Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Fisiologia del piacere

170573
Mantegazza, Paolo 12 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Ma quando anche i frammenti dei primi oggetti sono abbastanza studiati, egli, alzando le manine colle sue piccole dita distese, cerca nuova materia ai suoi bisogni. Se l'ottiene, essa gli darà tanto maggior piacere quanto più diversa sarà dalla già nota, e sopra di essa ritenterà le prime esperienze di analisi distruttiva. Così a poco a poco l'uomo-bambino, diventando fanciullo e adolescente, perde una sorgente di gioie, perchè gli oggetti che lo circondano sono da lui abbastanza conosciuti, e l'abitudine gli ha reso indifferenti le sensazioni che gli hanno dato tanti piaceri nei primi giorni della vita. Ma se un uomo adulto non può assolutamente, con tutti gli sforzi possibili dell'attenzione e della fantasia, trarre da un foglio di carta tutti i piaceri che un bambino gode nello stracciarlo, i piaceri del tatto specifico non gli sono negati. Vi sono alcuni corpi che, anche conosciuti, possono, per la loro particolare struttura, fornirci sensazioni piacevoli, qualora, non avendo la mente preoccupata da altra idea, si ponga su loro una sufficiente attenzione. Così nei momenti di ozio o di riposo si possono provare grandissime voluttà nel passare il palmo della mano sopra il velluto o sopra la seta, o nel fare scorrere le dita fra lunghe e fine chiome, o nel premere, passeggiando, uno strato sottile di neve appena caduta; mentre un uomo, preoccupato o disattento, potrebbe coi piedi nudi camminare sopra una pelliccia di martora senza provarne la minima sensazione di piacere. Anche ammettendo però che si presti un'attenzione speciale ad una sensazione tattile, non sempre essa riesce piacevole. Per godere di questi piaceri delicatissimi è necessaria una squisita sensibilità concessa a pochi individui. Si hanno piaceri particolari toccando o fregando corpi lisci, come sarebbero i marmi, i metalli, il talco, la pietra saponaria, ecc. In questi casi il piacere dura pochi istanti e non si diffonde quasi mai più in là della parte del corpo che viene toccata: esso è tanto maggiore quanto più nuovo è il contatto, e quanto meno la parte è esercitata alle impressioni tattili. Così il contatto con una vasca di marmo, per un individuo che non si sia mai bagnato così, è assai più voluttuoso del contatto della sola mano con la stessa materia. Si provano piaceri tattili mettendo la pelle in contatto di corpi che hanno una superficie molto suddivisa, come le pellicce, le matasse di seta, i capelli; nel premere col piede i cristallini della neve, ecc. Altri piaceri si hanno dal contatto di corpi alquanto scabri, sia scorrendone la superficie, sia strofinandone la polvere fra le mani. In questi casi pare che il piacere venga prodotto da una leggera irritazione che accumula sopra una serie di punti staccati della pelle sensazioni piuttosto forti. Si ha un'altra specie di piacere tattile nel maneggiare un corpo molle che, senza sporcare la pelle, si modelli sotto la pressione, cambiando ad ogni tratto di forma. Sensazioni simili si hanno premendo fra le dita la mollica del pane, la creta, o altre materie consimili; nel preparare il glutine, chiudendo la farina in un sacchetto di tela e pigiandola sotto un filo d'acqua; nel premere fra i denti il mastice, ecc. Altri piaceri si hanno facendo scorrere fra le mani vari corpi cilindrici di piccolo diametro, come sarebbero cannucce matite, cilindretti metallici, ecc. Il piacere è leggero e puramente locale. Si hanno piaceri tattili facendo girare sotto il palmo della mano un corpo perfettamente sferico. Il piacere è locale, ma può arrivare tuttavia ad un certo grado d'intensità. Un'altra fonte di piaceri tattili consiste nel maneggiare corpi elastici che, cedendo ad una leggera pressione, ritornano ad invitare la parte che preme a rinnovare il contatto. Si provano piaceri consimili maneggiando la gomma elastica, o materie affini, come le lamine d'acciaio, i giunchi, o premendo fra le mani un pallone di cuoio pieno d'aria, ecc. Altri piaceri tattili vengono prodotti dal gettare nell'aria un corpo di un certo peso e nel riceverlo nel palmo della mano per rimandarlo di nuovo in alto, oppure nel determinare il peso di un corpo che sotto piccolo volume sia molto pesante, piaceri dei quali si può formarsi un'idea facendo saltellare sulla mano una palla da fucile, oppure maneggiando una piccola sfera. Queste sensazioni, come quelle della categoria precedente, riescono piacevoli specialmente per l'alternarsi del riposo coll'esercizio del senso. Altre sensazioni piacevoli derivano dall'esercitare una azione qualunque con un corpo sopra un altro, che cede più o meno facilmente. Per questa via si hanno infiniti piaceri, ad esempio tagliando a fette il molle tessuto d'una zucca con un coltello molto tagliente, o conficcando un chiodo entro una lastra metallica. Fra queste sensazioni estreme, di una resistenza minima e di una resistenza massima, stanno le altre del cacciare un chiodo in una tavola di legno, del segare, del trapanare, del formare la capocchia a una verghetta di ferro conficcata fra due lastre metalliche forate, del piallare, e infinite altre che sarebbe inutile e improba fatica enumerare. Tutti questi piaceri, per lo più, sono resi molto complessi dal bisogno di esercitare i muscoli, dal piacere di riuscir nell'intento, e da altri elementi che possono anche provenire dalle facoltà superiori.

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La fisonomia di questi piaceri ha pochi lineamenti, perchè essi sono abbastanza calmi per scaricarsi a poco a poco entro di noi. Il più delle volte gli occhi esprimono la gioia brillando in un modo insolito, mentre le labbra si atteggiano ad un muto sorriso. Qualche volta il giuoco della fisonomia è accompagnato da fregatine di mano, da salti, da esclamazioni di gioia o da alcuni moti bizzarri. Ognuno può consultare la propria memoria e ricordarsi qualche caso personale.

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Non si può amare che una persona di diverso sesso e nell'età feconda; ciò che prova abbastanza la ragione necessaria dell'affetto. Dal ceppo di una stessa pianta l'industre giardiniere può ritrarre un rampollo da frutto, come può educare una gemma che esaurisca la sua vita nel fiore e nelle foglie. Ogni ramo però, sia che s'adorni soltanto di fronde e di fiori, o sia carico di semi, ha pur sempre la stessa origine, e spetta sempre alla stessa pianta. Lo stesso avviene dell'amore. Nell'ordine naturale questo sentimento ci dà le foglie nelle sue gioie più pure, ci dà i fiori nei piaceri misti che si possono indovinare, e ci rallegra coi frutti quando arriva al suo sviluppo completo. Come un albero può crescere alto e rigoglioso senza dar fiori nè frutti, così l'amore può illuminare di gioia la vita di due individui, senza che mai abbiano insieme spasimato nei piaceri del senso. Ma non per questo è men vero che la natura destina l'albero a tramandare la sua vita per mezzo dei semi, come accende il fuoco dell'amore perchè tramandi il calore della vita. Nello stesso modo con cui la vita d'una pianticella si prolunga, quando le si impedisce di portar fiori o frutti; così la vita dell'amore si protrae assai più a lungo, quando si accontenta di porgerci le foglie sempre verdi delle gioie platoniche. Quando la pianta ha dato i suoi frutti, il fine della natura è raggiunto, e se la vita, e conseguentemente l'amore, si prolunga ancora, ciò si deve alla generosità della provvidenza.

