Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La fatica

169987
Mosso, Angelo 14 occorrenze
  • 1892
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Tale malattia conosciuta col nome di crampo degli scrivani, è abbastanza frequente. Il sintomo più caratteristico è una grande stanchezza che si sente nella mano, ed una difficoltà nei movimenti, limitata al pollice, all'indice e al dito medio. In alcune persone basta lo scrivere poche righe per stancare la mano; esse debbono smettere non solo perchè la scrittura si cambia, e si fa inintelligibile, ma anche per il dolore, il formicolio e il senso di tensione che provano nei muscoli della mano. Il crampo dei muscoli quando si mostra nei suonatori di piano o di violino li obbliga pure al riposo. Generalmente queste sono persone ipocondriache, un po' isteriche o nervose, che abusano dell'attivita dei muscoli, e sono talmente eccitabili che basta un lavoro di pochi minuti per far produrre in esse la contrattura. Vi sono dei nuotatori abilissimi che non osano allontanarsi dalla spiaggia del mare, perchè temono i crampi alle polpe. Tutti abbiamo provato la molestia che danno questi crampi, quando compaiono improvvisamente la notte mentre dormiamo. Di solito si producono in seguito ad una contrazione dei muscoli, ma nelle persone molto nervose succedono anche mentre le gambe stanno immobili. Toccando la gamba si riconosce quale sia il muscolo che rimane contratto, e malgrado ogni sforzo della volontà, non possiamo rilasciarlo e il dolore può durare parecchio tempo. Nelle donne isteriche la contrattura è frequente: e il medico l'osserva anche in alcune malattie del midollo spinale. Questo prova che la contrattura è un fenomeno dipendente dal sistema nervoso, ma può anche essere locale. Vi sono delle persone isteriche nelle quali basta comprimere leggermente un muscolo, perchè entri in contrattura e non possano più rilasciarlo così che si può produrre un torcicollo artificiale, strisciando leggermente o anche solo col toccare il muscolo sternoeleidomastoideo. Nell' ipnotismo si vede bene qualche volta comparire nei muscoli uno stato che venne descritto col nome di flessibilità cerea. Le dita, le braccia, i muscoli del tronco e del collo, le gambe, mantengono senza, resistenza la posizione che loro vien data, come se la persona fosse fatta di cera. Questa condizione particolare dei muscoli è pure conosciuta col nome di catalessi, e comparisce più specialmente nell' ipnotismo, tanto che alcuni autori vollero chiamarlo catalessia sperintentale. Toccando i muscoli della faccia o anche quelli degli occhi, si producono delle contratture e delle smorfie che possono durare parecchie ore. Qualche volta la contrattura diviene una malattia grave, e vi sono delle isteriche nelle quali le estremità rimangono fisse in certe posizioni senza, che si possano più rilasciare. Solo per mezzo del cloroformio si rilasciano i muscoli, ma la contrattura, appena cessa l' azione dell' anestetico, torna a riprodursi. Certe donne che hanno un braccio piegato, e che malgrado ogni sforzo della volontà non possono distenderlo, quando si svegliano lo trovano in un'altra posizione, ma sempre contratto e rigido, perchè durante il loro sonno coll'uso del cloroformio gli fu variato di posizione, ed esse di nulla si accorsero. Questa è la contrattura spastica, come la si vede qualche volta anche nel sonnambulismo e può durare pochi minuti, alcune ore, e anche dei giorni. La patologia della contrattura fu studiata specialmente da Charcot, che scrisse delle pagine da grande maestro su questo argomento, nei suoi trattati delle malattie nervose, e ci ha riprodotte colla fotografia delle immagini raccapriccianti di questi ammalati.

