Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il Galateo

181416
Brunella Gasperini 11 occorrenze
  • 1912
  • Baldini e Castoldi s.r.l.
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Questa non farà scene, non chiamerà la maschera, non mollerà sberle: se il cinema è abbastanza vuoto, si alzerà e cambierà posto. Altrimenti respingerà le occulte manovre con decisione, sguardo glaciale e poche, sommesse ma drastiche parole: in genere, di fronte a una pronta e ferma reazione il pappagallo batte in ritirata per non rischiare guai. Più complicata può essere la faccenda quando la signora non è sola, ma accompagnata da un uomo: se lo avverte di quanto sta accadendo sull'altro versante della propria sedia, può venirne fuori una scenata, che invece è saggio cercar di evitare; ma se l'importunata non reagisce, l'importuno può sentirsi autorizzato a continuare. Conosco una signora che, importunata al cinema da un pappagallo mentre era al fianco del marito, non disse niente: con la massima impassibilità e serenità si accese una sigaretta e poi la spense sulla mano del pappagallo come se fosse un portacenere; all'urlo del disgraziato, chiese con stupore e rincrescimento: «Oh, mi scusi, l'ho forse scottato?» È un sistema divertente ma un po' barbaro, che non ci sentiremmo di consigliare. Meglio chiedere al marito, con una scusa, di scambiarsi di posto, oppure di andare un po' più avanti o un po' più indietro. La vera ragione gliela si spiegherà dopo, se mai. Applausi e fischi. Al cinema in genere non si dovrebbe né applaudire né fischiare (se non alle prime, per esprimere un giudizio critico). Gli applausi ironici, che sottolineano le scene particolarmente stupide, sono comprensibili ma inutili: i responsabili non sono lì a sentire. In quanto ai documentari e alla pubblicità, sappiamo quanto gli uni e l'altra possano essere noiosi, ma poiché sono pagati, non possono essere interrotti; quindi fischi, applausi e tramestii di piedi non fanno che aggiungere alla noia della pubblicità o del documentario il fastidio del chiasso. Coppiette. Oggi le coppiette sono più attrezzate di una volta, quindi gli innamorati che vanno al cinema solo per stare vicini al buio sono diminuiti; ma ce ne sono ancora, specie tra i giovanissimi. Non è molto carino, al riaccendersi delle luci, vedere una fanciulla congestionata e scomposta vicino a un cavaliere stranito che cerca di darsi un contegno, ma si può essere indulgenti. Si vorrebbe solo che non eccedessero: in fatto di scene erotiche, bastano quelle dello schermo. Bambini al cinema. Non portate i bambini al cinema di sera: il loro posto è a letto. Non portateceli neanche di pomeriggio, se non per vedere film sicuramente adatti a loro. E per «adatti a loro» non intendiamo solo film che non siano vietati ai minori, ma film che possano interessarli e divertirli, tipo cartoni animati, western non violenti, eccetera. Se però i bambini sono molto piccoli, anche i western alla lunga li annoiano: e poche cose sono irritanti come quei genitori che, interessati al film, lasciano che i pargoletti scorrazzino intorno, si arrampichino sui sedili o sulle gambe degli spettatori, o peggio che li tengono fermi a forza, incuranti delle vocine che chiedono, prima sommesse, poi via via sempre più querule, penetranti, stentoree: «Perché? Chi è? Cos'è? Cosa fa? Dove va? Perché fa così? Papà quello lì è buono? Mamma quello lì è cattivo? È cattivo? È cattivo? È CATTIVO?» mentre i genitori, senza staccare gli occhi dallo schermo, li zittiscono meccanicamente: «Sssst, ssst, se stai buono poi ti prendo il gelato», «zitto! se non stai zitto le prendi», finché si arriva fatalmente all'esplosione di lacrime, singhiozzi e grida. Tutto questo, ovviamente, è da evitare. Portate i bambini con voi dove volete, ma non in posti dove possono annoiarsi, respirare aria viziata e disturbare il prossimo. In quanto ai bambini più grandi: ci sono film vietati e ci sono film permessi ai minori. Purtroppo il criterio con cui si vietano i film è un criterio di tipo, diciamo, unicamente sessuofobo. Ci si preoccupa moltissimo dell'«oltraggio al pudore», ma pochissimo dell'oltraggio all'estetica, al buon gusto, alla sensibilità; si vietano film che potrebbero turbare (o istruire) i bambini nella sfera sessuale, ma non si vietano film che possono traumatizzarli o influenzarli negativamente in vari modi. Quindi, prima di portare i bambini a vedere un film «non vietato», informatevi bene: o dai giornali, o da chi l'ha già visto.

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. - Non avvicinatevi troppo con la testa ai vostri interlocutori: primo perché è inutile, secondo perché nessuno conosce mai abbastanza il proprio alito. E infine, come diceva Monsignor Della Casa, «molti troverai che non amano sentire il fiato altrui quantunque cattivo odore non ne venisse». - Non toccate le persone con cui parlate (colpetto sulla spalla, tirata di manica, accaparramento di mano) per attirarne o trattenerne l'attenzione. Anche secondo il sullodato Monsignore, non si deve «punzecchiare altrui col gomito, come molti soglion fare a ogni parola, dicendo: "Non dissi io vero? Ehi voi? Eh Messer Tale?", e tuttavia vi frugano col gomito». I tempi cambiano, ma i vizi restano. Ricordatevi che ci sono tuttora persone che detestano esser toccate. Se però siete voi tra queste, cercate di non divincolarvi tipo Laocoonte, ma di sottrarvi con pacata graduale astuzia.

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Ben lo sapeva Socrate, re degli ascoltatori, padre della conversazione, che si guadagnò per questo fama imperitura e una tazza di cicuta: cose entrambe abbastanza meritate.

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È uno snobismo idiota, quando non è un vano tentativo di fuga, una ricerca di stimoli artificiali da parte di gente che non ha più abbastanza coraggio e fantasia per vivere senza additivi. Siano questi alcol o canapa indiana o peggio. Ad ogni modo, se siete stati invitati in casa di normale (credevate) gente adulta, che si mette a fumare erba e magari candidamente ve ne offre, i casi sono due: se volete anche voi provare il brivido dell'«esperienza nuova», è affar vostro. Se invece non volete provare, né essere immischiati con chi ci prova, comportatevi come un astemio tra gli sbronzi, e accomiatatevi al più presto: senza comunque mostrarvi indignati o scandalizzati, senza fare prediche, minacce o luttuosi vaticini. Non sta a voi andare in casa d'altri a moralizzare la gente. Se però (può succedere anche questo) è un ospite che i porta hascisc in omaggio a casa vostra come una volta avrebbe portato champagne, o peggio lo porta di nascosto e lo offre misteriosamente in giro (le manovre e l'odore son facilmente riconoscibili), avete tutti i diritti di reagire, senza scene ma con fermezza: l'ospitalità è sacra fino a un certo punto. Potete dire: «No, scusatemi, non fumate questa roba in casa mia, sono contrario». Probabilmente qualcuno vorrà spiegarvi che avete dei pregiudizi, che una sigaretta d'erba ogni tanto fa meno male di una bottiglia di champagne, il che è magari vero, ma non è dal punto di vista sanitario che si vede la faccenda. Perciò, se siete contrari, continuate a essere contrari: senza per questo montare sul pulpito. Dite pressappoco: «Abbiate pazienza, sarò retrogrado, ma non mi va, ecco tutto. Siete liberissimi di fumare la vostra erba, ma non qui. Scusatemi». Se i fumatori d'erba sono persone civili, rinunceranno a fumare. Se non lo sono, se ne andranno. Voi non vi offenderete.

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Ognuno ne ha più che abbastanza delle proprie. È tipico del nostro tempo il commensale che mangia come se fosse inseguito e volesse terminare il pasto prima di essere catturato; non parla e non ascolta, ingurgita pietanze e bevande a velocità record, e nelle pause dà segni di nervosismo, si agita sulla sedia, tamburella, guarda l'orologio. Non è necessariamente una persona scortese, è soltanto uno dei tanti infelici divorati dall'ansia e dall'ossessione di «perder tempo»: perder tempo per che cosa? Per altre cose che farà con uguale impazienza, ansia, insofferenza. Poveretto. Per i commensali, comunque, è più fastidioso il tipo opposto, quello che mangia a uno all'ora, che a ogni boccone appoggia le posate sul piatto e rumina per mezz'ora, oppure si dimentica di mangiare per parlare, parlare, parlare, incurante del cibo che si raffredda, del servizio che ne risente, dei commensali che in silenzio ferocemente lo maledicono. Masticate con una certa discrezione. A bocca rigorosamente chiusa. Evitando di muovere in modo appariscente tutti i muscoli facciali, o di far apparire in una o nell'altra guancia improvvise protuberanze. Non è grave, è soltanto comico. Fate bocconi piccoli. Se mentre masticate vi arriva uno sternuto, schiacciatelo nel tovagliolo, per non aspergere i vicini coi risultati della vostra masticazione. E se è un altro a sternutire (questo non solo a tavola) non ditegli «Salute!» o «Evviva!» come fosse una festa nazionale. Non lo é. Che non si parla a bocca piena lo sanno anche i bambini. Eppure c'è un sacco di gente adulta che emette parole impastate di risotto o di budino, che ride grandiosamente mostrando tutto quel che ha in bocca: non è una gran bella vista. Per la stessa ragione, non interrogate chi sta masticando, costringendolo a una precipitosa deglutizione, o a una forzata esibizione di cibi masticati, oppure a quei buffi mugolii che si fanno, indicando la bocca, per spiegare la propria temporanea afonia. Se dovete usare lo stuzzicadenti (ci auguriamo di no), fatelo rapidamente, e senza ripararvi pudicamente le fauci con il tovagliolo: il che attira maggiormente l'attenzione. Le signore, specialmente, dovrebbero rimandare le operazioni di scavo e rimozione a quando saranno sole con se stesse nella stanza da bagno. In quanto ai signori, compiuto celermente il lavoretto, non restino a gingillarsi con lo stuzzicadenti negligentemente infilato in bocca, né se lo infilino nel taschino a mo' di stilografica. I cra-cra delle mandibole, i glu-glu della laringe, gli schiocchi, i risucchi, i sibili, i gorgoglii e tutti gli altri rumori idraulici-odontoiatrici connessi, non sono graditi a tavola: e anche questo lo sanno tutti. Eppure c'è un sacco di gente che succhia, sibila e gorgoglia. E un sacco di gente, me compresa, che soffre fisicamente di questi concertini. Non è questione di essere schizzinosi (io non lo sono affatto). È solo questione... vogliamo dire di sensibilità acustica? Per me non è nemmeno quello. Se mai, si tratta di eccesso di immaginazione. Bisognerebbe evitare ai commensali certi collegamenti audiovisivi: e sono eupeptici. Non augurate «Buon appetito!» ai commensali. Non è chic: e questo non mi turba molto. Ma il fatto è che non serve a niente, se non a costringere a dire «grazie altrettanto». Questa del «buon appetito» è un'usanza solo apparentemente gentile, in realtà inutile e meccanica. E le cose inutili e meccaniche, non solo a tavola, sono da evitare. Sono in parecchi quelli che cedono alla tentazione di togliersi le scarpe sotto la tavola. Non sarò io a bollare questa tendenza, considerata turpe vizio dal galateo. Io mi limiterò a consigliare una certa cautela: anche posto che nessuno si accorga del misfatto, può succedere che per un movimento imprevisto la scarpa rotoli in là, costringendovi a tastare col piede tutt'intorno e a compiere strane contorsioni per ricuperarla. Se poi è uno dei vostri vicini che si toglie la scarpa e voi ve ne accorgete, non fate come me (ammetto la mia colpa), cioè non divertitevi a spingergli via malignamente la scarpa e assistere con espressione innocente alle sue contorsioni e al suo crescente panico. Su, ridategli la sua scarpa: son scherzi da fare? Non litigate a tavola. Né in casa né fuori. Lo so, oggi l'ora dei pasti è per molti l'unico momento in cui ci si possa trovare insieme e parlare, ed è fatale che proprio per questo il desco familiare sia spesso il luogo dove si mettono in tavola, insieme coi cibi in scatola, i discorsi più antipatici, i rinfacci più pedestri, i lamenti, le accuse, le grane. Cerchiamo di evitarlo; nei limiti del possibile. Va bene che tutti i nodi vengono al pettine, ma non si potrebbe farceli venire in un altro momento? I piatti. Secondo il galateo, non si dovrebbero mai toccare con le mani. Quante storie: quando è utile, toccarli è più che lecito. Se per esempio c'è un sugo particolarmente buono in un piatto crudelmente piatto, nessuno si scandalizzerà se lo inclinerete per raccogliere quel che altrimenti andrebbe perduto. Potete alzare il piatto dalla parte vicina al bordo della tavola, in modo che il brodo o il sugo scivolino distintamente verso l'esterno e non ingordamente verso di voi, ma anche qui non staremmo troppo a sottilizzare; l'importante è che questo gesto, bocciato dal supergalateo e ammesso dal buon senso, venga compiuto senza ridicola furtività, ma apertamente. Magari con qualche parola di compiacimento: in fondo, alla padrona di casa fa piacere che onoriate i suoi brodi o i suoi sughi. Le posate. Tenetele come sapete, scioltamente, senza preoccupazioni e senza affettazione. Il galateo classico prescriveva che il liquido si sorbisse dal lato e non dalla punta del cucchiaio: ma è una regola che, essendo oltretutto illogica, non ci sentiamo di avallare. Il coltello si usa solo quando è necessario e serve solo per tagliare, non per portare il cibo alla bocca. Perché? Perché sì: la forchetta, se no, che ci sta a fare? Il bicchiere. Si tiene semplicemente e saldamente nella mano destra (senza alzare graziosamente il mignolo). Quando qualcuno, cameriere o convitato, versa da bere, non si spinge il bicchiere verso di lui, né lo si solleva; lo si lascia al suo posto: diminuiscono così le probabilità di debordamenti e sbagli di mira. Quando si vuol rifiutare il vino o l'acqua che qualcuno ci offre, lo si fa con un sorriso e un «no, grazie». Non si copre il bicchiere con la mano; nessuno intende ubriacarci proditoriamente. Almeno si crede. Le tazze. Tutti i liquidi che vengono serviti in tazza vanno sorbiti direttamente dalla tazza stessa: il cucchiaio o cucchiaino serve solo per mescolare il liquido, eventualmente per assaggiarlo. Poi va posto sul piattino, mentre la tazza, tenuta per il manico, si solleva direttamente alla bocca. Mi sembra abbastanza logico: se la tazza ha un manico (o due) ci sarà pure una ragione. Comunque, se vi va di bere il brodo col cucchiaio, affar vostro: dopo tutto, che fastidio date? Il vecchio galateo proibisce di inzuppare pane, grissini o altro nelle tazze (o nei piatti fondi). Ma oggi non c'è niente di male se uno dice: «Qualcuno si scandalizza se inzuppo i grissini nel brodo?» Domanda puramente retorica. Il pane. Non si fa a pezzettini, sbriciolandolo tipo mangime per gallina. Non si fanno palline unticce con la mollica. Secondo il galateo classico, è vietato anche usare il pane per «fare scarpetta», cioè per raccogliere il sugo. Storie. Se il sugo è buono, non si vede perché non dovreste raccoglierlo infilando il pane con la forchetta, ed eventualmente dicendo: «È talmente buono!» Sarete compresi e giocondamente imitati. Il vino. Va messo in tavola nelle bottiglie originali. Solo per qualche rosso pastoso, mi dice un raffinato intenditore amico mio, si può preferire la caraffa: ve la do come l'ho sentita. Non bevete il vino come fanno gli assaggiatori, annusandolo, sciacquandovi la bocca, socchiudendo gli occhi per mostrare concentrazione. Siete degli intenditori, va bene, l'abbiamo capito tutti. Ma se dovete esprimere il vostro apprezzamento, fatelo con la voce, non con la mimica. A proposito: i sullodati intenditori di vino, o sedicenti tali, commentino pure ogni vino che viene loro offerto, ma non si lancino in troppo lunghe e dotte disquisizioni cultural-enologiche, che sono una grossa seccatura per, chi, pur non disdegnando affatto il buon vino, non lo considera un importante ramo della cultura né un interesse, fondamentale della propria vita. E poi ci sono anche gli astemi: congeniti o coatti. Che ne facciamo, li sopprimiamo? Io direi di risparmiarli (sono io stessa, come forse si intuisce, un'astemia coatta). L'acqua. Anche se i bevitori di vino ostentatamente la disprezzano, anche se i camerieri dei ristoranti sono sempre riluttanti a procurarla, e dal tempo che ci impiegano sembra che vadano ad attingerla a sorgenti impervie, l'acqua sulla vostra tavola non manchi mai: abbondante, fresca, presentata in terse caraffe, e rinnovata subito quando finisce. Solo l'acqua minerale, per conservare sapore e gasatura, e anche perché uno sappia che acqua sta bevendo, va lasciata nelle bottiglie originali, che sono però piuttosto squallide a vedersi: fanno trattoria. Su una tavola con pretese d'eleganza si preferisce perciò servire acqua naturale, nelle sullodate caraffe.