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Quando gli individui sono nati alla vita fisica ed educati alla vita morale, in faccia alla natura i genitori hanno vissuto abbastanza, e la vita dell'umanità sussiste anche senza l'affetto filiale. Il sentimento filiale però esiste, e può esser forte, violento, capace dei più grandi sacrifici; pure non cessa per questo di essere un affetto di lusso. Si dice sempre che i figli hanno il dovere di amare i loro genitori, e questo comandamento fu scritto in tutti i codici del mondo. Non si parla invece quasi mai di dovere, quando si tratta dell'affetto dei genitori verso i figli, e quasi sempre si dimentica d'imporlo come un comandamento. Ciò è naturale: sarebbe stato lo stesso come imporre all'uomo di respirare. Noi siamo dotati di moltissime facoltà morali di puro lusso, le quali non cessano per questo di essere meno nobili e sublimi. Sebbene la musica non sia necessaria alla vita fisica, non cessa per questo di essere un'arte divina che sparge a profusione le gioie più vive. Così è dell'affetto filiale. Quantunque esso non sia indispensabile alla vita morale delle generazioni è però uno dei sentimenti più delicati e soavi, che elevano appunto ad una grande altezza l'umana dignità, perchè non si fonda sulle leggi della materia viva, ma posa il piede nelle regioni misteriose del bello, del vero, del buono. Se non possiamo consolarci col pensiero di poter ricambiare i nostri genitori colla stessa misura d'affetto che essi ci prodigano, possiamo però confortarci di amarli quanto possiamo e quanto dobbiamo, il che è tutto dire. Si corre sempre verso la perfezione, anche essendo sicuri che non la si può raggiungere; or bene, si deve amare il proprio padre e la propria madre fin dove è umanamente possibile, quand'anche si sappia che noi non potremo mai pagare il nostro debito. Bisogna proprio, in questo caso, rassegnarci ad esser debitori, anche quando si è milionari di sentimento. Se noi avremo figli, sconteremo sicuramente in parte il nostro debito, diventando creditori verso di essi. Il padre e la madre si possono amare colla stessa forza, ma non mai nella stessa maniera. Per la madre si ha un affetto più caldo, più confidente e, direi quasi, più gonfio di quella sensualità del cuore che si può comprendere ma non definire. Per il padre, invece, si ha un amore più ideale, più elevato, e nel quale entra assai più la venerazione e la gratitudine. Si ama sempre la madre coll'ingenuità gaia ed espansiva del cuore fanciullo, mentre si ama il padre colla calma e colla prudenza del cuore già adulto. Colla madre si piange e si racconta, col padre si sorride e si ragiona. Chi non ha conosciuto sua madre può appena immaginare le gioie soavi di chi la possiede. Quando, riandando le nostre memorie, cerchiamo di distinguere le forme vaghe e nebulose. che vagano oscillando nel più lontano nostro orizzonte, rammentiamo qualche scena di famiglia nella quale campeggia l'ombra di nostra madre; ricordiamo qualche dolore che cessò all'apparire di quell'angelo consolatore; qualche immensa gioia provata fra le sue braccia o sulle sue ginocchia. Avvicinandoci al presente, rileviamo più distinte le immagini delle nostre reminiscenze: sentiamo più caldi i fremiti delle ombre che ci passano davanti; vediamo nostra madre quando ci insegnava nell'alfabeto gli elementi della più sublime e pericolosa fra le scienze; sentiamo ancora scorrere la sua mano affettuosa nei ricciuti capelli che coprivano la nostra testolina. Non ricordiamo forse quelle giornate lunghe e misteriose che passavamo con lei, quelle indefinite chiacchiere, quei giuochi interminabili, quando ella si sedeva sul suolo per farsi più vicina a noi, per farci ridere, per farci rotolare sul molle tappeto erboso sotto una salva di carezze, rese tempestose e convulse dall'affetto? Se avete labile la memoria, e duro il cuore, saltate più avanti; se avete corta la vista, non guardate alle piccole gioie, rammentate soltanto le grandi. Non vi ricorre alla mente qualche sventura fanciullesca che vi obbligava a singhiozzare profondamente, che vi faceva disperare e che pure sparì ad un tratto al solo apparire del vostro angelo consolatore? Io sento ancora i baci che mia madre mi improntava caldi e ripetuti sulle mie guancie, sento ancora le sue parole soavi e generose, credo ancora di vedere il sorriso indefinito con cui ella, guardandomi, col dito del comando m'imponeva la gioia e mi faceva ridere di mezzo alle lacrime che mi scorrevano a rivi. Nè sol questo ricordo. Gli arcani silenzi della chiesa, le trepide paure notturne, le ire e le busse de' miei coetanei, la storia interna de' miei dolori e delle mie gioie si riannodano sempre a mia madre, che, come un angelo, dopo avermi data la vita, mi ha fatto palpitare ai più generosi sentimenti; che, dopo avermi insegnato a parlare, a leggere, a scrivere, dopo avermi dato insomma in mano gli strumenti che mi dovevano fare operaio della grande manifattura sociale, mi ha mostrato la via che guida alla gloria, e mi ha detto che la migliore prova d'affetto ch'io le avrei potuto dare sarebbe stata una corona di incorrotti allori...

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Altre volte l'odio viene eliminato in parte dai nobili affetti, e non essendo forte abbastanza da eccitare all'offesa, sorride però di compiacenza all'altrui sventura. Nei gradi massimi l'azione è veramente necessaria a spegnere la forza straordinaria accumulata in un cuore che si consuma nell'odio più veemente, e i delitti sono le barbare gioie che sodisfano questo crudele sentimento. Più d'una volta fu visto l'uomo sorridere alla fatale sventura di una calunnia creduta vera, e contemplare con feroce smania gli ultimi aneliti di una vittima colpita a morte. Misurate lo spazio immenso che separa il fanciullo che gode nel tormentare un povero insetto, e l'assassino che prova un'atroce voluttà nel sentire sotto la sua mano le viscere palpitanti della vittima che spira domandando pietà: voi avrete un'idea del numero infinito di gioie più o meno morbose, che coltiva il sentimento dell'odio. Forse, meno pochissimi eletti, tutti gli uomini hanno nel cuore un germe di odio, che, atrofizzato e isterilito dai nobili affetti che da ogni parte rigogliosi lo circondano, dà quando in quando deboli segni di vita, oppure, con una subitanea esplosione, erutta lave ardenti che non offendono alcuno. Le forme più innocenti con le quali l'odio si sviluppa in questi casi, sono gli accessi di collera, gli irrefrenati scatti d'ira e atti di avversione, e moltissimi individui mediocri, in cui l'odio non dà mai scintilla o fiamma, senza commettere positivamente un'azione colpevole, sono sempre indispettiti e col muso ingrugnito, pronti ad aggredire astiosi.

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Alcuni, incapaci di questo sacrificio, non potranno mai arrivare ad una gioia purissima; altri non la raggiungono perchè la fatica dell'imparare, essendo troppo sproporzionata alla debolezza delle loro facoltà mentali, non viene ricompensata abbastanza dal piacer di sapere. Chi arriva sulla cima del monte stanco e sfibrato non può godere del sublime spettacolo che di là si contempla, perchè il piacere ch'egli prova viene soverchiato dalla sua sofferenza; così lo scolaro, che zoppica, e suda, e piange sul sentiero della scienza, non può amarla, e la maledice come una delle tristi necessità della vita. I piaceri dell'imparare variano in una scala infinita secondo la natura delle cognizioni. Chi presta un culto speciale alle matematiche può sbadigliare sur un libro di storia; un altro linguista, può rimanere indifferente alla lezione più interessante di chimica, e così via. Inoltre altre condizioni fuori e dentro di noi possono modificare i piaceri che si hanno dall'acquisto di cognizioni; ma l'elemento onnipossente che misura quasi sempre il piacere, è la fede nella scienza umana. Il bisogno di imparare può accompagnarci con tutta la sua passione fino all'estrema età, conservandosi sempre giovane; mentre lo spirito di osservazione è sempre adulto, spesso anche vecchio. Se il primo può andar compagno della mente meno evoluta, il secondo invece è sempre indizio sicuro di certa superiorità. Le gioie in quest'ultimo caso sono più calme, delicate, direi quasi sottili, e sembrano irradiarsi in tutto campo del pensiero. Nell'atto di osservare, tutta la mente pende intenta sopra un oggetto, aspettando di elaborare le scoperte che essa va facendo ad ogni istante. Il piacere di osservare, si può benissimo confrontare alla compiacenza che prova l'operaio nel disporre in bell'ordine i suoi strumenti e nel contemplare il lavoro che sta per cominciare. In generale si adopera la parola osservazione per indicare l'attenzione che la mente presta alle impressioni che arrivano ad essa per mezzo della vista; ma nel senso più vasto si può osservare anche un fenomeno interno. I piaceri che si provano nell'acquisto delle cognizioni o nell'osservare, esercitano quasi sempre un'azione benefica sulle facoltà intellettuali. L'amore del sapere da solo è una facoltà affatto neutra; ma siccome è sodisfatto dalla scienza, ne viene che chi prova le sue gioie diventa sempre più avido di gustarle, e trascurando i piaceri meno nobili o più pericolosi, acquista la vera passione dello studio. Studio e osservazione sperimentale sono i due mezzi per arricchire la mente: col primo si approfitta della esperienza e del sapere accumulato per secoli dalla umanità; con la seconda si acquistano direttamente le cognizioni con la esperienza propria e con l'applicazione personale delle nostre facoltà. Le gioie dell'osservazione sono più intense e rendono acuto lo sguardo della mente, avvezzato alla riflessione calma e riposata; e sebbene da sole non insegnino ancora a pensare, pure esercitano la mente ad uno dei più preziosi esercizi e preparano i buoni materiali d'opera per rendere più facile e fruttuoso il lavoro. Coltivando questi piaceri con affetto, si può accrescere la temperanza e la prudenza del pensare; o farle nascere quando mancano. L'osservazione è il miglior freno che possa contenere l'impetuoso destriero della fantasia; è il precettore più severo che educa e castiga i capricci puerili e le strane bizzarrie della mente; è il miglior compagno di viaggio che si possa dare alla poesia nel suo cammino verso la verità. Tutte queste gioie sono meglio coltivate dall'uomo che dalla donna. La civiltà le diffonde con l'educazione a un maggior numero di individui, ma ciò che le misura con diversa proporzione è il sistema cerebrale.