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Se si diminuiva il tempo del riposo, se ad esempio tra una serie di contrazioni e l' altra si lasciava trascorrere solo un' ora invece di due, era naturale che il muscolo desse un lavoro minore, perchè non si era riposato abbastanza. Ma si può anche ridurre il lavoro a metà, e ridurre pure a metà il riposo. Supponiamo che un muscolo per esaurirsi completamente avesse bisogno di fare trenta contrazioni; si trovò che facendogliene fare la metà, cioè solo quindici contrazioni, si poteva ridurre il riposo ad un quarto, cioè a solo mezz'ora, senza che il muscolo risentisse gli effetti della maggiore brevità del riposo. Queste osservazioni dimostrano che l' esaurimento della forza nelle prime quindici contrazioni è assai minore che nelle susseguenti; e che la stanchezza non cresce in proporzione del lavoro fatto. Ed invero sommando le altezze successive alle quali venne alzato il peso, si ottiene nelle prime contrazioni una quantità di lavoro meccanico molto superiore a quella che venne eseguita nelle successive quindici. In ciascuna di queste esperienze si cominciava il mattino e continuavasi fino alla sera a ripetere ogni mezz'ora il tracciato che corrispondeva a quindici sollevamenti. E questo periodo di riposo vedevasi che era sufficiente per lasciar riposare il muscolo perchè i tracciati erano tutti eguali in altezza dal primo all'ultimo. Da questa esperienza, che non riferisco nei suoi particolari, risultò,che, se non si esaurisce completamente la forza del muscolo, e lo si esonera dalle ultime contrazioni che esso compie, si stanca assai meno, e resta capace di produrre una quantità di lavoro meccanico superiore al doppio di quanto produrrebbe lavorando sino a completa stanchezza nelle condizioni più favorevoli di riposo. Chiunque abbia fatto un’ ascensione sopra una montagna si sarà accorto che l'ultima parte della salita per toccare la vetta, costa uno sforzo assai maggiore che non abbiano costato altri passi più difficili, quando si era meno stanchi. Il nostro corpo non è fatto come una locomotiva che consuma la stessa quantità di carbone per ogni chilogrammetro di lavoro. In noi, quando il corpo è stanco, una quantità anche piccola di lavoro meccanico produce degli effetti disastrosi. La ragione l'ho già accennata nel precedente capitolo, ed è che le prime contrazioni, il muscolo le fa consumando sostanze differenti da quelle che consumerà in ultimo quando è stanco. Per servirmi di un esempio dirò che anche per il digiuno nel primo giorno si consumano dei materiali che abbiamo nel corpo, i quali sono diversi da quelli che spremeremo per così dire dai nostri tessuti negli ultimi giorni della inanizione. Ho detto che il nostro corpo risente un danno maggiore per il lavoro che fa quando è già stanco. Una delle ragioni di questo fatto è che un muscolo avendo consumata nel lavoro normale tutta l'energia della quale poteva disporre, si trova obbligato per un soprappiù di lavoro ad intaccare per così dire, altre provvigioni di forza che teneva in riserbo; ed a far questo occorre che il sistema nervoso lo aiuti con una maggiore intensità dell'azione nervosa. Ma quantunque lo sforzo nervoso sia più cospicuo, il muscolo stanco si contrae debolmente. Quando solleviamo un peso vi sono due parti che si affaticano: l'una è centrale, puramente nervosa, cioè la parte impulsiva della volontà, l'altra è periferica, ed è il lavoro chimico che si trasforma in lavoro meccanico dentro alle fibre muscolari. Kronecker aveva già detto che il peso non stanca ma che l'eccitamento stanca. Ho voluto provare se questa legge trovata nelle rane è pure vera per l'uomo. Adattai all' ergografo una vite, V (fig. 5. capitolo IV). Girando questa vite che passa dall'altra parte del montante I fra le due sbarre d' acciaio, nelle quail si move il corsoio N, si dà al peso un punto di appoggio più vicino alla mano: e il dito medio viene esonerato dal peso nel principio della sua contrazione. Se mentre il muscolo si contrae per fare un tracciato della fatica, noi giriamo avanti la vite V dell' ergografo, possiamo far sì che il dito lavorando, prenda il peso ad altezze successivamente minori. Scaricandolo a questo modo del peso, vediamo che nel principio quando il muscolo è riposato non si accorge della differenza. Il muscolo pare dunque indifferente al peso che solleva quando è nella pienezza delle sue forze. Una volta dato l'ordine al muscolo di contrarsi, questo produce il massimo del suo raccorciamento sia che il peso debba sollevarlo per tutta la contrazione, o solo durante una parte della medesima. In questa prima parte delle mie esperienze venne confermato quanto Kronecker aveva osservato nelle rane. Quando l' energia del muscolo è diminuita per effetto della fatica, il muscolo sente un beneficio se lo si scarica, dandogli un appoggio che lo liberi da una parte del peso. Chi dopo essersi affaticato solleva con stento 50 chilogrammi, troverà che uno di più è troppo pesante. Ma se non è stanco e ne solleva 80 o 100, uno o due di più oltre il cinquantesimo passano inavvertiti. Avremo occasione di esaminare meglio questo fatto, intanto possiamo, da quanto ho detto, paragonare i movimenti alle sensazioni. Vediamo ripetersi qui ciò che tutti abbiamo provato in un concerto, dove non ci accorgiamo se nell'orchestra vi sono 35 o 40 violini. Entrando in una sala sfarzosamente illuminata, non ci accorgiamo se le candele accese solo 90 o 100, ma quando non vi sono più che due candele accese, o due violini che suonano, ci accorgiamo subito se uno cessa di suonare o l'altra di splendere. Così noi intravediamo una prima legge della fatica e delle sensazioni, che cioè l'intensita loro non è del tutto proporzionale all'intensità della causa esteriore che le provoca.

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E queste oscillazioni si ripetono per un tempo abbastanza lungo, fino a che scompaiono del tutto. Le medesime oscillazioni si percepiscono pure negli altri sensi. Quando si mette la fronte in contatto con una lastra fredda di vetro, per esempio dinanzi alla vetrata di una finestra, si sente che l'impressione del freddo dura per un certo tempo, dopo che è cessato il contatto col vetro. Questa sensazione non decresce uniformemente in intensità, ma si hanno delle sensazioni consecutive ora di caldo e ora di freddo; l'intensità della sensazione si rinforza quattro o cinque volte, poi cessa del tuttoBEAUNIS, Physiologie humaine, 1888. Vol. II, pag. 593.. Mi sono trattenuto a parlare alquanto estesamente di questi periodi perchè essi ci lasciano intravedere la rapidità colla quale si stancano i centri nervosi. Ritengo come molto probabile che la stanchezza in una cellula nervosa del cervello compaia dopo soli tre o quattro secondi di lavoro. L'attività, prolungata del cervello, malgrado questo esaurirsi rapidissimo dei suoi elementi, si spiega pensando che nelle circonvoluzioni cerebrali abbiamo due miliardi di cellule, e che queste possono supplirsi nei loro uffici. Già fino dal 1874 in una serie di osservazioni che ho fatto in Lipsia col dottor Schön avevo veduto che quando si copre un occhio e coll'altro, senza punto fissare, si guarda una superficie uniformemente colorata, come ad esempio il cielo, una nube od una parete imbiancata, il campo visivo si oscura e si rischiara a periodi regolari. Il campo visivo nell' oscuramento appare di un colore giallo verdognolo, talora azzurro, spesso di un colore indistinto. Questi oscuramenti hanno nelle varie persone una durata differente, e si ripetono in media da cinque a dodici volte al minutoA. Mosso, Sull'alternarsi del campo della visione. Giornale della R. Accademia di medicina di Torino, 1875. Vol. XVII, pag. 124..

