Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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L'angelo in famiglia

183301
Albini Crosta Maddalena 9 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Una bambina è abbastanza istruita quando conosce il piccolo catechismo; ma una giovinetta coltivata anzichè no in letteratura, storia e nel complesso di quelle materie, numerose fors'anche troppo, che formano l'indispensabile elemento della sua istruzione, potrà essere e dirsi sufficientemente istruita in religione ove sia rimasta con quello che ne ha appreso nei primi anni della sua vita? No, questo potrà bastare per coloro che, dediti a guadagnarsi quotidianamente il pane col manuale lavoro, non hanno squilibrio di sorta fra le loro cognizioni, poichè se non sono profondi nella dottrina, non conoscono neanche la scorza di ciò che forma il corredo intellettuale di una giovane di civile condizione. Io sento molto e sempre il bisogno dell' equilibrio in ogni cosa, e credo che ben a ragione volendo dire di uno che non sa quello che si faccia, si dica che è squilibrato. Dunque ci dovrà premere e non poco, di tenere una giusta misura fra le nostre cognizioni e di non permettere mai mai che il di meno sia quanto riguarda il nostro caro Padre, il quale, non contento di averci dato la vita, ce la conserva e ce la ricolma di affezioni e di benedizioni d'ogni sorta. Anzi io credo sia necessario tenere l'equilibrio in modo che, dovendo noi per debito di figliuolanza, di sudditanza e di riconoscenza, la parte migliore di noi a Dio, anzi tutti noi stessi, ci corra stretto obbligo di cercare anzitutto e di coltivare specialissimamente in noi lo studio della religione nostra santissima, poichè con essa verremo bilanciando l'intero nostro essere, il quale sarà così regolato come piace a Dio. Vi hanno delle anime piccole ed ignoranti le quali credono non sia occupazione di uomo di genio, e anche solo d'ingegno, studiare una pagina più in là di quelle domande e risposte dottrinali che senza pur comprenderne il significato si recitano dai fanciulli. Ma che ne direbbero costoro, quando sapessero che il più gran genio pensatore, S. Tomaso d'Aquino, faceva dello studio della religione se non l'unico, certo però il principale pensiero della sua vita? Che ne direbbero se sapessero che l'Alighieri, il quale non era altrimenti frate, ma un amante sfogato della sua patria, non contento di studiar teologia a Parigi, impiegò tutto sè stesso, la sua vita ed il suo ingegno a scrivere la Divina Commedia, che si chiama divina appunto perchè tratta dei rapporti degli uomini con Dio? E non ho io inteso ripetere più volte, e non l'ho verificato io stessa, e tu pure lo puoi, che l'opera di Dante è la dottrina cattolica esposta in poesia? Certo tu vi trovi l'esposizione dei dommi tutti, dall'Unità e Trinità di Dio, all'infallibilità del Pontefice, la quale riconosciuta or son pochi anni, e comandata come verità di fede sotto pena di eresìa dall'immortale Pio IX, era però la credenza della età passata, alla quale apparteneva il massimo poeta che scriveva: Avete il vecchio e il nuovo Testamento, E il pastor della Chiesa che vi guida: Questo vi basti a vostro salvamento. Altri poi si scusano dall'approfondire la religione sotto pretesto che la nostra fede dev'essere cieca. Poveretti! S. Paolo ha detto questo per indicarci l'obbligo di seguirla cecamente allorchè tocca i misteri che noi non potremo mai comprendere; ma ci ha detto ancora che la nostra fede deve essere ragionevole. E non diceva a caso la nostra fede ragionevole e però cieca, poichè tu lo sentirai come me, anzi non come me, ma come tutta la schiera imponente dei grandi Cattolici di tutte le età; da quelli che hanno dato il loro sangue a suggello della loro credenza, a quelli che oggi ancora lo spargono nel Tonchino o in Corea e nei paesi idolatri dove sono andati a portare la parola di Dio. Sì, tu sentirai al pari di tutti questi atleti che quando noi avremo studiato la Dottrina cattolica in modo che la nostra fede essendo lungamente ragionata, sia divenuta ragionevole, allora senza fatica accetteremo cecamente quanto essa c'insegna e supera la nostra facoltà di comprendere. Una volta che io ho studiato in modo da credere fermamente alla parola rivelata, cioè al Vangelo, come parola stessa della seconda persona della SS. Trinità fatta uomo, io ammetterò conseguentemente senza esame e senza restrizione tutto quanto il Vangelo dice e che io non so spiegare. In altri termini, quando io credo che Gesù Cristo è Dio, e come Dio è un Ente infinitamente superiore a tutte le sue creature, io lo credo capace ad operare miracoli, che la mia mente limitata non potrà mai comprendere nè spiegare. Anzi quanto più la mia fede sarà ragionevole, tanto più sarà cieca, appunto perchè quanto più la ragione mi avrà provato la grandezza e la potenza di Dio, tanto più cecamente io accetterò ciò che la grandezza e la potenza di Dio mi propone a credere, non a capire. Queste cose io le dico a te, non già perchè io creda tu abbia bisogno di snebbiare la tua fantasia da simili ubbìe; ma perchè so bene che nella società nella quale ti trovi, pressochè ogni giorno ed ogni ora ti soneranno all'orecchio proposizioni subdole, le quali cercheranno di allontanarti dallo studio profondo e indefesso della religione del Cristo del quale tu porti il nome dolcissimo. Non vorrei però che taluno, esagerando la mia intenzione, credesse che io ti volessi far studiare teologia, come ha fatto Dante Alighieri, per vederti sul dito l'anello dottorale; oh! no, tu lo capisci perfettamente, io non pretendo vederti curvare la fronte sotto il peso delle teologiche fatiche. Il buon Gesù è molto indulgente, ed io non voglio importi se non ciò ch'Egli vuole nella sua bontà e nella sua misericordia. Anderò anche avanti un passo, e dirò di più. Difficilmente tu potresti studiare da sola una scienza cotanto elevata, senza correre rischio di prendere abbaglio, e di ber giù a larghi sorsi l'errore invece della verità. Ma e dunque, tu mi dimandi: che debbo fare, che vuoi da me? Oh! io non voglio da te l'impossibile, voglio il tuo bene, e lo voglio in modo che non ti sia di troppo grave incomodo e fatica. Credi, amabile giovinetta, io ti amo, e ti amo di un amore superiore ad ogni altro, perchè ti amo di un amor soprannaturale in Dio, e tutto quanto ti dico, lo succhio io prima dal Cuore amabilissimo della nostra cara Madre Maria, che mi pone nell'animo una stragrande tenerezza per te. Vi hanno due mezzi opportunissimi per ornare la tua intelligenza ed il tuo cuore delle cognizioni utili e principali di nostra santa religione, per stabilire così un giusto equilibrio tra la tua fede e la tua ragione, tra le cognizioni profane e le tue cognizioni religiose. Dei due mezzi accennati, uno è la lettura spirituale e l'altro l'ascoltare la divina parola. Ho detto la lettura spirituale, ed intendo fornirti con essa un metodo facile e dolce per imparare la scienza di Dio. Gli è vero, dal momento che leggi questo libro è ben segno che ti piace questo esercizio, e parrebbe inutile io te ne parlassi; ma siccome noi abbiamo bisogno d'essere guidati sempre 8 da forti convinzioni anche nelle cose di minor rilievo, così non credo tempo e fatica sprecata l'insistere su questo punto. Il libro di pietà è un ambasciatore di Dio che ci si pone al fianco a parlarci di Lui, dei suoi diritti e dei nostri doveri; come il libro cattivo è un ambasciatore del demonio che solletica le nostre passioni e ci mette in orribile guerra con Dio e con noi stessi. Il libro spirituale è sempre al tuo fianco quando lo vuoi; e come l'altro tien sempre pronto il suo veleno che ti appresta senza arrossire nè inquietarsi, questo ti versa in seno la dolcezza del bene, ed insegnandoti la carità, il disinteresse, l'eroismo, innalza il tuo essere insino a Dio del quale ti dice figlia ed amica. Amalo adunque molto il libro di pietà, e non lasciar passar giorno senz'averne letto poco o molto. Talvolta questo esercizio sarà per te senza gusto e faticoso; ma per tacere ancora che altre fiate ti verserà in seno le più pure gioje celesti, il tuo animo ne sarà tanto rafforzato e purificato da farti riuscir poi facile la pratica delle più ardue virtù cristiane. È tanto vero che lo scrivere e il leggere di Dio, benchè senza compenso presso gli uomini, è un desiderio ed un bisogno del cuore, che quasi innumerevoli sono i libri ed i buoni libri che parlano di Lui; e Dio buono, sempre buono in tutte le sue attribuzioni, non ci fa nessuna prescrizione speciale, ma ci permette di scegliere quello che più ci va a genio ed è più conforme al nostro gusto ed al nostro bisogno. Oh! dunque ricordatelo bene, mia cara, un buon libro è il miglior amico che puoi avere; un amico che ti dice francamente la verità, che non ti adula, ma t'incoraggia al ben fare, mentre con tutta carità ti ammonisce; un amico che non tradirà mai le tue confidenze, che non disdirà domani quello che ha detto oggi; un amico insomma che non ha altro scopo, altro desiderio che di farti diventar migliore, accetta a Dio ed agli uomini, amabile con tutti e contenta. Ama questo amico