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E invece è ancora abbastanza buona. Vediamo di interpretarla insieme.

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Rispettate la natura: già abbastanza minacciata e devastata dall'inquinamento senza che vi ci mettiate anche voi coi vostri vandalismi. - Se accendete fuochi, badate alla direzione del vento; non lasciate braci fumanti: versateci sopra un po' d'acqua, e se non basta ricopritele di terra, come ogni boy scout può insegnarvi. - E quando levate le tende, rimettete tutto come prima. Non lasciate tracce di nessun genere; chi arriva dopo di voi non deve trovarne. Solo sull'Everest o al Polo è consuetudine lasciare una bandiera.

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Tra i motivi principali, metterei: 1) il sempre più diffuso e giustificato desiderio dei giovani di allontanarsi in fretta dalla famiglia d'origine; 2) l'avvento non ancora abbastanza maturato della libertà sessuale, per cui molte infatuazioni che in tempi meno permissivi si sarebbero spontaneamente esaurite senza lasciar tracce, oggi, alimentate dall'attrazione e soddisfazione sessuale, vengono urgentemente scambiate per grandi amori e tradotte in urgenti matrimoni; 3) la sensazione, fortunatamente fondata, che il matrimonio non sia più un ferreo legame senza uscita; in fondo, se le cose andassero male, c'è il divorzio, c'è la separazione legale, c'è l'annullamento, ci sono tante scappatoie... un modo di uscirne senza sconquasso c'è sempre: questa è spesso, negli sposi, una riserva mentale a livello inconscio. Ma c'è. È normale che ci sia. Quel che ancora non c'è, o non del tutto, è la consapevolezza che quando un matrimonio fallisce un certo «sconquasso», almeno psicologico, è pressoché inevitabile. Che cosa c'entra questo discorso col galateo? Non c'entra niente, infatti. Ma c'entra molto col nostro controgalateo: che non si preoccupa tanto del comportamento esteriore e formale, quanto della sostanza dei rapporti umani. Sempre più minacciati dall'angoscia, dall'incoerenza e dalla confusione. Su allegri. Volevo solo dire: chi si sposa avventatamente, senza reale conoscenza, senza preparazione, senza maturità, contribuisce al disordine e all'angoscia generale. Anche perché i giovani di oggi, se da una parte sono più liberi, più disincantati, più franchi, se hanno maggior senso critico dei loro coetanei di ieri, dall'altra parte sono più viziati, meno pazienti, meno preparati alle rinunce e alle delusioni. Quando vogliono una cosa, la vogliono subito. Quando una cosa va male, la mollano subito. E solo allora sperimentano, sulla propria pelle, quanto possa costare di logorio, di lotte, di compromessi e di amarezze, uscire da un matrimonio in cui si era troppo leggermente entrati. Crepi l'astrologo? Crepi pure. Ma dopo vent'anni di quotidiano contatto con fallimenti matrimoniali d'ogni genere non potevo esimermi da questa premessa. Sposatevi meno, per piacere, e sposatevi meglio.

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Le persone molto importanti, o molto occupate, o che ci tengono a sembrare tali, usano spesso far chiamare la gente dalla segretaria o dalla domestica: questo sistema, che non è gentile in caso di telefonate private, è abbastanza normale per le telefonate di lavoro: purché colui che fa chiamare si tenga pronto a prendere il ricevitore non appena la segretaria avverte che la persona cercata è in linea. Anche se siamo importantissimi e occupatissimi, non siamo autorizzati a far aspettare in linea per più di due minuti (son già molti) una persona che abbiamo fatto chiamare noi. Fosse pure un «inferiore». E non valgono le giustificazioni tipo: «Scusa, sai, ma sono preso fino al collo». Se è così, aspettate a chiamare la gente quando avete il collo libero.

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Le signore possono restar sedute, secondo tradizione, ma sono abbastanza irritanti quelle giovani dame (alle anziane si perdona quasi tutto) che dai meandri della poltrona in cui sono stravaccate, a stento sollevano una languida mano, senza spostare di un millimetro il resto del loro preziosissimo o stanchissimo corpo. Se una ha forze sufficienti per arrivare fino alla poltrona, dovrebbe avere anche quella di raddrizzare il busto quando saluta, stendere la mano e sorridere. Anche questo ci sembra piuttosto normale.

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Abbastanza pestifero è anche il giocatore saccente, che alla fine di ogni mano ricostruisce tutto il gioco a memoria, carta per carta, a edificazione del popolo. E molto irritante per i giocatori «seri» è il tipo che, appena guarda le sue carte, comincia a borbottare cupamente sulla propria sfortuna, oppure si abbandona a ghigni satanici che preannunciano agli avversari una fine atroce; o peggio comincia a fare divinazioni sulle carte dell'avversario, basandosi sulle espressioni della sua faccia («Guarda guarda, garantito che gli è entrata la scala»). Ma su, siamo tra amici: tolleriamo. Le serate miste. Chiamiamo così le serate in cui parte degli invitati giocano e parte fanno altre cose. Chi non gioca non si fermi alle spalle dei giocatori a osservare le loro carte: o, se lo fa, non commenti, non ridacchi, non faccia cenni: stia fermo e zitto. Chi gioca non dia segni di impazienza se qualcuno si ferma vicino al tavolo («mi mena gramo») o se il gruppo dei non giocanti, conversando, ballando, disturba la sua concentrazione. E ancora: per quanto amanti delle carte siate, non assillate il prossimo. Non fate come quei tipi che, mentre gli altri si divertono in altro modo, stanno lì sulle spine in attesa di cominciare a giocare, si affannano a cercare compagni che non gli danno retta, sgomberano inopinatamente un tavolo, tirano fuori le carte e ci giocherellano da soli con aria nervosa, facendo passare la voglia di giocare anche a chi magari ce l'aveva. Se siete giocatori seri: - Non prendete in mano le carte prima che il mazziere abbia finito di distribuirle (ma anche se lo fate non casca il mondo). - Non tenete le carte a grappolo, a piramide, pericolanti l'una sull'altra; non tenetele sotto al tavolo, né strette al seno guardando con sospetto i vicini. - Non ritirate una carta dopo averla giocata. - Quando mescolate, fatelo sobriamente, senza prodezze spettacolari alla Danny Kaye. - Quando distribuite le carte, non fatele planare come aeroplani, non lanciatele come siluri, non buttatele a mucchietti, non seguite criteri fantasiosi; distribuitele con ordine e misura, facendole scivolare leggermente sul tavolo, una per una, da sinistra a destra o da destra a sinistra (a seconda del gioco). - Non fate segni, tossettine, ammicchi. - Non sbirciate le carte altrui. - Non fate scongiuri, non girate intorno alla sedia per esorcismo: sono scherzi troppo vecchi (e se non sono scherzi, peggio). - Non chiedete di cambiar posto perché la vostra sedia vi mena gramo. Anche se «non» siete giocatori seri: - Non maltrattate e non sporcate le carte. - Non bagnatevi il dito (orrore) per farle scorrere. - Non proponete mai di smettere mentre state vincendo. - Non rifiutate mai la rivincita; ma se state perdendo, non cercate di rifarvi a tutti i costi, costringendo gli altri a giocare fino all'alba.

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Le buone usanze

195422
Gina Sobrero 11 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
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. - Un fanciullo che entra nella classe, saluta prima di tutti il maestro o la maestra, prende il suo posto senza obbligare la persona che ha l'incarico già abbastanza gravoso d'istruirlo, a sgolarsi per ottenere silenzio ed attenzione. Interrogato, risponde a voce chiara, moderata, e quando dove convincersi, della propria ignoranza, esso non ne fa scontare la pena ai compagni o al superiore. Niente di più antipatico di quei bimbi che al primo errore commesso, alla prima osservazione, chinano il capo sul banco, s'immusoniscono, non dicono più una parola. È la sola volta in cui quasi rimpiangerei lo staffile dei nostri nonni: sbaglieranno ben altra volta nella vita! Abbiano i còmpiti fatti in ordine, con grazia, abbiano cura di presentarsi in iscuola puliti negli abiti e nelle persone; capisco, è più dovere delle mamme che del bambini, ma se questi fino dai primi giorni in cui cominciano gli studi, si fanno un'idea giusta ed elevata della scuola, dell'importanza dei maestri, del rispetto che loro debbono, useranno verso questi gli stessi riguardi che userebbero in un tempio e verso un sovrano. Non ho mai capito quelle mamme che dicono di un abito dei loro figli: - Questo é sdruscito, servirà per la scuola! - Niente affatto! Sia pur di cotone l'abito, ma senza macchie, decente; siamo in tempi in cui la prima autorità riconosciuta è quella dell'ingegno, e il maestro, che per la sua posizione prova di possedere questa superiorità, ha diritto a tutto il rispetto dei suoi allievi. Nella scuola ci sono i compagni, e un fanciullo ben educato dove a questi gli stessi riguardi che egli ha verso i fratelli e le sorelle: protezioni verso i piu piccoli e una certa deferenza ai maggiori. Se la natura gli ha dato l'inapprezzabile dono d'una bella intelligenza, è fuori posto che prenda delle arie di superiorità coi compagni meno favoriti da natura, come è insopportabile vedere questi ultimi farsi umili e servili verso i piccoli trionfatori. Molti fanciulli hanno un orribile vizio: spiare i compagni e riferirne le poco lodevoli azioni ai maestri; per sistema io punirei sempre l'accusatore prima dell'accusato. Ha base in questo difetto infantile il mal vezzo del pettegoleggiare, che è in rovina della società. È assai di cattivo gusto l'abitudine che hanno bimbi e fanciullette di contare a scuola le ricchezze, la nobiltà delle loro famiglie; nella scuola si è tutti uguali; la sola aristocrazia, il solo bene valevole è il merito personale. In alcune scuole è in uso far regali ai maestri; cattiva abitudine che impone sacrifizi e mortificazioni ai meno ricchi; capisco che a questo dovrebbero provvedere piuttosto i superiori, ma un bimbo finemente educato, piuttosto che imporre un sacrifizio ai suoi genitori, abbia la forza di dire: non posso; si risparmierà così per l'avvenire un mondo di guai che nascono appunto dal non aver il coraggio di confessare la propria posizione anche modesta, il che crea tanti spostati e tanti infelici. Anche verso gli inservienti delle scuole hanno doveri i fanciulli; essi debbono ricordarsi sempre che quanto più in alto ci ha collocati la sorte, tanto maggiormente ci si impone l'obbligo di cortesia e di compiacenza. Non spetta a loro dare ordini, ma costretti a farlo, l'accompagnino sempre con una parola buona; non perdono affatto della loro dignità e sovente con un: per favore, con un: grazie, detti a tempo, si cattivano un'anima degna di affetto e di simpatia. E questo non solamente a scuola, ma anche in casa dove vanno puniti severamente i fanciulli che tiranneggiano i servi, ne spiano gli atti, rendono più misera la vita di quelli che solo un capriccio del caso ha condannato a servirli. Infine il bimbo deve imparare fino dai suoi primi giorni a non dar noia a chi gli sta vicino per necessità o per amore; si trastulli, salti, giuochi, corra, ma pensi che i suoi piccoli fratelli, i suoi piccoli amici, hanno come lui diritto a trastullarsi, correre, saltare; scherzi, canti, rida, ma impari a moderare la sua voce, perchè questa può recar noia al babbo, alla mamma, ai vicini; giuochi pure col gatto, coll' uccelletto, col grillo, ma sappia che i piccoli animali hanno un essere che sente e soffre e ne impari a rispettare il diritto alla vita, alla difesa contro il dolore; impari subito il coraggio delle proprie colpe, l'orrore d'ogni più lieve menzogna: gli si insegni fino dai giorni del grembiulino, dei calzoni corti a vivere per spargere intorno a sè della gioia, della simpatia, che sono appunto lo scopo delle semplici massime che andiamo compilando in questo volume.