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Il suo cervello non lavora abbastanza rapidamente per poter dare un ordine pronto ai muscoli, e scansare ogni nuova figura che gli viene innanzi improvvisamente nel suo campo visivo. Non può cambiare con sveltezza la direzione: ciò riesce facile all'italiano senza che egli sappia di più, chè anzi è molto meno istruito. E perchè ciò? Perchè da noi le grandi città colla loro folla sono un prodotto dei tempi moderni, perchè il popolo viene giù dalle montagne e dalle colline lontane, dove la turba non è stretta e pigiata in piccolo spazio. L'italiano invece ereditò una coltura che fiorisce da migliaia di anni, che si è sviluppata nelle città; egli possiede i nervi dei suoi progenitori, e preparato ai rapidi cambiamenti perchè i suoi nervi lavorano più presto." Io sono convinto che il mio amico Gaule ha ragione. Se fosse necessario aggiungere un'altra prova gli ricorderei che la scherma è una dalle arti caratteristiche, in cui gli italiani ed i francesi superano fino ad ora tutti gli altri popoli. Nella scherma occorre appunto una grande forza dell'attenzione, che riduca al minimo il tempo della reazione fisiologica, è necessaria una prestezza grande di percezione e di risoluzione, una agilità somma nei muscoli, perchè il più abile schermitore è il più pronto. Certo è un fatto singolare che fino ad oggi i tedeschi e gli inglesi, che pure ci superano in tante altre cose più importanti, non possono rivaleggiare coi più abili tiratori della razza latina.

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Mi ero già alzato da una settimana e benchè non mi sentissi guarito del tutto, avevo ripigliato a scrivere: lentamente sì, ma il lavoro procedeva abbastanza bene. Quando capitò un mio amico, un professore tedesco, venuto in Italia col proposito di imparar l' italiano. Io non potevo naturalmente sconsigliarlo e invece di discorrere in tedesco come eravamo abituati, egli cominciò a parlare italiano. Sembra che non avrei dovuto stancarmi, perchè la conversazione si manteneva forzatamente nei limiti di proposizioni semplici e facili. Per parte mia dovevo stentare un po' a capirlo e correggerlo, del resto nulla. Ma quanto ho sofferto, quanto mi sono esaurito, non può iminaginarlo se non chi l'ha provato. Dopo mezz' ora, gli proposi d'uscire e così mi ritirai un momento nella mia camera per riposarmi. Io speravo che l'aria libera avrebbe giovato a distrarmi: ma fu peggio; perchè si moltiplicarono d'un tratto le occasioni per chiedermi il nome delle cose che si vedevano intorno. Se queste righe gli capiteranno sotto gli occhi spero vorra perdonarmi, perchè anch'egli è medico e comprenderà che una volta che mi ero messo in capo di fare un' esperienza su di me stesso, egli è innocence della mia caparbietà. Dopo un' ora di questa conversazione, che in altre circostanze non mi avrebbe certo affaticato, io ritornai a casa come disfatto e ho dovuto mettermi disteso su di un canapè e far chiudere le imposte; ero così stanco che mi parve di soffrire un principio di vertigine. La fatica quando è molto forte, sia che ci siamo stancati in un lavoro intellettuale od in un lavoro muscolare, produce un cambiamento nel nostro umore e diventiamo più irritabili, sembra quasi che la fatica abbia consumato ciò che vi era di più nobile in noi, quell'attitudine per la quale il cervello dell' uomo civile si distingue da quello dell'uomo primitivo e selvaggio. Non sappiamo più dominarci quando siamo stanchi, e le passioni hanno degli scoppi violenti che non possiamo più trattenere e correggere colla ragione. L'educazione che teneva compressi i moti involontari rallenta i suoi freni, e succede di noi come se discendessimo alcuni gradini più in basso nella gerarchia sociale. Ci manca la resistenza al lavoro intellettuale, e la curiosità e la forza dell' attenzione, che sono le caratteristiche più importanti dell'uomo superiore ed incivilito. Le persone che soffrono di malattie croniche del sistema nervoso, sono generalmente irascibili. Vedremo più tardi che l'isterismo è uno stato del sistema nervoso paragonabile a quello che producesi per effetto della fatica. La fisonomia espressiva, il gesto vivace, la potenza dello sguardo, e lo stato nervoso che caratterizza gli artisti, la melanconia, o l'eccessiva allegrezza, e certe abitudini e modi che possono ad alcuni sembrare strani, dipendono in loro, per grande parte, dalla diminuita resistenza del sistema nervoso, da una specie di esaurimento e di isterismo, prodotto dalla fatica continua del cervello. A questo eccitamento che si nota in alcuni, fa riscontro in altri una depressione della sensibilità. È come il cavallo stanco che non reagisce più alla frusta. Molti avranno provato uno stato simile dopo una lunga marcia. La stanchezza, passato il primo periodo della eccitazione, si trasforma poco per volta in un esaurimento che ci rende insensibili, che ci procura una emozione piacevole, e si è meravigliati di non più sentire lo sforzo del camminare, quasi andassimo innanzi per la sola forza acquistata. Nel giornale dei GoncourtJournal des Goncourt. T. 1, pag. 219. è descritto questo fenomeno: "L'excès du travail produit un hébétement tout doux, une tension de la tête qui ne lui permet pas de s'occuper de rien de désagréable, une distraction incroyable des petites piqûres de la vie, un désintéressement de l'existence réelle,une indifference des chores les plus sérieuses telle, que les lettres d'affaires très pressées, sont remisées dans un tiroir, sans les ouvrir."