sincero, amalo e tientelo sempre vicino; non passerà molto e ti accorgerai dell'immenso vantaggio di una buona e soda lettura spirituale. L'altro mezzo del quale mi resta a parlarti, è la divina parola, ed io vorrei che la mia penna scrivesse a caratteri indelebili sul tuo cuore, quanto questa sia importante e necessaria e dolce. Salvatore amabilissimo, infiammate voi i miei affetti, date Voi eloquenza al mio dire e rendetelo insinuante così, che coloro i quali leggeranno queste pagine ne riportino il cuore divampante d'amore per Voi e per la vostra santa e soave parola, e divengano poi degni di essere chiamati un dì alla vostra destra nella schiera felice degli eletti. Cara amica mia, il Signore vuole che tu lo ami sopra ogni cosa, e tu senti di doverlo amare in tal guisa; ma come potrai tu amare, d'un amore che tutti gli altri sovrasta, un Ente che non conosci, o conosci troppo poco? A te pare che io abbia proferito una bestemmia, ed è vero, poichè se Dio ci ha comandato: Amerai Dio sopra ogni cosa, ci avrà poi dato anche i mezzi per obbedirlo. Oh! questo sì, è verissimo, anzi ben lungi dal negarlo, sono io la prima a sostenerlo; ma quanto io sostengo altresì si è che siamo noi i tristi che trascuriamo i mezzi fornitici da Dio, e che quindi ci stringe più severo obbligo di fare quanto Egli c'impone. Se non vogliamo adunque diventar rei di trasgressione del primo comandamento del Decalogo, dobbiamo essere premurosi di arricchirci di tutte quelle cognizioni, le quali riguardando il nostro Creatore e Padrone e Padre, ci riscalderanno di amore per Lui. Corriamo, sì corriamo ad ascoltare la parola di Dio che ci viene amministrata dal pergamo, ma più specialmente corriamo... dove?... alla Dottrina. Sì, alla Dottrina ci verranno insegnate tutte le verità di fede, spezzate e adattate alla nostra capacità ed ai nostri bisogni in guisa tale da farcene trarre un vantaggio d'assai superiore a quanto noi possiamo immaginare. Non dico che, essendo adulti, dobbiamo scegliere a bella posta di sentirci spiegare la Dottrina come si fa coi bambini; questo se talvolta è utile per richiamarci le nozioni elementari, è ben lungi dal procurarci quell' utile e quel diletto che ci viene da una spiegazione un po' larga e minuta del Catechismo, come suol farsi a quelli che bambini non sono. So bene che non dappertutto e neppure in tutta Italia si usa fare l'istruzione della Dottrina Cristiana in modo così costante, e diciamolo pure, in modo così sminuzzato ed elevato da soddisfare anche le persone di una somma coltura, come si usa fare in Lombardia, e segnatamente in questa nostra Milano, dove S. Carlo Borromeo l'ha istituita, e dove è caldeggiata dal suo successore non solo, ma da tutti quanti hanno a cuore la cara nostra religione. So per altro che molti la trascurano col futile pretesto che essi la sanno già bene la dottrina e che non hanno bisogno di sentir ripetere dal Prete e dalle Suore quel ch'essi già conoscono a menadito; quasi la Dottrina Cristiana fosse una scienza così leggiera e superficiale da approfondirsi perfettamente in poco tempo, mentre non basta la vita di un uomo a oltrepassarne neppure la scorza senza un aiuto specialissimo di Dio. In confidenza, fanciulla cara, qual'è la tua impressione allorquando senti un idiota leggere e scrivere con fatica, e in modo che ad indovinarlo bisogna fare i massimi sforzi; che senso ti fa quand'ei ti dice d'aver studiato anche troppo, di non aver più bisogno d'altra scuola, e si crede in buona fede di saperla lunga? Press'a poco l'idiota fa a te quel senso che tu faresti ad una persona ammodo, se le dicessi di non aver bisogno di altra istruzione di Dottrina, chè già la sai bene. Per carità, guardiamoci da questo ridicolo, e pensiamo sempre che in questa scienza, come nelle altre tutte, il credersi qualche cosa è segno grande di massiccia ignoranza. Molte volte trovandoti in società avrai tu stessa verificato e constatato, che quello più trincia a destra ed a sinistra, che meno ne sa; mentre l'altro che tu vedi guardingo a pronunciare un suo giudizio, può darsi sia preso da taluno per ignorante; ma tu col tuo spirito osservatore capisci a perfezione che è molto profondo in materia, e ognuno se n'avvede quando, messo alle strette di dire la sua opinione, gli casca fuori quasi a sua insaputa e contro voglia tanto di scienza da insaccare colui che prima la faceva da talentone. Non mi dire adunque più che tu la sai tutta la Dottrina; confessa piuttosto che ti pesa lo studiarla! Io ti vorreimettere alla prova, per farti sentire che ben a ragione essa ti procurerà non solo utili cognizioni, ma vero diletto. Lo studio della Dottrina Cristiana è inanellato con tutti gli altri, in modo che chi è erudito in essa, non so come possa serbarsi ignorante nel resto. Quando tu senti spiegare, per esempio, le giornate della creazione, raro è che non senta parlare di cosmologia, della misura del tempo, della forza dei corpi. Nel sentirti spiegare le diverse interpretazioni date dai Santi Padri ai diversi passi scritturali, arricchisci la tua mente di una coltura molto vasta: mentre nell'ascoltare le prove del Cristianesimo dai una volata alla storia antica che lo ha prenunciato, ed alla storia del medio evo ed alla storia moderna che ha dapprima tentato di affogarlo nel sangue e poscia lo ha sempre perseguitato con ogni arte. In questa rivista tu vedi passare, insieme alla Dottrina, tutti gli uomini e tutti gl'imperi che l'hanno sostenuta o contrastata, e col solo ascoltare costantemente e attentamente la spiegazione di essa tu arricchisci la tua mente di vaste cognizioni e la rendi capace di un giudizio giusto ed imparziale. Se tu poi mi dicessi che assolutamente non puoi recarti alla chiesa per sentire il Catechismo, ti ripeterei quanto ti ho detto parlandoti della Messa quotidiana: se sarai tanto obbediente ed operosa da compiacere e da servire appuntino la tua buona mamma, o quegli altri superiori che ti reggono in vece sua, se hai avuto la sventura di perderla, o se hai quella di vivere lontana da lei, per fermo non ti sarà difficile ottenere questa concessione. Credi tu rari i casi che una buona figliuola riesca a forzare in certa guisa la madre o chi ne fa le veci, ad ascoltare con essa la predica e la Dottrina, ed avendo avuto volontà e forza di superare la ripugnanza e un senso (lasciamelo dire) di sciocca vergogna le prime volte, è poi riuscita a formarne una delle più care e delle più invariabili consuetudini per entrambe? Se tu poi avessi la sfortuna di trovarti in paese dove la Dottrina non si spiega, o si spiega soltanto ai fanciulli, o per circostanze insuperabili di famiglia non ti potessi recare alla chiesa ad udirla; dopo d'aver bene studiato ed approfondito il Catechismo diocesano, al quale vanno unite le benedizioni celesti e molte indulgenze, prenditi una buona Dottrina, come quella, per esempio, del milanese Raineri. Oh! vedrai a prima vista che ad ogni pagina, vorrei quasi dire ad ogni periodo, ci si trova qualche cosa che tu non sapevi, od a cui non avevi mai pensato. Il nostro Raineri non le ha stampate lui le sue Istruzioni catechistiche, le hanno stampate i suoi successori, che giustamente deploravano di abbandonare all'oblìo quelle istruzioni, le quali fatte dal pio sacerdote sul pergamo della nostra Cattedrale, trascinavano e miglioravano la folla colta che correva a sentirlo. Oh! sì, prenditi il Raineri; leggilo, studialo, meditalo, poi torna da capo, e te ne troverai contenta. Compatisci i poveretti i quali credono di saper tutto, e sanno nulla; ma tu dal canto tuo fa di non trascurare lo studio della Dottrina Cristiana, procura anzi d'invogliarne quante più persone puoi; allorchè ne avrai fatto la prova, troverai atto di vergognosa debolezza l'astenertene per paura di quello che ne dirà il mondo. Il mondo se sa che tu frequenti una scuola di letteratura, o di fisica, o di geografia, o non ti deride, o tu te ne ridi delle sue beffe; e sarà solo se frequenti la cattedra più difficile, importante e necessaria, che ti lasci prendere dalla paura? Forte delle tue convinzioni, procedi sicura nell'impreso cammino; arricchisci quanto più puoi la tua mente di cognizioni religiose, e ne avrai riscaldato il cuore di santi affetti per quel Gesù, il quale nella Dottrina che ti amministra come pane che mantiene e fortitica, ti assicura che per un giorno solo, anzi per un solo istante Egli sarà Dio giudice, ma che per tutta una eternità Egli, Dio rimuneratore, premierà la tua fede e le tue buone azioni con una felicità che non avrà mai fine, e che genio nè fantasia umana valgono ad immaginare. Animosa e costante segui fedelmente, coraggiosamente ed allegramente i miei consigli, i quali infine non sono altro se non i dettami della nostra santa religione, da Dio buono posti sulla mia bocca e nel mio e nel tuo cuore. Sì, seguili giocondamente, e nelle spinosità della vita avrai sempre un pensiero consolante, il quale addolcirà ogni tua pena, tergerà ogni tua lacrima. Quel pensiero ti dirà che ogni cosa passa, che l'anima nostra dura sola con Dio eternamente, con quel Dio che l'ha creata per farla per tutta l'eternità felice con sè in Paradiso.