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La mimica d'un pigro che al mattino sta godendo il passaggio dal sonno alla veglia e dalla veglia al sonno, è abbastanza espressiva per dimostrare che i piaceri che gode sono vari e numerosi. Egli comincia ad aprir gli occhi alla luce, e le immagini degli oggetti che lo circondano, confondendosi cogli ultimi fantasmi della notte, formano mille combinazioni fantasmagoriche; ma le palpebre ricadono lentamente per riaprirsi poco dopo, stando in questo modo ad indicare gli alterni passaggi dal mondo esterno al nulla, dove incerte ombre vagano sole a dinotare la vita latente d'una mente sonnacchiosa. Ma il respiro si fa più frequente e il sangue, scorrendo più caldo e più celere per tutti i tessuti, a poco a poco ridesta a vita la mente; e il beato mortale si agita lentamente, stira le membra ed effonde in un lungo sbadiglio la pienezza di voluttà che lo innonda. La mimica di un piacere che nasce dal movimento è affatto diversa da quella del riposo. La faccia è animata, e gli occhi brillano. Il riso, i gridi, i moti estesi delle membra sono altrettante espressioni di questi piaceri, che non si godono completamente che dopo il riposo; come questo non si gode in tutta la sua pienezza che dopo una lunga fatica. I piaceri negativi, che provengono dalla cessazione dei dolori, possono avere una fisonomia molto significativa, tanto più viva quanto più forte era il dolore. I lunghi e ripetuti sospiri, il riso, il canto, i gridi di gioia, la calma e il languore della fisonomia, sono altrettanti elementi, che si combinano fra loro in diverso modo, sì da dare alla fisonomia una mobilità tale da variarla secondo un'infinità di circostanze. Il piacere complesso che si gusta dopo un lento pasto può avere una mimica molto espressiva. Chi lo prova, sta seduto ed atteggiato ad un calmo riposo. La sua fisonomia è turgida e rossa, la bocca è semiaperta, e gli angoli, ritraendosi alquanto simulano il principio di un sorriso, e allargano le gote, gli occhi sono lucenti e, movendosi lentamente in un ristretto orizzonte, vedono senza guardare. Le mani sono per lo più incrociate sul ventre, quasi a sentire i voluttuosi fremiti del cibo che va elaborandosi in chimo. L'espressione generale è quella insomma di una sovrana beatitudine. L'esercizio di questi diversi piaceri influisce a perfezionare il senso tattile in generale, che giunge a modificare l'intero organismo e lo predispone a godere di tutti gli altri piaceri.

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Egli è abbastanza vicino alla miseria per poter conoscere l'aridità di quel suolo, e per poter apprezzare degnamente le pingui pianure nelle quali è nato; e d'altra parte non è così lontano dalla ricchezza da dover disperare di arrivarvi. Se l'ingegno o la fortuna gli sono propizi, nessuno più di lui sa apprezzarne e goderne le delizie. Il povero, quando vi arriva, ne rimane inebbriato e sbalordito, piuttosto che beatificato; e, d'altronde, l'ottusità de' suoi sensi non gli permette di godere nella loro squisita delicatezza le nuove gioie. In tutte le condizioni sociali si può esser felice; ma il povero lo è rare volte, perchè i dolori lo rendono incapace a godere molti piaceri che esigono riposo e calma. Il ricco ha nelle proprie mani tutti i mezzi per aspirare alla felicità, ma può più facilmente d'ogni altro farne abuso. Per essere felice egli deve avere il genio dell'economia, il quale è concesso a pochissimi. L'uomo invece che nasce sotto la zona temperata dell'aurea mediocrità, e quello che senza genio e senza alta morale può esser felice a più buon mercato di tutti. È una verità vecchia come la società umana, e che tutti i filosofi e tutti i poeti del mondo hanno ripetuto su tutti i toni. I ricchi, dopo esser nati in una terra di fiori, non possono sicuramente uscirne senza pigliare un forte malanno; ma spesso vi sbadigliano e vi si annoiano a morte. A noi soli beati mortali la natura ha concesso di abitare il mondo intero; e se dopo aver corso a lungo pei sentieri della vita, riusciamo a ripararci nell'età adulta in più tiepido clima, vi assicuro che non ne soffriamo il più piccolo incomodo. Chi desidera di diventar ricco sperando di essere più felice, il più delle volte non si inganna, e d'altronde aspira alla cosa più naturale del mondo; ma chi vorrebbe esser nato ricco, a meno ch'egli non abbia il genio dell'economia politica, desidera un bene pericoloso e un male probabile. Ogni professione ha i propri piaceri: una gioia speciale caratteristica con varie altre minori e secondarie; oppure una gioia alla quale si riuniscono vari piaceri sotto forme e proporzioni diverse in modo da costituire un gruppo speciale. La storia dei piaceri di ogni professione sarebbe certamente un lavoro molto interessante, se ad esse fosse unita la storia dei dolori, i quali, confondendosi e cementandosi insieme ai piaceri, presenterebbero la formula viva e fisiologica nelle diverse condizioni sociali. Il separare, nella storia delle professioni, i piaceri dai dolori, è un guastare uno dei più bei quadri di storia dell'uomo morale. Si possono dare diverse classificazioni più o meno razionali delle professioni umane, e si possono anche dividerle secondo la natura dei piaceri che in esse predominano. I piaceri del senso tattile puro e semplice sono più numerosi in tutte le professioni manuali ed artistiche, e la scultura sta forse al disopra di tutte. Le facili gioie del gusto sono, in generale, più vive nelle professioni del cuoco, del soldato e del medico. La grandissima differenza che esiste nella sensibilità dei nasi fa sì che nessuna professione possa esercitare sui piaceri dell'olfatto tale influenza da vincere in un modo sensibile l'organizzazione del senso. Se ciò non fosse, i fabbricatori e i venditori di essenze dovrebbero essere i privilegiati. I maestri di musica e gli artisti gustano più che gli altri dei piaceri dell'udito. I piaceri della vista si godono meglio nelle professioni di viaggiatore, di micrografo e di pittore. I piaceri dell'onore possono essere di tutte le professioni, ma si gustano più spesso in quella del soldato. Le gioie della gloria sono concesse a tutti, ma per aspirarvi bisogna essere almeno d'intelligenza aperta e di cuore fermo. Possono aspirarvi scienziati e artisti. L'ambizione con tutte le sue varietà minori concede maggiori piaceri a quelli che esercitano una professione di governo o hanno in mano il potere. I piaceri del possesso sono più vivi nelle professioni di banchiere, di negoziante e di possidente, se questa può ritenersi professione. I naturalisti e gli specialisti di ogni genere provano quasi sempre più degli altri i piaceri del raccogliere. I piaceri della benevolenza pratica dovrebbero essere più largamente concessi ai medici, ai sacerdoti e a tutti gli addetti a stabilimenti di beneficenza. L'amor patrio dovrebbe concedere gioie più vive al soldato. Le gioie religiose dovrebbero essere più squisite nella professione del sacerdote. I piaceri della lotta si gustano meglio nelle professioni del soldato, del cacciatore, dell'avvocato, del medico, del gladiatore, dello sportivo. Le gioie della giustizia sono tesori più largamente concessi al buon volere dei giudici. Le gioie della speranza sono largamente concesse a tutte le professioni nelle quali si lavora molto e si guadagna poco. I piaceri dell'odio e del furto spettano a tutti coloro che non hanno senso morale e rispetto per la proprietà. I piaceri che non ho nominati spettano a tulle le professioni, le quali vi esercitano una influenza così debole che il più delle volte sfugge ai nostri mezzi d'investigazione.