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Sulle Alpi la neve non scende a fiocchi larghi come nella pianura, è una neve fina, polverosa; sono granellini di ghiaccio che il vento spinge impetuosi nella faccia, che saltellano e penetrano da per tutto, e scorrono sulla pelle, che nessun vestito, per quanto chiuso, difende mai abbastanza. Il vento sospinge la neve furiosamente, spazzandola sui pendii, accumulandola nelle forre. A volte si vede il turbine che attraversa vorticosamente la strada e fa scrosciare la selva dei pini, scendendo a valle. Il sibilo della tormenta, il frastuono e il rombo delle valanghe devono produrre un' impressione terribile su quegli infelici viandanti. E guai a loro se per disperazione si fermano: se intirizziti o scoraggiati cercano un riparo! Chi si riposa è perduto; perchè lo sorprenderà il sonno. Questo ultimo e supremo conforto della miseria chiuderà loro dolcemente gli occhi, e non sentiranno più, e non vedranno la triste fine che li attende: dal sonno passeranno alla morte. La seconda volta che attraversai il gran San Bernardo, fu nell'agosto del 1875, e nella camera mortuaria vidi parecchi cadaveri che pareva fossero stati messi là pochi giorni prima. Il frate che mi accompagnava mi disse che erano morti fino dal novembre dell'anno precedente, e mi raccontò coi più minuti particolari la storia di quei disgraziati. La Feuille d'Aoste del 25 novembre 1874 descrive quell' accidente con queste parole: "Giovedi mattina a pochi passi dall' ospizio si trovarono due morti che si crede siano segatori di travi. Si organizzò una spedizione per vedere se vi fossero altri disgraziati in pericolo. Due canonici dell'ospizio, partiti con un servo, trovarono trenta persone sulla montagna della Pera. Questi trenta viandanti avevano vissuto per 24 ore con un po' di farina bagnata con acqua e sale. Il venerdì si decisero a lasciare la Pera e Si incamminarono con grande fatica verso l'ospizio. Un cumulo di neve Nel dialetto valdostano tali cumuli di neve fatti dal vento si chiamano confle.sbarrò loro la strada e li seppellì tutti. "Un cane del San Bernardo, giunto all' ospizio in uno stato che faceva compassione, diede l' avviso della disgrazia; tutti gli altri canonici partirono per recare soccorso. Incontrarono dapprima uno dei loro ed un operaio piemontese, che erano riusciti a tirarsi da sè fuori della neve. Si prodigarono loro tutti i soccorsi, ma poco dopo morirono. "Si estrassero dalla neve sei cadaveri, e due operai ancora vivi morirono poco dopo. Oltre i due canonici, che primi erano accorsi a portar aiuto, vi morì anche il servo dell'ospizio. Due operai piemontesi sono usciti vivi dopo essere stati ventidue ore sotto la neve.

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Solo eccezionalmente in Germania vi sono dei professori di Pandette, che fanno scuola tre ore, ma ho visto a Lipsia che negli intervalli abbastanza lunghi, gli studenti mangiavano allegramente dei panini gravidi. Ho sentito a Lipsia dei corsi di due ore, ma mi annoiavo terribilmente: e li seguivo solo perchè avevo dovuto pagarli prima. In Italia sono rari i professori che facciano scuola un'ora e mezza o due ore di seguito. Ne conosco però di quelli che fanno tre corsi di un'ora,uno dopo l'altro, e li compiango. Per conto mio confesso che non potrei parlare più di un'ora senza stancarmi eccessivamente. Uno di questi mi diceva che dopo aver parlato per due ore, provava un bisogno irresistibile di tacere, e come un senso di oppressione al petto: oltre il disgusto della parola, notò che sentendo gli altri a discorrere sonnecchiava. Siccome questa molestia non compariva che dopo alcuni minuti dacchè era finita la lezione, egli l'attribuiva ad una iperemia del polmone, e a consecutiva anemia del cervello. Credo non abbia torto, perchè egli si lagnava con me di aver provato qualche volta una leggera vertigine, e un senso di vuoto nella testa. Un mio collega, che qualche volta dimentica l'ora, come dice lui, sente una debolezza grande della vista dopo aver fatto una lezione troppo lunga. Questo fenomeno lo avverte specialmente nel principio dell'estate, quando il caldo eccessivo gli altera un po' la digestione. Allora basta un piccolo strapazzo del cervello, e specialmente una lezione di un'ora e mezzo per annebbiargli la vista, tanto che dopo non può più leggere. È un'astenopia che viene dall'esaurimento del sistema nervoso, e scompare poche ore dopo finita la lezione.

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Aducco quando il lavoro del cervello si prolunghi per un tempo abbastanza lungo. Altre esperienze fatte dal prof. Aducco sull' influenza degli esami diedero il medesimo risultato. Per brevità mi astengo dal riferire i risultati di queste esperienze, ma desidero riferire per ultima un' esperienza nella quale si vedono consociati i due effetti del lavoro intellettuale e di una emozione. Il giorno 29 ottobre 1890, alle 2 pom., il professore Aducco scrive il tracciato normale coll'ergografo sollevando 3 chilogrammi col dito medio della mano sinistra ogni due secondi: fa 38 contrazioni e il lavoro meccanico di chilogrammetri . 3.897 Cifra quasi eguale a quella trovata in un altro tracciato che aveva fatto il mattino. Gli esami cominciarono come al solito alle 2, ed essendovi solo quattro esami il lavoro intellettuale era di un'ora e venti minuti: ma disgraziatamente fra i candidati si presentò un suo amico, che il professore Aducco con suo grande dispiacere dovette rimandare. Quest' ultimo esame lo impressionò molto, e ritornato al laboratorio, rosso in volto, scrisse alle 3.30 il tracciato della fatica che consta di 47 contrazioni che rappresentano il lavoro in chilogrammetri di. 5.112 Alle 6 ritornò a scrivere il tracciato della fatica: fece 43 contrazioni e il lavoro meccanico di chilogrammetri. 4.368 Dove si vede che l'effetto eccitante della emozione non era ancora scomparso dopo tre ore. Dobbiamo ora cercare la causa per la quale aumenta la forza dei muscoli nel primo periodo della fatica intellettuale e nelle emozioni. Questa è un' altra perfezione meravigliosa del nostro organismo. A misura che si consuma l'energia del cervello e si indebolisce l'organismo aumenta l’eccitabilità del sistema nervoso. Qui appare un congegno automatico col quale la natura provvede ad una difesa più efficace dell'organismo a misura che questo si indebolisce. Vi è un aumento nell' acutezza dei sensi e nella eccitabilità del sistema nervoso quando un animale diviene meno atto a combattere per effetto del digiuno e della fatica. Ne abbiamo un esempio nel fatto che le persone meno forti e robuste sono più sensibili. Nei malati gravi la denutrizione altera i centri nervosi, e produce un' agitazione grande, delle scosse e delle convulsioni. Le vigilie, il lavoro intellettuale esagerato, destano gli accessi convulsivi nelle persone che vi sono predisposte. Alcuni sventurati che soffrono di epilessia sperano di rendere meno forti gli insulti con indebolire il sistema nervoso con qualche eccesso, e specialmente coll'amore, ma l'esperienza dimostra infallantemente che la malattia peggiora. Le convulsioni epilettiche si ripetono più spesso e più forti quanto più si esauriscono le forze del sistema nervoso. Parlerò ancora di questo nel prossimo capitolo; intanto abbiamo veduto che la differenza tra il dottor Maggiora e il prof. Aducco per il loro modo di comportarsi nella fatica intellettuale è più apparente che reale. Nel prof. Aducco il primo periodo della fatica, cioè l'eccitamento, dura a lungo, ma anche in lui compare infine la debolezza dei muscoli. Nel dottor Maggiora il periodo dell'eccitamento dura poco, e vi succede subito l'esaurimento. Nello studio dei fenomeni nervosi dobbiamo dare poca importanza alla intensità ed alla durata loro purchè la successione e l'ordine dei fenomeni e la loro concatenazione colle cause rimanga costante. Succede la stessa cosa per tutti i medicamenti. Nel mio Laboratorio ebbi a fare molte prove in proposito: ne cito una sola che vale per tutte: benchè si tratti delle cose pia elementari della medicina. Avevo bisogno di fare delle esperienze sul cuore e sul respiro durante l'azione del cloroformio. Parecchi miei amici e colleghi si prestarono con grande abnegazione ad uno studio che non era senza pericolo. Il prof. L. Pagliani mi aiutava, e siccome durante l'esperienza dovevo stare attento ai miei apparecchi, avevo bisogno di un amico come lui, che mi inspirasse la più grande fiducia per affidargli la cloroformizzazione. Un giorno capitò che uno dei nostri amici perdette la coscienza dopo poche inspirazioni, dopo aver inalato al massimo due grammi di cloroformio. Fummo sorpresi: ma sapevamo che alcune persone molto sensibili erano morte per una dose eguale ed è per questo che procedevamo sempre colla massima cautela. Nel giorno successivo il prof. Daniele Bajardi si offrì gentilmente per farsi cloroformizzare. Era il medesimo cloroformio e ne inalò circa 50 grammi senza provare alcun effetto. Gli domandammo ciò che intendeva di fare ed egli ci disse di continuare a dargliene dell'altro, che avrebbe finito per addormentarsi. Si continuò per quasi mezz'ora e finalmente perdette la coscienza e poi la sensibilità quando si erano consumati oltre cento grammi di cloroformio. Finita l'esperienza e svegliatosi, fu tanta la quantità di cloroformio che egli eliminava dai polmoni che parlando con lui si sentiva dal fiato l'odore. Ritornato a casa dopo più di un'ora, i suoi parenti si lamentarono della puzza che egli aveva portato in casa e che essi non sapevano cosa fosse.