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Però, credilo, figliuola mia, il mondo è pur abbastanza cattivo, e dirò meglio, insidioso per te: dopo d'averti festeggiata appena t'ha veduta in mezzo a lui, e d'aver lodato tutte le tue qualità, anche le meno lodevoli, cercherà di toglierti dal tuo cantuccio, di levarti la vernice di collegiale, di farti spigliata, di farti insomma tutt'un'altra da quella che sei, da quello che vuoi, e che devi essere. Poverina! tu fanciulla ancora inesperta, tal fiata ti vergognerai perfino della tua modestia e delle tue migliori qualità, e ti sforzerai di ostentare un brio, una galanteria di cui prima non conoscevi che il nome. Per pietà, amica carissima, per pietà, non fare questo passo falso, o se sventuratamente lo hai fatto, ritirati prontamente, se non vuoi legare il tuo cuore vergine e libero al primo anello di quella catena, che, sotto il nome bugiardo di emancipazione, non è altro invece se non schiavitù e schiavitù abbominevole. Ascoltami, o anima sorella, perchè creata dallo stesso Iddio Padre, dallo stesso Gesù redenta, dallo stesso Spirito Santo illuminata; ascoltami, o cara; io non ti parlo per piacerti, o per dilettarti, io ti parlo solo per farti del bene, per rendere tranquilla e buona la tua vita, la tua morte, la tua eternità, e, lascia che tel ripeta, anche perchè serena ti scorra l'esistenza, e inalterata sia la tua pace. Io, prima di scrivere queste pagine, ho piegato le ginocchia davanti all'Immacolata, le ho chiesto d'inspirarmi quello che debbo dire a te per toglierti ai travagli delle passioni, per ajutarti a combattere e vincere la guerra terribile che il mondo, il demonio e la carne ti faranno, e la Madonna mi ascolterà. Non credere, sai, a quei cotali che ti van ripetendo che i libri di pietà ti renderanno uggiosa, melanconica, egoista: Oh! non creder loro; essi o sono ingannati, o sono ingannatori. Gli è appunto per recare al tuo labbro quel sorriso che tanto ti stupisce sul labbro di quell'anima afflitta, travagliata, ch'io ti parlo come faccio, e cerco di riverberare, sulla tua mente e sul tuo cuore la luce soave e smagliante del Vangelo. Allorchè io mi sento l'animo oppresso, mi reco appiè dell'altare, poi, sai dove vado? vado a ritemprare l'animo mio a fianco di una vecchia inferma che, caduta da condizione civile in bassa fortuna, conserva tra gli stenti e gli acciacchi de' suoi ottantotto anni un'inalterabile serenità. Essa ha trovato il segreto di tutto sopportare non solo coraggiosamente, ma allegramente, e da lei emana come un effluvio di pace che non può a meno di comunicarsi a tutti quanti la circondano. Allorchè esco da quell'umile cameretta mi trovo assai rincorata, ma vergognosa però d'essere tanto da meno di colei che mi ha sovranamente edificata. Sì, credilo, te lo dico in nome di Dio; io desidero vivamente di farti lieta e contenta; e per far ciò debbo metterti sull'avviso, affinchè quel brutto mondo, dal quale sei circondata, non ti prenda di sorpresa, non ti allucini co' suoi falsi splendori e ti rapisca quella cara serenità che ora allieta il vergine tuo cuore. Anche la mia cara inferma è vergine ancora, e pura è stata tutta la sua lunga vita: basta solo vederla per leggerglielo in fronte, in quegli occhi limpidi, in tutta la sua persona. Tempera adesso, mia cara, la foga della tua gioja, e non abusare di quel tanto di libertà che il tuo ritorno alla casa ti ha accordato, per non dover poi pentirtene più tardi. No, no, non abbandonarti soverchiamente alla gioja, se vuoi stare sollevata anche nei giorni tristi, se vuoi tenere un po' d'equilibrio. Sta tanto bene l'uguaglianza di umore, di carattere, che per acquistarla o mantenerla non è soverchio, nè ti deve parer grave alcun sagrificio. Tante e tante sono le cose che vorrei dirti e che mi fanno ressa alla mente, che non so veramente per ora a quale appigliarmi. Temo tu mi sfugga, temo di pesarti troppo addosso, ed io vorrei che la parola mia ti suonasse cara come quella di tua madre, dolce come quella della più cara amica della tua infanzia. Ebbene, non voglio affollarti la testa con troppe considerazioni serie; mi basta per oggi ripeterti di stare in guardia con te stessa, cogli altri, con tutto e con tutti, se non vuoi essere presa incautamente a qualche laccio. Ogni giorno io tornerò probabilmente su questo soggetto, e tu mi ascolterai sempre, n'è vero? Oh! quanto desidero che tu sii felice! ma per essere felice bisogna essere buona, dolce, pia, caritatevole, tollerante, anzi più, indulgente; bisogna insomma che tu sii veramente virtuosa e santa. Io pregherò sempre con gran cuore il buon Dio di renderti tale, e forse in fondo in fondo ci ho anche un po' d'egoismo; mi lusingo che quando la mia parola ajutata, anzi inspirata da Dio stesso, avrà cooperato a renderti virtuosa, allora tu pure pregherai per me, affinchè io divenga un po' buona; e mi dimentichi una volta di me medesima, per non ricordarmi che degli altri.

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Per ciò non sarà mai abbastanza raccomandato che l'ordine domestico sia il più possibilmente perfetto, e che sia osservato puntualmente l'orario stabilito dei pasti, affinchè non nascano inquietudini per la mancanza di questo o di quell'oggetto, o pel ritardo o per l'anticipazione del desinare o della colazione. Non basta quindi che la donna ordini una volta per sempre quanto devesi fare; ma è necessario essa invigili sui servi, molti o pochi che essi sieno non importa; bisogna ch'essa sorvegli affinchè tutto sia fatto come conviensi e non in un modo qualunque, sibbene in modo soddisfacente. Essa deve personalmente occuparsi non solo della pulitezza della casa e della salubrità delle vivande in generale; ma non dico ogni dì, ma sempre quando il richiegga il caso, essa deve entrare in cucina, rovistare ogni armadio, ogni pentola, ogni nascondiglio per accertarsi che la nettezza e l'ordine si trovano dappertutto; nè tema venga compromessa la sua dignità od il suo grado nell' occuparsi di queste cose, poichè anzi l'occuparsene che essa fa la dice non solo esperta nelle domestiche faccende, ma che sa e può e deve reggere la famiglia sottoposta al suo governo. Se si dovesse misurare la dignità, e credere tanto più alto uno quanto più è disoccupato, si dovrebbe dire che le donne in Turchia hanno una dignità assai maggiore della nostra, poichè non sono reputate buone a nulla, su di esse non pesa responsabilità di sorta, e non hanno altro a fare che sorbire bevande spiritose o refrigeranti, fumare e starsene sdrajate su morbidi tappeti! Poverette! esse erano come noi create ad avere una famiglia, a reggerla, e l'uomo ha invertito la loro missione, le ha abbrutite! La donna che merita o vuol meritare questo nome, poichè donna vuol dire signora, derivando da domina che significa appunto regno e comando, deve avere sopra ogni altra cosa carissima la sua casa; e se per l'elevatezza dell'ingegno, o pel suo grado sociale, o per espresso o tacito voler di Dio essa è destinata ad occuparsi, e si occupa effettivamente in opere letterarie o scientifiche; io non esiterei ad emanare il mio verdetto di condanna se queste opere, benchè eccellenti in se stesse e dirette al bene della società, valessero a renderla dimentica od anche solo trascurata nel regime della sua casa. Io non pretendo nè voglio, e neppure amo che la donna sia unicamente intesa all'ordine ed al comando materiale della famiglia, e tanto meno che essa ne esageri i doveri, e diventi così il martello non solo della servitù, ma altresì del marito e dei figli, vedendo in tutti altrettanti congiurati a mandar in rovina ogni cosa, a buttar tutto sossopra. Da ciò nascerà, come naturale conseguenza, che se un servo od un figliuolo faccia alcun danno, sarà tentato a nasconderlo, quindi a fingere e più tardi perfino a mentire ed accusare e calunniare gli altri. Da ciò deriva poi che il marito ed i figli adulti, per non essere continuamente seccati, preferiscono starsene le lunghe ore nelle case altrui, nei ridotti, nei caffè, con quanta edificazione e con quanto vantaggio della società e di sè stessi, si puo ben immaginare. La donna, lo dico un'altra volta, deve saper occuparsi di tutto, vedere se le vivande sono sane e ben preparate, occuparsi del prezzo dei viveri, per regolare l'economia domestica in modo che non si spenda più di quanto è necessario per mantenere l'andamento richiesto dai mezzi pecuniarj, dalla condizione e dalle abitudini particolari. Permettimi, cara figliuola, ch'io ti noti qui, come tra parentesi, ch'io vorrei sempre che l'economia domestica fosse molto economica, e lontana ugualmente dallo spreco e dall'avarizia, poichè l'uno e l'altra sono da biasimarsi. Tranne in poche case straordinariamente ricche e signorili, nelle quali sarebbe vera avarizia limitare il consumo al bisognevole, io amerei che la padrona regolasse l'azienda in modo che non andasse nulla perduto. A me disgusta assaissimo quella ghiottoneria che fa meditare l'oggi quello che si potrà trovare il domani per solleticare l'appetito ed il gusto; ma vorrei che semplicemente si badasse a preparare cibi buoni se vuoi e sani, ma, lo ripeto, economici e piuttosto e preferibilmente comuni, perchè oltre all' essere più igienici e meno costosi, non impiccioliscono l'animo coll'occuparlo eccessivamente di quello che dovrà deporsi domani nel ventre. Davvero muovono a schifo taluni i quali meditano sul pranzo che dovranno preparare per il dì vegnente, collo stesso impegno e colla stessa gravità con cui un altro medita una verità di fede, od una scoperta diretta a salvare od illustrare la società. E qui torna in acconcio ripetere che ove la donna sappia saggiamente disporre i pasti, in guisa che ognuno ne sia contento, senza solleticarne eccessivamente il gusto (che per me reputo e classifico il senso meno nobile dell'uomo) verranno ovviati nel regno della donna e quindi nella società molti disordini, e la sobrietà non sarà ultima nè la minore virtù dei suoi sudditi. Per me la donna uomo non la voglio assolutamente; io voglio la donna donna, forte della sua debolezza, che non coi lunghi ragionamenti, ma coll'affetto e colle cure guadagna a sè il marito, i fratelli, i figliuoli; che tutti se li stringe attorno colla forza irresistibile con cui l'ago magnetico trae a sè i metalli, che non arringa, ma prega; che non comanda, ma impetra; che non impera, ma regna con un regno tutto di amore, di condiscendenza, di dolcezza!... Se la donna sarà chiamata ad essere Maestra, Direttrice, o comechessia educatrice, dovrà più che mai essere donna nel cuore, nelle abitudini, nelle opere sue; e se essa dovrà apprendere od insegnare arti o scienze, se vuol conservare il più bel suo distintivo, dopo quello ricevuto col nome di cristiana, dovrà aversi caro e prezioso ritirarsi se non ha altro, nella sua cameretta, occuparsi della sua biancheria, delle sue vesti, affine di concentrarsi in sè stessa e ricordarsi che essa è donna, che ha ricevuto da Dio il dono, il privilegio della direzione della famiglia, che un dì o l'altro vi può essere chiamata, e che essa deve coltivare in sè il prezioso germe ricevuto. Se tu fossi anche una scienziata od una scrittrice, pensa che mentre sei scienziata e scrittrice sei pure donna, e non puoi rinunciare a disimpegnarne le funzioni senza attirare sopra di te i gastighi di Dio. Ma no; io non ti voglio contristare con vane paure, mentre spero tu mi creda, tu mi ascolti, e ti persuada a voler aver soprammodo care le occupazioni domestiche, cominciando dalle più importanti fino alle più minute, per rispondere alla chiamata della Provvidenza. Se tu essendo alla direzione di una famiglia, vuoi occuparti in studj serj, e scrivere, o suonare, o dipingere, fa che la tua famiglia sia regolata in modo che tutto cammini senza intoppo, e ciò avverrà se tu da saggia amministratrice avrai occhio a tutto e sarai pronta al bisogno. Se saprai far parsimonia del tempo, e specialmente di quello che altre tue pari destinano alle lunghe acconciature, alle inutili conversazioni, ai passeggi ed ai divertimenti, ne avrai d'avanzo per occuparti in opere d'ingegno ed occuparti utilmente a soddisfazione del tuo cuore non solo, ma a bene della società. Figliuola carissima, non lo dimenticar mai: se hai ricevuto da Dio il difficile incarico di esporti comechessia al pubblico, tu non lo puoi disimpegnare che prendendone il tempo sulle occupazioni inutili o meno importanti; mai e poi mai su quelle che ti spettano per obbligo di natura, di famiglia o di religione. Quello studio o quel libro che ti costa un disordine o la poca cura della tua casa, quello studio e quel libro fuggili come un nemico.