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L'esser portati in carrozza è una sensazione che può essere piacevole quando il moto sia abbastanza uniforme e il corpo si trovi in condizioni favorevoli per godere questa maniera di moto indiretto. Il piacere riesce maggiore quando noi siamo tirati nella direzione in cui siam soliti muoverci; il moto contrario per alcuni individui è molesto e induce nausea e mal di capo. I nostri antichi, nei loro carri senza molle e sulle loro strade ineguali o sassose, non avranno certamente provati i piaceri che gode un cittadino moderno, il quale mollemente seduto sui cuscini elastici d'un'auto scorre rapidamente sul liscio lastricato della città. Per molti individui questo piacere è quasi indifferente, mentre per altri è voluttuoso e assai salutare. Le ore del giorno, la diversità delle stagioni e molte altre circostanze, modificano questo piacere. I mezzi di trasporto attualmente hanno assunto una varietà e molteplicità di forme, che la carrozza ha ormai quasi perduta ogni sua importanza. La bicicletta, le motociclette coi carrozzini, le automobili, le ferrovie, con la maggiore velocità e tutte le comodità relative, sono atte a produrre sensazioni piacevoli, delle quali è facile trovare la ragione. I mezzi coi quali d'ordinario si viaggia sulle acque possono dare vari piaceri del tatto, ma per lo più molto attenuati. Il viaggiare in un piroscafo o in una barca sopra una superficie d'acqua tranquilla produce sensazioni tattili appena sensibili; mentre, se il vento fa ondulare il naviglio, gli alterni moti possono produrre sensazioni piacevoli, simili a quelle che si hanno nell'altalena. Per molti anche l'appoggiare il piede sopra un piano mobile e che ad ogni tratto vacilla, è voluttuoso. L'essere trasportato nelle regioni dell'atmosfera nella navicella d'un areoplano, produce sensazioni tattili che, specialmente per la loro varietà, possono riuscire molto piacevoli. Le incerte ondulazioni, il rapido volo e le varie impressioni del mobilissimo campo nel quale si trova immerso l'apparecchio non possono non procurare piaceri intensi e di varia natura. Molti giuochi devono la principale loro attrattiva ai piaceri del tatto. L'altalena, il giuoco della palla o del pallone, il calcio, il tennis, le bocce, il podismo, il ciclismo, l'alpinismo, il bigliardo, la giostra e molti altri appartengono ad essi, e i piaceri che procurano constano dei vari elementi che ho fin qui analizzati, e che si combinano fra loro in diverso modo. Quasi sempre la compagnia e l'emulazione formano la parte principalissima di queste gioie.

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Chi è casto abbastanza da non aver mai conosciuto questo genere di piaceri, non deve rifiutarsi a ritenere questo vizio quasi universale; ma, interrogando i suoi amici, osservando e studiando, deve persuadersi del vero, ed esercitare la benefica influenza dell'esempio e del consiglio su quelli che lo avvicinano. Chi affermasse che questi piaceri non possono essere gustati che da persone d'intelletto ottuso e di sentimenti depravati, si ricordi che, fra i pochissimi uomini grandi, che ebbero a scrivere la propria biografia, due di essi si confessarono colpevoli di questa depravazione del senso: Goethe e Rousseau. Le cause che trascinano l'uomo con una potenza invincibile a gustare dei piaceri riprovati dalla natura sono infinite. L'ammaestramento e l'esempio sono nell'età della fanciullezza e dell'adolescenza i mezzi più frequenti coi quali questo vizio si diffonde come un contagio. Non di rado, per puro accidente, un fanciullo, portando le mani ai genitali, può imparare ad abusare di se stesso: ma appena ha appreso il fatale mistero, aspira con avida brama ad insegnarlo a' suoi coetanei, sia per manifestare la scoperta da lui fatta; sia perchè i piaceri condivisi sono più vivi; e più ancora perchè queste gioie riferendosi all'istinto della generazione, quantunque si allontanino dalle vie naturali, pure portano in sè una tendenza all'avvicinarsi dei corpi, e al dedicare i piaceri che si provano ad un essere immaginario o lontano. Qualche rara volta alcune malattie, inducendo un'irritazione grandissima e un prurito ai genitali, sono causa di onanismo, e ad esse si riferiscono specialmente le affezioni erpetiche, i fiori bianchi nelle bambine, i calcoli orinarii, ecc. In qualunque modo poi siasi appreso l'uso riprovevole, infinite sono le cause che tendono a non farcelo più dimenticare. Fra queste sono da annoverare l'amore al piacere, l'ozio, la mancanza di persone dell'altro sesso nelle quali sodisfare i bisogni del senso, i pericoli che possono venire dalla copula, la veemenza dei desideri, il dispetto e il malumore, la noia dei piaceri naturali, l'abitudine, ecc. Infiniti sono i gradi di lascivia nei diversi individui, secondo l'istinto e la ragione di ciascuno, per cui molto diversi sono gli effetti che seguono la sodisfazione di solitari piaceri. Fortunatamente i casi di onanismo spinto agli estremi gradi, od anche soltanto alla massima tolleranza dell'organismo, sono rari, sebbene alcuni autori, che scrissero sopra questo argomento, abbiano da essi esagerate le conseguenze di questo vizio, falsando in questo modo la verità. E ciò con grandissimo discapito dei colpevoli, i quali, leggendo questi libri possono aver trovato di non avere alcun sintomo della terribile tabe dorsale, e, deridendo l'autore che li aveva voluti spaventare con lo spauracchio di mali tremendi, possono aver continuato nelle loro pessime abitudini. La verità si deve rispettare e adorare come una religione, e per amore di essa si deve riconoscere che la più parte degli uomini dediti ai piaceri dell'onanismo non commettono mai tali eccessi da esser condotti a malattie gravi o mortali. Non per questo però le loro colpe vanno impunite, e la natura li condanna a discendere d'un grado dalla scala intellettuale nella quale li aveva posti. O giovani, voi siete nell'età in cui le facoltà del senso, del sentimento e dell'intelletto sono in tutta la loro potenza d'azione, e vi aprono orizzonti infiniti di gioie. La vostra fantasia vi abbellisce gli oggetti che vi circondano, e vi fa battere il cuore alla magnifica fantasmagoria dei sogni dell'avvenire. L'amore, l'amicizia, la gloria, la scienza, vi fanno trepidare di speranza, e sospirare al pensiero che la vostra vita sarà troppo breve per poter abbracciare e comprendere il mondo che vi circonda. Eppure voi sacrificate tutto questo a un miserabile piacere di pochi istanti, che vi lascia avviliti, stupidi e impotenti di tutto. La lucida intelligenza si oscura, la tenace e pronta memoria della vostra età si fiacca, l'immaginazione non riflette, più nel lucido suo specchio i fulgidi colori delle vostre fantasie, la volontà si spunta; una molesta inquietudine vi tormenta e vi fa penare lunghe ore in uno stato di indifferenza e di ozio intellettuale, che dovreste aborrire più che la morte. Anche il vostro corpo è compagno di dolore al sentimento e all'intelletto: le digestioni si fanno difficili; si provano dolorose sensazioni; spesso si ha la nausea; la pelle, specchio della salute generale, impallidisce; e la fisonomia acquista un tal carattere sbattuto e squallido, che quasi sempre svela la colpa all'occhio di un acuto osservatore. Ma tali incomodi riescono tollerabili, e il giovane si accontenta di passare alcune ore nella sonnolenza o in lievi occupazioni, aspettando che il processo riparatore lo abbia messo ancora in grado di abusar di se stesso. Allora l'organismo abituale in cui vengono tenuti gli organi genitali dalle lascive immagini della mente lo fa ricadere nella colpa. Altre volte lo scoraggiamento e l'impotenza di eccitare altre sensazioni per le quali si richiederebbe tutta l'energia, trascinano al malaugurato piacere onde provare una scossa e sentire di vivere. Una vita passata fra occupazioni languide, fra lunghe ore di sonno o di sonnolenza, fra momenti d'ira e di dispetto, e segnata qua e là dalle abitudini sozzure, è miserabile e vile. Voi tutti che, incatenati dai pregiudizi, vi siete chiusi nell'angusto sentiero di una vita modellata dalle esterne circostanze che vi ballottano e vi urtano; voi che vivete senza esservi mai domandato perchè e a che vivete, voi che non siete che morte cifre nella formula di una generazione; continuate pure nelle vostre abitudini depravate, dacchè non potete intendere gioie più elevate o men basse. Ma tutti voi altri che avete infrante le catene del pregiudizio e salendo sulle alture del pensiero spaziate libero lo sguardo sull'orizzonte che vi circonda; voi che intendete la sublime voluttà del pensare, e che indirizzate la vostra vita ad uno scopo, come la religione, la scienza, la gloria o l'affetto; per quanto vi è sacra la vostra dignità di uomo, non cedete ad un vizio che vi farebbe precipitare dall'alto, e vi spezzerebbe fra le mani quelle armi, con le quali dovete combattere i formidabili nemici che ingombrano la via del vero, del bello e del buono. Se ancora non conoscete i solitari piaceri, non tentateli affatto, perchè la prova sarebbe pericolosa. Se fatalmente li imparaste a conoscere in un'età nella quale l'intelletto era ancora bambino, combattete il nemico coll'arme più potente concessa all'uomo, colla suprema facoltà della sua mente: la volontà. Educate questa potenza preziosa: vogliate tutto ciò che è difficile a conseguire; vogliate combattere ciò che è quasi invincibile: vogliate fabbricarvi la vita fin dove in natura ve lo concede; e allora proverete la sublime compiacenza dell'aver voluto e dell'aver vinto, la quale vale assai più del sacrifizio dei fremiti più voluttuosi. Se la natura non vi ha concesso che un fiacco volere, associatevi ad altri, confidate il vostro segreto ad un amico, unitevi a lui per vincere il nemico, e rendetevi degno di una delle vittorie più difficili.