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Accade alla maggior parte degli studiosi di non avere aiuto nel principio della loro carriera e di scoraggiarsi perchè non si credono abbastanza forti. Questi in un libro come quello che ho accennato, potrebbero trovare un consiglio ed anche forse un aiuto, non fosse altro vedendo che altri più deboli e poco favoriti dalla natura riuscirono pure a fare delle cose eccellenti. La storia è piena di uomini che si fecero immortali malgrado una salute vacillante, e che colla sola perseveranza conseguirono dei risultati che non erano da sperarsi. Valga per tutti l' esempio glorioso che ci diede Carlo Darwin di una lotta combattuta giorno per giorno fino alla fine della sua esistenza. Tornato da un viaggio di circumnavigazione, andò cosi rapidamente peggiorando la sua salute, che egli, essendo ancora giovane, si decise di abbandonare Londra, per vivere nella solitudine di un piccolo villaggio. Carlo Darwin ci lasciò dei documenti interessantissimi intorno alle sue facoltà mentali e al modo come lavorava. Nella sua autobiografia, dice: La Vie et la corrispondence de Charles Darwin publiées par son fils M Francis Darwin. - Paris, 1888."La scuola come mezzo di educazione fu per me un semplice zero. Io fui incapace durante tutta la vita di vincere le difficoltà per apprendere una lingua qualunque. "Non ho la grande rapidità di concepimento o di spirito, tanto notevoli in qualcuno degli uomini intelligenti. Sono un critico mediocre. La facoltà che permette di seguire una serie lunga e astratta di pensieri è molto limitata in me, e non sarei mai riuscito nelle matematiche e nella metafisica. "La mia memoria è estesa, ma confusa, e basta appena per avvertirmi vagamente che ho letto od osservato qualche cosa di opposto o di favorevole alle conclusioni che tiro. La mia memoria lascia talmente a desiderare, che non ho mai potuto ricordarmi più di qualche giorno, una semplice data o un verso di poesia. "Ho tanto spirito d'invenzione, di senso comune, e di giudizio, quanto ne ha un avvocato od un medico di forza comune, a quanto io credo, ma non di più". Un uomo che si credeva in così scarsa misura fornito dei doni dell' ingegno, in quarant' anni di assiduo lavoro, è riuscito a far cambiare la faccia alla scienza. Egli era così debole e sofferente che non poteva neppure ricevere gli amici nella rustica e silenziosa sua casetta, perchè tutte le volte che cercava di sforzarsi, l'emozione e la fatica gli davano sempre dei brividi e dei vomiti. Eppure quest'uomo di abitudini campagnuole, che si occupava, solo del suo giardino e dei suoi libri, trasfuse una vita nuova nella filosofia, ed ha fecondato, si può dire, tutto lo scibile del nostro secolo. Nel piccolo villaggio di Down, sotto l'ombra dei grandi alberi, che circondavano la casa di Darwin, si è meditato e combattuto vittoriosamente una lotta gigantesca; di là si sono aperte nuove vie e nuovi orizzonti al pensiero dell'umanità. E Darwin fu così fortunato, che prima di morire vide trionfare le sue idee e crescere l’ edificio della scienza sulle basi che egli prima aveva gettate. "Il mio spirito, dice DarwinOpera citata. Tomo I, pag. 102., è vittima di una fatalità, che mi fa stabilire in primo luogo la mia esposizione, o la mia proposizione, sotto una forma difettosa, e disadatta. Nel principio avevo l'abitudine di riflettere molto alle mie frasi prima di scriverle; dopo parecchi anni ho capito che guadagnavo tempo a scarabocchiare delle pagine intere colla maggior fretta possibile, raccorciando e troncando le parole a mezzo, ed a correggere in seguito con mio comodo. Le frasi gettate giù a questo modo sono spesso migliori di quelle che avrei potuto scrivere con riflessione. Avendo così esposto la mia maniera di scrivere, devo aggiungere che per le mie voluminose opere consacravo molto tempo ad un ordinamento generale della materia. Facevo prima un abbozzo grossolano in due o tre pagine; alcune parole ed anche una sola, rappresentavano una discussione intera od una serie di fatti. Ciascuna di queste divisioni era aumentata o trasposta prima di cominciare il libro in extenso. Siccome ho sempre lavorato sopra più soggetti ad un tempo, devo ricordare che avevo organizzato da trenta a quaranta portafogli dentro a dei mobili che portavano le loro etichette e che mettevo in questi gli appunti staccati o le note. Ho comperato un grande numero di libri, e alla fine di ciascuno aggiunsi una tabella di tutti i fatti che riguardavano il mio lavoro; se il libro non era mio ne facevo un sunto. Ed avevo un cassetto pieno di questi estratti." Appena ritornato dal suo viaggio intorno al mondo, Darwin scriveva a Lyell: "Mio padre spera che lo stato della mia salute possa appena migliorarsi fra qualche anno. E il prognostico è grave per me, perchè sono convinto che la corsa sarà guadagnata dal più forte e non farò altro nella vita che seguire le tracce lasciate dagli altri nel campo della scienza." Un' altra volta scrivendo da Londra a Lyell, dice: "Ho adottato il vostro sistema di non lavorare che due ore di seguito, dopo le quali esco di casa per le mie faccende, poi rientro e mi rimetto al lavoro. Così d'un giorno ne faccio due". Riferisco ancora qualche tratto caratteristico della figura di Darwin, quantunque la vita scritta dal suo figliolo sia molto conosciuta. "Due particolarità, del suo modo di vestire in casa, consistono in ciò, che egli portava sempre uno scialle sulle spalle, e dei grandi stivali di panno foderati che calzava sopra le scarpe di casa. Come il maggior numero delle persone delicate, egli soffriva tanto il caldo, quanto il freddo. Il lavoro mentale gli dava sovente troppo caldo, ed egli si levava il paletot, se nel corso del lavoro qualche cosa non gli andava a suo genio. Si alzava di buon'ora, e faceva, una piccola passeggiata prima della colazione; e considerava il tempo che passa fra le otto e le nove e mezzo, come il momento dei suoi studi migliori: alle nove e mezzo ritornava colla famiglia, si faceva leggere le lettere e qualche pagina dei giornali, di un romanzo o di viaggi. Alle dieci e mezzo ritornava nel suo studio; dove lavorava fino a mezzo giorno o mezzogiorno e un quarto." A questo momento egli considerava come finito il lavoro della sua giornata e diceva spesso con soddisfazione, "ho fatto una buona giornata di lavoro". Egli usciva allora a passeggiare, senza badare se era sole o se pioveva. Suo figlio ricorda un motto di Darwin che egli ripeteva spesso, cioè che noi arriviamo a fare il nostro compito economizzando i minuti. Darwin faceva questa grande economia del tempo per la differenza, che egli sentiva tra il lavoro di un quarto d'ora e quello di dieci minuti. La maggior parte delle sue esperienze, dice Francis Darwin, erano così semplici che non richiedevano preparativi, e credo che queste abitudini egli dovesse in grande parte al desiderio di risparmiare le sue forze e di non logorarsi in cose poco importanti. "Io fui spesso sorpreso, dice egli, del modo con cui mio padre lavorava fino all'estremo limite delle sue forze; spesso, dettandomi, s'arrestava tutto di un tratto e diceva : credo che bisogna che io mi fermi". Darwin durante quarant'anni non ebbe mai un giorno di buona salute come gli altri uomini. Il segreto suo fu la pazienza di arrestarsi a riflettere (come diceva lui) per degli anni interi sopra un problema inesplicato; e di esser nato colla forza di non poter adattarsi in verun modo a seguire ciecamente la traccia degli altri. E Darwin per queste sue virtù, malgrado che soccombesse ogni giorno sotto il peso della fatica per qualunque piccolo sforzo, fece maravigliare il mondo per le importanti leggi scoperte, per la interpretazione più logica che diede della formazione degli esseri viventi, per la luce che ha gettato su molti fenomeni della natura. E nel secolo nostro, Darwin rimarrà immortale per la novità dei suoi concetti elevatissimi, per un ideale sublime, come non era uscito mai dalla mente dei filosofi che avevano meditato sull'origine della vita.

