Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

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Una famiglia di topi

205245
Contessa Lara 2 occorrenze
  • 1903
  • R. Bemporad &Figlio
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Era un ragazzo di buon cuore e, per solito, anche abbastanza ragionevole; ma l' esser egli figlio unico d'una madre vedova, la quale non vedeva che per gli occhi di lui, lo aveva fatto crescere un po' capriccioso e sempre risoluto a non essere contrariato in ciò che gli piaceva di fare. Quel giorno, per esempio, si prese più d' una sgridata, una sgridata leggiera del resto, dalla mamma; perchè avrebbe voluto alzarsi ogni momento da tavola, per andar a vedere che cosa faceva la Ninì. La topina, quando si trovò sola, ricominciò i giri e le ricerche per la camera. Oh, se avesse potuto trovare un buchino donde scappare, e tornarsene a casa sua! In tanto le veniva in mente il racconto spaventevole che Moschino le aveva fatto - delle proprie peripezie nel mondo. Per andare a casa Sernici chi sa di dove bisognava passare! Dal mondo, certo.... E, a questa idea, la Ninì era còlta da uno sgomento indicibile. Perchè, perchè, Dio di misericordia, l' avevano data via appunto lei, così triste sempre? Ah, quella tristezza che l' aveva oppressa fin dalla nascita, senza ch' ella ne sapesse la ragione, doveva essere il presentimento del- l' avvenire, che le si preparava così desolato, solitario, pieno di angoscia! Le bestie son come gli uomini: hanno il loro destino; e guai se il destino è nemico! Su tali dolorose considerazioni la sorprese Vittorio, che avea terminato di desinare, e tornava a tormentarla, per troppa simpatia, s' intende. La topina si lasciò acchiappare, ma non ci fu verso di farle toccar cibo. Annusava ciò che le veniva offerto, poi si tirava in dietro. Per la notte, la signora Delpiano preparò a Ninì una cassettina, dove le fece una morbida materassa; ma la sorcetta, quando tutti furono andati a letto, saltò via: e il giorno dipoi era di nuovo laggiù sotto l' armadio, dove non si poteva pigliarla che a gran fatica. - Se questa bestiola continua a inselvatichirsi e a non mangiare, bisogna assolutamente riportarla ai Sernici - disse la madre di Vittorio al bambino. Ma questi ricominciò a far greppo, e tornaron le lacrime. Non era certo per ostinazione che la povera Ninì non volea mandar giù nè anche un bocconcino. Proprio non le andava; le pareva d' aver un nodo stretto alla gola, come se l' avessero tirata a forza con una corda; e stava lì ferma dinanzi a que' piattelli, dove ogni poco Vittorio ammucchiava frutti, chicche, ogni sorta di ghiottonerie, sperando d' invogliar di qualcosa quella bella topina, così afflitta e così scontrosa. Per altro, nè carezze, nè cibi valsero a nulla: la Ninì rimase indifferente e, ch' è peggio, digiuna. Quello che più coceva a Vittorio, gli era che, non ostante i suoi pensieri per la topina e il piacere che provava vicino a lei, doveva pur andare alle lezioni. Quella di disegno gli era sopra tutte penosa, perch' era sua maestra una vecchia signorina russa, stravagante come dieci cavalli matti, la quale non tollerava nemmeno che il fanciullo alzasse gli occhi durante quell' ora che lei gli stava davanti. Qualche giorno dopo che la Ninì era stata portata in casa Delpiano, capitò, secondo il solito, la lezione di disegno; e, con vivo rincrescimento, Vittorio si separò per un' ora intera dalla sua topina. La Ninì s' era persuasa alla fine, per la gran fame, a sgretolare qualche briciolo di savoiardo, incoraggiata dalle carezze più tenere del