Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

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  • Pagina 1 di 2

Mitchell, Margaret

221385
Via col vento 47 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Nella stessa maniera in cui una volta, a Tara, ubriaca di stanchezza, aveva pensato: «I fardelli sono fatti per le spalle abbastanza forti da sopportarli», ora si disse che le sue spalle erano forti e quelle di Ashley non lo erano. Si irrigidí per sorreggere il peso e con una calma che era ben lungi dal provare, baciò la guancia umida di lui, senza febbre né desiderio né passione; soltanto con fredda dolcezza. - In qualche modo riusciremo - disse. Nel vestibolo un uscio si aperse con subitanea violenza e la voce 'del dottor Meade chiamò con impeto: - Ashley! Presto! «Dio mio! È finita!» pensò Rossella. «E Ashley non le ha dato l'ultimo addio! Ma forse...» - Presto! - gridò spingendolo, perché egli rimasto attonito. - Presto! Spalancò la porta e lo fece uscire. Galvanizzato dalle sue parole, egli corse attraverso il vestibolo, col guanto ancora stretto fra le mani. Rossella udí i suoi passi e poi il chiudersi di una porta. - Dio mio! - mormorò nuovamente; e andando lentamente verso il letto vi si lasciò cadere e si nascose il volto fra le mani. Si sentí improvvisamente stanca, come non era mai stata in vita sua. Il rumore della porta che si era chiusa fece sí che lo sforzo che l'aveva sorretta fino allora si rilasciasse. Era fisicamente esaurita e sfatta dall'emozione. Non provava piú né dolore né rimorso né sgomento né stupore. Solo stanchezza; e il suo spirito si agitava appena, languidamente, meccanicamente, come il tic-tac della pendola sulla mensola del camino. Da quel languore si levò un pensiero. Ashley non l'amava e non l'aveva mai amata veramente, e il saper questo non l'addolorava. Avrebbe dovuto soffrirne, essere desolata, sentirsi il cuore spezzato, imprecare al destino. Aveva contato sul suo amore per tanto tempo; e quella sicurezza l'aveva aiutata a superare molti tristi momenti. Eppure, la verità era indiscutibile. Egli non l'amava e lei non ne soffriva. Non ne soffriva perché neppur lei lo amava. Non lo amava; quindi nulla di ciò che egli diceva e faceva poteva addolorarla. Si coricò sul letto e posò il capo sul guanciale, stanchissima. Inutile cercar di combattere quell'idea; inutile cercar di dire a se stessa: «Ma io lo amo. L'ho sempre amato. L'amore non si può mutare da un momento all'altro in apatia». Non poteva mutare, eppure si era mutato. «Non è mai esistito veramente, se non nella mia fantasia» pensò con tristezza. «Ho amato qualche cosa costruita da me, qualche cosa che è morta come Melania. Ho fatto un bel fantoccio e me ne sono innamorata. E quando Ashley venne a cavallo, cosí bello, cosí diverso, gli misi gli abiti del fantoccio e glieli feci portare, gli andassero bene o no. E non ho mai voluto vederlo come era in realtà. Ho continuato ad amare i vestiti del fantoccio... ma non lui.» Ora si guardava indietro e si rivedeva nell'abito di mussolina verde a fiori, in atto di rispondere al saluto del giovine cavaliere coi capelli che luccicavano come chiaro argento al sole di Tara. Vedeva ora nettamente che era solo un'immaginazione infantile, non piú importante del desiderio degli orecchini di acquemarine per cui aveva tanto importunato Geraldo. Una volta ottenuti, gli orecchini avevano perso ogni valore; come ogni cosa, eccettuato il denaro, una volta che era in suo possesso. Cosí anche lui avrebbe perso ogni valore se, in quei giorni lontani, ella avesse avuto la soddisfazione di rifiutare di sposarlo. Se lo avesse avuto in proprio dominio, vedendolo diventare a volta a volta appassionato, importuno, geloso, malinconico, supplichevole, come gli altri giovinotti, l'infatuazione che l'aveva posseduta sarebbe svanita, come nebbia del mattino ai raggi del sole, appena ella avesse incontrato un altr'uomo. «Come sono stata sciocca» pensò amaramente. «Ed ora la sconto. Quello che ho tanto desiderato è accaduto. Ho desiderato che Melania morisse, per potere avere Ashley; ed ora che è morta e potrei averlo, non me ne importa piú nulla. Il suo maledetto onore lo spingerà a chiedermi se desidero divorziare da Rhett per sposarlo. Sposarlo? Non lo vorrei neanche su un piatto d'oro! E intanto, lo avrò ugualmente sulle spalle per tutta la vita. Finché vivo dovrò occuparmi di lui, badare a che non muoia di fame, e che i suoi sentimenti non siano urtati da ciò che può dire la gente. Sarà un altro bambino attaccato alle mie sottane. Ho perduto l'innamorato ed ho acquistato un altro bimbo. E se non avessi promesso a Melly... non mi importerebbe di non vederlo mai piú.»

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. - Mi pare che sia abbastanza chiaro. Miss Melly è morta. Tu hai certamente tutto il diritto di chiedere il divorzio contro di me; e non credo che alla tua reputazione un divorzio possa far danno. Né hai religione; quindi della chiesa non t'importa. Perciò... Ashley e i sogni diventano realtà, con la benedizione di miss Melly. - Divorzio?! No! No! - Dopo un attimo di stordimento balzò in piedi e corse ad afferrarlo per un braccio. - Ti sbagli! Terribilmente. Non voglio divorziare! Io... - Si interruppe come se non riuscisse a trovare le parole. Egli le pose una mano sotto il mento e le volse tranquillamente il viso verso la luce; per un momento la fissò intento negli occhi. Ella sostenne lo sguardo, fissandolo col cuore nelle pupille, con le labbra tremanti come se avesse tentato di parlare. Ma non riuscí a formulare una parola. Cercava di trovare in quel volto bruno un'emozione corrispondente alla sua, una luce di speranza, di gioia. Perché egli doveva aver compreso. Ma i suoi occhi non trovarono altro se non la calma insensibilità che cosí spesso l'aveva respinta. Egli lasciò il suo mento e, voltandosi, tornò al seggiolone; vi si gettò di nuovo, pesantemente, col mento sul petto; i suoi occhi continuarono a guardarla da sotto alle folte sopracciglia in maniera curiosa e impersonale. Ella lo seguí e rimase dinanzi a lui torcendosi le mani. - Hai torto- cominciò finalmente cercando le parole. - Rhett, stasera, quando ho saputo, ho corso come una pazza per venire a casa a dirtelo. Oh mio carissimo, io... - Sei stanca - la interruppe Rhett continuando a scrutarla. - Farai meglio ad andare a letto. - Ma debbo dirtelo! - Non voglio... sentir nulla, Rossella! - Non sai quello che ti voglio dire! - Gioia mia, è scritto chiaramente sul tuo viso. Qualcuno o qualche cosa ti ha fatto capire che il disgraziato signor Wilkes è un boccone troppo grosso dei frutti del Mar Morto, perché perfino tu lo possa inghiottire. E perciò i miei fascini ti sono improvvisamente apparsi in una nuova luce piú attraente. - Emise un leggero sospiro. - Ed è inutile parlarne. Ella trasse un grande respiro, stupita. Sapeva che egli aveva sempre letto in lei facilmente. In altri tempi ciò l'aveva irritata; ma ora, dopo il primo attimo di risentimento contro la propria trasparenza, si sentí il cuore pieno di gratitudine e di sollievo. Egli sapeva, comprendeva; il compito diventava infinitamente piú facile. Inutile parlarne! Naturalmente, egli era amareggiato per la sua lunga trascuratezza, diffidente per il suo improvviso voltafaccia. Ma lei lo colmerebbe di bontà, lo convincerebbe con ardenti effusioni d'amore; e che gioia sarebbe anche per lei! - Tesoro, ti dirò tutto! - Posò le mani sul bracciolo del seggiolone e si chinò sopra di lui. - Ho commesso tanti errori, sono stata una pazza stupida... - Non continuare, Rossella. Non ti umiliare dinanzi a me. Non posso sopportarlo. Conserviamo un po' di dignità, per avere almeno questo ricordo del nostro matrimonio. Evitiamo questa fine. Ella si raddrizzò bruscamente. Evitare questa fine? Che voleva dire «questa fine»? Fine? Se questo era il loro principio! - Ma voglio dirti - riprese rapidamente, quasi temendo che egli le ponesse la mano sulla bocca per farla tacere. - Ti amo tanto, Rhett! Devo averti sempre amato, da tanti anni; ma ero cosí sciocca che non lo sapevo. Devi credermi, Rhett! La guardò per un attimo, dritta dinanzi a lui; fu uno sguardo che la penetrò sino in fondo. Ella vide che in quegli occhi era persuasione, ma scarso interesse. Si mostrerebbe dunque perverso, proprio adesso? La tormenterebbe, ripagandola con la sua stessa moneta? - Ti credo - disse finalmente. - Ma la storia di Ashley Wilkes? - Ashley! - E fece un gesto d'impazienza. - Non... non credo di avergli mai voluto bene. Era una specie di abitudine a cui ero attaccata fin da bambina. E credo che non me ne sarei mai interessata se lo avessi veramente conosciuto. È una creatura cosí bisognosa d'assistenza, cosí povera di spirito, con tutte le sue ciance di verità e di onore... - No - la interruppe Rhett. - Devi vederlo com'è in realtà. È un gentiluomo che si trova in un mondo che non è il suo, e cerca di fare del suo meglio applicando le regole di un mondo scomparso. - Oh Rhett, non parliamo di lui! Che ce ne importa ora? Non sei contento di sapere... ora che io... Incontrò il suo sguardo stanco e tacque imbarazzata, intimidita come una bimba col suo primo corteggiatore. Perché non le facilitava la cosa? Se l'avesse presa fra le braccia, ella si sarebbe accoccolata riconoscente sulle sue ginocchia e gli avrebbe posato il capo sul petto. Le sue labbra posate su quelle di lui si sarebbero spiegate meglio che non potessero farlo le sue parole interrotte. Ma nel guardarlo, comprese che non per cattiveria egli non l'abbracciava. Sembrava esaurito; e come se nulla di ciò che ella diceva lo interessasse. - Contento? - disse poi. - Una volta avrei ringraziato Dio devotamente, se tu mi avessi detto questo. Ma ora non importa. - Non importa? Che dici? Sí che importa! Non mi vuoi bene forse? Melly ha detto di sí. - Aveva ragione, per quel che sapeva. Ma hai mai pensato, Rossella, che anche l'amore piú immortale si può esaurire? Lo guardò ammutolita, a bocca aperta. - Il mio si è logorato - proseguí Rhett - contro Ashley Wilkes, contro la tua pazza ostinazione che ti fa azzannare come un bulldog quello che desideri... Si è logorato. - L'amore non si può logorare! - Il tuo per Ashley si è stancato. - Ma non l'ho mai amato davvero! - Allora ne hai dato un'ottima imitazione... fino a stasera. Non voglio rimproverarti, Rossella, accusarti, rinfacciarti nulla. È passato il tempo di queste cose. Risparmiami quindi le tue difese e le tue spiegazioni. Se sei capace di ascoltarmi per qualche minuto senza interrompermi, ti spiegherò ciò che voglio dire. Quantunque non ne veda il bisogno. La verità è tanto semplice! Ella sedette, sotto la luce dura del gas che le illuminava il pallido viso attonito. Fissava gli occhi che conosceva cosí bene - eppure cosí poco - e ascoltava la voce tranquilla dirle parole che da principio furono senza significato per lei. Era la prima volta che egli le parlava in quel modo, come un essere umano a un altro; che parlava come tutti quanti, senza scherno, senza enigmi, senza volubilità. - Non hai mai pensato che ti amavo tanto quanto è possibile a un uomo amare una donna? Che ti ho amato per degli anni finché sono riuscito ad averti? Durante la guerra volli andarmene per cercare di dimenticarti; ma non potetti; e perciò ritornavo sempre. Dopo la guerra ho arrischiato di essere arrestato, per tornare indietro e trovarti. Ti amavo tanto che credo che avrei finito con l'uccidere Franco Kennedy, se non fosse morto. Ti amavo, ma non potevo fartelo sapere. Eri troppo brutale con quelli che ti amavano, Rossella. Prendevi il loro amore e lo agitavi come uno scudiscio sulle loro teste. Di tutto ciò che diceva, una sola cosa era importante: che egli l'amava. Alla debole eco di passione che era nella sua voce, ella sentí serpeggiare nelle sue vene gioia ed eccitazione. Tratteneva il respiro, ascoltava, aspettava. - Sapevo che non mi amavi quando ti sposai. Sapevo di Ashley. Ma, sciocco che ero, credevo di riuscire a farmi voler bene. Ridi, se vuoi; ma io provavo il bisogno di aver cura di te, di viziarti, di coccolarti, di darti tutto ciò che desideravi. Volli sposarti per proteggerti e darti piena libertà in tutto ciò che poteva farti felice... come feci piú tardi con Diletta. Avrei lottato tanto: nessuno sapeva meglio di me quali pene avevi attraversato, ed io volevo farti cessar di combattere e combattere io per te. Avrei voluto vederti giuocare come una bimba... perché eri una bimba, coraggiosa, spaventata, caparbia; ma una bimba. E credo che tu lo sia ancora. Solo una bimba può essere cosí cocciuta e insensibile. La sua voce era calma e stanca; ma vi era in essa qualche cosa che richiamò alla memoria di Rossella un fantasma scomparso. Quando, in quale crisi della sua vita aveva udito una voce come quella? La voce di un uomo che si trova di fronte a sé e al suo mondo, senza sentimento, senza titubanze, senza speranza. Sicuro... era stato Ashley, nel freddo frutteto di Tara battuto dal vento; aveva parlato della vita e dello spettacolo delle ombre con una calma stanchezza che aveva nel suo timbro un'amarezza disperata. E come la voce di Ashley, allora, l'aveva fatta rabbrividire con la minaccia di cose che ella non poteva comprendere, cosí ora la voce di Rhett le faceva cadere il cuore. La sua voce, i suoi modi, piú ancora che il contenuto delle sue parole, la turbavano, le facevano comprendere che la sua eccitazione di pochi istanti prima era stata intempestiva. Vi era qualche cosa che non andava bene. Non sapeva che cosa; ma ascoltava disperatamente, con gli occhi fissi sul suo viso bruno, sperando di udire parole che dissipassero i suoi terrori. - Eravamo fatti l'uno per l'altra. Questo era cosí ovvio, che io ero il solo uomo fra i tuoi conoscenti che poteva amarti conoscendoti com'eri realmente... dura, avida, senza scrupoli, come me. Ti amavo e tentai la ventura. Pensai che Ashley sarebbe svanito dalla tua mente. Ma - e si strinse nelle spalle - tutti i miei tentativi non valsero a nulla. E ti amavo tanto, Rossella. Se tu me lo avessi consentito, ti avrei dato tutta la tenerezza e tutto il fervore che un uomo può dare a una donna. Ma non potevo fartelo capire, perché mi avresti creduto debole e ti saresti servita del mio amore contro di me. E poi... c'era sempre Ashley. Mi faceva impazzire. Non potevo sedere a tavola di faccia a te la sera, perché sapevo che tu desideravi che al mio posto vi fosse lui. E non potevo tenerti fra le braccia la notte sapendo che... beh, lasciamo andare, adesso. Ora mi domando perché ne ho sofferto. Fu questo che mi fece andare da Bella. Vi è una certa consolazione grossolana nello stare con una donna che vi ama senza restrizione e vi rispetta come un gentiluomo... anche se è una prostituta analfabeta. Questo lusingava la mia vanità. Tu non mi hai mai blandito molto, mia cara. - Oh Rhett... - cominciò disperata solo nell'udire menzionare il nome di Bella. Ma egli le fece cenno di tacere e proseguí. - La notte che ti portai sopra... credetti... sperai... sperai tanto che non ebbi il coraggio di guardarti in faccia l'indomani mattina, per paura di essermi ingannato e che tu non mi amassi. Avevo paura che tu ridessi di me; perciò uscii e andai ad ubbriacarmi. Quando tornai tremavo come una foglia; e se tu mi fossi venuta incontro, se mi avessi fatto il piú piccolo cenno, credo che ti avrei baciato i piedi. Ma tu rimanesti impassibile. - Eppure ti desideravo, Rhett; ma tu fosti cosí villano! Come ti desideravo! Credo... sí, deve essere stata allora la prima volta che ho capito che ti volevo bene. Ashley... dopo di allora il suo pensiero non mi diede piú alcuna gioia; ma tu eri stato cosí villano che io... - Insomma, pare che eravamo in contrasto, non è vero? Ma ora non importa. Te lo dico soltanto perché tu non ti stupisca di nulla. Quando sei stata male per colpa mia, sono stato fuori della tua porta, sperando che tu mi chiamassi; ma tu non mi chiamasti mai; e allora compresi che ero stato un imbecille e che tutto era finito. Si fermò e guardò attraverso lei e al di là, come aveva fatto tante volte Ashley, vedendo qualche cosa che ella non poteva vedere. E Rossella continuò a fissare senza parlare il suo volto tetro. - Ma vi era Diletta; ed io mi dissi che, dopo tutto, qualche cosa rimaneva. Mi piaceva pensare che Diletta eri tu, nuovamente bambina, prima che la guerra e la povertà ti avessero indurita. Ti somigliava tanto, era cosí volitiva, cosí gaia e coraggiosa e piena di spirito; e potevo accarezzarla e viziarla... come desideravo accarezzare e viziare te. Ma lei non era come te... lei mi voleva bene. Era una fortuna che io potessi prendere tutto l'amore che tu non desideravi e darlo a lei... E quando se ne andò, portò via tutto con sé. Improvvisamente ella provò un'immensa pena per lui, una pena che cancellò il suo dolore e lo sgomento che le sue parole le avevano fatto provare. Era la prima volta in vita sua che sentiva compassione per qualcuno senza provare contemporaneamente un senso di disprezzo, perché era la prima volta che si avvicinava con comprensione ad un altro essere umano. E comprendeva l'orgoglio ostinato simile al suo che gli aveva impedito di rivelare il suo amore per timore di una ripulsa. - Amore mio - esclamò avvicinandosi di nuovo, sperando che egli stendesse le braccia e la traesse sulle sue ginocchia - tesoro, ho tanta pena, ma ti farò felice... Ora che sappiamo la verità... Guardami, Rhett! Avremo altri bambini... non come Diletta, ma... - Grazie, no - fece Rhett come se rifiutasse un pezzo di pane. - Non voglio arrischiare il mio cuore per la terza volta. - Non parlare cosí, Rhett! Che cosa posso dire per farti comprendere? Ti ho detto che sono cosí addolorata... - Mia cara, sei proprio una bambina. Credi che col dire «mi dispiace» si possa rimediare a tutti gli errori e le offese degli anni passati, cancellarli dalla mente, togliere tutto il veleno dalle vecchie ferite... Prendi il mio fazzoletto, Rossella. In nessuna crisi della tua vita ti ho mai vista con un fazzoletto. Prese il fazzoletto, si soffiò il naso e sedette. Era evidente che egli non l'avrebbe presa fra le braccia. E cominciava ad essere evidente che tutto quel discorso sull'amore che aveva avuto per lei non significava nulla. Era un racconto del tempo passato; e pareva che non fosse neanche accaduto a lui. E questo era spaventoso. Egli la guardava in modo affettuoso, con occhi riflessivi. - Quanti anni hai, cara? Non hai voluto dirmelo. - Ventotto - rispose triste, soffocando la voce nel fazzoletto. - Non sono molti. Anzi son pochi per avere conquistato tutto il mondo e perduto la propria anima, non è vero? Non aver paura; non alludo alle fiamme dell'inferno per la tua storia con Ashley. Parlo metaforicamente. Da quando ti conosco, tu hai sempre desiderato due cose: Ashley, ed essere abbastanza ricca per poter mandare tutti quanti all'inferno. Ora sei abbastanza ricca; hai mostrato i denti al mondo; e se vuoi avere Ashley, è a tua disposizione. Ma pare che tutto questo non ti basti piú. Era sgomenta, ma non al pensiero delle fiamme dell'inferno. Pensava: «La mia anima è Rhett, e lo sto perdendo. E se lo perdo, non c'è piú nulla che mi interessi! Né amici né denaro né... nulla.. Se avessi lui, non m'importerebbe di essere nuovamente povera. Non m'importerebbe di aver di nuovo freddo e fame. Ma non può essere che egli voglia... No, non può essere!» Si asciugò gli occhi e parlò con disperazione. - Rhett, se una volta mi hai amata tanto, deve pur essere rimasto qualche cosa nel tuo cuore per me! - Trovo soltanto due cose, e sono quelle che tu detesti di piú: pietà e uno strano senso di bontà. «Pietà! Bontà! Dio mio» pensò disperata «solo pietà e bontà...» Ogni volta che ella aveva provato per qualcuno questi sentimenti, erano stati accompagnati da disprezzo. Possibile che egli la disprezzasse? Tutto sarebbe preferibile a questo. Anche la cinica freddezza dei giorni della guerra, la folle ubriachezza che lo possedeva la notte in cui la portò su per le scale, le parole ironiche e pungenti che nascondevano - ora lo sapeva - un disperato amore. Tutto, piuttosto che quella bontà indifferente che era scritta cosí chiaramente sul suo volto. - Allora... vuol dire che io ho sciupato tutto... e che non mi ami piú? - Precisamente. Ostinata come una bambina che crede ancora che la manifestazione di un desiderio basti per ottenerne l'adempimento, esclamò: - Ma io ti amo! - Questa è la tua disgrazia. Lo guardò per vedere se dietro a quelle parole si nascondeva lo scherzo; ma non vide nulla. Egli si limitava a constatare un fatto. Ma era un fatto che ella non poteva, non voleva credere. Lo fissò con occhi in cui ardeva una disperata ostinazione; e la linea della mascella che improvvisamente si disegnò sotto la sua guancia morbida era quella di Geraldo. - Non essere sciocco, Rhett! Io posso fare... Egli tese in avanti la mano aperta con orrore beffardo; le sue sopracciglia nere si inarcarono con la vecchia espressione sardonica. - Non avere quell'aria cosí risoluta, Rossella! Mi spaventi. Vedo che stai pensando di trasferire la tua tempestosa passione da Ashley a me; ed io temo per la mia libertà e per la pace del mio spirito. No, Rossella, non voglio essere perseguitato come quell'infelice Ashley. Del resto, sto per partire. Ella sentí che la sua mascella tremava; e strinse i denti per fermarla. Partire? No! Tutto, ma non questo! Come poteva vivere senza di lui? Tutti l'avevano lasciata, tutti coloro a cui aveva voluto bene; era rimasto solo lui. Non poteva andarsene. Come trattenerlo? Si sentiva impotente contro la sua freddezza. - Parto. Avevo l'intenzione di dirtelo al tuo ritorno da Marietta. - Mi lasci? - Non fare la moglie abbandonata, Rossella. La parte drammatica non è adatta per te. Mi par di capire che non desideri un divorzio e neanche una separazione. Va bene; vuol dire che ornerò abbastanza spesso per impedire i pettegolezzi. - Che me ne importa delle chiacchiere! - esclamò con impeto. - Voglio te. Portami con te. - No. - E nella sua voce era una nota decisiva. Per un attimo stette per scoppiare in lagrime come una bambina. Ebbe voglia di gettarsi a terra, di imprecare, di urlare, di battere i piedi. Ma un rimasuglio di orgoglio la trattenne. Pensò che se lo avesse fatto egli avrebbe riso. «Non devo urlare; non debbo piangere. Non debbo far nulla che possa suscitare il suo disprezzo. Deve rispettarmi anche... anche se non mi ama. Levò il capo e cercò di chiedere con calma. - Dove vuoi andare? - Forse in Inghilterra... o a Parigi. Forse a Charleston a cercare di far la pace coi miei. - Ma li detesti! Ti ho sentito ridere tante volte quando... Egli alzò le spalle. - Rido ancora, Rossella; ma ho finito di vagabondare. Ho quarantacinque anni; l'età in cui un uomo comincia a valutare quello che ha gettato via leggermente in gioventú; l'unione familiare, l'onore, la solidarietà, tutte cose che hanno radici profonde... Oh, non mi pento, non rimpiango nulla di ciò che ho fatto. Mi sono divertito; tanto che ora comincio ad averne abbastanza e a desiderare qualche cosa di diverso. Desidero la parvenza della rispettabilità - da parte degli altri, cara, non mia - la calma dignità che la vita può avere tra persone perbene, grazia gentile dei giorni passati. Allora, ne realizzavo il fascino dolce e lento... Nuovamente Rossella ebbe l'impressione di trovarsi nel frutteto di Tara; negli occhi di Rhett era la stessa espressione che aveva visto quel giorno in quelli di Ashley. Erano le stesse parole; come se fossero pronunciate da Ashley e non da Rhett. Frammenti di frasi le ritornarono, ed ella citò, pappagallescamente: - Un fascino... una perfezione, una simmetria, come nell'arte greca. Rhett chiese bruscamente: - Perché dici questo? È proprio il mio pensiero. - Lo ha detto Ashley una volta... a proposito degli antichi tempi. Egli si strinse nelle spalle e la fiamma scomparve dai suoi occhi. - Sempre Ashley - disse; e per un attimo rimase in silenzio. - Quando avrai quarantacinque anni, Rossella - riprese - forse comprenderai quello che ti dico adesso; e forse allora sarai stanca anche tu di falsa aristocrazia, di maniere pretenziose, di emozioni a buon mercato. Ma ne dubito. Credo che sarai sempre più attratta dall'orpello che dall'oro. Ad ogni modo, non posso aspettare fino allora per vedere. E non lo desidero neppure. Non mi interessa. Andrò in cerca di vecchie città e di vecchie campagne dove sia rimasto qualche cosa degli antichi tempi. Sono un sentimentale. Atlanta è troppo rude per me, troppo nuova. - Basta - disse ella improvvisamente. Aveva appena ascoltato ciò che egli veniva dicendo. Certo non lo aveva compreso. Ma sentiva che non poteva più sopportare con forza d'animo il suono della sua voce, se non vi era amore in essa. Egli fece una pausa e la guardò in modo strano. - Insomma, hai capito le mie intenzioni? - chiese alzandosi in piedi. Ella gettò le mani in avanti, col vecchio gesto supplichevole; e il suo cuore fu di nuovo sul suo viso. - No! - gridò. - So soltanto che non mi ami e che te ne vai! Amore mio, che farò se tu te ne vai? Per un momento egli esitò come chiedendosi se una dolce menzogna fosse migliore della verità. Poi si strinse nelle spalle. - Rossella, non ho mai avuto la pazienza di raccogliere i frammenti di un oggetto rotto per incollarli insieme e dire a me stesso che l'oggetto riappiccicato vale quanto l'oggetto nuovo. Quello che è rotto è rotto... e preferisco ricordarmelo quando era in buono stato piuttosto che aggiustarlo e vedere le tracce della rottura finché vivo. Forse se fossi piú giovine... - sospirò. - Ma sono troppo vecchio per credere in questi sentimentalismi e per ricominciare. Troppo vecchio per portare quel peso di continue menzogne che accompagna la vita fatta di cortesi disillusioni. Non potrei vivere con te e mentirti; e non potrei certo mentire a me stesso. Non posso mentire neanche adesso. Vorrei potermi interessare di ciò che fai e di dove vai, ma non posso. Respirò brevemente e soggiunse: - Non è il caso, mia cara. Rossella Io guardò mentre saliva le scale ed ebbe l'impressione che il dolore la soffocasse. Il rumore dei suoi passi sul pianerottolo si allontanò; e con esso si allontanò l'ultima cosa al mondo che la interessava. Ella sapeva che nessun appello alla ragione o all'emozione avrebbe potuto mutare quel gelido verdetto. Sapeva che tutto ciò che egli aveva detto era il suo pensiero, anche se in certi momenti aveva parlato leggermente. Lo sapeva perché sentiva in lui qualche cosa di forte, di inflessibile, di implacabile... tutte le qualità che ella aveva cercato in Ashley senza trovarle. Non aveva compreso nessuno degli uomini che aveva amato; e li aveva perduti entrambi. Ora si rendeva conto vagamente che se avesse compreso Ashley non lo avrebbe mai amato; e che se avesse compreso Rhett, non lo avrebbe mai perduto. E si chiese tristemente se aveva mai compreso nessuno al mondo. Vi era adesso nella sua mente un'inerzia che si sarebbe potuta dire misericordiosa; un'inerzia che per lunga esperienza ella sapeva che avrebbe dato luogo fra breve a una sofferenza acuta, come i tessuti che, separati violentemente dal ferro del chirurgo, hanno un breve istante di insensibilità prima che cominci il loro tormento. «Non voglio pensarvi adesso» si disse cupamente, ricorrendo all'antico incantesimo. «Se penso che debbo perderlo, diventerò pazza. Vi penserò domani.» Ma il suo cuore, scacciando l'incantesimo, cominciò a dolere. «Non posso lasciarlo andar via! Deve esservi un mezzo!» - Non voglio pensarvi adesso - ripeté ad alta voce, tentando di respingere la sua disperazione nel fondo della mente, cercando di trovare un riparo al fiotto crescente di patimento. - Voglio... Andrò a casa, a Tara, domani. - E il suo spirito si risollevò impercettibilmente. Era già tornata a Tara una volta, cacciata dallo spavento e dalla sconfitta; e dalle sue mura riparatrici era tornata forte e armata per la vittoria. Potrebbe - se Dio l'aiutasse! - rifare ciò che aveva fatto una volta. Non sapeva come. Ora non voleva pensarvi. Tutto ciò che desiderava adesso era un luogo di riposo dove poter soffrire, dove poter sanare le sue ferite; un rifugio dove potere studiare un piano di battaglia. Pensò a Tara; e fu come se una mano dolce e fresca si posasse furtivamente sul suo cuore. Le apparve la bianca casa che le dava il benvenuto tra le rosse foglie autunnali, sentí il tranquillo sussurro del crepuscolo che scendeva sopra di lei come una benedizione, udí la rugiada cadere sui verdi cespi ornati di un candore fioccoso, vide il colore rugginoso delle zolle e la tetra bellezza dei pini sulle colline ondulate. Si sentí vagamente riconfortata da questo quadro; e la sua sofferenza e il suo frenetico rimpianto furono un poco attenuati. Per un attimo rimase a ricordare tante piccole cose: il viale di cedri che conduceva alla piantagione, i cespugli di gelsomini del Capo, di un verde vivido sul muro bianco, il fluttuare delle tendine candide. E vi sarebbe Mammy. Improvvisamente desiderò disperatamente Mammy, come l'aveva desiderata quando era una bambina, desiderò l'ampio seno su cui posare il capo, la mano nera e nodosa sui suoi capelli. Mammy, l'ultimo legame con gli antichi tempi. Con lo spirito del suo popolo che non riconosce la sconfitta anche quando se la trova di fronte, rialzò il mento. Riconquisterebbe Rhett. Sapeva di poterlo fare. Non era mai esistito un uomo che ella non potesse avere, se lo voleva. «Penserò a tutto questo domani, a Tara. Sarò piú forte, allora. Domani penserò al modo di riconquistarlo. Dopo tutto, domani è un altro giorno.» FINE

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Simultaneamente le tre signorine alzarono i loro ombrellini di pizzo, dissero che avevano mangiato abbastanza, grazie, e posando leggermente le dita sul braccio dell'uomo che avevano piú vicino, dichiararono dolcemente che volevano vedere il giardino delle rose, il padiglione di primavera e quello d'estate. Questa ritirata strategica in buon ordine fu notata da tutte le donne presenti e da nessun uomo. Rossella rise fra i denti vedendo tre uomini rapiti al suo fascino e condotti a contemplare luoghi familiari alle fanciulle fin dalla loro infanzia. Lanciò uno sguardo acuto verso Ashley per capire se se ne fosse accorto: ma egli stava giocherellando con la sciarpa di Melania, e le sorrideva. Un dolore acuto le strinse il cuore. Sentí che sarebbe stata capace di graffiare con gioia la pelle di avorio di Melania, sino a farla sanguinare. Volgendo lo sguardo; incontrò quello di Rhett Butler, che non si era mescolato con la folla, ma conversava in disparte con John Wilkes. La stava osservando e quando ella lo guardò, rise clamorosamente. Rossella ebbe la spiacevole sensazione che quell'uomo che non era ricevuto, fosse il solo fra i presenti che sapesse ciò che si nascondeva sotto alla sua selvaggia gaiezza, e che questo gli procurasse un divertimento beffardo. Avrebbe graffiato con piacere anche lui. «Se posso resistere a questa riunione fino al pomeriggio,» pensò «tutte le ragazze andranno di sopra a fare un riposino per essere fresche stasera ed io rimarrò giú e riuscirò a parlare con Ashley. Certamente egli avrà notato come sono corteggiata.» Calmò il suo cuore con un'altra speranza: «Senza dubbio, dev'essere premuroso con Melania, perché dopo tutto è sua cugina e non ha corteggiatori; e se egli non si occupasse di lei, rimarrebbe a far parete.» Riprese coraggio a questo pensiero e raddoppiò i suoi sforzi in direzione di Carlo, i cui occhi neri la fissavano avidamente. Era una giornata magnifica per Carlo, una giornata di sogno, ed egli si era innamorato di Rossella senza sforzo alcuno. Dinanzi a questa nuova emozione, Gioia scompariva in una nebbia cupa: era un passero dalla voce stridula, mentre Rossella era un usignolo che gorgheggiava. Lo stuzzicava, lo favoriva, e gli rivolgeva delle domande a cui rispondeva lei stessa, sicché egli appariva intelligente senza dover dire una parola. Gli altri giovinotti erano perplessi e indispettiti da questo evidente interesse di Rossella per lui, poiché sapevano che Carlo era troppo timido per cucire assieme due parole, ed essi mettevano a dura prova la loro educazione per nascondere l'ira crescente. Tutti ardevano per quella fanciulla, e se non vi fosse stato Ashley, Rossella avrebbe goduto un autentico trionfo. Quando l'ultimo boccone di porchetta, di pollo, e di montone fu mangiato, Rossella sperò che Lydia si alzasse per dire alle signore di ritirarsi in casa. Erano le due e il sole era caldissimo; ma Lydia, stanca dopo tre giorni di preparativi per la riunione, era troppo contenta di poter stare un po' seduta sotto l'albero, parlando a voce altissima con un vecchio gentiluomo di Fayetteville, sordo come una campana. Una pigra sonnolenza discendeva sulla folla. I negri indugiavano sparecchiando le lunghe tavole su cui erano state le vivande. Le risate e le conversazioni diventavano meno animate; qua e là alcuni gruppi erano silenziosi. Tutti aspettavano dalla loro ospite il segnale che la prima parte della festa era finita. I ventagli di palma si agitavano piú lentamente, e parecchi vecchi signori lasciavano penzolare il capo per il sonno e per lo stomaco carico. Il banchetto era terminato, e tutti provavano il desiderio di riposarsi mentre il sole era alto nel cielo. In questo intervallo tra la festa della mattina e il ballo della sera tutti sembravano placidi e tranquilli. Solo i giovinotti conservavano la instancabile energia che fino a poco prima aveva animato tutti quanti. Muovendosi fra i gruppi, trascinando le parole con la loro voce dolce, erano belli come stalloni di sangue e altrettanto pericolosi. Il languore del meriggio pesava sull'elegante accolta, ma sotto a questa tranquillità si nascondevano temperamenti che potevano in un attimo balzare ad altezze straordinarie e infiammarsi con la stessa rapidità. Uomini e donne erano belli e selvaggi, tutti un po' violenti sotto le loro buone maniere, e solo in parte domati. La conversazione stava morendo, quando nella calma temporanea si udí la voce di Geraldo levarsi in accenti furibondi. A breve distanza dalle tavole, egli era al culmine di una discussione con John Wilkes. - Per la camicia di Giove! Desiderare un accordo pacifico con gli yankees! Dopo che abbiamo scacciato quei mascalzoni dal Forte Sumter? Pacifico? Il Sud mostrerà con le armi che non vuole essere insultato e che non si scinde dall'Unione per bontà di questa, ma per la propria forza! «Oh, Dio, ci siamo!» pensò Rossella. «Ora si rimane seduti qui fino a mezzanotte.» In un attimo la sonnolenza era scomparsa e qualche cosa di elettrico aveva attraversato l'aria. Gli uomini balzarono dai banchi e dalle sedie; furono braccia che si agitavano a larghi gesti e voci che proclamavano il diritto di farsi udire al di sopra delle altre. In tutta la mattina non si era parlato né di politica né di guerra perché il signor Wilkes aveva desiderato che non si annoiassero le signore. Ma ora Geraldo aveva urlato le parole «Forte Sumter» e tutti i presenti dimenticarono l'ammonimento dell'ospite. - Certo combatteremo... - Yankees ladri... - Ce ne sbarazzeremo in un mese... - Figuriamoci, un meridionale può tener testa a venti yankees... - Dargli una lezione che non dimenticheranno... - Pacifico? Ma sono loro che non ci lasciano in pace... - Avete visto come Mr. Lincoln ha insultato i nostri Commissari?... - Sí, li ha portati in giro per delle settimane, giurando che avrebbe fatto evacuare Forte Sumter!... - Vogliono la guerra: la avranno... - E sopra a tutte le voci, dominava quella di Geraldo. Tutto ciò che Rossella riusciva a udire era «Diritti di Stato, per Dio!» urlato sempre piú forte. Geraldo gongolava; ma non cosí sua figlia. Secessione... guerra... Da un pezzo queste parole erano diventate un vero incubo per Rossella; ma ora le odiava addirittura, perché il loro suono significava che ormai gli uomini sarebbero rimasti lí per delle ore a discutere; e lei non avrebbe avuto nessuna opportunità di trarre in disparte Ashley. Certamente la guerra non vi sarebbe, e gli uomini lo sapevano. Ma piaceva a loro di parlare e di ascoltarsi parlare. Carlo Hamilton non si era alzato con gli altri. Trovandosi relativamente solo con la ragazza, le si avvicinò e, con l'audacia nata dal nuovo amore, le sussurrò la sua confessione. - Miss O'Hara... io... ho già deciso che se faremo la guerra, dovrò andare nella Carolina del Sud e unirmi a quelle truppe. Si dice che il signor Wade Hampton stia organizzando uno squadrone di cavalleria e certamente io desidero andare con lui. È un grand'uomo ed era il migliore amico di mio padre. Rossella pensò: «E che cosa crede che io faccia adesso? Che gridi evviva?» L'espressione di Carlo mostrava che egli le stava rivelando i segreti del suo cuore; ma ella non seppe che cosa dirgli e si limitò a guardarlo, chiedendosi perché gli uomini sono tanto sciocchi da credere che le donne si interessano di queste storie! Egli credette che la sua espressione significasse muta approvazione e continuò rapidamente, audacemente: - Se andassi... vi dispiacerebbe, miss O'Hara? - Bagnerei di lagrime tutte le notti il mio guanciale - rispose Rossella facendo la disinvolta; ma Carlo prese le sue parole per moneta contante e arrossí di gioia. La mano di lei era nascosta fra le pieghe della sua veste; egli la cercò e la strinse, stupito della propria temerità e della condiscendenza di lei. - Pregherete per me? «Che idiota!» pensò amaramente Rossella, lanciando attorno uno sguardo furtivo, nella speranza che qualcuno venisse a salvarla da quella conversazione. - Sí o no? - Ma sí, certo, Mr. Hamilton! Almeno tre rosari per sera! Carlo si guardò attorno e irrigidí i muscoli del petto trattenendo il fiato. Erano praticamente soli; ed egli non avrebbe mai piú avuto una fortuna simile. E, anche se Domineddio gliel'avesse fatta avere, forse il coraggio gli sarebbe mancato. - Miss O'Hara... debbo dirvi una cosa... Vi... vi amo! - Hm? - fece Rossella distratta, cercando di vedere, attraverso la folla di uomini che ragionavano, se Ashley era ancora seduto ai piedi di Melania. - Sí - bisbigliò Carlo, in estasi perché ella non aveva riso, né era svenuta né aveva emesso un grido, come egli aveva sempre immaginato che ogni fanciulla dovesse fare in simili circostanze. - Vi amo! Siete la piú... la piú... - e per la prima volta in vita sua le parole non gli mancarono... la piú bella fanciulla che io abbia mai conosciuta, e la piú cara e la piú buona e la piú gentile; ed io vi amo con tutto il cuore. Non posso sperare che voi amiate uno come me, ma se voi, cara, vorrete darmi il piú piccolo incoraggiamento, io farò tutto al mondo per farmi amare da voi. Voglio... Si interruppe perché non riuscí a pensar nulla di abbastanza difficile per convincere Rossella della profondità dei propri sentimenti; quindi disse semplicemente: - Desidero sposarvi. Rossella tornò alla realtà con un sussulto, al suono della parola «sposarvi». Stava pensando al matrimonio e ad Ashley, e guardò Carlo con malcelata irritazione. Perché quel cretino col viso di vitello veniva ad annoiarla coi suoi sentimenti proprio in quel giorno in cui lei era cosí preoccupata che le sembrava di perdere il cervello? Guardò gli occhi bruni supplichevoli e non comprese affatto la bellezza del primo amore di un ragazzo timido, dell'adorazione di un ideale divenuto realtà, della felicità e della tenerezza che mettevano in quegli occhi una fiamma. Rossella era abituata agli uomini che le chiedevano di sposarla, uomini piú attraenti di Carlo Hamilton, uomini che avevano la delicatezza di non fare una domanda di matrimonio durante un convito all'aperto, mentre lei aveva da pensare a tante altre cose piú importanti. Vide soltanto un ragazzo di vent'anni, rosso come un peperone e con l'aria molto sciocca. Ebbe il desiderio di dirgli quanto era idiota. Ma automaticamente le salirono alle labbra le parole che Elena le aveva insegnato a dire in simili circostanze, e abbassando pudicamente gli occhi, per forza di abitudine, mormorò: - Mr. Hamilton, sono molto sensibile all'onore che mi fate chiedendomi di diventar vostra moglie; ma la cosa è per me talmente inattesa che non so che cosa dirvi. Era un modo grazioso di accarezzare la vanità di un uomo e di tenerlo sulla corda; e Carlo abboccò a quell'amo come se fosse nuovo ed egli fosse il primo a inghiottirlo. - Aspetterò quanto vorrete! Voglio che siate sicura di voi... Ditemi che posso sperare, miss O'Hara! - Hm - fece Rossella, i cui occhi di lince osservavano in quel momento Ashley, il quale non si era alzato per prender parte alla discussione degli uomini sulla guerra e stava sorridendo a Melania. Se questo stupido che stava cercando di ottenere la sua mano tacesse un minuto, forse le riuscirebbe di udire ciò che quei due stavano dicendo. Doveva udirlo. Che cosa diceva Melania per destare negli occhi di lui quell'espressione di interessamento? Le parole di Carlo soverchiavano le voci che ella anelava di udire. - Oh, ssst! - gli bisbigliò pizzicandogli una mano senza neanche guardarlo. Spaventato e vergognoso, Carlo arrossí al rabbuffo; poi, vedendo gli occhi di lei fissi su sua sorella, sorrise. Rossella temeva che qualcuno potesse udire le sue parole. Naturalmente era imbarazzata e timida, e l'idea che altri potessero udire la sgomentava. Carlo si sentí invadere da un'onda di mascolinità che non aveva mai provata, perché questa era la prima volta in vita sua che egli turbava una ragazza. L'emozione fu inebriante. Diede al suo volto quella che credeva essere un'espressione indifferente e prudentemente ricambiò il pizzicotto di Rossella per mostrarle che era uomo di mondo e che comprendeva e accettava il suo rimprovero. Ella non sentí neppure il pizzicotto, perché in quel momento udiva la dolce voce che costituiva il fascino principale di Melania: - Non sono d'accordo con te su Thackeray. È un cinico. E credo che non sia un signore come Dickens. «Che stupidi discorsi da fare a un uomo» pensò Rossella, pronta a ridere di sollievo. «Non è che una bas bleu, e tutti sanno che cosa pensano gli uomini delle bas bleu!» Per interessare un uomo e conservar vivo il suo interesse, bisognava parlargli di lui e poi gradatamente condurre la conversazione su se stessa... e mantenervela. Rossella si sarebbe allarmata se Melania avesse detto: «Sei straordinario!» oppure: «Come fai a pensare queste cose? Il mio cervellino scoppierebbe, se cercassi anch'io di pensarle!» Ed eccola lí, con un uomo ai suoi piedi, a parlare seriamente come se fosse in chiesa. La prospettiva apparve a Rossella piú brillante; tanto brillante che rivolse a Carlo degli occhi radiosi e un sorriso giocondo. Entusiasmato per questa prova di affetto, egli afferrò il suo ventaglio e lo richiuse con tanto ardore che ella si sentí drizzare i capelli. - Non ci avete favorito la vostra opinione, Ashley - disse Giacomo Tarleton volgendosi dal gruppo maschile vociferante; Ashley si scusò e si alzò. Nessuno era bello come lui - pensò Rossella osservando la grazia del suo atteggiamento negligente e i capelli e i baffi che il sole faceva scintillare. Anche gli uomini anziani si interruppero per ascoltare le sue parole. - Ebbene, signori miei, se la Georgia combatterà, andrò anch'io. Altrimenti perché fare parte dello Squadrone? - furono le sue parole. I suoi occhi grigi erano spalancati e la loro sonnolenza era scomparsa dando luogo a una vivezza che Rossella non aveva mai vista prima. - Ma, come il babbo, spero che gli yankees ci lasceranno in pace e che la guerra non si farà... - Alzò la mano con un sorriso, perché dai ragazzi Tarleton e dai Fontaine giungeva una babele di voci. - Sí sí, so che ci hanno insultati e che ci hanno mentito... ma se noi fossimo stati nei loro panni, come avremmo agito? Probabilmente nello stesso modo. «Eccolo, al solito» pensò Rossella. «Sempre la smania di mettersi nei panni degli altri.» Per lei, in ogni argomento non vi era che un solo lato. A volte non era punto d'accordo con Ashley. - Non ci scaldiamo troppo la testa e non cerchiamo la guerra. La maggior parte delle miserie del mondo è stata cagionata dalle guerre. E quando le guerre erano finite, nessuno sapeva piú la ragione che le aveva suscitate. Rosella arricciò il naso. Meno male che Ashley aveva una inattaccabile reputazione di coraggio; altrimenti le cose si sarebbero guastate. Mentre ella pensava questo, attorno ad Ashley si levò un clamore di voci dissenzienti e indignate. Sotto l'albero, il vecchio sordo percosse lievemente il ginocchio di Lydia. - Che c'è? - chiese. - Che stanno dicendo? - Guerra! - gli gridò Lydia nell'orecchio facendosi cornetto con la mano. - Vogliono far la guerra agli yankees! - La guerra? - gridò a sua volta il sordo cercando il suo bastone e alzandosi con maggiore energia di quanta ne avesse mostrata da anni. - Gliene parlerò io, della guerra. Vi sono stato. - Non capitava spesso a Mr. McRae l'occasione di poter parlare della guerra, perché le sue donne gli imponevano sempre il silenzio. Raggiunse rapidamente il gruppo, agitando il bastone e gridando e, siccome non udiva le voci degli altri, in breve fu padrone indisturbato del campo. - Ascoltatemi, giovani mangiatori di fuoco. Voi non potete volere la guerra. Io l'ho fatta e lo so. Quella contro i Seminoli; e fui tanto pazzo da fare anche la guerra messicana. Voialtri non sapete che cos'è la guerra. Credete che si tratti soltanto di cavalcare un bel cavallo, con le ragazze che vi gettano fiori chiamandovi eroe. Non è cosí, signori miei! Si tratta di soffrir la fame e di buscarsi polmoniti e malattie della pelle dormendo nell'umidità. E se non sono quelle, sono gli intestini che non vanno. Sí, signori; non potete immaginare che cos'è la guerra per gl'intestini degli uomini: dissenteria e cose del genere e... Le signore erano diventate rosse. Mr. McRae stava ricordando i momenti piú volgari della vita, come la nonna Fontaine con le sue sconcie flatulenze: momenti che ognuno preferiva dimenticare. - Corri a chiamare il nonno - sussurrò una delle figlie del vecchio gentiluomo a una bimba che le era accanto. - Vi assicuro - mormorò poi alle signore attorno - che va peggiorando ogni giorno. Credereste che stamattina ha detto a Maria (la quale ha solo sedici anni): «Ora, figliuola...» - e il resto della frase si perse in un sussurro, mentre la nipotina correva a cercar di indurre il nonno a tornare a sedere all'ombra. Nei gruppi che si affollavano intorno agli alberi, fanciulle che sorridevano e uomini che parlavano appassionatamente, una sola persona sembrava aver conservato la calma. Gli occhi di Rossella si volsero verso Rhett Butler che stava appoggiato a un albero con le mani sprofondate nelle tasche dei calzoni. Da quando John Wilkes si era allontanato, egli era rimasto solo e non aveva pronunciato parola mentre la conversazione si riscaldava. Le labbra rosse sotto i baffetti si increspavano e negli occhi neri passavano lampi di disprezzo divertito; come se ascoltasse delle chiacchiere infantili. «Un sorriso sgradevole» pensò Rossella. Egli continuò ad ascoltare tranquillamente, finché Stuart Tarleton, coi rossi capelli arruffati e gli occhi scintillanti, gridò: - Ce li leveremo dai piedi in un mese! I gentiluomini combattono sempre meglio della plebe. Un mese... macché, una battaglia... - Signori - interruppe senza muoversi dal suo posto Rhett Butler, con un accento strascicato che rivelava la sua nascita (Charleston) e senza togliersi le mani di tasca - posso dire una parola? Il gruppo si volse verso di lui e gli prestò ascolto con la cortesia dovuta a uno straniero. - Ha mai pensato, nessuno di voi, che non vi è una fabbrica di cannoni a sud della linea Mason-Dixon? E alle poche fonderie che vi sono nel Sud? E industrie per la lana o per il cotone o concerie? Avete mai pensato che non abbiamo una sola nave da guerra e che gli yankees possono imbottigliare i nostri porti in una settimana, sicché non potremmo piú vendere il nostro cotone all'estero? Ma... certamente avete pensato a queste cose. «Questo significa che i ragazzi sono una massa di stupidi!» pensò Rossella indignata; e il sangue le salí al volto. Evidentemente non era la sola ad aver quest'idea, perché parecchi giovinotti cominciavano a drizzar la cresta. John Wilkes lasciò il suo posto in maniera indifferente, ma avanzandosi rapidamente verso colui che aveva parlato, come per ricordare ai presenti che quell'uomo era suo ospite e che, inoltre, vi erano delle signore presenti. - Il torto di molti di noi meridionali - proseguí Rhett - è che non viaggiamo abbastanza e non approfittiamo abbastanza dei nostri viaggi. Tutti voi, certamente, avete viaggiato. Ma che cosa avete visto? L'Europa, Nuova York, Filadefia; e le signore, senza dubbio, sono state a Saratoga. - Si inchinò lievemente verso il gruppo sotto gli alberi. - Avete visto i musei, gli alberghi, i balli e le case da giuoco. E siete tornati a casa convinti che non vi fosse un altro luogo come il Sud. Quanto a me, sono nato a Charleston, ma ho passato questi ultimi anni nel Nord. - Un sorriso dei suoi denti candidi fece comprendere che egli era sicuro che tutti quanti sapevano perché egli non dimorava piú a Charleston, e non gl'importava nulla che lo sapessero. - Ho visto molte cose che voialtri non avete vedute. Migliaia di emigranti che sarebbero ben contenti di combattere per gli yankees avendone in cambio vitto e un po' di denaro; le fabbriche, le fonderie, i cantieri, le miniere di carbone e di ferro... tutte cose che noi non abbiamo. Quello che noi abbiamo è cotone, schiavi... e arroganza... In un mese ci batterebbero completamente. Un minuto di tensione silenziosa. Rhett Butler trasse dalla tasca della giubba un bel fazzoletto di lino e si spolverò distrattamente una manica. Quindi dalla folla sorse un mormorio minaccioso e da sotto gli alberi giunse un ronzio simile a quello di un'arnia disturbata. Benché Rossella sentisse ancora sulle guance il rosso calore della collera, pure qualche cosa nel suo spirito pratico le fece comprendere che quell'uomo aveva ragione e parlava con buonsenso. Infatti, ella non aveva mai visto una fabbrica né conosciuto nessuno che ne possedesse una. Ma anche se tutto ciò era vero, un gentiluomo non doveva fare queste dichiarazioni... soprattutto durante un ricevimento dove tutti si stavano divertendo. Stuart Tarleton si avanzò, con la fronte aggrottata, insieme con Brent. Senza dubbio, i gemelli erano dei ragazzi educati e non avrebbero fatto una scenata durante una riunione mondana, pur essendo provocati. Malgrado ciò, le signore erano piacevolmente eccitate, perché era ben raro, per loro, assistere a una scenata o a una lite. Di solito ne sentivano parlare di terza mano. - Che intendete dire, signore? - disse Stuart lentamente. Rhett lo guardò con occhio gentile ma beffardo. - Intendo dire che Napoleone... forse ne avete sentito parlare? dichiarò una volta «Dio è dalla parte del battaglione piú forte». - Quindi si volse a John Wilkes, con una gentilezza che non era finta: - Mi avevate promesso di mostrarmi la vostra biblioteca. Posso chiedervi il favore di mostrarmela adesso? Debbo tornare a Jonesboro piuttosto presto nel pomeriggio, a causa di un affare. Si volse fronteggiando la folla, batté i tacchi e si inchinò come un maestro di danza; un inchino grazioso in un uomo cosí forte, e insolente come un ceffone. Quindi attraversò il prato con John Wilkes, col nero capo eretto; e il suono della sua risata scoraggiante pervenne al gruppo che era rimasto presso le tavole. Vi fu un attimo di silenzio allarmato; quindi il ronzio ricominciò. Lydia si levò stancamente dalla sua sedia sotto l'albero e si avvicinò all'incollerito Stuart Tarleton. Rossella non udí le sue parole, ma l'espressione dei suoi occhi mentre ella lo fissava in volto diede una specie di rimorso alla sua coscienza. Era la stessa espressione di dedizione che aveva Melania quando guardava Ashley; ma Stuart non la vide. Dunque, Lydia lo amava. Rossella pensò che se lei non avesse civettato cosí sfacciatamente con Stuart l'anno scorso, a quella riunione politica, forse a quest'ora egli avrebbe sposato Lydia. Ma il rimorso si dileguò subito, col pensiero che dopo tutto non era colpa sua se le altre ragazze non sapevano trattenere gli uomini accanto a loro. Finalmente Stuart sorrise a Lydia, un sorriso involontario, e accennò di sí. Probabilmente Lydia lo aveva pregato di non seguire Mr. Butler e di non fare questioni. Un tumulto gentile si levò sotto agli alberi quando gli invitati si alzarono, scrollandosi dal grembo le briciole. Le signore maritate chiamarono le bambinaie e i bambini piccoli riunendo le loro covate per la partenza; gruppi di giovinette si misero in moto verso la casa, ridendo e chiacchierando, per recarsi nelle stanze da letto al piano di sopra a scambiar pettegolezzi e a fare un po' di siesta. Tutte le signore, eccetto la signora Tarleton, lasciarono l'ombra delle querce; Beatrice era trattenuta da Geraldo, da Calvert e da altri, che insistevano per aver da lei la risposta concernente i cavalli per lo Squadrone. Ashley si avviò lentamente verso il luogo ove sedevano Rossella e Carlo, con un sorriso curioso e divertito. - Un bell'arrogante, non è vero? - fece seguendo Butler con lo sguardo. - Sembra un Borgia. Rossella rifletté rapidamente, ma non ricordò nessuno della Contea o di Atlanta o di Savannah che si chiamasse cosí. - Non li conosco. È un loro parente? Chi sono? Una strana espressione si dipinse sul volto di Carlo, in cui incredulità e vergogna si trovarono a lottare con l'amore. Ma questo trionfò; egli si disse che per una ragazza bastava esser carina, dolce, e bella, anche se la sua istruzione era scarsa, e si affrettò a rispondere: - I Borgia erano italiani. - Ah, - fece Rossella disinteressandosi. - Stranieri. Rivolse ad Ashley il suo piú bel sorriso, ma egli non la guardava in quel momento. Guardava Carlo e sul volto era comprensione e un po' di compassione.