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Ma però ebbi più tardi a ricredermi, quando nell'opera Zur Farbenlehre del Göthe, lessi nell'ultimo volume, questa, sua confessione: "I miei contemporanei fino dal primo apparire dei miei tentativi poetici si mostrarono abbastanza benevoli verso di me, o per lo meno riconobbero che io aveva talento poetico ed inclinazione. Eppure i miei rapporti coll' arte della poesia, erano meravigliosamente strani e del tutto pratici, in quanto che io, un soggetto che mi colpisse, un modello che mi eccitasse, un processo che mi attirasse, lo portavo così lungamente nell'interno del mio sentimento, fino a che ne risultasse qualche cosa che potesse considerarsi come un mio prodotto, e dopo che per anni lo avevo formato silenziosamente; finalmente tutto d’un tratto, e quasi istintivamente come se fosse maturo, lo mettevo sulla carta ".Opera citata, tag. 277. Flaubert lavorava quattordici ore al giorno, e tutti sanno che in questo scrittore la ricerca della perfezione dello stile era divenuta una malattia. Di lui si raccontano tanti aneddoti; fra gli altri che si alzava la notte per correggere una parola; che rimaneva immobile per delle ore colle mani nei capelli, chino sopra di un aggettivo. Lo stile lo tiranneggiava, era una passione per lui l'affaticarsi cercando insaziabile la legge misteriosa di una bella frase, e finalmente questa disperazione dell'anima finì per diventargli un ostacolo insuperabile al lavoro. Nella vita del Flaubert vi sono alcuni lati originali che interessano il fisiologo. Flaubert disse penser c'est parler e nessun altro scrittore forse lo ha superato nello studio dei rapporti fra il pensiero e la parola. Egli provava il ritmo dei suoi periodi sul registro della propria voce. Una frase cattiva, diceva, è un peso al torace e si trova fuori delle condizioni della vita se non va d' accordo colla fisiologia del linguaggio, se armoniosamente non si puo recitare ad alta voce .Journal des Goncourt, pag. 277. Stricker ha fatto degli studi fisiologici intorno a questo argomento, e dimostrò che mentre pensiamo ad una parola la pronunciamo silenziosamente e che possiamo sentire i movimenti della laringe, come se parlassimo senza dar suono alle parole. Tutti abbiamo visto le mille volte nella strada, delle persone che parlano ad alta voce, e passando loro vicino si chetano , e quando abbiamo fatto pochi passi innanzi riprendono a parlare. La presenza nostra li distrasse dal loro pensiero, e poscia subito vi ritornarono involontariamente e ricominciarono a parlare. Del legame indissolubile che unisce il pensiero colla parola, offrono begli esempi le biografie dei grandi scrittori, quelli specialmente che lasciarono nelle opere loro un'impronta più evidente delle forti passioni che agitavano il loro animo. Alfieri ritornato a venti anni dall'Olanda, col cuore pieno traboccante di malinconia e di amore, sentì la necessità di applicare la sua mente a qualche forte studio. Si mise a leggere Plutarco."Le vite di quei grandi, egli dice, sino a quattro e cinque volte le rilessi con un tale trasporto di grida, di pianti e di furori pur anche, che chi fosse stato a sentirmi nella camera vicina mi avrebbe certamente tenuto per impazzato ".Vita di Vittorio Alfieri, Capitolo VII. Balzava in piedi agitatissimo e fuori di sè, e lagrime di dolore e di rabbia gli scaturivano dagli occhi. Balzac Onorato, il celebre romanziere, che ebbe una tale fecondità, da non essere paragonabile che alla maravigliosa vivacità della sua, fantasia, produsse tanti libri, che non si crederebbe essergli potuto avanzare il tempo per correggerli tutti. Pure c' è qualche cosa in lui che fa stupire più della sua facilità ed è appunto la faticosa ed improba difficoltà del suo modo di lavorare. Ecco come egli componeva i suoi libri: meditava a lungo il suo argomento, poi ne buttava giù un abbozzo informe in poche pagine. Quest' abbozzo mandava alla stamperia; di là gli rimandavano in larghi fogli le prime bozze di stampa. Egli riempiva queste bozze di aggiunte e di correzioni per tutti i versi, cosicchè tali correzioni parevano un fuoco d'artificio venuto fuori da quel primo suo getto. Si rifacevano le bozze, e già nelle seconde era scomparso tutto il testo delle prime: egli lo rimaneggiava ancora, lo modificava, lo mutava instancabilmente e profondamente. Alcuni romanzi furono tirati sulla dodicesima prova di stampa, altri toccarono la ventesima. I compositori si disperavano quando avevano che fare con un suo manoscritto; gli editori si rifiutavano di sopportare le spese delle sue giunte e correzioni.