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L'inchiostro deve assolutamente essere nero, abbastanza oscuro da dare chiarezza alla scrittura e non troppo da dilagare sulla carta; si è tentato l'azzurro, il viola, il rosso, ma sono tutti capricci e la moda non è durata. Gl'inchiostri colorati stancano la vista di chi legge, sbiadiscono facilmente e sono tutt'altro che di buon gusto. La scrittura è pur troppo un argomento di grande importanza e molto trascurato. So, per dolorosa esperienza, che è difficile acquistare una bella scrittura quando una cattiva maestra, o una eccessiva nervosità, l'hanno da principio impedito; ma tutti possono e debbono scrivere chiaro, per non imporre a chi riceve la nostra lettera soverchia fatica. Sono sconvenienti tanto le scritture troppo alto quanto quelle minutissime; e, del pari, le imitazioni delle scritture altrui, che deturpano la nostra e tolgono quello che ha di individuale questa maniera di dare forma esterna al nostro pensiero. Preparàti questi varii elementi, si può scrivere la lettera. Si mette in testa al foglio la data del giorno in cui si scrive, il luogo di residenza e qualche volta l'indirizzo proprio, specialmente scrivendo ad una persona di riguardo, perchè non possiamo pretendere che tutti si rammentino il nostro recapito, nè abbiamo diritto d'imporre la noia di cercarlo. Viene poi l'intestazione; scrivendo ad un parente, ad un amico affezionato sono leciti tutti gli aggettivi più affettuosi; queste lettere sfuggono allo convenzioni: è il cuore che parla. Ad una semplice relazione, una donna scrive: Mio gentile amico; Gentilissimo signore; Cara signora; Mia cortese amica; secondo il grado di intimità. Non si mette mai un titolo, per intestazione, senza farlo precedere dalle parole; gentile, illustre, ecc., per esempio: Gentilissimo signor marchese; Pregiatissimo signor barone; Ingegnere carissimo. Ad un deputato si intesta: Onor. deputato; ad un ministro: Eccellenza; ad un sacerdote: Molto reverendo signor curato, teologo, ecc.; ad un vescovo, semplicemente: Monsignore; ad un cardinale: Eminenza Reverendissima: ad un principe del sangue: Altezza Reale; al re, alla regina: Maestà. Rivolgendosi ad un inferiore, ad un fornitore si usa il gentilissimo Signore o semplicemente signor Z.; è però sempre meglio eccedere in cortesia verso queste persone che la sorte ha collocato al di sotto di noi e che hanno perciò appunto diritto ai maggiori riguardi. Per ciò che riguarda lo stile della lettera non sarà mai raccomandata abbastanza la più grande semplicità e la chiarezza. Nelle scuole, invece di insegnare tanta vana retorica, tanta filosofia inutile, tante favole del passato, sarebbe assai meglio esercitare i fanciulli e le giovinette in questo così difficile e così utile componimento. Ma, come ho già detto, quanto serve a formare il concetto, il pensiero di una epistola e a indicare il modo di esprimerlo, è opera del maestro e della scuola, mentre io mi limito essenzialmente alla forma materiale. Non si comincia mai la lettera troppo in alto, nè a meta del foglio; non si lascia margine; non si scrive per traverso; non si tollerano macchie, cancellature, richiami: infine dobbiamo fare, come in tutti gli atti della nostra vita, più il piacere degli altri che il nostro; ora certo è poco gradita l'impressione prodotta da una lettera trascurata nell'apparenza, per quanta ne siano elevate le idee, delicati e affettuosi i sentimenti. In Italia teniamo in poco conto tutto questo, ed ho visto coi miei propri occhi lettere di alti impiegati dello Stato, perfino provenienti dal Ministero degli Esteri, che pure dovrebbe dare agli stranieri l'idea della nostra civiltà più raffinata, scritte in maniera che un francese, un inglese non si permetterebbero certo verso un fattore o verso un servo. Ci accusano di sdolcinature, di leziosaggini; io dico invece, e credo di non errare, che manchino completamente di forma. Nella lettera non si deve troppo ripetere caro signore, mia buona amica, ecc., ciò genera noia e non aggiunge grazia alla frase. Ad una persona colla quale non si è in relazione di affetto non si scrive più di un foglio. Nei saluti, una donna che scrive ad un uomo non lo incarica di baci per la moglie, per i figli, nè si firma affezionata, nè devota; può anzi omettere tutti gli aggettivi e scrivere semplicemente: mi dichiaro, mi sottoscrivo, mi firmo, ecc. Solo scrivendo ad un sovrano, ad un alto prelato si firma umilissima; una donna non deve mai abbassare sè stessa, anche se per modestia, si sente inferiore ad altri. Una signora giovane non scrive nè riceve lettere da un giovanotto, a se per circostanze speciali è costretta a farlo, sia molto cauta nelle espressioni; non è quistione di moralità, ma di prudenza; l'uomo migliore può, per mille ragioni interpretare male le sue frasi più semplici, e farsene un'arma contro di lei. Se è vedova non aggiunge al proprio nome questo appellativo, salvo che negli atti pubblici. Scrivendo ad un inferiore sono da osservarsi le stesse regole; per di più, tanto l'uomo che la donna aggiungono al proprio nome il titolo, se lo hanno. Un uomo scrivendo ad una signora non si firma per esempio: ingegnere tale, dottore tal altro, a meno che sia sconosciuto dalla destinataria e le scriva per un incarico avuto o per chiedere un favore. Egli può dichiararsi nella chiusura della sua missiva; devotissimo, umilissimo, ecc., può terminarla con una frase cortese, per esempio: signora mi comandi sempre; pronto ai suoi ordini, ecc.; può dire, se c'è un certo grado di intimità, signora, le bacio la mano, ecc. Con tutto questo egli non perde affatto di dignità. Sull'indirizzo si mette il titolo, la professione e il nome senza farli precedere da nessun aggettivo; chiarissimi, nobilissimi, ecc., sono diventati patrimonio della gente volgare. Le formole che adesso si usano sono le seguenti: Contessa X. di L., Ingegnere I. R. , poi il nome della via, la città, la provincia, la nazione, tutto scritto chiaro, distinto, per evitare imbrogli e fatica inutile all'impiegato postale. Ad una persona di famiglia titolata, ma non tale per matrimonio, si fa precedere al nome aggettivo nobile; così Nobil donna Rosa...; Nobile tale dei tali. Anzi per un uso gentile oggi si fa precedere l'aggettivo nobile a qualunque nome di donna che non vanti nè per eredità, nè per le nozze contratte, un titolo qualunque. È giusto; poichè è un omaggio reso alle nostre donne, tante volte così nobili, anche se l'almanacco di Gotha non se ne immischia. Ora s'usa molto dire semplicemente, per esempio: donna Maria O. Ad un fornitore si mette sulla busta: Sig. X., e poi la professione; se si scrive per caso ad un domestico, a una cameriera a servizio altrui, si ha cura di aggiungere: nella casa del Sig. X., della contessa Z., ecc. Una lettera va affrancata secondo il suo peso; è vera ineducazione imporre una tassa a chi ci legge. Si può mandare il francobollo per la risposta solo ad un inferiore per non aggravarlo di questa spesa, oppure ad una casa di commercio a cui si è chiesta qualche informazione: è scortesia in tutti gli altri casi. Una lettera di presentazione, di raccomandazione, va consegnata aperta alla persona di cui è quistione; è quindi sconveniente di trattarvi affari di ordine privato. Invece si può benissimo chiudere una lettera che altri si incarica di far recapitare per noi, e in cui non si tratti della persona che ci fa il favore. Pregando alcuno di impostare una lettera, bisogna prima affrancarla, chè sarebbe scortesia dargli il carico della spesa o consegnargli in mano il prezzo del francobollo. Nella nostra vita rapida, febbrile, abbiamo trovato il mezzo di abbreviare la lettera, riducendola ad una cartolina postale; brutto mezzo che toglie tutto quanto ha di intimo e di caro la corrispondenza coi lontani. Non si scrive mai una cartolina ad un superiore, nè ad una persona colla quale si abbiano semplici relazioni di società; un uomo non lo scrive mai ad una signora. La cartolina deve contenere in breve l'oggetto, che interessa, non vi si mettono frasi d'affetto, non vi si trattano questioni che possano compromettere chi la riceve; siffatte missive passano per cento mani prima di giungere a destinazione, in ogni frase che scriviamo è un lembo della nostra anima, ed a chiunque sente finemente, non può far piacere il sapersi in balìa degli indifferenti. Si può scrivere una cartolina ad un negoziante per dargli una ordinazione, ad un servo per annunziare il nostro arrivo: ma in complesso essa è un mezzo troppo economico, ed occupa tra i vari generi di lettere il posto che occupa la tranvia tra i veicoli: mezzo di locomozione che tutti abbiamo adottato per economia e comodità, ma di cui non si servirà mai una gran dama che ha la fortuna di possedere una vettura propria. Il telegramma è una lettera nervosa che dobbiamo usare il meno possibile per non far sentire agli altri le conseguenze dei nostri nervi. I telegrammi devono essere scritti con chiarezza quando si consegnano all'impiegato telegrafico e debbono rappresentare esattamente il nostro pensiero, per non costringere chi li riceve a torturarsi il cervello nell'interpretazione. I baci, le carezze, le espressioni troppo affettuose non debbono trovar luogo in un telegramma per la ragione che ho detto prima. Bisogna aver riguardo di spedirli in ore tali da non suscitare inutilmente in chi li riceve spavento od emozioni. Questo naturalmente quando non si tratta di casi urgenti.

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Agli ammalati, anche per lieve indisposizione, vanno cambiate lenzuola e fodere tutti i giorni, purchè il medico lo permetta: la nettezza è la prima medicina: non l'avrò ripetuto mai abbastanza. Per conservare la camicia da notte sono assai graziosi quei sacchi in cui la fantasia e l'arte di una signora trovano tanto campo a sbizzarrirsi. È poco pulito far passare il lenzuolo superiore al posto dell'inferiore, è la nostra pelle che, cogli umori che segrega, insudicia la biancheria; ora non so perchè il triste privilegio dovrebbe essere riservato ad un solo dei panni che ci avvolgono durante il riposo. Per aver caldo è meglio servirsi di coperte soffici e leggere; i piedi molto caldi impediscono che nel sonno il sangue si porti alla testa. Bisogna dormire colla testa fuori delle coperte, se vogliamo svegliarci col volto fresco e riposato. Chi, viaggiando in mare o in ferrovia, si corica, perchè deve percorrere lunghi tratti di strada, fa bene a provvedersi di una lunga camicia di flanellina leggera colorata da soprapporre a quella di tela; evita così i reumatismi e si trova pronto e decente per ogni evenienza.

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Sul modo di comportarsi a tavola ho già scritto abbastanza: non è quindi il caso di riparlarne. Accadde però all'ufficiale di marina, capitando in paesi stranieri di civiltà diversa dalla nostra, di trovarsi talora davanti a vivande, a frutta non mai viste nè conosciute, di cui non sa come servirsi nè come mangiarle. Ricorrano in questo caso ad una piccola astuzia: osservino, senza farsi scorgere, come si servono gli altri, e come ne mangiano, oppure si astengano dal prenderne. Ma ciò può talora essere pericoloso: in certa gente la suscettibilità è così a fiore di pelle da prendere un rifiuto come un insulto e ciò che ha poca importanza per un mortale qualunque acquista gravità per l'ufficiale di marina che ha in certo modo l'obbligo morale di stabilire buone relazioni tra il suo paese e quello che lo ospita o almeno di non turbare l'armonia già esistente. Nelle occasioni in cui non si indossa la divisa bisogna osservare rigorosamente le usanze del paese. Ad un pranzo inglese gli invitati assistono in frac e cravatta bianca a cui corrisponde la divisa con o senza spalline secondo il carattere più o meno solenne del pranzo o il grado sociale del padrone di casa. I calzoni bianchi in occasioni di pranzi, balli o altri trattenimenti di questo genere sono da evitarsi; mentre è necessario in tali occasioni il panciotto bianco. Nella zona tropicale si indossa spesso per i pranzi la Dinner-Jacket che è bianca, con la cravatta nera, mai però i calzoni bianchi. In queste occasioni sono indispensabili le scarpe di pelle lucida. Tutti gli ufficiali di marina e gli italiani specialmente, sembrano sviluppare quel sentimento dell'ospilalità che è per sè stesso una caratteristica nostra, e non si può immaginare cosa più simpatica che un pranzo o una colazione a bordo di una delle nostre belle navi da guerra. Nella distribuzione dei posti degli invitati bisogna tener presente se essi parlano lingue straniere ed a quali corpi appartengono; insomma bisogna tener conto di tutto ciò che può contribuire a mantener viva ed interessante la conversazione tra i commensali. Se ad un pranzo partecipano signore e signorine, i loro posti vengono distribuiti secondo il grado dei rispettivi mariti o genitori, in modo però che le signore precedano le signorine e che le prime non vengano a trovarsi vicino al proprio marito, nè le altre accanto ad un prossimo congiunto. È degna d'essere seguìta l'usanza inglese a bordo delle navi da guerra, di dire a tavola solamente un'allocuzione breve, bevendo alla salute della Sovrana o del Sovrano della nazione a cui appartengono gl'invitati. Per lo più un brindisi fatto in una lingua straniera che non si parla a perfezione, verrà detto stentatamente, e un brindisi per quanta vivace fatto nella propria lingua, correrà rischio di non esser capito. Ad ogni modo a coloro che sentono il bisogno di fare dei brindisi, è da consigliarsi caldamente una certa brevità. Ai brindisi fatti in onore della R. Marina e dei suoi rappresentanti si risponde in nome di tutta la Marina, esprimendo la più viva riconoscenza per le parole lusinghiere del propinante. Si possono menzionare in tal caso fatti che abbiano illustrato la storia navale delle rispettive nazioni; e si termina coll'invito a bere alla prosperità della Marina cui i convitati appartengono, e dei suoi insigni rappresentanti. Bisogna essere molto prudenti nel fare allusioni politiche, e nell'esprimere la speranza di combattere uniti, ecc. Si possono benissimo trovare argomenti di risposta esprimendo, per esempio, il pensiero che rimarrà perpetuo ricordo dei giorni passati in così piacevole compagnia, la gratitudine per l'ospitalità goduta, il piacere di aver visitato una città, ecc. Infine nel marinaio ci deve essere un po' del diplomatico, egli deve mostrare più tatto che un ospite qualunque, che il più cortese dei padroni di casa.