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La benedizione dei genitori è sorgente di tutte le altre benedizioni, ed io tutte le invoco sul tuo capo; sul tuo capo che forte abbastanza per levarsi e seguire prontamente la voce del Signore, saprà altresì umiliarsi per ricevere i lumi di chi glieli comunica per parte di Dio. Riepilogando dirò, che tu sei obbligata sempre ad obbedire il padre e la madre tua; sempre quando il loro comando non sia in contraddizione colla giustizia, od in opposizione al voler del Signore, il quale è unico assoluto padrone delle sue creature non solo, ma delle vocazioni. Sempre tu adunque sei tenuta ad obbedire il padre e la madre tua, e ricordati che sei dispensata, anzi obbligata a non obbedirli, quando per obbedire ad essi tu debba disobbedire a Dio; orbene questa non è nè può essere se non un'eccezione, e questo non te lo dimenticar mai. Se anche tu sarai forzata a trovarti in un'eccezione, quando ti mostrerai e sarai veramente soggetta, devota, affettuosa coi tuoi genitori in tutto quanto è giusto, potrai e saprai dir loro umilmente ma francamente: Dio mi é padre prima di voi, io debbo obbedire Lui solo, e quantunque ti possano essere riserbate delle lotte, e delle lotte acerbe, il tuo cuore, benchè addolorato, conserverà una calma inalterabile, e, non tarderà molto, l'iride della pace ritornerà sull'orizzonte della tua esistenza; cesseranno gli odj, si riuniranno i cuori, poichè Iddio non rifiuta mai la sua benedizione ad un'opera stata iniziata, coltivata o posta a termine sotto i suoi auspicj. Quanto a te, io come amica tenerissima ti amo, e ti desidero che tutta scorra serena la tua esistenza, che mai tu sii forzata a dire ai tuoi genitori: questi sono i confini dell' obbedienza che vi debbo. Oh! risparmiate, buon Dio, alle care giovinette che leggono questo libro un tale strazio, una simile pena; Voi suggerite alla mente, al cuore dei loro genitori quello che a loro si addice, affinchè invece di contrariarne la vocazione, la secondino, l'appaghino, e genitori e figliuole si meritino un giorno di sedere con Voi in Paradiso, dove non più lotte nè dolori, non più responsabilità nè restrizioni, ma gioja, pura, ardente, eterna, sarà il pascolo di quell'anime beate. Padre nostro che siete ne' cieli, sia santificato il nome vostro, sia fatta la vostra volontà come in cielo così in terra! 23

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È vero che vi hanno alcuni padroni i quali pattuiscono tanto di salario, tanto di pane, tanto di minestra, e le persone di servizio accettando, acquistano un certo obbligo di sottostare ai patti stabiliti; ma poi all'atto pratico un po' per ignoranza, un po' per comodo, e più ancora per l'opportunità che presta l'occasione, si fanno una certa coscienza loro particolare, e si persuadono che alla fine hanno diritto di mangiare abbastanza, e si appropriano il pane che non è a loro destinato. Da qui nascono sospetti, discolpe bugiarde, malintelligenze, malumori, discordie, mormorazioni, e tutta quella congenie di disturbi e di guai che tuttodì si lamentano, e che hanno ragione di essere intitolati piaghe sociali: da parte nostra adoperiamoci perchè queste piaghe non incancheriscano. Tu, giovinetta, usa a modi amorevoli e gentili con tutti, superiori ed uguali, non troverai fatica ad averli anche cogl'inferiori; e certo, se non ti lascerai smuovere da questa saggia consuetudine, ne saranno giovati i tuoi interessi, ne sarà confortata la tua vita, ed esaltato il tuo credito ed il tuo nome. Havvi un proverbio molto volgare, e se vuoi, anche un pochino triviale, ma saggio e giusto, il quale dice: la troppa confidenza fa perdere la riverenza, quindi neppure col delicato e generoso pensiero di far dimenticare la bassezza della loro origine, tu devi permettere a' tuoi domestici di trattarti come uguale: no, no, tu devi avere il vantaggio di far loro sentire la benevola tua protezione, la tua indulgenza, e questo nol potrai fare se con essi ti comporti come fai coi fratelli e colle sorelle. Procura di prevedere i loro bisogni, ed ascolta con pazienza e carità le loro ragioni; ascolta anche il racconto dei loro guai e delle loro miserie, poichè essi hanno un cuore come il nostro, ed hanno come noi il bisogno di taluno col quale sfogarne la piena, l'amarezza, od il gaudio. So bene, talora ti sopravverrà la noja, poichè le persone idiote e di bassa condizione sono rozze di sovente; non sanno spiegarsi, e perfino talvolta hanno un modo di sentire così strano, che solo la carità cristiana li può non solo compatire, ma sopportare allegramente e consolarli. Ma tu, tu hai l'obbligo di prestare benigno il tuo orecchio, di porgere il tuo consiglio, di diradare quell'ignoranza, di trasformare, di dirozzare quell'anima che forse ha un fondo generoso e capace di buone e di nobili azioni, ed aspetta dalla tua parola la scintilla per riscuotersi, per operare bene. Se tal fiata il comando tuo è difficile, e richiede sacrificio in chi lo deve eseguire, tu correggine e scemane l'asprezza colla tua bontà, con un amabile sorriso; quando ti viene prestato quanto hai chiesto, ricordati di ringraziare se non colla parola almeno collo sguardo, con un atto di sincera soddisfazione. La tua domestica oltre ad un corpo, ha un'anima, la quale richiede il suo compenso; ora questo compenso le è riservato nella dimostrazione del tuo gradimento, ed essa vi ha diritto. E nonmerita l'operajo la sua mercede? E se la merita il corpo, non la merita altresì l'anima? Non permettere mai ti si risponda con mal garbo, o ti si manchi comecchessia di rispetto, e tanto meno tollera la menzogna, la finzione e l'adulazione nelle persone a te soggette: per fortuna tocca alla tua mamma ammonirle o licenziarle, ed essa quando le vede incorreggibili nelle cose essenziali, dopo d'aver adoperato tutte le industrie per ridurle e migliorarle, le rimanderà. Ma se toccasse a te io ti direi, ti ripeterei cento e mille volte: pretendi l'onestà, la buona condotta, il rispetto e la verità; quanto al resto transigi, sii indulgente, perchè al mondo non vi ha alcuno perfetto, nè tu puoi pretendere la perfezione in alcuno. Guardati bene dal confidare alle persone di servizio il giudizio che tu porti sui tuoi genitori o sui tuoi di casa, e tanto meno rivelane i difetti, poichè questa anzichè confidenza sarebbe indiscrezione, sarebbe mormorazione, sarebbe azione proprio sconveniente. Se i nostri hanno dei difetti, e ne avranno senz'altro, nostro ufficio e nostro debito è di nasconderli, di scemarne la gravezza, e sarebbe una vera profanazione se noi stessi li esponessimo al pubblico. Se io o taluno dei miei ha una piaga o una deformità, andrò io a mostrarla altrui? Chi ha una piaga la tiene coperta, e medica e copre non solo la sua, ma altresì quella delle persone che ama. Io credo che potrei scrivere un volume senza ripetermi, parlandoti del contegno da tenersi coi famigliari; ma oltre che ciò non è conforme nè alla mia intenzione, nè all' indole del libro, credo possano bastare, al tuo indirizzo, alcune poche massime, colle quali quasi riepilogo, o sunto di quanto ti ho detto o potrei dirti, non esito di chiudere questo paragrafo che tu avrai cura di rileggere tratto tratto, allorchè un moto d'alterezza tenterà di renderti aspra con quella classe laboriosa e travagliata che si chiama gente di servizio. Carità, carità, carità; amore, amore, amore! era la cara parola dell'Apostolo vergine che ebbe la fortuna di posare il capo sul cuore del Salvatore. Qui è rinchiusa tutta una legge, tutto un comando di umanità, di civiltà; qui è rinchiuso tutto quanto ho detto e potrei dirti in proposito. Ama e fa quello che vuoi, dice sant'Agostino. Sì, ama quelle persone, pensa che un dì puoi diventare com'esse, e con questo pensiero scolpito nella tua mente non pretenderai soverchiamente; il tuo comando sonerà dolce, e non sarai tarda od avara al compenso della mano e del cuore. Ama, e sarai amata, rispettata, ubbidita. Ama, e chi ti serve, non ti servirà solo per dovere, ma più assai per amore, ed allorchè o per malattia, o per qualche altra combinazione ti occorrerà di dover in tutto dipendere da esse, troverai un'annegazione, un interessamento che ti farà sentire come sovente sotto la veste grossolana, meglio che sotto la seta ed il velluto, batte un cuore nobile e generoso. Ama, e ti guarderai dal negare la virtù perchè ti si presenta sotto forma ignobile od abbietta; ama e penserai che in Paradiso non havvi distinzione di persone; che lassù domestici e padroni, dotti ed idioti saranno insieme confusi, e che anzi Iddio ha mostrato una certa predilezione pei poveretti, nascendo povero egli pure, e vivendo costantemente povero nei giorni della sua mortale carriera. Se i tuoi domestici ammalano, tu sii pronta a prestare loro le tue amorevoli cure; se vecchi od impotenti, confortali coll'amor tuo e col tuo soccorso, e pensa che il danaro solo non basta a compensarli dei lunghi sacrificj fatti per te e per i tuoi, e della vita spesa in tuo ed in loro servigio. I sacrificj sono fatti alcune volte dal corpo, ma sempre e poi sempre partono dal cuore; non ponno quindi essere compensati se non col cuore. Amore, amore, amore! Quando la tua preghiera s'innalza fervida alla sorgente d'ogni bene, non ti scordare di coloro che impiegando la loro vita a rendere comoda la tua, hanno diritto di essere da te riguardati non come servi, ma come tuoi famigliari.