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Ben di rado poi essa può pretendere alla sublime voluttà della creazione, come lo prova abbastanza la statistica dei compositori di musica. L'uomo-bambino comincia a sentire i piaceri della musica, ma questi si riducono alla pura sensazione uditiva, che è anche incompleta e confusa. Divenuto fanciullo gode più assai di questi piaceri, ma la sua continua distrazione e l'imperfezione delle facoltà intellettuali gli impediscono di gustarli in tutta la loro pienezza. È nell'età della fantasia e del genio che la musica apre tutti i suoi tesori di armonia, portando al massimo grado di esaltazione tutte le facoltà cerebrali. Nell'età adulta l'esperienza supplisce, come nelle altre sensazioni, alla raffinatezza del piacere, per cui questo è più calmo, ma può essere ancora intenso e delizioso. Quando l'uomo scende per la curva della parabola, ritornando d'onde venne, allora l'udito si fa ottuso, la fantasia si fa opaca e i piaceri dell'udito impallidiscono.

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Uno stesso oggetto, veduto in diversi tempi, ci dà immagini diverse, quando noi abbiamo sensi abbastanza delicati per distinguere i minimi gradi di differenza delle sensazioni. L'abitudine di guardare ci addestra all'osservazione e all'analisi, e in questo modo educa la mente agli studi più difficili e severi. La natura degli oggetti che noi osserviamo spesso tende pure ad ispirarci i sentimenti e le idee che vi si riferiscono, concorrendo in questo modo a segnarci un sentiero nelle lande della vita. Così la vista delle scene della natura c'ispira una serenità di mente e di cuore che tende a spargere una calma soave su tutta la vita; così la vista continua dei capolavori della pittura e della scultura ci educa al sentimento del bello. Ma la ragione di questo fenomeno sta nelle leggi che reggono l'intelletto.

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Come presentarmi in società

200103
Erminia Vescovi 6 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
  • Vannini
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Tra quegli ascoltatori vi sono spesso uomini che hanno già un nome nell'arte e nella scienza, vi sono vecchi professori che credono di non saperne mai abbastanza, vi sono raffinati intellettuali che colgono bramosi ogni occasione per elaborare e tornire ancora più la loro coltura, vi sono anche dame gentili che sanno coltivare il sapere senza darsi l'aria pedante di superdonne. Un pubblico così fatto (e si riconosce subito) desta veramente riverenza, e impone dei doveri a cui la persona novizia deve sapersi piegare. Si entri dunque senza chiasso e gli uomini a capo scoperto: ciascuno prenda il posto che gli conviene, si attenda l'oratore in silenzio, oppure in moderata conversazione con chi siede vicino, e che deve immediatamente cessare, quando l'uomo col suo rotolo in mano, si presenta alla cattedra che gli è preparata. Si ascolti in silenzio, si approvi con discrezione qualche passo che sembra meritevole, ma senza interrompere frequentemente e senza prolungare un plauso che farà certo piacere al parlatore, ma che alle lunghe disorienta. Non è poi lecito mormorar commenti sottovoce, sia benevoli o no; e non si deve far mostra della propria erudizione, completando le citazioni classiche accennate dal parlatore. E' una tentazione, qualche volta assai viva. Finito il discorso, si applaudisca a piacere e si tributino anche quei segni di amicizia e di consenso che formano il coronamento della cerimonia. Gli amici più vicini gli stringan la mano con lodi e congratulazioni: altri si facciano presentare, tutti gli porgano ossequi e ringraziamenti per la bella ora passata, pel diletto di cui son debitori al conferenziere, il quale, intanto, poveretto, si terge il sudore dalla fronte non sa come fare a rispondere a tutti. Vi sono però conferenze di carattere popolare o informativo, ove le cose vanno molto più semplicemente; si fanno per lo più nei teatri o in altre sale di spettacoli pubblici, il pubblico rimane quasi estraneo all'oratore, e bene spesso composto di sconosciuti fra loro. In tali casi, v'è libertà massima nel vestiario, nell'entrata e uscita, nella scelta del posto: rimangono sempre però i doveri generali delle persone bene educate che devono guardarsi dal fare ogni cosa che possa disturbare o spiacere. E i conferenzieri hanno essi dei doveri verso il pubblico? E come, se ne hanno! Chi chiama della gente a spender una serata per udirlo, e spesse volte fa anche pagar un biglietto, si assume la sua bella responsabilità. Ma purtroppo, al giorno d'oggi, tale responsabilità viene assunta con molta leggerezza. Dante diceva dei suoi tempi guerreschi:

Si è sentito lamentare da alcuno che gli italiani non viaggiano abbastanza, e questo dovrebbe mettersi, sempre secondo i lamentatori, tra le tante nostre inferiorità rispetto ai popoli stranieri. E' un rimprovero che ha una parte di verità, nel senso che presso gli stranieri l'amore dei viaggi, non tanto per snobismo e per smania di divertimento superficiale quanto per desiderio di arricchire lo spirito allargando i propri orizzonti, è insito assai più che da noi anche nella gente modesta, e non solo nei ceti abbienti. Studenti ed operai dei paesi nordici si sottopongono volentieri a sacrifici anche non lievi pur di potere viaggiare e conoscere genti e bellezze dell'Europa e del mondo. In ogni modo, anche da noi chi è veramente in grado di apprezzare spiritualmente ed intellettualmente il godimento di un bel viaggio e di provar tali vantaggi, non rimane certo come l'ostrica attaccata allo scoglio. Artisti, professori, dilettanti, letterati, girano l'Italia, oh se la girano! E fanno benissimo, e sono tanto più ammirevoli se la strettezza del loro bilancio impone loro un vero sacrificio per la spesa, per quanto modestamente la vogliano fare. Gli altri... gli altri è meglio che stiano tranquillamente a casa propria: con guadagno della borsa e della salute. A buon conto, prescindendo da questi viaggi che hanno un carattere tutto speciale, le ragioni di muoversi da una città all'altra sono così varie e numerose, specialmente in certi periodi dell'anno che i treni sono affollati, e non è cosa facile nè saper conquistare un posto, nè diportarsi fra tanta gente in modo che la cortesia e il rispetto reciproco non abbiano a subir qualche strappo. Il galateo del viaggio ha dunque, ai tempi nostri, una importanza speciale. E siccome la forma più comune del viaggio è quella per le strade ferrate, vediamo come ci si deve comportare nelle stazioni e in treno. Alla stazione si deve giungere con un discreto anticipo sia per prendere il biglietto a tempo sia per scegliere eventualmente il posto in treno. Non è però da approvare chi esagera in questo, e corre alla stazione un'ora prima, angustiando i familiari, facendo loro perder la testa, guastando forse gli ultimi preparativi, per modo che, giunti ansanti alla stazione, trovano chiuso lo sportello dei biglietti, vietato perciò' l'accesso alla sala d'aspetto, e in quel non desiderato intervallo cominciano a rammaricarsi di non aver forse ben chiusa quella finestra, di non aver dato quell'avviso al portinaio, o forse si avvedono d'aver dimenticato l'ombrello, o vien l'atroce dubbio di aver chiuso il gatto in cucina! Si stabilisca dunque quanto tempo è necessario per recarsi alla stazione, o in tram, o in carrozza, o a piedi, si provvedano possibilmente i biglietti in qualche agenzia di città, e si proceda con calma agli ultimi preparativi. Si suol dire che il treno non aspetta, ed è vero: ma è vero anche che nessun treno mai usa partire in anticipo sull'orario. I bagagli dovrebbero essere pochi, solidi, pratici. Se il viaggio è lungo, sarà meglio spedire un baule, e non ingombrarsi con valige e involti e fagotti. Ogni persona porti seco in una valigetta quel che può occorrere in treno o in una notte d'albergo: questo sarebbe il bagaglio ideale. Ma se le circostanze vogliono diversamente, si guardi di non oltrepassare i limiti di peso e volume segnati dal regolamento. Che cosa brutta e sconveniente è mai quella di veder una brigata numerosa, una famiglia, invader la vettura con valige e portamantelli, e fagotti, e sacchette, e accaparrarsi ogni spazio vuoto costringendo talvolta quelli che son giunti prima di loro a restringersi in modo incomodo, a ritirar i loro oggetti che prima avevano ben disposti nelle reti! E qualche volta accade anche che a una mossa brusca del treno tombola giù una borsetta o un cappellino, o un oggetto qualsiasi malamente issato in cima al mucchio... e pregare il cielo che non sia un oggetto pesante. Talvolta questi indiscreti si buscano delle osservazioni dai ferrovieri, che li invitano poi a far portare quella roba al bagagliaio, fatto apposta; e la lezione sta loro benissimo. Quando il treno si ferina alla stazione, chi è arrivato prima prende il posto che meglio gli aggrada. Se il treno è di passaggio, bisogna aspettare che siano scesi i viaggiatori che devono scendere, e dopo accomodarsi come si può. La fretta soverchia, gli urtoni, l'insistenza per passare avanti, oltre che esser prova di mala educazione, finiscono poi coll'esser più dannosi che utili: chi invece ha pazienza d'attendere, e occhio sicuro da guardare e osservare, finisce coll'accomodarsi meglio degli altri. Accade talvolta, alle fermate dei treni, che quelli che stanno comodi nei loro carrozzone guardano con una specie di inimicizia i poveretti che voglion salire, specialmente se vedan compagnie numerose, e riempiono gli sportelli e vorrebbero far credere che non c'è più posto per nessuno. Ahi, nelle piccole e nelle grandi cose, l'egoismo umano!... Homo homini lupus. No, non bisogna far così come non piacerebbe che a noi facessero altrettanto. Bisogna invece, con lealtà e cortesia, lasciar scorgere i posti liberi e stender la mano soccorrevole a qualche povera signora che trova difficile la salita e prender di mano a mettere a posto qualche valigia ingombrante. Il bello è che tante volte, quelle stesse persone che avevano mostrato una istintiva repulsione a lasciarvi salire, vi si mostrano più cortesi e servizievoli, e divengono ottimi compagni di viaggio. In viaggio si deve vestire decentemente, per rispetto a noi e agli altri, ma senza fronzoli ed eleganze malintese. La signora farà bene a indossare un vestito grigio o di altro colore neutro, dal taglio all'inglese; l'uomo non viaggerà mai in abito da cerimonia, anche se fosse diretto a qualche festa ufficiale. Bisogna, in tal caso, aver seco ciò ch'è necessario per mutarsi, all'arrivo. Un uomo farà bene a non tenere il cappello in treno. Si può aprire e anche togliersi del tutto la giacca o la pelliccia, se nello scompartimento si soffrisse troppo caldo: ma l'uomo che si toglie la giubba e si mostra in maniche di camicia commette una vera sconvenienza. Quando il sonno giunge, nei viaggi notturni, ci son di quelli che si sdraiano sui sedili, dopo aver semplificato al massimo il loro abbigliamento, ed essersi persino tolte le scarpe. Costoro seguono la teoria «che si deve f are il proprio comodo», teoria ottima per gli egoisti screanzati. Una signora, si capisce, sarebbe ancor più biasimevole se si accordasse simile libertà. Ma non le sarà proibito, specialmente se attempata e sofferente, appoggiarsi e stendersi per quanto lo spazio lo permette, senza esser d'incomodo ai vicini. Non occorre poi raccomandare a chi viaggia la massima accuratezza nell'abbigliamento intimo. Son tanti i casi che possono succedere! Una signora a cui dia noia il fumo non entra negli scompartimenti dei fumatori. Ma anche dove è permesso fumare, un uomo cortese chiederà se il sigaro disturba e si regolerà in conseguenza della risposta, o forse anche dal modo con cui è data, che spesso esprime assai bene un sì, mentre le labbra mormorano no... Potrà allora uscir un momento nel corridoio. Si intende poi che non sarà così villano da fumare dove è proibito. E non parliamo dell'orribile vizio di sputare in treno, contro cui si combatte ora una multilaterale e accanita battaglia, e che sembra abbia già ottenuto gran parte del suo intento. Una signora non rivolge mai la parola a uno sconosciuto, in treno, se non per chiedergli quei piccoli favori che non impongono se non l'obbligo di un grazie. Sconvenientissimo si mostrerebbe colui che volesse per forza attaccar conversazione con una signora: essa ha diritto di respingere questi tentativi con dignità e severità e, occorrendo, anche con modi più risoluti. Fra uomini poi, e più ancora fra signore, si avviano spesso e volentieri dei dialoghi che poi divengono generali, e spesso, dopo un'ora o due di viaggio comune, lo scompartimento sembra diventato un salottino dove ferve una conversazione ben nutrita, e squillano allegre risate. Niente di male, se quelle conversazioni si aggirano su terni di carattere generale, e danno modo a chi può di palesare il proprio ingegno e la propria arguzia. Ma sarebbe imprudente, e mostrerebbe piccolo cervello chi raccontasse in pubblico i fatti propri. Eppure accade qualche volta che, dopo un breve tragitto, una persona che ci sta accanto ha creduto bene di farci conoscere di sé e la patria e la condizione, e la famiglia, e gli amici, e le abitudini e i gusti, e le speranze e gli affari... Il nome talvolta sì, talvolta no. Questi originali bisogna lasciarli sfogare, e non dar loro troppa ansa, e soprattutto non credersi obbligati a contraccambiare confidenza con confidenza. La signorina che viaggia (ormai ce ne sono tante!) sarà riguardosa e riservata al massimo, e cercherà di non dare soverchia confidenza a nessuno. E' lecito in treno far colazione con qualche cosa che si sia portato seco. Ma siano cibi asciutti e senza troppi odori forti: un panino ripieno, una tavoletta di cioccolata, qualche frutto precedentemente sbucciato o facile a sbucciarsi e basta. Si lascino stare i polli, gli stufati, la roba unta in genere, i formaggi e i salami, che danno così sgradevole aspetto alla refezione. Si abbia un tovagliolo da stendere sulle ginocchia, un bicchierino per bere, e si gettino dalla finestra gli avanzi e le carte e ci si ripulisca bene le dita e la bocca, passando, se si può, nel camerino dove c'è (o ci dovrebbe essere) l'acqua corrente. Non è obbligo offrire agli altri ciò che si è portato per mangiare: se però ci fossero persone di conoscenza o con cui si avesse fatto un po' di conversazione, si può offrire un arancio, una caramella, un cioccolatino ecc. ecc. Coi bambini poi sarebbe quasi una crudeltà fare diversamente. Si tenga aperto o chiuso lo sportello vicino a noi secondo il piacer nostro; perchè questo è un diritto che il regolamento concede; ma si abbia anche riguardo a persona che mostrasse di soffrire, sebben lontana, l'aria corrente, o di sentirsi soffocare a finestrino chiuso. Non si deve muoversi spesso senza ragione, passando e ripassando davanti a chi siede, ma questi, alla loro volta, devono tener composte e non distese le gambe, per non impedire agli altri il passaggio. Chi arriva alla stazione di scesa raccolga con qualche anticipazione i suoi bagagli, si riaccomodi la persona, e stia pronto allo sportello. Con un cortese buon viaggio ai suoi compagni, qualcuno dei quali sarà sempre gentilmente pronto a porgere la valigia e ad aiutare in altro modo che occorra, si scende e si va dritti dritti verso l'uscita, dove si consegnerà al bigliettario il biglietto già preparato prima, per non far perdere il tempo e impedire il libero passaggio degli altri.