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Nè io so abbastanza rallegrarmene, poichè tale riguardo fa più solenne il solo momento che quegli uomini, occupati, anche se milionari, nelle cure degli affari, passano colla loro famiglia. Le regole cui ho accennato non impediscono che si possa nell'amicizia fare un invito a pranzo per la sera stessa o per il domani. Chi non interviene ad un ballo o ad un pranzo dove avvertire subito le persone che avevano mostrato di desiderare la sua compagnia; dire la cagione del rifiuto, se è possibile; altrimenti scusarsi con gentilezza, ma non mai farsi aspettare inutilmente. Da noi, dove non è ancora d'uso generale l'abito a coda per qualunque invito a pranzo, bisogna prender consiglio dal buon senso. Negli otto giorni che seguono la festa, bisogna fare una visita di ringraziamento. Molte volte per un ballo una signora prega qualcuno dei suoi più intimi di presentarle in quella circostanza dei ballerini; questi non hanno l'obbligo di una visita, ma debbono però il domani lasciare una carta di visita alla signora che li ha ospitati, anche se l'invito venne fatto con un po' d'interesse. Chi ha passato qualche giorno in campagna, o anche in città, in casa di amici, ha l'obbligo di scrivere subito una lettera di ringraziamento agli ospiti; sarebbe scortese mandare subito un regalo; si aspetterà invece per sdebitarsi del favore ricevuto. Chi accetta un invito da persona di condizione inferiore alla propria, può, per provare la sua gratitudine, offrire un dono di roba utile; una cassa di vini fini, frutta, dolci, salumi, ecc.; è un modo gentile di compensare l'aggravio di spese che quella ha subìto per noi. Anche questo però va fatto con grazia, accompagnando il dono con una lettera delicata ed affettuosa. Infine non bisogna mostrare di voler pagare l'ospitalità ma nello stesso tempo è indelicato approfittarne senza cercare di sdebitarsene. È molto scortese chi andando a passare qualche tempo in campagna da amici porta seco il fondo delle guardarobe, tutti i vecchi stracci, per finirli. Anche se la campagna è isolata, se non c'è vita di società, bisogna aver riguardo ai padroni di casa, e se sono da disapprovarsi le signore che arrivano con dieci bauli, per una breve dimora, è invece lodevole il pensiero di preparare qualche costume grazioso per l'ora dei pasti, per le serate in famiglia, per le circostanze impreviste. Chi è in casa d'altri dove adattarsi alle abitudini che trova, anche a costo di rinunziare a qualche propria consuetudine; è fuori posto comportarsi come un membro della famiglia, imporre idee, dar consigli non chiesti, ma non lo è meno vivere come se si fosse in un albergo, indifferenti alle gioie e ai dolori di chi ci ospita; insomma bisogna tenere una via di mezzo se vogliamo la nostra presenza sia piacevole e desiderata. Una giovinetta, una signora giovane possono benissimo dar mano nel porre ordine alla camera che occupano, se la famiglia dispone di pochi servi. Possono intrattenere i visitatori di minor confidenza per aiutare la padrona di casa, possono disimpegnare con lei qualche faccenda; infine, esserle di sollievo e non di peso. Chi è ammalato o avvezzo a molte delicatezze di vita, farà bene a rifiutare simili inviti, a meno che sia certo di non recare il più lieve disturbo. Partendo da una casa dove siamo stati accolti, è necessario lasciare una mancia a tutti i servi, tanto più generosa quanto fu più lunga la nostra permanenza e maggiori i servizi richiesti. Tali mance non si dànno però in presenza dei padroni di casa, chè sarebbe un'ostentazione, uno sgarbo. Invitati ad una partita in campagna, di quelle dette a pick-nick, si chiede subito il prezzo stabilito per ciascuno, per non correre il rischio di qualche poco piacevole sorpresa; si ha il diritto di domandare il nome delle persone che interverranno e se non sono di nostro gusto si potrà rifiutare, ma senza diffondersi in commenti pericolosi, che potrebbero urtare qualche suscettibilità. Invitati ad una festa nuziale, se non si è fatto un dono alla sposa, è quasi indispensabile farsi precedere da un mazzo di fiori; i fiori si mandano anche se per ragioni speciali si rifiuta l'invito. Chi pranza sovente in una casa è obbligato, in certe circostanze, ad un dono alla padrona di casa, e a qualche mancia al domestico o alla cameriera che apre la porta, che aiuta a mettere e deporre il soprabito. Se poi vi sono bambini, il dono si fa a questi di preferenza. Ciò riguarda specialmente gli uomini scapoli; chi ha famiglia, difficilmente lascia la propria per la tavola altrui, e può sempre rispondere ad un invito con un altro invito. Uno scapolo può benissimo invitare una signora sola a passare qualche giorno nella propria campagna senza comprometterla; ma allora farà in modo di riunire varie persone nella stessa circostanza, sicchè vi sia una famiglia, o una signora d'età, alle quali, tacitamente, affida l'incarico delicato di tutelare il buon nome della signora sola. Se la invita solamente a pranzo od a colazione, all'albergo; o anche a casa propria, avrà l'avvertenza di estendere la cortesia ad un parente di lei o ad un amico comune; una signora può accettare in queste condizioni un invito, senza scapitare affatto nel suo buon nome. Dopo tale invito la signora non ha obbligo nè di lettera, nè di visita; le si presenterà facilmente l'occasione di sdebitarsi con una persona che, dopo tutto, a lei debitrice di una piacevole ora. Un artista può invitare una signora, sia pur giovane e sola, a visitare, il suo studio, ad ammirare una nuova opera d'arte, e la signora farebbe male a farsi accompagnare da qualcuno, quasi a proteggere la sua virtù; se ella dubita dei sentimenti dell'artista, rifiuti addirittura con una scusa plausibile, e altrimenti si fidi alla educazione di lui; gli artisti debbono essere e sono gentiluomini, e una donna trova sempre in sè stessa, l'egida migliore. Invitata da un sacerdote a visitare una chiesa, un oggetto sacro, prezioso, od antico, una persona facoltosa lascia un'elemosina per i poveri della parrocchia; ma ciò non è un obbligo. Si potrà del pari regalare una mancia al sagrestano che avrà annunziato i visitatori o mostrato l'oggetto in questione. Come si fanno gli inviti per scritto, ho già detto parlando della lettera in genere; insisto ora sul fatto che debbono essere chiari, semplici, graziosi.

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È ineducato chi per istrada mostra di non riconoscere una persona, o perchè questa sia malvestita, o perchè egli stesso si trovi in compagnia di tale da cui creda innalzati il proprio merito e la propria importanza; costui mostra semplicemente di non pregiare abbastanza la sua individualità. La stretta di mano non va data con soverchia prodigalità. I nostri moderni principii di eguaglianza hanno però resa questa forma di saluto molto popolare, e i nostri sovrani ne dànno l'esempio, tanto che Sua Maestà il Re non sdegna di stringere colla sua mano regale la destra bruna e callosa di un operaio. Però ciò che è lodevole atto di cortesia nei sovrani può essere assai sconveniente in una signora, sicchè essa farà bene ad essere prudente prima di stendere la mano, specialmente ad un uomo. Sono ugualmente ineducati quelli che col pretesto della stretta all'inglese vi rompono le dita, e gli altri che posano nella vostra una mano inerte, glaciale. Non ci vuole soverchio calore nè indifferenza; sia nella stretta di mano una espressione di franchezza, di cordialità, che faccia giudicar bene del nostro carattere. L'uso di abbracciarsi in istrada è molto sconveniente; le espansioni di affetto debbono essere riserbate nell'intimità; ma qui piuttosto che di educazione è questione di carattere, sicchè non saprei condannare due amici, due amiche, che rivedendosi dopo vario tempo si gettano affettuosamente le braccia al collo dovunque si trovino. Gli uomini non hanno gran che questa abitudine; le donne fanno bone a non manifestarla troppo. Accade purtroppo, non di rado e per ragioni varie, di essere costretti a troncare le nostre relazioni con amici e parenti; ciò si faccia senza strepiti, senza scandali; è sconveniente di parlare a terze persone dell'accaduto, dicendo male di quelli che abbiamo dovuto eliminare dal circolo delle nostre relazioni. Incontrando questi individui in società, in visita, si fa un lieve cenno di saluto, tanto da non mettere nell'imbarazzo i presenti. Incontrando per via le stesse persone è scortese di volgere la faccia o mostrare un'espressione di noia. Le rotture tra uomini sono sempre più gravi, e finiscono talora col codice cavalleresco. Perciò è meglio essere molto cauti prima di stringere amicizia; è questa la parola più sfruttata di tutto il vocabolario, ma sono così rari i veri amici! Coi vicini di casa, in città e in campagna, bisogna usare i massimi riguardi; non disturbarli con rumori di nessun genere, non usurparne i diritti, non annoiarli. I regolamenti di tutti i Municipi stabiliscono le ore in cui è lecito battere i tappeti; è dunque un dovere farlo a tempo debito. Chi suona uno strumento, qualunque esso sia, abbia pietà delle orecchie dei vicini, e non faccia i suoi esercizii in ore troppo mattutine, o troppo tardi la sera. Non si ha affatto l'obbligo di far relazioni cogli inquilini della stessa casa, ma, fatta che si abbia, non li si annoino con visite troppo frequenti, con continue richieste d'imprestiti, lavori od altro. Ognuno ama la propria libertà e vi sono ore e giorni in cui è possibile che anche la migliore amica ci riesca importuna. Se un inquilino muore, si manda l'annunzio a tutti gli abitanti della stessa casa, i quali sono obbligati ad intervenire al funerale, ed a mandare il proprio biglietto di condoglianza, anche se non v'è relazione tra le famiglie. Se si dà un ballo o, per una ragione qualunque, si fa chiasso la notte, si chiede scusa ai vicini del disturbo arrecato. Oramai fumano tutti; e se l'abitudine è in sè poco elegante, si può aggraziarla con un poco di educazione. Bisogna badare, fumando, di non gettare il fumo in faccia ai vicini. Un uomo non fuma se non è autorizzato dalla signora che è presente; non si getta la cenere in terra col rischio di bruciare tappeti o strascichi di vestito. Se la sigaretta ed il sigaro sono già poco eleganti, la pipa è insopportabile, e un uomo che ha il difetto di servirsene, lo fa solo nella propria camera e mai in pubblico, a meno che ne sia autorizzato. Non si saluta una signora, un superiore, nè si parla loro, col sigaro in bocca; entrando in un luogo pubblico, o in una casa privata, si getta il sigaro, anche se appena incominciato: non è pulito, nè elegante metterlo in tasca spento o lasciarlo in anticamera. L'uso delle sigarette per le signore è una delle questioni più discusse oggi: è un male che le signore fumino? Io non credo: se hanno un marito, un padre cui non piace tale abitudine, se ne astengano per compiacenza; ma in caso diverso non parmi esse vengano meno all'educazione nè commettano cosa che debba celarsi come una colpa. Non dovranno però mai fumare in un caffè, o nella via; nè eccedere nel darsi a questo capriccio: e sempre apportarvi la grazia eletta che è la caratteristica della donna.

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Non saprei abbastanza sconsigliare uomini e donne dal servirsi senza necessità nel discorso di termini sportivi: è anche questa un'affettazione, una volgarità: se lo sport è una cosa utile e simpatica, non è però parte essenziale della educazione e chi per una ragione o per un'altra deve tenersene lontano, può trovarsi nell'imbarazzo per il malvezzo di qualcuno tra questi elegantissimi d'infiorare le frasi di barbarismi intraducibili, di neologismi sconosciuti a tutti i dizionari più recenti. Una signora, una signorina possono benissimo accettare un invito a prender parte sole ad una di queste partite; naturalmente rifiuteranno una passeggiata in bicicletta, a cavallo, in automobile al chiaro di luna, sole, con uno o più cavalieri; ma poichè i casi della vita sono tanti, darebbero prova di poco buon gusto, di poca fiducia in sè stesse, se, accadendo di doversi trovare appunto sole per il ritorno da una partita di piacere, si mostrassero offese, riluttanti, paurose d'accettare la compagnia di uno o più uomini. Questi dal canto loro debbono più che mai in tali occasioni provarsi gentiluomini perfetti verso la donna affidata alla loro cura. Anzi, i rapporti fra uomo e donna, nei giuochi all'aria aperta, devono essere in modo speciale cordiali quanto si vuole, ma riservatissimi. È naturale che l'uomo si serva della sua forza, della maggior esperienza, per proteggere, iniziare alla maestria dei giuochi, una fanciulla, una giovane signora, ma queste apparirebbero volgaruccie, anzi che no, se ne approfittassero per turbare con la loro civetteria la pace del compagno, per annoiarlo facendo pesare la propria inesperienza, la propria debolezza. Così ha torto la signora che, trovandosi sola in una riunione di giuocatori, si esime da quelle piccole spese di noleggio, mance che incombono ad esempio a chi non possiede attrezzi propri. Questi giuochi all'aria aperta non mirano al guadagno; purtroppo invece anche in case distintissime, i giuochi detti di tavolino dànno al vincitore un premio materiale; ma io non saprei abbastanza lodare quelle signore che si rifiutano ad ammettere nel loro salotto questa speculazione mondana. Non ho detto a caso speculazione, chè disgraziatamente uomini e donne si servono troppo sovente di questo mezzo per ingrossare rendite miserelle; in ogni modo, tradire avidità del guadagno, eccessivo dolore per la perdita, adirarsi contro chi vince, contro un partner poco fortunato, sono prove di cattiva educazione che vanno severamente condannate. Chi non è disposto a perdere può benissimo rifiutarsi di prendere parte ad una partita dove il rischio sia troppo forte, nè gli occorre dichiarare la propria insufficienza; la piccola menzogna d'ignoranza del giuoco, gli verrà facilmente perdonata. Ha torto chi insiste nell'invito al giuoco: è questione di tatto: ma sono appunto fatte di tatto queste nostre buone usanze. Mi parrebbe quasi inutile osservare che la mancanza di correttezza, di delicatezza nel giuoco, l'approfittare dell'inesperienza altrui o dell'altrui buona fede, oltre che essere un vero delitto, è anche un delitto di lesa mondanità, pure, specialmente le signore assai più sovente che non si creda, si rendono colpevoli di questa infrazione alla legge e la galanteria degli uomini che risparmia loro quel brutto aggettivo che squalifica i loro compagni, l'impunità che esse godono, lo obbliga moralmente ad una più perfetta condotta. I debiti di giuoco si pagano nelle ventiquattro ore: debbono ricordarsene le signore che aspirano ad aver diritti uguali a quelli degli uomini. Interrompere i giuochi con chiacchiere, giuocare svogliatamente, ingerirsi nel giuoco dei vicini, sono tutte sconvenienze che deve evitare una persona per bene. Così è scortese quello che rifiuta di tenere il posto di una persona momentaneamente assente, scortesissimo l'altro che rifiuta di giuocare con una persona troppo anziana, con un inabile giuocatore. Per fortuna i famosi giuochi di società sono quasi in disuso. Essi pure richiedono da parte degli uomini e signore molto riserbo, una grandissima dose di spirito, l'offendersi per uno scherzo un poco spinto, l'insistere in questi scherzi, arrischiare doppi sensi poco corretti, sono tutte mancanze gravi che vanno evitate. Spetta alla padrona di casa che ha la disgrazia di ricevere nel suo salotto persone delle quali non garantisce l'educazione, di impedire questi giuochi onde non mettere nell'imbarazzo una giovinetta, una timida signora. In conclusione, sia nei giuochi all'aria aperta, sia giuochi di tavolino come in quelli di società, occorre una grande dose di finezza, se si vuole che il giuoco non degeneri in scurrilità, non sia fonte di mali umori, di danni, anzichè sollievo e benefizio alla vita.