nuovo padroncino; ma pensava sempre a tutto ciò che aveva lasciato, e il suo musetto s'era fatto ancor più sottile e malinconico; aveva gli occhi come allargati, a forza di guardar davanti a sè, dove potesse trovare la porta di casa. Ah, se Rita e Nello fossero venuti a visitar Vittorio, ella si sarebbe cacciata in tasca a Nello o dentro lo scollo della Rita, o meglio ancora sotto la grossa treccia bionda che pendeva dalla nuca della ragazza; e lì nascosta, aggrappata, felice, non li avrebbe più lasciati mai, mai! Almanaccando tutto ciò nel suo povero cervellino di topina afflitta, la Ninì badava, come sempre, a rovistare la stanza; spariva sotto il letto, entrava ne' cassetti socchiusi, esplorava ogni più angusto ripostiglio. A un tratto, il cuore le fece un balzo di gioia. Un balcone, dove si saliva per tre gradini, era spalancato. La Ninì corse su. Chi sa che di lì non fosse potuta ritornare presso la sua cara famiglia! C' erano sul balcone alcuni vasi di fiori, rose, camelie, garofani e delle piante rampicanti che ricadevano in fitti rami, per modo da formare de' ricami di verzura lungo la ringhiera di ferro. Impetuosamente, nella smania della libertà, la topina si spinse avanti tra le foglie.... Un grido sottile e acuto risonò per l' aria; e un piccolo corpo bianco, simile a un fiocco di neve, cadde sul lastrico della via, e vi restò immobile.

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. - A questo punto Dodò, che aveva udito abbastanza, fece capolino tra una bottiglia e l' altra, e tossì forte. La Lilia e il suo innamorato misero un piccolo grido di paura, balzando come due molle. Il loro primo istinto sarebbe stato di scappare come saette, se Dodò non avesse ordinato: - Fermi! - S' arrestarono tutti e due, come cambiati in statue di sale. Al topo sconosciuto s' era fatta pallida la punta del naso; la Lilia tremava per paura che suo fratello non assalisse quell' altro con tanti morsi, da lasciarlo lì mezzo sfranto. Dodò, invece, non diede in escandescenza; ma dopo essersi passate le mani su la fronte, come per raccoglier le proprie idee, cominciò a dire: - Questo che ho veduto è brutto; e ch' è brutto lo prova il fatto che voi vi nascondete. Quando uno si nasconde, vuol dire che si vergogna. - Dodò mio, se tu sapessi.... - l'interruppe la Lilia. - Zitta, pettegola! - gridò il topo savio; e seguitò: - Mi meraviglio come una sorcetta avvezza a ogni bella maniera, educata all' affetto della famiglia, si permetta di parlar con un topo estraneo alla sua casa e, quel ch' è peggio, di razza diversa. - Di' pure, di' pure inferiore! - mormorò Rosicalegno, con accento umile e rassegnato. Dodò era buono. Questa modestia lo commosse profondamente, e lo dispose subito in favore del poveraccio, che gli stava davanti. Era un topo comune; ma bello, grosso, di forme eleganti, col mantello d'un bigio chiaro come la pelle di cincilla, col ventre e le braccia d'un bianco d'ermellino. Gli occhi vivi e neri avevano un'espressione d' intelligenza e di dolcezza, che attirava la simpatia a primo tratto. Dodò gli disse con benevolenza: - Non esistono razze inferiori, perchè davanti a Dio, che ci ha creati tutti, non ci sono, per nascita, nè inferiori, nè superiori. Sono le nostre azioni quelle che c'innalzano o ci abbassano. E tu diventeresti dicerto un topo inferiore se continuassi a tenere in pena i miei, per istartene qui a chiacchierare con mia sorella.... - Amico - rispose Rosicalegno, incoraggiato da quelle parole generose e giuste; - se la Lilia e io s' è fatto questo sbaglio, gli è che non possiamo vederci apertamente; ma