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Non riusciva a trovarne nessuna abbastanza violenta. - Rossella... vi prego... Tese la mano verso di lei e in quel momento ella lo percosse sul viso con tutte le sue forze. Nella stanza silenziosa il rumore fu come uno schiocco di frusta; e improvvisamente la sua ira scomparve lasciandole il cuore pieno di desolazione. L'impronta rossa della sua mano risaltava sul volto pallido e stanco. Egli non disse nulla, ma le prese la mano sinistra, la portò alle labbra e la baciò. Poi, prima che ella avesse potuto dire ancora una parola, uscí chiudendo piano la porta. Ella sedette di nuovo, perché la reazione le fece piegare le ginocchia. Se n'era andato e la memoria del suo viso addolorato l'avrebbe perseguitata fino alla morte. Udí il rumore attenuato dei suoi passi allontanarsi lungo il vestibolo, e l'enormità della sua azione le apparve. Lo aveva perduto per sempre. Ora egli la odierebbe, e ogni qualvolta la vedesse, si ricorderebbe che ella gli aveva dichiarato il suo amore senza essere stata menomamente incoraggiata da lui. «Sono come Gioia Wilkes» pensò all'improvviso; poi ricordò che tutti quanti, e lei piú degli altri, avevano riso con disprezzo della condotta di Gioia. Vide la goffa agitazione di Gioia e udí le sue sciocche risatine quand'era al braccio di qualche giovanotto; e questo pensiero destò in lei una nuova ira, ira contro se stessa, ira contro Ashley, ira contro il mondo. Odiando se stessa, odiava tutti quanti con la forza dell'umiliato e contrastato amore dei sedici anni. Solo una briciola di vera tenerezza era mescolata a quell'amore. In massima parte esso era composto di vanità e di compiacente fiducia nel proprio fascino. Ora aveva perduto e, piú grande del dolore della perdita, era in lei il timore di aver dato spettacolo di se stessa. La sua simpatia era stata palese? Chi sa se tutti ormai ridevano di lei? Questo pensiero la fece tremare. La sua mano si posò su un tavolino lí accanto, giocherellando con un piccolo portafiori di porcellana sul quale sorridevano due amorini. La stanza era cosí silenziosa che le venne voglia di gridare per rompere il silenzio. Doveva fare qualche cosa, altrimenti sarebbe impazzita. Prese il vasetto e lo scagliò violentemente attraverso la camera contro il caminetto. Esso oltrepassò l'alta spalliera del sofà e andò a infrangersi contro il marmo del caminetto. - Questo è troppo - disse una voce dalla profondità del divano. Nulla l'aveva mai spaventata tanto. E la sua bocca divenne troppo arida per permetterle di emettere un suono. Si afferrò alla spalliera della sedia sentendosi mancare le ginocchia, mentre Rhett Butler si alzava dal divano dov'era sdraiato e le faceva un inchino esageratamente cortese. - È già abbastanza noioso avere la propria siesta disturbata da un colloquio come quello che sono stato costretto a udire; ma perché anche la mia vita dovrebbe correre pericolo? Era proprio vero. Non era uno spettro. Ma, Dio ne guardi, egli aveva dunque udito tutto! Rossella raccolse tutte le sue forze in un tentativo di assumere una certa dignità. - Signore, avreste dovuto palesare la vostra presenza. - Davvero? - I suoi bianchi denti brillarono e i suoi audaci occhi neri risero. - Ma eravate voi l'intrusa. Io sono costretto ad aspettare Mr. Kennedy; e avendo la sensazione di essere forse individuo non grato alla società, ho avuto il tatto di allontanare la mia persona poco gradita e ritirarmi qui dove credevo di essere indisturbato. Ma ahimé! - Crollò le spalle e rise dolcemente. La collera stava ricominciando a invadere Rossella al pensiero che quell'uomo rozzo e impertinente aveva udito tutto; udito delle cose che per le quali ella avrebbe preferito esser morta piuttosto che averle pronunciate. - Spione... - cominciò furibonda. - Gli spioni odono spesso delle cose molto divertenti e istruttive - sogghignò l'uomo. - Avendo una lunga esperienza nell'origliare, posso... - Non siete un gentiluomo! - Osservazione giustissima - replicò egli allegramente. - E voi, Miss O'Hara, non siete una signora. - Sembrò trovare la cosa molto divertente, perché rise di nuovo. - Nessuna donna può considerarsi una signora dopo aver detto e fatto quello che ho udito. Però le signore hanno raramente avuto un fascino ai miei occhi. Io so ciò che esse pensano; ma esse non hanno mai il coraggio o la mancanza di educazione di dire il loro pensiero. E questo, coll'andar del tempo, diventa una noia. Ma voi, mia cara Miss O'Hara, siete una ragazza di spirito, di una spirito veramente ammirevole, ed io vi faccio tanto di cappello. Capisco benissimo quale simpatia l'elegante Mr. Wilkes può provare per una ragazza che ha la vostra natura impetuosa. Egli deve ringraziare Dio in ginocchio, perché una ragazza col vostro... Come ha detto? Con la vostra «passione di vivere», ma povera di spirito.... - Non siete degno di pulirgli le scarpe! - urlò esasperata. - E voi lo odierete tutta la vita! - Egli ripiombò a sedere sul sofà e rise. Se avesse potuto ucciderlo, Rossella lo avrebbe fatto. Invece chiamando a raccolta tutta la dignità che le fu possibile, uscí dalla stanza, sbattendo dietro di sé la porta pesante.

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- È già abbastanza scossa; quindi, che importa un ballo di piú? Forse darò la possibilità di ballare con voi agli altri giovinotti dopo che avrò ballato cinque o sei danze; ma l'ultima la voglio io. - Va bene. So che è una pazzia, ma non me ne importa. Non m'importa nulla di quello che diranno. Sono stufa di stare in casa. Voglio ballare, ballare... - E non vestir piú di nero! Detesto il crespo funereo. - Oh, non posso togliermi il lutto... Non dovete stringermi tanto, capitano. Mi fate arrabbiare. - E siete uno splendore quando vi arrabbiate. Ora vi stringo di piú... ecco... per vedere se vi adirate davvero. Non avete idea di come eravate deliziosa quel giorno alle Dodici Querce quando eravate furibonda e scagliavate gli oggetti... - Oh, vi prego... Non volete dimenticare quella giornata? - No; è uno dei miei ricordi piú preziosi... una delicata e beneducata bellezza meridionale in cui ribolle il sangue irlandese... Siete molto irlandese, sapete? - Dio mio, la musica finisce... Ecco zia Pittypat che esce dalla sala dei rinfreschi. Son certa che Mrs. Merriwether deve averglielo detto. Per carità, allontaniamoci e andiamo ad affacciarci alla finestra. Non voglio che mi fermi adesso... Ha gli occhi sgranati come se volesse divorarmi...

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Quando penso a tutti i soldati che sono in questa città, lontani dalle loro famiglie e senza amici coi quali passar la sera... e quelli ricoverati in ospedale che stanno tanto bene da poter lasciare il letto ma non abbastanza da tornare al reggimento... Sí, siamo state egoiste. Dovremmo avere attualmente tre convalescenti in casa, come tutti quanti, e qualcuno dei soldati che sono qui in servizio, a pranzo ogni domenica. Via, Rossella, non ti agitare. La gente non farà chiacchiere, quando avrà compreso. Noi sappiamo che tu amavi Carlo. Rossella era ben lontana dall'essere agitata, e le dolci mani di Melania fra i suoi capelli la irritavano. Aveva voglia di gettare indietro la testa e di gridare: «Oh, quante storie!» perché in lei era ancora vivo il ricordo di come i militi delle Guardie Nazionali, la milizia e i soldati dell'ospedale si erano disputati il piacere di ballare con lei la sera prima. Melly era la persona che meno di chiunque altro al mondo ella avrebbe voluto come difensore. Pensasse a difendere se stessa; e se quelle vecchie streghe avevano voglia di graffiare... beh, lei avrebbe fatto a meno di occuparsi di loro. C'erano al mondo troppi begli ufficiali perché valesse la pena di turbarsi per quello che dicevano quattro vecchie. Pittypat si stava asciugando gli occhi, un po' calmata dalle parole di Melania, quando Prissy entrò con una grossa lettera. - Per te, Miss Melly. Aver portato biccolo negro. - Per me? - fece Melly stupita mentre lacerava la busta. Rossella stava mangiando le sue frittelle, senza badare a nulla finché uno scoppio di pianto di Melly le fece alzar la testa e vedere zia Pittypat che si portava la mano al cuore. - Ashley è morto! - gridò la zitellona gettando indietro la testa e lasciando ricadere le braccia inerti. - Oh Dio! - esclamò Rossella sentendosi gelare il sangue. - No, no! - gridò Melania. - Presto, i sali! Via, cara, tesoro, ti senti meglio? Respira profondamente. No, non è Ashley. Mi dispiace tanto di averti spaventata; piangevo perché sono felice... - Aperse il pugno che teneva stretto e portò alle labbra qualche cosa che brillò per un attimo. Rossella vide che era un largo anello d'oro. - Sono tanto felice! - E scoppiò nuovamente a piangere. - Leggi, leggi - riprese poi indicando la lettera che era caduta a terra. - Oh, com'è caro, com'è buono! Rossella, stupita, raccolse il foglio e lesse queste righe, scritte da una ferma mano virile: «La Confederazione può aver bisogno del sangue dei suoi uomini, ma non richiede ancora quello del cuore delle sue donne. Accettate, cara signora, questo attestato di riverenza per il vostro coraggio e non crediate che esso sia stato inutile, perché questo anello è stato riscattato per dieci volte il suo valore. Capitano Rhett Butler». Melania si infilò l'anello e lo guardò con tenerezza. - Non te lo avevo detto che è un gentiluomo? - disse poi volgendosi a Pittypat, con un sorriso che brillava sul volto inondato di lagrime. - Solo un uomo pieno di delicatezza e di sensibilità poteva comprendere come mi si era spezzato il cuore... Manderò invece la mia catena. Zia Pitty, devi scrivergli un biglietto invitandolo a pranzo per domenica, perché io possa ringraziarlo. Nell'eccitazione del momento, nessuno pensò che il capitano non aveva restituito anche l'anello nuziale di Rossella. Ma ella lo notò, seccata. E sapeva che il gesto gentile del capitano non era dettato dalla sua delicatezza. Egli voleva essere invitato in casa di Pittypat e ne aveva abilmente trovato il mezzo.

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Ho abbastanza da mangiare e anche, ogni tanto, un letto da dormire. Per un soldato è anche troppo. Ma ho dei gravi pensieri, Melania, e voglio aprirti il mio cuore. «In queste notti estive spesso rimango sveglio, mentre tutto il campo dorme, e guardo le stelle chiedendomi: "perché sei qui, Ashley Wilkes? Per che cosa combatti?" «Non certamente per l'onore e per la gloria. La guerra è una brutta faccenda, e a me le cose brutte non piacciono. Non sono un soldato e non desidero cercare la fama neppure sulla bocca di un cannone. Eppure sono qui alla guerra; mentre Dio sa che non avevo mai desiderato altro che di essere uno studioso gentiluomo campagnolo. Le trombe non mi fanno bollire il sangue e i tamburi non mi eccitano; e vedo troppo chiaramente che siamo stati trascinati dalla nostra stessa arroganza meridionale, illudendoci che uno di noi potesse abbattere una dozzina di yankees, credendo che Sua Maestà il Cotone potesse governare il mondo. Illusi anche da parole, frasi, pregiudizi e odii che venivano dalla bocca di coloro che erano in alto, di quegli uomini per cui avevamo rispetto e riverenza; parole come "Sua Maestà il Cotone, Schiavismo, Diritti di Stato, maledetti yankees". «Cosí, quando sono sdraiato a guardare le stelle e mi chiedo "per che cosa combatto", penso ai Diritti di Stato, al Cotone, ai Negri, ed agli yankees che siamo stati educati a odiare; e so che nessuna di queste è la ragione per cui combatto. Invece vedo le Dodici Querce e ricordo il chiaro di luna attraverso le bianche colonne, il divino aspetto delle magnolie, e le rose rampicanti che ombreggiano il porticato anche nei pomeriggi piú ardenti. E vedo la mamma seduta a cucire come quando ero bambino. E sento i negri che tornano cantando dai campi, al crepuscolo, stanchi e pronti per la cena, e il cigolio della carrucola quando il secchio scende nel pozzo fresco e poi vedo la lunga strada verso il fiume, attraverso i campi di cotone, e la nebbia che si alza dalla pianura al tramonto. Ed è per questo che io sono qui, io che non amo la morte né la miseria né la gloria e non odio nessuno. Forse questo è quello che si chiama patriottismo: amore per la propria casa e per il proprio paese. Ma la cosa, Melania, è ben piú profonda. Perché quanto ho nominato non è che il simbolo di ciò per cui arrischio la mia vita, il simbolo del genere di vita che amo. Io combatto per i vecchi giorni, per le vecchie abitudini che amo tanto e che temo siano oramai svanite per sempre, comunque si vada a finire. Perché, vincere o perdere, noi perderemo lo stesso. «Se noi vinciamo questa guerra e abbiamo il Regno del Cotone dei nostri sogni, avremo ugualmente perduto, perché diventeremo diversi e l'antica tranquillità sarà scomparsa. Il mondo sarà alle nostre porte a chiedere il cotone e noi potremo dettare i nostri prezzi. E allora temo che diventeremo come gli yankees, di cui oggi scherniamo l'attività per far quattrini e l'abilità commerciale. E se perdiamo, Melania, se perdiamo... «Non temo il pericolo di essere preso prigioniero o ferito o anche ucciso, se la morte deve venire; ma temo che una volta finita la guerra non torneremo piú agli antichi tempi. Non so che cosa ci porterà il futuro, ma certamente non potrà essere cosí bello come il passato. Guardo i ragazzi che dormono accanto a me e mi domando se i gemelli o Alessandro o Cade hanno gli stessi pensieri. Chi sa se essi sanno che combattono per una Causa che è stata perduta fin dalla prima fucilata. Ma non credo che vi pensino; quindi saranno felici. «Non prevedevo questa vita per noi, quando ti chiesi di sposarmi. Pensavo alla vita alle Dodici Querce, tranquilla, facile, immutata, come sempre. Noi ci somigliamo, Melania, perché amiamo le stesse cose; ed io vedevo dinanzi a noi una lunga serie di anni privi di avvenimenti, dedicati a leggere, ascoltar musica e sognare. Ma non questo! Non questo sconvolgimento, questo sangue, questo odio! Né i Diritti di Stato né gli Schiavi né il Cotone meritano questo. Nulla merita ciò che ci sta accadendo e che ci può accadere, perché se gli yankees vincono, il futuro sarà di un incredibile orrore. «Non dovrei scrivere questo, e neanche pensarlo. Ma tu mi hai chiesto che cosa avevo nel cuore; ed esso è pieno del timore della disfatta. Ti ricordi al banchetto, il giorno in cui fu annunziato il nostro fidanzamento, che un certo Butler suscitò quasi una questione con le sue osservazioni sull'ignoranza dei meridionali? Ricordi che i gemelli volevano ammazzarlo perché egli aveva detto che avevano poche fonderie, poche fabbriche, poche navi, arsenali e industrie meccaniche? Ti ricordi quando disse che la flotta yankee poteva imbottigliarci cosí strettamente che noi non avremmo piú potuto mandar fuori il nostro cotone? Egli aveva ragione. Noi combattiamo contro i nuovi fucili degli yankees, coi moschetti della Guerra Rivoluzionaria; e fra poco il blocco sarà troppo stretto per lasciar entrare anche i medicinali occorrenti. Dovevano dar retta a un cinico come Butler, che sapeva, invece che ad uomini di Stato che parlavano... e ignoravano. Infatti egli disse che il Sud non aveva nulla con cui iniziare la guerra, se non cotone e arroganza. Il nostro cotone oggi non val nulla ed è rimasto soltanto ciò che egli ha chiamato arroganza. Ma secondo me questa arroganza è coraggio incommensurabile e se...» Rossella ripiegò attentamente la lettera senza terminarla e la ficcò nella busta, troppo annoiata per continuare la lettura. Inoltre il tono di quelle parole e quegli sciocchi discorsi di disfatta la deprimevano alquanto. Dopo tutto, ella non leggeva la posta per apprendere le idee poco interessanti di Ashley. Ne aveva avuto abbastanza di ascoltarle quando in altri tempi egli sedeva sotto il porticato di Tara. La sola cosa che ella desiderava conoscere era se Ashley scriveva a sua moglie delle lettere appassionate. Fino ad ora non ne aveva scritte. Ella aveva letto tutte quelle che erano nella scatola di legno e in nessuna di esse era una frase che un fratello non avrebbe potuto scrivere a sua sorella, affettuose, umoristiche, discorsive, ma non certo le lettere di un innamorato. Rossella aveva ricevuto troppe ardenti lettere d'amore per non riconoscere a prima vista l'autentica nota della passione. E questa nota mancava. Come sempre, dopo le sue segrete letture, provò un senso di profonda soddisfazione, sentendosi sicura che Ashley l'amava ancora. La stupiva che Melania non si accorgesse che suo marito le voleva bene soltanto come a un'amica. Evidentemente non si accorgeva di ciò che mancava in quei messaggi; ma Melania non aveva ricevuto altre lettere d'amore per poter fare il confronto. «Che buffe lettere!» pensò Rossella. «Se un mio marito dovesse scrivermi di queste sciocchezze, mi farei sentire. Perfino Carlo scriveva delle lettere migliori di queste.» Fece scorrere i fogli guardando le date e ricordando il loro contenuto. E nessuno di essi conteneva descrizioni di bivacchi e di cariche come quelle che Darcy Meade scriveva ai suoi parenti o il povero Dallas McLure aveva scritto alle sorelle zitellone, Fede e Speranza. I Meade e i McLure leggevano orgogliosamente queste lettere a tutto il vicinato e Rossella aveva spesso provato un segreto senso di vergogna perché Melania non aveva lettere di Ashley da leggere ad alta voce nelle riunioni di lavoro. Sembrava che nello scrivere a Melania Ashley dimenticasse la guerra e cercasse di tracciare attorno a loro due un cerchio magico fuori del tempo, scrollando lontano da sé tutto ciò che era avvenuto da quando il Forte Sumter era il discorso del giorno. Parlava di libri che egli e Melania avevano letto, di canzoni che avevano cantato, di vecchi amici, di luoghi che egli aveva visitato in Europa. E attraverso le lettere era una malinconica nostalgia delle Dodici Querce; lunghe pagine egli dedicava a rievocare le gelide stelle di un cielo autunnale; i banchetti con la porchetta arrostita, le riunioni di pesca, le quieti notti bagnate di chiaro di luna e il fascino sereno della vecchia casa. Ella ripensò alle parole di quest'ultima lettera: «non questo!» E le sembrarono il grido di un'anima tormentata dinanzi a qualche cosa che non avrebbe voluto, eppure doveva affrontare. Ma se non temeva le ferite e la morte, che cosa erano i suoi timori? Completamente priva di spirito analitico, ella scrollò da sé questo pensiero complesso. - La guerra gli dà noia... ed egli detesta le cose che lo annoiano. Per esempio, io... Mi amava, ma ebbe paura di sposarmi perché... forse temeva che io avrei turbato il suo modo di pensare e di vivere. No; neanche precisamente paura. Ashley non è vile. Non può esserlo, dal momento che è citato all'ordine del giorno e che il colonnello Sloan ha scritto a Melly una lettera di elogi per il suo valoroso contegno nel guidare le truppe all'assalto. Quando si è messo in mente di fare una cosa, nessuno è piú deciso e piú coraggioso di lui, ma... Vive dentro di sé invece di viver fuori e detesta esser trascinato nel mondo... Mah! Non capisco. Se avessi capito questo allora, sono certa che mi avrebbe sposata. Rimase un istante a stringersi le lettere al seno, pensando con nostalgia ad Ashley. I suoi sentimenti verso di lui non erano mutati dal giorno in cui se n'era innamorata. Era la stessa emozione che l'aveva ammutolita quel giorno, - aveva quattordici anni - quando sotto il portico di Tara lo aveva visto giungere a cavallo, e sorriderle coi capelli che brillavano al sole. Il suo amore era ancora l'adorazione della giovinetta per un uomo che non riusciva a comprendere; un uomo che possedeva tutte le qualità che a lei mancavano; ma che destavano la sua ammirazione. Egli era ancora il Principe Azzurro sognato da una fanciulla, la quale non chiedeva altro guiderdone per il suo amore se non un bacio. Dopo aver letto quelle lettere, ebbe la sicurezza che egli amava lei, Rossella, benché avesse sposato Melania; e questo era quasi tutto ciò che ella poteva desiderare. Era ancora giovine e intatta. Se Carlo, con la sua goffaggine e inettitudine e con la sua imbarazzante intimità, si fosse imbattuto in una delle vene profonde di passione che erano nascoste entro di lei, i sogni della giovinetta non si sarebbero limitati a desiderare da Ashley un bacio. Ma le poche notti trascorse con Carlo non avevano toccato nulla nel suo intimo né l'avevano menomamente maturata. Suo marito non le aveva fatto comprendere che cosa poteva essere la passione, la tenerezza, la vera intimità del corpo e dello spirito. La passione a lei sembrava soltanto una servitú a un'inesplicabile follia maschile, non condivisa dalle donne; qualche cosa di doloroso e di imbarazzante che era stato una sorpresa per lei, perché prima delle nozze Elena le aveva fatto comprendere che il matrimonio è una cosa che le donne debbono sopportare con dignità e fermezza; e i commenti bisbigliati dopo la sua vedovanza dalle altre donne, avevano confermato in lei quest'idea. Rossella era dunque ben contenta di non aver piú a che fare con la passione e col matrimonio. Non aveva piú a che fare col matrimonio; ma con l'amore sí, perché il suo amore per Ashley era diverso; era qualche cosa di sacro che le toglieva il respiro, un'emozione che andava crescendo durante le lunghe giornate di silenzio forzato, e si nutriva di ricordi e di speranze. Sospirò nel legare nuovamente il nastro attorno al pacchetto e nel rimetterlo a posto. Allora aggrottò le ciglia perché le venne in mente l'ultima parte della lettera, quella che riguardava il capitano Butler. Strano che Ashley fosse rimasto impressionato da ciò che quel furfante aveva detto un anno fa. Innegabilmente il capitano Butler era un furfante, ma ballava divinamente. Solo un mascalzone poteva dire quello che egli aveva detto della Confederazione quella sera alla vendita di beneficenza. Si avvicinò allo specchio e si lisciò i capelli soddisfatta di sé. Si sentí sollevata come sempre quando vedeva la sua pelle di magnolia e i suoi occhi verdi, e sorrise per far apparire le due fossette. Quindi scacciò dalla sua mente il capitano Butler, ricordando soltanto che ad Ashley le sue fossette piacevano molto. Nessun rimorso per il fatto di amare il marito di un'altra o di leggere la posta di quest'altra turbò la gioia di vedersi giovine e bella e di sentirsi sicura dell'amore di Ashley. Riaperse l'uscio e discese a cuor leggero la scala tenuta in una semioscurità che dava un senso di fresco. A metà scala cominciò a cantare: «Quando questa guerra crudele sarà finita».

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Vi sono abbastanza imbecilli che arrischiano fino all'ultimo centesimo e che usciranno dalla guerra poveri come Giobbe; non vi è nessun bisogno di me per aumentare il loro numero. Lasciate pure che abbiano l'aureola; la meritano. Vedete che sono sincero. D'altronde, l'aureola è la sola cosa che resterà loro fra uno o due anni. - Come fate a dire queste cose quando sapete che l'Inghilterra e la Francia stanno per venire in nostro aiuto... - Ma come, Rossella! Avete letto i giornali! Sono molto stupito. Non fatelo piú; è una lettura che genera confusione nel cervello delle donne. Per vostra informazione, vi dirò che sono stato in Inghilterra meno di un mese fa e posso assicurarvi che essa non ha nessuna intenzione di venire in aiuto alla Confederazione. L'Inghilterra non scommette mai sul cane o sul cavallo che è in condizioni di inferiorità; e questa è la sua forza. Inoltre, quella grassa olandese che è sul suo trono è un'anima timorata di Dio e non approva la schiavitú. È capace di lasciare che migliaia di operai delle filature muoiano di fame perché manca il cotone; ma non sparerà mai un colpo in favore dello schiavismo. Quanto alla Francia, quella pallida imitazione di Napoleone che la governa ha troppo da fare nel Messico per occuparsi di noi. Anzi benedice la guerra, perché ci impedisce di andare a scacciare dal Messico le sue truppe... No, Rossella; l'idea degli aiuti stranieri è una fola dei giornali per risollevare il morale dei nostri. La Confederazione è agli sgoccioli. Io stesso, penso di non poter continuare i miei viaggi per piú di altri sei mesi. Dopo, sarebbe troppo rischioso. E venderò le mie navi a qualche imbecille di inglese che crederà di poter fare quello che ho fatto io. Ma questo non mi preoccupa. Ho guadagnato abbastanza; e il mio denaro è nelle banche inglesi, in oro. Non voglio di questa cartaccia. Come sempre, le sue parole - che agli altri suonavano tradimento e perfidia - all'orecchio di Rossella apparivano piene di buon senso e di verità. Eppure avrebbe dovuto anche lei essere infuriata e scandalizzata; o perlomeno fingere di esserlo. Sarebbe stato un atteggiamento piú degno di una signora. - Credo che quanto ha scritto di voi il dottor Meade sia giusto, capitano Butler. Il solo modo di redimervi è arruolarvi dopo aver venduto le vostre navi. Siete di West Point e... - Parlate come un predicatore battista che tiene un discorso per reclutare degli adepti. E se io non ho nessun desiderio di redimermi? Perché dovrei combattere per difendere un sistema che mi ha scacciato? Sarò invece ben lieto di vederlo distrutto. - Non so di che sistema parliate - replicò ella sgarbata. - No? Eppure ne fate parte, come ne facevo parte io; e sono sicura che non lo amate piú di quanto lo ami io. Perché sono la pecora nera della famiglia Butler? Perché non mi sono adattato a fare tante cose che bisognava fare soltanto perché sono sempre state fatte... Cose innocenti che non bisogna fare per la stessa ragione... Cose che infastidiscono perché sono prive di senso comune... Il non aver sposato una signorina di cui avete forse sentito parlare non è stato altro, per me, che l'ultima goccia che ha fatto traboccare il calice. E perché avrei dovuto sposare una noiosa scioccherella per l'unica ragione che un incidente mi ha impedito di ricondurla a casa prima che annottasse? E perché dovevo permettere a quel selvaggio di suo fratello di ammazzarmi, se io tiravo di pistola meglio di lui? Forse, se fossi stato un gentiluomo mi sarei lasciato uccidere e questo avrebbe cancellato la macchia dal blasone dei Butler. Ma... la vita mi piace. E cosí sono rimasto vivo e mi son divertito... Quando penso a mio fratello che vive fra le sacre mucche di Charleston ed è pieno di rispetto per esse, e mi ricordo quella donna indigesta che è sua moglie e quei suoi insopportabili balli provinciali... beh, vi assicuro che riconosco che aver troncato i rapporti col sistema ha i suoi compensi. Il nostro modo di vivere negli Stati del Sud, cara Rossella, è antiquato come il sistema feudale del medioevo. Il miracolo è che sia durato tanto. Doveva finire; e siamo vicini a questo. E volete che io mi metta ad ascoltare dei predicatori come il dottor Meade e mi ecciti al rullo dei tamburi ed afferri un moschetto per andare a spargere il mio sangue per Marse Robert? Ma per che imbecille mi prendete? Baciare la mano che mi ha percosso non è nel mio stile. Fra me e il Sud, la partita è regolata. Il Sud mi ha cacciato a morir di fame; non sono morto e ho guadagnato tanto denaro su quella che sarà la morte del Sud, da compensarmi per i diritti di primogenitura che ho perduti. - Siete abbietto e venale - ritorse Rossella; ma pronunciò queste parole automaticamente. La maggior parte di quanto egli diceva le entrava in un orecchio e usciva dall'altro, come la maggior parte delle conversazioni che non erano di argomento personale. Ma alcune cose erano giuste. Tutte le sciocchezze che comporta la vita tra persone per bene! Fingere di aver sepolto il proprio cuore mentre non era vero... E veder tutti scandalizzati quella volta che aveva ballato alla festa di beneficenza! E il modo in cui la guardavano ogni volta che diceva o faceva qualche cosa di diverso da tutte le altre... Eppure, rabbrividí udendolo attaccare tutte le tradizioni che le davano maggiormente noia. Aveva vissuto per troppo tempo fra persone che dissimulavano educatamente, per non sentirsi disorientata nell'udire manifestare in parole i propri pensieri. - Venale? No; sono soltanto lungimirante. Può darsi che questo sia semplicemente sinonimo di venale. Almeno, cosí dice chi non è previdente. Qualsiasi leale confederato che avesse avuto in cassa mille dollari nel 1861 avrebbe potuto fare quello che ho fatto io; ma pochi sono stati tanto previdenti da approfittare dell'occasione. Per esempio, subito dopo la caduta del Forte Sumter e prima che si stabilisse il blocco, io comprai parecchie migliaia di balle di cotone a bassissimo prezzo e le portai in Inghilterra, dove sono ancora nei magazzini di Liverpool. Non le ho vendute fino ad ora e le terrò finché le filande inglesi ne avranno bisogno e mi pagheranno il prezzo che vorrò. Non sarei sorpreso di ottenerne un dollaro a libbra. - Avrete un dollaro a libbra quando Pasqua verrà di maggio! - Invece sono persuaso che lo avrò. Il cotone è già arrivato a due cents la libbra. A guerra finita sarò ricco, perché sono stato previdente... pardon, venale. Vi ho già detto una volta che i momenti buoni per guadagnare sono due: quando si costruisce un paese e quando lo si distrugge. Lentamente nel primo caso, rapidamente nel secondo. Ricordatevi le mie parole. Forse un giorno vi potranno servire. - Apprezzo molto i buoni consigli - rispose Rossella con tutto il sarcasmo di cui fu capace. - Ma non ne ho bisogno. Credete che il babbo sia povero? Ha già piú di quanto può occorrermi; e oltre a questo, ho l'eredità di Carlo. - Credo che gli aristocratici francesi pensassero press'a poco lo stesso fino al momento in cui salirono sul carro che li portava alla ghigliottina.

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A queste parole un mormorio si levò fra quelli abbastanza vicini per udire e la folla si agitò, pronta ad accorrere verso il Quartiere Generale. - Non andate - gridò egli drizzandosi sulla sella e agitando una mano. - Le liste sono state mandate a tutti e due i giornali e si stanno stampando. Rimanete dove siete. - Oh, capitano Butler - esclamò Melly volgendosi a lui con gli occhi pieni di lagrime. - Come siete stato buono a venircelo a dire! Quando saranno pronte? - Fra pochi minuti, signora. È già mezz'ora che le hanno ricevute. Il maggiore non ha voluto che si sapesse, finché non erano stampate, per timore che la folla facesse troppa ressa negli uffici. Oh, guardate! Una finestra della redazione si era aperta e una mano che reggeva un fascio di bozze di stampa umide d'inchiostro e con lunghe file di nomi, si sporse. La folla lottò per averle, strappandosele; quelli avanti cercando di leggere e quelli dietro spingendosi in avanti. - Tenete le redini - disse Rhett brevemente a zio Pietro, balzando a terra. Videro le sue larghe spalle emergere dalla folla mentre egli si spingeva innanzi facendosi largo brutalmente. In un attimo fu di ritorno tenendo fra le mani una mezza dozzina di bozze. Ne diede una a Melania e distribuí le altre fra le signore piú vicine: le signorine McLure e le signore Merriwether, Meade, Elsing. - Presto, Melly - gridò Rossella col cuore in gola, esasperata nel veder che le mani di Melly tremavano talmente che le era impossibile leggere. - Prendila tu - sussurrò Melania; e Rossella le strappò il foglio. Il W. Dov'era il W? Oh, proprio in fondo e tutto imbrattato. - White... - lesse; e la sua voce tremò. - Wilkins... Zebulon... Non c'è, Melly!... Non c'è!... Per carità, zia! Melly, i sali! Sorreggila! Melly, piangente di felicità, sorresse il capo di Pitty tenendole i sali sotto al naso. Rossella l'abbracciò dall'altra parte, col cuore che le danzava di gioia. Ashley era vivo. Neanche ferito. Com'era stato misericordioso il buon Dio! Come... Udí un gemito e volgendosi vide Fanny Elsing col capo sul seno di sua madre; la lista dei colpiti era caduta sul pavimento della carrozza; vide le labbra della signora Elsing tremare mentre stringeva la figlia tra le braccia e diceva piano al cocchiere: - A casa. Presto. - Rossella diede una rapida occhiata alla lista. Ugo non era tra i feriti. Fanny doveva avere avuto un innamorato che era morto. La folla si aperse con simpatia per lasciar passare la carrozza degli Elsing, seguita dal legnetto delle ragazze McLure. La signorina Fede guidava, col viso impietrito; e sua sorella, seduta accanto a lei, era rigida e si teneva attaccata alla sua gonna. Sembravano due vecchie. Il loro giovine fratello Dallas era il loro tesoro e l'unico parente maschio che avessero al mondo. E Dallas era morto. - Melly! Melly! - gridò Maribella con voce gioiosa. - Renato è salvo! E anche Ashley! Oh, ringraziamo Dio! - Lo scialle le era scivolato giú dalle spalle, sicché la sua gravidanza era visibilissima; ma questa volta né lei né sua madre vi fecero caso. - Mrs. Meade! Renato... - Ma la sua voce mutò istantaneamente. - Guarda, Melly, Oh, Mrs. Meade, per carità! Forse Darcy... La signora Meade aveva il capo chino e non lo risollevò udendo pronunciare il proprio nome; ma il volto del piccolo Phil accanto a lei era un libro aperto in cui ognuno poteva leggere. - Mamma, mamma, ti supplico... - continuava a ripetere smarrito. La signora Meade alzò gli occhi e incontrò lo sguardo di Melania. - Ora non avrà piú bisogno delle scarpe - disse piano. - Dio, Dio! - singhiozzò Melania appoggiando zia Pitty sulla spalla di Rossella e balzando dalla sua carrozza per accorrere verso quella in cui si trovava la moglie del dottore. - Mamma, ti rimango io - mormorò Phil in un disperato sforzo di confortare la donna dal volto pallido e impietrito. - E se mi lasci andare, ucciderò tutti gli yank... La signora Meade gli afferrò il braccio come per trattenerlo: - No! - disse con voce strozzata come se stesse soffocando. - Taci, Phil! - impose Melania salendo e abbracciando la povera madre. - Credi che sia consolante per lei il pensiero che anche tu possa cadere? A casa, presto! - ordinò poi; e mentre Phil raccoglieva le redini si volse a Rossella. - Appena avrai riaccompagnato a casa la zia, vieni da Mrs. Meade. Capitano Butler, potete andare ad avvertire il dottore? È all'ospedale. La carrozza si mosse attraverso la folla che si andava diradando. Alcune donne piangevano di gioia; ma le altre sembravano troppo sbalordite per rendersi completamente conto della sventura che le colpiva. Rossella chinò la testa a guardare la lista, scorrendola velocemente per trovarvi i nomi di conoscenti. Ora che Ashley era salvo, poteva pensare agli altri. Dio, com'era lunga quella lista! E quante persone di Atlanta, della Georgia! Dio benedetto! - Calvert... Roberto, luogotenente. Roby! - A un tratto ricordò il giorno, cosí lontano, in cui erano scappati di casa, ma al cader della notte erano tornati perché avevano fame e il buio li spaventava. - Fontaine... Giuseppe, soldato semplice. - Il piccolo Joe, cosí irritabile! E Sally che aveva appena avuto il bambino! - Munroe... Lafayette, capitano. - Il fidanzato di Catina Calvert. Povera Catina! Doppia perdita: il fratello e il futuro sposo... Ma la perdita di Sally era anche maggiore: il fratello e il marito. Aveva quasi paura di continuare a leggere.. Certo... certo doveva esservi errore. Non potevano esservi tre «Tarleton» nella lista. Forse lo stampatore frettoloso... Ma no. Ecco. - Tarleton... Brenton, luogotenente. Tarleton... Stuart, caporale. Tarleton... Tommaso, soldato. - E Boyd, morto nel primo anno di guerra, era sepolto Dio sa dove, nella Virginia. Tutti i ragazzi Tarleton. Tom e i due indolenti gemelli che amavano tanto chiacchierare e giocare; e Boyd che aveva la grazia di un maestro di danza e la lingua di una vespa. Non poté leggere oltre. Impossibile vedere se qualche altro di quei ragazzi coi quali era cresciuta e aveva ballato, civettato, scambiato qualche bacio, era nella lista. Avrebbe voluto piangere, liberarsi dalle dita d'acciaio che le stringevano la gola. - Mi dispiace, Rossella. - Era la voce di Rhett. Ella alzò gli occhi. Aveva dimenticato la sua presenza. - Molti dei vostri amici? Ella annuí e tentò di parlare. - Quasi tutte le famiglie della Contea e... tutti e tre i ragazzi Tarleton. Il volto di lui era tranquillo, quasi cupo; nei suoi occhi non vi era ombra di scherno. - E non è ancora finita - disse. - Queste sono le prime liste e sono incomplete. Domani ve ne sarà una piú lunga. - Abbassò la voce per non farsi udire dalle carrozze vicine. - Rossella, il generale Lee deve aver perduto la battaglia. Ho sentito dire al Quartier Generale che si è ritirato nel Maryland. Ella alzò gli occhi sgomenta; ma il suo spavento non dipendeva dalla notizia della disfatta di Lee. Un'altra lista domani! Domani. Non aveva pensato a questo, felice soltanto che il nome di Ashley non fosse fra quelli che aveva dinanzi agli occhi. Domani. Forse in questo momento poteva esser morto, e lei non lo saprebbe che domani. O forse, fra una settimana. - Ma perché, Rhett, si fanno le guerre? Sarebbe stato meglio che gli yankees avessero pagato per i negri... o che noi li avessimo liberati, piuttosto che far succedere questo! - Non si tratta dei negri, Rossella. Quello non è che un pretesto. Le guerre vi sono state sempre perché gli uomini amano la guerra. Le donne no, ma gli uomini... sí, più di quanto non amino le donne. La sua bocca si piegò al sorriso consueto. Egli sollevò il largo cappello di panama. - Arrivederci. Vado a cercare il dottor Meade. È un'ironia della sorte che proprio io vada a dargli la notizia della morte di suo figlio; ma forse non se ne accorgerà neppure. Piú tardi, probabilmente troverà orribile pensare che uno speculatore abbia recato la notizia della morte di un eroe.

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Era abbastanza irlandese da credere alla chiaroveggenza, specialmente quando si trattava di morte; e vide nei suoi occhi grigi una tristezza sconfinata che interpretò come quella di un uomo che sente sulla sua spalla il tocco della mano gelida. - Non dovete dir questo! Neanche pensarlo! Porta disgrazia, parlare della morte! Dite una preghiera, presto! - Ditela voi per me e accendete qualche cero - rispose egli sorridendo del terrore che era nella voce di lei. Ma ella non poté replicare: dinanzi ai suoi occhi si dipingevano i quadri piú spaventosi: Ashley morto tra le nevi della Virginia, lontano da lei. Egli continuò a parlare e nella sua voce era una malinconia è una rassegnazione che aumentarono il suo terrore e la sua delusione. - Non so che cosa sarà di me, Rossella, o di noi. Ma quando giungerà la fine, io sarò troppo lontano da qui, anche se sarò vivo, per potere aver cura di Melania. - La... la fine? - La fine della guerra... e la fine del mondo. - Ma non penserete, Ashley, che gli yankees possano batterci?! In questa settimana non avete parlato d'altro che della forza e dell'abilità del generale Lee... - Ho mentito, come tutti quanti quando sono in licenza. Perché spaventare Melania e zia Pitty senza bisogno? Sí, Rossella, credo che gli yankees ci batteranno. Gettysburg è stato il principio della fine. Molti ignorano... Ma sono tanti gli uomini scalzi, Rossella; e c'è tanta neve adesso in Virginia. E quando vedo quei poveri piedi congelati avvolti in vecchi stracci o in pezzi di sacco, e vedo le impronte sanguinose che lasciano nella neve... e so che io ho delle scarpe... ebbene, mi pare che dovrei gettarle via e andare anch'io scalzo. - Oh, Ashley, promettetemi di non darle via! - Quando vedo queste cose... vedo la fine di tutto. Gli yankees stanno reclutando soldati in Europa a migliaia! La maggior parte dei prigionieri che abbiamo preso ultimamente non sanno neanche una parola d'inglese. Sono tedeschi, polacchi, o irlandesi che parlano gaelico. Ma quando noi perdiamo un uomo, non si può sostituirlo. E quando le nostre scarpe sono consumate, non ve ne sono altre. Siamo imbottigliati, Rossella. E non possiamo lottare contro tutto il mondo. Ella pensò: «crolli la Confederazione, finisca il mondo, purché tu non muoia! Non potrei vivere se tu morissi!» - Spero che non ripeterete ciò che vi ho detto, Rossella. Non voglio allarmare gli altri. E non avrei voluto spaventare neanche voi; ma ho dovuto spiegarvi perché vi chiedevo di aver cura di Melania. È debole mentre voi siete cosí forte, Rossella! Sarà un conforto per me pensare che qualunque cosa possa accadermi, voi due siete insieme. Me lo promettete? - Oh sí! - ella esclamò, perché in quel momento, vedendogli la morte accanto, avrebbe promesso qualunque cosa. - Ashley, Ashley, non posso lasciarvi partire! Non posso aver tanto coraggio! - Dovete averlo - replicò egli; e la sua voce mutò. Era piú sonora, piú profonda, e le sue parole sgorgarono rapide. - Dovete essere coraggiosa. Altrimenti, come potrei resistere? Gli occhi di lei cercarono il suo volto con gioia, perché ella credeva di comprendere che la separazione da lei gli spezzava il cuore. Il volto di lui era cupo come quando era sceso dalla camera di Melania, ma nei suoi occhi ella non riuscí a decifrare nulla. Egli si chinò un poco, le prese il volto fra le mani, la baciò lievemente in fronte. - Rossella, Rossella! Siete cosí bella, forte e buona. Bella non per il vostro visino cosí dolce, ma per tutta voi stessa, per il vostro spirito e la vostra anima. - Oh Ashley - bisbigliò Rossella felice delle sue parole e commossa nel sentirsi le sue mani sul volto - nessun altro mi ha mai... - Mi piace credere che forse vi conosco meglio degli altri e vedo le belle cose nascoste entro di voi e che altri, troppo frettolosi osservatori, non sanno scorgere. Si interruppe lasciando ricadere le mani, ma continuando a fissarla. Ella rimase un istante, col respiro affannoso, attendendo le due parole magiche. Ma queste non vennero. Questo secondo crollo delle sue speranze fu più di quanto il suo cuore potesse sopportare. Ella sedette, con un «oh!» di disperazione infantile sentendo le lagrime che le pungevano gli occhi. E in quella udí nel viale d'accesso un rumore che la riempí di terrore. Era la carrozza che zio Pietro conduceva dinanzi alla porta per accompagnare Ashley al treno. - Addio - mormorò piano Ashley. Prese dalla tavola il feltro a larghe tese che essa si era procurato facendo delle moine a Rhett e si avviò per il vestibolo semibuio. Con la mano sulla maniglia della porta si volse, e la fissò con uno sguardo lungo, disperato, come se avesse voluto portar via con sé tutti i particolari del suo volto e della sua figura. Attraverso una nebbia di lagrime ella scorse il suo viso e, con uno strazio che la soffocava, sentí che egli se ne andava, lontano da lei, lontano dal rifugio sicuro della sua casa, fuori dalla sua vita, forse per sempre, senza aver detto le parole che ella anelava di udire. Il tempo era passato ed ora era troppo tardi. Ella corse attraverso il salotto ed afferrò i lembi della sua sciarpa. - Baciatemi - gli disse in un soffio. - Baciatemi per dirmi addio. Le sue braccia la circondarono dolcemente ed egli si curvò sul suo visino. Al primo contatto delle loro labbra, le braccia di lei si avvolsero freneticamente al suo collo. Per un attimo incommensurabile, egli strinse al suo il corpicino di lei. Quindi ella sentí i suoi muscoli irrigidirsi; e, lasciando cadere a terra il cappello, egli staccò vivamente le morbide braccia dal suo collo. - No, Rossella, no - disse a bassa voce serrandole i polsi in una stretta che le fece male. - Vi amo - bisbigliò lei soffocando. - Vi ho sempre amato. Non ho mai amato nessun altro. Sposai Carlo per... farvi dispetto. Oh, Ashley, vi amo tanto che verrei nella Virginia... a pulirvi le scarpe e cucinare per voi e strigliare il vostro cavallo... Ashley, dite che mi amate! Vivrò di queste parole fino al mio ultimo giorno! Egli si chinò rapidamente a raccogliere il suo cappello, ed ella scorse di sfuggita il suo viso: il piú infelice che ella avesse mai visto, ma da cui era scomparso ogni senso di distanza. La sua espressione rivelava il suo amore per lei, e la sua gioia che anche lei lo amasse, ma tutto ciò in un misto di vergogna e di disperazione. - Addio - disse con voce rauca. La porta si aperse e un soffio di vento freddo entrò in casa, agitando le cortine. Rossella rabbrividí vedendolo correre verso la carrozza, con la sciabola che brillava al pallido sole invernale e la sciarpa che ballonzolava gaiamente sul suo fianco.