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Non sarà quindi mai disapprovato abbastanza lo chauffeur che, con la sua macchina, senza sufficiente esperienza, s'avventura sulle pubbliche strade attentando all'incolumità dei suoi simili, non che alla propria. E poichè occorre un quidsimile di patente per avere il permesso di guidare in pubblico un'automobile, vorrei suggerire che le persone incaricate dell'esame mostrassero altrettanta severità quanta ne incontrano, per la loro laurea, medici, avvocati e ingegneri; così l'automobilista offrirebbe una seria garanzia della sua abilità prima di cimentarsi sulle pubbliche strade. Purtroppo però nemmeno questa patente può impedire, ad un freno di non mordere, ad uno chauffeur di esser preso da vertigine, o di urtare, per inavvertenza altrui, in un qualunque veicolo od in un passante. Sia colpevole o no il malaugurato automobilista, scenda subito dalla sua macchina, non fugga vigliaccamente come un ladro, s'informi dei danni cagionati e nel limite delle sue forte risarcisca generosamente. In Inghilterra, dove pure quando si tratta di sport si accendono vivi entusiasmi, è bandita una vera crociata contro la eccessiva rapidità delle automobili, anche se questa viene esercitata sulle strade di campagna, e se n'è fatta addirittura una questione parlamentare. Ed è giusto che sia intervenuta una provvida legge a stabilire il grado di velocità a cui possono essere lanciate le automobili, nè questa, legge può essere tacciata di pedanteria. Perchè un individuo fortunato può procurarsi il lusso di possedere una macchina meravigliosa, non deve perciò forse, nella lietezza del divertimento, essere più canto, più buono, pensando all'incolumità dei meno fortunati che vanno a piedi? Anche un cavallo può imbizzarrirsi e travolgere fra le sue zampe un pacifico viandante, è vero; ma è anche verissimo che il cavallo ha una volontà propria, che talvolta sfugge alla destrezza e alla forza del cavaliere; invece l'automobile non è che una macchina alla mercè di un individuo che può e deve assolutamente saperla comandare. L'automobile corre sulla sinistra della strada o della via, ma quest'obbligo si capisce che lo si possa trascurare su d'una deserta strada di campagna, correndovi in mezzo, ma incontrando un altro veicolo passa a sinistra, rallentando; dovendo invece sorpassare un altro veicolo che corra nella stessa direzione, passerà a destra, pur rallentando dopo aver dato il consueto avviso. Come si veste in automobile? In verità io credo che il costume ideale non sia ancora stato creato. Finora, almeno in Italia, tranne che in rari casi, l'automobile non ha ancor sostituito la botte, la cittadina, la carrozza d'affitto. L'automobilismo rimane uno sport di alta eleganza; niente fronzoli ai capelli ed agli abiti delle signore; assenza completa di ogni leziosaggine nel costume maschile. L'ampio mantello di caucciù per l'estate, la pelliccia a lungo pelo per l'inverno, sono le più valide difese contro i danni ed i malanni che le pazze corse del teuff- teuff arrecano alla salute dei fortunati che possono darsi a questo davvero modernissimo lusso. La polvere è senza dubbio il peggior nemico dell'automobilista elegante; e soltanto la pelliccia e il caucciù possono difendere il sottostante vestito, dato che lo chauffeur si curi di arrivare a destinazione in istato decente. Le signore, sopra gli occhiali di così detestable effetto estetico, e pure utilissimi, mettono il velo. Guanti d'incommensurabili proporzioni, cravattone-scialli di tutte le foggie possibili, sono adottati dai più brillanti chauffeurs. In conclusione: il verbo ultimo dell'eleganza automobilistica non è ancora stato detto, e ciò è naturale: la legge nasce in seguito a molti fatti simili che hanno prodotto simili conseguenze; l'automobilismo è, fino ad oggi, un fatto straordinario che per sua fortuna vive libero e solo. Tocca al buon gusto ed al senso pratico dei cultori di questo sport indicare le regole migliori per renderlo gradito a quanti oggi gli sono ostili. E voglio finire ricordando ai fortunati possessori di un'automobile, che molti dei loro amici i quali ne son privi, vivamente desiderano di fare almeno una o due volte in vita loro qualche gita in automobile; lo chauffeur non sia quindi parco d'inviti di questo genere, e meglio li estenda alle più umili sue conoscenze: costa tanto poco farsi ben volere procurando qualche ora di svago, qualche ora gaia a chi ardentemente li desidera.

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In uno dei primi Istituti d'Italia vige un'usanza che non saprei abbastanza lodare; ogni anno sono concesse tre medaglie, dette di gentilezza, a tre allieve elette, per iscrutinio segreto, dalle loro compagne: ebbene, io non so dirvi quali criterii di giustizia signoreggiano l'elezione, nè quali istinti di rettitudine guidino nella scelta la mente di quelle giovinette di cui alcune non hanno raggiunto i dieci anni; ma so di certoche per gentilezza esse non intendono servililà, ma bontà vera, generosità, altruismo nell'alto senso della parola. E ciò che io più ammiro in questa consuetudine è la completa libertà di scelta che si lascia alle fanciulle, perchè è vera sapienza rispettare il carattere originale del bambino, trattarlo come un uomo, e, dicendo di fanciulle, vorrei dire come adulte, perchè la donna oramai vuole essere educata virilmente. E se nel bimbo d'oggi c'è l'uomo di domani, se la fanciulletta rappresenta la madre delle future generazioni, noi dobbiamo fin da principio porre nel loro cuore le basi di queste buone usanze, avvezzandoli a rispettar tutti nella scuola e fuori; tutti assolutamente: grandi e piccini, ricchi e poveri, buoni e cattivi, pur lasciandoli pensare col loro cervellino, e sentire col loro tenero cuore. C'è ancora una cosa che io vorrei dire ai bimbi d'Italia: da noi esiste, è vero, alquanta famigliarità tra padroni e servi, industriali ed operai, famigliarità che addolcisce certi contatti necessarii, ma non sempre piacenti; ma il rispetto verso i dipendenti considerati come uomini e come cittadini manca quasi completamente; ed io vorrei che questo sentimento di rispetto per tutti fosse ispirato fin dai primi anni di scuola ai bimbi ed alle fanciullette, senza di che, credetemi, le buone usanze rimarranno sempre lettera morta.

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Non sono abbastanza formalista per mettere quest'usanza tra le regole fondamentali, ma sono abbastanza pratica per consigliare di non trasgredirla a chi vuole dimostrarsi compìto in tutte le forme della civiltà. Del resto, come ho già detto, una donna senza religione è un fiore senza profumo, un essere incompleto; essa fa supporre un'assenza di sentimenti che agghiaccia chi l'avvicina, e l'assenza del sentimento una prova di deficienza dell'anima; e mi pare che non vi sia momento della vita, in cui ella debba sentire più forte il bisogno dell'aiuto divinoAvvertiamo che questa recisa affermazione dell'egregia Autrice può considerarsi come puramente soggettiva. (Nota degli Edit.) e della propria forza. Molte spose regalano al fidanzato un anello di ricordo, e, semplice o ricchissimo, lo sposo è tenuto, per riguardo alla sua futura donnina, di portare questo simbolo della tenerezza che li lega. Il fidanzato, in qualche paese, regala la cosidetta corbeille, che rappresenta in certo modo il cofano intagliato o intarsiato che i vassalli dell'antico signore offrivano alla sposa. In molti casi si fa chiedere alla fanciulla quali sono gli oggetti che ella preferisce e crede di maggior utilità; se essa è intelligente saprà adattarsi alle circostanze; quindi se è destinata ad una vita mondana, sceglierà le trine, i velluti, i gioielli, mentre se la sua vita futura le si presenta modesta, preferirà gli abiti di lana, le tele, le fiandre, i solidi merletti destinati a rendere semplicemente elegante la sua casa. La sposa dove assolutamente fare buon viso a questo dono che rappresenta, direi quasi, l'accoglienza fatta a lei nella nuova famiglia. Questo dono collettivo varia anch'esso a seconda dei gusti, delle ricchezze della famiglia dello sposo; deve informarsi al genere di avvenire che attende la famigliuola. Se il matrimonio civile è celebrato il giorno prima di quello religioso, la sposa vi indossa un abito da visita elegantissimo, il più elegante che ha, col cappello intonato; sarebbe ridicolo che si vestisse in bianco o avesse un velo invece del leggiadro chiffon di tulle o di trine. Regolarmente la sposa aspetta in casa lo sposo che venga a prenderla, e quindi ella va al municipio scortata o dalla mamma o da una zia, una sorella maggiore; sale la scala al braccio del padre, del fratello o di un vecchio amico e ascolta con attenzione il discorso, che il sindaco o l'assessore incaricato si credono in dovere di esporle; può anche sedersi, la nostra natura moderna, nervosa e delicata, ammette queste debolezze naturali in un momento di emozioni così forti. I fidanzati escono dalla sala del municipio marito e moglie, davanti al mondo, ma la sposa torna a casa dei suoi genitori; fino a che Dio non ha benedetto il suo amore, ella non ha diritto di seguire il suo compagno. Molte spose non vestono nemmeno per la chiesa l'abito bianco, vi portano l'abito da viaggio reso un pò più gaio da un cappellino maggiormente elegante di quello che deve affrontare la polvere della ferrovia. La sposa entra in chiesa come al municipio, dando cioè il braccio al padre o a chi ne fa le veci; quivi pure la seguono i testimoni, i parenti, gli amici; lo sposo dà il braccio alla sorella della sposa, o alla signora che l'accompagna. Quando il matrimonio si fa con pompa, si adotta anche da noi l'uso delle demoiselles d'honneur, che vestono di chiaro e quasi sempre in modo poco dissimile l'una dall'altra. Per il ritorno a casa, dopo la chiesa, la sposa si appoggia al braccio di quegli che oramai, davanti a Dio non meno che davanti agli uomini, le appartiene per la vita. Salgono nella stessa carrozza e, generalmente, vanno a casa della sposa dove è imbandita la colazione o semplicemente offerto un rinfresco o un lunch. Molti però adesso, e fanno benone, rifuggono da tutte queste cerimonie; le due famiglie vanno al municipio e in chiesa tranquillamente, magari a piedi, vi dànno convegno ai testimoni e compiono senza chiasso la doppia funzione. Se ha luogo il pranzo di nozze, lo sposo siede tra le due madri interessate, la sposa tra i padri; ella è servita per la prima, e se ha adottato la moda inglese del famoso wedding cake, gâteau de noces, è lei che lo taglia e ne distribuisce i pezzetti, che devono portar fortuna alle sue amiche. Per la colazione è vestita da viaggio, porta i suoi gioielli a scelta; è una signora, oramai, e le è permesso lo sfoggio dei suoi tesori. Se fa il viaggio di nozze abbia cura di non portarsi un numero straordinario di toilettes e cartoni; dà subito noie al marito, il quale non può a meno di supporre che ella pensa piuttosto alla propria vanità che non alle nuove gioie; che ama solo il suo piacere non tenendo affatto conto dell'incomodo che recano tanti ingombri. Intorno alla convenienza ed alla estensione del viaggio di nozze esistono mille opinioni; io non ne emetto alcuna; consiglio però, se si fa: molto tatto da una parte e dall'altra, se non si vuol renderlo una fatica noiosa anzichè un diletto. La sposa si uniformi molto ai gusti del marito, non si mostri troppo appassionata dei luoghi che vede, ma non rimanga fredda davanti agli entusiasmi di lui per le bellezze naturali od artistiche. A questo punto, la nobile dama che ha avuto la cortesia di consigliarmi nella revisione di questo libriccino, mi dice: "E perchè mai la sposa deve uniformarsi ai gusti del marito? Perchè deve nascondere, soffocare le proprie impressioni? È desiderabile la repressione di ogni personalità nella giovine sposa? Manifestare entusiasmi e ammirazione che non si sentono, non è forse ipocrisia?,, - In fatti la questione può essere semplificata così: far cosa grata al marito facendolo partecipe dei proprii gusti partecipando ai suoi, in quella misura giusta e naturale, pur serbando, la sposa, intatta la propria personalità. Guai alla donna che da principio rinnega sè stessa, schiava dell'amore o di una falsa edncazione. Quando arriva negli alberghi sappia subito dare un aspetto di abitato alla camera scelta, e a questo scopo abbia cura di porre nel suo baule alcuni di quei gingilli che le sono famigliari, qualche fotografia dei suoi cari, un vasetto per i fiori; lo sposo acquisterà subito una buona idea delle sue qualità di donnina di casa, e sarà felice di trovarsi con lei in quell'ambiente reso meno banale dalle sue piccole attenzioni femminili. Noi Italiani che viaggiamo poco, non conosciamo quest'arte; molte volte il viaggio di nozze è il primo della nostra vita, dunque indispensabile di sapersi regolare per non renderlo un tedio reciproco. La sposa scrive subito alla mamma, parlandole naturalmente della sua felicità; la buona signora attende ansiosa quella lettera forse la prima che riceve dalla figliuola che non visse mai separata da lei. Le partecipazioni del matrimonio compiuto si mandano anche a tutti i più lontani conoscenti: devono essere stampate su carta fina; siano semplici, eleganti e chiare; devono portare dei due domicilii per la restituzione dei biglietti di visita. Sono i parenti che le spediscono il giorno stesso del fausto avvenimento, e sono essi che annunziano le nozze celebrate tra i loro figliuoli, come già ne hanno annunziato il fidanzamento. Qualche volta però, trattandosi di orfani, per esempio, o di una vedova che si rimarita, sono gli stessi sposi che rendono pubblico il fatto. La formula per queste partecipazioni é quasi la stessa che si usa per far note le scambiate promesse. Se la sposa non è più molto giovane, si ricordi di evitare, anche in questa cerimonia finale tutte le pompe; non si vesta di bianco, non metta il candido velo, sono cose che si addicono ai volti freschi e rosei, mentre stuonano con le prime fatali traccie del tempo.

