come se il nostro pubblico non fosse rappresentato dalle foche che prendevano voluttuosamente il sole sui banchi di ghiaccio senza occuparsi di noi, ma da signore dell'aristocrazia che ci esaminassero col binoccolo per scegliere i cavalieri da invitare domani a una festa di ballo. Evitare uno scalino della volgarità risparmia di ruzzolare per tutta la scala, mentre il concedere a noi stessi una innocente distrazione, apre le cateratte degli abusi irrevocabili. Enrique Mendez Calzada scrisse che «las estupideces que conscientemente hacemos a diario, llega un momento en que ya no nos parecen estupideces»: le stupidaggini che facciano ogni giorno, a un certo momento non ci sembreranno più stupidaggini. Colui che si alza di tavola con lo stuzzicadenti fra le labbra, lo masticherà tutto il giorno, e colei che entrando in un locale dove c'è un'orchestra cammina a passo di valzer, non si renderà più conto della trivialità ondulante della sua andatura. Parlare col chewing-gum in bocca conferisce un'inguaribile abitudine di ruminante alla quale ci si affeziona, e il far tintinnare le monete nella tasca dei calzoni ci fa scambiare per una nostra innata disinvoltura ciò che è una semplice villania. Le tasche laterali dei calzoni non dovrebbero esistere, o, al massimo, essere simulate e cucite come quelle dei croupiers.

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