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Dalton era abbastanza lontana, e da tre anni si era ormai abituati al fatto che ci si battesse nel Tennessee; il campo di battaglia era quasi tanto lontano come la Virginia o il Mississippí. Si aggiunga che fra Atlanta e gli yankees vi era il generale Johnston, il piú grande di tutti - dopo il generale Lee - ora che Stonewall Jackson era morto. Il dottor Meade espose questo punto di vista una sera, sulla veranda della casa di zia Pitty, e fu ascoltato con emozione diversa, perché tutti coloro che sedevano nelle poltrone di vimini osservando, alla luce del crepuscolo, le prime lucciole della stagione che volavano come magici focherelli tra le piante, avevano un peso sul cuore. La signora Meade, con una mano sul braccio di Phil, sperava che suo marito avesse ragione, perché se la guerra si avvicinava, il suo Phil dovrebbe andare. Aveva sedici anni, oramai, ed era nella Guardia Nazionale. Fanny Elsing, pallida e con gli occhi cerchiati dopo la sconfitta di Gettysburg, cercava di distogliere la mente dal quadro che la torturava da allora: il luogotenente McLure morente in un carro traballante, trainato da buoi, durante la lunga, terribile ritirata nel Maryland. Il braccio ferito del capitano Carey Ashburn aveva ricominciato a dolere; inoltre il capitano era depresso al pensiero che la corte che egli faceva a Rossella fosse arrivata a un punto morto. La situazione era immutata da quando era giunta la notizia della cattura di Ashley, benché egli non si accorgesse del rapporto fra i due avvenimenti. Rossella e Melania pensavano tutt'e due ad Ashley, come sempre quando un lavoro urgente o la necessità della conversazione non le distoglieva da quel pensiero. Rossella diceva fra sé: «Dev'essere morto, altrimenti avrebbe fatto sapere qualche cosa.» E Melania, cercando di far tacere il terrore che la tormentava continuamente, pensava: «Non può esser morto. Ne sono certa. Se fosse morto, lo sentirei.» Rhett Butler sedeva nell'ombra, con le gambe accavallate, il volto imperscrutabile. Fra le sue braccia dormiva tranquillamente Wade, con un ossicino accuratamente pulito - uno di quegli ossicini curvi che portano fortuna - stretto nella piccola mano; Rossella permetteva sempre al piccolo di rimanere alzato quando veniva Rhett, perché il timido bimbo aveva molta simpatia per lui e anche Rhett, per quanto la cosa fosse strana, sembrava gli volesse bene. Quanto a zia Pitty, essa cercava nervosamente di reprimere le manifestazioni del suo stomaco, avendo mangiato a cena un indigesto arrosto di gallo. Era stato deciso il sacrificio del vecchio volatile e Pitty aveva voluto invitare un certo numero di amici, che certamente non mangiavano pollo da un pezzo. Melania, che era nel quinto mese e non usciva né riceveva, fu sgomenta all'idea di avere degli invitati. Ma Pitty, che riteneva un atto di egoismo mangiare il pollo da sola, fu, per una volta tanto, irremovibile. Melania non dovrebbe fare altro che mettere la crinolina un po' piú in alto; nessuno vedrebbe nulla. - Ma zia, non ho voglia di veder gente quando Ashley... - Non è come se Ashley... fosse scomparso per sempre. - E la voce di Pitty tremò, perché in cuor suo ella era convinta che Ashley fosse morto. - È vivo come te; e un po' di distrazione ti farà bene. Inviterò anche Fanny Elsing; sua madre mi ha pregato di fare qualche cosa per cercar di distrarla... - Ma è una crudeltà, zia, costringerla... - Basta, Melly; se discuti ancora mi metto a piangere. Sono tua zia e so quello che faccio. E voglio aver degli amici a cena. Cosí zia Pitty invitò i suoi amici; e, all'ultimo momento, un ospite non atteso e non desiderato si presentò. Proprio mentre l'odore dell'arrosto riempiva tutta la casa, Rhett Butler, di ritorno da uno dei suoi misteriosi viaggi, bussò alla porta, portando sotto al braccio una scatola di dolci e fornito dei suoi soliti complimenti a doppio taglio. Non si poteva fare a meno di pregarlo di rimanere, benché Pitty sapesse come la pensavano il dottore e sua moglie sul suo conto, e come era aspra Fanny verso chiunque non fosse in uniforme. Né i Meade né gli Elsing lo avrebbero salutato per istrada; ma in casa d'altri, naturalmente, dovevano esser cortesi con lui. D'altronde egli era adesso, piú che mai, sotto la protezione della fragile Melania. Dopo che era riuscito a procurarle notizie di Ashley, ella aveva dichiarato pubblicamente che la sua casa gli era aperta finché viveva, checché gli altri dicessero contro di lui. Le apprensioni di Pitty si calmarono quando essa vide che Rhett si comportava benissimo. Egli si dedicò a Fanny con tale deferenza che riuscí perfino a ottenerne un sorriso, e la cena si svolse regolarmente. Fu una specie di festino: il capitano Ashburn aveva portato un po' di tè che aveva trovato nella borsa da tabacco di un prigioniero yankee, e ognuno ne ebbe una tazza che sapeva lievemente di tabacco. A ciascuno spettò anche un pezzetto del vecchio volatile arrostito, con un discreto contorno di meliga cotta con le cipolle; una scodella di piselli secchi, e un bel piatto di riso al sugo, quest'ultimo un po' acquoso per mancanza di farina. Per finire, una torta di patate dolci, e i dolci di Rhett; e quando questi tirò fuori dei veri sigari d'Avana per gli uomini, costoro dichiararono, mentre bevevano un bicchierino di liquore di more, che era stato veramente un banchetto luculliano. Quando gli uomini raggiunsero le signore sotto al porticato, la conversazione volse sulla guerra. Del resto, era ciò che accadeva sempre: qualsiasi discorso, gaio o triste, finiva a cadere sulla guerra. Romanzi di guerra, matrimoni di guerra, morti all'ospedale o al campo, incidenti di battaglie e di marcia, temerità, vigliaccheria, allegria, tristezza, privazioni, speranze. Sempre, sempre speranze; speranze inesauste, nonostante le batoste dell'estate precedente. Quando il capitano Ashburn annunciò che aveva chiesto ed ottenuto il trasferimento da Atlanta al reggimento che era a Dalton, le signore baciarono con gli occhi il suo braccio rigido e, nascondendo la loro fiera emozione, dichiararono che non poteva andare, perché non avrebbero altrimenti avuto piú nessuno per far loro la corte. Il giovine Carey fu divertito e confuso da queste dichiarazioni da parte di signore anziane come la signora Meade e zia Pitty e sperò che, fra le giovani, Rossella fosse sincera. - Oh, tornerà presto - affermò il dottore mettendogli un braccio sulla spalla. - Vi sarà solo qualche scaramuccia e gli yankees indietreggeranno nel Tennessee. E allora, ci sarà il generale Forrest che ci penserà! Voialtre, signore, non dovete aver paura, perché il generale Johnston ha stabilito fra le montagne un baluardo di ferro. Sí, un baluardo di ferro. Sherman non riuscirà mai a passare. Non potrà sloggiare il vecchio Joe. Le signore sorrisero approvando. Solo Rhett parlò. Non aveva piú detto una parola, dopo la cena, ed era rimasto ad ascoltare i discorsi degli altri, con la testa del bimbo appoggiata alla sua spalla. - Ho sentito dire che Sherman ha piú di centomila uomini, ora che gli sono giunti i rinforzi. - Ebbene? - replicò brevemente il dottore a cui solo il rispetto dovuto alla casa di Pitty vietava di mostrare apertamente i suoi sentimenti di antipatia. - Mi pare che il capitano Ashburn abbia affermato recentemente che il generale Johnston ne ha solo quarantamila, contando fra questi anche i disertori incoraggiati a tornare dall'ultima vittoria. - Signore - fece indignata la signora Meade - nell'esercito confederato non vi sono disertori. - Domando scusa - replicò Butler inchinandosi beffardamente. - Intendevo parlare di quelle migliaia che erano in licenza e dimenticarono di raggiungere i loro reggimenti e di quelli che sono guariti delle loro ferite da sei mesi ma rimangono a casa ad occuparsi dei loro affari. La signora Meade si morse le labbra. Rossella avrebbe riso volentieri della sua sconfitta, perché Rhett aveva colpito il bersaglio. Vi erano in realtà centinaia di uomini appiattati nelle montagne e nelle paludi e che sfidavano la Guardia Nazionale a costringerli a tornare in servizio. Alcuni dichiaravano che la guerra era uguale «per i ricchi e per i poveri» e che loro avevano fatto abbastanza. E vi erano coloro che, pur essendo portati sui ruoli come disertori, non avevano intenzione di disertare permanentemente; gente che da tre anni non aveva mai avuto una licenza, mentre ricevevano da casa lettere che dicevano: «Abbiamo fame. Non c'è raccolto perché non c'è nessuno per arare i campi e seminare». E il coro era sempre lo stesso: «abbiamo fame, fame, fame». Quando a costoro fu rifiutata la licenza, essi andarono a casa facendone a meno, per arare i loro campi e seminarli, per riparare le loro case e riattare le siepi. Gli ufficiali, comprendendo la situazione, scrissero allora a quegli uomini che se avessero raggiunto le loro compagnie, nessuno avrebbe detto loro nulla. E generalmente i soldati tornavano, dopo aver fatto sí che per qualche mese le loro donne e i loro bambini avessero da sfamarsi. Queste licenze «per arare» non erano considerate come «diserzione di fronte al nemico», ma indebolivano ugualmente l'esercito. Il dottor Meade si affrettò a interrompere la pausa di disagio che aveva seguito le parole di Butler. - La differenza numerica fra i due eserciti non ha mai avuto importanza, capitano Butler. Un confederato vale una dozzina di yankees. - Questo era vero prima della guerra - ribatté Butler. - E forse è ancora vero, purché il soldato confederato abbia munizioni per il suo fucile, scarpe ai piedi e cibo nello stomaco. Non è cosí, capitano Ashburn? La sua voce era dolce e piena di speciosa umiltà. Carey Ashburn si sentí a disagio. Egli pure aveva antipatia per Rhett e si sarebbe schierato volentieri col dottore; ma non poteva mentire. La ragione per cui aveva chiesto di tornare al fronte, malgrado il suo braccio invalido, era perché, a differenza dei borghesi, si rendeva conto della difficoltà della situazione. Altri uomini con una gamba di legno, ciechi da un occhio, senza un braccio o mutilati di una mano, avevano chiesto di lasciare i commissariati, i servizi ospedalieri, postali o ferroviari per raggiungere le loro unità combattenti. Sapevano che il Vecchio Joe aveva bisogno di tutti gli uomini, anche poco validi. Non rispose; e il dottor Meade, perdendo il controllo, tuonò: - I nostri uomini hanno combattuto senza scarpe e senza cibo e hanno vinto! E combatteranno e vinceranno ancora! Vi ho detto che Johnston non può essere sloggiato! I passi delle montagne sono sempre stati la difesa piú sicura di un paese. Ricordatevi... le Termopili! Rossella cercò di ricordarsi che cosa volesse dire quella parola, ma non vi riuscí. - Morirono tutti, fino all'ultimo, non è vero? - chiese Rhett, con le labbra impercettibilmente stirate da un riso represso. - Mi state insultando, giovinotto? - Dio me ne guardi, dottore! Mi fraintendete! Ho chiesto solo per informazione. Non ho molta memoria per la storia antica. - Se sarà necessario, il nostro esercito morirà fino all'ultimo uomo prima di permettere agli yankees di entrare in Georgia - ribatté il dottore con aria di sfida. - Ma non sarà necessario. Li scacceranno dalla regione con qualche scaramuccia. Vedendo che la conversazione rischiava di degenerare, zia Pitty si alzò in fretta e pregò Rossella di suonare e cantare qualche cosa. Aveva preveduto che invitando Rhett a cena avrebbe avuto qualche noia. Succedeva sempre cosí, quando egli era presente. Dio, Dio, ma che cosa trovava Rossella in quell'uomo? E Melania, perché lo difendeva sempre? Rossella rientrò in salotto e nel porticato fu un silenzio denso di risentimento contro Rhett. Credere nell'invincibilità del generale Johnston era un dovere; ma chi era tanto traditore da non credere, doveva almeno avere il buon senso di tacere. Rossella trasse qualche accordo, quindi la sua voce si levò, dolce e triste, nelle parole di una canzone popolare. «In una corsia dalle pareti imbiancate ove giacciono morti e moribondi... - feriti di baionetta, di proiettili, di schegge - in un giorno lontano nacque una creatura. «Una creatura cara a qualcuno giovine e coraggioso!, che aveva ancora sul volto pallido e dolce - fra poco celato nella polvere della tomba - la luce languida della sua grazia adolescente.» - «I riccioli d'oro sono opachi e impolverati...» - continuò malinconicamente Rossella con la sua voce di soprano un po' tremula; ma Fanny si levò a metà esclamando con voce debole e soffocata: - Canta un'altra cosa! Il piano tacque a un tratto; Rossella era rimasta stupita e confusa. Quindi si affrettò ad accennare alle battute d'introduzione di «Tunica grigia», ma si fermò all'improvviso, ricordando che anche questa canzone era troppo descrittiva. Inutile: tutte le canzoni parlavano di morte, di separazione, di dolore. Rhett si alzò in fretta, depose Wade nel grembo di Fanny ed entrò rapidamente nel salotto. - Suonate «La mia vecchia casa nel Kentucky» suggerí piano; e Rossella ubbidí, riconoscente. Alla sua voce si uní l'ottimo basso di Rhett, e quando essi cominciarono la seconda strofa, quelli che erano rimasti nel portico respirarono piú liberamente, benché anche quella non fosse una canzone eccessivamente gaia. «Ancora pochi giorni, per trasportare il pesante fardello! Impossibile renderlo piú leggero! Ancora pochi giorni, finché vacilleremo sulla strada... e poi, mia vecchia casa del Kentucky, buona notte!»

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Si sperava che almeno il generale riuscisse a fermare gli yankees sulla riva opposta del fiume, benché questo fosse abbastanza vicino: soltanto a sette miglia! Ma Sherman valicò il fiume a monte e le file dei grigi furono costrette ad attraversare l'acqua gialla e a gettarsi di nuovo tra gli invasori e Atlanta. Ripararono in trincee frettolosamente scavate a nord della città, nella valletta del Fiumicello del Pesco. Atlanta era angosciata dallo spavento. Combattere e ripiegare! Combattere e ripiegare! E ogni ritirata portava gli yankees piú vicini alla città. Il Fiumicello del Pesco era solo a cinque miglia. Ma che cosa aveva in mente il generale? Il grido «dateci un uomo che resista e combatta!» penetrò fino a Richmond. Richmond sapeva che Atlanta era perduta, la guerra perduta; e dopo che l'esercito ebbe attraversato il fiume Chattahoochee, il generale Johnston fu esonerato dal comando. Questo fu affidato al generale Hood, uno dei suoi comandanti, e la città respirò sollevata. Hood, quel gigante del Kentucky con la barba fluttuante e gli occhi ardenti, non avrebbe indietreggiato! Aveva la reputazione di un bull-dog. E certo riporterebbe l'esercito sulle antiche posizioni e da queste sulla strada che andava a Dalton. Ma l'esercito gridò: «Ridateci il Vecchio Joe!» perché con lui aveva fatto tutta la tremenda ritirata ed essi sapevano gli ostacoli che avevano superati e che i borghesi ignoravano. Sherman non attese che Hood si preparasse all'attacco. L'indomani del mutamento di comando, il generale yankee piombò velocemente sulla cittadina di Decatur, a sei miglia al disotto di Atlanta, se ne impadronì e tagliò la strada ferrata. Era quella che collegava Atlanta con Augusta, Charleston, Wilmington e con la Virginia. Il colpo inferto alla Confederazione era violento. Ora Atlanta gridava il suo desiderio di agire; era tempo! E in un pomeriggio di luglio, con un caldo soffocante, Atlanta realizzò il proprio desiderio. Il generale Hood fece piú che resistere: egli assalí gli yankees al Fiumicello del Pesco, lanciando i suoi uomini fuori dalle trincee verso le linee turchine dove i soldati di Sherman erano il doppio di loro. Sgomenti, pregando Dio che l'attacco di Hood fosse efficace, tutti ascoltavano il rombo del cannone e il crepitio delle migliaia di fucili che, benché lontani dieci miglia, sembrava sparassero nella strada accanto. Vedevano il fumo fermarsi come nuvole pesanti al di sopra degli alberi; ma per parecchie ore nessuno seppe l'esito della battaglia. Sul tardo pomeriggio vennero le prime notizie, incerte, contradittorie, spaventose. Erano recate dagli uomini feriti nelle prime ore, che giungevano a gruppi, i meno gravi sorreggendo quelli che stentavano a muoversi. In breve fu un'affluenza di individui doloranti che si avviavano agli ospedali, coi visi neri di polvere da sparo, sudore e polvere della strada, con le ferite non fasciate, perdenti sangue, accompagnati da sciami di mosche. Quella della zia Pitty era una delle prime case a cui i disgraziati giungevano; uno dopo l'altro si afferravano al cancello e cadevano sul prato gemendo: - Acqua! Tutto il pomeriggio la famiglia di Pitty, bianchi e negri, rimase al sole, con secchi d'acqua e bende, a porger da bere, a fasciare ferite, finché non ebbero piú bende; e anche le lenzuola tagliate a strisce e gli asciugamani furono esauriti. Zia Pitty aveva completamente dimenticato che la vista del sangue la faceva svenire e lavorò finché i suoi piedini nelle scarpe troppo strette si gonfiarono e rifiutarono di continuare a sorreggerla. Perfino Melania, ormai grossa, dimenticò la sua pudicizia e lavorò febbrilmente accanto a Rossella, Prissy e la cuoca, col viso angosciato come quello dei feriti. Quando finalmente svenne, non si seppe dove coricarla, se non sulla tavola di cucina, perché ogni letto, divano, poltrona della casa era occupato da qualche ferito. Dimenticato in quella confusione, il piccolo Wade, afferrato alla ringhiera della scala, guardava attraverso le sbarre come un coniglio spaventato, succhiandosi un dito e singhiozzando con gli occhi dilatati dal terrore. Una volta Rossella lo vide e gridò aspramente: - Vai a giocare nel cortile di dietro, Wade! - Ma il bimbo era troppo affascinato e terrificato dalla scena spaventosa, che si svolgeva dinanzi ai suoi occhi, per ubbidire. Il prato era coperto di uomini abbattuti, troppo stanchi per camminare ancora, troppo indeboliti dal sangue perduto per potersi muovere. Zio Pietro li caricava a gruppi nella carrozza per portarli all'ospedale, facendo un viaggio dopo l'altro senza interruzione; finché il vecchio cavallo fu coperto di schiuma. La signora Meade e la signora Merriwether mandarono le loro carrozze e anche queste furono caricate, con le molle che cigolavano sotto il peso dei feriti. Piú tardi, nel caldo crepuscolo, giunsero dal campo di battaglia le ambulanze rumoreggianti e i carri dei commissariati, coperti di tele inzaccherate. E poi carri agricoli, carri tirati da buoi e perfino carrozze private requisite dal Corpo sanitario. Essi passarono dinanzi alla casa di zia Pitty, traballando sulla strada: ineguale, carichi di feriti e di morti, lasciando strisce di sangue sulla polvere rossastra. Alla vista delle donne coi secchi e i mastelli, i veicoli si fermavano, ed era un coro misto di grida e di sussurri: - Acqua! Rossella sorreggeva teste abbandonate, perché le labbra aride potessero bere, versava secchi d'acqua su corpi impolverati, febbrilmente, nelle ferite aperte per procurare un attimo di sollievo ai disgraziati. Si avvicinava coi secchielli in mano ai conducenti delle ambulanze e chiedeva col cuore in gola: - Che notizie? Che notizie? E da tutti aveva la stessa risposta: - Niente di certo, signora. È troppo presto per poter dire qualche cosa. Giunse la notte soffocante. Non un soffio d'aria; le fiaccole di pino tenute dai negri rendevano l'atmosfera ancora piú calda. La polvere ostruiva le narici di Rossella e inaridiva le sue labbra. Il suo abito di calicò color lavanda, cosí ben stirato e inamidato la mattina, era macchiato di sangue, di sudore e di sudiciume. Ecco ciò che intendeva dire Ashley quando scriveva che la guerra non era che sudiciume e miseria. La stanchezza dava alla scena un aspetto irreale, fantomatico. Non poteva esser vero... perché se fosse stato vero, il mondo doveva essere impazzito. Altrimenti, perché ella si troverebbe qui, nel tranquillo prato dinanzi alla casa di zia Pitty, in mezzo a luci oscillanti, a versar acqua sui suoi spasimanti moribondi? Infatti molti dei feriti le avevano fatto la corte e vedendola cercavano di sorridere. Vi erano tanti uomini che vacillavano su quella strada buia e polverosa, uomini che ella conosceva bene e che morivano sotto i suoi occhi, coi volti insanguinati coperti di zanzare, uomini coi quali aveva riso, ballato, per i quali aveva suonato e cantato e che aveva stuzzicato, confortato anche... amato un pochino. Trovò Carey Ashburn fra un mucchio di feriti in un carro da buoi, ancora vivo benché avesse una pallottola da fucile nel capo. Ma non poteva trarlo dal carro senza disturbare altri sei feriti, quindi lo lasciò andare all'ospedale. Piú tardi seppe che era morto prima ancora di esser veduto da un dottore, e che era stato sepolto non si sapeva precisamente dove. Ne erano stati sepolti tanti in quel mese, nelle tombe scavate frettolosamente nel cimitero di Oakland. Melania fu molto addolorata per non aver potuto tagliare una ciocca di capelli di Carey da mandare a sua madre ad Alabama. La notte trascorse; Pitty e Rossella avevano la schiena indolenzita e le ginocchia che si piegavano per la stanchezza, ma continuavano instancabilmente a chiedere: - Che notizie? Che notizie? E dopo lunghe ore ebbero risposta: una risposta spaventosa. - Stiamo indietreggiando. - Ci ritiriamo. - Sono migliaia e migliaia piú di noi. - Gli yankees hanno tagliato la strada alla cavalleria vicino a Decatur. - Bisognava mandar dei rinforzi. - Tutti i nostri saranno fra poco in città. Rossella e Pitty erano attaccate l'una al braccio dell'altra sorreggendosi a vicenda. - Stanno... vengono... gli yankees? - Sí, signora, vengono; ma non c'è d'aver paura. «Non abbiate paura, Miss, non possono prendere Atlanta.» «No, signora, abbiamo costruito troppe fortificazioni intorno alla città.» Ho sentito il Vecchio Joe dirmi personalmente: posso tenere Atlanta indefinitamente.» «Sí, se ci fosse il Vecchio Joe. Ma...» «Sta' zitto, imbecille! Che bisogno hai di spaventare le signore?» «Gli yankees non potranno mai conquistare Atlanta.» «Ma perché non andate a Macon o in qualche altro posto? Non avete parenti?» «Gli yankees non possono prendere Atlanta; ma certo sarebbe meglio che le donne non rimanessero qui, sia pure per assistere al tentativo.» L'indomani, in una giornata soffocante e piovosa, l'esercito sconfitto affluí ad Atlanta: migliaia di uomini esauriti dalla fame e dalla debolezza, demoralizzati da 70 giorni di battaglie e di ritirate, coi cavalli macilenti e spauriti, i cannoni e i cassoni tenuti insieme da pezzi di corda e strisce di vecchio cuoio. Ma non venivano col disordine di un esercito in rotta. Marciavano in buon ordine, malgrado i loro stracci, con le rosse e lacere bandiere di battaglia sventolanti sotto la pioggia. Avevano imparato a ripiegare col Vecchio Joe, il quale aveva fatto della ritirata un elemento strategico come un'avanzata. Le file di uomini barbuti e laceri percorsero la via dell'Albero di Pesco, cantando: «Maryland! O mia Maryland!»; e tutta la città venne fuori a salutarli. Vincitori o sconfitti erano i suoi soldati. La Milizia di Stato, che era andata in campo poco tempo prima, splendente nelle sue nuove uniformi, si distingueva a malapena dalle truppe stagionate, tanto i suoi componenti erano in disordine. Nei loro occhi era una nuova espressione. I tre anni, durante i quali non avevano fatto che giustificarsi, spiegando la loro assenza dal fronte, erano ormai dietro di loro. Essi avevano abbandonato la sicurezza delle retrovie per i pericoli della battaglia; molti di loro avevano lasciato una vita facile per una morte dolorosa. Ora erano dei veterani, veterani di un servizio breve, ma veterani ugualmente per la maniera in cui s'erano comportati. E cercavano nella folla i volti degli amici, fissandoli con fierezza. Adesso potevano tenere la fronte alta. I vecchi e i ragazzi della Guardia Nazionale marciavano: i primi movendo a stento il passo, e i secondi col volto di bimbi stanchi che avevano troppo presto conosciuto le tristezze della vita. Rossella scorse Phil Meade e stentò a riconoscere il suo volto nero di polvere e di sudiciume, irrigidito dallo sforzo e dalla stanchezza. Zio Enrico si avanzava zoppicando, senza cappello sotto la pioggia, col capo riparato alla meglio da un pezzo di tela impermeabile. Il nonno Merriwether era in un carro d'artiglieria coi piedi nudi avvolti in ritagli di coperte. Ma per quanto guardasse non riuscí a scorgere John Wilkes. I veterani di Jonhson, però, camminavano col passo instancabile che avevano avuto per tre anni, ed avevano ancora la forza di sorridere alle belle ragazze e di insolentire gli uomini senza uniforme. S'avviavano alle trincee che circondavano la città; non fossati scavati in fretta, ma trincee costruite in piena regola, con parapetti all'altezza del petto, rinforzati con sacchi di terra e travi di legno. Erano miglia e miglia di solchi purpurei, che attendevano gli uomini che dovevano riempirli. La folla salutava le truppe come le avrebbe salutate se fossero state vittoriose. In ogni cuore era la paura; ma ora che si conosceva la verità, ora che il peggio era accaduto, ora che la guerra era tra loro, un mutamento sopravvenne. Non vi era piú panico né isterismo. Ciò che era nel cuore non si leggeva sul volto. Ciascuno cercava di mostrarsi coraggioso e fiducioso dinanzi ai soldati. E tutti ripetevano ciò che il Vecchio Joe aveva detto proprio prima di essere esonerato dal comando: «Terrò Atlanta indefinitamente.» Ora che Hood si era dovuto ritirare, molti desideravano, come i soldati, il ritorno del Vecchio Joe; ma non osavano dirlo e si limitavano a ripetere la sua frase: «Conserverò Atlanta indefinitamente!»

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Rossella aveva visto abbastanza ammalati di tifo nell'ospedale di Atlanta per sapere che cosa voleva dire una settimana di quella terribile infermità. Elena era ammalata, forse moribonda, e lei era lí, desolata, con una donna incinta sulle braccia e due eserciti fra lei e la sua casa. Elena ammalata... forse moribonda... forse morente. Non era mai stata male. Il solo pensarlo era incredibile. Tutti potevano essere ammalati, ma non lei. Elena aveva sempre curato gli altri e li aveva guariti. Rossella desiderava essere a casa sua, col disperato desiderio di un bambino atterrito che vuol rifugiarsi nell'unico luogo sicuro per lui. La sua casa! La casa bianca con le tende candide alle finestre, col folto trifoglio sul prato e le api affaccendate, e il piccolo negro sui gradini, che scacciava le anatre e i tacchini dalle aiuole, i campi rossi e le miglia e miglia di cotone che diventava bianco al sole! La sua casa! «Accidenti a Melania» pensava continuamente. «Perché non se n'è andata a Macon con zia Pitty? Doveva stare lí, coi suoi parenti, non con me. Io non sono del suo sangue. Perché tiene tanto a stare con me? Se lei se ne fosse andata a Macon, io sarei andata a casa, dalla mamma, e anche adesso... potrei tentare di arrivarci, malgrado gli yankees, se lei non aspettasse il bambino. Forse il generale Hood mi darebbe scorta. Ma no, devo aspettare questo bambino!... Oh, mamma, mamma! Non morire! Perché non arriva mai questo bambino? Ho visto oggi il dottor Meade e gli ho chiesto se non c'è modo di affrettare un parto... Il dottor Meade ha detto che Melania non ha avuto una buona gravidanza. Dio mio... potrebbe anche morire! Melania morta. Melania morta. E Ashley... no, non devo pensar questo. Ma Ashley... no, non debbo pensar questo, perché probabilmente è morto. Ma mi ha fatto promettere di aver cura di lei. E se io non me ne occupassi e lei morisse... e Ashley fosse ancora vivo... No, non devo. È peccato. E ho promesso a Dio di essere buona se non fa morire la mamma. Ma se il bambino venisse... Se potessi andar via da qui... a casa... dovunque, ma non qui.» Rossella odiava la vista della città che un tempo aveva amata. Atlanta non era piú il luogo gaio, disperatamente gaio che le era piaciuto. Sembrava una città colpita dalla peste, tanto era spaventosamente tranquilla dopo il frastuono dell'assedio. Lo strepito e il pericolo del bombardamento erano perlomeno eccitanti. Questo silenzio era orrendo. I volti che si vedevano in istrada erano contratti, e i pochi soldati che s'incontravano avevano l'espressione esausta di corridori che si imponessero un ultimo sforzo in una corsa già perduta. L'ultimo giorno di agosto giunsero voci che riferivano come si stesse combattendo la piú fiera battaglia dopo quella di Atlanta. In una località al sud. In attesa dell'esito della battaglia, Atlanta smise perfino di tentar di ridere. Tutti si rendevano conto di ciò che i soldati sapevano già da due settimane: che se la ferrovia di Macon cadeva, anche Atlanta era perduta.

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. - Ma non ci sono abbastanza tristezze perché tu debba anche parlar di morire? - Perdonami, cara. Ma promettimi. Credo che sarà per oggi. Ne sono sicura. Promettimi. - E va bene, prometto. - disse Rossella guardandola stupita. Possibile che Melania fosse tanto sciocca da ignorare veramente che voleva bene a Ashley? O sapeva tutto e pensava che appunto a causa di quell'amore Rossella avrebbe avuto cura del bambino di Ashley? Ebbe l'impulso di rivolgerle queste domande, ma tacque quando Melania le riprese la mano e la tenne per un attimo su la sua guancia. I suoi occhi erano tornati tranquilli. - Perché credi che sarà per oggi, Melly? - Perché ho avuto dei dolori fin dall'alba, ma non molto forti. - Davvero? E perché non mi hai chiamata? Mando Prissy a cercare il dottor Meade. - No, non ancora. Sai che ha tanto da fare. Gli manderai un biglietto dicendogli che a un'ora qualunque della giornata si faccia vedere. Manda a chiamare la signora Meade e pregala di stare qui. Vedrà lei quando occorrerà veramente la presenza di suo marito. - Oh, finiscila di essere cosí altruista! Sai che hai bisogno del dottore non meno di quelli che si trovano all'ospedale. Lo mando a chiamare subito. - No, ti prego. A volte ci vuole tutta una giornata prima che il bambino nasca e io non posso trattenerlo qui delle ore, mentre quei poveri ragazzi hanno bisogno di lui. Manda a chiamare la signora. Vedrà lei. - Va bene.

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- Era già abbastanza terrorizzante pensare a queste cose, senza che vi fosse bisogno di esprimerle in parole. Lo spavento la invase di nuovo. Che fare? Dove fuggire? Chi potrebbe aiutarla? A un tratto le risovvenne Rhett Butler. Perché non aveva pensato a lui stamattina? Lo odiava, ma era un uomo forte e non aveva paura degli yankees. Ed era ancora in città. Certo, il loro ultimo colloquio era stato violento... Ma in questo momento, si poteva dimenticare ogni cosa. Ed egli aveva anche un cavallo e una carrozza. Potrebbe portarla via da quel luogo, lontana dagli yankees, in un luogo qualsiasi. Si volse a Prissy e le parlò febbrilmente. - Tu 'sai dove abita il capitano Butler... all'Albergo Atlanta? - Sí, badrona, ma... - Corri subito da lui e digli che ho bisogno che venga qui immediatamente, con la carrozza o un'ambulanza, se è possibile averla. Digli del bambino. Digli che voglio che ci porti via da qui. Corri, presto! - Dio benedetto, miss Rossella! Io aver paura di andare sola, al buio! Se gli yankees mi prendono...? - Se corri in fretta, raggiungi quei soldati che sono passati adesso, e loro non ti lasceranno prendere dagli yankees. Presto! - Io paura. E se capitano non essere in albergo? - Domanderai dov'è. Non sei capace? Se non è all'albergo, vai allo spaccio di via Decatur e domanda di lui. Vai a casa di Bella Watling. Cercalo. Ma non capisci, scema, che se non corri a cercarlo, gli yankees ci prenderanno davvero tutte quante? - Mamma mi picchierebbe se sapere che io andare in uno spaccio o in casa di quelle donne. Rossella le diede uno spintone. - Se non vai, te la faccio pagare. Non puoi metterti fuori a chiamarlo? O chiedere a qualcuno se c'è? Avanti, via! Vedendo che Prissy esitava ancora agitando i piedi e borbottando, Rossella le diede un altro spintone che la mandò quasi a cadere lunga distesa sui gradini. - Se non vai, ti venderò e non vedrai mai piú tua madre e nessuno di quelli che conosci. E ti venderò per lavorare nei campi, per di piú! Corri! - Dio mio, miss Rossella... Ma sotto la spinta decisa della mano della sua padrona, discese i gradini della breve scalinata. Il cancello si aperse e Rossella gridò: - Corri, oca! Udí il calpestio dei piedi di Prissy mutarsi in un passo di corsa che si allontanò sul terreno soffice.

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Ella porterebbe il proprio fardello, poiché le sue spalle erano ora abbastanza forti da sorreggerlo; poteva sopportare tutto, avendo già sopportato il peggio. Non poteva abbandonare Tara; apparteneva a quella terra rossa com'essa apparteneva a lei. Rimarrebbe e troverebbe modo di far vivere suo padre, le sue sorelle, Melania e il bimbo di Ashley e i negri. Domani... oh, domani! Domani metterebbe il collo sotto il giogo. Vi erano tante cose da fare. Andare alle Dodici Querce e alla piantagione di MacIntosh e vedere se negli orti abbandonati era rimasta qualche cosa; andare alle paludi e batterle per rintracciare polli e maiali smarriti, andare a Jonesboro e a Lovejoy coi gioielli di Elena... Doveva essere pure rimasto qualcuno che vendeva roba da mangiare! Domani... domani... La parola si agitava nel suo cervello come il battito di un orologio, sempre piú lentamente; ma la chiarezza della visione persisteva. Dai vecchi racconti che aveva ascoltato nella sua infanzia, qualche cosa emergeva chiaramente. Geraldo, senza un soldo, aveva costruito Tara; Elena aveva superato qualche misterioso dolore; il nonno Robillard, sopravvivendo alla caduta di Napoleone, aveva fondato nuovamente la fortuna della sua famiglia sulla fertile costa della Georgia; il bisnonno Prudhomme si era fatto un piccolo regno nella giungla di Haiti, lo aveva perduto, e poi aveva vissuto abbastanza per vedere il suo nome onorato a Savannah. Vi erano le Rosselle che avevano combattuto coi volontari irlandesi per la libera Irlanda e gli O'Hara che erano morti sul Boyne combattendo fino all'ultimo respiro per difendere la loro proprietà. Tutti avevano sopportato le piú grandi sventure. Non erano stati abbattuti dal crollo di imperi, di rivolte di schiavi, guerre, proscrizioni, confische. Il fato maligno aveva spezzato la loro vita, a volte, ma non i loro cuori. Non avevano ceduto; avevano lottato. Tutta quella gente il cui sangue scorreva nelle sue vene sembrava muoversi silenziosamente nella stanza inondata dal chiaro di luna. E Rossella non era sorpresa di vederli, quegli antenati che avevano avuto il peggio che il destino può assegnare e lo avevano trasformato nel meglio. Tara era il suo destino, la sua lotta, ed essa doveva vincere. Si voltò pigramente su un fianco; a poco a poco il suo spirito naufragava nell'oscurità. Erano davvero presenti, i fantasmi, e le mormoravano parole incoraggianti, o questo faceva parte del suo sogno? - Siate o non siate qui - mormorò sonnacchiosa - vi do' la buona notte... e vi ringrazio.

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Questa raccoglieva il cotone con diligenza e serietà; ma quando aveva lavorato un'ora, era evidente che lei, e non Súsele, non stava ancora abbastanza bene per compiere quel lavoro. E cosí Rossella la rimandò in casa. Nei lunghi solchi rimanevano dunque con lei soltanto Dilcey e Prissy. Questa raccoglieva con pigrizia, lamentandosi del dolore ai piedi, della stanchezza, di un sacco di mali interni, finché sua madre prendeva un arbusto e la percuoteva in modo da farla gridare. Dopo di che lavorava un po' meglio, cercando però di non essere troppo vicina a sua madre. Dilcey lavorava instancabilmente, silenziosamente, come una macchina, e Rossella col dorso e le spalle indolenzite dal peso del cotone che portava nel magazzino, pensava che veramente quella donna valeva il suo peso d'oro. - Dilcey - le diceva - quando torneranno i bei tempi, non dimenticherò quello che hai fatto. Sei stata molto buona. La donna non sorrideva come gli altri negri alla lode. Volgeva a lei un viso immobile e diceva: - Grazie, badrona. Ma mist' Geraldo e miss Elena sono stati buoni con me. Mist' Geraldo comprò la mia Prissy ed io non lo dimentico. Io avere sangue indiano, e indiani non dimenticare benefici. Mi dispiace che mia Prissy non valere nulla. Sembra che essere tutta sangue negro come suo padre. Malgrado l'impossibilità di trovare aiuto per la raccolta e la fatica di dover lavorare duramente, Rossella si sentiva rianimare man mano che vedeva aumentare il quantitativo del cotone. Tara era giunta alla ricchezza mediante il cotone, come tutti gli Stati del Sud; e Rossella era troppo meridionale per non essere convinta che Tara e il Sud risorgerebbero. Certo quel cotone non era molto, ma era qualche cosa. Le darebbe un po' di denaro, permettendole di risparmiare per piú tardi quello che aveva trovato nella saccoccia dello yankee. In primavera cercherebbe di ottenere dal Governo che le rimandassero il grosso Sam e gli altri negri-contadini; e se il Governo non volesse rilasciarli, allora si servirebbe del denaro dello yankee per noleggiare dei contadini dai vicini. E in primavera pianterebbe tanto cotone... Si raddrizzò e vide dinanzi a sé i campi che in primavera sarebbero verdi e ricchi. In primavera... Forse allora la guerra sarebbe finita e gli antichi tempi tornerebbero. E anche se la Confederazione perdesse, tutto sarebbe preferibile al continuo pericolo di incursioni dell'uno o dell'altro esercito. Il giorno in cui la guerra fosse finita, una piantagione ricomincerebbe a produrre di che vivere per i suoi abitanti. Se finisse, la guerra, e si potesse avere la possibilità di seminare con la certezza di raccogliere! Questa era la speranza. La guerra non poteva durare per sempre. E lei aveva un po' di cotone, aveva dei viveri, un cavallo, e il suo piccolo peculio. Sí, il peggio era passato!

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. - Quei bastardi hanno già avuto abbastanza. Che altro avete? - I suoi occhi fissarono acutamente il suo corpetto. Per un attimo Rossella credette di venir meno, sentendo già quelle mani rozze che frugavano nel suo seno. - Non ho altro; ma immagino che abbiate l'abitudine di spogliare le vostre vittime. - Oh, vi crederò sulla parola - rispose il sergente tranquillo, e sputando mentre se ne andava. Rossella raddrizzò il bambino e cercò di calmarlo tenendo la mano nel punto dov'era nascosto il portafogli e ringraziando Dio che Melania avesse un bimbo in fasce. Sentiva al piano superiore pesanti scarponi scalpicciare sul pavimento. Sentiva i cassetti gettati sul pavimento, lo strepito delle porcellane e degli specchi infranti, le maledizioni perché non si trovava nulla di valore. Dal cortile giunsero grida: - Prendili, non farli scappare! - E lo schiamazzo disperato delle galline, delle anatre e delle oche. Sussultò sentendo un grugnito doloroso che fu subito acquetato da un colpo di pistola; e comprese che la scrofa era morta. Maledetta Prissy, era scappata via lasciandola. Se almeno i maialini fossero salvi! E se la famiglia avesse raggiunto la palude! Ma non vi era modo di saperlo. Rimase tranquilla nel vestibolo mentre i soldati si agitavano intorno a lei gridando e bestemmiando. Le dita di Wade stringevano terrorizzate la sua gonna. Ella sentiva quel corpicino scosso da un tremito, ma non aveva la forza di parlargli per rassicurarlo. Né riusciva a rivolgere una parola agli yankees, sia pure di lamento, di protesta o di collera. Poteva soltanto ringraziare Dio perché le sue ginocchia continuavano a sorreggerla, perché il suo collo era abbastanza forte da permetterle di tenere la testa eretta. Ma quando un gruppo di uomini barbuti, discese la scala portando un vero assortimento di oggetti rubati e fra le mani di uno di costoro ella vide la sciabola di Carlo, allora gridò. Quella sciabola era di Wade. Era stata di suo padre e di suo nonno e Rossella l'aveva regalata al piccino per il suo compleanno. Ne avevano fatto una vera cerimonia, e Melania aveva pianto lagrime di orgoglio dicendogli che doveva crescere per essere un soldato coraggioso come suo padre e suo nonno. Wade era molto fiero di questa sua proprietà e spesso si arrampicava sulla tavola al disopra della quale era sospesa per accarezzarla. Rosella poteva sopportare di veder la propria roba uscir dalla casa fra le mani odiose di quegli stranieri, ma non questo... Questo era il vanto del suo bambino. Wade, sogguardando dalle pieghe della gonna al suo grido, trovò la forza di emettere una parola in un singhiozzo. Stendendo una mano, gridò: - Mia! - Non potete prendere questo! - gridò Rossella tendendo anche lei la mano. - Non posso? - sogghignò il piccolo soldato che la teneva. - Sicuro che posso! È la spada di un ribelle! - No... non lo è. È una spada della Guerra Messicana. Non potete prenderla: è del mio bambino. Era di suo nonno. Oh, capitano - esclamò volgendosi al sergente - vi prego, fatemela restituire! Il sergente, soddisfatto della promozione, si avanzò di un passo. - Fammi vedere quella spada, ragazzo - disse. Riluttante, il piccolo cavalleggero gliela porse. - Ha l'impugnatura d'oro massiccio - disse. Il sergente la osservò, la mise contro il sole per leggere l'iscrizione che vi era incisa. «Al colonnello Guglielmo R. Hamilton» decifrò. «Dal suo Stato Maggiore, per il suo valore. Buena Vista 1847.» - Oh, signora! Anch'io ero a Buena Vista. - Davvero? - fece Rossella freddamente. - Sicuro. E vi assicuro che ci faceva caldo! Non ho mai visto in questa guerra una battaglia come quella... Dunque questa spada era del nonno di quel ragazzino? - Sí. - Allora bisogna lasciargliela - disse il sergente che era abbastanza soddisfatto per i gioielli che aveva annodati nel fazzoletto. - Ma è d'oro massiccio - obiettò il soldato. - Gliela lasceremo per nostro ricordo - e il sergente sogghignò. - Oh, penserò io a lasciarglielo, un ricordino! - replicò il cavalleggero. Rossella prese la spada senza neanche ringraziare. Perché avrebbe dovuto ringraziare quei ladri che le restituivano ciò che era sua proprietà? Tenne la spada stretta al petto mentre il piccolo cavalleggero discuteva col sergente. Rossella cominciava a respirare. Non aveva sentito parlare di incendiare la casa. Non le avevano detto di andarsene perché volevano appiccare il fuoco. Forse... forse... Gli uomini rientrarono nel vestibolo e discesero dal piano di sopra. - C'è qualche cosa? - chiese il sergente. - Un porco, qualche pollo e poche anatre. - Un po' di grano, di patate dolci e di fagioli. Quella strega che abbiamo visto a cavallo deve aver dato l'allarme. - Avete scavato sotto alla dispensa? Di solito è lí che nascondono i valori... - Non c'è dispensa. - E nelle capanne dei negri? - Solo del cotone. Lo abbiamo incendiato. Rossella rivide le lunghe giornate ardenti nel campo di cotone, sentí nuovamente il tremendo dolore alla schiena e alle spalle. Tutto invano. Il cotone era distrutto. - Non siete molto provvista, eh, signora? - Il vostro esercito è già stato qui, prima - rispose ella freddamente. - Infatti. Eravamo in questi paraggi nel settembre - disse uno degli uomini rigirando tra le mani qualche cosa. - Me n'ero dimenticato. Rossella vide che era il ditale d'oro di Elena. Quante volte lo aveva visto brillare mentre Elena lavorava! Ed eccolo nella mano callosa e sudicia di uno yankee e fra breve nel dito di una donna yankee che sarebbe fiera di usare una cosa rubata! Il ditale di Elena! Rossella chinò la testa perché il nemico non la vedesse piangere, e le sue lagrime caddero sul capo del piccino. Come attraverso una nebbia vide gli uomini muovere verso la porta, udí i comandi del sergente. Se ne andavano e Tara era salva... Ma tormentata dal ricordo di Elena, non riuscí ad esserne contenta. Il rumore delle sciabole e degli zoccoli le diede scarso sollievo ed ella si sentí improvvisamente stanca ed abbattuta, mentre la pattuglia percorreva il viale, tutti gli uomini carichi di oggetti di vestiario, coperte, quadri, galline ed anatre; e la scrofa. Alle sue narici giunse un odore di fumo ed ella si volse, troppo stanca per preoccuparsi del cotone. Attraverso le finestre aperte della sala da pranzo vide il fumo alzarsi pigramente dalle capanne dei negri. Era il cotone che ardeva. Il denaro delle tasse e parte del denaro che doveva aiutarli a trascorrere quel terribile inverno. Non vi era nulla da fare: solo guardare. Aveva visto altre volte ardere del cotone, e sapeva com'era difficile spegnerlo, anche con l'aiuto di parecchi uomini. Grazie a Dio, il quartiere degli schiavi era abbastanza lontano dalla casa! E non vi era vento che portasse le scintille sul tetto di Tara! A un tratto balzò in piedi irrigidita, fissando con orrore l'estremità del vestibolo, dove sboccava il passaggio coperto che conduceva alla cucina. Da quella parte veniva del fumo! Posò un attimo il bambino. Si liberò dalla stretta di Wade, balzò nella cucina piena di fumo, indietreggiò tossendo, con gli occhi pieni di lagrime. Entrò di nuovo, tenendosi la gonna contro il naso: la stanza, illuminata solo da una finestrella, era quasi buia; il fumo era talmente denso che non si vedeva nulla attraverso. Però udiva il crepitio delle fiamme, e cercando di ripararsi gli occhi con la mano, scorse sottili lingue di fiamme che dal pavimento correvano verso le pareti. Qualcuno aveva sparso per la stanza i pezzi di legno che ardevano nel focolare, e il pavimento di legno di pino si stava bruciando rapidamente. Tornò di corsa nella sala da pranzo e afferrò un grosso tappeto, facendo cadere con fracasso due sedie. - Non riuscirò a spegnerlo... Dio, Dio se ci fosse qualcuno per aiutarmi! Tara è finita... finita! Dio, Dio! - Ecco che cos'era il ricordo che le aveva lasciato quel farabutto... - Avrei fatto meglio a lasciargli la spada! Riattraversando il vestibolo vide suo figlio giacente nell'angolo con la sua spada: aveva gli occhi chiusi e il suo visino aveva un'espressione di pace indicibile. «Dio mio! È morto! Morto di paura!» pensò con angoscia. Ma balzò al secchio d'acqua che era sempre nel corridoio. Immerse nell'acqua l'estremità del tappeto e trattenendo il respiro penetrò nuovamente nella stanza piena di fumo, sbattendo la porta dietro di sé. Due volte le sue lunghe gonnelle presero fuoco, ed ella spense le fiamme stringendole tra le mani. Sentiva l'odore dei suoi capelli che ardevano, perché le forcine erano cadute e le trecce le ondeggiavano sulle spalle. Le fiamme correvano intorno a lei, verso i muri del passaggio coperto, serpenti rossi che si contorcevano e balzavano; vinta dall'esaurimento, comprese che non vi era piú speranza. L'uscio si spalancò e il soffio d'aria fece balzare le fiamme piú in alto. Mezza accecata, Rossella vide Melania che calpestava le fiamme, le batteva con qualche cosa di oscuro e di pesante. La vide vacillare, la sentí tossire, vide il suo corpicino agitarsi. Per un'altra eternità lottarono, fianco a fianco; e Rossella vide che le strisce di fiamma diventavano piú brevi. A un tratto Melania si volse verso di lei e con un grido la percosse violentemente tra le spalle. Poi Rossella cadde in un vortice di fumo e di oscurità. Quando riaperse gli occhi, era coricata nel porticato posteriore, col capo posato sulle ginocchia di Melania; sul suo volto brillava il sole pomeridiano. Le capanne degli schiavi erano avvolte in dense nuvole di fumo e l'odore del cotone che bruciava era intollerabile. Rossella vide nuvolette di fumo levarsi anche dalla cucina e fece per alzarsi freneticamente. Ma fu respinta dalla voce tranquilla di Melania. - Resta coricata, cara. Il fuoco è spento. Rimase quieta per un momento, sospirando di sollievo, con gli occhi chiusi, e udí accanto a sé il gemito sottile del piccino e il rassicurante singulto di Wade. Non era morto, grazie a Dio! Aperse gli occhi e guardò Melania. Aveva i riccioli abbruciacchiati e il viso nero di fuliggine, ma i suoi occhi brillavano di eccitazione e la bocca sorrideva. - Sembri una negra - mormorò Rossella riappoggiando il capo sul morbido guanciale. - E tu, uno spazzacamino. - Perché mi hai battuta? - Perché avevi il dorso in fiamme. Non pensavo che saresti svenuta, benché oggi tu ne abbia sopportate abbastanza da far morire chiunque... Sono tornata indietro appena ho messo tutto in salvo nel bosco. Mi sentivo morire, sapendoti sola qui col piccolo... Ti... ti hanno fatto male? - Se intendi che mi abbiano violentata, posso assicurarti di no. - Ed emise un gemito mentre tentava di sollevarsi a sedere. Il grembo di Melania era morbido, ma il pavimento del porticato era tutt'altro che comodo. - Ma hanno rubato tutto, tutto. Abbiamo perduto tutto... Ma perché hai quell'aria contenta? - Perché ci siamo ancora noi, una per l'altra, e abbiamo i nostri bimbi... e un tetto. E nessuno al giorno d'oggi può sperare di aver di piú... Dio mio, Beau è bagnato! Immagino che avranno rubato anche i suoi pannolini di ricambio... Ma... che diamine c'è nelle sue fasce, Rossella? Spaventata, ficcò la mano tra le fasce del piccolo e trasse il portafogli. Per un attimo lo guardò come se non lo avesse mai visto; poi cominciò a ridere, a ridere di un riso isterico. - Nessun altro sarebbe stato capace di pensarlo! - esclamò; e gettando le braccia al collo di Rossella la baciò. - Sei un vero tesoro! Rossella si lasciò abbracciare perché era troppo stanca per lottare; perché le parole di lode erano un balsamo per il suo cuore e perché, nella cucina piena di fumo, aveva provato un immenso rispetto per sua cognata, e uno stretto senso di cameratismo. «Bisogna ammettere» disse fra sé rimuginando «che è sempre presente quando c'è bisogno di lei.»