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Non mi parrebbe di insistere mai abbastanza su ciò che riguarda la nettezza personale dei fanciulli: un bimbo sporco potrà forse riuscire pittoresco per il quadretto di genere, ma in realtà egli a un bimbo che ripugna e allontana da sè. lo vorrei che fosse possibile insegnare un undicesimo comandamento:"Dopo il prossimo ama l'acqua più di te stesso,,. Gli Inglesi che hanno il culto della bellezza e della salute fisica più assai di noi che pure ci compiaciamo come d'un ritornello di queste parole altosonanti, oltre al bagno mattutino danno ai loro figliuoli un lavacro completo prima di avvolgerli nelle tiepide coltri del lettuccio; ma da noi c'è ancora chi crede, lavando i figliuoli prima di coricarli, di turbarne i loro sonni e di sciupar loro la pelle.

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Eva Regina

203580
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 28 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Non avrò mai raccomandato abbastanza alle signore che recitano, la superiorità, la disinvoltura per la scelta delle parti. Le vanità, i ripicchi, i puntigli, le gare invidiose, sono crittogama da palcoscenico che si attacca solo ai comici di mestiere. Tra persone raffinate non si deve badare all'effetto di questa o di quella parte, ma procurare di mettersi d'accordo perchè il divertimento non degeneri in dispiacere. Anche una parte secondaria, se portata con grazia e ben curata, può fare onore e rivelare le buone attitudini dell'attrice; mentre le prepotenze, gli sdegni, i permali, attirano il ridicolo e alienano tutte le simpatie.

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Un vecchio proverbio, mai abbastanza ascoltato, ci avverte che non bisogna fidarsi dell'apparenze che ingannano. Devono persuadersi, quindi, che l'eleganza e la correttezza del vestiario, la finezza dei modi, la cortesia della parola, non fanno sempre nè il gentiluomo nè il galantuomo: che la loquela facile e brillante nasconde non di rado l' astuto raggiratore, come l' eloquenza poetica e sentimentale vela molto spesso l' assoluta aridità e la bassa menzogna. Innumerevoli donne furono e sono vittime nelle sostanze, nella persona e nell'anima, di uomini, incontrati appunto per caso, che le ingannarono e a cui prestarono fede, illuse da apparenze seduttrici: vediamo quindi di non accrescere la sventurata schiera, che l' educazione moderna, risvegliando nella donna vivamente la coscienza della propria responsabilità individuale, facendola più esperta e forte, non dovrà rinnovare. Ripeto — e mi preme insistere su questo punto — che prudenza e riserbo non significano scontrosaggine e durezza. Se anche non presentata, una signora potrà scambiare qualche parola con una vicina d' aspetto serio e distinto, potrà renderle qualche piccolo servizio, potrà salutare le altre signore quando le incontra nei corridoi dell' albergo o agli stabilimenti termali, in qualche luogo di ritrovo. Potrà anche accettare da un uomo qualche cortesia, prender parte a un discorso, mostrarsi qual è, colta gentile e buona. Ma non dovrà trattare quei compagni d'un' ora con gli stessi modi, con lo stesso linguaggio coi quali tratta nella sua città le sue conoscenze : nè dimostrerà loro lo stesso affetto che dimostra alle sue amiche di anni. In montagna è bene bandire ogni vaporosità di tessuto e di ornamento, ogni esagerazione, ogni eleganza troppo raffinata della moda. Bisogna attenersi alla lana, alla buona lana igienica, morbida; od anche alla rude lana così simpatica, che tanto dona alle giovani e delicate bellezze. I colori siano tranquilli, resistenti; le foggie semplici. Le cinture di pelle, od anche qualche molle sciarpa a tinte vivaci, uguali alla cravattina, saranno pure indicatissime, come le forti calzature alte, a tacco basso, così il piede sarà meglio protetto e sostenuto. Niente piume o fiori nei cappelli : veli azzurri, verdi, bianchi: fettucce di nastro in giro alle pagliette rotonde. Sono adatti e carini i morbidi berretti inglesi, modello Jockey che danno un' aria graziosa ai visetti molto freschi e giovanili. Per le escursioni lunghe e in località assai elevate, occorrono costumi speciali sulla foggia di quelli delle cicliste. Nei cappellini di feltro si può mettere un' aletta o un gruppo di edelweis quando non sia necessario il tocco di pelliccia e una sciarpa di lana.

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Oh Ninetto e Maria Bonmartini, piccoli grandi martiri d'unione male assortita, possa la vostra immagine innocente e luttuosa apparire con profitto, sempre, innanzi a coloro che non ricordano abbastanza....

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Non potrò dunque raccomandare mai abbastanza alle mamme di insinuarlo, specialmente ora che il carattere della vita moderna tende al vagabondaggio, al movimento, alla provvisorietà.

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La ginnastica è entrata nelle scuole, ma non è entrata ancora abbastanza nelle case dove potrebbe essere ancor più favorevole al benessere dei bambini. Ogni bimbo o bimba, invece, dovrebbe possedere i suoi piccoli attrezzi ed esercitarsi anche fra le pareti domestiche sotto la vigilanza di qualche parente adulto. Una terrazza, un cortile, un' anticamera un po' spaziosa, possono bastare per questi esperimenti rudimentali, come ginnastica delle braccia per mezzo del bastone o col sollevamento dei pesi — proporzionati s' intende all' età e alle forze del fanciullo : — salto della corda o del cerchio : gioco della palla o del volano. Anche il canto è un ottimo esercizio igienico per i ragazzi : e l'uso della bicicletta, non esagerato, può portare nella loro costituzione uno sviluppo assai benefico, come il remare, il nuotare e simili. Meglio di tutto poi se ogni esercizio ginnastico viene fatto all' aria aperta; e nulla di più salubre per i bambini che riunirsi a questo scopo sotto i viali ombrosi o nei molli praticelli dei parchi pubblici, vigilati da qualche occhio sicuro.

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E per esse non v'ha nessuna scusa, e nessun giudizio sarà mai abbastanza severo. Sono quelle che maltrattano i loro figliuoletti, che ne amano uno a preferenza dell' altro, che li spingono sulla via del male col cattivo esempio, con la trascuratezza assoluta, con l' abbandono vile per fuggire verso il piacere egoistico: per posporli a qualche passione bassa e malsana. Sono le madri dal cuore arido e dalla testa leggera, capaci di ricevere gli adoratori e civettare con essi mentre il loro bambino ammalato desidera inutilmente le loro cure: sono le madri egoiste che si procurano tutte le raffinatezze e lasciano mancare i bimbi del necessario; sono le madri corrotte che macchiano le piccole anime candide con l' immoralità della parola e del contegno : che insegnano ai fanciulli a mentire, a spiare, a essere delatori e adulatori; che li sgridano solo quando macchiano il vestito, e li accarezzano quando l' amante le guarda, come l' Aspasia seduttrice del Leopardi. Non dite che esagero : tutte ne abbiamo conosciute di queste madri colpevoli che profanano la loro missione! Tutte abbiamo provato santi impulsi di sdegno assistendo a scene d' infanzia torturata dalla malvagità, dal vizio, dalla squilibrio morale. E abbiamo udito talvolta con strazio profondo, con vergogna indicibile del nostro sesso, i piccoli martiri stessi ergersi a giudici, narrare storie di vergogna, esprimere propositi truci per quando il loro fisico ne permettesse il compimento, augurarsi la morte per sfuggire all' ingiustizia, alla crudeltà! Oh stringiamoci ai nostri bambini e preghiamo! Preghiamo Dio che non conceda la fecondità a certi seni: che non s' oda più chiamare col sacro nome di madre chi non meriterebbe nemmeno di far parte dell' umanità!

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Certi matrimoni male assortiti per l' età, recano in loro il germe del dissolvimento o peggio di un lungo martirio, quindi la prudenza, nel contrarli non sarà mai raccomandata abbastanza a coloro cui l' amore momentaneamente fa velo. Si sono dati, bensì, dei casi d' unioni che risultarono felicissime nonostante la differenza degli anni fra i due, ma le doti fisiche o morali necessarie ad un buon risultato, sono tutt'altro che facili a rinvenirsi. È vero, certe giovinette non troppo belle, molto buone, molto docili e ignare della vita, desiderose, più che d' amore, di tenerezza e d' appoggio, vissero in tranquilla e dolce serenità accanto al marito dai capelli grigi, che aveva però salute ben conservata, e molta finezza di modi, molto tatto di contegno. Oppure qualche giovine che s' innamorò perdutamente di una donna sulla quarantina e s' ostinò a sposarla, non ebbe a pentirsene e l' amò ancora e gli rimase fedele: ma quella donna era rimasta malgrado gli anni, affascinante e graziosa od aveva doti d' animo e intelletto superiori. Uno dei più grandi esempi d' amore rimasti nella storia è appunto quello fra Musset e la Sand che aveva quindici o vent' anni più di lui ; ed uno dei più grandi esempi di fedeltà si riscontra in Roberto Browning, il poeta inglese, verso la sua compagna Elisabetta, maggiore a lui di tre lustri. Ma viceversa non abbiamo o non ricordo, esempi speciali di felicità e di costanza nell'altro caso, nel caso del marito vecchio e della moglie giovane. Questo indurrebbe a credere che grande elemento di buona riuscita risiede nell' esperienza della donna, nella sua forza di volontà, nella coscienza della sua individualità e nel pieno sviluppo delle sue energie mentali e sentimentali, evoluzione che avviene solamente con l' età, quando non sia stata preparata (e si dovrebbe !) con un' educazione speciale.

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Ell'è forzata a rivelare a coloro dai quali desidera aiuto l'intimità più gelosa della sua anima, a mettersi nelle loro mani, affidandosi tutta alla loro prudenza, alla loro fedeltà: prudenza e fedeltà dubbie, se nell'amica compiacente esiste un po' di leggerezza, entra un po' d' invidia, è urtata qualche suscettibilità; se nella cameriera resta quel poco di malcontento per un premio non abbastanza generoso, o avviene qualche reazione che da alleata la muti in nemica. Per scongiurare questi pericoli la signora la copre di regali, le concede tutti i permessi che domanda; chiude tutte due gli occhi sui suoi difetti: finge di non udire le sue risposte insolenti; la impone in famiglia, tanto che costei, forte del potere che le dà la consapevolezza dell' intrigo della padrona, è diventata la vera tiranna della casa. Con l'amica compiacente, la signora è poi quasi servile. Anche per lei regali ad ogni occasione, inviti, adulazioni continue, predilezioni d'ogni maniera. Se l'amica ha pure qualche... debolezza, la beneficata le renderà gli stessi servigi che riceve; e molte di queste amicizie femminili dove manca affetto vero e stima, non hanno altra base che quella d'una mutua complicità, d'un interesse comune a ricercarsi e a sostenersi a vicenda. Ma la complicità più penosa e più pericolosa è quella degli avventizi: portinai, domestici d'albergo, fiaccherai, portalettere, fattorini, fornitori. Tutta questa gente fiuta il contrabbando e vi specula su, non solo, ma prende in giro, si diverte, e spessissimo tradisce in ricompensa...

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Invece la giovinetta dovrebbe se sta in famiglia e studia per farsi una coltura d'ornamento, non affrettarsi al termine e continuare a studiare, ad apprendere, anche oltre i quindici anni, nell'età in cui appunto la sua mente si apre meglio ad accogliere le spiegazione delle conquiste della scienza e le visioni della bellezza ideale, e continuare a imparare, ad esercitarsi finchè prenderà marito ed anche dopo, perchè non c'è condizione di vita od età in cui si possa dire: « io so abbastanza » e non desiderare di andare più oltre. Se poi la signorina studia per professione, procuri almeno di applicarsi a quelle discipline verso cui le sue facoltà intellettuali e i suoi gusti la portano maggiormente. E se invece di andare alla scuola Normale andrà ad una scuola professionale non dovrà vergognarsene, giacchè potrà diventare un'abile cucitrice, una brava modista, piuttosto che una cattiva insegnante e sarà tanto di guadagnato per gli altri e per lei. Io vorrei particolarmente insistere perchè alle ragazze d'oggi, in cerca di professione, si desse qualche altro avviamento, per impedire che si agglomerasse intorno a certi pochi rami determinati un soverchio numero di postulanti che divengono poi le spostate. Il commercio, per esempio, la contabilità, la scrittura a macchina, la stenografia, le lingue straniere, la chimica, la botanica, i corsi d'igiene e di infermeria. L'estetica ha una grande importanza nell' istruzione, ma io vorrei che vi fosse infusa più generalmente anzichè vederla limitata all' esercizio delle belle arti che si riduce spesso ad un ozioso dilettantismo o ad una misera profanazione. Vorrei che tutte le fanciulle potessero gustare la bella musica, ammirare i bei quadri, le belle statue, i bei versi, la bella prosa; potessero analizzare, conoscere, preferire, invece di udirle suonare l'obbligato pezzo con variazioni, o vederle insudiciare coi colori dei lembi di tela e scrivere un bozzetto o una lirica piena di luoghi comuni. Le vorrei interpreti, insomma, più che esecutrici o creatrici, a meno di una tendenza speciale verso qualche arte, che allora sarebbe delitto misconoscere o soffocare.

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Per fare tutto questo occorre intelligenza ed anche un po' di coltura. « Non si riflette mai abbastanza — scrive Angelo De Gubernatis — che una buona istruzione dà alla sposa e alla madre vantaggi inapprezzabili nel governo della famiglia.