Allo sposo poi non è mai abbastanza da raccomandarsi il rispetto ed il raccoglimento, se anche la sua fede fosse scarsa o nulla. E non ho mai potuto leggere senza vivo disgusto ciò che vien raccontato del Principe Girolamo Napoleone, quando impalmò la nostra angelica principessa Clotilde. Fosse affettazione o fosse distrazione (era sempre rimasto in piedi guardando qua e là) si fece ripeter la domanda rituale, e alla seconda volta, come scosso, rispose precipitosamente: Mais oui, certainement oui! I padrini stanno a lato degli sposi, per lo più in piedi, tutto intorno fan corona i parenti e gli amici; e le signore hanno, in tale occasione, diritto di usare le loro più eleganti acconciature, purchè non siano contro il decoro e la modestia. Ma non si può assolutamente approvare nè compatir l'usanza di alcuni paesi, che appena finita la Messa, le amiche (o sedicenti tali) si precipitino addosso alla sposa soffocandola di baci e di auguri. In Francia tale sfogo di tenerezza si fa in sacrestia, dove gli sposi si recano a firmare il registro: da noi sarà meglio rinunziarvi o serbarlo alle pareti domestiche. Ultima triste nota, il funerale. Qui la parte è tutta del clero; gli astanti non hanno altro obbligo che assistere in rispettoso raccoglimento. I prossimi parenti si schierano presso il feretro, gli altri e gli amici e lo stuolo degli accompagnatori nei prossimi banchi. Che nessuna mossa intempestiva, che nessun lieve mormorio turbi la sacra maestà del rito. E nell'uscir dalla chiesa, e nel ricomporre il corteo, silenzio ancora e compostezza. E, per carità, signore, non vesti o cappelli dai colori vivaci! Possibile che nel vostro guardaroba non ci sia un abito nero, o almeno un soprabito, e un cappello scuro?... Ho visto sfilare, dietro qualche feretro, una processione multicolore ch'era una vera irrisione!... E quanto al silenzio e al rispetto, se la parentela col morto o una stretta amicizia non ve li impongono senz'altro, colla forza del dolore, se le vostre relazioni con lui non erano tali da penetrarvi l'anima nel solo rimpianto della sua perdita, basti a rendervi tali quale circostanza lo vuole, la fatale avvertenza: Hodie mihi, cras tibi!

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Una signora dunque non sarà mai abbastanza riservata, specialmente se è sola. Entrerà con modestia e con franchezza, si toglierà il mantello se l'ambiente è notevolmente più caldo che fuori, non mai il cappello. Non farà conversazione a voce troppo alta con chi la accompagna, si asterrà dal ridere forte, dal volger troppo gli occhi in giro; lascerà al suo cavaliere dare gli ordini al cameriere e far le osservazioni. Se è colla madre, o colla zia, o in genere con altra signora più anziana, le userà tutti i riguardi nella scelta del posto, l'aiuterà a togliersi e a rimettersi il mantello, e non permetterà mai che il cameriere adempia a questa bisogna, ringraziando, però, con cenno cortese alla sua offerta. Ora è meno raro di un tempo vedere signorine, anche giovanissime, entrar a prendere un pasto in qualche ristorante. Mancherebbe seriamente ai doveri non solo del galateo, ma della più elementare convenienza chi si permettesse con tali giovanette il più piccolo atto di libertà, uno sguardo men che rispettoso. Al caffè vanno per serale ritrovo i signori uomini, e talvolta vi conducono anche le loro signore. Ma una donna sola, che voglia esser rispettata, cercherà di non trattenersi oziosamente a uno di quei tavolini; solo di giorno le sarà lecito sedere quel tanto che è necessario perchè le venga servito un gelato o una bibita qualsiasi di cui abbia bisogno. Se però accompagna i suoi bambini, nessuno troverà a ridire di vederla fermarsi un po' di più. Gli uomini, se sono soli, nel caffè chiuso hanno una grande libertà, di cui però faranno bene a non abusare; fumano, conversano ad alta voce, ridono, scherzano. In generale sono amici e colleghi che si riposano dalle fatiche del giorno. Ma hanno però l'obbligo di rispettarsi reciprocamente, di vigilare che lo scherzo non si tramuti in offesa, che la discussione non divenga disputa... Molte gravi querele, che spesso son finite nel sangue, hanno avuto origine da una parola imprudente, da uno scherzo troppo confidenziale... Tra conoscenti che non siano amici, e tra estranei frequentatori del caffè, si usi cortesia e riguardo: non si accaparrino i giornali e le riviste, non si finga di non vedere chi cerca un posto, non si pretenda d'esser sempre serviti prima. All'aperto, quando i tavolini son gremiti di gente che nelle belle serate gode la musica, i caffè presentano l'aspetto di una piacevole e variopinta confusione. Si odono voci gaie di signore e giovinette, voci squillanti di bambini, trilli e risate. E un tintinnio di bicchieri e di piattini, e un correre affaccendato di camerieri da un tavolino all'altro, e... se è lecito trarre a scherzo una frase classicamente solenne:

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Ma il male è quando il popolo non abbastanza educato, tumultua, grida e fischia. Il fischiare è un atto crudelmente villano contro chi non si può difendere, e ha fatto quanto meglio poteva per divertire il pubblico e farsi un po' d'onore. La persona bene educata non fischia mai. ... Cioè, ammetto un solo caso. Ed è questo: se una scena immorale fosse accolta da una salve di fischi, la lezione sarebbe severa per chi tocca, ma non certo inefficace. In tutti gli altri casi è inutile usare tal modo di riprovazione, quando c'è quell'altro così semplice e dignitoso, e che non fa male a nessuno: alzarsi e andarsene.