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Ma poiché era abbastanza robusto, le cure ebbero ragione del male, e un giorno i suoi occhi chiari si fissarono non piú offuscati dal delirio su Carolene che era seduta accanto a lui recitando il rosario. - Dunque non eravate un sogno - mormorò con voce afona. - Spero di non avervi dato troppo disturbo, signora. La sua convalescenza fu lunga ed egli trascorse ore interminabili sdraiato accanto alla finestra, a contemplare l'albero di magnolia e dando ben poca noia. Carolene aveva simpatia per lui, a causa dei suoi silenzi tranquilli e privi d'imbarazzo. Ella gli rimaneva seduta accanto durante gli ardenti pomeriggi, facendogli vento senza parlare. Era molto taciturna, Carolene, e passava lunghe ore a pregare. Quando Rossella entrava in camera sua senza picchiare, la trovava sempre inginocchiata accanto al letto; cosa che la urtava, perché a lei sembrava che il tempo di pregare fosse passato. La religione era sempre una faccenda un po' commerciale, per Rossella: se Dio aveva ritenuto di doverli punire in quel modo, voleva dire che non sapeva che farsene delle loro preghiere. Ella Gli prometteva di essere buona in cambio dei favori che Gli chiedeva; e se Egli non stava ai patti, a lei sembrava di non doverGli piú nulla. E quando trovava Carolene a pregare mentre lei aveva lavorato tutto il giorno, sentiva che sua sorella schivava la sua parte di fatica. Questo diceva a Will Benteen, il convalescente, un pomeriggio in cui egli aveva potuto finalmente alzarsi; e fu stupita di udirgli dire con la sua voce piana: - Lasciatela fare, miss Rossella. È un conforto per lei. - Un conforto? - Sí; prega per vostra madre e per lui. - Chi «lui»? Gli occhi azzurri del convalescente la fissarono senza stupore. Nulla lo sorprendeva; e che Rossella ignorasse ciò che era nel cuore di sua sorella non gli sembrò strano. Altrettanto naturale gli parve il fatto che Carolene si fosse sfogata con lui, un estraneo. - Il suo corteggiatore, quel ragazzo Brent o un nome simile che fu ucciso a Gettysburg. - Suo corteggiatore? - fece Rossella brevemente. - Neppur per sogno. Brent e suo fratello facevano la corte a me. - Sí, me lo ha detto. Pare che la maggior parte dei giovani della Contea vi corteggiassero. Ma quando voi andaste via, Brent si occupò di lei; e l'ultima volta che venne in licenza si fidanzarono. Dice che non si è mai curata di nessun altro giovine; perciò pregare per lui le dà un po' di conforto. - Oh, storie! - esclamò Rossella; ma sentí nel cuore una piccola punta di gelosia. Guardò curiosamente quell'uomo con le spalle ossute, i capelli rossicci e gli occhi chiari e fermi. Egli sapeva sulla sua famiglia cose che lei non si era presa il disturbo di indagare. Dunque era per questo che Carolene continuava a pregare? Beh, le passerebbe. Tante ragazze avevano perduto l'innamorato, e tante il marito... E lei non aveva forse superato il dolore della morte di Carlo? E conosceva una ragazza di Atlanta che era già vedova per la terza volta, a causa della guerra, eppure era ancora capace di occuparsi degli uomini. Ne disse tante e tante; ma Will crollò la testa. - Miss Carolene non è cosí - disse finalmente. Era piacevole parlare con Will perché egli diceva poche parole ma era un ottimo ascoltatore. Rossella gli esponeva i suoi problemi sull'aratura, sulla semina e sulla sarchiatura; sull'ingrasso dei maiali e l'alimentazione della mucca; ed egli dava buoni consigli perché era stato proprietario di una piccola fattoria nella Georgia meridionale e di due negri. Sapeva che oramai i suoi schiavi erano liberi e il terreno pieno di gramigna e di ortiche. Sua sorella, la sua unica parente, se ne era andata nel Texas con suo marito diversi anni prima ed egli era solo al mondo. Eppure nessuna di queste cose lo turbava, come non lo turbava l'aver lasciato una gamba nella Virginia. Sí, Will era un conforto per Rossella nelle giornate piú penose, quando i negri brontolavano, Súsele si lamentava e piangeva, e Geraldo chiedeva troppo spesso dov'era Elena. A Will poteva dire tutto. Gli raccontò perfino che aveva ucciso lo yankee e fu molto orgogliosa del suo breve commento: - Ben fatto! Tutta la famiglia finiva con l'andare in camera di Will a sfogare i propri malumori: perfino Mammy, che da principio era rimasta a distanza perché non le sembrava abbastanza signore, avendo posseduto soltanto due schiavi. Quando poté cominciare a girare per la casa, Will si diede da fare a intrecciare cestini e ad aggiustare i mobili rovinati dagli yankees. Sapeva intagliare il legno, e Wade era sempre con lui, perché Will gli fabbricava dei giocattoli, i soli che il piccino avesse mai posseduto. La presenza di Will permetteva a ciascuno di recarsi tranquillamente al proprio lavoro, lasciandogli in custodia Wade e i due bimbi in fasce; soltanto Melly lo superava nel calmare un bimbo piangente bianco o negro che fosse. - Siete stata molto buona con me, Miss Rossella - le disse un giorno; - per me che sono completamente estraneo. Vi ho dato molto disturbo; e se non vi dispiace, rimarrò qui a lavorare per voi, finché vi avrò compensata, almeno in parte, di ciò che avete fatto per me. Non potrò mai pagarvi completamente, perché non si può ripagare chi ci ha ridato la vita. Quindi egli rimase; e a poco a poco, quasi inavvertitamente, gran parte del peso rappresentato da Tara scivolò dalle spalle di Rossella su quelle ossute di Will Benteen.

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Ma dicono che non avete pagato abbastanza. Ne ho sentito parlare oggi a Jonesboro. - Non capisco, Will. Che volete dire? - Non vorrei darvi maggiori preoccupazioni di quelle che già avete, miss Rossella; ma sono costretto a informarvi. Dicono che dovete pagare molto di piú. Stanno facendo la revisione delle imposte; e quelle di Tara arrivano alle stelle. - Ma non possono farci pagare ancora, se abbiamo già pagato una volta! - Voi non andate spesso a Jonesboro, miss Rossella; e fate benissimo. Non è un luogo adatto per una signora. Ma se vi foste stata, sapreste che da qualche tempo chi governa è un potente nucleo di repubblicani, di rinnegati e di «carpetbaggers» Carpetbaggers - Avventurieri e mestatori calati dal Nord e chiamati cosí perché tutti i loro averi e i loro documenti erano contenuti in un carpet-bag, cioè sacca da viaggio: le vecchie sacche ottocentesche di stoffa da tappeto (carpet - tappeto; bag - sacca). (N. d. T.). E i marciapiedi sono affollati di negri... - Ma che c'entra questo con le tasse? - Adesso ve lo dico. Per qualche loro ragione, questi furfanti hanno elevato le tasse di Tara, come se si trattasse di un luogo che produce mille balle di cotone. Avendo avuto sentore di questo, sono andato in giro per i caffè a raccogliere le chiacchiere; e sono venuto a sapere che c'è qualcuno che ha l'intenzione di comprare Tara per quattro dollari, appena sarà messa all'asta. Ciò che avverrà indubbiamente se voi non potrete pagare le tasse straordinarie. Ora, tutti sanno benissimo che voi non siete in grado di pagarle. Non sono riuscito a sapere chi è il presunto acquirente; credo che quel pusillanime di Hilton, quel tale che ha sposato miss Catina, lo sappia, perché ha fatto una stupida risata quando ho cercato di farlo cantare. Will sedette sul divano e si stropicciò il moncherino. Questo gli doleva sempre quando il tempo era umido, tanto piú che la gamba di legno non era ovattata. Rossella lo fissò cupamente. Quell'uomo sembrava indifferente, mentre suonava l'agonia di Tara. Vendere all'asta? E dove andrebbero? E Tara dovrebbe appartenere ad estranei! No, non era credibile! Si era talmente affannata per rendere nuovamente la piantagione produttiva, che non aveva piú badato a ciò che accadeva nel mondo esterno. Ora che vi erano Will e Ashley per occuparsi di qualsiasi faccenda a Jonesboro o a Fayetteville, Rossella non si muoveva quasi mai dalla piantagione. E nella stessa maniera in cui in altri tempi aveva ascoltato senza porvi mente i discorsi di suo padre intorno alla guerra, oggi prestava poca attenzione alle discussioni fra Will e Ashley riguardanti gli inizi della Ricostruzione. Certamente aveva sentito parlare dei rinnegati - meridionali che erano diventati repubblicani per opportunismo - e dei «carpetbaggers» che erano piombati sugli Stati del Sud come avvoltoi portando tutti i loro averi in una borsetta. Ella aveva anche fatto qualche spiacevole esperienza col «Freedmen's Bureau» (Ufficio per gli Emancipati); e aveva inoltre udito dire che alcuni dei negri liberati stavano diventando insolenti. Ciò le sembrava incredibile perché in vita sua non aveva mai visto un negro ribelle. Ma vi erano molte cose che Will e Ashley avevano cercato di lasciarle ignorare. La tortura della guerra era stata seguita dalla peggior tortura della Ricostruzione. Ella aveva udito Ashley affermare che il Sud veniva trattato come terra di conquista e che la politica dominante dei conquistatori era basata sullo spirito di vendetta. Ma questo non la interessava: la politica riguardava gli uomini. Aveva anche udito Will affermare che sembrava che il Nord non volesse permettere al Sud di rimettersi in piedi; ma ella pensava che gli uomini cercavano sempre qualche cosa di cui preoccuparsi. L'unica cosa da fare era lavorare, senza curarsi del governo yankee. Tanto, la guerra era ormai finita. Rossella non si rendeva conto che tutte le regole del gioco erano sovvertite e che il lavoro onesto non poteva piú avere una onesta ricompensa. La Georgia era virtualmente sotto la legge marziale. I soldati yankee presidiavano tutta la regione e il «Freedmen's Bureau» disponeva di ogni cosa e stabiliva le regole che piú gli convenivano. Questo ufficio, organizzato dal Governo Federale per tutelare gli infingardi ed eccitati schiavi liberti, li trasferiva a migliaia dalle piantagioni nei villaggi e nelle città. L'Ufficio dava loro da mangiare e nel contempo li istigava contro i loro antichi padroni. L'ex-sorvegliante di Geraldo, Giona Wilkerson, dirigeva la succursale locale dell'ufficio e aveva come assistente Hilton, il marito di Catina Calvert. Questi due andavano spargendo ad arte la voce che i meridionali e i democratici aspettavano un'opportunità per rimettere i negri in schiavitú; e che l'unica speranza per i negri di sfuggire a questo fatto era la protezione data a loro dall'Ufficio e dal Partito Repubblicano. Inoltre Wilkerson e Hilton dicevano continuamente ai negri che essi valevano quanto i bianchi in tutto e per tutto; che ben presto sarebbero permessi i matrimoni fra bianchi e negri, e che le proprietà dei loro antichi padroni verrebbero ripartite in modo che ogni negro ricevesse quaranta jugeri e un mulo. Istigavano i negri con narrazioni fantasiose di crudeltà perpetrate dai bianchi; sicché in questa regione che era sempre stata conosciuta per le relazioni affettuose tra schiavi e padroni, cominciò a diffondersi l'odio e il sospetto. L'ufficio era governato da militari; i quali avevano emanato numerosi ordini - spesso contradittorii - per regolare la situazione del Paese. Tali ordini concernevano le scuole, gli ospedali, i bottoni che bisognava portare sugli abiti, la vendita delle derrate e quasi tutto il resto. Wilkerson e Hilton avevano il diritto d'intervenire in qualsiasi contratto di compra o di vendita, e potevano fissare i prezzi. Fortunatamente Rossella aveva avuto ben poco contatto coi due uomini, perché Will l'aveva persuasa a lasciargli trattare la parte commerciale, mentre lei si occupava della produzione. Col suo modo di fare calmo e temperato, Will aveva appianato molte difficoltà di questo genere, senza nemmeno parlarne con Rossella. Ma l'attuale problema era troppo grave. Le tasse supplementari e il pericolo di perdere Tara erano faccende di cui Rossella doveva essere messa al corrente. Ella lo fissò con occhi fiammeggianti. - Oh, maledetti gli yankees! - esclamò. - Non basta che ci abbiano sconfitti e ridotti alla miseria? Devono anche agire. da furfanti? La guerra era finita, la pace era stata dichiarata, ma gli yankees potevano ancora derubarla, farla morir di fame, cacciarla dalla sua casa. - E io credevo che con la fine della guerra, tutti i guai fossero terminati! - No, signora. I guai non fanno che cominciare. - E quanto vogliono farci pagare di tasse supplementari? - Trecento dollari. Rimase un attimo come colpita dal fulmine: trecento dollari! Era lo stesso come se avesse detto tre milioni. - Ma... allora... bisognerà che mettiamo assieme trecento dollari in qualche modo! - Sí, signora... e anche un arcobaleno, una luna e un sole. - Ma Will! Non possono vendere Tara! In che modo... Gli occhi chiari di lui espressero piú odio e piú amarezza di quanto ella potesse immaginare. - Non possono? Possono fare tutto ciò che vogliono, e lo faranno! Il paese, cara miss Rossella, è rovinato. Questi politicanti e questi rinnegati hanno il diritto di votare e la maggior parte di noi democratici no. Nessun democratico può votare, se nel 1865 era iscritto nei registri delle tasse per piú di 2000 dollari. Cosí rimangono escluse persone come vostro padre, Mr. Tarleton, i McRae e i ragazzi Fontaine. Nessuno che abbia avuto il grado di colonnello o un grado superiore durante la guerra, può votare; e scommetto che qui vi erano piú colonnelli che in qualsiasi altro Stato della Confederazione. E sono esclusi tutti coloro che avevano qualche ufficio nel governo confederato: nonché giudici e notai. Insomma, chiunque abbia avuto una carica prima della guerra non ha diritto di voto. Né le persone di qualità, né i ricchi, né l'aristocrazia. Io potrei votare se prestassi il loro maledetto giuramento. Non avevo un soldo nel '65, e non ero colonnello né altro di notevole. Ma non voglio giurare. No, che il diavolo li porti! Se gli yankees avessero agito bene, avrei fatto giuramento di fedeltà; ma non lo farò. Anche se non dovessi mai piú votare. Ma gentaglia come Hilton può votare e farabutti come Giona Wilkerson, e proletari come gli Slattery, e gente da nulla come McIntosh; tutti questi possono votare. E dirigere la cosa pubblica. E se vogliono richiedervi delle tasse supplementari anche dieci volte maggiori, sono padroni di farlo. Tale e quale come un negro può uccidere un bianco senza essere impiccato, oppure... - S'interruppe imbarazzato, e il ricordo di ciò che era accaduto a una donna bianca che viveva sola in una fattoria isolata presso Lovejoy apparve ad entrambi... - Codesti negri possono fare contro di noi qualunque cosa; e il «Freedmen's Bureau» e i soldati li proteggono con le armi, mentre noi non abbiamo diritto di votare né di ribellarci. - Votare! - esclamò Rossella. - Cosa c'entra il votare con tutto questo? Stavamo parlando delle tasse... Tutti quanti, Will, sanno che Tara è un'ottima piantagione. Possiamo ipotecarla per una cifra sufficiente a pagare le tasse, se è necessario. - Miss Rossella, voi non siete stupida; ma a volte parlate come se lo foste. Chi ha del denaro da prestarvi? Chi, eccettuato i «carpetbaggers» che stanno cercando di spodestarvi? - Ho gli orecchini di brillanti dello yankee. Potremmo venderli. - Ma chi volete che abbia dei quattrini per comprarli? La gente non ha denaro per comprare un po' di carne. Se voi avete dieci dollari in oro, giuro che è piú di quanto abbia qualunque altro dei vostri vicini. Rimasero nuovamente in silenzio e Rossella ebbe l'impressione di urtare contro un muro di pietra. E questo le era accaduto tante altre volte in quest'ultimo periodo. - Che dobbiamo fare, miss Rossella? - Non lo so - rispose cupamente. E in quel momento le parve che non glie ne importasse nulla. Si sentí improvvisamente cosí stanca che tutte le sue ossa le dolsero. Perché lavorare e lottare e affaticarsi disperatamente? Al termine di ogni lotta le sembrava che la sconfitta l'attendesse per schernirla. - Non lo so - ripeté. - Ma non diciamolo al babbo. Si turberebbe. - Non lo dirò. - L'avete detto a nessuno? - No, sono venuto subito da voi. Sí, tutti venivano direttamente da lei quando vi erano delle cattive notizie. Ed oramai non ne poteva piú. - Dov'è il signor Wilkes? Forse potrà darci qualche idea. Will rivolse verso di lei il suo sguardo dolce ed ella sentí, come nel giorno in cui era giunto Ashley, che egli sapeva tutto. - È nell'orto a spaccare legna. Ho sentito il rumore della scure mentre rimettevo il cavallo. Ma certo non ha piú denaro di quanto ne abbiamo noi. - Se voglio parlare di questo con lui, ne avrò bene il diritto, no? - ribatté aspramente Rossella alzandosi e respingendo con un calcio il pezzetto di tappeto. Will non si offese, ma continuò a stropicciarsi le mani dinanzi al fuoco. - È meglio che prendiate il vostro scialle, miss Rossella; fuori fa freddo. Ma ella uscí senza mettere nulla sulle spalle, perché lo scialle era al piano di sopra, e il suo bisogno di vedere Ashley per sfogarsi era troppo urgente. Che fortuna se lo trovasse solo! Da quando era tornato non aveva mai avuto modo di scambiare una parola con lui in particolare. C'era sempre la famiglia intorno; sempre Melania che ogni tanto gli toccava una manica, come per assicurarsi della sua presenza. La vista di quel gesto aveva rianimato in Rossella tutta la gelosia che era rimasta sopita durante i mesi in cui aveva ritenuto che Ashley fosse morto. Ora era decisa a parlare con lui solo e nessuno potrebbe impedirglielo.

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Quando ebbe compiuto quarantatré anni - cosí atticciato di corpo e florido di volto che sembrava un gentiluomo sportivo - gli venne in mente che Tara, per quanto fosse piacevole, e gli abitanti della Contea, per quanto avessero il cuore e la casa aperti per lui, non erano abbastanza. Gli ci voleva una moglie. Tara aveva bisogno di una padrona. Il grasso cuoco, un negro agricoltore elevato a quel grado per necessità di cose, non era mai puntuale nel preparare i pasti; e la cameriera, che prima lavorava essa pure nei campi, lasciava che la polvere si accumulasse sui mobili e non aveva mai tovaglie pulite, sicché l'arrivo di ospiti era sempre occasione di subbuglio e di confusione. Pork, l'unico negro abituato a servire in casa, aveva l'incarico di sorvegliare gli altri servitori, ma anche lui era diventato negligente e trascurato dopo tanti anni di vita rilassata. Come servitore teneva in ordine la camera da letto di Geraldo, e come cameriere serviva a tavola con dignità e con stile; ma oltre a questo, lasciava che le cose seguissero il loro corso. Con l'infallibile istinto africano, i negri avevano tutti scoperto che Geraldo era un cane che abbaiava ma non mordeva, e ne approfittavano vergognosamente. Si sentivano sempre alte minaccie di vendere gli schiavi o di frustarli a sangue, ma nessuno schiavo era mai stato venduto fra quelli di Tara e una sola frustata vi era stata; somministrata soltanto perché il cavallo preferito di Geraldo non era stato strigliato dopo una lunga giornata di caccia. Gli occhi azzurri di Geraldo osservavano come erano ben tenute le case dei suoi vicini e con che facilità le donne dai capelli ravviati e dagli abiti fruscianti, dirigevano la servitú. Egli ignorava l'attività di queste donne dall'alba a mezzanotte, fra la sorveglianza della cucina, del bucato, del rammendo e l'allevamento dei bimbi. Vedeva soltanto i risultati esteriori e questi l'impressionavano. L'urgente necessità di una moglie gli apparve chiaramente una mattina mentre si stava vestendo per recarsi in città ad assistere a un'udienza al Tribunale. Pork tirò fuori la miglior camicia a pieghettine di Geraldo cosí malamente rammendata che ormai solo il domestico avrebbe potuto metterla. - Mister Geraldo - aveva detto mentre ripiegava con riconoscenza la camicia e Geraldo strepitava - quello che tu avere bisogno è moglie; una moglie che avere buon numero di negri per la casa. Gerardo rimproverò Pork per la sua impertinenza, benché fosse convinto che aveva ragione. Aveva bisogno di una moglie e aveva bisogno di bambini; e se non provvedeva subito, poi sarebbe troppo tardi. Ma non voleva sposare la prima venuta, come aveva fatto il signor Calvert, che aveva impalmato la governante inglese dei suoi bambini orfani di madre. Sua moglie doveva essere una signora, una vera signora dignitosa ed elegante come la signora Wilkes, e capace di governare Tara come la signora Wilkes governava la sua proprietà. Ma nelle famiglie del Contea vi erano due difficoltà. La prima era la scarsità di fanciulle in età da marito. La seconda, piú seria, era che Geraldo era un «uomo nuovo», malgrado i suoi dieci anni di residenza, e uno straniero. Non si sapeva nulla della sua famiglia. Pur essendo meno inespugnabile dell'aristocrazia della Costa, la società della Georgia settentrionale non avrebbe mai ammesso che una delle sue figliuole sposasse un uomo del quale si ignorava chi fosse il nonno. Geraldo sapeva che, malgrado la simpatia sincera degli uomini della Contea coi quali cacciava, beveva e parlava di politica, non avrebbe potuto sposare la figlia di nessuno di loro. E non voleva che si potessero far delle chiacchiere attorno alle tavole, a cena, sul fatto che questo o quell'altro padre avesse con rammarico rifiutato a Geraldo O'Hara il permesso di far la corte alla sua figliuola. Non per questo Geraldo si sentiva inferiore ai suoi vicini; d'altronde nulla e nessuno avrebbe mai potuto far sí che egli si sentisse inferiore a chiunque. Soltanto, riconosceva che era una strana costumanza della Contea, quella che faceva maritare le ragazze solo con persone appartenenti a famiglie che vivevano nel sud da oltre vent'anni, e che durante tutto quel tempo erano stati possessori di schiavi e si erano dedicati unicamente ai vizi eleganti. - Prepara il bagaglio. Andiamo a Savannah - disse a Pork. - E se ti sento emettere una sola imprecazione, ti vendo immediatamente, perché sono espressioni che io stesso uso ben raramente. Giacomo e Andrea avrebbero potuto certamente dargli dei consigli intorno a questa faccenda del matrimonio; e forse tra i loro vecchi amici poteva esservi qualche fanciulla che avesse i requisiti voluti e che lo trovasse accettabile come marito. I fratelli ascoltarono pazientemente la sua storia ma non gli diedero eccessivo incoraggiamento. Non avevano parenti a Savannah a cui rivolgersi, perché entrambi erano già sposati quando erano venuti in America! E le figlie dei loro vecchi amici erano maritate da un pezzo e avevano già dei bambini. - Sei un uomo ricco ma non di grande famiglia - osservò Giacomo. - Sono diventato ricco e la grande famiglia me la farò. Ma non voglio sposare la prima venuta. - Hai delle vedute alte - replicò Andrea seccamente. Ma fecero del loro meglio per aiutare Geraldo. Erano ormai anziani e si erano creati a Savannah un cerchio di amicizie. Per un mese condussero Gerardo di casa in casa, facendogli frequentare balli, cene, picnic. - Ce n'è una che mi piace - disse finalmente Geraldo - una ragazza che quando io sbarcai in America non era ancora nata. - E chi sarebbe? - Miss Elena Robillard - e la risposta cercò di avere un tono indifferente, perché gli occhi neri e lievemente obliquati in basso di Elena lo avevano colpito piú di quanto volesse dire, e il suo modo di fare, ingannevolmente incurante, cosí strano in una fanciulla quindicenne, lo aveva affascinato. Inoltre vi era in Elena una continua espressione di disperazione che gli andava al cuore e lo rendeva piú gentile con lei che non fosse mai stato con nessun altro. - Ma potresti esser suo padre! - Sono nel fiore della vita! - ribatté Geraldo, punto. Giacomo prese la parola, con calma. - Ascoltami, Jerry: non vi è ragazza in Savannah con la quale tu possa aver minori probabilità. Suo padre è un Robillard; e questi francesi sono orgogliosi come Lucifero. E sua madre - Dio l'abbia in gloria - era una gran signora. - Non me n'importa - si ostinò Geraldo. - Del resto, sua madre è morta e il vecchio Robillard mi vuol bene. - Come uomo, sí; ma come genero, no. - E poi la ragazza non ti accetterebbe - intervenne Andrea. - Da un anno fa l'amore con quel ragazzaccio di suo cugino, Filippo Robillard, benché la sua famiglia la tormenti giorno e notte perché lo lasci. - È partito il mese scorso per la Luisiana. - Come lo sai? - Lo so. - E Geraldo non volle svelare che quest'informazione gli veniva da Pork né che Filippo era andato in Occidente per espresso desiderio della sua famiglia. - E non credo che ne sia tanto innamorata da non poterlo dimenticare. Quindici anni son troppo pochi, perché l'amore sia profondo. - Preferiranno quel rompicollo di cugino a te. Giacomo e Andrea furono quindi stupiti come tutti gli altri quando si sparse la notizia che la figlia di Pierre Robillard avrebbe sposato il piccolo irlandese. I commenti furono infiniti e tutta la città chiacchierò sul conto di Filippo Robillard che era andato in Occidente; ma le chiacchiere rimasero lettera morta. E fu sempre per tutti un mistero perché la piú bella delle figlie di Robillard accettasse di sposare quel rumoroso ometto dal viso rosso, che le arrivava appena alle spalle. Neanche Geraldo comprese mai perfettamente com'era andata la cosa. Sapeva soltanto che era accaduto un miracolo. E fu l'unica volta in vita sua che si sentí umile umile, quando Elena, pallidissima ma calma, posò leggermente una mano sul suo braccio dicendogli: - Vi sposerò, Mr. O'Hara. I Robillard, sbalorditi, conobbero la risposta; ma solo Elena e la sua Mammy seppero tutta la tristezza di quella notte in cui la fanciulla singhiozzò fino all'alba come una bambina col cuore spezzato, alzandosi al mattino con una ferma decisione. Con un doloroso presentimento, la bambinaia aveva portato alla sua padroncina un pacchetto proveniente da Nuova Orléans, con l'indirizzo scritto da una mano ignota; nel pacchetto era una miniatura di Elena, che ella lasciò cadere a terra con un grido, quattro lettere scritte da lei a Filippo Robillard e poche parole di un sacerdote di Nuova Orléans che le annunciava la morte di suo cugino in una rissa d'osteria. - Lo hanno cacciato via, il babbo, Paolina e Eulalia. Lo hanno cacciato via. Li odio. Non voglio piú vederli. Voglio andar via. Voglio andare tanto lontano da non vedere mai piú né loro né questa città né chiunque mi ricordi... lui. E al sorger del giorno, la nutrice, che aveva anch'essa pianto china sul capo bruno della sua padrona, aveva esclamato: - Ma non puoi far questo, tesoro! - Lo farò. È un brav'uomo. Lo farò, o andrò a chiudermi in un convento a Charleston. Fu la minaccia del convento che finalmente strappò il consenso a Pierre Robillard, che non rinveniva dallo stupore e dal dolore. Era un fedele presbiteriano, benché la sua famiglia fosse cattolica; e l'idea che sua figlia diventasse monaca gli era anche piú penosa del pensiero che fosse moglie di Geraldo O' Hara. Dopo tutto, contro costui non si poteva dir nulla, se non che non aveva famiglia. Cosí Elena, non piú Robillard, volse le spalle a Savannah per non rivederla mai piú e partí per Tara con un marito di mezz'età, la sua nutrice e venti «negri di casa». Dopo un anno nacque la prima bambina a cui diedero il nome di Caterina Rossella, come la mamma di Geraldo. Geraldo fu deluso, perché desiderava un maschio, ma ciò nondimeno fu abbastanza soddisfatto della sua bambina bruna da offrire, in segno di gioia, il rum a tutti i suoi schiavi, ubbriacandosi anche lui, felice e rumoroso. Nessuno può dire se Elena rimpianse mai la sua decisione di sposare Geraldo; meno di tutti suo marito, il quale non stava nella pelle ogni volta che la guardava. Ella aveva scacciato dalla sua mente Savannah e i suoi ricordi, da quando aveva lasciato quella graziosa città marittima; e dal momento in cui era giunta nella Contea, la Georgia era diventata il suo paese. Lasciando per sempre la dimora di suo padre, ella aveva abbandonato una casa le cui linee erano dolci e morbide come quelle di un corpo di donna, come quelle di una nave a vele spiegate; una casa intonacata di un pallido rosa, costruita nello stile coloniale francese, elegantemente sollevata sul suolo da palafitte a colonne, e a cui si saliva mediante scale a spirale, con ringhiere di ferro battuto che sembravano un merletto: una casa ricca e graziosa, ma lontana. Ella aveva abbandonato non solo la bella abitudine, ma anche tutta la civiltà che era dietro quell'edificio; e si trovava in un mondo cosí strano e diverso come se fosse addirittura in un altro continente. La Georgia settentrionale era una regione aspra, abitata da gente aspra anch'essa. Dall'altipiano che si ergeva al disotto delle cime delle Montagne Azzurre, ella vedeva ovunque distese ondulate rossicce, con vasti spazi su cui affiorava il granito sottostante ed enormi pini che torreggiavano cupamente dovunque. Tutto sembrava selvaggio e inospitale ai suoi occhi abituati alla costa e alla tranquilla bellezza delle isole drappeggiate nel muschio grigio e verde, con le larghe strisce di rena ardente sotto il sole semitropicale, le lunghe distese di terra sabbiosa ornata di palmizi. Questa era una regione che conosceva tanto il freddo dell'inverno quanto il calore dell'estate; e nel popolo erano un vigore e un'energia che la sorprendevano. Era gente buona, gentile, generosa, ma risoluta, virile, facile all'ira. Gli abitanti della Costa che ella aveva abbandonato si vantavano di occuparsi di ogni cosa, anche dei loro duelli e delle loro proprietà, con aria noncurante; ma questi Georgiani erano invece dotati di violenza. Sulla Costa la vita era molle; qui era giovanile, nuova, piena di vivacità. Tutte le persone che Elena aveva conosciuto a Savannah erano dello stesso stampo: avevano tutti quanti gli stessi punti di vista, e le stesse tradizioni; qui vi era invece una grande varietà. I colonizzatori della Georgia settentrionale venivano da molti luoghi diversi: da altre parti della Georgia stessa, dalla Carolina, dalla Virginia, e anche dall'Europa e dal Nord. Alcuni, come Geraldo, erano individui recatisi colà a cercar fortuna. Altri, come Elena, erano membri di vecchie famiglie che trovavano la vita insopportabile nel loro paese e avevano cercato rifugio altrove. Altri ancora si erano trapiantati senza alcuna ragione se non che il sangue irrequieto dei loro padri nomadi scorreva ancora nelle loro vene. Questa gente, arrivata da luoghi diversi e con diverse origini, dava alla vita della Contea una mancanza di formalismo che per Elena era assolutamente nuova ed alla quale non riuscí mai ad abituarsi completamente. Sapeva per istinto che cosa avrebbe fatto uno della Costa in certe date circostanze; non riuscí mai a prevedere che cosa avrebbe fatto, nelle stesse circostanze, un Georgiano del nord. Ciò che dava vita al commercio della regione era l'ondata di prosperità che allora volgeva verso il Sud. Tutto il mondo chiedeva cotone, e il nuovo terreno della Contea, fertile e non sfruttato, ne produceva in abbondanza. Il cotone era la pulsazione del cuore del paese; la semina e il raccolto erano la sistole e diastole della vermiglia terra. Dai solchi sinuosi veniva la ricchezza e anche l'arroganza; arroganza fondata sui verdi cespugli e sugli ettari di un bianco fioccoso. Se il cotone poteva farli ricchi in una generazione, quanto piú ricchi sarebbero nella prossima! La certezza dell'indomani dava entusiasmo e gioia di vivere; e la gente della Contea godeva la vita con un fervore che Elena non riuscí mai a comprendere. Avevano abbastanza denaro e abbastanza schiavi per avere anche il tempo di divertirsi; e si divertivano volentieri. Sembrava che non fossero mai tanto occupati da dover mancare a una partita di pesca, a una caccia o a una corsa di cavalli: ed era raro che passasse una settimana senza la sua riunione a base di porchette arrostite e il suo ballo. Elena non avrebbe mai potuto o voluto diventare simile a loro - aveva lasciato a Savannah troppo di se stessa - ma li rispettava e, col tempo ammirò la franchezza e la rettitudine di quel popolo che aveva poche reticenze ed apprezzava un uomo per quel che valeva. Divenne la signora piú amata della Contea. Era una vigile ed economa padrona di casa, una buona madre e una moglie devota. L'altruismo che avrebbe dedicato alla Chiesa fu invece consacrato al servizio dei suoi figliuoli, della sua casa e dell'uomo che l'aveva allontanata da Savannah e dai suoi ricordi e non le aveva mai rivolto alcuna domanda. Quando Rossella ebbe un anno - piú sana e vigorosa di qualsiasi altra bambina, secondo Mammy - nacque la seconda bambina di Elena, Susanna Eleonora, sempre chiamata Súsele, e, alla debita distanza, venne Carolene, iscritta nella Bibbia familiare come Carolina Irene. Seguirono poi tre maschietti, ognuno dei quali morí prima di avere imparato a camminare; tre bambini che ora dormivano sotto i cedri contorti, nel cimitero a cento metri dalla casa, sotto tre pietre ciascuna delle quali portava l'iscrizione «Geraldo O' Hara, Jr.» Dal giorno in cui Elena giunse a Tara, il luogo fu trasformato. Benché avesse solo quindici anni, ella era nondimeno pronta per tutte le responsabilità di una padrona di piantagione. Anche allora, prima del matrimonio, le ragazze dovevano essere soprattutto belle, gentili, decorative; ma dopo sposate, bisognava che fossero in grado di dirigere un'azienda domestica che contava oltre cento persone, fra bianchi e negri; e venivano educate in vista di questo. Elena aveva ricevuto quella preparazione per il matrimonio che veniva data a tutte le fanciulle di buona nascita; inoltre aveva con sé Mammy, la quale, con la sua energia, era capace di galvanizzare il negro piú inetto. In breve ella portò nel governo della casa di Geraldo ordine e dignità e diede a Tara una bellezza che non aveva mai avuta prima. La casa era stata costruita senza alcun piano architettonico prestabilito, aggiungendo delle camere quando occorrevano; ma con l'attenzione e la cura di Elena, acquistò un fascino speciale che derivava appunto dalla sua mancanza di disegno. Il viale di cedri che conduceva dalla strada principale alla casa - quel viale di cedri senza il quale nessuna casa di piantatore georgiano sarebbe stata completa - spandeva un'ombra cupa e fresca che per contrasto dava maggior vivezza e splendore al verde degli altri alberi. Il convolvolo che si arrampicava sulle verande appariva di un verde chiaro sul bianco delle mura; e insieme ad esso il rosa dei cespugli di ibisco accanto alla porta e le magnolie dai candidi fiori che si ergevano sulla spianata, nascondevano alquanto le linee goffe dell'edificio. In primavera e in estate il trifoglio e l'erba medica del prato diventavano color smeraldo, di uno smeraldo cosí seducente che rappresentava una tentazione irresistibile per i branchi di tacchini e di oche bianche che avrebbero, in realtà, dovuto abitare solo le regioni dietro alla casa. I volatili tentavano sempre delle clandestine avanzate sulla spianata, attratti dal verde dell'erba e dalla seducente promessa dei cespugli di gelsomini del Capo e delle aiuole di zinnie. Contro le loro ruberie era stata installata sotto al porticato una piccola sentinella nera. Il bambino seduto sui gradini, armato di un grande straccio bianco, faceva parte del quadro di Tara; ma era molto infelice perché gli era proibito di inseguire i gallinacei e doveva limitarsi a gridare e ad agitare lo straccio per spaventarli. Elena addestrava a questo còmpito dozzine di bambini negri: era il primo ufficio con una responsabilità che gli schiavi maschi avessero a Tara. Dopo i dieci anni venivano mandati dal vecchio Daddy, il ciabattino della piantagione per imparare il suo mestiere, o da Amos, il carpentiere, o da Filippo, il vaccaro, o da Cuffee, il guardiano delle mule. Se non mostravano attitudine per alcuno di questi mestieri, diventavano coltivatori e, nell'opinione dei negri, avevano perso il diritto a qualsiasi posizione sociale. La vita di Elena non era facile né felice; ma ella non si era aspettata che fosse facile, e quanto alla felicità, quello era il destino della donna. Il mondo era degli uomini ed ella lo accettava cosí. L'uomo era lodato per l'ordine della sua proprietà e la donna lodava la sua abilità. L'uomo rugghiava come un toro se una scheggia gli si ficcava in un dito e la donna soffocava i gemiti, quando metteva al mondo un figlio, per timore di disturbarlo. Gli uomini erano sgarbati e spesso ubriachi. Le donne ignoravano le cattive parole e mettevano gli ubriachi a letto senza parlare. Gli uomini erano rudi e brontoloni, le donne erano sempre buone, gentili e disposte a perdonare. Era stata educata nella tradizione delle grandi dame e le era stato insegnato a sopportare i propri dolori conservando il suo sorriso; ed ella intendeva che anche le sue tre figlie fossero, come lei delle vere signore. Con le figlie piú giovani era riuscita, perché Súsele desiderava tanto di essere piacente che prestava orecchio attento agli insegnamenti di sua madre, e Carolene era timida e facile da guidare. Ma, per Rossella, figlia di Geraldo, la via della signorilità fu dura. Con grande indignazione di Mammy, ella preferiva compagni di gioco che non fossero le sue ubbidienti sorelline o le bene educate fanciulle Wilkes, ma i bambini negri della piantagione e i maschietti del vicinato, ed era capace di arrampicarsi su un albero e di lanciar sassi. Mammy era molto turbata che la figlia di Elena avesse simili inclinazioni, e spesso la scongiurava di «condursi come una signora», ma Elena considerava la faccenda con una tolleranza piú lungimirante. Ella sapeva che i compagni d'infanzia sarebbero piú tardi diventati dei corteggiatori; e il primo dovere di una ragazza era sposarsi. Diceva quindi fra sé che la bimba era semplicemente piena di vita e che vi era tempo per insegnarle le arti e i modi che attraggono gli uomini. A tal fine Elena e Mammy riunirono i loro sforzi, e col passare degli anni, Rossella divenne una buona allieva, ma solo in questa materia, ché per tutto il resto imparava assai poco. Malgrado una successione di istitutrici e due anni trascorsi nella Accademia Femminile di Fayetteville, la sua educazione era incompleta; ma nessuna fanciulla della Contea parlava piú graziosamente di lei. Ella sapeva sorridere con garbo, camminare facendo ondeggiare i cerchi della sua gonna in modo attraente, sapeva guardare un uomo in faccia e poi abbassare gli occhi e battere le palpebre rapidamente in modo che sembrasse il tremito di una dolce emozione; e, soprattutto, aveva imparato a nascondere agli uomini un'intelligenza acuta sotto un viso dolce e semplice come quello di un bambino. Elena con la sua voce ammonitrice e Mammy con le sue costanti censure cercavano d'inculcare in lei le qualità che l'avrebbero resa veramente desiderabile come moglie. - Devi essere piú dolce, cara, piú remissiva - diceva Elena. - Non devi interrompere gli uomini che ti parlano, anche se credi di saperne piú di loro sull'argomento. Gli uomini non amano le ragazze troppo perspicaci. - Ragazze superbe che darsi arie e dire «voglio questo, voglio quello» di solito non trovare marito - profetizzava cupamente Mammy. - Le ragazze dovere abbassare occhi e dire «bene signore» e poi «Sí signore» e «avete ragione signore.» Le insegnarono dunque tutto ciò che una gentildonna doveva sapere, ma ella imparò soltanto la vernice della gentilezza. Non apprese mai la grazia interiore da cui questa gentilezza doveva sgorgare, e non vedeva neppure la ragione di apprenderla. Le apparenze bastavano, perché le apparenze della signorilità le acquistavano dei corteggiatori; ed ella non desiderava di piú. Geraldo proclamava che sua figlia era la piú bella di cinque Contee, e con un certo fondo di verità; infatti ella ebbe proposte di matrimonio da quasi tutti i giovani del vicinato ed anche da luoghi lontani, come Atlanta e Savannah. A sedici anni, grazie a Mammy e ad Elena, appariva gentile, simpatica e briosa, mentre in realtà era volontaria, vana e caparbia. Aveva ereditato la facile eccitabilità del padre irlandese e nulla della natura altruista e indulgente di sua madre, se non d'apparenza. Elena non si rese mai completamente conto che era soltanto una vernice, perché Rossella le mostrava soltanto il suo volto migliore, nascondendo le sue scappate, piegando il suo temperamento e apparendo in presenza di Elena piú dolce che poteva, perché sua madre, con un solo sguardo di rimprovero, riusciva a mortificarla fino alle lagrime. Ma Mammy non aveva illusioni sul suo conto ed era continuamente sul «chi vive» per le screpolature della vernice. Gli occhi di Mammy erano piú acuti di quelli di Elena, e Rossella non ricordava di essere mai riuscita ad ingannarla per molto tempo. Non che questi due mentori affettuosi deplorassero la vivacità, il fascino e la disinvoltura della giovinetta. Di tali qualità le donne meridionali andavano fiere. Erano invece preoccupate dalla natura impetuosa e dalla cocciutaggine di Geraldo che risorgevano in lei; e talvolta temevano che questi difetti non si sarebbero potuti nascondere prima che ella facesse un buon matrimonio. Ma Rossella intendeva sposarsi - e sposare Ashley - e perciò voleva apparire modesta, docile, e leggera, se queste erano le qualità che attraevano gli uomini. Non sapeva perché gli uomini fossero cosí; sapeva soltanto che questi metodi funzionavano. La cosa non l'interessò mai tanto da farle cercare la ragione di questo, poiché ella ignorava il lavorio interiore di ogni essere umano, e perfino il suo. Sapeva soltanto che se ella diceva o faceva «cosí - e cosà» gli uomini invariabilmente rispondevano col complimento «cosí - e cosà». Era come una formula matematica e non piú difficile di questa, perché la matematica era l'unica materia che era sembrata facile a Rossella quando andava a scuola. Se conosceva poco il raziocinio maschile, conosceva ancor meno quello femminile, perché le donne l'interessavano poco. Non aveva mai avuto un'amica e non ne aveva mai sentito la mancanza. Per lei tutte le donne, comprese le sue due sorelle, erano nemiche naturali che inseguivano la stessa preda: l'uomo. Tutte le donne, eccetto sua madre. Elena O'Hara era diversa, e Rossella la considerava come qualche cosa di sacro, fuori da tutto il resto del genere umano. Da bambina confondeva sua madre con la Vergine Maria, ed ora che era grande non vedeva ragione di mutare la sua opinione. Per lei Elena rappresentava la completa sicurezza che solo il cielo o una madre possono dare. Ella sapeva che sua madre era la personificazione della giustizia, della verità, della tenerezza affettuosa e della profonda saggezza: una gran dama. Rossella desiderava molto di essere come sua madre. La sola difficoltà era che essendo giuste e sincere, tenere e altruiste, si lasciavano sfuggire la maggior parte delle gioie della vita e senza dubbio si allontanavano molti corteggiatori. La vita era troppo breve per rinunciare a tante cose piacevoli. Un giorno, quando avesse sposato Ashley e fosse vecchia, un giorno, quando ne avrebbe il tempo, cercherebbe di essere come Elena. Ma fino allora...