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Molte volte un gingillo elegante e grazioso costa come un ninnolo volgare: qualche volta costa anche meno e non lo si sceglie perchè non sembra abbastanza decoroso, abbastanza d' effetto. Si preferiscano più che è possibile le cose autentiche : una terracotta uscita dalle mani di un artista varrà più d'un ricco bronzo di fabbrica; un acquarello firmato da un buon pittore, sarà da preferirsi mille volte alle grandi oleografie dalle fastose cornici dorate, di nessun valore estetico. E non sarà mai consigliata abbastanza la sobrietà nell' arredamento. Poche e belle fotografie qua e là invece di una esposizione da stabilimento fotografico; fiori freschi in qualche vasetto di sagoma elegante, anzichè le goffe giardiniere ; qualche bel libro rilegato, invece degli album di cartoline illustrate: tende leggere che velino la luce e non la intercettino, come i pesanti cortinaggi. La moda d' oggi è avversa alle morbidezze, ai tappeti, alle imbottiture : pare intenda dare anche alla vita domestica un indirizzo più austero, più igienico, più semplice, direi più sereno. Per questo l' arte nuova mi è simpatica e la raccomando.

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Non domanderà a nessuno se il pranzo era di suo gusto o se ha mangiato abbastanza.

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Il governo d'una casa, si sa, comprende noie, difficoltà, piccole disgrazie, e colei che la regge deve avere abbastanza energia, abbastanza disinvoltura per provvedere da sola, evitando, finché può, di far pesare sulle spalle del suo compagno che ha già la parte più grave della responsabilità e dei pensieri, anche le molestie e gli ostacoli minori. Certo fra due sposi che si amano e vivono d'accordo e tendono entrambi al benessere e alla prosperità della famiglia, nulla deve essere taciuto di quanto riguardi l' andamento generale o qualche riforma importante, o alcuna determinazione seria da prendere. È bello anzi, ed è giusto che si consiglino a vicenda, che insieme riflettano e risolvano. Sono insieme per questo. Ma è inutile dire al marito che si è rotto un piatto o un bicchiere, che la serva ha risposto male, che ha litigato con la donna di servizio dei vicini, che il bambino ha fatto uno strappo alla tenda e il gatto ha rubato una porzione di arrosto. Come pure è inutile che la signora affligga il marito chiedendogli di consigliarla nella scelta d'una foggia o d'un colore per i suoi abbigliamenti. Ogni donna ha il dovere di saper già quello che le si addice e quello che le conviene: il marito giudicherà dell'insieme di un vestiario, ma non dovrà subire la penitenza di assistere alla sua composizione ed esaminare i dettagli. Certo che nel scegliere, la signora deve pensare anche al gusto del suo compagno, ricordarsi quale modello preferisce e quale colore per lei. Può anche, in via di discorso, o trovandosi egli presente, interpellarlo, ma brevemente e senza insistere, senza annoiarlo. Gli uomini amano di vederci ben vestite, apprezzano anche i dettagli dell' eleganza, ma non amano sapere particolarmente di che cosa questo fàscino dell'abbigliamento muliebre si compone. Evitiamo quindi di farli assistere ai nostri convegni con le sarte, con le modiste; di farci accompagnare da essi nei negozî di mode, di fermarci, quando sono con noi, davanti alle vetrine. Quando una signora capisce che una spesa personale, un divertimento, un oggetto, costerebbe sacrifizio a suo marito e minaccerebbe di alterare l' equilibrio del bilancio, non ne faccia nemmeno vedere il desiderio o la necessità : compia tra sè e sè la rinunzia senza render palese la sua privazione. Pensi che più d'una volta si è veduto che le piccole e persistenti economie, sono il segreto del benessere sicuro delle famiglie: sono un rimedio pronto, una difesa efficace. E senza lesinare su quel tanto che il marito le passa per le spese di casa, guardi di farvi entrare anche le spese imprevedute, così se qualche guasto accade, può ripararvi senza frastornare il suo sposo. I denari per le spese eventuali, sono sempre quelli che gli uomini dànno meno volontieri. Molte signore hanno una somma fissa mensile per le loro spese personali: ed io ne conosco che si fanno un dovere di spendere fino all' ultimo centesimo per l' abbellimento della propria persona. Ne hanno il diritto, ma dimostrano però molto egoismo. Una donna di sentimento delicato e di coscienza severa dovrà fare in modo di risparmiare sempre nelle sue spese particolari per offrire al marito qualche regaluccio, per aiutarlo in un momento di bisogno, per ornare la casa ch'essi abitano in comune, o concorrere in parte al necessario per l'educazione dei bambini e il loro vestire. Così facendo ella diviene proprio quale un nobile scrittore — il de Gubernatis — la designa: « La donna deve essere nella sua casa il più diretto rappresentante di Dio, con le sue aspirazioni, come con le sue ispirazioni; coi suoi consigli, col suo esempio, con l'opera sua intera.

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Se il terrazzo è abbastanza vasto perchè sia possibile collocarvi qualche vaso pieno di terra, si potranno coltivare garofani, vaniglia, gerani, reseda, fucsie, viole, ciclamini. I grandi e capaci portafiori non sono più di moda ora, per i salotti. Le signore di buon gusto preferiscono le anforine snelle dalle forme capricciose, che non contengono che un fiore solo di rarissima specie : oppure due o tre piccoli vasi graziosi riuniti insieme. Così i trionfi da tavola s' usano bassissimi ; qualche volta si distribuiscono sulla mensa molti portafiori di ceramica, piccoli e larghi, od anche si cosparge la tovaglia di fiori recisi. Si adoperano pure, ora, dalle signore eleganti che hanno la fortuna di possederne, piccoli recipienti antichi, purchè siano belli e rari, come caffettiere d'argento, fiaschette, vetri di Murano, piccoli boccali. Una signora potrà ornarsi del suo fiore preferito o ricevendo, o recandosi alla passeggiata o a qualche ritrovo serale ; ma non esageri nella quantità. Se non è più molto giovine, meglio tenere i fiori fra le mani. Le signorine possono ornarne il manicotto, l' ombrellino chiuso. I fiori in testa per i balli e i teatri non si portano che con le toilettes di gala e non si addicono che alle giovanissime.

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E allora, tra l' uno che si logora o in un impiego o tra gli affari, per ottenere una rendita che non basta quasi mai a tatto, e l' altra che non capisce il perchè non può bastare, e non vuol saperne di sacrifizi e d' economie, parendole sempre di farne abbastanza, è naturale che s' accendano di quei diverbi che ripetuti frequentemente disgregano e alterano il sentimento più dolce e sincero. Bisogna che la donna faccia un po' d' esperienza pratica col denaro suo, guadagnato da lei a prezzo delle sue fatiche, per imparare a tener calcolo e a rispettare il denaro dell' uomo. Inoltre una attività diversa dal semplice disbrigo delle faccende domestiche ch' ella spesso compie con indolenza ed irregolarità, riempiendo ogni intermezzo di pettegolezzo e di vanità ; un' attività più regolata e più grave rassoderà il suo carattere, le darà nuove sorgenti di riflessioni e d' energia. Certe signore che pure avrebbero intelligenza e abilità da far fruttare, se ne astengono per una specie di pudore, parendo ad esse, quasi, d' abbassarsi se si dedicassero a un' opera proficua. Mentre il lavoro non umilia, ma nobilita : non abbassa, ma innalza, perchè è pace, conforto, dovere. Una madre di numerosa famiglia non può, convengo, lasciare in abbandono la propria casa per attendere a un lavoro estraneo che non le renderebbe quanto la sua poca sorveglianza detrae ai suoi ; ma se una donna che possa farsi aiutare da qualche parente nelle cure domestiche, o possa sbrigarle in breve, trova qualche ora libera, che male c' è se le impiega a dar lezione, a ricamare, a dipingere, a far fiori, a scrivere a macchina, dietro un compenso, piuttosto che uscir a zonzo a far dei vani desideri dinanzi alle vetrine o recarsi in qualche salotto a far della maldicenza? Conosco una signora in posizione modesta, la quale dando lezioni di pianoforte raccoglie in capo all'anno una sommetta che le permette di passare un mese al mare coi suoi bambini senza ricorrere al portafogli del marito. Ella dona ad essi salute e vigore, a sè un igienico riposo, fine che non potrebbe conseguire se non si adoperasse o che costerebbe al suo compagno un non lieve sacrifizio. Conosco un' altra signora che provvede le sue toilettes col ricavo d' un' industria ch' ella medesima ha iniziato e dirige attivamente. Una delle mie più care amiche seconda il marito nell'insegnamento, contribuendo e non per poca parte, al benessere della sua famigliuola. Inoltre questi guadagni conferiscono alla donna una libertà maggiore, mentre è sempre un po' umiliante per essa dover ricorrere per ogni più piccola spesa, al marito che tante volte fa pesare il beneficio. Il modo per aumentare le proprie rendite, non è però sempre in un accrescimento di guadagno. Consiste anzitutto nella regola, nel risparmio, nella previdenza ed anche... nel coraggio.

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Abbastanza recentemente ella conseguì col suo Inno di Santa Cecilia uno dei tre premi straordinari consistente in preziosi oggetti d'arte elargiti dalla Spagna per un grande concorso internazionale di musica a cui presero parte migliaia di concorrenti. Carlotta Ferrari è morta a Bologna, non sono molti anni. Fra le pittrici, per citare qualche nome, dirò d' Emma Ciardi appartenente a quella famiglia di pittori veneziani che ormai nelle esposizioni fa scuola a parte. Questa giovine artista, modesta quanto valorosa e laboriosa, pur derivando dalla nobile arte paterna, si è fatta uno stile e un genere a parte, pieno di delicatezza, di grazia, di pensiero e di dolce malinconia. Più d' uno dei suoi quadri ebbe l' onore d' esser scelto dai nostri sovrani per le loro private gallerie ; e recentemente a Londra, a Monaco, dove Emma Ciardi espose una ricca collezione dei suoi lavori in Mostre individuali, ottenne risultati finanziari assai soddisfacenti e lusinghieri trionfi. A Firenze vive e lavora Ernestina Orlandini nata Mack, tedesca di Hanow sul Meno, che l'amore e l'arte fecero italiana. I suoi ritratti hanno un pregio singolare e le procurarono molti premi. I maravigliosi fiori dei giardini di Firenze trovano pure in lei la loro interprete delicata e sincera. Nè voglio dimenticare Antonietta Fragiacomo che segue le traccie del suo illustre parente ; e Anita Zappa, milanese, autrice di studi all' aperto pieni di luce e di freschezza. La scultura femminile è rappresentata degnamente in Italia da Adelaide Maraini che nello studio del padre, lo scultore Pandiani, trovò, bimba ancora, la sua vocazione e il suo destino. Studiò a Brera,ma ancora più studiò da sè per sviluppare il suo vero temperamento. I suoi primi lavori avevano una gentile impronta mistica, e furono bassorilievi, fontane, sculture ornamentali. Andata sposa all' ingegnere Maraini di Roma sacrificò serenamente l'arte ai suoi dolci doveri, e per nove anni tenne chiuso lo studio per occuparsi soltanto dei suoi bimbi e della sua casa. Poi tornò alle sue creazioni di bellezza, con un' anima più matura e più forte. La prima grande statua modellata da lei: Saffo, inviata all' Esposizione di Parigi, e poi acquistata da Rotschild, le diede la rinomanza. Da allora le sue opere si moltiplicarono per emigrare candide e pure, nei giardini aristocratici, nelle gallerie, nei camposanti. Un giorno ella vide entrare nel suo studio di Lugano l'imperatrice Elisabetta, la grande dolorosa, che si portò seco nella silente villa di Corfù un' altra ispirazione di Saffo ; e più tardi anche una figura d'Aspasia trovò posto nell'Achylleion. Ora Adelaide Maraini vive a Roma fra la sua famiglia, nella pace gloriosa che segue una giornata nobilmente vissuta. « Benedetta questa donna — scrisse di lei una penna illustre — che è grande artista senza aver perduto nessuna delle tenerezze della madre; benedetta questa donna in cui il genio dell'arte non ha spento una sola delle più soavi femminilità di Eva ! » Possano tutte le artiste meritare simile elogio, smentendo la leggenda accreditata presso il volgo che le donne artiste amino l'eccentrico, il vistoso, l'esagerato, e prendano pose stucchevoli. Certo, fra tante, vi sono anche queste che si rendono ridicole per i colori e le foggie dei loro abbigliamenti, per le loro abitudini zingaresche, il loro linguaggio pieno d'affettazioni ; ma per amor del vero bisogna riconoscere che le artiste dei nostri tempi sono, in generale, signore e signorine che non differiscono nell'aspetto e nelle maniere dalle altre, con una nota di gusto più personale, un po' originale forse anche, ma che deriva dalla loro famigliarità con le cose belle ed armoniose ed è artisticamente giustificata.

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E questa nobile attività che per la prima ha fatto uscire la donna dalle tranquille pareti della sua dimora non sarà mai encomiata e incoraggiata abbastanza, anche fra le signorine che hanno forse più tempo a loro disposizione. Vorrei anzi che in ogni città d'Italia le signorine si stringessero in sodalizio e sotto l'egida di qualche nome gentile cooperassero in qualche modo a migliorare le condizioni delle classi indigenti, o per mezzo di Biblioteche popolari o di qualche piccola Agenzia di collocamento per le giovinette povere, di un Comitato di soccorso per i bambini malati: secondo il bisogno della città in cui risiedono e la sua importanza.

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Un semplice nome, un pronome a piedi d'una ghirlanda o d' una croce, sono abbastanza eloquenti per il mondo : e per il caro spirito a cui s' indirizzano e che legge dall'alto nei nostri cuori, non c'è bisogno di parole scritte. Quanto alle visite al cimitero, non c'è regola che obblighi o che vieti. Ognuno segue il proprio sentimento e interroga le proprie forze. Vi sono delle persone che non hanno mai saputo vincersi e non si sono mai recate a pregare sulla tomba che racchiude un essere diletto: altre invece trovano conforto a recarvisi spesso e a prodigarle le loro cure. Io credo che questo ufficio pietoso sia quasi un obbligo per la donna : poichè nessuna mano sarà più provvida e più pia di quella d'una vedova, d' una figliuola, d' una madre. Meglio dunque imporsi subito il coraggio e iniziare la mesta consuetudine, che passato il primo periodo di emozione procurerà realmente qualche sollievo. Nel tempo del lutto grave non si frequenta affatto la società: non si 'interviene a balli, nè a ricevimenti, nè a ritrovi. Ai teatri e ai concerti è permesso andare dopo sei mesi. Non si riceve più a giorno fisso nè si va a trovare le amiche nei giorni di ricevimento. È bene astenersi dal farsi vedere nei luoghi e nelle ore delle passeggiate eleganti. Se anche il lutto non fu molto doloroso, non si dovrà mai dimostrare troppa premura nel riprendere le abitudini e la vita di società. Ad ogni modo si riprendano gradatamente.