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E soprattutto bisogna ricordare che i modi acerbi e burberi feriscono inutilmente, mentre le belle maniere penetrano l'animo e persuadono: bisogna ricordare che la giovane donna esce talvolta da una famiglia in cui non si è avuto abbastanza cura di prepararla alla nuova vita, e che la sua inesperienza è scusabile. La buona volontà, il desiderio di corrispondere alla fiducia dello sposo riusciranno in breve tempo a farle acquistare le doti necessarie. Sommamente scortese si mostrerebbe quel marito che facesse a sua moglie delle osservazioni pungenti in presenza di persone di servizio o dei figli. Eppure ci sono degli uomini che non sanno frenarsi e che sfogano impulsivamente il loro malumore appena qualche cosa li irriti o li punga: le prime persone con cui inveiscono sono quelle di famiglia. E non badano se a torto o a ragione. Ecco qui; tornano a casa dai loro affari colla luna a rovescio, con una fiera voglia di brontolare e criticare tutto. Siedono a mensa, e mentre nella riunione delle persone più care dovrebbero sentirsi rammorbidire e raddolcire l'animo, si direbbe che si rallegrino d'aver trovato su chi versare tutta l'acerbità e l'amarezza. Nulla va bene di ciò ch'è portato in tavola, nulla lascian passare di qualche inavvertenza del servizio; gridano, protestano, convertono in un supplizio l'ora della più cara intimità domestica. E di tutto fanno responsabile la moglie, a ragione, e a torto, e la mortificano duramente in presenza anche di ospiti, e non pensano forse che sorta di tortura infliggano alla povera donna, la quale spesso deve tacere e soffrire per meno male. «Preferirei cento schiaffi in camera - diceva una buona signora a cui il marito (stimatissimo galantuomo del resto) si pigliava il gusto d'infliggere tale quotidiano supplizio - piuttosto di una mortificazione in presenza di altra gente». Al contrario, il marito bene educato deve sempre mostrare di approvare ciò ch'ella fa, e difenderla contro gli altri, anche se in cuor suo giudichi che ella abbia torto. Tale gentilezza cavalleresca non gli impedirà poi di disapprovarla, o anche rimproverarla a quattr'occhi: è questo, anzi, suo preciso dovere. Ma sarà severissimo nell'esigere dai servi e dai figli il massimo rispetto verso di lei. Vi sono persino dei casi in cui il marito e la moglie, disuniti nell'animo da profondi dissapori, hanno così bene saputo osservar le convenienze reciproche da andar avanti anni ed anni, colle apparenze di una pace domestica che riusciva a ingannare anche gli intimi. E chi oserebbe biasimare un tale inganno, che conservò ai figli il rispetto verso i genitori e risparmiò all'animo loro terribili impressioni in un'età in cui non si cancellano più? Fuori, di casa, il gentiluomo deve sempre mostrarsi lieto e onorato di accompagnarsi con sua moglie, e deve farla partecipe di quegli onesti piaceri che la loro condizione permette. E' brutto veder il marito che frequenta le conversazioni, i teatri, persino i balli, lasciare a casa la moglie senza una legittima ragione. Se poi egli è un uomo di studi e alieno dalla mondanità, pensi che non può pretendere altrettanto da una giovane donna, e procuri di vincere le sue ripugnanze e accompagnarla a qualche ritrovo da lei specialmente desiderato. Nelle sere poi in cui c'è ricevimento in casa, non gli è assolutamente permesso assentarsene del tutto, e dovrà anzi coadiuvare la moglie nell'accogliere gli ospiti, nel presentare i rinfreschi, nel trattenerli piacevolmente. Gli sarà bensì permesso, dopo aver adempiuto questi obblighi, ritirarsi cogli amici nel salotto a fumare o a far qualche partita di bigliardo. Nelle visite di giorno, però, il marito non suole accompagnare la moglie se non nel giro consueto, dopo il ritorno dal viaggio di nozze, e quando, fissandosi per ragione d'ufficio in qualche città nuova, si fa la conoscenza dei superiori e dei colleghi. E in queste visite egli porterà tutto il garbo e la prudenza, astenendosi da ogni osservazione e da ogni frase che possa mettere a disagio la sposa, in riguardo a persone estranee, e assecondandola, anzi, in quello che ella dice e propone. Ma ai doveri del marito corrispondono quelli della moglie, e la mancanza, da parte sua, è ancor più biasimevole. L'amorevolezza, il buon garbo, la cura della propria persona sono doti assai più femminili che maschili: basta talvolta la mancanza di una di queste per mandar all'aria la pace domestica. Uno scrittore francese ha scritto che il primo dovere della donna è quello di essere bella. Un paradosso, si capisce, ma che pure ha un fondo di verità. La fanciulla ha istintivo il culto della propria persona, il desiderio di abbellirsi. E' la natura che glie lo ha messo nel cuore, come ha dato i petali variopinti ai fiori, e le ali screziate alla farfalla. E' il desiderio di attirare, di piacere: desiderio spesso inconscio, e che si accompagna spesso, senza contraddirle, con le doti più belle dell'anima. Ma accade talvolta che, dopo il matrimonio, la cura della propria persona, il desiderio di piacere cedano alla negligenza e alla svogliataggine. E allora la sposina, la giovane madre, girano per la casa spettinate e malvestite, o in pantofole o in veste da camera, scusandosi colle faccende domestiche, e dichiarando che non hanno ambizione... che ormai son piaciute a uno e basta così. Ma proprio quell'uno prova un senso di disgusto e di mortificazione nel veder così sciatta la bella personcina che aveva presentato, a lui, la incarnazione del suo ideale. E' una caduta lacrimevole dalla poesia alla prosa! E sarà feconda di molti guai se egli farà, forse anche involontariamente, il confronto colle signore che vede fuori, linde, agghindate, eleganti. La saggia sposa, dunque, non creda che soltanto le sue virtù domestiche possano bastare: procuri di conservar sempre le sue attrattive fisiche; si pettini con garbo e si mostri sempre con un vestitino accurato e grazioso. Se vuol attendere alle faccende domestiche si copra d'un ampio grembiulone, se non vuol sciuparsi le mani faccia uso di grossi guanti. Ma procuri di mostrare al marito, quand'egli la ritrova tornando dalle sue occupazioni, una donnina graziosa e piacente. E i suoi modi siano sempre gentili, il suo aspetto sempre sereno. Bisogna pensare che l'uomo che talvolta rincasa, stanco e di cattivo umore, ha bisogno di chi l'aiuti a dimenticare i guai della vita, e che proprio a lei è affidato questo ufficio gentile. Largheggi pure di saluti e d'accoglienze affettuose, e insegni ai figliuoli a fare altrettanto. Se lo vede burbero, se riceve qualche parola pungente, non s'indispettisca, non ribatta: lasci passare quel momento, e la serenità non tarderà a comparire. E procuri che la mensa abbia un gaio aspetto, e che nei cibi sia accontentato il suo gusto. Talvolta basta un'inezia di questo genere per rasserenare un animo torbido. Se ella ha avuto qualche fastidio domestico, se la donna di servizio si è licenziata, se i bambini sono petulanti, procuri di dimenticare queste piccole contrarietà e di frenare il malumore. Ma che dire, invece, di quelle mogli che, appena il marito rincasa, lo assalgono col racconto di ogni spiacevolezza, e guastano al pover'uomo quel poco riposo che gli è concesso? S'intende che negli affari domestici esse devono prendere consiglio dal marito, e partecipargli ciò che riguarda la servitù o i figliuoli, ma devono saper scegliere il tempo, e farlo con modi discreti. La saggia moglie gli risparmi tutto quello che può inutilmente infastidirlo; non gli introni il capo con pettegolezzi di vicini, con ciarle sconclusionate. Cerchi invece di portare il discorso su argomenti piacevoli e cari ad entrambi, cerchi d'interessarsi a quanto egli racconta, e se le par il caso di esprimere un giudizio e di dargli un parere, lo faccia con modi prudenti e cortesi e non manchi mai di ringraziare alle piccole cortesie ch'egli le usa a mensa o altrove, e cerchi alla sua volta di mostrarsi servizievole e pronta ad ogni suo desiderio. Talvolta il marito desidera uscire a passeggio o passar una serata al teatro, ma da solo, dice, non si divertirebbe: ci vuole la compagnia della moglie. E allora essa sappia apprezzare quel sentimento, e lo assecondi: anche se il suo desiderio sarebbe stato invece di rimanersene a casa, si vesta ed esca, e procuri di fargli buona compagnia. Solo nel caso che avesse bambini piccoli, il dovere verso di loro l'assolverebbe da ogni altro. Ma, del resto, bisogna ricordarsi che la vita in comune è fatta tutta di piccole condiscendenze e di piccoli sacrifici, i quali però trovano sempre ampio compenso. E a questo mondo non c'è nulla che valga la pace domestica. Se il marito è uomo di studi, se occupa un posto pubblico molto elevato, la donna si ricordi che sarebbe una vera colpevolezza da parte sua molestarlo con esigenze personali, turbargli l'ordine delle sue occupazioni. Sappia comprendere e rispettare il raccoglimento che spesso egli impone intorno a sè, e non mostri un volgare egoismo nel pretendere che i grandi interessi della scienza o della cosa pubblica cedano alle sue voglie e ai suoi gusti. Mostri in tal caso una onesta compiacenza dei meriti di suo marito: si guardi però bene dal forzare le sue confidenze o, peggio, di darsi importanza in pubblico. La casa è il regno della donna. Nel farla bella, ella non deve soddisfar solo una sua personale inclinazione, ma deve anche pensare di gradire al marito, assecondando le sue inclinazioni. Se a lui piacciono i fiori, le piante, gli oggetti d'arte, è una vera fortuna: sarà tanto più facile a lei accontentarlo in cose sì facili e belle e guadagnarsene la gratitudine e l'ammirazione. Abbia poi la moglie tutta la cura verso la biancheria e i vestiti del marito. Anche se vi fossero persone di servizio in abbondanza, ella si riservi di sorvegliar la sua guardaroba, perchè nulla vi manchi. E se il marito ha a questo proposito una qualche mania, una esigenza un po' esagerata, procuri di compatire di assecondare. E' forse meglio che un uomo pecchi di soverchia ricercatezza che di trascuratezza volgare. E, del resto, quando un uomo si presenta in società, si giudica spesso dal suo vestire l'abilità della moglie il grado del suo affetto per lui... Un bottone ciondolante, una camicia male stirata sono stati origine, talvolta, di scene domestiche assai disgustose, e di commenti estranei molto... pungenti per la signora.

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