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Melania pregò Mammy di lasciarle abbastanza ritagli di velluto per ricoprire la carcassa del suo cappello ormai logoro e suscitò le risa generali dicendo che il vecchio gallo del pollaio sarebbe costretto ad abbandonare, come guarnizione, la sua bella coda dai riflessi metallici, a meno che non prendesse immediatamente la fuga verso la palude. Rossella, mentre guardava le mani che volavano sul lavoro, udí quel riso e guardò tutti quanti con celata amarezza e disprezzo. «Non hanno l'idea di ciò che sta veramente accadendo a me, a loro, al Sud. Credono ancora, malgrado tutto, che nulla possa veramente accadere a nessuno di loro, perché sono chi sono: gli O'Hara, i Wilkes, gli Hamilton. Anche i negri credono questo. Pazzi! Stolti! Non capiranno mai! E nulla li muterà. Melly può vestire di stracci e raccogliere il cotone e magari aiutarmi ad uccidere un uomo, ma questo non la muta. È ancora la perfetta signora Wilkes! E Ashley, dopo la guerra, le ferite, la prigionia, è lo stesso gentiluomo di una volta, quando possedeva le Dodici Querce. Will è diverso. Egli comprende come le cose sono realmente; ma non ha mai avuto molto da perdere. Quanto a Súsele e Carolene... credono che si tratti di cosa temporanea. Sono convinte che Dio farà un miracolo, specialmente a loro beneficio. Ma Egli non lo farà. Il solo miracolo sarà quello che io vado a tentare con Rhett Butler... Essi non possono cambiare. Io sono la sola veramente mutata... e se avessi potuto farne a meno, ne sarei ben contenta.» Finalmente Mammy mandò gli uomini fuori dalla sala da pranzo, per poter cominciare le prove. Pork aiutò Geraldo a salire le scale per condurlo a letto, e Ashley e Will rimasero soli nel vestibolo illuminato da una lanterna. Tacquero per un poco: Will masticava il suo tabacco come un placido ruminante, ma il suo volto era tutt'altro che placido. - Non mi piace - disse finalmente con voce sommessa - questa gita ad Atlanta. Non mi piace neanche un poco. Ashley lo guardò; poi volse rapidamente lo sguardo altrove chiedendosi se Will nutriva lo stesso tremendo sospetto che lo tormentava. Ma era impossibile. Will ignorava ciò che era avvenuto nel frutteto in quel pomeriggio e la disperazione di Rossella. Né poteva aver notato il viso di Mammy quando era stato pronunciato il nome di Rhett Butler; d'altronde, Will non sapeva che Butler aveva del denaro e ignorava la cattiva reputazione di colui. Per lo meno, Ashley era convinto che Will non fosse al corrente di queste cose; ma dal suo ritorno a Tara si era accorto che quell'uomo, come Mammy, sapeva tante cose senza che alcuno glie le dicesse; sovente le intuiva prima che avvenissero. Ora nell'aria era una minaccia che Ashley non avrebbe saputo definire, ma da cui sapeva di non poter salvare Rossella. In tutta la sera i loro occhi non si erano mai incontrati, e la brillante gaiezza con la quale essa lo aveva trattato lo spaventava. Il sospetto che lo lacerava era troppo atroce per essere formulato in parole. Né aveva egli il diritto d'insultarla chiedendole se vi fosse fondamento di verità. Strinse i pugni. Non aveva alcun diritto su ciò che riguardava lei; in quel pomeriggio aveva rinunciato per sempre. E nessuno poteva aiutarla. Ma in quell'attimo il ricordo di Mammy e della sua espressione decisa mentre tagliava il velluto, lo risollevò alquanto. Mammy sorveglierebbe Rossella, che questa lo volesse o no. «Tutta colpa mia» pensò con disperazione. «Sono io che l'ho condotta a questo punto.» Ricordò come ella aveva irrigidito le spalle quando si era allontanata e come aveva sollevato la testa. Si sentí struggere il cuore per la propria inettitudine, e provò contemporaneamente un senso di ammirazione. Sapeva che nel vocabolario di lei non esisteva la parola «coraggio»; e sapeva che ella lo avrebbe fissato stupita se egli le avesse detto che era l'anima piú intrepida che avesse mai conosciuto. Sapeva che essa prendeva la vita come veniva, opponendo il suo forte spirito a qualsiasi ostacolo si presentasse, lottando con una decisione che non ammetteva sconfitta, e continuando a combattere, anche quando vedeva che la sconfitta era inevitabile. Ma per quattro anni egli aveva visto altri che avevano rifiutato di ammettere la sconfitta; uomini che avevano gaiamente affrontato il futuro disastro, perché erano intrepidi e coraggiosi. Ed erano stati ugualmente sconfitti. Mentre fissava Will nel vestibolo poco illuminato, Ashley pensò che non aveva mai conosciuto una intrepidezza pari a quella di Rossella O'Hara che partiva alla conquista del mondo avvolta nelle tende di velluto di sua madre e adorna con le penne della coda di un galletto.

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Lungo la Via dell'Albero di Pesco giungeva una carrozza chiusa; Rossella guardò avidamente se conosceva chi vi era dentro, perché la casa di zia Pitty era ancora abbastanza lontana. Stava per sorridere quando al finestrino apparve per un attimo una testa femminile; una testa dai capelli troppo rossi, sotto a un elegante cappello di pelliccia. Rossella indietreggiò un passo, riconoscendo e vedendosi riconosciuta. Era Bella Watling, e Rossella dilatò le narici con disgusto quando quella scomparve. Strano che Bella fosse la prima faccia di conoscenza che incontrava! - Chi essere? - chiese Mammy sospettosa. - Lei conoscerti ma non averti salutata. Io avere mai visto capelli di quel colore. Nemmeno famiglia Tarleton. Mi pare... che essere tinti. - Infatti lo sono - rispose Rossella brevemente affrettando il passo. - E tu conoscere donna coi capelli tinti? Io averti domandato chi essere. - È una donna pubblica. E ti dò la mia parola d'onore che non la conosco; perciò basta. - Dio di misericordia, - ansimò Mammy guardando con viva curiosità la carrozza che si allontanava. Non aveva mai visto una prostituta da quando aveva lasciato Savannah vent'anni prima e le dispiaceva di non aver osservato Bella piú attentamente. - Essere ben vestita e avere bella carrozza e cocchiere, - mormorò. - Non sapere come Padre Eterno permettere che donne cattive stare cosí bene, mentre brava gente essere affamata e quasi scalza. - Il Padre Eterno ha smesso da un pezzo di occuparsene - rispose Rossella con violenza. - E non cominciare a dirmi che la mamma si rivolta nella tomba quando mi sente parlare cosí. Voleva sentirsi superiore a Bella ma non poteva. Se i suoi piani avevano un risultato, ella si troverebbe nella stessa posizione di Bella, mantenuta dallo stesso uomo. Benché non rimpiangesse la sua decisione, si sentí leggermente avvilita contemplando la cosa nella sua vera luce. Oltrepassarono il luogo dov'era stata la casa dei Meade; non vi era che qualche gradino di pietra. Ugualmente nudo era terreno dove sorgeva la casa dei Whiting; perfino le pietre delle fondamenta e i mattoni dei camini erano stati portati via e si vedevano le tracce dei carri che erano serviti per trasportarli. La casa degli Elsing era in piedi, col secondo piano ricostruito e il tetto nuovo. Quella dei Bonnell era ricoperta alla meglio di assiti invece che di tegole e cercava di avere un'apparenza abitabile. Ma in nessuna di queste case si vedeva una faccia alla finestra o una figura sotto al porticato; e Rossella ne fu lieta perché non aveva voglia di parlare con nessuno. Finalmente apparve il nuovo tetto di lavagna sulle mura di mattoni della casa di zia Pitty, e Rossella si sentí battere il cuore. In quel momento zio Pietro usciva con un cesto per la spesa infilato al braccio; vedendo Rossella e Mammy, un largo sorriso d'incredulità gli spalancò la bocca fino alle orecchie. «Sono cosí contenta di vederlo che l'abbraccerei» pensò Rossella; poi gridò: - Corri a prendere la bottiglia dei sali di zia Pitty, Pietro; sono proprio io!

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. - Sinceramente, Rossella, non vi pare che quella notte siete stata abbastanza egoista? Pensate: con tutto ciò che avevo fatto per voi, arrischiato la vita, rubato un cavallo. e che cavallo! Rapito alla difesa della Nostra Causa Gloriosa! E che cosa ho avuto per ricompensa? Poche parole dure e uno schiaffo sonoro. Ella sedette. La conversazione non si svolgeva secondo il suo desiderio. - Volete sempre avere qualche cosa in cambio di ciò che fate? - Si capisce! Dovreste sapere che sono un mostro di egoismo. Pretendo sempre il pagamento, per qualunque cosa. Questo le diede un leggero brivido. Ma si riprese subito e agitò nuovamente gli orecchini. - Ma no, non è vero che siete tanto cattivo, Rhett. Vi piace farlo credere. - Siete proprio cambiata sul serio! - E Rhett rise. - Ma chi è che ha fatto di voi una cosí buona cristiana? Ho avuto vostre notizie da miss Pittypat, la quale non mi ha detto che in voi si fosse sviluppata la dolce femminilità. Ma parlatemi di voi. Che avete fatto da quando non ci siamo piú visti? L'antica irritazione verso di lui e lo spirito antagonistico erano già risorti in lei, e l'impulso fu di rispondere con asprezza; ma lo dominò e sorrise mostrando le fossette delle guance. Egli aveva avvicinato la sedia alla sua, e Rossella gli posò dolcemente mia mano sul braccio. - Oh, me la sono cavata, e le cose a Tara vanno benino adesso. Certo, abbiamo passato dei brutti momenti dopo la venuta di Sherman; ma per fortuna la casa non fu bruciata, e i negri salvarono la maggior parte delle nostre provviste nascondendole nella palude. Abbiamo anche fatto un discreto raccolto: venti balle. Senza dubbio, è un'inezia in confronto di quello che potrebbe produrre Tara; ma abbiamo pochi contadini. Il babbo dice che l'anno venturo andrà meglio. Ma com'è malinconica adesso la campagna, se sapeste! Né balli né riunioni; e non si parla d'altro che della tristezza dei tempi! Vi assicuro che non ne posso piú! Finalmente, la settimana scorsa ho sentito che proprio ero stufa, e allora il babbo mi ha consigliato di fare un viaggetto per distrarmi un poco. Perciò sono venuta qui a farmi qualche abito e poi andrò a Charleston da mia zia. Sarà piacevole frequentare di nuovo qualche ballo! «Bene» pensò con soddisfazione «gliel'ho detto proprio come dovevo! Senza aver l'aria troppo ricca, ma neanche troppo povera!» - Siete molto bella vestita da ballo, mia cara; e quel ch'è peggio, è che lo sapete! Probabilmente la vera ragione per cui andate a far visita alle vostre parenti è perché avete esaurito tutti i corteggiatori della Contea e avete bisogno di andare a mietere altre conquiste in campi lontani! Rossella fu ben lieta al pensiero che Rhett avesse trascorso gli ultimi mesi all'estero. Altrimenti, non avrebbe fatto quella ridicola affermazione. Pensò con amarezza ai corteggiatori della Contea: i piccoli Fontaine vestiti di abiti logori, i poveri Munroe, i giovinotti di Jonesboro e di Fayetteville, tanto occupati ad arare, spaccare legna, curare vecchi animali infermi, che avevano completamente dimenticato l'esistenza di cose piacevoli come balli e corteggiamenti. Ma respinse questo pensiero e sorrise ammettendo la verità dell'asserzione. - Andiamo, via! - esclamò. - Siete una creatura senza cuore, Rossella; ma forse questo fa parte del vostro fascino. - Sorrise del suo vecchio sorriso un po' beffardo. - È un fascino veramente eccessivo, il vostro. L'ho sentito perfino io, benché sia cosí indurito... Spesso mi sono chiesto perché avevo cosí vivo il vostro ricordo, mentre ho conosciuto tante signore piú belle di voi, piú intelligenti e, probabilmente, piú buone e moralmente piú oneste di voi. Eppure, non vi ho mai dimenticata. Anche quando, dopo la sconfitta, sono stato in Inghilterra e in Francia, e ho conosciuto tante donne piacevoli, mi è accaduto spesso di pensare a voi e di chiedermi che cosa stavate facendo. Per un momento fu indignata nel sentirgli dire che altre donne erano piú belle, piú intelligenti e piú buone di lei, ma questo pensiero svaní dinanzi alla gioia di sapere che aveva sempre ricordato lei e il suo fascino. Questo le facilitava il compito. Ora bisognava parlare di lui, fargli comprendere che anche lei non aveva dimenticato e poi... Gli strinse dolcemente il braccio e sorrise ancora. - Oh Rhett, perché prendere in giro una ragazza di campagna come me! So benissimo che non vi siete piú ricordato che io fossi al mondo dopo quella notte... Con tutte quelle belle inglesine e francesine... Ma non sono venuta qui per sentirvi dire delle galanterie. Sono venuta... sono venuta... perché... - Perché...? - Perché... ero tanto preoccupata per voi! Tanto spaventata! Quando uscirete da questo orribile luogo? Rapidamente egli le coperse la mano con la sua e la trattenne contro il proprio braccio. - Siete molto carina. Non so dirvi quando potrò uscire. Probabilmente quando avranno tirato un poco piú la corda. - La corda? - Ma sí; immagino che uscirò da qui sospeso a una corda! - Non volete dire che vi impiccheranno...? - Lo faranno se riusciranno ad avere qualche prova di piú a mio carico. - Rhett! - e Rossella si portò la mano al cuore. - Ne avrete dolore? Se sarete abbastanza addolorata, mi ricorderò di voi nel mio testamento. Gli occhi neri ridevano incuranti. Le strinse la mano. «Il suo testamento!» pensò Rossella. E abbassò gli occhi per tema che la tradissero. Ma non abbastanza rapidamente: e gli occhi di lui improvvisamente si accesero di curiosità. - Secondo gli yankees, dovrei fare un bellissimo testamento. Si interessano molto dello stato delle mie finanze. Tutti i giorni mi rivolgono un'infinità di domande stupide. A quanto pare, corre voce che io abbia portato via il mitico oro della Confederazione... - E... non lo avete fatto? - Che domanda! Voi sapete meglio di me che la Confederazione aveva una macchina litografica invece di una zecca. - E da dove veniva tutto il vostro denaro? Speculazioni. Zia Pitty dice... - Che domande insidiose? Dio lo benedica! Certamente aveva il denaro... Rossella era cosí eccitata che ormai trovava difficile parlargli con dolcezza. - Rhett, sono tanto sconvolta all'idea che siate rinchiuso qui dentro... Non vi è nessuna possibilità di uscirne? - Il mio motto è "nihil desperandum". - E che significa? - Significa "forse", mia graziosa ignorantella. Rossella agitò le palpebre frangiate come ali di farfalla. - Siete troppo abile per lasciarvi impiccare! Certo troverete il modo di cavarvela. E quando sarete riuscito... - Ebbene? - chiese Rhett dolcemente, chinandosi ancor di più - Ebbene, io... - Riuscí a fingere un grazioso imbarazzo e ad arrossire. Il rossore non le riuscí troppo difficile, perché era ansimante e il cuore le batteva come un tamburo. - Rhett, sono cosí spiacente di... di quello che vi dissi quella sera... lí, sulla strada. Ero... tanto spaventata e sconvolta e voi... - Abbassò gli occhi e vide le mani brune di lui sulle sue.... E credetti... che non vi avrei mai piú perdonato! Ma quando zia Pitty ieri mi ha detto che voi... che potrebbero impiccarvi... io... io... - Gli lanciò un rapido sguardo d'implorazione in cui mise tutta l'angoscia di un cuore spezzato - Oh, Rhett, se vi impiccassero morirei! Non potrei resistere! Io... - E non potendo sostenere la luce ardente degli occhi di lui, abbassò nuovamente le palpebre. «Sento che sto per piangere» pensò eccitata, frenetica. «Debbo dar corso alle lagrime? Sembrerà piú naturale? Rhett le strinse le mani cosí forte da farle male, mentre mormorava: - Dio mio, Rossella, non volete dire che... Ella chiuse gli occhi cercando di spremerne qualche lagrima, ma volgendo lievemente in alto il viso perché egli potesse baciarla piú facilmente. Fra un secondo la sua bocca sarebbe sulla sua; quella bocca dura che improvvisamente ricordò con un'intensità che parve la svuotasse di tutto il sangue. Ma egli non la baciò. Delusa e stupita, riaperse gli occhi e arrischiò una breve occhiata. Il capo bruno era chino sulle sue mani; egli ne sollevò una e la baciò; poi, prendendo l'altra, se la posò per un momento sulla guancia. Aspettandosi qualche cosa di violento, questo gesto gentile e affettuoso la stupí. Avrebbe voluto vedere l'espressione del suo volto, ma non poté scorgerlo. Riabbassò in fretta gli occhi per timore che egli sollevasse i suoi e vedesse la sua espressione. Era sicura di non poter celare la gioia per il trionfo imminente. Certo fra un minuto le chiederebbe di sposarlo o perlomeno le direbbe che l'amava; e allora... Mentre attraverso le folte ciglia abbassate ella lo guardava, Rhett le rivoltò la mano per baciarne anche il palmo, e a un tratto respirò piú velocemente. Anche Rossella in quel momento vide il palmo della propria mano, come se non lo avesse mai visto, e si sentí mancare il cuore. Era la mano di un'estranea, non la mano bianca, morbida, tutta fossette di Rosella O'Hara. Era una mano indurita dal lavoro, arsa dal sole, screpolata e incallita. Le unghie erano spezzate e irregolari; nel pollice era una vescica in via di guarigione. La cicatrice della bruciatura prodotta il mese scorso dal grasso bollente era lucida e rossa. Rossella vide tutto ciò in un lampo, con orrore, e istintivamente strinse il pugno. Neanche adesso Rhett levò il capo. Neanche adesso ella vide il suo volto. Le riaperse il pugno senza pietà, le prese l'altra mano e rimase a fissarle senza parlare. - Guardatemi - disse finalmente alzando la testa; la sua voce era tranquilla. - E smettete quell'aria umiliata. Involontariamente ella lo guardò con un'espressione di sfida e di turbamento. Gli occhi di lui scintillavano e le sue sopracciglia brune erano inarcate. - Dunque le cose vanno benino a Tara, non è vero? E il raccolto del cotone rende tanto che voi potete andare in giro a visitare i parenti. Che cosa avete fatto con queste mani...? Vangato? Ella cercò di svincolarsi; ma Rhett la trattenne e le posò un dito sui calli. - Queste non sono le mani di una signora - e gliele posò nuovamente in grembo. - Tacete! - ella esclamò provando un attimo di sollievo nel sentirsi nuovamente capace di esprimere i propri sentimenti. - Che cosa v'importa di quello che faccio con le mani? «Che sciocca!» pensò frattanto con ira. «Dovevo farmi prestare i guanti di zia Pitty o rubarglieli. Ma non mi ero accorta che le mie mani fossero in questo stato. E ora ho perso il controllo di me stessa ed ho rovinato ogni cosa!» E questo proprio nel momento in cui stava per fare la sua dichiarazione! - Senza dubbio le vostre mani non mi riguardano - rispose Rhett freddamente e si appoggiò indolentemente alla spalliera della sua sedia con aria ingenua. La faccenda diventava difficile. Chi sa, forse parlandogli con dolcezza... - Siete poco gentile a respingere le mie povere mani, soltanto perché la settimana scorsa sono andata a cavallo senza guanti e me le sono sciupate... - Accidempoli, che cavallo! - La voce di lui era ugualmente calma e dolce. Avete lavorato come un negro, con quelle mani. Perché non dite la verità? Perché darmi ad intendere che le cose a Tara vanno bene? - Ma insomma, Rhett... - Qual'è il vero scopo della vostra visita? Avevo quasi creduto alle vostre moine e stavo per convincermi che eravate addolorata che io... - Ma sí, Rhett, sono addolorata! Davvero... - Niente affatto. Se anche mi appiccassero a non so che altezza, non ve ne importerebbe nulla. È scritto chiaramente sul vostro viso, cosí come il lavoro faticoso è scritto sulle vostre mani. Voi volete qualchecosa da me e perciò avete inscenato questa commedia. Perché non siete venuta a dirmelo francamente? Avreste avuto piú probabilità di raggiungere il vostro scopo, perché se vi è una virtú che stimo in una donna è la franchezza. Ma no: siete venuta qui a far dondolare i vostri orecchini e a fare delle smorfie come una prostituta che spera di accaparrarsi un cliente. Non aveva alzato la voce pronunciando queste ultime parole, ma per Rossella furono come una frustata; ed ella vide con disperazione il naufragio di tutte le sue speranze. Se egli avesse avuto uno scoppio d'ira come a molti altri uomini sarebbe accaduto, Rossella avrebbe ancora trovato modo di prenderlo. Ma la calma mortale della sua voce la sgomentò. Benché fosse un detenuto e nella stanza accanto vi fossero gli yankees, ella comprese improvvisamente che era pericoloso mettersi in contrasto con Rhett Butler. - Evidentemente la memoria mi ha fatto difetto. Dovevo ricordarmi che voi siete come me e non fate mai nulla senza uno scopo. Vediamo, dunque. Che diamine potevate avere in mente, signora Hamilton? Possibile che abbiate supposto che vi avrei chiesta in moglie? Ella divenne di porpora e non rispose. - Eppure non potete aver dimenticato che molte e molte volte ho affermato che non sono tipo da matrimonio! Poiché ella non rispondeva, egli riprese con subitanea violenza. - Non lo avevate dimenticato? Rispondetemi! - Non lo avevo dimenticato - rispose Rossella miserabilmente. - Siete una giocatrice, Rossella - rise Rhett. - Avete creduto che l'essere chiuso qui, lontano da ogni contatto femminile, mi avrebbe messo in tale stato che avrei abboccato all'amo come un povero pesciolino... «E se non fosse stato per le mie mani...!» pensò Rossella con ira. - Ora la verità è venuta fuori; mi manca soltanto conoscere i vostri motivi. Vedete un po' se siete capace di dirmi perché volevate accalappiarmi nella rete matrimoniale. Nella sua voce era una nota soave, quasi beffarda, ed ella riprese un po' di coraggio. Forse tutto non era ancora perduto. Certo non vi era piú da pensare al matrimonio; ma di questo, malgrado la sua disperazione, fu quasi contenta. Vi era qualche cosa, in quell'uomo immobile, che la sgomentava; sicché ora il pensiero di sposarlo le appariva spaventoso. Ma forse, con un po' di abilità e sapendo toccare il tasto dei ricordi, potrebbe ottenere il prestito. Diede al suo viso un'espressione infantile e supplichevole. - Oh, Rhett... potreste aiutarmi... se voleste esser buono! - Non c'è nulla che mi piaccia di piú che l'esser buono. - Rhett, per la nostra vecchia amicizia, vorrei che mi faceste un favore. - Oh, finalmente la signora dalle mani callose viene a dirmi il vero scopo della sua visita. Mi pareva bene che «visitare gli infermi e i carcerati» non fosse il vostro genere. Di che avete bisogno? Denaro? La rudezza di questa domanda distrusse ogni speranza di condurre la faccenda in maniera guardinga e sentimentale. - Non siate cosí cattivo, Rhett! - La sua voce era lusingatrice. - Ho bisogno di un prestito da voi... Trecento dollari. - Finalmente la verità! Si parla d'amore ma si pensa ai quattrini. Com'è femminile questo! E vi occorrono assolutamente? - Sí... Cioè, non assolutamente, ma mi farebbero comodo. - Trecento dollari. È una bella somma. Per che cosa vi serve? - Per pagare le imposte su Tara. - Dunque, vi occorre una sovvenzione. Giacché siete qui per affari, parlerò anch'io da uomo d'affari. Che garanzia mi date? - Come? - Garanzia. Sicurezza della restituzione. Non ho nessuna voglia di perdere una simile cifra. - La sua voce aveva una falsa dolcezza; ma Rossella non la rilevò. Sperava ancora che la faccenda potesse aggiustarsi. - I miei orecchini. - Non mi interessano. - Vi darò un'ipoteca su Tara. - Che volete che ne faccia di una proprietà fondiaria? - Potreste... potreste... è un'ottima piantagione. E non perderete nulla. Vi rimborserò col ricavato del prossimo raccolto. - Non ne sono molto sicuro. - Si appoggiò indietro, alla spalliera della sedia, e si mise le mani in tasca. - I prezzi del cotone stanno scendendo. I tempi sono difficili e il denaro è scarso. - Mi prendete in giro, Rhett! Coi milioni che avete... Gli occhi neri di lui brillavano maliziosamente mentre egli la fissava. - Dunque, tutto va bene e voi non avete un bisogno assoluto di questo denaro. Mi fa piacere di saperlo. Sono ben contento che per i vecchi amici la vita sia abbastanza facile. - Rhett, per l'amor di Dio... - riprese Rossella disperata, perdendo il coraggio e il controllo di sé. - Parlate piú sommessa. Spero che non vorrete che gli yankees vi sentano. Vi hanno mai detto che avete gli occhi di un gatto... di un gatto nell'oscurità? - Non mi tormentate, Rhett! Vi dirò tutto. Ho assoluto bisogno del denaro. Ho... ho mentito in tutto e per tutto. Le cose... vanno alla peggio. Il babbo è... non è piú in sé, da quando è morta la mamma; e non può aiutarmi in nessun modo; è ridotto come un bambino. Non abbiamo un solo contadino per coltivare il cotone e siamo in tanti a mangiare: tredici persone! Le tasse sono altissime. Voglio dirvi tutto, Rhett! Per un anno siamo stati sempre in procinto di morire di fame. Oh, non potete sapere! È terribile svegliarsi con la fame e andare a letto con la fame... E non avere un vestito che dia un po' di calore; i bambini sono sempre raffreddati e sofferenti... - Dove avete preso questo bel vestito? - È fatto con le tende della mamma - rispose, troppo disperata per tacere questa vergogna. - Ho resistito al freddo e alla fame, ma ora... i «carpetbaggers» hanno aumentato le tasse. E bisogna pagare! Non ho che una moneta d'oro da cinque dollari. E se non pago... mi prenderanno Tara! E io... noi non possiamo perdere la nostra terra, la nostra casa! - Perché non mi avete detto subito tutto questo invece di far languire il mio cuoricino suscettibile... sempre debole quando si tratta di belle signore? No, Rossella, non piangete. Avete usato tutti i trucchi possibili, meno questo; e non so se potrei resistere. Ho già il cuore abbastanza lacerato dalla delusione di avere scoperto che volevate il mio denaro e non la mia affascinante persona. Ella ricordò che Rhett spesso diceva delle verità scherzando e lo guardò per comprendere se egli era veramente addolorato. Si interessava davvero a lei? Era realmente stato in procinto di farle una proposta quando si era accorto delle sue mani callose? Ma gli occhi neri la guardavano con un'espressione che non era amorosa, e la bocca rideva beffarda. - Non mi piace la vostra garanzia. Non sono un piantatore. Che altro potete offrirmi? Finalmente era giunto il momento... Coraggio! Trasse un profondo respiro e lo guardò schiettamente, senza civetteria, mentre la sua mente cercava di non indietreggiare dinanzi a ciò che temeva di piú. - Ho... ho me stessa. - Davvero? La linea della mascella di lei si assottigliò e i suoi occhi divennero di smeraldo. - Vi ricordate quella sera, durante l'assedio, sotto al porticato di zia Pitty? Mi diceste... che mi desideravate. Egli si gettò nuovamente indietro, appoggiando la spalliera della seggiola alla parete; il suo volto bruno era impenetrabile. Una luce si agitò un attimo nei suoi occhi, ma egli tacque. - Diceste... che non avevate mai desiderato tanto nessuna donna. Se mi desiderate ancora, Rhett, potete avermi. Farò tutto ciò che vorrete; ma per carità, scrivetemi un ordine per il denaro! La mia parola vi deve bastare. Giuro che non mi trarrò indietro. Se volete, ve lo metterò in iscritto. Egli la guardò in modo strano, sempre impenetrabile; Rossella non avrebbe saputo dire se era divertito o disgustato. Se almeno avesse pronunciato una parola! Ella sentí le fiamme salirle al viso. - E bisogna che io abbia il denaro senza indugio, Rhett. Altrimenti ci metteranno in mezzo alla strada; quel maledetto sorvegliante che era alle dipendenze del babbo vuoi diventare proprietario di Tara... - Un momento. Che cosa vi fa credere che io vi desideri ancora? Che cosa vi fa supporre che potete valere trecento dollari? Generalmente le donne non raggiungono questo prezzo. Ella arrossí fino alla radice dei capelli; non poteva essere piú umiliata di cosí. - Perché fate questo? Perché non lasciate perdere la proprietà e non ve ne andate ad abitare con miss Pittypat? Metà della casa vi appartiene... - Dio benedetto! - esclamò Rossella. - Siete pazzo? Io non posso lasciar perdere Tara. È la mia casa. Non la lascerò finché avrò respiro! - Gli irlandesi - e riabbassò i piedi anteriori della sedia togliendosi le mani di tasca - sono la razza piú infernale che vi sia. Mettono un ardore inverosimile nelle cose piú sbagliate. Per esempio, la terra. Come se una zolla non fosse identica a un'altra zolla... Dunque, stabiliamo chiaramente questa faccenda. Siete venuta da me con una proposta commerciale. Io vi darò trecento dollari e voi diventerete la mia amante. - Sí. Ora che la parola ripugnante era stata detta, ella si sentí sollevata; la speranza si ridestò in lei. Rhett aveva detto «vi darò». Nei suoi occhi era una luce diabolica, come se la cosa lo divertisse sommamente. - Eppure, quando ho avuto la sfacciataggine di farvi la stessa proposta, mi avete messo alla porta. E mi avete gratificato di un certo numero di insulti, aggiungendo che non volevate arrischiare di mettere al mondo «un mucchio di bastardi». Questo lo dico soltanto perché sto cercando di capire le stranezze della vostra mentalità. E tutto questo mi convince una volta di piú che la virtú è semplicemente una questione di prezzo. - Oh, Rhett, continuate pure! Se avete voglia di insultarmi, dite tutto quello che volete, ma datemi il denaro! Ora si sentiva piú tranquilla. Conoscendo Rhett, era certa che egli l'avrebbe tormentata e insultata per vendicarsi del passato e anche del suo recente tentativo. Ebbene, sopporterebbe tutto. Per Tara, valeva la pena. Tutto si poteva sopportare. Rialzò il capo. - Me lo darete? Egli la fissò come se si stesse divertendo, e quando rispose la sua voce ebbe una soave brutalità: - No, non ve lo darò. Le sembrò quasi di non capire. - Non potrei darvelo, anche se volessi. Non ho un quattrino con me. E non ho un dollaro ad Atlanta. Ho un po' di denaro, sí, ma non qui. E non vi dirò quanto né dove. Ma se io cercassi di fare un assegno, gli yankees vi si avventerebbero sopra e non prenderemmo piú nulla, né voi né, io. Che ne dite? Il volto di lei divenne verdastro, e la sua bocca si contorse come quella di Geraldo in una rabbia omicida. Balzò in piedi con un grido incoerente che fece immediatamente cessare il mormorio di voci nella stanza accanto. Con un guizzo di pantera Rhett le fu vicino, mettendole una mano sulla bocca e afferrandola alla vita con l'altro braccio. Ella lottò violentemente, cercando di mordergli la mano, di dargli dei calci, di urlare la sua ira, la sua disperazione, il suo odio, la sua angoscia, il suo orgoglio ferito. Si dibatté e si torse su quel braccio di ferro, ma egli la teneva cosí stretta da farle male; anche la mano che le aveva posto sulla bocca le serrava crudelmente le mascelle. Era pallidissimo sotto il suo colore abbronzato e i suoi occhi erano ansiosi mentre la sollevava completamente da terra; sedette nuovamente, stringendosela al petto, raccogliendola sulle sue ginocchia tutta contorta. - Cara, per l'amor di Dio! Zitta! Non urlate! Altrimenti entreranno qui... Calmatevi! Volete che gli yankees vi vedano in questo stato? Non le importava nulla di essere vista da chiunque; non aveva altro che un feroce desiderio di ucciderlo. Ma si sentí prendere dal capogiro: stentava a respirare; Rhett la soffocava; il busto la stringeva come una morsa di ferro. Udí la sua voce diventare piú fievole e lontana e il volto di lui chino sul suo fu avvolto da una specie di nebbia sempre piú densa, finché non lo vide piú. Tornando in sé, fece qualche lieve movimento: le dolevano tutte le ossa e si sentiva debole e sbalordita. Semisdraiata sulla sedia, era senza cappello; Rhett le dava dei lievi colpetti sul polso, mentre i suoi occhi neri la scrutavano ansiosamente. Il giovine capitano cercava di farle inghiottire un bicchierino di acquavite; gliene aveva sparso metà sul collo. Gli altri ufficiali giravano intorno senza saper che fare, parlando sottovoce e agitando le mani. - Credo... di essere svenuta. - E la propria voce le parve cosí lontana che la spaventò. - Bevi questo - disse Rhett prendendo il bicchiere e accostandoglielo alle labbra. Ella ricordò l'accaduto e lo guardò; ma era troppo stanca per adirarsi. - Ti prego, per amor mio. Inghiottí un sorso e cominciò a tossire; ma egli la costrinse ad inghiottire ancora. Ingoiò e il liquido ardente le bruciò la gola. - Ora mi pare che stia meglio, signori - disse Rhett - ed io vi ringrazio molto. L'idea che io debba essere giustiziato l'ha sconvolta. Il gruppo in uniformi azzurre si agitò un poco confusamente; vi fu qualche sguardo imbarazzato, qualche colpetto di tosse, poi tutti uscirono. - Se posso ancora esservi utile... - disse il giovine capitano soffermandosi sulla soglia. - No, grazie. Uscí e richiuse l'uscio. - Bevete un altro sorso. - No. - Bevete. Bevve ancora; il calore si diffuse per il suo corpo e le diede un po' di forza. Fece per alzarsi in piedi, ma egli la trattenne. - Lasciatemi. Ora me ne vado. - Non ancora. Aspettate un momento. Potreste svenire di nuovo. - Preferisco svenire per istrada piuttosto che stare qui con voi. - Ma io non voglio che vi sentiate male per istrada. - Lasciatemi andare. Vi odio. Egli accennò un debole sorriso. - Questo vi somiglia. Si vede che state meglio. Rossella cercò per un momento di richiamare la sua collera; ma era troppo stanca e debole per potere odiare e provare qualsiasi sentimento violento. La sconfitta le pesava come il piombo. Aveva giocato e aveva perduto tutto. Questa era la fine della sua ultima speranza; la fine di Tara e di ogni cosa. Rimase a lungo con gli occhi chiusi, sentendo vicino a sé il respiro di lui; il calore dell'acquavite diffondendosi nel suo corpo le diede una fittizia energia. Quando finalmente riaperse gli occhi e lo vide, la collera la invase nuovamente. Vedendole aggrondare le sopracciglia, Rhett sorrise. - State meglio. Si vede dal vostro cipiglio. - Sí, sto bene. Ma voi, Butler, siete un odioso farabutto, il piú gran mascalzone che io abbia mai conosciuto! Sapevate benissimo quello che vi avrei detto e sapevate che non potevate darmi il denaro. Avreste dunque potuto evitarmi... - Evitarvi di dire quello che avete detto? Neanche per sogno. Ho cosí poche distrazioni qui! E non ho mai udito nulla di piú piacevole. - Improvvisamente rise del suo vecchio riso beffardo. Udendolo ella balzò in piedi afferrando il suo cappello. Egli la prese per le spalle. - Non ancora! Vi sentite abbastanza bene da poter parlare con un po' di senso comune? - Lasciatemi andare! - Vedo che state bene. E allora ditemi una cosa. Ero io la sola cartuccia che potevate sparare? - I suoi occhi erano attenti e pronti a spiare ogni mutamento del volto di lei. - Che volete dire? - Ero il solo uomo col quale potevate tentare...? - Che ve ne importa? - Piú di quello che immaginate. Ditemi dunque. Avete altri uomini a cui ricorrere? - No! - Incredibile. Non riesco a immaginarvi senza una riserva di cinque o sei innamorati. Certamente qualcuno potrebbe accettare la vostra proposta. Ne sono tanto sicuro che vorrei darvi un piccolo consiglio. - Non so che farmene dei vostri consigli. - Voglio darvelo lo stesso. È la sola cosa che posso darvi adesso. Quando volete ottenere qualche cosa da un uomo, non siate cosí schietta come siete stata con me. Siate piú insinuante, piú seducente. Il risultato sarà migliore. Una volta eseguivate questo gioco alla perfezione. Ma poco fa, quando mi avete offerto la vostra... hm.... garanzia per il mio denaro, siete stata troppo dura. Ho visto degli occhi come i vostri una volta, a venti passi di distanza, durante un duello alla pistola; e vi assicuro che non è una vista piacevole. Ciò non risveglia l'ardore nel petto di un uomo. Non è cosí che si trattano gli uomini, mia cara. Voi state dimenticando la vostra educazione e tutte le arti che vi sono state insegnate. - Non ho bisogno che mi diciate come devo comportarmi - replicò Rossella; e si mise il cappello con le mani tremanti di stanchezza. Fu stupita che egli avesse voglia di scherzare, sentendosi la corda intorno al collo, e sapendo lei in condizioni cosí pietose. Non si accorse neppure che egli aveva le mani sprofondate in tasca, coi pugni stretti, come se facesse uno sforzo contro la propria impotenza. - Allegra - le disse mentre ella si annodava i nastri del cappello. - Potrete venire ad assistere alla mia impiccagione; questo vi farà bene. Salderà tutti i vostri vecchi rancori contro di me... anche quest'ultimo. E io vi nominerò nel mio testamento. - Grazie; ma c'è il pericolo che vi impicchino quando sarà troppo tardi per pagare le tasse - rispose Rossella con una subitanea malizia che superò quella di lui.

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- Sí, abbastanza. Bisognava pur parlare di qualche cosa; ma Rossella era incapace di pensare ad altro che alla sua sconfitta. Se almeno le riuscisse di trovare un argomento sul quale egli potesse conversare fino a casa, in modo da dover soltanto mormorare ogni tanto una parola di assenso! - Sono sorpresa di vedervi, Franco. Non sapevo che foste ad Atlanta. Mi pare che qualcuno mi abbia detto che state a Marietta. - Ho da fare, a Marietta; una quantità di faccende... Non ve lo ha detto miss Súsele che sono stabilito ad Atlanta? Non vi ha parlato del mio negozio? Ricordò vagamente che Súsele doveva averle detto qualche cosa in proposito; ma lei non badava mai molto ai discorsi di sua sorella. Le era bastato sapere che Franco era vivo e che un giorno o l'altro le toglierebbe il peso di Súsele. - No, non mi ha detto nulla - mentí. - Avete un negozio? Come siete bravo! Egli sembrò un po' piccato che Súsele non avesse dato la notizia, ma l'elogio gli fece piacere. - Sí, ho preso una bottega, e credo di aver fatto bene. Mi dicono che ero nato per fare il negoziante. - Rise divertito; era la sua solita risata chioccia che le aveva sempre dato noia. «Vecchio scemo presuntuoso» pensò. - Ma voi riuscite in qualsiasi cosa, signor Kennedy! E come vi è venuto in mente di aprire un negozio? Quando vi vidi a Natale diceste che non avevate il becco d'un quattrino al mondo! Egli si schiarí la voce, si tirò i baffi e sorrise col suo sorriso un po' timido. - È una storia lunga - cominciò. «Dio sia ringraziato!» pensò Rossella. E a voce alta: - Raccontate! - Vi ricordate l'ultima volta che venimmo a Tara, per cercare delle provviste? Dopo non molto andai a far parte del servizio attivo. Che volete, i commissari non erano piú molto necessari, visto che vi era cosí poco da provvedere... Pensai quindi che il posto di un uomo sano era fra i combattenti. Entrai in cavalleria e presi parte a diversi combattimenti finché mi buscai una pallottola in una spalla. Sembrava molto fiero di questo; e Rossella esclamò: - Che spavento! - No, niente di grave. Fui mandato in un ospedale al Sud, ed ero quasi guarito quando giunsero gli yankees. Che momenti! Chiunque era in grado di camminare dovette aiutare a caricare quello che esisteva di rifornimenti e di medicinali per portarlo via. Stavamo per caricare tutto su un treno quando gli yankees entrarono in città da una parte; noi uscimmo dall'altra con la maggior velocità possibile. Vi assicuro che fu ben triste cosa vedere gli yankees incendiare tutta quella roba che avevamo dovuto lasciare al deposito! Avevamo ammonticchiato ogni cosa sui marciapiedi accanto ai binari per oltre mezzo miglio; e tutto fu bruciato. Riuscimmo a stento a salvarci. - Terribile! - Sí; questa è la parola. Terribile! I nostri uomini erano rientrati in Atlanta e quindi il nostro treno fu mandato qui. Dopo poco tempo la guerra era finita e... vi era una gran quantità di porcellane, di materassi e di coperte che nessuno reclamava. Credo che come diritto appartenessero agli yankees; queste, almeno, erano le condizioni della resa, no? - Hum - fece Rossella distratta. Cominciava a riscaldarsi e si sentiva un po' stordita. - Non so ancora se ho fatto bene o male - proseguí lamentosamente. - Ma pensai che tutta quella roba non sarebbe servita in nessun modo agli yankees. Probabilmente l'avrebbero bruciata. E i nostri l'avevano pagata; quindi mi parve che, dopo tutto, appartenesse con maggior diritto alla Confederazione o ai confederati. Non sembra anche a voi? - Hum... - Sono lieto che siate d'accordo con me. È una cosa che mi è sempre rimasta un po' sulla coscienza... Molti mi dicono: «Non ci pensate, Franco!» ma non posso. Non riuscirei piú a guardare in faccia nessuno se credessi di aver commesso un'azione disonesta... Voi credete che io abbia fatto bene? - Senza dubbio - affermò Rossella, senza sapere che cosa le chiedeva quel seccatore. Certo si trattava di un caso di coscienza. Alla sua età, avrebbe ormai dovuto imparare che non valeva la pena di preoccuparsi di tante sciocchezze! Ma era sempre stato cosí nervoso e incerto! - Mi fa piacere sentirvi dir questo. Pensate che dopo la resa avevo in tutto e per tutto dieci dollari d'argento. Sapete bene che cosa fecero della mia casa e dei miei magazzini a Jonesboro! Insomma, coi dieci dollari rimisi il tetto a una vecchia bottega ai Cinque Punti, vi trasportai la mercanzia e cominciai a venderla. Tutti avevano bisogno di letti, di piatti, di materassi ed io vendevo a poco prezzo. Insomma, col denaro che incassavo comprai altra merce e il negozio a poco a poco si avviò benino. Credo che andando avanti cosí finirò col guadagnare parecchio denaro. Alla parola «denaro» la mente di lei tornò chiara come un cristallo. - Avete detto che avete guadagnato parecchio? Evidentemente egli era felice del suo interessamento. Ad eccezione di Súsele, nessuna donna aveva mai avuto verso di lui piú di una cortesia formale; ed era molto lusinghiero vedere una creatura come Rossella pendere dalle sue labbra. Fece rallentare il passo al cavallo per non arrivare a casa prima di aver finito la sua storia. - Non sono un milionario, miss Rossella, e in confronto del denaro che avevo prima, quello di adesso è ben poco. Ma quest'anno ho guadagnato mille dollari. Naturalmente cinquecento sono serviti per pagare la nuova merce, la riparazione del negozio e l'affitto. Ma cinquecento sono di guadagno netto; e siccome le cose andranno certamente meglio, l'anno venturo dovrei guadagnarne duemila. Poi ho un'altra corda al mio arco. Il discorso finanziario aveva ridestato il suo interesse. Ella velò gli occhi con le ciglia folte e gli si avvicinò un po' di piú. - Cioè? Egli rise. - Senza dubbio vi annoio parlando di affari. Una bella donnina come voi non ne capisce nulla. Vecchio imbecille! - Non ne capisco nulla, ma m'interessa tanto! Raccontatemi tutto e mi spiegherete quello che non comprendo. - Ebbene, l'altra corda che ho al mio arco è una segheria. - Che cosa? - Uno stabilimento per tagliare e piallare il legname. Non l'ho ancora comprato, ma sto per farlo. È un certo Johnson che vorrebbe venderla perché ha bisogno di denaro contanti; quindi me la venderebbe e rimarrebbe a dirigerla per mio conto con uno stipendio settimanale. È uno dei pochi laboratori rimasti in questa regione, miss Rossella. Gli yankees li hanno distrutti quasi tutti. E chi ha una segheria ha una miniera d'oro, perché il legname si vende al prezzo che si vuole. La gente ha la smania di ricostruire le case distrutte. Atlanta ricomincia ad avere una popolazione numerosa: gente che viene dalla campagna perché non può fare andare avanti piantagioni e fattorie senza schiavi; yankees e «carpetbaggers» che sciamano qui cercando di finire di spogliarci. Vi assicuro che Atlanta sarà tra breve una gran città; avranno bisogno di legname per fabbricare; quindi io comprerò questa segheria appena... sí, appena mi pagheranno certo denaro che mi devono. L'anno venturo di questi tempi, avrò un po' piú di possibilità. Credo... credo che sappiate perché desidero aver presto del denaro, non è vero? Arrossí come una zitellona e rise. «Pensa a Súsele» disse fra sé con disgusto Rossella. Per un momento considerò la possibilità di chiedergli in prestito trecento dollari; ma respinse l'idea. Si turberebbe, balbetterebbe, si scuserebbe, ma rifiuterebbe. Certamente egli pensava di sposare Súsele in primavera; privandosi di quel denaro sarebbe costretto a rimandare il matrimonio. D'altronde Súsele non glie lo permetterebbe; aveva troppa paura di diventare una zitellona, e smuoverebbe cielo e terra piuttosto che ritardare le sue nozze. Ma che aveva quella ragazza piagnucolosa perché quel vecchio imbecille fosse cosí ansioso di offrirle un morbido nido? Súsele non meritava un marito innamorato, né meritava gli utili di una bottega e di una manifattura. E quando avesse in mano del denaro, si guarderebbe bene dal contribuire al benessere di Tara! Andasse pure in rovina, Tara, purché lei avesse dei bei vestiti e «Mrs.» dinanzi al suo nome. Al pensiero dell'avvenire sicuro di Súsele e del proprio cosí precario, Rossella fu presa da una collera violenta contro l'ingiustizia della vita. Volse la testa perché Franco non vedesse la sua espressione. Ella era in procinto di perdere tutto ciò che possedeva, mentre Súsele... Improvvisamente prese una decisione. Súsele non doveva avere Franco con la sua bottega e la sua segheria! Non li meritava. Farebbe in modo di averli lei, invece. Pensò a Tara e ricordò Giona Wilkerson pieno di veleno sui gradini dell'entrata; e si afferrò all'ultima pagliuzza che galleggiava nel naufragio della sua vita. Rhett le era venuto meno, ma il Signore le aveva mandato Franco. Ma come fare? Come fargli dimenticare Súsele e indurlo a farle una dichiarazione? Lo guardò di sbieco. Certo, pensò freddamente, non è bello. Ha dei brutti denti, ha l'alito cattivo e potrebbe essere mio padre. Inoltre è nervoso e timido. Ma almeno è un gentiluomo; e credo che sopporterei piú facilmente lui di Rhett. E senza dubbio mi sarebbe piú facile dominarlo. D'altronde, i mendicanti non possono scegliere. Che egli fosse il fidanzato di Súsele non la turbava. Era già scesa cosí in basso col suo tentativo presso Rhett, che l'appropriarsi il fidanzato di sua sorella le sembrava assai meno disonesto. Col sorgere di questa nuova speranza si raddrizzò, dimenticando che aveva i piedi freddi e bagnati. Fissò Franco con gli occhi fermi, socchiudendo le palpebre in modo tale che egli si allarmò un pochino; allora ella riabbassò rapidamente lo sguardo ricordando le parole di Rhett: «Ho visto degli occhi come i vostri durante un duello alla pistola... Non risvegliano l'ardore nel petto di un uomo». - Che avete, miss Rossella? Freddo? - Sí - mormorò. - Vi dispiacerebbe... - esitò timidamente -... se mettessi la mano nella tasca del vostro pastrano? Sono gelata e il mio manicotto è tutto fradicio. - Ma... diamine! E siete senza guanti! Dio, che idiota sono stato ad andare cosí piano, mentre voi siete qui che tremate e avete bisogno di un po' di fuoco! Svelta, Sally! - e frustò la cavalla. - Ma a proposito, miss Rossella, vi ho tanto parlato di me e non vi ho neppure chiesto che cosa facevate da queste parti con una pioggia cosí terribile. - Sono stata al Quartier Generale degli yankees - rispose senza riflettere. Egli inarcò le ciglia stupito. - Ma come, miss Rossella! I soldati... Perché... «Maria, madre di Dio, fammi pensare subito una buona bugia» pregò in fretta. Bisognava che Franco non sospettasse affatto che ella era andata a visitare Rhett. - Sono andata... sono andata a chiedere se... se qualcuno degli ufficiali volesse comprare dei lavori di fantasia per le mogli, perché io ricamo molto bene. Egli si appoggiò indietro sul sedile inorridito; l'indignazione lottava in lui con lo stupore. - E siete andata dagli yankees... Ma, miss Rossella, non dovete! Certamente vostro padre non lo sa... e miss Pittypat... - Oh, morirei se lo diceste a zia Pitty! - esclamò veramente angosciata; e scoppiò in lagrime. Era facile piangere, perché aveva tanto freddo e si sentiva infelice; ma l'effetto fu straordinario. Franco non sarebbe stato piú imbarazzato o smarrito se ella avesse improvvisamente incominciato a spogliarsi. Fece scoppiettare piú volte la lingua contro i denti, mormorando: - Oh, povero me, povero me! - e fece qualche gesto goffo verso di lei. Un pensiero audace lo attraversò: avrebbe dovuto farle appoggiare la testa sulla sua spalla e accarezzarla; ma non l'aveva mai fatto con nessuna donna e non sapeva da dove rifarsi. Rossella O'Hara, cosí brillante e spiritosa, piangente nel suo carrozzino! Rossella O'Hara, la piú orgogliosa di tutte le orgogliose, che cercava di vendere i suoi ricami agli yankees! Ella singhiozzava dicendo ogni tanto qualche parola, dalle quali egli comprese che le cose a Tara non andavano molto bene. Il signor O'Hara continuava a essere «fuori di sé», e non vi erano viveri abbastanza per dar da mangiare a tutti quanti. Era quindi venuta ad Atlanta per cercare di guadagnare un po' di denaro per sé e per il suo bambino. Franco fece nuovamente scoppiettare la lingua e ad un tratto la testa di lei fu sulla sua spalla. Non seppe mai come; ma Rossella singhiozzava disperatamente contro il suo petto, dandogli una sensazione nuova ed eccitante. Le accarezzò la spalla timidamente; da principio guardingo, poi vedendo che non era respinto divenne piú audace e l'accarezzò con piú sicurezza. Era una povera creatura, dolce, femminile, abbandonata. E come era coraggiosa! Cercava di guadagnar denaro col suo ago! Ma andare a trattare con gli yankees... questo era troppo. - Non lo dirò a miss Pittypat, ma dovete promettermi che non lo farete mai piú. L'idea che la figlia di vostro padre.... Gli occhi verdi pieni di lagrime lo fissarono smarriti. - Ma, Mr. Kennedy, debbo fare qualche cosa. Devo pensare al mio povero bambino, visto che non c'è nessuno che possa aiutarci! - Siete una donnina coraggiosa; ma la vostra famiglia morirebbe di vergogna. - E allora che debbo fare? - Lo guardò ancora come se pendesse dalle sue labbra. - Adesso non lo so, ma ci penserò. - Oh, come siete buono, Franco... Non l'aveva mai chiamato per nome; e questo gli diede un'impressione di piacevole sorpresa. La povera ragazza era cosí sconvolta che probabilmente l'aveva fatto senza accorgersene. Certo, se egli potesse fare qualche cosa per la sorella di Súsele O'Hara, lo farebbe con gioia. Trasse un fazzoletto di seta rossa e glie lo porse. Rossella si asciugò gli occhi e cominciò a sorridere di un sorriso tremulo. - Sono un'ochetta - disse scusandosi. - Perdonatemi. - Non siete un'ochetta; siete una brava donnina che cercate di portare con disinvoltura un fardello troppo pesante. Temo che miss Pitty non possa esservi molto utile. Ho saputo che ha perduto quasi tutto e anche il signor Enrico Hamilton si trova in cattive acque. Vorrei soltanto avere una casa per offrirvi un ricovero. Ma ricordatevi, miss Rossella, che quando avrò sposato vostra sorella, vi sarà sempre un posto per voi sotto il nostro tetto, e anche per Wade Hamilton. Questo era il momento! Certamente gli angeli e i santi l'aiutavano; perciò le avevano dato l'opportunità. Ella fece in modo di sembrare molto stupita e imbarazzata e aperse la bocca come per parlare in fretta, ma la richiuse subito. - Non ditemi che non sapete che questa primavera diventerò vostro cognato - riprese Franco con gaiezza nervosa. Quindi, vedendo i suoi occhi pieni di lagrime, chiese spaventato: - Ma che c'è? Forse miss Súsele è ammalata? - Oh, no! No! - Ma c'è qualcosa che non va... parlate. - No, non posso! Non sapevo! Credevo che vi avesse scritto... Ma che infamia!... - Scritto che cosa? - tremava. - Fare questo a un brav'uomo come voi! - Ma che ha fatto? - Non ve lo ha scritto? Ah, certo si vergognava troppo! Ed è naturale che si vergognasse! Oh, avere una sorella cosí infame! Franco non riusciva neanche piú a parlare. Col viso color di cenere e le redini allentate fra le mani, la fissava. - Sposa Toni Fontaine il mese prossimo. Oh, come mi dispiace, Franco! Mi dispiace di essere proprio io a dirvelo! Ma era stanca di aspettare e aveva paura di rimanere zitella.