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Tuttavia se mi è caro intrattenermi teco, ed a te non è grave porgermi benigno ascolto, io ti dirò e ti ripeterò quello che cento volte ti sarà stato ripetuto, ma che non mai sarà abbastanza radicato nell'animo tuo. Il Signore non esige nè da te, nè da me il freddo adempimento di certe formole, di certe preghiere; ma vuole, esige, gradisce la nostra volontà retta ed intera; vuole che noi confessiamo al suo Ministro tutti i nostri peccati con sincerità e con confidenza, tutti i peccati mortali senza tacerne pur uno sotto verun pretesto; vuole che ci pentiamo di vero cuore, e gli promettiamo con fermo proposito di mantenere le nostre promesse. Altrettanto si dica della Santa Comunione alla quale, come alla Confessione, ci dobbiamo preparare la sera innanzi, se non altro con uno slancio, con un pensiero, con un affetto. Alla sacra mensa rechiamo un cuore volonteroso di ricevere il Sacramentato nostro Gesù, di avvicinarci al suo Sacratissimo Cuore, di onorarlo; e pur sentendo la nostra indegnità, preghiamolo d'entrare dentro di noi per mondarci, salvarci, santificarci. Un buon libro ci sarà d'ajuto ai Sacramenti come alla meditazione ed alla Messa; ma allorchè il libro avrà eccitato in noi gli affetti, chiudiamolo senza esitanza; egli ha già fatto l'ufficio suo, il Signore farà direttamente il resto. Allorchè la mente si distrae ed i sentimenti si smorzano, il libro sacro è destinato a raccogliere l'una e riaccendere gli altri; ma non mai il libro deve vincolare gli slanci e gli affetti nostri, i quali devono e vogliono presentare a Dio le necessità nostre e dei nostri prossimi, i nostri ringraziamenti, le nostre aspirazioni più sante!... A chi vedendoti frequente alla chiesa, ai Sacramenti, ti biasima, deride o compatisce, tu rispondi coll'arme potentissima del cristiano, la preghiera; questa è l'unica vendetta che Iddio permette, ama, comanda; questa è l'unica vendetta che ti è permessa, anzi comandata. Oh! sì, preghiamo assieme pei poveretti che non hanno gustato mai le gioje celesti che partono dal Tabernacolo, e supplichiamo il Sacramentato nostro Gesù di farne loro sentire le ineffabili dolcezze. Gesù Sacramentato, investiteli del vostro amore! 30

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Se tu saprai cavar profitto dello spirito che il Signore ti ha donato, ne avrai sempre abbastanza per piegare il discorso dalle schiocche mode ai costumi ed alle usanze dei diversi popoli; dai difetti altrui, ai meriti che sono da essi adombrati o velati; dall'incostanza o durezza della stagione alla compassione che ti fanno i poveri sprovvisti di tutto, ed alla necessità di porger loro ajuto e soccorso colla mano e col cuore. Se tu farai in questo modo, benchè abbigliata un grado meno delle altre, benchè acconciata senza civetteria, benchè timida e forse pure di minor spirito e coltura delle tue compagne, ne diventerai non l'idolo (ciò è illusorio) ma il modello e l'anima; e su te ridonderà gran parte del bene che sarà fatto dietro il tuo esempio, e largo premio n'avrai dal Signore. Nelle adunanze sono compresi i balli, i teatri, i pranzi, le comparse, e se il Signore m'inspirerà quello che sarà pel tuo bene, ti dirò qualche cosa partitamente anche su di essi. Ma, tel ripeto, nè mi stancherò dal ripetertelo; se ti è dato vivere modestamente e lontana da questi ritrovi, oh! fuggili senza indugio, e senza dolore, nè ti lasciar tentare mai da un desiderio insano, da un insano timore, poichè la quiete di una vita intima non turbata da rumori profani, siine certa, procura gioje incomparabilmente maggiori a quei piaceri convulsi, febbrili, che ti potrebbero venire dalle riunioni mondane, dove il pudore, la carità, e sovrattutto l'umiltà, sono esposti ai maggiori pericoli. Se a te è lasciata la scelta fra i due sentieri, quello della casa e quello della società, non ti appigliare a questo ma a quello, te lo ripeto, te lo ripeterò senza posa; non già coll'intendimento di rendere monotona o grave la tua esistenza, ma per rendere il suo corso limpido, dolce e specchiato come l'onda del ruscello che, scesa da eccelsa montagna, scorre gorgogliando placidamente, e lambendo i fiori che costeggiano la riva verdeggiante, fino al flume, per gettarsi con esso nel mare, senza aver punto toccato la città: nella città avrebbe potuto conservare la sua purezza e la sua pace? Questo o quello, tu mi domandi di nuovo? Ama la ritiratezza, la casa; come il ruscello guardati dal mescolare le tue acque con quelle degl'immondi pantani, affinchè dopo un viaggio che ti auguro lunghissimo, tu le possa confondere con quelle del fiume reale, per gettarsi con esse nel mare... La morte sarà per te in allora una rapida e fortunata corrente che ti unirà alla sorgente d'ogni bene; sì, ti unirà a Dio, poichè per una lunga e faticosa carriera l'onda del tuo ruscello avrà saputo serbarsi incontaminata, pura, e sulle sue sponde non avrà fiorito il vizio, ma l'amor santo di Dio e del prossimo suo. Ama la ritiratezza, la casa, la preghiera, e ti sarà facile e spontanea la virtù, anche a costo dei più lunghi e penosi sacrificj.

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Il cinismo è press'a poco la stessa cosa dell'egoismo di cui abbiamo già parlato abbastanza; tuttavia è necessario avvertire anche in questo proposito la somma sua sconvenienza e l'orrore in cui lo devi avere. Se la mamma, poniamo, ti corregge o ti sgrida, e tu fai le le viste di neppure addartene, e un momento dopo ridi o canti come se nulla fosse avvenuto, la tua sarebbe una mancanza grave, imperdonabile, ed io in te non la voglio nè la posso supporre un solo istante, chè ti farei troppo torto e recherei a me stessa troppo dispiacere. La collera è detta molto giustamente rabbia, a dinotar ch'essa rende l'uomo simile al bruto, e neppure al bruto nel suo stato normale, ma al bruto posseduto dalla più terribile di tutte le malattie; da quella malattia che lo rende dannoso a sè non solo, ma altresì a tutti gli altri cui tocca col dente avvelenato, fosse pure il padrone amatissimo, pel quale in altre occasioni ha dimenticato sè stesso ed i proprj bisogni. Oh! la collera è ben la brutta cosa; sorella dell'ira mi pare anche più duratura di lei, ed una volta che ha preso terreno nel nostro cuore, ci riesce assai difficile estirparnela. Essa rinchiude alcunchè di animalesco, rendendoci schiavi dell'imperio delle passioni, ed ho sempre inteso dire che se davanti agli occhi di un collerico si ponesse uno specchio, sarebbe una medicina infallibile, ponendogli sott'occhio la deformità corporale, la quale riflette la deformità morale di lui allorchè è trasportato da quell'insana passione. Ma tu ami troppo i tuoi superiori, gli stimi abbastanza, e rispetti tanto te pure, perchè segnata dal nobile carattere di cristiana, da non avvilirti così, e ne sono certa, appena senti dentro di te un movimento d'ira o anche solo d'impazienza, lo freni, lo tieni soggetto allo spirito, e t'apri in tal modo larga la via alla più completa vittoria. Per un momento ti saliranno le fiamme al viso, il tuo occhio parrà oscurarsi un istante;... ma ben presto tornerà a quello il natural colorito ed a questo il suo naturale splendore, se, soggiogato l'impeto della passione, ti farai forte sopra te stessa e ti procurerai la soddisfazione di trionfare sopra di quella. L'abitudine di questo freno ti renderà più facile o meno difficile il trionfo sul grande nemico che è la tua prava volontà: ma non t'illudere, quello sforzo ti costerà sempre sempre, e sarà quindi continuamente meritorio fino all'ultimo tuo respiro. Quel famoso atleta del quarto secolo che era S. Girolamo, dopo di aver trascinato una lunga, penosa e laboriosissima vita nelle solitudini di Palestina, di essersi continuamente mortificato fino agli ultimi giorni della sua mortale carriera che oltrepassò ventun lustri, sentendosi turbare il cuore da un movimento impetuoso, gettavasi tratto tratto boccone sul nudo terreno piangendo ed esclamando: Perdonatemi, o Signore, perchè son Dalmata, quasi a dinotare non aver egli potuto frenare sè stesso non per mala sua volontà, ma piuttosto per la sua natura ardente. Anche noi prostriamoci ai piedi del nostro divin Salvatore allorchè le nostre potenze tentano di soggiogarci, e Lui che ci è amico, fratello, sposo, accetterà benigno i nostri sforzi e ce li attribuirà a merito benchè in noi doverosi ed obbligatorj. Un'altra cosa io pavento in te, e gli è che tu voglia rispondere alle correzioni che ti vengono fatte, approfittando o piuttosto abusando della somma bontà ed amorevolezza dei tuoi genitori, per mancar loro di rispetto. Calza qui a pennello l'interrogazione fatta dal nostro divin Maestro: E volete voi essere cattivi perchè io sono buono? Certamente, e perchè i tuoi genitori non ti tengono a distanza, in soggezione (come si usava nei secoli passati e fino al principio di questo); perchè non esigono che tu tremi alla loro presenza senz'ardire di levare lo sguardo impaurito fino ad essi, perchè ti aprono amichevolmente le braccia, ti stringono al seno, e ti dimostrano l'amor tenerissimo che ti portano, ti farai tu lecito addolorarli colla tua insubordinazione, colle tue indecorose risposte alle loro correzioni? Povera me! forse quest'oggi io sono o per lo meno ti sembro acre, mia cara, perchè tocco con qualche gravità e durezza argomenti delicati che tuttodì ci cápitano alle mani, ma che a te sono stranieri; ma credi, io indago nel mio cuore e non vi trovo alcuna acerbezza, ma il solo vivissimo desiderio di vedere libero il tuo da ogni benchè minima macchia. Quanto più ci è caro e prezioso un oggetto od un individuo, tanto più vogliamo vederlo scevro e purgato d'ogni benchè minima sozzura; e qual cosa è più preziosa e cara del cuore di una giovinetta sulla quale riposano le speranze della famiglia, della società, della patria, e più specialmente quelle di Dio e della cattolica Chiesa? No, per pietà, non voler mai essere l'ultima a parlare anche allorquando ti pare di aver ragione, poichè non è l'ultima parola detta con orgoglio e vivacità quella che pone in evidenza il torto altrui e la ragione tua; e, lo fosse pure, non ti è permesso riuscire al tuo scopo con simile mezzo, indegno d'un cristiano, e più che mai indegno d'una fanciulla che vuole, deve, e può essere un angelo. Da un predicatore ho sentito dire più volte a questo proposito, che bisogna usare con noi medesime come col caffè in bevanda. Se lo servi al bollore, non ne avrei che una fastidiosa poltiglia; converrà quindi lasciarlo raffreddare alquanto, lasciarlo posare, aiutarlo anzi con un cucchiajo d'acqua fredda, a deporre prontamente il fondo; riversandolo poi ne avrai una bibita limpida, gustosa e confortante. Tal è delle parole che tentano rigurgitare dalle nostre labbra in un momento di fuoco; esse non fanno che compromettere la questione; se noi le lasciamo deporre, se noi attendiamo a parlare dopo tornata la calma all'anima nostra, la verità come olio salirà facilmente a galla, e ci sarà, se la meritiamo, resa giustizia. Se qualche volta il Signore permette tu venga accusata ingiustamente, tolleralo in pace, in ammenda di quell'altre volte in cui non saranno conosciute o rimarcate le tue mancanze; se l'offrirai al Signore, la tua pena ti sarà mutata in dolcezza. La tua discretezza nell'accogliere le riprensioni ti circonderà d'affetto e di simpatia, attutirà l'acutezza di quelle, e renderà più delicata e riguardosa la parola di chi vuol correggerti. Te l'ho già detto e qui tel ripeto: allorchè sei in colpa non voler mentire per iscusarti, poichè la menzogna è l'arme dei vili. Confessa apertamente la tua sbadataggine o il tuo fallo, chiedine umilmente perdono a Dio non solo, ma altresì ai tuoi superiori, ed essi verranno disarmati dalla tua sincerità, dalla tua dolcezza; e a te resterà la coscienza tranquilla di non aver lasciato cadere sugli altri una colpa tua, di aver saputo soggiogare le tue passioni, il tuo amor proprio, e di aver una buona volta ceduto la vittoria all'umiltà.