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Si dà anche il caso, penoso, ma abbastanza frequente, che una donna prediliga i figli del secondo marito a detrimento di quelli del primo. Avviene sopratutto allorchè non ha amato d' amore il defunto ma si è data con passione all' altro. E questo caso fa anche più pena, perchè sono tutti frutti delle sue viscere, anzi il bimbo che il destino privò del padre, dovrebbe essere compensato dalla sua tenerezza. Insomma è sempre difficile per una donna rimaritata usare con tutti i figliuoli la medesima misura di affetto e d'indulgenza, segnatamente quando passa poca differenza d'età fra essi. Se la differenza è sensibile, la giustizia è più facile, anche perchè molte volte i grandi prendono ad amare e a proteggere spontaneamente i piccini. E allora l'intesa è bella e gentile fra tutta la famiglia. Ma vi sono poi bambini sdegnosi, bambini gelosi e ultrasensibili che non sanno perdonare alla loro madre di aver ammesso un altro uomo, che per loro è un estraneo, nell' intimità della casa : temono ch' egli rubi ad essi la tenerezza materna, intuiscono la parte che ha nell'anima di lei, vedono in lui un usurpatore del posto del padre morto, ch'essi forse rammentano e rimpiangono ancora. Con queste complicate nature infantili, conviene usare una delicatezza, una bontà infinita. Guai a urtarle! a imporre ad essi un sentimento, una deferenza che non vogliono o non possono sentire! La donna dovrà solamente raddoppiare di cure, di espansioni con loro, per dimostrare che hanno sempre il primo posto nel suo cuore; dovrà coi discorsi, con le memorie, con opportuni richiami, convincerli che il pensiero del povero estinto non si è cancellato ma è divenuto per lei e per loro una vera religione : dovrà con molto tatto dare alle piccole anime l'impressione che il loro nuovo padre è per essi un protettore, una guida, e li ama e li vuol felici. Farà poi di tutto perchè si affiatino con lui: ed ella che conosce i suoi bambini, suggerirà al marito i mezzi più efficaci per conquistarli. Se dalle seconde nozze le nasceranno altri figliuoli, faccia in modo che i bambini vi si affezionino, li interessi subito alla fragilità, ai bisogni, dei nuovi venuti, sviluppi in essi quel senso di protezione a cui ho alluso più sopra e che più facilmente si ottiene con un po' di attenzione dai fanciulli in cui è ancora vivo, per la loro debolezza, l' istinto della alleanza per la difesa comune. Infine, la vedova rimaritata con figliuoli, sia madre, nell' ampio, profondo e severo significato del termine e con questa parola è detto tutto. « Non è l'amante che divinizza la donna — ha scritto il Tarchetti — ma la madre. La lucé di cui rivestiamo la prima, ha dei bagliori profondi, ha degli sprazzi che inebbriano, ma è una luce della terra e svanisce: l' altra è calma e immutabile, non ha che il sereno dell'azzurro, ma è luce di cielo e perdura. »

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Non si sarà mai, dunque, abbastanza cauti e pronti, quando si tratta della salute, ch' è il supremo dei beni della vita, la cui conservazione è un dovere. E non solo quando si tratta di noi, bisogna essere solleciti, ma anche quando si tratta degli altri. Non bisogna pensare subito che sia affare di sensitività eccessiva, di esagerazione, di insofferenza, di falsità; e, nei bambini, di malessere passeggero o di capriccio. Pensiamo piuttosto quale sarebbe il nostro rimorso se quei mali di cui l'adulto o il bimbo si lagna, quel malessere che dimostrano, dovessero essere i prodromi d' un' infermità grave, dovessero mutarsi, per la nostra imprevidenza, in lutto per noi ! Attente dunque ai sintomi, agli araldi di malaugurio.

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Ma, specie nei quartieri delle grandi città, non è facile possedere questo ambiente prezioso ; però una tinozza si può sempre procurarsela, e col soccorso di qualche metro di tela impermeabile e d' un paravento ci si può creare un gabinetto da bagno in qualunque angolo, ed abbastanza pratico. L' importante è di dare acqua al nostro corpo, in abbondanza e con frequenza. Il bagno freddo è buono per rendere l'organismo resistente all' azione dell' atmosfera, ma non serve per la pulizia, mentre il bagno tiepido, saponoso, è eccellente sotto tutti i riguardi per la conservazione della pelle, per l' igiene e per la nettezza. All'acqua si può associare della crusca, dell'amido, del borace, o della gelatina. Il bagno di gelatina, per cui occorrono 500 gr. di glicerina neutra per bagno, si consiglia alle pelli rugose, alle carnagioni che invecchiano, a quelle che sono la sede di pluriti o che hanno tendenza alla congestione. I bagni acidi, alcalini, solforosi, dissipano le efflorescenze cutanee, le desquamazioni superficiali, ma l'uso di questi bagni deve essere strettamente subordinato alle prescrizioni mediche. I bagni di piante aromatiche, di acqua di Colonia, di tintura di benzoino, di essenza di timo, di borato di soda, sono eccellenti per combattere igienicamente le secrezioni esagerate e nauseanti della pelle. Il bagno di tiglio, poi, ha fama di essere un calmante ideale. Viene consigliato in particolare alle persone nervose ed è uno dei più piacevoli. Si impiega circa un chilogramma di tiglio che si lascia in fusione per un'ora in dieci litri di acqua bollente. Le frizioni e il massaggio debbono sempre seguire il bagno tiepido per facilitare la reazione generale. Inoltre eccitano il buon funzionamento della pelle e la normale nutrizione del tessuto cellulare. I bagni caldi, i bagni russi, bagni di vapore, l'idroterapia, l'abuso dei bagni di mare, sono piuttosto sfavorevoli alla bellezza femminile. Anticamente le dame dell'impero romano e della Grecia usavano bagni d' olio, di vino e di latte. Madame Tallien faceva, bagni di fragole e di lamponi ; qualche altra bellezza celebre s' immergeva nello Champagne : ma questi pretesi segreti di forza e di seduzione sono affatto privi d' ogni importanza scientifica che ne giustifichi il valore.

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E per qualche altra può essere la giovinezza perduta irrimediabilmente e non apprezzata abbastanza, o un amor vero sempre sognato, non posseduto mai. Vi è una malinconica ma giusta filosofia che vuol dimostrare come solo nel sogno, cioè in quello che non si ha e non si può ottenere, risieda la vera bellezza, la felicità perfetta. Infatti molte cose vedute di lontano sembrano senza difetti, datrici della massima gioia, mentre se potessimo possederle e conoscerle da vicino, vedremmo che anch'esse sono soggette, come tutto al mondo, a qualche macchia, a qualche deficienza. Meglio dunque sognare ciò che ci piace piuttosto che vedere il nostro idolo infrangersi al primo tocco della mano. Sentite quello che scrisse un poeta a proposito del sogno e dell'amore :

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Tutto sta, nei momenti decisivi della vita, di saper guardare in noi e fuori di noi per scorgere dove sia la salvezza ed afferrarla. « Bisogna con siderare la propria attività dal di dentro — scrive Charles Wagner ; bisogna sforzarsi di penetrare abbastanza profondo nella propria carriera, nella propria vocazione, da scernere attraverso alle forme che prima ci apparivano grigie ed opache, gli affetti di una luce che piove dalla eterna altezza ››.

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Già abbastanza la fa soffrire la vista di quella stanza così diversa dalla sua camera di vergine, così uguale a quella della mamma... E qui io vorrei poter scrivere per gli uomini invece che per le signore questa pagina delicata; vorrei raccomandare al giovine marito, per innamorato e impaziente che sia, di rispettare gli ultimi pudori della sua compagna, e non deriderli, e non forzarli in nessuna maniera. Abbia il tatto supremo della discrezione, si allontani, anche, per poco, se occorre, affinchè la sposa non abbia a mutare bruscamente così i suoi atti di riservatezza ; non debba rinunziare ad un tratto alle sue pure abitudini di fanciulla. Io so di una giovinetta che la sera delle nozze s' inginocchiò per recitare la solita preghiera della sera ; ebbene, lo sposo, non pio, non praticante, s' inginocchiò accanto a lei per pregare insieme. Sono tratti di squisitezza di sentimento, di rara intuizione, che possono divenire le basi d'un' unione perfetta, e che una donna non potrà più dimenticare.

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E forse in questa lunga enumerazione ho ancora dimenticato qualche opera provvida, ad ogni modo ne avrò sempre accennato abbastanza per dimostrare che non mancano occasioni di fare il bene secondo qualunque intendimento o tendenza ; di giovare al prossimo nobilmente ed efficacemente; di proporre alla propria attività e al proprio cuore un còmpito utile ed alto.

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Credete pure, che quando una signorina oggi si trova ingannata e tradita nelle sue aspirazioni, non è per colpa degli altri ma di sè medesima, che non volle o non seppe riflettere abbastanza, tener conto degli indizî sfavorevoli, secondare il suo senno, seguire gli altrui e i propri avvertimenti. La seduzione d'essere amata, d'una posizione indipendente, della ricchezza, di cambiar vita e abitudini, la decidono, quasi sempre, a fissare il proprio destino, più che l'amore vero. E in quel momento supremo, quando è arbitra di sè, non pensa, allora, che si vive una volta sola — come lo penserà disperatamente più tardi, quando non potrà più rifare la via già percorsa. E appunto perché per lei la decisione della sua sorte è più grave, bisogna che in quel momento unico dell'esistenza raccolga tutto il suo coraggio, tutta la sua ponderatezza per disporre di sè. Certo, un'idealità sfumata, una vocazione perduta, un destino mancato, uno scopo fallito sono più dolorosi per la donna che per l'uomo, poichè la donna non ha dato solo una parte della propria personalità e della propria anima, ma la personalità e l' anima tutta : ed il ricominciare da capo, l' iniziare una vita nuova, anche nei casi in cui le è possibile, le riesce più arduo e penoso. Poichè si vive una volta sola procuriamo dunque che la nostra vita sia proficua, anche se limitata in un dato numero d'anni; ed ascoltiamo Montaigne che scrisse : « L'utilità del vivere non è nello spazio, ma nell' uso : può aver vissuto a lungo tale che pure ha vissuto poco. L'aver vissuto abbastanza sta nella volontà nostra, non nel numero degli anni. »

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La fanciulla è cresciuta, è alta quasi come la mamma, ma le forme della sua persona sono gracili, angolose, senza grazia : i lineamenti le si sono accentuati nel volto che ha perduto le rotondità infantili: le mani e i piedi troppo grandi, le braccia e le gambe troppo magre, escono sempre troppo dalle maniche o dalla balza della gonnellina che non si allungano mai abbastanza. Soffre di strani languori, di stanchezze, di malinconie. I giochi non la distraggono più e lo studio non la interessa vivamente ancora. Odia tutti i lavori d'ago : dal ricamo al cucito; adora la lettura — oh questo sì — non farebbe che leggere : è un'avidità intellettuale quasi morbosa, come l'altra avidità che le fa preferire certi cibi : l'insalata, la frutta, di cui senza la sorveglianza materna abuserebbe. Qualche volta piange e si sente infelice senza motivo; qualche altra ride e salta ed è espansiva con tutti senza un perchè. C'è un fermento nella sua piccola anima candida, un'impazienza che ha cause ignote, che la sospinge sempre verso il nuovo, l' impreveduto : coltiva nuove amicizie, inizia con entusiasmo nuove occupazioni, desidera di far dei viaggi, si cambia pettinatura, si adorna con un nastro, con un fiore, con una collana, con una cintura : un cappello, un abito nuovo le danno l'insonnia : i suoi sentimenti si slanciano tutti in alto, rapidi, luminosi, arditi e scapigliati come i razzi di un fuoco d'artificio...

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LA NUOVA FAMIGLIA Sebbene ai giorni nostri si tenda alla disgregazione delle famiglie, e la famiglia patriarcale divenga sempre più rara, è ancora abbastanza frequente il caso in cui la nuova sposa entra, in via provvisoria, o stabile, nella famiglia del marito della quale deve assumere le abitudini, le conoscenze e il grado sociale. È questa la prova più penosa e più grave alla quale il suo amore viene sottoposto, poichè è quasi impossibile che in una famiglia composta di molti individui, non ve ne sia uno che urti e dispiaccia, per la sua indole o i suoi gusti, o i suoi modi di contenersi, o le sue opinioni. Nè cogli altri la sposina è tenuta a quel rispetto, a quella deferenza, che deve ai suoceri, quindi più facili i dissapori, gli attacchi, i permali. Ma non è quasi mai con gli individui maschi che la sposa si mette facilmente in disaccordo, o per un sentimento di cavalleria che le risparmia le offese, o perchè la vita virile, affatto diversa della sua, le evita le occasioni. Per solito lo suocero ama paternamente la giovinetta sposa che gli ricambia un affetto filiale i cognati sono per lei come fratelli, scherzosi, cordiali. Il male viene dal gineceo: dopo la suocera, le cognate.... Oh, le cognate sono come i satelliti della suocera : aggravano tutte le circostanze, moltiplicano le pene. Talvolta la suocera sarebbe dolce, tollerante e tollerabile, ma le altre spose, o le figliuole, le soffiano negli orecchi, la montano, la esasperano : fanno l'ufficio dei pungoli e del mantello rosso innanzi al toro. E la casa diventa un inferno : lamenti di qua, recriminazioni di là, dispetti, prepotenze, piccoli ricatti, piccole vendette, punture, ironie... non c' è educazione nè modernità che tenga. Fino alla separazione, che equivale ad una rottura, non v' è più speranza di pace. E chi scapita e soffre più di tutti è il marito, messo fra le correnti opposte dei suoi affetti più profondi : il marito che se ha la generosità di non dirlo, non può a meno di non pensare che la discordia è entrata in casa sua appena la sua compagna vi ha messo il grazioso piedino. Quindi grave minaccia anche per la felicità coniugale, per l'avvenire dell'amore. In riguardo a questo la giovane signora deve contribuire con tutte le energie del suo spirito e del suo cuore a mantenere la stima e l'armonia. Una parola detta a tempo in un momento difficile, una celia pacificatrice, il coraggio d'un nobile riconoscimento d'errore, d' una franca scusa, d' una tolleranza gentile, può essere la salvezza, può soffocare in germe la pianta velenosa della discordia dai frutti mortali. «L'amour véritable — scrisse Federico Amiel — est celui qui ennoblit la personne, qui fortifie le coeur et qui sanctifie l'éxistence. » Con la sua condotta virtuosa, con le più gentili manifestazioni d'elevatezza d'animo, la novella sposa darà quindi la prova massima della verità e della grandezza del suo amore.

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