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Quando uno di notte è perseguitato nei sogni dalle preoccupazioni del giorno, e al mattino si accorge di non essersi riposato abbastanza, non ha bisogno di consultarsi col medico; egli deve distrarsi, altrimenti succederanno dei guai maggiori. Un altro Deputato dopo di essersi affaticato eccessivamente alla Camera, trovandosi ad un pranzo ufficiale ove avrebbe avuto a parlare, fu preso da palpitazione, non potè più fare il suo discorso, e dovette limitarsi ad un brindisi di poche parole. Da quel giorno il cardio-palmo si ripeteva con accessi più frequenti, ed aveva delle nausee, se era obbligato di lavorare al tavolino. Soffriva di insonnia e di un tremolio notevole delle gambe e delle mani, che veniva ad accessi, e più specialmente quando trovavasi in pubblico. Talora facendo un discorso gli capitò di doversi sedere, perchè il tremolio delle gambe gli dava troppa molestia. Il più piccolo disordine dietetico era seguito da una diarrea, che durava due o tre giorni. Tutti questi fenomeni sono tanto più caratteristici, in quanto che si tratta di una persona di buona costituzione, senza precedenti ereditarii, che godette sempre buona salute prima che entrasse nella vita politica. Si lagnava col medico di essere diventato irritabile, e per lui che era stato sempre di un carattere buono e pacifico, ogni scoppio di ira lo umiliava e doveva trattenersi e compiangersi. Negli uffici della Camera non poteva, più scrivere, se gli era vicino qualcheduno che gli dèsse un po' soggezione. Non avendo il coraggio di interrompere le sue gravi occupazioni e darsi ammalato, lo stato suo andò sempre più aggravandosi, finchè si accorse di un mutamento anche nei suoi discorsi alla Camera. La loquela gli si era fatta più rapida, e nel parlare gli avveniva di saltare delle sillabe e delle parole senza accorgersene. Gli pareva di essere meno sicuro della sua memoria, perchè i pensieri gli si affollavano alla mente e subito svanivano, ed era questo il tormento maggiore per lui, che avendo la fantasia eccitata e una grande profusione di parole e di immagini, riusciva ad esprimersi male e confusamente, e di quando in quando precipitava talmente il discorso che, senza poter dire che vi fosse in lui un difetto, si capiva dalla pronuncia e dall'incertezza della parola che egli non era più in stato normale. Il peso del corpo diminuì in poco tempo di 15 chilogrammi, e di notte soffriva di insonnia e di sudori profusi. Bastò un mese di riposo e di cure, perchè scomparissero tutti questi sintomi e migliorassero le condizioni generali della nutrizione. Un mio amico che non è medico, il quale sa che sto raccogliendo delle osservazioni sulla fatica intellettuale, mi raccontò di un Deputato col quale gli accadde di fare un viaggio da Roma a casa. Questo Deputato gli apparve così esaurito nel cervello che egli mi domandava se poteva essere una malattia grave del sistema nervoso, o non piuttosto una debolezza, della mente per eccessivo lavoro. Nel parlare questo Deputato perdeva continuamente il filo del discorso. La più piccola digressione, una parentesi anche di poche parole, bastava per farlo restare a bocca aperta, senza che sapesse più raccapezzarsi. Poi, di tratto in tratto si dimenticava che erano stati compagni di studio e gli dava del Lei. Il mio amico lo avvertì due o tre volte mettendo la cosa in scherzo, ma poi tacque, perchè gli faceva compassione e lasciò che gli dèsse del Lei e non cercò più di raddrizzare i suoi discorsi sconclusionati. So che questo Deputato fu nuovamente eletto e credo perciò non fosse una malattia grave del sistema nervoso, ma che piuttosto fosse l' effetto di uno strapazzo del cervello. Un mio collega mi faceva notare che molti uomini politici soccombono rapidamente alle malattie infettive, e muoiono giovani, e che ciò deve attribuirsi allo stato di indebolimento del sistema nervoso.