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Che se ci fosse taluno abbastanza ardito da crederti persona dappoco, perchè dichiaratamente credente e perfettamente cattolica, gli potrai rispondere che non t'incresce essere tenuta persona dappoco nella schiera che dal grande Aquinate, a Dante e Manzoni, ha portato alto la stessa bandiera, la quale forma il loro non meno che il tuo vanto. Ma lo so: pur troppo, se ci è facile sopportare e vincere la guerra fatta alla nostra pusillanimità dalle persone che non ci riguardano se non da lontano e colle quali ci troviamo di rado, ci è poi difficilissimo vincere l'altra fattaci dalle persone colle quali viviamo in continuo contatto; ma ciò non toglie che le suaccennate ragioni valgano tanto per le une quanto per le altre. In questo caso sarai però obbligata a raddoppiare i tuoi sforzi, e più forte ti stringe l'obbligo di presentarti a Dio riparatrice dei torti altrui, anche allo scopo di non cadere tu pure ignominiosamente a rinnegarlo, od a servirlo meno fedelmente per rispetto umano. Poi devi cercare ogni occasione per vincerti; e benchè non ti corra grave obbligo di dichiarare apertamente la tua fede se non nelle cose e nelle circostanze di qualche gravità, perderai molto non solo di merito davanti a Dio ma di forza in te stessa, se non sei e non ti mostri sempre coraggiosa nelle piccole come nelle grandi occasioni. Ed infatti se ti vergogni di farti vedere a leggere un libro di pietà, a frequentare i Sacramenti, le prediche, la chiesa, l'orazione; che caparra ti rimane di saper poi dichiarare apertamente la tua fede, quando la vedrai vilipesa o posta in dubbio ed in canzone? No: tu sai che ogni giorno devi piegare le tue ginocchia davanti a Dio per implorare la sua protezione sulla tua giornata dapprima, poi sulla tua notte; dunque, piegale senza rossore anche se havvi alcuno nella tua camera che ne faccia le beffe. Quella persona deve vergognarsi di dileggiare la tua buona azione, non tu di farla. Se un'amica, o più propriamente si dovrebbe dire una nemica, ti deride o ti guarda con compassione perchè ti accosti spesso al tribunale di penitenza e ricevi con frequenza il Pane dei forti, o per qualunque altra tua pratica di pietà dalla più piccola alla più grande; continua coraggiosamente il tuo cammino, ed invece di lasciarti pervertire cerca di convertire l'amica, colla quale sarai sempre buona, amabile e condiscendente come Dio vuole in tutte le cose che non riguardano il divino servizio. Ringraziamo Iddio che ci ha fatte nascere nella sua Chiesa, che ci ha alimentate coi Santi Sacramenti, che ci nutrisce ogni giorno colla sua parola e colle sante sue ispirazioni, e deh! non sia mai che diventiamo ree d'ingratitudine e di apostasia col vergognarci dei doni suoi. Noi siamo deboli, anzi io sono più debole di te; ma facciamoci coraggio, attacchiamoci al pegno di nostra salute, alla Croce, ed ivi troveremo la forza di superare la guerra mossaci dagli altri e quella che ci viene da noi medesime. Ma se ci poniamo appiè della croce, a chi ci troviamo vicini? Alla Vergine addolorata che, nascosta quando il suo Gesù veniva recato in trionfo a Gerusalemme, si presenta coraggiosa a Lui dappresso quando è vilipeso, bestemmiato e crocifisso. Ci troviamo vicini al caro Apostolo vergine che ha posato il capo sul cuore del Salvatore, e alla gran peccatrice la quale sola ha sentito quella grande parola:Va; ti sono rimessi molti peccati, perchè molto hai amato. O buon Gesù, deh! non permettete mai che dopo di aver parlato con tanta convinzione e con tanto cuore, contro il vile rispetto umano, abbia poi io stessa a rendermene rea; questa sarebbe troppo tremenda pena, e Voi, amante e redentore dell'anima mia, me ne libererete mai sempre. Cara Madre Maria, S. Giovanni, S. Maria Maddalena, Santi tutti del cielo, Angelo mio Custode, liberatemi, per pietà, da sì grave delitto!

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Galateo della borghesia

201397
Emilia Nevers 2 occorrenze
  • 1883
  • Torino
  • presso l'Ufficio del Giornale delle donne
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L'altra invece, non abbastanza donna, sdegna l'ago; lascia che la mamma fatichi e cucisca e stiri da sè, restando immersa nei libri, e seppur le si fa osservare che nelle nostre umili dimore i tordi non piovon arrostiti in bocca, e se si vuol che si occupi della casa, si stringe nelle spalle o se la cava dicendo che non prenderà marito, che non vuol diventar schiava, ed altri discorsi di questo genere: quella ragazza confonde l'ingegno colla stravaganza: pretende di distinguersi in tutto; rifugge dal passeggiare, dal ballare, dal vestirsi con buon gusto. A diciotto anni vuol ragionare e non vivere... Ed intanto i poveri genitori non hanno nè aiuto, nè conforto. Si è riso moltissimo delle signorine romantiche del 20 o giù di lì, nudrite di latte, frutta e poesia; delle figurette da strenna con la vita da ape, il bocchino stretto, i capelli pioventi sulle spalle in lunghi riccioli, il cuore caldo di entusiasmi pegli eroi di Walter Scott o di Dumas, ed assorte nella ricerca dell'ideale (un giovane pallido, tisico, povero, senza nome... oh! specialmente senza nome!). Eppure in quelle ragazze derise c'era - sotto la posa - molto vero sentimento. Nelle bambole, nelle emancipate d'oggi che cosa c'è? Egoismo e capriccio. E con tutte le loro pretese non sono persone per bene. Il giovinotto ideale è sottomesso ai genitori, buono per le sorelle e pei bimbi, garbato verso i visitatori. Non fa l'orso. Sia che incontri un'amica delle ragazze, un visino fresco come rosa, od un'amica della nonna, una vecchierella tutta grinze, saluta con cortesia. Accompagna la mamma; fa, a volte, le sue commissioni; aiuta i piccini nel còmpito, studia senza farsi pregare. Il giovinotto ideale continua - sebbene quasi uomo - ad esser docile ed amoroso coi suoi. È ordinato, tranquillo, ilare - non.... Ma ciò che non fa lo vedremo nel giovane, come è realmente. È cosa singolare che il progresso abbia prodotto un tal ribasso di galanteria, e sarebbe bello lo studiarne le cagioni. Comunque sia, le donne, che nel rozzo medio-evo eran quasi adorate, che vedevano i cavalieri erranti affrontare ogni pericolo, ed i baroni arrischiar la morte nei tornei per un loro sorriso - le donne che nel secolo scorso erano fatte segno del rispetto il più assoluto da parte dei marchesi incipriati e portate alle stelle dai poeti - come la Beatrice del Dante, la Laura del Petrarca, la divina Emilia del Voltaire, la marchesa d'Houdetot, le donne cui non si parlava che col cappello in mano e velando di perifrasi la semplicità delle parole - ora, confessiamolo, sono trattate con gran disinvoltura dai signori uomini ed in casa e fuori. Liberarsi da ogni soggezione, mancar ad ogni riguardo, sembra privilegio maschile. Perfino la mamma ammette che l'uomo non abbia obbligo d'esser garbato, e quando fa la rassegna dei cassetti del signorino, dove i mozziconi di sigaro alloggiano coi guanti bianchi, i canocchiali con gli stivaloni ed i compassi coi solini, mormora rassegnata: già, gli uomini son tutti così! lo ripete quando il signorino mette i piedi sulle seggiole, non si alza per dar posto alle sorelle, non raccoglie da terra il libro od il lavoro della mamma, bestemmia contro la servitù, fuma in salotto, scappa come il diavolo dall'acqua santa se capita qualche amica di casa un po' matura; gli uomini son tutti così. Tutti così? E perchè? Ed è veramente necessario? Capisco che un po' di astrazione può esser legittimata col pretesto degli studi o degli affari, ma non vedo per quale ragione, negli uomini, il disordine diventi un diritto; non vedo perchè debbano potersi esimere dall'ordine, che è risparmio di tempo, di denaro e dalla creanza, che è il modo di farsi voler bene e di provare la propria superiorità di educazione, e forse di cuore. L'ordine diventa abitudine se s'impara da bimbi, e nessuno mi vorrà negare che sia giovevolissimo. Smarrir il proprio fazzoletto, collocar regolarmente il bastone in luogo dove non si può ritrovarlo, lasciar l'ombrello al caffè, son cose da nulla: ma non è aggradevole lasciarvi il portafogli, è spiacevole senz'altro perder delle carte di importanza, e spesso poi riesce pericoloso il seminar di qua e di là la propria corrispondenza. Considerando inoltre che il tempo è denaro, quanto non si spreca coll'eterno smarrire e cercare?.... Ma, diranno i signori uomini, perciò appunto sono create le donne; a loro tocca di cercar la nostra roba, di mettercela sotto mano... Benone: e queste donne ve le conducete dietro all'Università, in viaggio, allo studio? No, eh? Ed allora come farete? Sarete saccheggiati, o sciuperete in poco tempo tutta la vostra roba. Le cose materiali hanno poi un nesso con le morali, in guisa che l'uomo il quale del disordine si crea una seconda natura, difficilmente eviterà la confusione anche nelle idee, nelle abitudini, e diventerà astratto e sregolato a segno da rendersi importuno oltre ogni dire in casa e fuori. È nota a tutti la storia di quel tale che, respinto da un banchiere, cui lo si proponeva per impiegato, veniva dal medesimo richiamato in gran premura mentre attraversava il cortile. - Signore, vi accetto, diceva il banchiere al giovane trasecolato. E sapete perchè? perchè v'ho veduto a raccattare uno spillo. Ciò m'ha rivelato che avete ordine ed accuratezza, le due prime qualità del negoziante. E quel giovine, da impiegato, diventava socio e genero del principale, e, come lui, milionario. Non pretendo certo che tutti i giovani facciano concorrenza ai cenciaiuoli, ma mantengo che anche negli uomini l'ordine e la nitidezza sono due doti preziose. Così lo sgarbo per sistema è cosa bruttissima - il rifiutarsi