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La giovine sposa sembrava in quei giorni abbastanza dolce e remissiva; ma nei suoi occhi era una compiacenza soddisfatta che dava noia agli altri; quindi si preferiva non andare a stuzzicarla. Ella sapeva che ad Atlanta si parlava di lei ma non se ne curava. Dopo tutto, non vi era nulla di immorale nello sposare un uomo. E lei aveva tante altre cose a cui pensare. La piú importante era far comprendere con buona maniera a Franco che la sua bottega doveva rendere di piú. Dopo lo spavento provato, non riposerebbe tranquillamente finché Franco non avesse un po' di denaro da parte. Anche se non capitava nessun nuovo incidente, bisognava poter fronteggiare le tasse degli anni prossimi. Inoltre, ella rimuginava ancora quello che Franco le aveva detto a proposito della segheria. Il legname da costruzione si vendeva a prezzi altissimi; quindi vi era da guadagnar molto. E Rossella si tormentava perché il denaro di Franco era bastato per pagare le tasse e non per comprare la segheria, prima che altri vi stendesse sopra gli artigli. «Se fossi un uomo» pensava «avrei la segheria; dovessi ipotecare la bottega per procurarmi il denaro necessario.» Ma quando accennò delicatamente a questo, l'indomani del suo matrimonio, Franco sorrise e le disse di non torturarsi la testolina pensando agli affari. Era rimasto sorpreso e divertito che Rossella sapesse che cos'era un'ipoteca; ma quest'impressione diede luogo a un senso di disagio dopo i primi giorni. Una volta egli le aveva detto, incautamente, che vi erano «persone» (non ne aveva detto i nomi) che gli dovevano del denaro e che per il momento non potevano pagare. Rimpianse in seguito di averglielo detto perché Rossella cominciò a fargli una quantità di domande, con la sua aria infantile, dicendosi curiosa - oh, curiosa come una bimba! - di sapere «chi» gli doveva e quanto gli dovevano. Franco rispose sempre evasivamente, tossendo con imbarazzo e stropicciandosi le mani. Aveva cominciato ad accorgersi che la «cara testolina» era capacissima di addizionare mentalmente una lunga colonna di cifre, mentre egli aveva bisogno di carta e matita appena si trattava di piú di tre cifre. E le frazioni non presentavano per lei alcuna difficoltà. Ora che la sentiva cosí positiva - cosa che gli sembrava sconveniente per una donna - non amava piú parlare di affari con lei, come aveva fatto prima del matrimonio. Le sembrava che comprendesse tutto troppo bene, mentre prima sembrava cosí ottusa in questa materia; e provava tutta la solita indignazione maschile per la duplicità delle donne, a cui si aggiungeva la delusione che ogni uomo prova quando scopre che una donna ha un cervello. Quando scoprí Franco l'inganno usato da Rossella per sposarlo? Forse la verità gli balenò quando Toni Fontaine, sempre scapolo, ebbe occasione di recarsi ad Atlanta per affari. O forse fu sua sorella di Jonesboro che, stupita di quel matrimonio, gli scrisse in proposito. Certo, non lo apprese mai direttamente da Súsele. Questa non gli scrisse mai; e naturalmente non poteva scriverle lui per spiegare la faccenda. A che scopo, ora che era sposato? Nel suo intimo egli si torturava all'idea che Súsele non saprebbe mai la verità e vivrebbe nella persuasione di essere stata abbandonata senza motivo. Probabilmente anche altri pensavano questo e lo criticavano; comunque, egli si sentiva in una posizione falsa. Né aveva modo di uscirne, perché un uomo non può dire che ha perso la testa, e un gentiluomo non può rivelare che sua moglie lo ha preso in trappola con una bugia. Rossella era sua moglie; e una moglie dev'essere rispettata. Inoltre, la sua vanità non gli consentiva di credere che essa lo aveva sposato freddamente e senza nessun affetto. Era piú piacevole credere che si era cosí improvvisamente innamorata di lui che era stata capace di mentire per averlo come marito. Ma Franco tenne per sé le sue osservazioni e la sua sorpresa; egli non poteva insultare sua moglie rivolgendole domande indiscrete che, d'altronde, non avrebbero rimediato a nulla. D'altra parte, non era forse il caso di rimediar nulla, perché il matrimonio prometteva di esser felice. Rossella era una donna deliziosa ed egli la credeva perfetta in tutto; eccettuato il fatto di essere troppo ostinata. Finché le si lasciava libertà d'azione, tutto andava bene; ma quando la si contraddiceva... Nel primo caso era gaia e fanciullesca, rideva, scherzava, gli sedeva sulle ginocchia tirandogli la barba e facendogli desiderare di aver venti anni di meno. Sapeva essere gentile e affettuosa; gli faceva trovare le pantofole accanto al fuoco quando tornava a casa la sera, si preoccupava dei suoi raffreddori, ricordava che del pollo gli piaceva il ventriglio e che metteva tre cucchiaini di zucchero nel caffè. Sí, la vita era piacevole: con Rossella... finché le si lasciava libertà d'azione.

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Non avete abbastanza da mangiare finché questa gente paga? - Sí, ma... Ecco, mi servirebbe del denaro proprio adesso. - I suoi occhi brillarono al pensiero della segheria. Forse... - Per che fare? Altre tasse? - Che ve ne importa? - M'importa, perché a momenti mi chiederete un prestito. Oh, conosco tutti gli approcci. E vi presterò la somma... senza la graziosa garanzia che mi avete offerto poco tempo fa, cara signora Kennedy. A meno che voi non insistiate... - Siete il piú perverso... - Niente affatto. Volevo soltanto chiarirvi la cosa senza indugio, perché capivo che questo vi preoccupava. Non è il caso. Vi presterò il denaro, ma voglio sapere come lo spenderete. Credo di averne il diritto. Se è per comprarvi dei bei vestiti e una carrozza, ve lo do con la mia benedizione. Ma se è per comprare un paio di calzoni nuovi per Ashley Wilkes, dovrò declinare il piacere di offrirvelo. Ella divenne rossa di rabbia e balbettò senza riuscire a spiccicar parola. Ma poi proruppe: - Ashley Wilkes non ha mai accettato un centesimo da me! Non riuscirei a farglielo accettare neanche se morisse di fame! Voi non capite com'è orgoglioso e rispettabile! Certo non potete capirlo, essendo quello che siete... - Non cominciate con le ingiurie. Altrimenti potrei darvene io qualcuna che supererebbe le vostre. Dimenticate che sono stato da miss Pittypat e che quella cara creatura racconta tutto quello che ha in corpo quando trova un ascoltatore di buona volontà. So dunque che Ashley è a Tara da quando è tornato da Rock Island. E so che avete con voi anche sua moglie, ciò che dev'esservi costato un certo sforzo. - Ashley è... - Ma sí! - E agitò negligentemente la mano. - Ashley è troppo sublime per la mia vile comprensione. Ma non dimenticate che io sono stato testimone della vostra tenera scenata alle Dodici Querce; e qualche cosa mi dice che da allora egli non è mutato. E neanche voi. Quel giorno, se ben mi ricordo, la figura che fece non fu precisamente sublime. E non credo che quella che fa adesso sia molto migliore. Perché non prende con sé la sua famiglia e non va a cercar lavoro, invece di rimanere a Tara? Sentite, sarà un capriccio, il mio; ma non vi presterò un centesimo che serva per Tara e per aiutare a mantenerlo. Fra uomini vi è un'espressione molto volgare per definire quelli che si fanno mantenere dalle donne. - Come osate dire una cosa simile? Ashley lavora come un contadino! - E vale il suo peso d'oro, non è vero? Chi sa com'è bravo a maneggiare il letame... - Vi dico che è... - Ma sí, lo so. Ammettiamo che faccia del suo meglio; ma non credo che possa essere di grande aiuto. Non riuscirete mai a fare un buon coltivatore né altro di utile di un Wilkes. È una razza puramente decorativa. Ora lisciatevi le penne arruffate e non badate alle mie osservazioni sul conto del fiero e onorevole Ashley. Strano che certe illusioni permangano anche nelle donne che hanno la testa solida come voi! Dunque: di quanto avete bisogno e per che cosa vi occorre? Ella non rispose. - Per che cosa vi occorre? E badate a dirmi la verità. Altrimenti verrei a scoprirla e vi trovereste seriamente imbarazzata... Ricordatevi questo, Rossella: da voi posso sopportare tutto, meno una menzogna. La vostra antipatia, i vostri furori, le vostre insolenze, ma non una menzogna. Ora ditemi, per che cosa vi occorre il denaro? Furibonda per ciò che egli aveva detto di Ashley, Rossella fu sul punto di respingere sprezzantemente la sua offerta. Ma la fredda mano del buon senso la trattenne. Inghiottí a fatica la collera e cercò di assumere un'espressione dignitosa. Egli si appoggiò alla spalliera della sedia stendendo le gambe verso la stufa. - La cosa che piú mi diverte - notò Rhett con un sorriso - è la vista della vostra lotta interiore quando una questione di principio è posta contro una cosa tanto pratica quanto il denaro. In voi la praticità ha sempre la vittoria; ma chi sa se un giorno o l'altro la parte migliore di voi non riuscirà a trionfare? In quel giorno farò il bagaglio e lascerò Atlanta per sempre. Vi sono troppe donne in cui la parte migliore trionfa sempre... Ma torniamo ai nostri affari. Quanto e per che uso? - Non so precisamente quanto - rispose finalmente, arcigna. - Voglio comprare una segheria... e credo di poterla avere per poco. E ho bisogno di due carri e due mule. Mule buone. E poi un cavallo e un carrozzino per mio uso personale. - Una segheria? - Sí; e se mi presterete il denaro vi interesserò al cinquanta per cento. - E che cosa volete che me ne faccia di una segheria? - Si potrà guadagnar denaro a palate. Oppure vi pagherò gli interessi sul prestito... Vediamo, quanto è un buon interesse? - Dicono che il cinquanta per cento sia ottimo. - Il cinquanta... volete scherzare! Finitela di ridere. Parlo sul serio. - Perciò rido. - Ascoltatemi, Rhett. Franco mi ha parlato di un tale che vuol vendere la sua segheria e che la darebbe per poco perché ha bisogno di contanti. Con la smania che vi è di ricostruire, il costo del legname salirà ai cieli; e le segherie sono poche. L'uomo rimarrebbe a dirigere lo stabilimento con un salario da stabilirsi. Franco voleva fare l'acquisto col denaro che mi ha dato per pagare le tasse. - Povero Franco! E che cosa dirà quando saprà che l'avete comprata senza il suo intervento? E come gli spiegherete il favore che vi faccio senza danneggiare la vostra riputazione? A questo Rossella non aveva pensato. - Ebbene, non glielo diremo. - Penserà bene che non avete trovato il denaro in un cespuglio! - Gli dirò... sí, che vi ho venduto i miei orecchini. E infatti, ve li darò. Saranno la mia garan... come si dice? - Ma, no: non li voglio. - Sí, prendeteli. Tanto, non mi piacciono. E poi, non sono neanche miei. - Di chi sono? La sua mente tornò velocemente al caldo pomeriggio e alla visione dell'uomo vestito di azzurro nel vestibolo di Tara. - Mi sono stati lasciati... da uno che è morto. In fondo sono miei. Prendeteli. Non li desidero. Preferisco avere del denaro. - Santo Dio! - esclamò Butler impaziente. - Possibile che non pensiate ad altro che al denaro? - Non penso ad altro - rispose Rossella francamente. - E se voi aveste sofferto quello che ho sofferto io, fareste lo stesso. Ho scoperto che il denaro è la cosa piú importante del mondo e Dio mi è testimone che non vorrò mai piú esserne priva. Ricordò il sole ardente, la morbida terra rossigna sotto il suo capo, il sentore della capanna dei negri alle Dodici Querce, e il ritornello del suo cuore: «Non voglio aver fame mai piú. Non voglio aver fame mai piú». - Voglio avere da mangiare quello che mi piace (basta col pastone di granturco e i piselli secchi!) e dei bei vestiti, tutti di seta... - Tutti? - Tutti. E abbastanza denaro perché gli yankees non possano portarmi via Tara. Farò rifare il tetto e le tettoie, e avrò dei muli per lavorare il terreno e tanto cotone quanto non ne avete mai visto. E Wade non saprà mai che cosa sia il doversi privare del necessario. Mai! E neanche la mia famiglia saprà piú che cosa sia la fame. Ma voi non potete capire perché siete troppo egoista. Non avete mai avuto freddo, senz'altro che dei cenci per coprirvi; non avete avuto la minaccia di essere scacciato di casa, non vi siete rotto la schiena per evitare di morir di fame! - Sono stato nell'esercito della Confederazione per otto mesi; e credo che non vi fosse nessun luogo migliore per morire di fame. - L'esercito! Bah! Non avete dovuto raccogliere il cotone e il grano saraceno. E non ridete di me! Le sue mani furono nuovamente su quelle di lei ed egli parlò con voce rauca. - Non ridevo di voi. Ridevo della differenza fra quella che sembrate e quella che siete in realtà. E ricordavo la prima volta che vi vidi, alla riunione in casa Wilkes. Eravate vestita di verde, con gli scarpini verdi, e preoccupata soltanto di avere dei corteggiatori. Eravate piena di voi stessa, e scommetto che non sapevate neanche quanti pennies vi sono in un dollaro. Non avevate che un pensiero: prendere al laccio Ash... - Rhett, se vogliamo andare d'accordo, dovete smettere di parlare di Ashley Wilkes. Litigheremmo sempre su questo argomento, perché voi non lo capite. - Evidentemente voi lo comprendete come un libro stampato - fece Rhett maliziosamente. - No, Rossella; se vi presto il denaro, mi riserbo il diritto di parlare di Ashley Wilkes come e quanto mi pare. Rinuncio al diritto di esigere un interesse sul prestito, ma non a questo. E vi sono molte cose che amerei conoscere sul conto di quel giovinotto. - Non intendo parlare di lui con voi - fu la risposta breve. - Non potrete farne a meno... Sono io che ho i cordoni della borsa... Il giorno in cui sarete ricca, potrete fare altrettanto con altre persone... È ovvio che gli volete ancora bene. - No. - Ma sí; lo difendete troppo! - Non ammetto che si sparli dei miei amici. - Beh, lasciamo andare per ora. Ma, lui vi vuole ancora bene o la prigionia lo ha reso dimentico? O finalmente ha imparato ad apprezzare che gioiello di moglie ha avuto in sorte? All'udire questo accenno a Melania, Rossella cominciò ad ansimare; per un punto non gridò tutta la verità, affermando che solo un senso d'onore tratteneva Ashley accanto alla moglie. Aperse la bocca per parlare ma la richiuse in fretta. - Oh? Dunque non ha ancora abbastanza cervello da apprezzare la signora Wilkes? E i rigori della prigionia non hanno spento il suo ardore per voi? - Non vedo la necessità di parlare di questo. - Voglio parlarne. - Nella voce di Rhett era una nota bassa che Rossella non comprendeva, ma che non le piacque. - E voglio che mi rispondiate. Dunque: è ancora innamorato di voi? - E se anche fosse? - gridò Rossella, punta. - Se non voglio parlarne con voi è perché voi non potete comprendere né lui né il suo amore. La sola specie di amore che voi capite è... sí, quello delle creature come quella Watling. - Oh! - fece Rhett dolcemente. - Dunque io sono capace soltanto di concupiscenza sensuale? - Precisamente. - Ora comprendo la vostra esitazione a parlare di questo con me. Le mie mani e le mie labbra impure offuscherebbero il suo amore senza macchia. - Sí... press'a poco. - Questo amore purissimo m'interessa... - Smettetela, Rhett. Se siete tanto abbietto da credere che fra noi vi è stato qualche cosa di male... - Veramente non ne sono mai stato convinto. Ed è questo che m'interessa. Perché non vi è mai stato nulla di male fra voi? - Se credete che Ashley sarebbe stato capace... - Ah, dunque è stato lui che ha lottato in nome della purezza. Ma davvero, Rossella, non dovreste abbandonarvi cosí facilmente! Confusa e indignata Rossella protestò. - Non ne parliamo piú; non voglio neanche il vostro denaro. E andatevene! - Ma sí che lo volete! E dal momento che siamo arrivati a questo punto, perché fermarvi? Certo non vi è nulla di male a parlare di un casto idillio... dal momento che non vi è stato niente di irreparabile. Dunque, Ashley vi ama per il vostro spirito, la vostra anima, la vostra nobiltà di carattere? Rossella si torse sotto la sferzata. Infatti, Ashley la amava proprio per quello. Per quelle qualità nascoste in lei cosí profondamente che lui solo poteva vederle. - Sapere che un simile amore può esistere in questo mondo malvagio - riprese Rhett - mi riconduce agli ideali della mia adolescenza. Dunque, la carne non c'entra affatto nel suo amore per voi? Vi amerebbe lo stesso se foste brutta e non aveste codesta pelle candida? E se non aveste quegli occhi verdi e quel modo di ancheggiare che eccita qualsiasi uomo al disotto di novant'anni? E quelle labbra che... Beh, non bisogna che riveli la mia concupiscenza sensuale. Ashley non vede nessuna di queste cose? O se le vede, non lo turbano affatto? Spontaneamente il ricordo di Rossella tornò a quel giorno nel frutteto, quando le braccia di Ashley l'avevano stretta, scrollata, e quando la sua bocca ardente si era incollata alla sua come se non potesse piú staccarsene. Diventò di porpora e il suo rossore non sfuggí a Rhett. - Ho capito. - E nella sua voce era una nota vibrante, quasi di collera. - Vi ama solo per il vostro spirito. Come osava rovistare con le sue dita sudice, facendole sembrare abbietta la sola cosa sacra della sua vita? - Sí, per questo! - esclamò respingendo il ricordo delle labbra di Ashley. - Mia cara, quell'uomo non sa neppure che voi avete un'intelligenza. Se fosse questa ad attirarlo, egli non avrebbe bisogno di lottare contro di voi come deve aver fatto per conservare questo amore cosí... vogliamo dire «santo»? Sarebbe assai piú tranquillo, perché, dopo tutto, un uomo può ammirare l'intelligenza e l'anima di una donna e rimanere onesto, e fedele a sua moglie. Ma per lui non dev'essere facile conciliare l'onore dei Wilkes con il desiderio per il vostro corpo! - Voi giudicate gli altri dal vostro infame modo di pensare! - Oh, non ho mai negato che vi desideravo, se è questo che volete dire. Ma grazie a Dio, non mi sono mai preoccupato eccessivamente per i sentimenti di onore. Quando voglio una cosa, la prendo (se posso) e cosí non ho da lottare né con gli angeli né coi diavoli. Dovete aver creato un bell'inferno per Ashley! Quasi quasi mi fa pena. - Io... un inferno? - Sicuro! Voi rappresentate una tentazione continua per lui; ma - come molti del suo genere - egli preferisce quello che qui chiamano onore al piú grande amore! E mi pare che quel povero diavolo ora non abbia piú né amore né onore per tenergli caldo! - Ha l'amore!... Perché mi ama! - Davvero? Allora rispondete a questo e poi basta; vi darò il denaro e potrete anche buttarlo dalla finestra, che non me ne importa nulla. Si levò in piedi e gettò il suo sigaro fumato per metà nella sputacchiera. Vi era nei suoi movimenti quella stessa elasticità e pieghevolezza che Rossella aveva notato nella notte della caduta di Atlanta; qualche cosa di sinistro e un po' allarmante. - Se vi amava, perché diamine vi ha permesso di venire ad Atlanta a procurarvi i quattrini per le tasse? Prima di lasciar fare una cosa simile a una donna che amo, io... - Non lo sapeva! Non aveva l'idea che... - Non vi è venuto in mente che avrebbe dovuto saperlo? Nella sua voce era una violenza appena repressa. - Amandovi come dite che vi ama, avrebbe dovuto sapere quello che volevate fare quando vi ha vista cosí disperata. Avrebbe dovuto uccidervi piuttosto che lasciarvi venire qui... soprattutto, venire da me! Dio onnipotente! - Ma non lo sapeva! - Se non lo ha indovinato senza che glielo diceste, non capirà mai nulla di voi e della vostra preziosa intelligenza. Che ingiustizia! Come se Ashley fosse un lettore del pensiero! Come se Ashley, anche sapendo, avesse potuto fermarla! Eppure, improvvisamente pensò che Ashley avrebbe potuto fermarla. Bastava che quel giorno, nel frutteto, le avesse vagamente accennato che forse le cose potevano mutare, ed ella non avrebbe mai pensato a recarsi da Rhett. Una parola di tenerezza, anche una carezza di saluto, al momento della partenza del treno, l'avrebbe trattenuta. Invece, egli aveva parlato soltanto di onore. Ma... come poteva Ashley indovinare i suoi pensieri? Respinse quest'idea sleale. Ashley non poteva avere il menomo sospetto che ella volesse compiere una cosa immorale. Rhett stava tentando di sciupare il suo amore, di distruggere tutto ciò che ella aveva di piú prezioso. Ecco tutto. Ma un giorno - pensò dispettosamente - quando la bottega sarà lanciata e lo stabilimento funzionerà ed io avrò del denaro, farò ripagare a Rhett Butler tutte le ingiurie e le umiliazioni che mi infligge oggi! Butler era ritto dinanzi a lei e la guardava, un po' divertito. L'emozione che lo aveva agitato era scomparsa. - Che v'importa, in fin dei conti? È cosa che riguarda me e Ashley, non voi. Egli si strinse nelle spalle. - Soltanto questo. Ho una profonda e obiettiva ammirazione per il vostro spirito di sopportazione, Rossella, e mi dispiace vedervi oppressa da troppi pesi. Tara è già per se stessa un'occupazione sufficiente per un uomo normale. Poi c'è vostro padre ammalato, che non potrà mai aiutarvi in nulla. E poi vi sono le ragazze e i negri. E ora avete per di piú un marito e probabilmente avrete anche miss Pittypat... Avete abbastanza pesi sulle spalle senza aggiungervi anche Ashley Wilkes e la sua famiglia. - Non mi è di peso. Lavora... - Per l'amor di Dio - la interruppe impaziente - non ne parliamo. È un peso che graverà addosso a voi o ad altri finché vivrà. Del resto, sono stufo di lui come argomento di conversazione... Di che somma avete bisogno? Parole ingiuriose le salirono alle labbra. Ma le ringhiottí. Che bellezza poterlo mettere alla porta infischiandosi della sua offerta! Ma non poteva permettersi questo lusso; finché era povera era costretta a sopportare scene simili. Ma quando fosse ricca... oh, che pensiero confortante! Quando fosse ricca, non sarebbe neanche gentile con chi non le era simpatico. Li manderebbe tutti all'inferno, e Rhett Butler per primo! - Siete deliziosa, Rossella, specialmente quando pensate delle cattiverie. E per vedere quella fossetta sulla vostra guancia sono pronto a comprarvi, se ne avete bisogno, una dozzina di muli. La porta della bottega si aperse per lasciare entrare il commesso con una pagliuzza fra i denti. Rossella si alzò, si strinse nello scialle e annodò meglio i nastri del cappello sotto al mento. Aveva deciso. - Avete da fare oggi? - chiese. - Potete venire con me? - Dove? - Voglio condurvi alla segheria. Ho promesso a Franco di non andare sola fuori città. - Alla segheria con questa pioggia? - Sí; voglio fare il contratto subito, prima che cambiate idea. Egli rise cosí forte che il ragazzo dietro al banco alzò il capo e lo guardò con curiosità. - Non vi ricordate che siete sposata? La signora Kennedy non può andare in campagna con quel reprobo di Butler che non è ricevuto nei migliori salotti. Non pensate alla vostra reputazione? - Me ne infischio, della reputazione! Voglio comprare la segheria prima che cambiate idea o che Franco venga a sapere che sto trattando l'acquisto. Non fate delle difficoltà, Rhett! Che cos'è un po' di pioggia? Andiamo, sbrighiamoci.

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E in giugno avrebbe abbastanza denaro da potersi difendere contro un'eventuale sfortuna. Vi era tanto da fare e il tempo era cosí breve! Avrebbe voluto che le giornate fossero piú lunghe, e contava i minuti, sforzandosi febbrilmente nella sua caccia al denaro. Sotto la spinta, la bottega andava meglio e Franco si stava facendo perfino pagare alcuni vecchi conti. Ma tutte le sue speranze erano sulla segheria. La richiesta per il materiale da costruzione era assai maggiore della possibilità di fornirne; i prezzi del legname, dei mattoni, della pietra aumentavano ogni giorno, e Rossella teneva in attività lo stabilimento dall'alba finché vi era un barlume di luce. Ogni giorno passava parecchie ore laggiú, occupandosi di tutto e facendo del suo meglio per combattere i ladronecci che, ne era sicura, si compivano ai suoi danni. Ma la maggior parte del suo tempo passava in corse attraverso la città, presso costruttori, appaltatori e carpentieri; a volte si recava anche presso stranieri, dei quali aveva sentito dire che avrebbero intrapreso costruzioni in avvenire, per farsi promettere che avrebbero comprato solo da lei. Ben presto divenne cosa frequentissima vederla per le strade di Atlanta, seduta nel suo carrozzino accanto al vecchio e dignitoso negro che aveva un'aria di disapprovazione; indossava un abito a pieghe e teneva le manine coi mezzi guanti incrociate nel grembo. Zia Pitty le aveva fatto un bel mantello verde che le nascondeva tutta la persona e un cappello verde che armonizzava coi suoi occhi; ed ella indossava sempre quel grazioso abbigliamento quando si recava in giro per affari. Un debole accenno di rossetto sulle guance e un lieve profumo di acqua di Colonia ne faceva una personcina seducente finché non le accadeva di scendere dal carrozzino, mostrando cosí il suo corpo. Ma ciò avveniva di rado, perché ella sorrideva agli uomini che si precipitavano per parlare con lei accanto al suo veicolo, e rimanevano magari col capo nudo sotto la pioggia a discorrere di affari. Non era la sola che aveva visto la possibilità di guadagnare nel commercio del legname; ma non temeva i concorrenti. Orgogliosamente cosciente della propria scaltrezza, sapeva di non esser da meno di nessuno di loro. Era figlia di Geraldo O'Hara; e l'istinto commerciale che aveva ereditato era stato ancora acuito dalla necessità. Dapprima gli altri commercianti avevano riso di lei; riso dell'idea di una donna che si occupava di affari. Ma ora non ridevano piú. Bestemmiavano in silenzio quando la vedevano passare. L'essere donna spesso agiva in suo favore, perché - quando ne era il caso - ella sapeva sembrar debole e fare appello alla bontà del suo interlocutore. Dava l'impressione di essere una signora timida e coraggiosa, trascinata dalle circostanze in una posizione sgradevole; una povera donnina che probabilmente sarebbe morta di fame se i clienti non avessero comperato il suo legname. Ma quando le arie signorili non erano efficaci, ella sapeva diventare una fredda commerciante, capace di vendere a prezzo minore dei suoi concorrenti pur di procurarsi un nuovo cliente. E non aveva alcun scrupolo nel denigrare la merce dei suoi rivali. Come se le dispiacesse dover dire delle verità dolorose, sospirava mormorando ai possibili compratori che il legname di quegli altri era molto caro e di cattiva qualità; pieno di buchi lasciati dai nodi e probabilmente di poca durata. La prima volta che aveva mentito in quel modo si era sentita sconcertata e colpevole; sconcertata per la facilità con cui la menzogna le era venuta alle labbra, colpevole perché come un lampo era stata attraversata dal pensiero: «Che cosa direbbe la mamma?» Certo Elena sarebbe stupita e incredula e parlerebbe di onore, di onestà, di verità, di doveri verso il prossimo. Per un attimo Rossella chinò il capo, figurandosi il volto di sua madre. Ma il quadro scomparve subito, cancellato da un impulso avide e privo di scrupoli, sorto nei giorni miserabili di Tara e rinsaldato dalle attuali difficoltà di vita. Superò dunque questa specie di piccolo rimorso come ne aveva superato altri, con un lieve sospiro di rimpianto per non essere come Elena la avrebbe voluta; e ripetendo, con una scrollata di spalle, la sua solita frase: - Penserò a tutto piú tardi. Ma non pensò mai piú ad Elena in rapporto al proprio commercio, né ebbe mai piú occasione di rimpiangere i mezzi adoperati per togliere gli affari ai concorrenti. Sapeva che anche se mentiva sul loro conto, non le sarebbe accaduto nulla. La cavalleria dei meridionali la proteggeva. Una signora meridionale poteva mentire, ma nessun gentiluomo degli stessi paesi l'avrebbe mai accusata di menzogna. Gli altri commercianti in legname non potevano fare altro che rodersi internamente e sfogarsi nel seno delle loro famiglie, dicendo che avrebbero voluto che la signora Kennedy fosse un uomo per cinque minuti. Un proletario bianco che gestiva una segheria sulla strada di Decatur cercò di combattere Rossella con le sue stesse armi, accusandola apertamente di essere bugiarda e imbrogliona. Ma questo lo danneggiò piú che giovargli, perché tutti rimasero inorriditi che uno «straccione bianco» osasse dire simili cose contro una signora di buona famiglia, anche se questa si comportava in modo cosí poco femminile. Rossella sopportò tali maldicenze con silenziosa dignità; ma dopo un po' di tempo cominciò ad offrire la propria merce alla clientela di lui a prezzi notevolmente inferiori; e forní legname di prima scelta a fine di dimostrare la propria probità. Sicché il concorrente fu in breve ridotto al fallimento e - con grande scandalo di Franco - Rossella riscattò trionfalmente il piccolo stabilimento di Decatur a prezzo irrisorio. Sorse allora il problema di trovare una persona di fiducia per la gestione. Non voleva un altro come il signor Johnson, di cui sapeva che, malgrado la sua sorveglianza, continuava a vendere il suo legname per conto proprio. Ma pensava che non doveva essere difficile trovare un uomo adatto, dato che le strade erano piene di disoccupati alcuni dei quali erano anche persone che un tempo erano state ricche. Non passava giorno che Franco non desse del denaro a qualche ex-soldato affamato e che Pitty e la cuoca non rifornissero di cibo qualche mendicante vagabondo. Ma Rossella per ragioni di cui ella stessa non si rendeva conto, non desiderava nessuno di costoro. «Non voglio uomini che dopo un anno non hanno trovato nulla da fare» pensava. «Se non si sono ancora adattati alla pace, non si adatteranno a me. E poi hanno tutti un'aria cosí depressa. Io voglio una persona energica come Tommy Welburn oppure Kells Whiting o uno dei ragazzi Simmons, oppure... qualcheduno come loro. Nessuno di loro ha quell'aspetto "non m'importa di nulla" che i soldati avevano dopo la sconfitta. Sembrano invece persone a cui importi di tutti.» Ma con sua sorpresa i ragazzi Simmons, che avevano impiantato una fornace, e Kells Whiting, il quale vendeva un preparato fatto da sua madre che garantiva di lisciare i capelli piú crespi in sei applicazioni, la ringraziarono cortesemente e rifiutarono. Lo stesso fu con un'altra decina di uomini che interrogò. Disperata, aumentò lo stipendio che offriva, ma senza miglior risultato. Uno dei nipoti della signora Merriwether le fece notare con impertinenza che, pur non avendo una particolare soddisfazione a fare il carrettiere, tuttavia preferiva farlo col proprio carretto, anziché lavorare agli ordini di Rossella. Un giorno Rossella si avvicinò col suo calessino al carretto delle focacce di Renato Picard e chiamò l'ex-zuavo che aveva accolto nel suo veicolo lo sciancato Tommy Welburn per riaccompagnarlo a casa. - Sentite un po', Renato: perché non venite a lavorare con me? Dirigere uno stabilimento mi sembra piú onorevole che andare attorno a vendere focacce. Vi dovreste vergognare. - Infatti muoio di vergogna, - rise Renato. - Ma che volete che m'importi del rispetto umano? Sono stato rispettabile finché la guerra mi ha privato di tutto lasciandomi libero come un negro. Mai piú avrò della dignità. Libero come un uccello! Mi piace il mio carretto di focacce, mi piace la mia mula. Mi piacciono questi cari yankees che comprano con tanto garbo le focacce di mia suocera. No, cara Rossella, io aspiro ad essere il Re delle Focacce! Questo è il mio destino. Come Napoleone, seguo la mia stella! - E fece schioccare la frusta drammaticamente. - Ma voi non siete nato per vendere focacce, come Tommy non era nato per discutere con una squadra di rozzi muratori. Il mio genere di lavoro è piú... - Evidentemente voi eravate nata proprio per dirigere un'industria di legname - disse Tommy sorridendo. - Sicuro; mi pare di vedere la piccola Rossella sulle ginocchia di sua madre a imparare la lezione: «Non vendere mai del buon legname finché riesci a farti pagar bene quello cattivo». Renato rise, picchiando amichevolmente con una mano sul dorso di Tommy; i suoi occhietti di scimmia brillavano gaiamente. - Non fate l'impertinente - rispose freddamente Rossella, che trovò poco spiritosa l'osservazione di Tommy. - Si capisce che non ero nata per dirigere una segheria! - Non ho affatto l'intenzione di essere impertinente. Ma quel che è certo, è che voi la dirigete la segheria, e molto bene. Del resto nessuno di noi fa quello che avrebbe creduto di dover fare nella vita; però mi pare che ce la caviamo lo stesso. Ma perché non chiamate qualche intraprendente «Carpetbagger» a lavorare per voi? Ce ne sono tanti! - Neanche per sogno. I Carpetbaggers rubano tutto quello che non è ferro rovente o che non è saldamente inchiodato. Se fossero capaci di qualche cosa di buono, sarebbero rimasti dov'erano, invece di venir qui a mangiarci vivi. Io voglio una brava persona, di buona famiglia, abile, onesta ed energica... - Non chiedete molto. Ma non lo troverete con lo stipendio che offrite. Tutti gli uomini che corrispondono ai vostri «desiderata» sono già occupati; magari aderiscono alla loro occupazione come un cavicchio rotondo ad un buco quadrato, ma qualche cosa da fare l'hanno trovato. Qualche cosa per conto loro; e preferiscono questo al dover lavorare per una donna. - Mi pare che gli uomini non abbiano molto buon senso, quando hanno bisogno di lavorare per vivere! - Può darsi, ma hanno una certa dose di orgoglio. - Orgoglio? Ma l'orgoglio non porta in tavola né panini né bistecche. I due uomini risero, un po' involontariamente, e a Rossella sembrò che essi fossero solidali in una disapprovazione tutta maschile. Evidentemente ciò che Tommy aveva detto era la verità: tutti gli uomini che ella aveva avvicinato o che voleva avvicinare, lavoravano duramente, combattendo una nuova battaglia, piú aspra della precedente. - Rossella, - riprese Tommy un po' impacciato - mi dispiace di chiedervi un favore, dopo essere stato impertinente; ma ve lo chiedo lo stesso. Può darsi anche che la cosa possa farvi comodo. Mio cognato, Ugo Elsing, non fa molti affari andando in giro a piazzare legna da ardere. Io faccio quello che posso, ma... debbo pensare a Fanny e poi ho anche mia madre e due sorelle vedove a Sparta. Ugo è un bravo ragazzo e voi avete bisogno di un brav'uomo; è anche di buona famiglia ed è onesto. - Ma... mi pare che Ugo non abbia molta scaltrezza; altrimenti, anche nel suo piccolo commercio, avrebbe successo! Tommy si strinse nelle spalle. - Voi giudicate le cose con una certa severità, Rossella. Comunque, pensateci sopra. Vi potrebbe capitare di peggio. Credo che la sua onestà e il suo buon volere possano compensare la sua mancanza di scaltrezza. Rossella non rispose per non essere scortese. Ma secondo lei vi erano poche qualità - se pure ve n'erano - che potessero supplire la mancanza di scaltrezza. Dopo avere inutilmente interrogato parecchie persone e avere respinto le importune richieste di alcuni «Carpetbaggers», finalmente si decise ad accettare il suggerimento di Tommy. Ugo Elsing era stato durante la guerra un ardito e abile ufficiale; ma due gravi ferite e quattro anni di continue battaglie sembravano avergli tolto ogni abilità, lasciandolo di fronte alle difficoltà della pace sgomento e sbalordito come un bambino. «È uno stupido» pensò Rossella «e non capisce nulla di affari; scommetto che non è neanche capace di sommare le dita di una mano con quelle dell'altra. E temo che non imparerà mai! Ma almeno è onesto e non mi deruberà.» Rossella non faceva molto spreco, personalmente, di onestà; ma appunto perché la valutava poco in se stessa, la apprezzava negli altri. «Peccato che Gianni Gallegher sia legato con Tommy Wellburn» pensò ancora. «Quello è proprio l'uomo di cui avrei bisogno. Duro come il ferro e agile come un serpente; ma se io lo pagassi bene sarebbe anche onesto. Ci comprendiamo benissimo a vicenda e potremmo fare ottimi affari insieme. Forse quando la costruzione dell'albergo sarà finita potrò averlo; fino allora dovrò contentarmi di Ugo e di Johnson. Se metto Ugo nel nuovo stabilimento e lascio Johnson nel vecchio, potrò rimanere in città ad occuparmi delle vendite mentre loro si occupano della parte industriale della faccenda. Se almeno Johnson non rubasse! Potrei mettere un deposito di legname sulla metà del terreno che mi lasciò Carlo. Se Franco mi lasciasse fabbricare una bettola sull'altra metà! Oh, ma la costruirò lo stesso, non appena avrò abbastanza denaro di mio; non m'importa come la prenderà! Se non fosse cosí scrupoloso! Dio mio, se non dovessi avere un bimbo proprio in questi momenti! Fra poco sarò cosí grossa che non potrò piú uscire. Dio, se non aspettassi questo bimbo! E se questi maledetti yankees mi lasciassero tranquilla! Se...» Se...! Se...! Se...! Vi erano tanti «se» nella sua vita; nessuna sicurezza, sempre la minaccia di perder tutto, e aver nuovamente freddo e fame. Senza dubbio, Franco guadagnava un po' di piú adesso; ma era sempre in lotta coi raffreddori e spesso costretto a rimanere parecchi giorni a letto. Che disastro sarebbe se diventasse invalido! No; non poteva fare troppo assegnamento sopra di lui. Non poteva contare che su se stessa. E quello che guadagnava le sembrava tanto poco! Che farebbe se gli yankees venissero a confiscarle tutto? Se...! Se...! Se...! Metà dei suoi guadagni la spediva mensilmente a Will, a Tara; una parte andava a Rhett per scalare il debito e il resto lo metteva da parte. Nessun avaro aveva mai contato il suo oro piú spesso di lei, nessun avaro aveva maggior timore di perderlo. Non metteva il denaro alla banca per paura che questa potesse fallire o che gli yankees glielo confiscassero. Portava con sé il piú che poteva, nascosto nel busto; e celava pacchetti di banconote sotto qualche mattone sconnesso, nel sacchetto degli stracci, fra le pagine della Bibbia. E la sua preoccupazione cresceva col passare delle settimane, perché ogni dollaro che metteva da parte era un dollaro di piú che sarebbe perduto se venisse il disastro. Franco, Pitty e la servitú sopportavano le sue esplosioni con bontà irritante, attribuendo il suo umore disuguale allo stato di gravidanza. Franco sapeva che bisogna tollerare molte cose dalle donne incinte; quindi rinfoderava il proprio orgoglio e non protestava piú contro il fatto che sua moglie dirigeva i due stabilimenti e andava in città a qualunque ora, come nessuna signora avrebbe fatto. La condotta di lei lo imbarazzava; ma egli era sicuro che dopo la nascita del bimbo essa sarebbe stata nuovamente la creatura dolce e femminile che egli aveva corteggiato. Ma nonostante la docilità di suo marito, Rossella continuava ad essere di cattiv'umore e spesso a Franco sembrava che ella agisse come una ossessa. Nessuno sembrava comprendere che cosa veramente la faceva agire come una pazza. Era la smania di riuscire a mettere tutto in ordine prima di doversi rinchiudere, di avere abbastanza denaro da parte per il caso che l'uragano la travolgesse nuovamente: il denaro era l'ossessione del suo cervello in quel periodo. Quando pensava al bambino, era con una specie di collera per la sua intempestività. «La morte, le risse, i dolori del parto! Non vi è mai un momento adatto per nessuna di queste cose!»

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Ad ogni modo, ne guadagnò abbastanza da lasciare a mio padre un buon patrimonio. Ma in famiglia si parlava sempre di lui come del "capitano di mare". Fu ucciso in una rissa molto prima che io nascessi. Inutile dire che la sua morte fu un gran sollievo per i suoi figli, perché il brav'uomo era quasi sempre ubbriaco; e quando aveva bevuto qualche bicchiere di piú era capace di dimenticare che era un capitano a riposo e rievocava certi ricordi che facevano drizzare i capelli ai figliuoli. Io l'ho sempre ammirato e ho cercato di imitarlo piú di quanto non abbia cercato di imitare mio padre, il quale e un amabile gentiluomo, pieno di buone abitudini e di massime religiose. Cosí vanno le cose. Sono sicuro che i vostri figli non vi approveranno, Rossella, come non vi approvano le signore Merriwether ed Elsing e le loro famiglie. I vostri figli saranno probabilmente creature dolci e remissive. E per giunta voi siete probabilmente decisa, come tutte le mamme, a fare in modo che essi non conoscano le privazioni e gli stenti che voi avete dovuto sopportare. E avete torto. Le privazioni temprano le persone o le spezzano. Dovrete quindi attendere l'approvazione dei vostri nipotini. - Chi sa come saranno i nostri nipoti! - Dicendo i "nostri" vorreste intendere che voi ed io avremo dei nipoti in comune? Andiamo, via, signora Kennedy! Rossella, accorgendosi del suo errore di linguaggio, arrossí. Non furono soltanto le sue parole scherzose a darle un senso di vergogna, ma l'improvviso ricordo del suo corpo deformato. Nessuno di loro aveva mai alluso al suo stato interessante, ed ella portava sempre, quando era con lui, la cintura dell'abito quasi sotto alle ascelle, illudendosi, come tutte le donne, che in tal modo non si vedesse la deformazione della sua figura; ma in quel momento si sentí improvvisamente irritata della sua condizione e vergognosa che egli la conoscesse. - Scendete subito da questo carrozzino, rettile osceno che siete! - e la sua voce tremava. - Neanche per sogno - rispose egli calmo. - Sarà buio prima che giungiate a casa; e da queste parti vi è una nuova colonia di negri che abita in un accampamento; mi hanno detto che sono dei negri molto abbietti, e non vedo perché dovreste dar motivo all'impulsivo Ku Klux di mettersi le camicie da notte e uscire stasera. - Scendete! - E una nausea improvvisa l'assalse. Egli fermò subito il cavallo, le passò due fazzoletti puliti e le sorresse la testa con una certa abilità facendola affacciare sulla fiancata del calessino. Il sole pomeridiano coi suoi raggi obliqui attraverso il fogliame novello, le diede per qualche istante l'impressione di uno stomachevole vortice d'oro e di verde. Dopo l'accesso, ella si nascose il volto fra le mani e pianse di mortificazione. Non solo aveva rigettato dinanzi a un uomo - la cosa piú orribile che potesse accadere a una donna! - ma l'incidente affermava in modo inequivocabile il fatto umiliante della sua gravidanza. E questo le era accaduto proprio con lui, proprio con Rhett che non rispettava le donne! Ah, non potrebbe mai piú guardarlo in viso! - Non siate sciocca - le disse egli con calma. - Se piangete di vergogna siete una sciocca. Avanti, non fate la bambina. Certo non potevate supporre che, a meno di essere cieco, io ignorassi che eravate incinta. - Oh! - esclamò con voce soffocata e le sue dita si strinsero convulsamente sul viso di porpora. La parola la faceva inorridire. Franco, ogni volta che doveva parlare della sua gravidanza, le diceva con imbarazzo "le tue condizioni". Geraldo, quando si trattava di queste cose, soleva sempre accennare delicatamente che la tal signora "aspettava un bimbo"; e le signore generalmente dicevano che una donna era "in istato interessante". - Siete una bambina se immaginate che io non me ne sia accorto, malgrado questa vostra veste cosí pesante. Sicuro che sapevo. Altrimenti, perché credete che sarei stato... Si interruppe improvvisamente; e un silenzio fu tra loro. Egli raccolse le redini e percosse il cavallo. Continuò poi a parlare tranquillamente; e mentre ella ascoltava con piacere la sua cantilena, l'eccesso di colore svaní a poco a poco dalle sue guance ardenti. - Non credevo che la prendeste in questo modo, Rossella. Vi immaginavo piú ragionevole, e sono deluso. Possibile che nel vostro seno alberghi ancora la verecondia? Forse non è da gentiluomo aver parlato chiaramente. Ma non sono affatto un gentiluomo, e le donne incinte non mi imbarazzano per nulla. Le tratto come creature normali, senza sentirmi punto obbligato a guardare il cielo o la terra pur di non posare gli occhi sulla loro cintura; e fissarla poi furtivamente con certe occhiate che mi sembrano il colmo dell'indecenza. È una condizione normalissima. Gli europei, piú ragionevoli, fanno dei complimenti alle madri che sono in attesa. Senza arrivare a questo punto, lo trovo però piú giusto della nostra finta ignoranza. E le donne dovrebbero esserne orgogliose invece di nascondersi come se commettessero un delitto. - Orgogliose! - e la voce di Rossella era strozzata. - Che orrore! - Non siete fiera di avere un bambino? - Dio mio, no! Non mi piacciono i bambini! - Volete dire... il bambino di Franco? - No... di chiunque! Per un attimo si sentí nuovamente a disagio, accorgendosi di quest'altro errore di espressione; ma Rhett continuò con voce calma, come se non lo avesse notato: - In questo siamo diversi. Io amo i bambini. - Li amate? - E fu cosí stupita di questa dichiarazione che dimenticò il proprio imbarazzo. - Che bugiardo! - Amo i bambini e i ragazzi finché non cominciano a crescere e ad acquistare il modo di pensare degli adulti e la loro abilità di mentire e di essere furfanti e mascalzoni. Del resto questa non è una novità per voi. Sapete che voglio molto bene a Wade Hamilton, benché non sia il ragazzo che dovrebbe essere. Era vero, ricordò Rossella. Gli piaceva giocare con Wade e spesso gli portava dei regali. - E giacché siamo venuti a parlare di questo terribile argomento, e voi ammettete che fra non molto avrete un bambino, vi dirò qualche cosa che desidero dirvi da un pezzo: anzi, due cose. Prima di tutto, che è pericoloso per voi andare sola in carrozza. Lo sapete, perché vi è stato detto abbastanza spesso. Se personalmente può non importarvi di essere rapita o violentata, dovete considerare le conseguenze. A causa della vostra ostinazione potete trovarvi in una situazione per la quale i vostri coraggiosi concittadini potranno essere costretti a vendicarvi facendo la pelle ad alcuni negri; e questo scatenerà gli yankees contro di loro e probabilmente ne condurrà qualcuno al capestro. Vi è mai venuto in mente che forse una delle ragioni per cui le signore non vi amano è che la vostra condotta può condurre alla forca i loro mariti e figli? Inoltre, se il Ku Klux fa la pelle ad altri negri, gli yankees diventeranno talmente spietati che la condotta di Sherman sembrerà angelica a confronto. So quello che dico, perché sono in grande intimità con gli yankees. Mi trattano come uno di loro, - mi vergogno di dirlo - parlano senza riguardo. Vogliono distruggere il Ku Klux anche se dovessero incendiare di nuovo tutta la città e impiccare tutti i maschi al di sopra dei dieci anni. Sarebbe un danno anche per voi, Rossella. Perdereste del denaro. E non si può dire a che punto può fermarsi l'incendio di una prateria, una volta iniziato. Confisca di proprietà, aumenti di tasse, multe a persone sospette... Li ho uditi proporre di tutto. Il Ku Klux... - Ne conoscete nessuno del Ku Klux? Sapete se Tommy Wellburn o Ugo... Egli si strinse nelle spalle con impazienza. - Come volete che li conosca? Io sono un rinnegato e un affarista. Ma so di alcuni che sono sospettati; basta un falso movimento da parte loro per poterli considerare come impiccati. Mentre so che non avreste alcun rimpianto se mandaste al capestro i vostri amici, sono certo che vi dispiacerebbe perdere i vostri stabilimenti. Vedo dall'espressione caparbia del vostro viso che non mi credete e che le mie parole cadono nel vuoto. Perciò vi dico soltanto: tenete a portata di mano la pistola; e quando io sono in città farò il possibile per potervi sempre accompagnare. - Rhett, ma è proprio per proteggermi che... - Sí, mia cara. È il mio sentimento cavalleresco che m'induce a proteggervi. - La fiammella beffarda ricominciò a danzare nei suoi occhi neri. Ogni barlume di serietà scomparve dal suo volto. - E perché? Per il profondo amore che ho per voi, signora Kennedy. Sí; silenziosamente ho avuto fame e sete di voi, e vi ho adorata da lontano; ma siccome sono un uomo onesto come il signor Ashley Wilkes, ve l'ho celato. Voi siete, ahimè, moglie di Franco, e l'onore mi vieta di rivelarvi il mio sentimento. Ma come anche l'onore del signor Wilkes qualche volta si screpola, cosí anche il mio oggi si è incrinato ed io rivelo la mia segreta passione che... - Per carità, smettetela! - interruppe Rossella, annoiata come sempre quand'egli le faceva dei discorsi di questo genere, e desiderosa di mutare argomento, ma evitando quello di Ashley. - Che cos'era l'altra cosa che volevate dirmi? - Come? Cambiate discorso mentre io vi sto offrendo un cuore amante ma esulcerato? Beh, l'altra cosa è questa. - La luce beffarda si spense di nuovo e il suo volto si oscurò. - Voglio che facciate qualche cosa per questo cavallo. È caparbio e ha una bocca dura come il ferro. Credo che guidarlo vi stanchi parecchio, no? Sono sicuro che se prende la mano, vi sarà impossibile fermarlo. E se vi trascina in un fosso, questo può significare la morte per il vostro bambino e per voi. Dovreste mettergli un morso molto piú pesante e permettermi di cambiarlo con un cavallo piú docile e con la bocca piú sensibile. Ella guardò il suo viso distratto e si sentí disarmata di fronte alla bontà e alla premura di lui. Provò un impeto di gratitudine e si chiese perché egli non era sempre cosí gentile. - Infatti, è un cavallo difficile da guidare - acconsentí debolmente. - A volte le braccia mi dolgono per tutta la notte. Fate quel che vi sembra meglio, Rhett. - Questo è molto gentile e femminile, signora Kennedy. Non è il vostro solito modo di parlare. Bisogna proprio sapervi trattare per rendervi flessibile come un virgulto. Ella s'impennò immediatamente. - Scendete subito, altrimenti vi picchio con la frusta. Non so perché cerco di essere gentile con voi. Siete malvagio. Privo di morale. Non siete altro che... Insomma andatevene. Egli discese, sciolse il suo cavallo legato dietro al calessino, e rimase fermo in mezzo alla strada nella semi oscurità del crepuscolo, con un sorriso irritante; a sua volta ella non fu capace di nascondere il proprio sorriso mentre si allontanava. Sí, era volgare, malizioso, malfido e non si poteva mai prevedere in che momento la spada smussata con la quale giocherellava si sarebbe tramutata in lama tagliente. Ma era divertente ed eccitante come... sicuro, come un bicchiere d'acquavite! In quegli ultimi mesi Rossella aveva imparato l'uso dell'acquavite. Quando tornava a casa nel tardo pomeriggio, bagnata di pioggia, intirizzita e indolenzita dalle lunghe ore passate nel carrozzino, la sola cosa che le dava forza era il pensiero della bottiglia chiusa nel primo cassetto del suo canterano, nascosta agli sguardi scrutatori di Mammy. Il dottor Meade non aveva pensato ad avvertirla che una donna nelle sue condizioni non doveva bere, perché non gli era mai venuto in mente che una signora per bene bevesse altro che qualche bicchierino di moscato. Eccetto, naturalmente, un bicchiere di champagne in occasione di un matrimonio, o di vino caldo quando era costretta a letto dal raffreddore. Senza dubbio vi erano delle disgraziate che bevevano, nello stesso modo come ve n'erano altre che erano pazze o divorziate; e questa era una sventura per le loro famiglie. Ma ad onta della sua disapprovazione per la condotta di Rossella, il dottore non aveva mai sospettato che ella bevesse. La giovane donna aveva scoperto che un bicchierino di acquavite prima di cena le faceva molto bene; poi faceva un gargarismo con l'acqua di Colonia o masticava qualche chicco di caffè per mascherare l'odore. E quando non riusciva a dormire e si rigirava nel letto tormentata dalla paura della povertà, dalla minaccia degli yankees, dalla nostalgia per Tara e dal desiderio di Ashley, sarebbe impazzita se non avesse avuto l'acquavite che spandeva nelle sue vene un calore benefico. Allora le sue preoccupazioni si attenuavano; dopo tre bicchierini ella poteva sempre dire a se stessa: «Penserò a queste cose domani, quando potrò sopportarle meglio». Ma alcune notti neppure l'acquavite calmava la pena del suo cuore, la pena che era piú forte perfino della paura di perdere gli stabilimenti: la nostalgia per Tara. Ella amava Atlanta, ma... Oh, la dolce pace e la tranquillità di Tara, i campi rossicci e i pini bruni che li circondavano! Tornare a Tara per quanto la vita potesse esser dura! Ed essere accanto ad Ashley, vederlo, udirlo parlare, essere sorretta dalla conoscenza del suo amore! «Andrò a casa in giugno. Qui non posso piú far nulla dopo quell'epoca. Vi andrò per un paio di mesi.» Pensava a questo con sollievo. E vi andò in giugno, ma non come desiderava; vi andò perché nei primi giorni del mese giunse un breve messaggio di Will che annunciava la morte di Geraldo.