tu non puoi figurarti quanto ci vogliamo bene.... - - Non puoi figurarti quanto ci vogliamo bene! - fece eco la Lilia. - Zitta, sfacciata! - l' interruppe di nuovo Dodò; che riprese, voltandosi dalla parte di Rosicalegno: - Orsù, dammi retta. Siccome io sono d' un carattere leale e risoluto, e non mi garbano i mezzi termini, ti espongo francamente una mia idea. Così la faccenda non può continuare. Anche s' io non la scoprivo, si sarebbe giunti, prima o poi, a conoscer la verità; la Lilia sarebbe stata rinchiusa in gabbia, per levarle il ruzzo, e tu.... - Io sarei stato ucciso, come sarò ucciso di sicuro - rispose con tristezza il povero sorcio. Dodò, se il caso non fosse stato tanto grave, trattandosi del poco giudizio di sua sorella, avrebbe sorriso. Si vedeva proprio che Rosicalegno non conosceva affatto la famiglia Sernici, tutta compassione per gli uomini e per le bestie. In quella casa non s' uccideva nè pure una mosca. Tutt' al più avrebbero potuto mettere in dispensa qualche trappola, non per far male al sorcio, ma per pigliarlo ammodino, se sciupava le forme del parmigiano, e portarlo in cantina, dove poteva sbizzarrirsi con altri suoi compagni. Più d' una volta la Letizia aveva avuto quest' ordine dai padroni. - Non sarai ucciso, non aver paura! dichiarò Dodò con tutta certezza. Basta che tu mi ubbidisca e faccia il topino perbene. - Che debbo fare? - domandò, sempre turbato, Rosicalegno, - Ecco qua: in vece di stare ne' nascondigli e ficcarti in tutti i buchi più oscuri, se gli è vero che tu ami la mia sorella, devi mostrarti ai signori, e venir proprio in mezzo a noi. - Ah mai! mai! - esclamò tutt' impaurito l' estraneo. - E perchè? - Perchè la mia razza è disprezzata, perchè son brutto, perchè son povero, perchè non ho avuto nè educazione, nè istruzione, io! - Nel dire queste parole, gli venivano i lucciconi; e guardava la Lilia come un povero spazzacamino potrebbe guardare la figliuola di un re. La Lilia, per dissimulare la commozione interna che la straziava, s'era messa a lisciarsi la testa, tanto per avere la scusa di strofinarsi gli occhietti. - Non è il caso di far tanti discorsi - ripigliò calmo Dodò. - Io conosco la nostra famiglia; e ti assicuro che invece d'essere scacciato e maltrattato perchè non sei indiano come noi, se ti mostri agevole e grazioso, avrai cure e carezze. - Coraggio, Rosichino mio, coraggio! - susurrava la Lilia all' orecchio dell' amico, a cui aveva messo quel nomignolo per affezione. - Coraggio, coraggio! - ripetè Dodò, che questa volta non isgridò la sorella. - Si fa presto a dire: coraggio! - ripicchiava l' altro; - ma quando si è topi non si è leoni. Io, per amore della Lilia, mi butterei nel petrolio ardente; ma sento che le gambe non mi reggono, se debbo veder de' signori. Non ci sono avvezzo, io; sono un selvaggio. - Prova; - gli ordinò Dodò - perchè se, dopo tutta la tolleranza che ho avuta e i buoni consigli che t' ho dati, ti ritrovo ancora nei cantucci con mia sorella, la Lilia la mordo a sangue; e quanto a te.... quanto a te, so io come ti concio. - Coraggio, Rosichino mio, coraggio! - badava ancora a susurrare la Lilia. - Verrò - promise finalmente Rosicalegno, che non sapeva resistere alle moine di quella topa. - Verrò; e sarà quel che sarà! - Sarà il tuo matrimonio e la tua fortuna, credimi! - disse Dodò, sicuro del fatto suo. Poi, avvicinatosi al topino bigio, gli diede un bacio fraterno sul muso; e tirando la propria sorella per una zampa, le ordinò: - Marcia al tuo posto, tu! E senza voltarti indietro. -

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