ad accompagnar le sorelle, il motteggiarle quando sono un pochino eleganti, il derider con scetticismo precoce i modesti divertimenti di famiglia, l'introdurre soggetti disdicevoli, e davanti alle ragazzine di dodici o di quattordici anni, nominar signore di dubbia fama, raccontar aneddoti poco edificanti, son tutte cose contrarie a quel galateo di affezione, di scambievoli riguardi che crea la dolcezza dei rapporti intimi. Il bimbo ideale non ha che un'occupazione: giuocare; un dovere: obbedire. Ma veramente il suo galateo riguarda affatto la mamma, dal primo giorno al quinto o sesto anno della sua vita. Il galateo del lattante ideale è semplice. Dev'esser sempre pulito, sempre in belle vesticciuole o cuscini bianchi, con una cuffietta,oppure con la testolina nuda ben spazzolata (nessuno più crede che quella crosta che la polvere forma sul cranio sia igienica). Possibilmente lo si tenga in una stanza un po' appartata ed i pannolini non sieno mai semplicemente messi ad asciugare, ma sempre risciacquati, al quale scopo convien buttarli man mano in un gran bacile pieno d'acqua. Però, se si preferisce o se si deve tenere il piccino allato, lo si tenga in una culletta e si ripongano in un canestrino i suoi pannolini e le sue fascie, evitando di disseminarli per la stanza, il che sarebbe brutto ed incomodo perchè diffonderebbe dappertutto odor di latte o... d'altro. Al lattante non si dia in mano qualunque cosa pur di tenerlo tranquillo, perchè il continuo picchiare gli nuoce e certi oggetti ponno tornargli pericolosi. Il meglio è una radice d'ireos attaccata ad apposita catenella. Sopratutto si eviti di poggiar il bimbo qua e là sui canapè, sulle seggiole, il che lo mette a rischio di esser schiacciato da qualche visitatore miope, o dimenticato. So di una signora astrattissima, la quale un giorno, nel rigovernar delle biancherie, poggiò il suo lattante sopra una delle tavole dell'armadio; poi riposto il bucato, chiuse, se ne andò... Per poco il piccino rimaneva asfissiato. La signora o la bambiania tengano un lenzuolino di gomma da porre sulla cuna od in terra nel luogo dove poggiano la creaturina quando è più grandicella - abbiano pure sempre un gran grembiale di gomma. Appena è possibile, insegnino al piccino gli elementi del galateo - lo abituino a salutare, a rispettar la gente e la roba. Non ridano se volta le spalle ai visitatori, se ad un bacio risponde con un buffetto, o dice graziosamente all'uno: sei vecchio, all'altro: sei brutto... Quelle cose che fatte da bimbi di due anni paiono tratti di spirito, da quelli di quattro tornano già uggiose e da quelli di sei, sembrano bell'e buone scortesie. È smania generale ora metter i bimbi a tavola a sei mesi e per prevenire certi... inconvenienti, collocarli in apposita seggiola, per cui, sul più bello, c'è un gran tramestio, la seggiola vien aperta per di dietro, l'oggetto... che offende, vien tolto con maggior danno che se rimanesse dov'è, e seppur babbo e mamma non respirano che essenza di rose, spesso e fratelli e nonni e zii... hanno il naso più perspicace. Preferisco l'uso inglese che vuol che il bimbo mangi più spesso degli adulti, faccia pasti più brevi ad ore più adatte, e ritengo che il metterlo a tavola troppo presto renda piuttosto più difficile che più agevole il dargli delle buone abitudini. Comincia a mangiare con le mani, a imbrodolarsi, e si compatisce: è tanto piccino! Poi seguita, e non si vorrebbe più compatirlo, ma lui, che non sa di logica, s'impunta a continuar nel suo sistema e ci vuol molta fatica a correggerlo. Quando poi il bimbo cammina, trovo bene tenerlo in una stanza con pochi mobili e coi suoi balocchi, e non permetter che metta sossopra tutta la casa, seminandola di carta, di puppatole, rompendo i mobili. Non è amor materno quello: è disordine, e non c'è più cattiva abitudine che quella di far d'un bimbo un piccolo iconoclasta. La signora di Genlis narra a questo proposito che andando a far le sue visite da sposa, vestita in gran gala, s'intende, capitò in casa d'una signora di cui il bimbo, viziato oltre ogni dire, appena la scorse, allungò le mani verso il suo cappellino, un cappellino nuovo, fiammante, gridando: lo voglio! lo voglio! - Che vuoi, carino? chiese la mamma, cui premeva contentarlo. - Il cappello! subito! lo voglio! voglio giuocare! - Ebbenebimbo mio, disse la madre con gran sorpresa e terrore della sposina, chiedilo con buona maniera e la signora te lo darà. Per fortuna, conclude la Genlis, egli non volle mai valersi della buona maniera ed il cappello fu salvo. Più grandicelli, i ragazzi non devono mai dar ordini ad alcuno, mai interrompere il babbo e la mamma, nè immischiarsi dei loro discorsi, e dire, non richiesti, il loro parere e disturbare chi è occupatocon ciancie, chiasso o domande importune. A tavola devono aspettar d'esser serviti e non allungar le mani verso il piatto e non far ossernazioni sulla qualità dei cibi. Il parlar poi senza discernimento, ed il riferire ciò che hanno veduto ed udito è cosa biasimevolissima in loro. Il bimbo, che spesso non intende bene e ripete peggio, può far nascere dei gravi disgusti. Convien imprimergli ben in mente la differenza che c'è fra il dir tutto a tutti in tutti i momenti ed il mentire. Alla mamma od a chi per essa, affidi ogni cosa, nulla agli altri. Del resto, se sarà abituato a cansar la curiosità e le ciarle, non baderà nemmeno ai discorsi che non lo riguardano. Gli si faccia poi notare che il motteggio è la cosa più inurbana e stolta che vi sia; che il bimbo inesperto, ignorante, non può intender bene ciò che fanno e dicono gli adulti e quindi non deve permettersi di censurarli nè di deriderli; che la canzonatura, villana coi pari, diventa irrispettosa verso i maggiori, crudele e codarda verso i deboli e gli infelici. Si procuri anche di non far conoscere al bimbo la differenza delle fortune e di avvezzarlo garbato, sicchè rifugga da chi non ha educazione, ma non borioso, sicchè rifugga da chi è povero. Sia talmente avvezzo al rispetto verso i superiori ed i vecchi da non accorgersi dei loro difetti, nonchè da criticarli - non veda che il suo professore è brutto, che il suo nonno, poveretto, non si tien pulito e copre di tabacco tutto ciò che gli capita vicino. Ami... e sia cieco come l'amore. Sarà più contento e più caro. Conoscevo un ragazzetto il quale, tornando alla casa paterna dopo aver vissuto per alcuni anni con una zia che lo viziava, un giorno in cui l'avolo, veterano di Napoleone, raccontava al solito una delle sue campagne, si fe' lecito di interromperlo sclamando: -Eh! nonno! ormai quella storia la sappiamo a mente è la decima volta che ce la racconti! Il nonno si scosse arrossì e con un sospiro: -Sarà vero, disse... divento vecchio! divento vecchio! Ma il babbo balzò in piedi, e con sdegno - Tuo nonno è stato uno dei gloriosi che hanno tenuto alto l'onore deI soldato italiano, disse. Prega Dio, di poter anche tu, da vecchio, ripeter sempre la stessa storia di coraggio e di virtù! Il ragazzo capì il suo torto, tanto più che da quel tempo il povero nonno non volle più dirle, le sue storie, rispondendo avvilito a chi gliele chiedeva: No, no; è sempre la stessa cosa: annoia. È necessario che il bimbo impari la delicatezza e sappia come affligger le persone attempate sia grave torto. Il rispetto pei vecchi stava nel galateo degli antichi: qualunque ragazzo, a Sparta, doveva alzarsi davanti ad essi; sta nel galateo dei selvaggi: sarebbe strano che fosse meno osservato nei tempi moderni dalla gente più civile. Ma per ottener nei fanciulli quella creanza e quella delicatezza che a volte essi non hanno per istinto, è mestieri non lasciarli mai con le persone di servizio. Mi spiego. Quando la nutrice o la bambinaia, che si devono scegliere con grande cura, sono partite perchè non s'ha più d'uopo dei loro uffizi, convien industriarsi in modo che il bambino non stia in intrinsichezza con cuoche, servitori o cocchieri, gente che molte volte ha contratto gran numero di vizi e per abitudine poi tiene un linguaggio rozzo ed inverecondo. Ma, direte voi, i bimbi devono dunque star sempre coi genitori? Non lo credo; credo anzi che sia pessimo costume tenerli in salotto quando si riceve, condurli in visita od a teatro. E dunque, mi chiederete, come si combina la cosa? In quattro modi, secondo me e sono: Il collegio. - Non l'approvo, ma lo accenno per chi avendo negozio e non potendo mai accudire ai propri figli vuol torli da pessimo contatto. La scuola. - Nelle ore di scuola i genitori sono liberi possono dedicar quindi tutte le altre ai figli. Un'istitutrice o almeno una bambinaia fidata, di nota moralità. Vi sono molte donne di buona famiglia le quali, incapaci per salute di far la cameriera, e non tanto colte da far le maestre, possono assumere la guida di ragazzi già grandicelli. Finalmente, oltre alla scuola, chi non volesse fermarsi in casa alla sera, potrebbe prender qualche maestra fidata che lo supplisse. Ma..... e se non s'hanno i mezzi di tenere questi maestri? Suppongo che allora non s'avrà nemmeno i mezzi di girar teatri e feste.Comunque, reputo dovere trovar un modo di evitare ai ragazzi la vicinanza delle fanteshe, da cui in generale non impareranno nulla di buono. Si può trovare una perla che cucini e stiri perfettamente, eppur tenga discorsacci da trivio ai bimbi. D'altronde, con le serve il piccino si abitua a continui battibecchi, perchè, essendo il padrone, non vuol obbedire; prende anche spesso il vizio di dir bugie.Avevo una cameriera, la quale ritenevo fidatissima, sicchè, non potendo uscire per indisposizione, le davo il bimbo da condurre a passeggio. Due o tre volte, al ritorno, gli trovai in mano dei balocchi, e mi disse che glieli aveva comperati la cameriera. Io