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Il treno era in ritardo, quindi egli ha creduto di avere abbastanza tempo. Volete che corra a cercarlo? - Sí, Alex, per favore. - E malgrado il suo dolore, sorrise. Era cosí piacevole rivedere un volto della Contea! - Oh... hm... Rossella - cominciò Alex goffamente tenendole ancora la mano - sono tanto addolorato... per vostro padre. - Grazie - rispose Rossella; e le dispiacquero le parole di lei perché rievocavano il volto florido e la voce tonante di Geraldo. - Se può essere un conforto per voi, vi dirò Rossella, che tutti qui eravamo fieri di lui. Egli... sí, ci figuriamo che sia morto come un soldato per la buona causa. Che diamine voleva dire? Un soldato? Qualcuno lo aveva ucciso? Si era trovato in una rissa? Ma non volle udire di piú. Avrebbe pianto, se avesse parlato di lui; e non voleva piangere finché non fosse nel veicolo con Will, in campagna, dove nessuno poteva vederla. Will non aveva importanza. Era come un fratello. - Alex, non voglio parlarne - replicò brevemente. - Non vi dò torto, Rossella - riprese Alex mentre il suo volto si accendeva di collera. - Se fosse mia sorella... Sentite, Rossella: non ho mai detto una parola contro una donna; ma sono convinto che Súsele meriterebbe una buona frustata. Ma che sciocchezze stava dicendo? Che c'entrava Súsele? - Mi dispiace dirvi che tutti la pensano allo stesso modo sul suo conto. Will è il solo che prende le sue parti... e anche miss Melania; ma lei è una santa e non vede il male in nessuno... - Ho detto che non desidero parlarne - ripeté Rossella freddamente; ma Alex non parve impermalito. Sembrò comprenderla e questo le diede noia. Ella non voleva sentire sparlare della propria famiglia da un estraneo e non voleva che egli si accorgesse della sua ignoranza intorno all'accaduto. Perché Will non le aveva scritto ogni cosa? Le spiacque che Alex la guardasse con tanta insistenza. Certo si era accorto delle sue condizioni e questo la imbarazzava. Invece Alex, scrutandola nella scarsa luce crepuscolare, si stupiva di vederla cosí mutata, quasi irriconoscibile. Era forse perché si trovava in stato interessante? O il dolore per la morte del vecchio babbo, di cui era stata la preferita? Ma no, il mutamento era piú profondo. Veramente, aveva migliore aspetto di quando l'aveva vista per l'ultima volta: almeno, ora si vedeva che mangiava regolarmente. E dai suoi occhi era scomparsa quell'espressione di animale inseguito. Piuttosto erano duri e imperiosi; e in tutta lei era un'aria di autorità e di sicurezza, anche quando sorrideva. Indubbiamente era una bella donna; ma non aveva piú quella dolcezza un po' birichina che la rendeva cosí attraente e quel modo lusinghevole di guardare gli uomini che li faceva impettire tutti quanti. D'altronde, non erano tutti mutati? Alex guardò i propri rozzi abiti e il suo volto riprese la consueta espressione di amarezza. A volte, quando non riusciva ad addormentarsi, si chiedeva come sarebbe stato possibile far fare l'operazione a sua madre; come si sarebbe fatto per dare un'educazione al bimbo del defunto Joe; come poteva procurarsi il denaro per un'altra mula; e allora rimpiangeva che la guerra fosse finita e che non durasse sempre. Allora, essi non comprendevano la loro fortuna. Nell'esercito vi era sempre da mangiare, sia pure pane di granturco; sempre qualcuno che dava gli ordini, sicché non si aveva quella terribile responsabilità dei molteplici problemi da risolvere... nessun'altra preoccupazione che quella di essere ucciso. E poi, vi era Dimity Munroe. Alex desiderava sposarla e sapeva che non era possibile avendo già da pensare al mantenimento di tante persone. La amava da tanto tempo; ed ora le rose delle sue guance cominciavano a sfiorire e i suoi occhi ad essere meno giocondi. Se almeno Toni non fosse fuggito nel Texas! Un altr'uomo che aiutasse risolverebbe la situazione. Invece suo fratello, cosí simpatico e vivace, errava chi sa dove, nell'Ovest, senza un quattrino... Sí, tutti erano cambiati. Sospirò profondamente. - Non vi ho ringraziata di ciò che voi e Franco avete fatto per Toni - disse poi. - Siete stati voialtri, non è vero?, che lo avete aiutato a fuggire? Ho sentito dire che è arrivato sano e salvo nel Texas. Non ho avuto il coraggio di scrivervi per domandarvi... Ma gli avete prestato del denaro? Vorrei restituirvelo... - Per carità, Alex, tacete! Non parliamo di questo adesso! - Per una volta tanto, non le importava del denaro. Alex rimase in silenzio per un istante. - Vado a cercare Will - riprese quindi - e domani verremo tutti al funerale. Mentre raccoglieva il sacco di avena e si voltava per andarsene, un carretto sconquassato svoltò da una strada laterale e venne a fermarsi cigolando dinanzi a loro. Will gridò prima di scendere: - Scusate il ritardo, Rossella. Discese goffamente, le si avvicinò zoppicando e si curvò a baciarla sulle gote. Non l'aveva mai baciata e non aveva mai mancato di far precedere il suo nome da «miss»; questo, mentre la stupí, le fece piacere perché le diede un senso di calore. Egli la aiutò con molta attenzione a salire nel carretto scavalcando la ruota; guardando il veicolo Rossella riconobbe che era quello stesso carretto sul quale era fuggita da Atlanta. Come aveva potuto durar tanto? Will doveva tenerlo con molta cura. Il ricordo di quella notte le fece male. Avesse dovuto fare a meno delle scarpe ed economizzare sul cibo, avrebbe provveduto a un nuovo carro per Tara, facendo bruciare questo. Will non parlò dapprima; e Rossella gliene fu grata. Lasciarono il villaggio e, per la strada rossa, si avviarono verso Tara. Un pallido rosa indugiava ancora nel cielo; grossi cirri fioccosi avevano riflessi d'oro e di verde chiaro. La pace del crepuscolo campestre scendeva sopra di loro calmante come una preghiera. Come aveva potuto resistere tanti mesi - pensò Rossella - lontana dal fresco profumo dei campi, dalla terra arata, dalla dolcezza delle notti d'estate? Il terreno umido aveva un sentore cosí piacevole, cosí familiare che ella provò il desiderio di scendere a raccoglierne una manciata. Il caprifoglio che si arrampicava sui muriccioli purpurei ai due lati della strada rivestendoli di un drappeggio verde, emanava una fragranza acuta come sempre dopo la pioggia; ed era il profumo piú soave del mondo. Sul loro capo uno stormo di rondini roteò rapidamente; a quando a quando un coniglio spaventato si fermava per un attimo in mezzo alla strada, con la bianca coda ritta come un piumino per la cipria. Ella vide con piacere che il cotone cresceva bene: gli arbusti verdi si drizzavano vigorosi sulla terra vermiglia. Com'era bello tutto ciò! Come mai era rimasta assente tanto tempo? - Rossella, prima di parlarvi del signor O'Hara... desidero dirvi tutto prima che arriviate a casa... debbo chiedervi la vostra opinione su una faccenda. Oramai vi considero come il capo di casa. - Di che si tratta, Will? Egli volse per un attimo su lei il suo sguardo dolce e sereno. - Vorrei la vostra approvazione per il mio matrimonio con Súsele. Rossella si afferrò al sedile, cosí stupita che per poco non cadde all'indietro. Sposare Súsele! Chi poteva avere quell'idea, dopo che lei le aveva portato via Franco? - Dio mio, Will! - Debbo comprendere che non vi opponete? - Oppormi? No, ma... Mi avete tolto il respiro! Sposare Súsele! Ho sempre creduto che vi interessaste a Carolene. Will non distolse gli occhi dal cavallo; il suo profilo non mutò ma a Rossella parve che egli sospirasse impercettibilmente. - Forse era cosí. - E non vi vuole? - Non gliel'ho mai chiesto. - Ma è una sciocchezza! Domandateglielo! È molto migliore di Súsele! - Rossella, voi ignorate molte cose che sono successe a Tara. Non vi siete molto occupata di noi in questi ultimi mesi. - Non mi sono occupata di voi? - Rosella prese fuoco subito. - Che cosa credete che sia rimasta a fare ad Atlanta? Immaginate che vada a spasso in tiro a quattro e frequenti le feste da ballo? Non vi ho mandato sempre del denaro? Non ho pagato le tasse e fatto aggiustare il tetto e comprato il nuovo aratro e le mule? Non ho... - Non cominciate subito a infiammarvi - ribatté egli imperturbabile. - Se vi è qualcuno che sa ciò che avete fatto, quello sono io; e posso dire che il vostro è stato il lavoro di due uomini! Un po' raddolcita, lo interrogò. - E allora, che volete dire? - Avete riattato il tetto sul nostro capo e riempito di viveri la dispensa; non lo nego; ma non vi siete occupata di quello che poteva accadere nella testa dei diversi individui a Tara. Non vi biasimo, Rossella, voi siete fatta cosí: non vi siete mai interessata molto di quello che pensavano le persone. Ma sto cercando di dirvi che se non ho mai chiesto Carolene è stato perché sapevo che era inutile. Ella è stata per me come una sorellina ed è stata piú schietta con me che con chiunque altro. Ma non ha mai dimenticato quel ragazzo morto e non lo dimenticherà mai. Ed è meglio che sappiate subito la sua intenzione di entrare in un convento presso Charleston. - Volete scherzare? - Sapevo che sareste rimasta sbalordita; e volevo appunto pregarvi di non discutere con lei su questo; di non sgridarla e di non ridere di lei. Lasciatela andare. Non desidera altro. Ha il cuore spezzato. Will pronunciò queste parole con flemma; quindi si chinò a raccogliere una pagliuzza in fondo al carretto e la mise in bocca. Quell'osservazione gli diede un vantaggio sopra di lei. Come sempre, quando sentiva dire la verità, per quanto spiacevole, quel fondo di onestà che era in Rossella la costringeva a riconoscerla. Rimase senza parlare alquanto, cercando di abituarsi all'idea di veder Carolene monaca. - Promettetemi di non fare delle storie con lei. - Va bene, prometto. - Lo guardò con una nuova comprensione e una certa sorpresa. Will aveva amato Carolene, e la amava ancora abbastanza da prendere le sue difese e cercare di facilitarle l'adempimento dei suoi desideri; eppure voleva sposare Súsele. - E che cos'è questa faccenda di Súsele? Non le volete bene, che io sappia? - Oh sí, in un certo senso... Súsele non è cattiva come credete. Sono sicuro che andremo abbastanza d'accordo. Súsele ha bisogno soltanto di avere un marito e dei bambini; del resto questa è la cosa di cui tutte le donne hanno bisogno. Il carro trabalzò per alcuni minuti sulla strada piena di buche senza che nessuno dei due parlasse. Rossella rifletteva. Doveva esservi qualche cosa che non appariva, qualche cosa di piú profondo e importante, per indurre il pacato e mite Will a sposare una creatura scontenta e brontolona come Súsele. - Non mi avete detto la vera ragione, Will. Ho il diritto di conoscerla se sono il capo della famiglia. - È giusto; e spero che comprenderete. Io non posso lasciare Tara, Rossella: è come se fosse la mia casa, la sola casa che ho mai avuto; voglio bene ad ogni pietra di Tara, dove ho lavorato come se fosse cosa mia. E quando si comincia a lavorare per una cosa, ci si affeziona ad essa. Capite? Ella comprese; e provò un impeto di affetto per lui, perché anch'egli voleva bene a ciò che ella amava piú di tutto. - Ed ora che vostro padre non c'è piú e Carolene va in convento, resteremmo soltanto io e Súsele; capirete che io non potrei vivere a Tara senza sposare vostra sorella. Sapete bene come chiacchiera la gente. - Ma... ma c'è Melania... e Ashley... Al nome di Ashley egli si volse a guardarla coi suoi occhi inscrutabili. Ancora una volta ella ebbe la sensazione che Will sapesse e comprendesse tutto di lei e di Ashley, senza biasimare né approvare. - Se ne andranno fra breve. - Se ne andranno? E dove? Tara è casa loro come è casa vostra. - No, non è casa loro. E Ashley ha l'impressione di non guadagnare il suo mantenimento. Fa del suo meglio; ma non è nato per fare il coltivatore; voi lo sapete come lo so io. Se va a spaccar legna, c'è il pericolo che si dia l'accetta sul piede, ed è incapace di fare un solco dritto con l'aratro. Ma non è colpa sua: non è il suo mestiere. Ed è un tormento per lui vivere a Tara della carità di una donna, senza poter fare molto per ripagarla... - Carità? Ha forse detto...? - No, mai una parola. Voi lo conoscete. Ma io ne sono certo. Stanotte, mentre vegliavamo vostro padre, gli ho detto che avevo chiesto Súsele e che lei aveva detto di sí. Allora Ashley mi disse che questo era un gran sollievo per lui, perché capiva che, dopo la morte del signor O'Hara, lui e sua moglie sarebbero stati costretti a rimanere a Tara per non far chiacchierare la gente a proposito di me e di Súsele. E mi disse che stava progettando di lasciare Tara per andare in cerca di lavoro. - Lavoro? Che lavoro? E dove? - Non so con precisione; ma mi ha detto che andrà nel Nord. Ha un amico yankee a New York, il quale gli ha scritto a proposito di non so che impiego in una banca. - Oh no! - fu un grido che sfuggí a Rossella; e a quel grido Will le lanciò lo stesso sguardo di prima. - Forse sarà meglio che vada nel Nord. - No! No! Non credo! Il suo cervello lavorava febbrilmente. Ashley non doveva andare nel Nord. Altrimenti non lo vedrebbe piú. Anche se non lo vedeva da mesi, se non aveva mai piú parlato con lui dopo la scena del frutteto, non era passato giorno che ella non avesse pensato a lui, rallegrandosi che fosse sotto il suo tetto. E non aveva mai mandato un dollaro a Will senza pensare che anche quello sarebbe servito a rendere piú piacevole la vita di Ashley. Certo egli non era nato per quella vita, per arare la terra e spaccare la legna e non faceva meraviglia, perciò, che desiderasse lasciare Tara. Ma Rossella non poteva lasciarlo andar via dalla Georgia. Se fosse necessario, pregherebbe Franco di dargli un posto nella sua bottega, licenziando il commesso che ora aveva. Ma no... neanche quello era il posto di Ashley! Un Wilkes commesso di negozio! Mai! Eppure doveva esservi qualche cosa... Ma sicuro, la sua segheria! Ma accetterebbe Ashley un'offerta da lei? Non gli sembrerebbe ancora una carità? Bisognava fargli credere che fosse un favore che faceva lui a Rossella. Bisognava licenziare Johnson e mettere Ashley nella vecchia segheria, lasciando Ugo a gestire la nuova. Ella spiegherebbe ad Ashley che la salute malferma di Franco e il dover badare al negozio impedivano a suo marito di aiutarla; e parlerebbe della sua attuale condizione come di un altro motivo per il quale aveva bisogno del suo aiuto. Gli farebbe comprendere che di quest'aiuto non poteva fare a meno. E lo cointeresserebbe per metà negli utili dello stabilimento... pur di averlo vicino, pur di farlo sorridere, pur di carpire qualche volta un suo sguardo che le dicesse che le voleva ancora bene. Ma promise a se stessa che mai piú tenterebbe di indurlo a parlarle d'amore, mai piú cercherebbe di fargli rinunciare a quello stupido onore che egli apprezzava piú dell'amore. E doveva trovar modo di farglielo comprendere; altrimenti egli potrebbe rifiutare, per timore di un'altra scena terribile come l'ultima. - Posso trovargli qualche cosa da fare ad Atlanta - disse. - Questo è affar vostro e suo - rispose Will e si rimise la pagliuzza in bocca. - Ora, Rossella, debbo chiedervi ancora qualche cosa, prima di parlarvi di vostro padre. Desidero che non abbiate a rimproverare Súsele. Quello che è fatto è fatto, e anche se la scorticaste, non richiamereste in vita il signor O'Hara. Del resto, lei ha creduto onestamente di fare per il meglio. - Volevo appunto chiedervi... Che cos'è successo? Alex mi ha detto delle frasi confuse, accennandomi che bisognerebbe picchiarla... Che ha fatto? - In verità, sono tutti irritati contro di lei. Tutti quelli che ho visto oggi a Jonesboro mi hanno giurato che la faranno a pezzi la prima volta che la vedranno; ma vedrete che si calmeranno. Promettetemi che non le direte nulla. Non desidero che vi siano questioni stasera col cadavere del signor O'Hara nel salotto. «Parla come se fosse già il padrone di Tara!» pensò Rossella indignata. E quindi ebbe la visione di Geraldo morto, nel salotto, e cominciò a singhiozzare disperatamente. Will le passò un braccio intorno alla vita, la strinse affettuosamente e non le disse nulla. Mentre il carro sobbalzava nelle buche della strada, Rossella, col capo appoggiato sulla spalla di Will, non ricordava piú il Geraldo degli ultimi due anni, il vecchio smemorato che attendeva sempre una donna che non tornerebbe mai piú. Rivedeva il vecchio pieno di vivacità, con la sua criniera d'argento, la sua rumorosa gaiezza, i suoi scherzi, la sua generosità. Ricordava che quando era bimba, egli le era sembrato l'uomo piú meraviglioso del mondo: quel babbo impetuoso che la portava in sella con sé quando saltava le siepi, la sculacciava quando era cattiva, gridava quando ella gridava e la perdonava per farla tacere. E lo rivedeva quando tornava da Charleston o da Atlanta carico di doni che non erano mai appropriati; e ricordava anche, con un debole sorriso fra le lagrime, quando tornava a casa ubriaco cantando a squarciagola delle canzoni irlandesi. E com'era avvilito, l'indomani mattina, dinanzi ad Elena. Ecco, ora l'aveva finalmente raggiunta! - Perché non mi avete scritto che era ammalato? Sarei venuta subito... - Non è stato ammalato neanche un minuto. Tenete, cara, prendete il mio fazzoletto. Ora vi dirò tutto. Ella si soffiò il naso nel fazzoletto di lui; neanche un fazzolettino aveva portato con sé! E poi si rannicchiò nel cavo del suo braccio. Com'era buono Will! E sempre cosí calmo! - È stato cosí. Voi ci avete mandato il denaro ed io e Ashley abbiamo pagato le tasse, comprato le mule, le sementi e poi qualche maiale e dei polli. Miss Melly si occupa delle galline e fa molto bene. È una brava donna, miss Melly. Insomma, dopo aver comprato tutto quello che occorreva, era rimasto ben poco. Ma nessuno di noi si lamentava, eccetto Súsele. Miss Melania e Carolene stavano in casa e portavano i loro abiti vecchi con orgoglio; ma voi conoscete Súsele. Non si è mai abituata alle privazioni. Si seccava moltissimo di essere cosí mal vestita quando io la conducevo a Jonesboro o a Fayetteville; specialmente perché alcune di quelle signo... donne dei «Carpetbaggers» andavano in giro in gran lusso. E le mogli di quei maledetti yankees! Insomma, per le signore della Contea è un punto d'onore, il portare quello che hanno di peggio; ma per Súsele no. E si era anche messa in mente di avere un cavallo e una carrozza, dicendo che anche voi ne avete una. - Non è una carrozza: è un vecchio calessino - disse Rossella sdegnata. - Non ha importanza. Tanto vale che io vi dica anche che Súsele non ha mai digerito il fatto che voi avete sposato Franco Kennedy; e non le posso dare tutti i torti. Dovete convenire voi pure che non è stato un bello scherzo da fare a una sorella. Rossella si sollevò dalla sua spalla, furibonda come un serpente pronto a scattare. - Un bello scherzo? Vi prego di moderare i termini, Will Benteen! Potevo forse evitare che mi preferisse a lei? - Voi siete una ragazza coraggiosa, Rossella; e sono sicuro che avreste potuto evitarlo. Le ragazze vi riescono sempre, se vogliono. E invece dovete averlo lusingato. Ed era lo spasimante di Súsele. Una sua lettera scritta una settimana prima che voi giungeste ad Atlanta, era tutta zucchero e miele e diceva che pensava di sposarla appena avesse messo assieme un po' di denaro. Súsele mi ha fatto leggere la lettera. Rossella tacque perché sapeva che egli diceva la verità. Non si sarebbe mai aspettata di essere giudicata da Will. E la menzogna detta a Franco non le era mai pesata molto sulla coscienza. Se una ragazza non sapeva trattenere un corteggiatore, voleva dire che meritava di perderlo. - Non dite cattiverie, Will. Credete che se Súsele lo avesse sposato avrebbe speso un centesimo per Tara o per uno di noi? - No, non credo che avremmo mai visto un penny del vecchio Franco. Ma il vostro è stato lo stesso un brutto scherzo; e se volete dire che il fine giustifica i mezzi, la cosa non mi riguarda. Insomma, Súsele dopo di allora è diventata noiosa e pungente come una vespa. Non credo che gli volesse bene, ma era stata ferita nella sua vanità; e poi la tormentava il fatto che voi avevate abiti e carrozza e vivevate ad Atlanta mentre lei era sepolta a Tara. E a lei piace andare a ricevimenti e visite... Le donne sono cosí. Breve: un mese fa la condussi a Jonesboro e la lasciai andare a far delle visite mentre io mi occupavo di affari; quando tornammo a casa era silenziosa ma vidi che era cosí eccitata che stava per scoppiare. Credetti che avesse sentito qualche pettegolezzo interessante e non vi feci molta attenzione. Per circa una settimana la vidi girare per casa sempre eccitata ma senza dir nulla. Poi, andò a far visita a miss Catina Calvert... Oh, se la vedeste, Rossella! Povera figliuola, era meglio che morisse piuttosto che sposare quel pusillanime yankee, quell'Hilton. Sapevate che egli aveva ipotecato la casa e che ora l'ha perduta e debbono andar via? - Non lo so e non m'importa di saperlo. Voglio sapere del babbo. - Ora ci arrivo - continuò Will con pazienza. - Quando tornò a casa disse che tutti quanti avevamo mal giudicato Hilton. Disse che era una persona perbene, ma tutti noi ridemmo di questo. Allora cominciò a condurre a spasso vostro padre nel pomeriggio; e molte volte tornando a casa li vedevo seduti sul muricciolo attorno al cimitero, e vedevo che gli parlava con vivacità agitando le mani. E lui la guardava perplesso scuotendo la testa. Voi sapete com'era ridotto, Rossella. Sempre piú stordito, senza piú sapere dov'era e chi erano le persone attorno a lui. Una volta la vidi che indicava la tomba di vostra madre e il signor O'Hara cominciò a piangere. E quando tornò a casa tutta eccitata e felice, io le parlai molto aspramente. «Che cosa vi viene in mente» le dissi «di tormentare il vostro povero babbo parlandogli della mamma?» Lei si mise a ridere e mi rispose: «Occupatevi dei vostri affari. Un giorno sarete contento di quello che faccio.» Quella sera miss Melly mi disse che Súsele le aveva raccontato il suo progetto ma lei non credeva che avesse parlato sul serio. E non ne aveva accennato a nessuno di noi perché la sola idea la sconvolgeva. - Ma che idea? Volete spiegarmi una buona volta? A momenti siamo a casa. Ed io voglio sapere. - Sto cercando di dirvelo. E siamo cosí vicini che sarà meglio fermarci finché non ho finito. Tirò le redini e il cavallo si fermò. Erano presso la siepe di serenella che segnava il limite della proprietà dei MacIntosh. Attraverso gli alberi Rossella scorgeva i grandi comignoli spettrali ancora ritti sulle rovine silenziose. Avrebbe preferito che Will avesse scelto un altro luogo per fermarsi. - Insomma, la sua idea era questa: far ripagare agli yankees il cotone che hanno bruciato, la roba che hanno portato via e le barriere e le tettoie che hanno demolite. - Agli yankees? - Non ne avete sentito parlare? Il governo yankee indennizza tutti gli abitanti del Sud simpatizzanti con l'Unione che hanno avuto danni nelle loro proprietà. - Sí; l'ho sentito dire. Ma, noi che c'entriamo? - Secondo Súsele, c'entriamo moltissimo. Quel giorno che venne a Jonesboro incontrò la signora MacIntosh, e mentre discorrevano Súsele notò che la signora aveva un bel vestito e le chiese come mai... Allora la MacIntosh si diede molte arie dicendo che suo marito aveva reclamato presso il governo federale perché era stata distrutta la proprietà di un leale simpatizzante per l'Unione, il quale non aveva mai dato aiuto alla Confederazione in nessun modo. - Oh, non hanno mai dato niente a nessuno, quegli scozzesi! - interruppe Rossella con violenza. - Può darsi. Io non li conosco. Ad ogni modo, il governo ha dato loro non so piú quante migliaia di dollari. Una bella cifra. Questo impressionò Súsele, la quale vi pensò su tutta la settimana, senza dirci nulla perché sapeva che ne avremmo riso. Ma bisognava pure che parlasse con qualcuno; fu allora che andò da miss Catina e parlò con quel maledetto straccione di Hilton, il quale le diede una quantità di altre idee. Le disse che vostro padre non era nato in questo paese; non aveva combattuto, non aveva avuto figli in guerra e non aveva mai coperto nessun ufficio sotto la Confederazione. E dato tutto questo si poteva affermare che il signor O'Hara era simpatizzante per l'Unione. Le riempí la testa: sicché, venuta a casa, Súsele cominciò a parlare col signor O'Hara il quale, ci scommetterei, non sapeva neanche che cosa sua figlia gli dicesse. E certamente lei faceva assegnamento su questo per condurlo a fare il giuramento di fedeltà senza che egli se ne accorgesse neppure. - Papà pronunciare il giuramento! - Era cosí indebolito di mente che certamente lei vi contava. E nessuno di noi ha sospettato nulla di tutto questo. Vedevamo che stava combinando qualche cosa, ma non avremmo mai supposto che si sarebbe servita della vostra defunta mamma per rimproverargli di lasciare che le sue figlie fossero vestite di stracci mentre poteva avere dagli yankees centocinquantamila dollari. - Centocinquantamila dollari - mormorò Rossella sentendo diminuire il suo orrore per il giuramento. Quanto denaro! E per averlo bastava firmare un giuramento di fedeltà al governo degli Stati Uniti, un giuramento che stabiliva che il firmatario aveva sempre subíto il governo precedente, senza mai dargli aiuto. Centocinquantamila dollari! Per una piccola menzogna! Davvero, non poteva biasimare Súsele. E Alex aveva detto che si sarebbe dovuto frustarla?! Erano pazzi, tutti quanti. Quante cose farebbe, lei, con quel denaro! Quante cose farebbero tutti quei pazzi della Contea! Che importava una piccola menzogna? Dopo tutto, qualunque cosa si potesse togliere agli yankees, era denaro bene acquistato, in qualunque modo. - Ieri, verso mezzogiorno, mentre Ashley ed io eravamo a spaccar legna, Súsele prese questo carretto, vi mise sopra vostro padre e andò con lui in città senza dir nulla a nessuno. Miss Melly ebbe un sospetto, ma sperando che Súsele avrebbe mutato idea, non ci pose sull'avviso. Non credeva che Súsele sarebbe stata capace... Oggi ho saputo che cosa era successo. Quel pusillanime Hilton pare che sia in buoni rapporti con gli altri repubblicani della città e Súsele gli aveva promesso di dar loro una parte del denaro - non so quanto - se essi acconsentivano a riconoscere che il signor O'Hara, da buon irlandese era stato un leale simpatizzante per l'Unione, e non aveva appartenuto all'esercito, eccetera eccetera; e se avessero firmato delle raccomandazioni. Vostro padre non doveva fare altro che giurare e firmare la carta che sarebbe poi stata mandata a Washington. La faccenda del giuramento fu rapida; vostro padre non disse nulla e tutto andò bene fino al momento di firmare. Allora parve che tornasse in sé per un istante e crollò il capo. Non credo che sapesse di che si trattava; ma la cosa non gli piaceva. Súsele lo prendeva sempre al contrario, e l'esitazione di lui la irritò, dopo tutta la fatica che aveva fatta. Lo condusse via dall'ufficio e camminò con lui su e giú per la strada, dicendogli che vostra madre gridava contro di lui dalla tomba perché egli lasciava soffrire le sue figlie mentre avrebbe potuto provvedere a loro. Mi hanno detto che vostro padre piangeva come un bambino, come sempre quando udiva il nome di miss Elena. Tutti li videro, e Alex Fontaine si avvicinò a chiedere che cos'era successo; ma Súsele gli rispose male dicendogli di occuparsi dei fatti suoi, sicché egli se ne andò furibondo. Non so come le venne l'idea; ma so che nel pomeriggo si provvide di una bottiglia di acquavite, condusse il signor O'Hara nell'ufficio e cominciò a farlo bere. Da un anno, Rossella, non abbiamo alcool a Tara, eccetto un po' di vino di more che fa Dilcey; quindi vostro padre non c'è piú abituato. In breve fu ubriaco; e dopo che Súsele ebbe ancora discusso e argomentato per un pezzo, finalmente disse di sí e acconsentí a firmare. Ma mentre stava per metter la penna sulla carta, Súsele commise un errore. «Adesso» esclamò «gli Slattery e i Maclntosh la finiranno di darsi delle arie di superiorità con noi!» Dovete sapere che gli Slattery hanno fatto una richiesta di indennizzo molto elevata per quella catapecchia incendiata dagli yankees e il marito di Emma ha ottenuto il pagamento. Dunque, mi hanno detto che all'udire quei nomi il vostro babbo si è raddrizzato e l'ha guardata con occhio penetrante. Non era piú smarrito; e le chiese: «Gli Slattery e i MacIntosh hanno firmato una carta come questa?» Súsele cominciò a dire di sí e di no e a balbettare; e allora egli gridò ad alta voce: «Dimmi se quel maledetto orangista e quel maledetto straccione bianco hanno firmato una carta come questa!» E allora Hilton, credendo di calmarlo: «Sissignore, ed hanno avuto dei bei quattrini come li avrete voi.» Il vecchio signore emise un ruggito come un toro. Alex Fontaine dice che lo sentí dalla bettola dove si trovava. E poi gridò: «E voi credete che O'Hara di Tara voglia seguire il sudicio esempio di un maledetto orangista e di un maledetto straccione bianco?» Lacerò la carta in due pezzi e la gettò sul viso di Súsele urlando: «Tu non sei mia figlia!» e fu fuori dall'ufficio prima che i presenti potessero riaversi dalla sorpresa. Alex racconta che lo vide scendere in istrada come un toro infuriato; sembrava di nuovo quello di una volta e urlava e bestemmiava a piena voce, benché fosse ubriaco fradicio. Davanti alla bettola era il cavallo di Alex; vostro padre vi si arrampicò sopra in un batter d'occhio e scomparve in una nuvola di polvere continuando a bestemmiare con tutte le sue forze. Verso il crepuscolo Ashley ed io eravamo seduti in attesa, sui gradini del porticato, preoccupati di non vederlo tornare; miss Melania, al piano di sopra, piangeva gettata sul letto; non aveva voluto dirci nulla. A un tratto udimmo uno scalpitar di cavallo sulla strada e qualcuno che gridava come alla caccia della volpe; e Ashley disse: «Strano! Sembra il signor O'Hara quando veniva a trovarci prima della guerra.» Dopo un attimo lo vedemmo apparire all'estremità del pascolo. Doveva aver saltato la siepe proprio in quel punto. E venne di gran carriera su per l'altura, cantando con quanta voce aveva in gola. Non sapevo che vostro padre avesse una voce cosí forte. Cantava una vecchia canzone irlandese, come se fosse l'uomo piú contento del mondo, e batteva il cavallo col cappello; il cavallo andava di carriera. Avvicinandosi all'altro limite del pascolo non tirò le redini e comprendemmo che stava per saltare anche quell'altra barriera. Ci alzammo spaventatissimi e in quell'attimo lo udimmo gridare: «Guarda, Elena! Guarda come salto anche questa!» Ma il cavallo si fermò bruscamente senza saltare; e vostro padre gli passò fra le orecchie. Non sofferse affatto. Quando lo raccogliemmo era già morto. Doveva essersi rotto il collo.» Will attese per un momento che Rossella parlasse; quando vide che taceva, raccolse le redini. - Vai, Sherman - disse; e il cavallo si avviò verso casa.