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Avrei ancora molte altre cose da dire sulla fatica del cervello e dei muscoli; ma per questo volume, il lettore ne ha abbastanza.

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Schmidt avevano già dimostrato che i muscoli di un cane, vivono abbastanza lungo tempo quando sono staccati dal corpo, se si fa circolare artificialmente del sangue defibrinato nelle loro arterie. Kronecker, eliminando alcune cause di errore, ed esperimentando sulle rane, diede alla legge della fatica la sua espressione più semplice. Kronecker nei muscoli staccati dal corpo, riuscì a scrivere 1000 e anche 1500 contrazioni, l' una dopo l'altra, colla più grande regolarità. Ripetendosi le contrazioni, a misura che cresce la fatica diviene minore la loro altezza e vanno regolarmente digradando sino a cessare del tutto. Kronecker ne trasse la legge che "la curva della fatica di un muscolo che si contrae in eguali spazi di tempo e con delle scosse di induzione egualmente forti, è rappresentata da una linea retta. " Un'altra legge formulate da Kronecker si è che: la differenza dell' altezza delle contrazioni diminuisce quando crescono gli intervalli del tempo: ossia l'altezza delle contrazioni diminuisce tanto più presto quanto è più frequente il ritmo col quale si eseguiscono le contrazioni, e viceversa. Kronecker studiò i mutamenti che succedono nella sostanza dei muscoli affaticati, e dimostrò le differenze individuali profonde, che tanto gli animali a sangue caldo, quanto le rane presentano nella resistenza alla fatica. Vi sono dei cani che dopo fatte 150 contrazioni non rispondono più, ed i muscoli eccitati presentano un raccorciamento minimo ed appena visibile, mentre altri cani in condizioni identiche di esperienza danno 350, 500 e anche 1500 contrazioni, sollevando 40 o 50 grammi prima di esaurire completamente la loro forza. Intorno ad altre parti del lavoro fondamentale del Kronecker, avrò occasione di parlare più tardi.

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Egli resistè meglio alla fatica, e la sua curva mentre oggi nella prima, parte va rapidamente decrescendo, che questo è appunto il suo carattere personale, si mantiene nella seconda parte abbastanza resistente al lavoro prima che si esaurisca l'energia. È inutile che io soggiunga che anche qui egli sollevava 3 chilogrammi col ritmo di 2 secondi. Del dottor Maggiora e del professor Aducco, siccome lavorarono con me per lo spazio di sette anni circa, conservo tutta la serie delle curve durante questo periodo di tempo, chè non passò mai mese che per qualche ragione non facessimo delle esperienze coll'ergografo. Ho dunque tutte le trasformazioni, gli alimenti e le diminuzioni che per cause diverse, presentò la loro forza. Ho notato che le variazioni sono più evidenti nei miei colleghi che sono giovani, di quello che siano sopra di me in cui il tipo è rimasto invariato. Per ottenere ogni giorno le medesime curve bisogna che il nostro corpo lo mantemamo pure in condizioni identiche. Il regime, il riposo della notte, le emozioni, la fatica intellettuale esercitano una influenza evidentissima sulla curva della fatica. Basta che uno digerisca o dorma male o faccia qualche eccesso, perchè subito la curva cambi non solo per la durata del lavoro, cioè per il numero delle contrazioni ma nel tipo stesso della sua curva, così che uno che abbia una curva come quella del professor Aducco, può sotto l’ influenza di cause debilitanti, dare una curva che rassomiglia a quella del dottor Maggiora. Le differenze si riferiscono non solo alla quantità del lavoro meccanico ed alla figura della curva, ma anche al tempo che è necessario al ristoro dei muscoli, così che dovrà aspettarsi un tempo più lungo del normale perchè il muscolo si reintegri nella sua forza. Vedremo cioè che dopo un esaurimento della forza due ore non bastano più, ma ci vorrà un tempo più lungo per dare nuovamente una curva normale. Una differenza notevole nella forza si produce col cambiare delle stagioni: di questo mi convinsi con ripetute esperienze sopra il professor Aducco nel quale il calore della state modifica d' assai la nutrizione del suo organismo. L'esercizio, di tutte le cause che modificano le condizioni del corpo, e quello che aumenta di più la forza dei muscoli. Lo vediamo nel tracciato 10 del professor Aducco, che è quasi lungo il doppio del precedente, perchè qui fa 80 contrazioni, e la loro altezza totale è di 2m959 -. Questo tracciato fu scritto mentre il cilindro si moveva più rapido che nel tracciato della figura 7 : perciò le linee sono alquanto più staccate l’ una dall'altra: ma il ritmo delle contrazioni è sempre di due secondi. Il lavoro meccanico compiuto in questo tracciato per esaurire la forza dei muscoli flessori del dito medio è di chilogrammetri 8.577. Vediamo cioè che dopo un mese di esercizio fa

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