la rimproverai, avendo per norma di non permettere che i bimbi accettino doni dalla povera gente. Essa si scusò dicendo che voleva tanto bene a quel piccino! Ebbene, sapete perchè gli faceva quei regali? Perchè, impaziente e manesca, s'era lasciata trasportare a percuoterlo,e voleva così comperar il suo silenzio. Notandogli dei lividi sui bracci, sospettai la cosa, e seguendo la donna la verificai e la licenziai. Altre volte la fantesca stringe col piccino un patto di colpevole compiacenza: gli dà delle leccornie perchè egli non dica di averla veduta a bere il vino ed il caffè. Queste cose turpi, alla servitù, per lungo costume, sembrano naturali: ma pei ragazzi, che lezioni! E non si supponga che io esageri: le gazzette recano storie di ragazzi tormentati o pervertiti che dimostrano qual sia il danno dell'affidarli a gente inetta o peggio. Ma se l'intimità è dannosa, non ne vien di conseguenza che sia lecito l'essere inurbani e si deve inculcare al ragazzo il rispetto per chi serve, fargli intendere che in qualunque ceto l'onesto ha diritto alla stima. E meno saranno i rapporti che il ragazzo avrà con la servitù, più vi potrà essere da tutte e due le parti creanza e decoro; poiché la persona di servizio ricorderà che il bimbo va trattato con riguardo come membro della famiglia da cui dipende, ed il bimbo, rispettato, potrà più facilmente rispettare. Passiamo ora alla suocera ideale. Questa vuol bene alla nuora come ad una figlia. In ciò sta la sola norma de' suoi rapporti con lei - e di rimando la nuora ideale è una figlia. La suocera e la nuora reale invece hanno dato origine al proverbio: « Suocera e nuora, tempesta e gragnuola ». Galateo della Borghesia. - 3. È un fatto che fra esse i rapporti sono difficilissimi, e che stentano ad evitare i piccoli disaccordi. La suocera esige troppo: dimentica spesso che lei, madre, sta bene abbia pel figlio un'indulgenza senza limite, ma che non può pretendere lo stesso dalla moglie. Ha troppa facilità di disapprovare, di rimproverare in quel modo che offende di più, cioè con insinuazioni ironiche e con una persistenza che fa pensar che la censura sia un partito preso e toglie valore persino alle osservazioni più giuste. Se ha delle figlie, stabilisce fra esse e la nuora una tale differenza che questa si sente estranea. lnquanto alla nuora facilmente teme che la madre cerchi di controbilanciare la sua influenza presso il marito e quindi, nelle occasioni in cui questi le rifiuti alcunchè, crede sia origine del rifiuto la suocera e se n'adonta. Non osa censurarla, ma ben lungi dallo studiarsi di far quello che le piace, cerca anzi con certa malizia di far il contrario - da ciò quelle guerricciuole di dispetti, di mezze parole pungenti, di sguardi sarcastici, che mettono in bando la pace delle famiglie. Le suocere dovrebbero ricordarsi d'essere state giovani..... e nuore, e compatire; mentre le nuore dovrebbero riconoscere i diritti dell'esperienza e dell'età, e così le cose andrebbero meglio. Gli è in ispecie davanti agli estranei ed ai bimbi che quelle lotte vanno evitate; l'estraneo sarà impacciato e se ne vendicherà col motteggio - il bimbo sarà scosso nel suo rispetto, nella sua fede. Come fargli intendere sino a qual punto sono complesse le cose umane, sicchè una pessima suocera può esser una santa madre ed una buona donna? Come fargli intendere che quei battibecchi sono una trascuranza del galateo famigliare - non l'espressione d'una vera antipatia - d'un vero biasimo? E nelle divergenze d'idee a chi ubbidirà? Nulla è più triste che quelle discordie e quel vedere una tenera sposina od una povera vecchia diventate vittime d'una specie di persecuzione, tutta superficiale forse, non ispirata da malevolenza, ma pur dolorosa, poiché i colpi di spillo alla lunga uccidono come i colpi di pugnale. Ci sarebbero delle centinaia di studi psicologici da fare su questa strana circostanza, che certi rapporti, certe gelosie alterano l'indole delle persone, ne cambiano i modi. Non è qui il luogo di scender a queste disamine; basti ripetere che il galateo va osservato anche fra suocera e nuora, e che se la tenerezza non ispira certi riguardi, bisogna invece impararli dalla creanza e non stabilire uno stato di cose intollerabile, in cui l'assenza d'affetto non ispira indulgenza e l'intimità sembra legittimi la mancanza di riguardi. Fra zia e nipote, fra cugini, è inutile accennare norme; i rapporti siano cordiali e sinceri, ecco tutto. È contrario al galateo morale ed a quello della società il parlar male dei propri congiunti, l'accoglierli male specialmente in presenza d'estranei. Un punto delicato è quello che riguarda il modo di condursi coi parents pauvres, i congiunti poveri. Secondo me, quando, per caso, sorge fra congiunti una eccessiva disparità di fortuna, la assoluta intrinsichezza, l'uguaglianza nelle abitudini, diventano incompatibili. Il povero non potrà star col ricco se non a patto di dipendere da lui, ossia di accettar inviti a desinare, in teatro, in campagna, ecc.: il che farà nascere una specie d'inferiorità che lo renderà facilmente suscettibile, che gli farà temere di esser posposto dal parente ad altri congiunti od amici più ricchi: da ciò invidia segreta, segreti rancori. Il galateo d'altra parte esige che il parente povero non assuma una certa boria ridicola come se in lui fosse merito essere consanguineo d'un ricco, come pure che non pigli un contegno umile, quasi da inferiore. Nel ricco poi, ci vuol ancora più studio per non offendere, per non millantarsi, per non fare che i suoi doni sembrino elemosine; per non escludere, male a proposito, dai suoi ricevimenti il congiunto, di cui teme che il vestir modesto possa farlo scapitare, lui, l'ospite, in faccia ai suoi invitati. Insomma, è ben arduo pel ricco non somigliar a quel tal risalito del brioso Paul de Kock, il quale, ad ogni piè sospinto, diceva agli amici meno fortunati: - Oh! per me posso far questa spesa: mes moyens me le permettent. Bouilly, il vecchio autore di cui è sì pietosa la storia (si diè a scrivere perchè l'unica sua figlia, riluttante allo studio, imparasse l'ortografia e fatto di lei, coi suoi scritti le sue lezioni, un modello di fanciulla, a sedici anni se la vide morire), Bouilly, di cui gli ingenui e carissimi racconti hanno fatto le delizie delle nostre mamme, racconta d'un villico, il quale, fatto milionario, un bel dì, in mezzo ad una festa, si vide piovere dal villaggio - a tradir le sue umili origini - la propria sorella rubiconda fattora. Il milionario cerca di indurla a non entrar nel salotto od almeno a celarsi in un angolo; l'onesta donna si meraviglia, rifiuta senza intendere; ma la chiave del mistero gliela dà il fratello, dicendo ad uno dei nobili ospiti che gli chiede come mai quella donna gli sia sorella: - Sorella di latte, nulla più! La contadina fugge colpita al cuore da quella parola crudele e ripetendo fra i singhiozzi: - Rinnega il suo sangue! Eppur quanti, senza arrivar a questo punto, s'industriano però ad allontanar i parenti per festeggiar estranei, credendo così d'innalzarsi al disopra... di se stessi! Vanità umane! Ma chi tratta così, creda pure che, sprezzando la vera cortesia, la cortesia del cuore, non si nobilita, e tutt'al più fa ridere alle sue spese. Con ciò non impongo intimità fra il contadino e lo scienziato, per esempio, o fra il povero ed il milionario - ammetto che le vicende della vita dividono molte famiglie: ma domando sempre l'urbanità e la cordialità. Il galateo intimo può chiudersi qui per non allungarlo di soverchio, poichè in molti punti s'unisce al galateo della società.

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Che dirò di quell'abitudine, abbastanza frequente, che consiste nel girar i negozi senza intenzione di comperare, così, per ammazzare il tempo, disturbando i poveri commessi e gli avventori coscienziosi? Senza che io la condanni, ognuno intende che è usanza biasimevolissima e che non è meraviglia se chi la segue si espone ad udir qualche scortese ripulsa. Nelle pasticcierie è vietato (dalla creanza veh! non c'è cartello!) di toccar qua e là le paste esposte: si scelga cogli occhi. In nessuna bottega sta bene mostrarsi impazienti, pretendere d'esser serviti subito, spinger gli altri, od assumere un far imperioso, se anche si ha fuori carrozza e servitori in livrea: davanti al banco quelli che pagano sono tutti uguali. In chi vende è mal vezzo il non salutare e non farsi incontro a chi viene; questa abitudine è specialmente cattiva nelle pasticcierie, nelle botteghe di balocchi, dove si va con bimbi e si ha bisogno d'una certa indulgenza e amabilità da parte del mercante. Conosco una signora la quale, per colazione, mangia sempre due o tre dolci: vedendola a passare dinnanzi a varie pasticcierie senza entrarvi gliene chiesi il perchè. - Oh! cara mia, in quelle pasticcerie non posso mangiare, mi disse. - Perchè? Non c'è roba buona? - Squisita; ma nella prima i padroni mangiano sempre dell'aglio, e quel profumo vince quello della vaniglia e e del cioccolate, sicchè gianduia e panettoni mi paiono all'aglio: nella seconda c'è una donna mal vestita, mal pettinata, immusonita che fa passar la voglia di mangiare. I dolci, i balocchi ed i fiori bisogna venderli con un sorriso per giunta... Dalle sarte, dalle modiste si deve aver contegno civile: non dar in iscandescenze se la roba non è riescita bene. Il rimprovero è legittimo, ma il modo di farlo è segnato dal decoro. È poi il caso di ricordar il proverbio francese: qui perd gagne: la sarta umiliata si rifà sul conto. Non si deve mai, se s'incontra altra signora estranea, farsele vicino, guardar che cosa sceglie; è una legge di discrezione.

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