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Se essi dicono qualche cosa, ci toccherà prendere le sue difese; e abbiamo già abbastanza seccature a Tara, senza doverci anche guastare coi vicini. Ashley sospirò. Egli conosceva i caratteri di tutti coloro anche meglio di Will; e ricordava che metà delle questioni e delle risse prima della guerra, sorgevano appunto per l'abitudine della Contea di pronunciare dei discorsi dinanzi alla bara dei vicini. Generalmente erano parole di elogio; ma qualche volta non lo erano. E allora i parenti del morto attendevano a stento che le ultime palate di terra fossero state gettate nella fossa. In assenza di un sacerdote, Ashley doveva dirigere il servizio funebre con l'aiuto del libro di preghiere di Carolene, avendo rifiutato cortesemente l'assistenza dei predicatori metodisti e battisti di Jonesboro e di Fayetteville. Carolene, piú devotamente cattolica delle sue sorelle, era stata molto turbata perché Rossella non aveva condotto un prete da Atlanta; si era poi tranquillizzata pensando che il prete che sarebbe venuto per sposare Will e Súsele, avrebbe anche potuto celebrare il servizio funebre per Geraldo. Fu lei che non volle i predicatori protestanti, e affidò la cosa ad Ashley segnando nel libro i passaggi che egli doveva leggere. Ora Ashley, appoggiato alla vecchia scrivania, sapeva che la responsabilità di evitare questioni era sua; e conoscendo i caratteri litigiosi della Contea, non sapeva come comportarsi. - Non vi è nulla da fare, Will - disse grattandosi in capo. - Non posso mandar via la nonna Fontaine né il vecchio McRae né posso tener la mano sulla bocca della signora Tarleton. E la cosa piú gentile che diranno sarà che Súsele è un'assassina e una traditrice, e che se non fosse per lei, il signor O'Hara sarebbe ancora vivo. Maledetta abitudine di parlare sulle bare. È una barbarie! - Sentite, Ashley, - disse Will lentamente. - Io non permetto che alcuno parli contro Súsele, qualunque cosa pensino. Lasciate fare a me. Quando avrete finito la lettura e la preghiera, e dovrete dire: «Se qualcuno vuol dire poche parole», guardatemi; cosí io parlerò per primo. Rossella, mentre osservava la difficoltà con la quale i portatori facevano passare la bara attraverso l'angusto ingresso del cimitero, non pensava che al funerale potesse seguire qualche incidente. La sepoltura di Geraldo significava per lei la scomparsa di uno degli ultimi legami che la univano agli antichi giorni di felicità e di spensieratezza: e il suo pensiero si soffermava su questo. Finalmente la bara fu posata accanto alla fossa. Ashley, Melania e Will entrarono nel recinto e si collocarono dietro alle ragazze O'Hara. I vicini che riuscirono a entrare rimasero dietro a loro; gli altri si fermarono al di là del muretto di mattoni. Rossella, accorgendosi di loro per la prima volta, fu sorpresa e commossa dalla quantità di gente. Data la scarsità dei mezzi di trasporto, erano stati veramente buoni ad accorrere cosí numerosi. Erano cinquanta o sessanta persone, alcune delle quali venivano da tanto lontano che ella fu stupita che avessero fatto in tempo. Vi erano famiglie intere che avevano condotto anche i loro servi; e poi piccoli fattori, gente dei boschi e delle paludi. Questi ultimi erano giganti barbuti, coi berretti di pelo di tasso e i fucili imbracciati; con loro erano le mogli, coi piedi nudi sprofondati nella terra rossa e i volti giallicci e malarici sotto ai capelli mal puliti. I vicini piú prossimi erano al completo. La nonna Fontaine, gialla e grinzosa, era appoggiata al bastone; dietro a lei erano la nuora e Sally Munroe Fontaine. Queste due cercavano inutilmente di convincere la vecchia a sedere sul muricciolo. Il dottore era morto due mesi prima e dagli occhi della nonna era scomparso il lampo di malizia che vi brillava un tempo. Catina Calvert Hilton era sola, e veniva considerata come quella il cui marito aveva contribuito alla tragedia; la cuffia scolorita nascondeva il suo volto timido. Rossella notò con stupore che il suo abito di percalle era macchiato e le mani erano poco pulite. Non aveva piú l'aria di una signora: sembrava una «proletaria bianca» trascurata e negligente. «Dio mio! Che crollo!» pensò Rossella con orrore. Rabbrividí volgendo altrove gli occhi nell'accorgersi come era angusto il baratro che separava le persone per bene dai rifiuti della società. E provò un senso d'orgoglio nel dire a se stessa che lei e Catina erano partite dopo la sconfitta, con gli stessi mezzi; eppure lei era riuscita a farsi una posizione. Alzò il mento e sorrise; ma mozzò il sorriso incontrando lo sguardo scandalizzato della signora Tarleton. Questa aveva gli occhi rossi dal pianto e dopo avere guardato Rossella con biasimo, si volse a fissare Súsele con espressione di ira furibonda. Dietro a lei e a suo marito erano le quattro ragazze Tarleton, i cui riccioli rossi sembravano poco adatti alla triste circostanza. Tutti si immobilizzarono; gli uomini si tolsero i cappelli, le donne giunsero le mani e Ashley si avanzò di un passo aprendo il logoro libro di preghiere di Carolene. Si fermò con gli occhi bassi, mentre il sole faceva brillare i suoi capelli biondi. Un profondo silenzio piombò sulla folla, cosí profondo che si udí il frusciare del vento tra le foglie della magnolia; e il fischio lontano e ripetuto di un merlo sembrò insopportabilmente acuto e triste. Quando Ashley cominciò a leggere le preghiere, tutte le teste si chinarono; la sua voce sonora e modulata, pronunciò con dignità le parole sacre. «Oh!» pensò Rossella, sentendo un nodo alla gola «che bella voce! Sono contenta che sia Ashley piuttosto che un prete... e mi fa piacere che il babbo sia sepolto da uno dei suoi, piuttosto che da un estraneo.» Quando Ashley giunse alla parte delle preghiere concernente le anime del Purgatorio, chiuse bruscamente il libro. Solo Carolene si accorse dell'omissione e lo guardò perplessa, mentre egli cominciava a recitare il Pater noster. Ashley sapeva che metà dei presenti ignoravano che cosa fosse il Purgatorio; e coloro che lo sapevano avrebbero preso come un'offesa personale, se egli avesse insinuato, sia pure in una preghiera, che un uomo come Geraldo O'Hara non era andato dritto in Paradiso. Quindi, per deferenza alla pubblica opinione, egli preferí evitare ogni menzione del Purgatorio. Il mormorío delle voci si uní alla sua nel Pater Noster; ma quando egli cominciò l'Ave Maria, vi fu un silenzio imbarazzato fra i presenti. Essi non avevano mai udito quella preghiera, e si guardarono furtivamente fra loro, quando le ragazze O'Hara, Melania e la servitú di Tara risposero: «Prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Cosí sia». Quindi Ashley levò il capo e rimase per un attimo incerto. Gli occhi dei vicini erano sopra di lui, mentre ognuno si disponeva ad ascoltare un lungo discorso. Nessuno immaginava che egli fosse già alla fine delle preghiere cattoliche; i funerali della Contea erano sempre molto lunghi. I ministri battisti e metodisti non avevano preghiere preparate ma le improvvisavano secondo le circostanze, e raramente si fermavano finché non vedevano tutta la famiglia in lagrime. I vicini sarebbero dunque rimasti indignati se tutto il servizio funebre per il loro diletto amico si fosse limitato a quelle brevi orazioni. Tutti quanti avrebbero detto che le ragazze O'Hara non avevano mostrato abbastanza rispetto per il loro padre. Quindi egli lanciò un rapido sguardo di scusa a Carolene, e chinando nuovamente la testa, cominciò a recitare a memoria il servizio funebre episcopale che aveva letto tante volte alle Dodici Querce, quando si seppellivano gli schiavi. «Io sono la Via, la Resurrezione e la Vita... e chiunque crede in me vivrà in eterno.» Non se ne ricordava con prontezza, quindi parlava adagio, fermandosi ogni tanto in attesa che le frasi gli tornassero alla memoria, ma queste pause rendevano le sue parole piú impressionanti; e coloro che fino a pochi momenti prima avevano avuto gli occhi asciutti, furono persuasi che quella fosse la cerimonia cattolica; e senza indugio si ricredettero sulla loro primitiva opinione, che i servizi cattolici fossero freddi e privi di commozione. Rossella e Súsele, ugualmente ignoranti, trovarono le parole belle e confortanti. Solo Melania e Catina compresero che si stava seppellendo un irlandese profondamente cattolico col servizio funebre della Chiesa inglese. E Carolene era troppo abbattuta dal dolore e dall'offesa per quel tradimento di Ashley per intervenire. Alla fine, Ashley aperse i suoi malinconici occhi grigi e guardò la folla. Dopo una pausa incontrò lo sguardo di Will e disse: - Qualcuno dei presenti desidera dire poche parole? La signora Tarleton si agitò nervosamente; ma prima che avesse potuto aprir bocca, Will fece un passo avanti e cominciò a parlare. - Amici - cominciò con la sua voce incolore - forse vi sembrerà una pretensione la mia di voler parlare del signor O'Hara... parlarne io che lo conoscevo soltanto da un anno, mentre tutti voi eravate suoi amici da oltre vent'anni. Ma ecco la mia giustificazione: se egli avesse vissuto un altro mese, avrei avuto il diritto di chiamarlo «babbo». Un fremito di stupore serpeggiò tra la folla. Tutti erano troppo bene educati per mormorare; ma si drizzarono in punta di piedi per guardare il capo chino di Carolene. Tutti sapevano la cieca devozione di Will per lei. Vedendo la direzione di tutti gli sguardi, Will riprese, come se non si fosse accorto di nulla. - Avendo l'intenzione di sposare la signorina Súsele O'Hara appena giungerà il sacerdote che abbiamo chiamato da Atlanta, ho ritenuto che questo mi desse il diritto di parlare per primo. Le sue ultime parole andarono perdute fra il mormorio che venne dalla folla, simile al ronzare di un alveare disturbato. Tutti erano indignati e delusi perché volevano bene a Will e lo rispettavano per quello che aveva fatto per Tara; e tutti sapevano che egli amava Carolene; sicché la notizia che egli sposava quella perfida e antipatica Súsele fu come un fulmine per il vicinato. Fu un momento di tremenda tensione. Gli occhi della signora Tarleton fiammeggiarono e le sue labbra si agitarono in parole inespresse. Nel silenzio si udí la voce del vecchio McRae che supplicava suo nipote di dirgli che cosa era stato annunciato. Will li guardò tutti; il suo viso era dolce ma nei suoi occhi azzurri era qualche cosa che li ammoní a non pronunciar parola contro la sua fidanzata. Per un attimo la bilancia oscillò tra la simpatia che tutti nutrivano per Will e il disprezzo per Súsele. Ma Will vinse. E continuò come se la sua interruzione fosse stata una pausa naturale del discorso. - Non ho conosciuto il signor O'Hara nella sua giovinezza come tutti voialtri. Personalmente l'ho conosciuto come un brav'uomo un po' svanito; ma voi tutti mi avete detto com'era prima. E desidero affermare questo: egli era un irlandese bellicoso e in pari tempo un gentiluomo del Sud; e il piú leale confederato che sia mai esistito. E non vedremo mai piú uomini come lui, perché i tempi sono mutati. Egli era nato in paese straniero; ma l'uomo cui oggi diamo sepoltura era piú georgiano di tutti noi. Amava la nostra vita e la nostra terra; e se ci pensate bene, riconoscerete che è morto per la nostra Causa come i soldati. Era uno di noi; aveva le nostre qualità e i nostri difetti, la nostra forza e le nostre debolezze. Fra le nostre qualità aveva queste: nulla poteva fermarlo quando si metteva in mente di fare una cosa; e non aveva paura di nessun nato di donna. Nulla di ciò che veniva dall'esterno poteva abbatterlo. Non ebbe paura degli inglesi quando il loro governo voleva impiccarlo. Si limitò ad andarsene di casa. E quando giunse in questo paese era povero, ma la povertà non lo sgomentò. Lavorò e guadagnò. E venne in questa regione senza timore, quando essa era ancora selvaggia; e in questo luogo inospite creò una grande piantagione. Né ebbe paura quando venne la guerra e il suo denaro cominciò a dileguare; né quando vennero gli yankees e minacciarono di incendiare Tara e di ucciderlo. Rimase dritto in piedi a guardarli in faccia. Perciò vi dico che ciò che veniva dall'esterno non poteva abbatterlo. E questa è una nostra qualità. Ma egli aveva anche una nostra debolezza: la possibilità di essere abbattuto da qualche cosa che proveniva dall'interno. Quando morí la signora O'Hara, anche il cuore di suo marito morí; ed egli non si rialzò piú. E colui che vedevamo camminare non era lui. Will si interruppe; i suoi occhi girarono a guardare gli ascoltatori. La folla sembrava incantata; ogni rancore verso Súsele era dimenticato. Lo sguardo di Will si posò un istante su Rossella come per darle coraggio. E Rossella provò veramente un senso di conforto perché Will parlava con buon senso, invece di ripetere i soliti luoghi comuni sul mondo migliore e sulla rassegnazione alla volontà di Dio. - Noi tutti siamo come lui. Nulla può sopraffarci, come nulla ha potuto sopraffare lui: né yankees né «Carpetbaggers» né i tempi difficili né la miseria. Ma la debolezza che è nei nostri cuori può sopraffarci in un batter d'occhi. Non è soltanto la perdita di un essere caro, com'è stato nel caso del signor O'Hara. Ciascuno ha una molla diversa; ma voglio dirvi questo: per coloro la cui molla non funziona, è meglio esser morti; nel mondo d'oggi non vi è posto per loro. E vi dico ancora una cosa: che oggi non dovete affliggervi per il signor O'Hara. Ora il suo corpo è andato a raggiungere il suo cuore; quindi non vi è ragione di piangerlo, a meno di non essere egoisti... Ve lo dico io, che gli volevo bene come se fosse mio padre... Credo che non vi sia altro da dire. La famiglia è troppo depressa per ascoltare altre parole che non darebbero loro alcun conforto. Quindi si volse alla signora Tarleton e le disse sommessamente: - Vi dispiacerebbe, signora, accompagnare in casa Rossella? Non le fa bene rimanere tanto tempo in piedi e per di piú al sole. E, salvo il dovuto rispetto, consiglierei lo stesso alla nonna Fontaine. Rossella arrossí e tutti gli sguardi si volsero a lei. Ma perché Will faceva quella specie di pubblicità alla sua gravidanza? Gli lanciò un'occhiata piena di vergogna e d'indignazione; ma lo sguardo di Will sembrò risponderle senza turbarsi: «Vi prego, ubbidite... Io so quello che faccio». Era già il capo della famiglia; e volendo evitare scenate, Rossella si volse alla signora Tarleton. Questa, immediatamente distolta dal pensiero di Súsele - come Will aveva preveduto - dal fatto di una nuova nascita, sempre affascinante per lei, fosse umana o animale, prese il braccio di Rossella. - Vieni in casa, cara. Aveva un'espressione di affettuoso interessamento e Rossella si lasciò condurre atttraverso la folla che si aperse per lasciarla passare. Vi fu un mormorio di simpatia e parecchie mani si tesero ad accarezzarla. Quando giunse dinanzi alla nonna Fontaine, questa avanzò il mento e disse: - Dammi il braccio, bambina - e poi soggiunse guardando fieramente la nuora e Sally: - No, voialtre non venite. Non ho bisogno di voi. - Ma perché Will ha fatto questo?! - gridò Rossella appena furono fuori portata d'udito. - È come se avesse detto a tutti: «Guardatela! Aspetta un bambino!» - E non è forse vero? - ribatté la signora Tarleton. - Will ha fatto benissimo. Era una pazzia per te rimanere lí al sole a rischio di cadere svenuta e magari provocare un aborto. - Will non ha affatto pensato a questo - interloquí la nonna, un po' ansimante mentre si avviava verso i gradini. Sul suo volto era un sorriso arcigno. - Soltanto non voleva che rimanessimo accanto alla tomba né io né voi, Beatrice. Temeva ciò che avremmo potuto dire; e sapeva che questo era il solo mezzo per liberarsi di noi... E poi non voleva che Rossella udisse le palate di terra sulla bara. Ha fatto bene. Ricorda, Rossella, che finché non senti quel rumore tremendo, le persone non sono veramente morte... È il rumore piú terribile del mondo... Aiutami a salire i gradini, bambina; e voi, Beatrice, datemi una mano. Rossella non ha bisogno del vostro braccio... Will sa che tu eri la beniamina di tuo padre e non ha voluto rendere anche peggiore la tua sofferenza. Per le tue sorelle è piú facile. Súsele ha la sua onta per sostenerla, e Carolene il suo Dio. Ma tu non hai nulla, non è vero, bambina? - No - rispose Rossella aiutandola a salire i gradini, un po' sorpresa della verità che la vecchia voce aveva pronunciata. - Non ho mai avuto nulla che mi sostenesse... eccetto la mamma. - Ma quando l'hai perduta, hai trovato che potevi anche vivere sola, non è vero? Ebbene, alcune persone non possono. Tuo padre era uno di questi. Will ha avuto ragione. Non addolorarti. Egli non poteva esistere senza Elena; ed ora, dove si trova, è piú felice. Come io sarò felice quando raggiungerò il vecchio dottore. Parlava naturalmente come se suo marito fosse vivo e si fosse recato a Jonesboro, dove una breve corsa in carrozza le avrebbe permesso di ritrovarlo. La nonna era troppo vecchia e aveva visto troppe cose per temere la morte. - Ma... anche voi potete vivere sola - replicò Rossella. - Sí; ma a volte si prova non poca difficoltà. - Non dovreste parlare cosí a Rossella, nonna - interruppe la signora Tarleton. - È già abbastanza sconvolta. Col viaggio da Atlanta, quell'abito stretto, il caldo e il dispiacere, ce n'è abbastanza per abortire senza che anche voi aggiungiate alla misura venendo a discorrere di dolori e di guai. - Per la camicia di Giove! - esclamò Rossella irritata. - Non sono affatto sconvolta! E non sono una di quelle stupidine che abortiscono per nulla! - Non si può mai dire - ribatté la signora Tarleton onnisciente. - Io abortii del mio primo vedendo un toro che inseguiva uno dei nostri negri; e... ti ricordi la mia giumenta Nellie? Era la piú sana e robusta che si potesse vedere; ma era nervosissima; e se io non fossi stata attenta... - Smettetela, Beatrice - interruppe la nonna. - Rossella non è tipo da abortire. Sediamoci qui nel vestibolo dove fa fresco; c'è un po' di corrente. E voi, Beatrice, andate in cucina a vedere se c'è un bicchiere di siero. Oppure guardate in dispensa se vi fosse un po' di vino. Staremo qui ad aspettare che tutti vengano ad accommiatarsi. - Rossella dovrebbe andare a letto - insisté la signora Tarleton. - Suvvia, sbrigatevi. - E la nonna le diede un colpetto col suo bastone. La signora Tarleton si avviò verso la cucina gettando il suo cappello sulla credenza e lisciandosi i capelli con le mani. Rossella si appoggiò alla spalliera della sedia e sbottonò i due primi bottoni del corpetto. Si stava bene, nell'alto vestibolo; il soffio d'aria fresca e fragrante che penetrava dalla porta posteriore era piacevole dopo il sole ardente. Guardò attraverso il vestibolo nel salotto dov'era stata la salma di Geraldo e distogliendo il pensiero da lui alzò gli occhi al ritratto della nonna Robillard che, con la sua pettinatura alta, il seno largamente esposto e la sua fredda insolenza, aveva sempre sopra di lei un effetto tonico. - Non so che cosa ha colpito di piú Beatrice, se la perdita dei suoi figli o quella dei suoi cavalli - cominciò la nonna Fontaine. Come sai, non si è mai occupata molto di Giacomo né delle ragazze. È una di quelle persone di cui parlava dianzi Will: la sua molla non funziona. A volte penso che finirà ad essere com'era tuo padre... La sola cosa che le ha dato gioia è stata la venuta al mondo di esseri umani o di animali; e nessuna delle sue figlie si è sposata né ha probabilità di farlo; quindi ella non ha nulla che occupi la sua mente. Se non fosse una vera signora, si lascerebbe andare... Will ti ha detto la verità sul suo fidanzamento con Súsele? Sí - rispose Rossella fissando la vecchia signora negli occhi. Era passato il tempo in cui la nonna Fontaine le faceva paura! E ora si sentiva anche disposta a dirle che andasse al diavolo, se quella voleva immischiarsi negli affari di Tara. - Poteva trovare di meglio - riprese la vecchia candidamente. - Davvero? - fece Rossella con alterigia. - Non darti tante arie, madamigella - ammoní aspramente la nonna Fontaine. - Non ho nessuna intenzione di attaccare la tua preziosa sorella; cosa che avrei fatto se fossi rimasta alla sepoltura. Voglio dire soltanto che con la scarsità di uomini nel nostro paese, Will avrebbe potuto sposare chiunque. Vi erano le quattro Tarleton, le Munroe, le McRae.... - Invece sposerà Súsele; e questo è quanto. - È una fortuna per lei! - È una fortuna per Tara. - Tu ami questo luogo, non è vero? - Sí. - E perciò non t'importa che tua sorella sposi uno che non è della sua classe, purché vi sia un uomo che si occupi di Tara? - La sua classe? E che importa la classe al giorno d'oggi, quando una ragazza trova un marito che può aver cura di lei? - Questo è discutibile. Alcuni direbbero che tu parli con buon senso. Altri direbbero che tu distruggi delle barriere che non avrebbero mai dovuto essere abbassate di un centimetro... Certamente Will non è dell'aristocrazia, mentre alcune persone della tua famiglia vi hanno appartenuto. I suoi occhi penetranti corsero al ritratto della nonna Robillard. Rossella pensò a Will, scarno, incolore, dolce, con la sua eterna pagliuzza in bocca, il suo aspetto completamente privo di energia, come la maggior parte dei «crackers». Certo non aveva dietro di sé una lunga fila di antenati dotati di ricchezza, di autorità, di aristocrazia. Il primo della sua famiglia che aveva messo piede sul suolo di Georgia era stato probabilmente un bancarottiere o un servo. Will non era stato in collegio; come istruzione non aveva avuto che quattro anni di scuola rurale. Però era onesto e leale, paziente e lavoratore. Ma non era un signore; e secondo le idee dei Robillard, Súsele faceva un matrimonio al disotto della sua condizione. - Dunque tu approvi l'entrata di Will nella tua famiglia? - Sí - rispose Rossella brutalmente, pronta a rispondere male alla vecchia signora alla prima parola di biasimo. - Dammi un bacio - disse invece con suo stupore la nonna, sorridendo con approvazione. - Non ti ho mai voluto bene come adesso, Rossella. Sei sempre stata aspra, anche da bambina, e a me non piacciono le donne aspre; dato che sono abbastanza dura anch'io. Ma mi piace il tuo modo di affrontare le cose. Non perdi il tempo in lamentele quando una cosa non si può evitare, anche se è sgradevole. Salti gli ostacoli coraggiosamente come un buon cavallerizzo. Rossella sorrise incerta e baciò ubbidiente la guancia grinzosa che le si presentava. Era piacevole udire delle parole di approvazione, anche se il loro significato era un po' oscuro. - Molta gente troverà da ridire perché tu permetti a Súsele di sposare un «cracker», benché tutti vogliano bene a Will. Ma tu non te ne curare. - Non mi sono mai curata di quello che dice la gente. - Lo so. - Nella voce della vecchia era una sfumatura di acidità. - Dunque, lascia dire. Probabilmente sarà un matrimonio felice. Certamente, Will non muterà mai aspetto e anche se guadagnerà molto denaro non renderà mai Tara un luogo com'era ai tempi di tuo padre. Ma in fondo è un signore; per lo meno ne ha l'istinto. Solo un signore di nascita avrebbe potuto dire le cose che egli ha detto dianzi... È vero; nessuno ci può sopraffare; ma noi possiamo essere prostrati dalla nostalgia di cose che non abbiamo piú... e dal ricordo. Sí, Will farà del bene a Súsele e a Tara. - Allora mi approvate perché permetto questo matrimonio? - Dio mio, no! Come potrei approvare l'entrata di un «cracker» in una vecchia famiglia? Ma Súsele ha bisogno di un marito; e dove lo troverebbe? E tu dove troveresti un buon intendente per Tara? Questo però non vuol dire che la cosa mi piaccia piú di quanto piaccia a te. «A me piace» pensò Rossella cercando di comprendere il significato di quanto la vecchia signora stava dicendo. «E sono contenta che Will la sposi. Perché dovrebbe dispiacermi?» Era perplessa e un po' vergognosa come sempre quando le venivano attribuite emozioni e sentimenti che gli altri provavano e che lei non condivideva. La nonna si sventagliò con un ventaglio di palma e continuò: - Non approvo il matrimonio; ma sono anch'io pratica come te. So anch'io che è inutile protestare e lamentarsi. Nella mia famiglia c'è un detto: «Sorridi e sopporta». E noi abbiamo sopportato sorridendo tante di quelle cose, perché era necessario. Siamo scappati dalla Francia con gli Ugonotti, dall'Inghilterra coi Cavalieri, dalla Scozia col principe Carlo, da Haiti davanti ai negri e ora siamo stati battuti dagli yankees. E sai perché? Drizzò la testa e Rossella pensò che somigliava a un vecchio pappagallo. - Non lo so - rispose cortesemente ma profondamente annoiata. - Te lo dico io. Perché noi ci pieghiamo dinanzi all'inevitabile. Noi non siamo come l'avena che quando è matura si irrigidisce e non si piega secondo il vento; siamo come il grano saraceno che ondeggia, e quando il vento è passato si rialza dritto e forte quasi come prima. Quando vengono le disgrazie, noi ci pieghiamo dinanzi all'inevitabile e sopportiamo sorridendo. E quando siamo nuovamente forti, diamo un calcio alle persone dinanzi alle quali ci siamo piegati. Questo è il segreto per sopravvivere. Fece una pausa come se attendesse un commento di Rossella; ma questa non sapeva che cosa dire e tacque. La vecchia riprese: - Sí, i nostri rialzano la testa; mentre qui vi sono tante persone che ne sono incapaci. Guarda per esempio che cos'è diventata la povera Catina Calvert. Piú abietta di suo marito! Guarda la famiglia McRae. Schiacciata, smarrita, senza saper che fare se non piagnucolare sui tempi passati. Guarda... sí, quasi tutti nella Contea, eccetto il mio Alex e la mia Sally, tu, Giacomo Tarleton, le sue figlie e pochi altri. Il resto è andato a fondo perché mancava di linfa, perché non è riuscito a risollevarsi. Gente che non ha capito mai altro che denaro e schiavi; e senza questi due elementi, fra un'altra generazione saranno diventati dei «proletari bianchi». - Dimenticate i Wilkes. - No, non li dimentico. Ho avuto la cortesia di non nominarli, perché Ashley è ospite di questa casa. Ma giacché sei stata tu a fare il loro nome... guardali! C'è Lydia che, da quanto mi hanno detto, è una zitellona rinsecchita con degli atteggiamenti di vedova perché Stuart Tarleton è stato ucciso; non fa nulla per dimenticarlo e cercare un altro uomo. Certo non è giovine; ma forse, se si desse un po' di pena, potrebbe trovare un vedovo magari con figli. La povera Gioia ha sempre avuto il cervello di un passerotto. E quanto ad Ashley... guardalo un po'! - Ashley è un bravissim'uomo! - lo difese Rossella con fervore. - Non ho mai detto il contrario; ma è bisognoso di aiuto come una tartaruga coricata sul dorso. Se la famiglia Wilkes riesce a superare questo periodo difficile, è perché c'è Melania che vince le difficoltà; non Ashley. - Melly? Dio mio, nonna! Che dite? Io ho vissuto abbastanza con Melly per sapere che è timida e malaticcia e non ha il coraggio di fare «sciò» a una gallina! - E a che serve fare «sciò» a una gallina? Mi è sempre sembrata una vera perdita di tempo... Sarà incapace di fare «sciò» a una gallina, ma è capacissima di farlo a tutto il mondo, al governo yankee, o a chiunque minacci il suo Ashley o il suo bimbo o le sue nozioni di distinzione. Lei ha un modo di fare che non è il tuo, Rossella, né il mio. È la maniera che avrebbe usato tua madre. Sí, Melly mi ricorda la tua mamma quando era giovine... E forse riuscirà a rimettere in piedi la famiglia Wilkes. - Oh, Melly è piena di buon senso. Ma fate torto ad Ashley... - Smettila, via! Ashley era nato per leggere dei libri e nient'altro. Questo non aiuta un uomo a togliersi dagli impicci. Ho sentito dire che è il peggior aratore della Contea. Confrontalo al mio Alex! Prima della guerra, Alex era il giovinotto piú inutile del mondo; non aveva mai pensato ad altro che ad aver delle belle cravatte, a ubriacarsi, a litigare e a stuzzicare le ragazze. Guardalo adesso! Ha imparato a fare il coltivatore perché altrimenti sarebbe morto di fame, e con lui tutti noi. Adesso coltiva il miglior cotone della Contea... sicuro! È meglio del cotone di Tara! E s'intende di porci e di pollame. E vedrai che quando tutto questo tremendo periodo della ricostruzione sarà finito, il mio Alex sarà ricco come suo padre e come suo nonno. Ma Ashley... Rossella si strinse nelle spalle. - Tutto questo non mi fa né caldo né freddo. - Hai torto - disse la nonna fissandola con lo sguardo penetrante. - Questa è la via che hai seguito da quando sei andata ad Atlanta. Non credere che pure essendo seppelliti in provincia, non si sappiano le cose. Anche tu sei mutata col mutar dei tempi. Sappiamo che hai relazione con gli yankees e con tutti i nuovi ricchi per cercare di guadagnar denaro con loro. Fai pure. Ma quando avrai guadagnato tutto quello che potrai, prendili a calci perché non ti serviranno piú. Sono sicura che lo farai come va fatto, altrimenti correrai il rischio di rovinarti. Rossella la guardò cercando di comprendere queste parole. Le sembravano arabo; inoltre ella era ancora irritata per aver sentito Ashley paragonato a una tartaruga rovesciata. - Credo che abbiate torto a proposito di Ashley - disse bruscamente. - Non sei abbastanza scaltra, Rossella. - Questa è la vostra opinione - ribatté Rossella seccamente, col desiderio di darle uno schiaffo. - Oh, sei scaltra per quel che riguarda dollari e centesimi. Questa è una scaltrezza maschile. Ma non hai la furberia delle donne. Non hai abilità nel giudicare le persone. Gli occhi di Rossella cominciarono a lanciare fiamme mentre le sue mani si aprivano e si chiudevano con movimento convulso. - Ti ho fatto arrabbiare, vero? - chiese la vecchia signora sorridendo. - È proprio quello che volevo. - Davvero? E perché, se è lecito? - Avevo le mie buone ragioni. La nonna si appoggiò alla spalliera della poltrona e Rossella ebbe improvvisamente l'impressione che fosse stanca e incredibilmente vecchia. Le piccole mani che stringevano il ventaglio, erano gialle e ceree come quelle di un morto. La collera svaní dal cuore della giovane, la quale si curvò in avanti e prese fra le sue una di quelle mani. - Siete una cara, vecchia bugiarda - disse. - Tutte queste storie le avete dette unicamente per, distogliermi dal pensiero del babbo, non è vero? - Non fare la sciocca! - esclamò burberamente la vecchia signora ritraendo la mano. - In parte è stato per questo, in parte perché ti ho detto la verità; e tu sei troppo stupida per capirlo. Ma sorrise un poco, sicché il cuore di Rossella si vuotò di ogni pensiero di collera. - Grazie lo stesso. Siete stata molto buona a parlare con me... e sono contenta che siate d'accordo meco per il matrimonio di Will con Súsele, anche se... molta altra gente lo disapprova. La signora Tarleton rientrò nel vestibolo portando due bicchieri di siero. Non era molto abile nelle faccende domestiche, quindi i bicchieri traboccavano. - Sono andata fino alla capanna del burro per prenderlo - disse. - Bevetelo subito, perché stanno tornando dalla sepoltura. Ma davvero, Rossella, permetti che Súsele sposi Will? Magari è anche troppo buono per lei; ma è un campagnolo e... Gli occhi di Rossella incontrarono quelli della nonna. In questi era una scintilla di malizia in risposta al suo sguardo.

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Il primo giorno del suo arrivo, mentre rideva e abbracciava Rossella e zia Pitty, disse che era rimasta tanto tempo lontana da quelli che amava che le sembrava di non potere mai essere abbastanza vicina a loro con la nuova abitazione. In origine la casa era a due piani; ma quello superiore era stato distrutto dalle cannonate; e il proprietario, al suo ritorno, non aveva avuto i mezzi per ricostruirlo. Si era contentato di rimettere un tetto al piano superstite; ciò che dava alla costruzione l'aria piatta e sproporzionata di un giocattolo. Sollevata dal suolo e costruita su alti scantinati, la casa aveva una grande scalinata di accesso che la faceva apparire un po' buffa. Ma l'aspetto tozzo e schiacciato dell'insieme era in parte modificato dalle due belle querce che l'ombreggiavano, e da una magnifica magnolia carica di candidi fiori che era proprio dinanzi alla scalinata. Il prato che si stendeva davanti alla casa era folto di verde trifoglio ed era limitato da una siepe di ligustri e di caprifoglio. Qua e là qualche vecchio arbusto di rosa metteva nuove gemme e il mirtillo bianco fioriva intrepido, come se non vi fosse stata la guerra e i cavalli yankee non avessero mangiato i suoi germogli. Rossella pensò che era la casa piú brutta che si potesse trovare, ma a Melania neanche le Dodici Querce, in tutta la loro grandezza, erano mai apparse piú belle. Era casa sua, e finalmente si sentiva sotto un tetto proprio con Ashley e Beau. Lydia Wilkes venne da Macon, dove abitava con sua sorella dal 1864, e si stabilí con suo fratello, rendendo cosí piú angusta la piccola casa. Ma Melania e Ashley l'accolsero volentieri. I tempi erano cambiati, il denaro era scarso, ma nulla aveva alterato la regola delle famiglie meridionali che avevano sempre spazio sufficiente per ospitare le parenti povere o zitelle. Gioia si era sposata e, secondo Lydia, aveva fatto un matrimonio al disotto della sua condizione, con un tale proveniente dal Mississippi: un uomo col viso rosso, che parlava a voce alta ed era sempre di umore chiassoso e giocondo. Lydia non aveva approvato quel matrimonio, perciò non abitava volentieri in casa di suo cognato; ed era stata ben lieta nell'apprendere che suo fratello aveva una casa sua, di guisa che ella poteva lasciare un ambiente che non le piaceva e non vedere piú sua sorella scandalosamente felice con un uomo indegno di lei. Il resto della famiglia pensò, invece, che la stupida Gioia non avrebbe potuto far niente di meglio; e si meravigliarono che fosse riuscita a trovare un marito. Questo era un gentiluomo e non era sprovvisto di mezzi; ma per Lydia, nata in Georgia ed educata in Virginia, chiunque non provenisse dalla costa non poteva essere che un villano e un barbaro. Probabilmente il marito di Gioia fu tanto lieto di esser liberato dalla sua compagnia quanto Lydia fu felice di andarsene. Oramai era una vera e propria zitellona. Aveva venticinque anni e li dimostrava tutti; non vi era quindi piú per lei alcun bisogno di tentare di essere attraente. I suoi occhi chiari e senza ciglia guardavano il mondo con indifferenza e le sue labbra sottili avevano sempre un atteggiamento altero e poco simpatico. Vi era però in lei una dignità e una fierezza che le si addicevano meglio della dolcezza giovanile che aveva quando stava alle Dodici Querce. La sua posizione era quasi quella di una vedova. Tutti sapevano che Stuart Tarleton l'avrebbe sposata se non fosse stato ucciso a Gettysburg; quindi si aveva per lei il rispetto che si ha per una donna che è stata desiderata, se pure non è giunta al matrimonio. Le sei camere della piccola casa furono modestamente arredate coi mobili piú economici - di pino e di quercia - che si trovarono nel negozio di Franco, perché Ashley era costretto a comprare a credito e, non volendo caricarsi di troppi debiti, acquistava soltanto il puro necessario. Questo mise in imbarazzo Franco, che voleva bene ad Ashley, e desolò Rossella. Entrambi avrebbero dato volentieri, senza aumento di prezzo, i piú begli arredi di mogano e di legno di rosa; ma i Wilkes rifiutarono ostinatamente. La loro casa era veramente brutta e disadorna; e per Rossella era una pena vedere Ashley abitare in quelle stanze prive di tappeti e di tende. Ma egli aveva l'aria di non accorgersi della povertà dell'ambiente; e quanto a Melania, era cosí felice di avere una casa propria per la prima volta da quando si era sposata, che era addirittura orgogliosa della sua abitazione. Rossella avrebbe sofferto atroci umiliazioni se avesse dovuto ricevere le visite degli amici senza tappeti né cuscini e senza abbastanza sedie, tazze e cucchiaini. Ma Melania faceva gli onori di casa come se si trovasse fra tende di velluto e cuscini di broccato. Malgrado la sua felicità, Melania non stava bene. La nascita di Beau le aveva rovinato la salute e il duro lavoro di Tara le aveva tolto ogni forza. Era cosí magra che le ossa sembravano uscirle dalla pelle sottile. Vista a distanza, quando giocava col piccino nel cortile, sembrava una bambina, priva com'era di seno e con le anche piallate come quelle di un giovinetto; e poiché non aveva il buon senso - pensava Rossella - di mettere dei volantini nell'interno del corpetto e in fondo al busto, la sua magrezza eccessiva era visibilissima. Come il suo corpo, anche il volto era affilato e pallido e le sue ciglia di seta, delicate come antenne di farfalla, spiccavano troppo nere sulla pelle priva di colore. Gli occhi apparivano eccessivamente grandi, cerchiati da occhiaie profonde, ma la loro espressione era rimasta immutata dai giorni della spensierata adolescenza. La guerra, le pene, le fatiche non avevano avuto alcun potere sulla loro dolce serenità: erano gli occhi di una donna felice, una donna attorno alla quale tutte le tempeste potevano agitarsi senza scomporla menomamente. «Come fa a conservare quello sguardo?» si domandava Rossella guardandola con invidia. Sapeva che i suoi occhi a volte sembravano quelli di un gatto affamato. Che cosa aveva detto una volta Rhett degli occhi di Melania? Ah sí, che avevano la luce tranquilla di due candele... Candele riparate dal vento, luci soavi che brillavano di felicità, ora che erano in una casa loro, fra persone amiche. L'alloggio modesto era continuamente pieno di gente. Melania era sempre stata molto amata, quindi tutti si affrettavano a festeggiare il suo ritorno e ognuno le portava un regalino per la casa: ninnoli, quadretti, uno o due cucchiai d'argento, tovaglie, tappeti; oggetti che erano stati salvati dal saccheggio di Sherman e conservati con cura, ma che tutti oggi giuravano essere assolutamente inutili per loro. Vecchi compagni d'armi di suo padre venivano a trovarla conducendole altri commilitoni per far loro conoscere «la cara figliuola del vecchio colonnello Hamilton». Le vecchie amiche di sua madre la circondavano volentieri, perché Melania aveva per le persone anziane una deferenza che la gioventú dei nuovi tempi sembrava aver dimenticata. Le sue coetanee, spose, madri e vedove, le volevano bene perché essa aveva sofferto come loro, ma il dolore non l'aveva inasprita e quindi era sempre disposta a prestare un orecchio simpatico ai loro sfoghi. E la gioventú andava da lei perché sapeva di incontrarvi altra gioventú e perché in quella casa si passava il tempo piacevolmente. Attorno a Melania si compose quindi rapidamente un gruppo formato da ciò che era rimasto di meglio della società ante-guerra di Atlanta; tutti poveri quanto a denaro, ma pieni di fierezza e di orgoglio. Melania aveva in sé tutte le qualità che quei nobili decaduti apprezzavano: l'orgoglio della povertà, il coraggio che non si lamenta, la gaiezza, l'ospitalità e soprattutto, la fedeltà alle vecchie tradizioni. Melania rifiutava perfino di ammettere che vi fosse un motivo di cambiare in quel mondo cosí mutevole. Sotto il suo tetto sembrava che tornassero gli antichi giorni, e i suoi amici riprendevano cuore e provavano perfino minor disprezzo per la vita dei nuovi ricchi e dei repubblicani. Guardando quel volto giovine che esprimeva una fedeltà inflessibile alle antiche idee, essi dimenticavano per un attimo i fedifraghi della loro casta, verso i quali provavano collera e timore. E ve n'erano molti. Uomini di buona famiglia che la povertà aveva trascinato alla disperazione, e che erano andati verso il nemico, accettando una posizione dai conquistatori perché la loro famiglia non morisse di fame. Vi erano giovani ex-combattenti cui mancava il coraggio di affrontare i lunghi anni occorrenti per costruire una fortuna. Questi giovani, seguendo la guida di Rhett Butler, marciavano di pari passo coi «Carpetbbaggers» nel trovare maniere poco pulite per guadagnar denaro. Alcune figlie delle famiglie piú in vista di Atlanta venivano considerate come le peggiori traditrici. Queste fanciulle erano ancora bambine durante la guerra e quindi mancava loro il rancore che animava i loro genitori. Non avevano perduto né mariti né fidanzati. Avevano scarsi ricordi di un passato di ricchezza e di splendore; e gli ufficiali yankee erano bei giovani, ben vestiti e spensierati. E davano dei magnifici balli, avevano splendidi cavalli e adoravano le ragazze dei paesi del Sud! Le trattavano come principesse; cercavano di non offendere le loro suscettibilità... Perché non fare amicizia con loro? Erano certamente piú piacevoli dei giovinotti della città che erano malvestiti, troppo seri e che lavoravano continuamente, sicché non rimaneva loro piú tempo per divertirsi. Vi erano quindi state parecchie fughe in compagnia di ufficiali yankee; e molte famiglie erano rimaste profondamente ferite. Vi erano fratelli che incontravano per istrada le sorelle e non le salutavano; madri e padri che non pronunciavano piú il nome delle figliuole. Tristezze che la dolcezza di Melania dissipava. Le signore anziane dicevano che ella era un ottimo esempio per le fanciulle della città; e queste non la prendevano in uggia perché ella non faceva sfoggio delle proprie virtú. Melania non si accorgeva che stava diventando il centro di una nuova società. Trovava che le altre persone erano molto gentili nel venire a farle visita e nel desiderare di averla nei loro piccoli circoli di lavoro e nei loro gruppi musicali. Atlanta aveva sempre amato la buona musica, ed ora vi era una rinascita di interesse per le arti che andava aumentando a misura che la vita diventava piú aspra e difficile. Ascoltando una bella musica era piú facile dimenticare le impudenti facce nere e le uniformi azzurre che affollavano le strade. Melania fu abbastanza perplessa quando si trovò, senza averlo voluto, a capo del Circolo Musicale del Sabato, nuovamente formato. Le sembrava impossibile l'essere stata elevata a quella posizione semplicemente perché era in grado di accompagnare al pianoforte chiunque, perfino le signorine McLure che erano stonate ma insistevano nel cantare dei duetti. La verità era questa: Melania aveva diplomaticamente fatto in modo da amalgamare le Dame Arpiste, il Circolo della Gaiezza e l'Associazione Signorine Mandoliniste e Chitarriste col Circolo Musicale del Sabato; sicché adesso ad Atlanta si poteva eseguire della musica che meritava di essere ascoltata. Infatti, si diceva che l'esecuzione della «Fanciulla di Boemia» fosse superiore a quella data a Nuova York e a Nuova Orléans da orchestre di professionisti. Fu dopo la fusione delle Dame Arpiste col nuovo circolo che la signora Merriwether disse alle signore Meade e Whiting che Melania doveva essere presidente del circolo, dichiarando che se era riuscita a venire a capo delle Dame Arpiste, sarebbe riuscita in ogni altra cosa. Melania fu anche eletta segretaria dell'Associazione per l'Abbellimento delle Tombe dei Gloriosi Caduti e del Circolo di Lavoro per le Vedove e le Orfane dei Confederati. Questo nuovo onore le fu conferito dopo una seduta burrascosa che minacciò di terminare con la rottura di molte amicizie che datavano da anni. La disputa era sorta sulla questione se bisognava o no strappare le erbacce dalle tombe dei soldati dell'Unione che erano accanto a quelle dei Confederati. Quelle tombe maltenute rendevano inutili gli sforzi delle signore per abbellire quelle dei loro caduti. Il Circolo di Lavoro era favorevole; l'Associazione era contraria. I due campi si infiammarono; le signore parlavano tutte insieme sicché era impossibile intendersi. La riunione aveva luogo nel salotto della signora Merriwether; e il nonno Merriwether che era stato relegato in cucina, raccontò in seguito che lo strepito gli ricordava le fucilate che avevano iniziato la battaglia di Franklin. E aggiunse che certamente si sarebbe sentito piú sicuro alla battaglia di Franklin che a un'adunata di signore. Non si sa come, Melania riuscí a spingersi nel centro della folla eccitata; e non si sa come riuscí a far udire la sua voce dolce al disopra del tumulto. Aveva il cuore in gola e la voce tremante nell'osare rivolgersi a quel gruppo indignato; ma continuò a gridare: - Vi prego, signore! - finché ottenne un po' di calma. - Volevo dire... è un pezzo che ci penso... che non solo dovremmo strappare le erbacce, ma anche piantare dei fiori su... Io... non so quello che penserete; ma ogni volta che vado a portare dei fiori alla tomba del mio diletto Carlo, ne metto qualcuno sulla tomba di uno yankee sconosciuto che è accanto alla sua. Ha l'aria cosí abbandonata! Fu un nuovo clamore di voci eccitate; questa volta le due organizzazioni si trovarono d'accordo. - Sulla tomba di uno yankee! - Piuttosto dissotterrarlo e gettare al vento i suoi resti! - Oh, Melly, come hai potuto...! - Hanno ucciso tuo fratello! - C'è mancato poco che non ti ammazzassero! - E il tuo bambino! - Hanno cercato di incendiare Tara! Melania si appoggiò alla spalliera della sedia per sorreggersi dinanzi a quell'ondata di biasimo. - Lasciatemi finire, signore! - gridò supplichevole. - So che non ho il diritto di parlare in questa faccenda perché nessuno dei miei è stato ucciso, eccetto Carlo; e grazie a Dio so dov'è sepolto! Ma vi sono tante fra noi che non sanno dove sono sepolti i loro mariti, figli e fratelli, e... Si sentí soffocare; nella stanza fu un silenzio di tomba. Gli occhi fiammeggianti della signora Meade si incupirono. Ella aveva fatto un viaggio lungo e penoso fino a Gettysburg, dopo la battaglia, per riportare a casa la salma di Darcy; ma nessuno le aveva saputo dire ove fosse stato sepolto. In qualche fossa scavata frettolosamente in terra nemica. E la bocca della signora Allan tremò: suo marito e suo fratello si erano trovati a Ohio durante l'incursione di Morgan e l'ultima cosa che aveva saputo sul loro conto era che erano caduti sulle rive del fiume quando la cavalleria yankee aveva fatto irruzione. Non sapeva dov'erano stati sepolti. Il figlio della signora Allison era morto in un campo di prigionieri nel Nord; e lei, piú povera di tutte, non aveva avuto i mezzi per riportarne la salma a casa. Altre avevano letto sulle liste: «Disperso - probabilmente morto» e non avevano mai piú saputo altro degli uomini che avevano visto partire. La voce di Melania si levò nuovamente nel silenzio. - Le loro tombe sono in qualche luogo, in paese yankee, come le tombe dei loro soldati sono qui... e sarebbe tremendo pensare che qualche donna yankee propone (come ho udito dire da qualcuna) di dissotterrarli per gettare al vento i loro resti... Si udí nella sala un singhiozzo represso. - Ma com'è tranquillizzante il pensare che qualche buona donna yankee... (deve esservene qualcuna, checché si dica!) strappa le erbacce dalle tombe dei nostri caduti e porta loro un fiore! Se Carlo fosse morto nel Nord, sarebbe un conforto per me il pensiero che qualcuno... E non m'importa di quello che voi, signore pensate di me.... - la sua voce si spezzò... - ma darò le dimissioni da tutti e due i Circoli e... estirperò le erbacce da tutte le tombe yankee che troverò e vi pianterò dei fiori... Voglio vedere chi oserà impedirmelo! Con questa sfida finale, Melania scoppiò in lagrime e cercò di avviarsi vacillando verso la porta. Il nonno Merriwether raccontò che dopo questo discorso tutte le signore piangevano abbracciando Melania; la riunione finí con un accordo generale e Melania fu eletta segretaria di tutt'e due le associazioni. - E tutte quante hanno promesso di adoperarsi per le tombe yankee. Il male è che mia nuora voleva che andassi anch'io ad aiutare, visto che non ho nulla da fare. Io ritengo che miss Melly abbia avuto ragione e che le altre avessero torto; ma andare ad estirpare le erbacce alla mia età e con la mia lombaggine! Melania faceva parte del Comitato femminile dell'Orfanotrofio e aiutava a scegliere i libri per l'Associazione Libraria Maschile di recente formazione. Perfino i Tespiani che una volta al mese recitavano una commedia, reclamarono il suo aiuto. Melania era troppo timida per apparire alla ribalta; ma le toccò occuparsi dei costumi, fatti, si capisce, in grandissima economia. Fu lei che diede il voto decisivo nel Circolo di Lettura Shakespeariano perché le opere del poeta fossero alternate con quelle di Dickens e di Bulwer-Lytton piuttosto che coi poemi di Byron com'era stato suggerito da un giovine membro del Circolo che Melania, nel suo intimo, temeva fosse un tipo impertinente e sfacciato. Nelle sere della tarda estate la sua piccola casa debolmente illuminata era sempre piena di ospiti. Non vi erano mai sedie sufficienti e spesso le signore sedevano sui gradini del porticato anteriore, con gli uomini appoggiati alla balaustra o seduti sul prato. A volte Rossella, vedendo gli ospiti che sedevano sull'erba sorseggiando il tè - l'unico rinfresco che i Wilkes potevano permettersi di offrire - si chiedeva come mai Melania potesse esporre la sua povertà cosí, senza vergogna. Ella si guarderebbe bene dal ricevere - specialmente persone di riguardo come quelle che andavano da Melania - finché non potesse arredare nuovamente la casa di zia Pitty com'era prima della guerra e non potesse offrire agli invitati vini scelti e sciroppi, prosciutto e pasticci di cacciagione. Il generale John Gordon, l'eroe della Georgia, si recava spesso in casa Wilkes con la sua famiglia. Padre Ryan, il prete-poeta della Confederazione, non mancava mai di andare a salutare Melania quando si trovava di passaggio per Atlanta e in quelle serate deliziava gli altri invitati recitando loro qualcuno dei suoi poemi. Alew Stephens, l'ex-vice-presidente, era egli pure fra gli assidui; e quando si sapeva della sua presenza preso i Wilkes, la casa si riempiva di gente che rimaneva per ore ed ore sotto l'incanto della voce squillante di quel debole invalido. Di solito vi erano dozzine di bambini col capo ciondoloni per il sonno fra le braccia dei genitori; non vi era famiglia che non desiderasse che i suoi figliuoli potessero piú tardi raccontare di essere stati baciati dall'uomo che aveva tenuto le redini della Grande Causa. E tutti i personaggi eminenti che per una ragione o per l'altra giungevano in città, non mancavano di andare in casa Wilkes dove spesso passavano la notte. In queste occasioni Lydia era costretta a dormire su un materasso nella stanzetta di Beau e Dilcey correva da zia Pitty a farsi prestare le uova per la colazione della mattina seguente; ma Melania intratteneva gli ospiti graziosamente come se fosse stata la dama di un castello. No, Melania non si accorgeva che la gente si riuniva attorno a lei come attorno a una logora e amata bandiera. Quindi fu stupita e imbarazzata una sera quando il dottor Meade, dopo aver passato in casa sua una piacevole serata durante la quale aveva letto il «Macbeth» con delizia dell'uditorio, le aveva baciato la mano dicendole con la stessa voce usata in altri tempi nei discorsi in pro della Causa Gloriosa: - Cara miss Melly, è sempre un privilegio e un piacere venire in casa vostra, perché voi - e le donne come voi - siete il cuore di noi tutti; siete tutto ciò che ci è rimasto. Ci è stato tolto il fiore della nostra gioventú e il riso delle nostre donne. Ci hanno rovinato la salute, hanno distrutto le nostre abitudini, annichilito la nostra prosperità, ci hanno ricacciato indietro di cinquant'anni e hanno collocato un fardello troppo pesante sulle spalle dei nostri ragazzi che dovrebbero andare a scuola e dei nostri vecchi che dovrebbero godere il sole. Ma potremo ricostruire, perché abbiamo dei cuori come il vostro su cui posare le fondamenta. E fintanto che abbiamo questa ricchezza, si prendano pure tutto il resto, gli yankees!

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Borbottava fra sé nell'avanzare, badando che le sue osservazioni fossero abbastanza sommesse da non essere comprese, ma abbastanza forti per far comprendere la sua assoluta disapprovazione. - Mi dispiace di essere cosí in ritardo, - disse Elena togliendosi dalle spalle lo scialle di lana e porgendolo a Rossella che aveva accarezzato sulla guancia nel passare. La faccia di Geraldo si illuminò al suo entrare. - È battezzato il piccolo? - chiese. - Sí, ed è anche morto, povera creatura. Temevo che Emma lo seguisse, ma spero che vivrà. I volti delle ragazze si volsero a lei, sgomenti e interrogativi, mentre Geraldo crollava il capo filosoficamente. - Beh, è meglio che sia morto il bimbo; ma senza dubbio il povero padre... - È tardi, è meglio che diciamo le preghiere adesso - interruppe Elena cosí dolcemente che, se Rossella non avesse conosciuto bene sua madre, l'interruzione sarebbe passata inosservata. Sarebbe stato interessante sapere chi era il padre del bambino di Emma Slattery, ma Rossella era sicura che non avrebbe mai appreso la verità se aspettava di udirla da sua madre. Rossella sospettava di Giona Wilkerson, perché lo aveva spesso veduto passeggiare sulla strada con Emma al cader della notte. Giona era Yankee e scapolo, e il fatto che egli fosse un sorvegliante metteva una insormontabile barriera fra lui e la vita sociale della Contea. Non vi era famiglia per bene che avrebbe acconsentito a dargli la figliola in moglie, né vi erano persone con le quali egli potesse far lega, eccetto gli Slattery e altra gente come loro. Siccome egli aveva un'educazione molto superiore a quella di costoro, era naturale che egli non pensasse di sposare Emma, per quanto andasse frequentemente a spasso con lei al crepuscolo. Rossella sospirò perché la sua curiosità era vivissima. Ogni cosa accadeva sempre sotto gli occhi di sua madre, la quale ignorava tutto ciò che era contrario alle sue idee di proprietà e convenienza, e cercava di inculcare gli stessi principi a Rossella, ma con scarso successo. Elena si era avvicinata al caminetto per prendere il suo rosario dalla scatoletta in cui era sempre, quando Mammy parlò con fermezza. - Miss Elena, dovere prendere qualche cosa prima di pregare. - Grazie, Mammy, ma non ho fame. - Andare a preparare qualche cosa e tu mangerai, - disse Mammy con la fronte aggrottata per l'indignazione; e si avviò per il vestibolo verso la cucina. - Pork, dire a cuoca di preparare piatti. Badrona essere tornata. Mentre le assi del pavimento scricchiolavano sotto il suo peso, il soliloquio che aveva cominciato a borbottare quando era entrata, diventò piú forte ed intelligibile, giungendo chiaramente alle orecchie della famiglia nella stanza da pranzo. - Avere sempre detto io che essere inutile fare qualche cosa per quegli straccioni. Essere bersone piú ingrate e piú inette del mondo, e Miss Elena non dovrebbe occupare sé e affannare ad assistere gente che poi dire che ha i negri per assisterli. E avere detto... La sua voce si allontanò nel lungo passaggio aperto ai lati e coperto dal tetto che conduceva nella cucina. Mammy aveva un suo metodo per far conoscere esattamente ai suoi padroni il proprio pensiero. Era convinta che la dignità dei signori bianchi impediva loro di prestare la piú lieve attenzione a ciò che faceva un negro quando borbottava fra sé. E sapeva che per salvaguardare questa dignità essi dovevano ignorare quello che lei diceva, anche se era nella stanza accanto e gridava. Ciò le evitava dei rimproveri e nello stesso tempo non lasciava dubbi in loro su quelle che erano le sue vedute su ogni argomento. Pork entrò nella stanza portando un piatto, una tovaglia e le posate. Era seguito da Jack, un piccolo negro di dieci anni che si abbottonava frettolosamente la giacca di tela bianca con una mano, e portava nell'altra uno scacciamosche fatto di strisce di giornali, legato a un bastone piú lungo di lui. Elena aveva un bello scacciamosche di penne di pavone, ma questo si usava soltanto in occasioni speciali, e soltanto dopo lotte domestiche, dovute all'ostinata convinzione di Pork, di Mammy e della cuoca, che le penne di pavone portavano disgrazia. Elena sedette sulla sedia che Geraldo avanzò per lei e quattro voci la investirono. - Mamma, il merletto del mio nuovo abito da ballo è strappato. Vorrei metterlo domani sera alle Dodici Querce: mi fai il piacere di aggiustarlo? - Mamma, l'abito di Rossella è piú bello del mio; e io in rosa sono uno spauracchio. Perché non mette lei il mio vestito rosa e mi lascia mettere il suo verde? Lei sta benissimo vestita di rosa. - Mamma, posso restare alzata domani sera per il ballo? Oramai ho tredici anni... - Elena, crederesti... Zitte, ragazze, altrimenti vi faccio assaggiare il mio frustino! Cade Calvert è stato stamattina ad Atlanta e dice... Volete tacere una buona volta? Non sento neanche la mia voce! E dice che tutti sono sottosopra e non parlano che di guerra; la milizia fa gli esercizi militari e si formano nuove truppe. E dice che secondo ultime notizie di Charleston non si vogliono piú sopportare insulti dagli yankees. La bocca stanca di Elena sorrise nel tumulto; per primo ella si rivolse a suo marito, come è il dovere di ogni moglie. - Se quei gentiluomini di Charleston la pensano cosí, sono sicura che fra breve tutti saremo della stessa idea - disse, poiché era fermamente convinta che, ad eccezione di Savannah, la maggior parte della gente bennata di tutto il continente si trovava in quella piccola città marittima; opinione fermamente condivisa dai Charlestoniani. - No, Carolene; l'anno venturo. Allora potrai rimanere alzata quando si balla e portare gli abiti lunghi; e come si divertirà la mia piccola melarosa! Non fare il broncio, tesoro. Puoi andare al pic-nic, ricordatelo, e rimanere alzata fino all'ora di cena; ma sino a quattordici anni, niente balli. - Dammi il tuo abito, Rossella. Rammenderò il merletto dopo la preghiera. - Súsele, non mi piace questo tono. Il tuo vestito rosa è carino e ti sta bene, come a Rossella sta bene il suo. Ma domani sera puoi mettere la mia collana di granate. Súsele fece, dietro le spalle di sua madre, una smorfia di trionfo a Rossella, la quale aveva progettato di chiedere la collana per sé. Rossella le mostrò la lingua. Súsele era una sorella noiosa con le sue lamentele e il suo egoismo; e se non vi fosse stata la mano di Elena a frenarla, Rossella l'avrebbe schiaffeggiata tutti i momenti. - Ora, Mr. O'Hara, dimmi qualche altra cosa di quello che Calvert ha raccontato di Charleston. Rossella sapeva che a sua madre non importava nulla della guerra e della politica, ritenendole faccende maschili di cui una donna intelligente non si doveva preoccupare. Ma Geraldo parlava volentieri di queste cose, e Elena cercava sempre di far piacere a suo marito. Mentre Geraldo si lanciava nuovamente nel suo argomento favorito, Mammy posò i piatti dinanzi alla padrona: petto di pollo fritto, biscotti e una patata dolce aperta e fumante, sgocciolante di burro sciolto. Mammy diede un pizzicotto al piccolo Jack, e questi si affrettò al suo compito, agitando lentamente i nastri di carta dietro a Elena. La negra rimase accanto alla tavola, osservando ogni boccone che dal piatto andava alla bocca, come se volesse spingere per forza il cibo nella gola di Elena, se questa avesse accennato a smettere di mangiare. Elena mangiava senza neppur capire che cosa metteva in bocca; era troppo stanca. Ma il volto implacabile di Mammy la costringeva a inghiottire. Vuotato il piatto e mentre Geraldo era appena a metà delle sue elucubrazioni sul ladrocinio degli yankees che volevano la libertà degli schiavi, ma senza pagare un penny per questo, Elena si alzò. - Dobbiamo dir le preghiere? - interrogò egli, riluttante. - Sí; è tardi. Senti? Sono le dieci. - In quel momento l'orologio batté le ore coi suoi rintocchi rauchi. - Carolene dovrebbe essere a letto da un pezzo. La lampada, Pork, per favore; e tu, Mammy, dammi il mio libro di preghiere. Istigato dal rauco sussurro di Mammy, Jack mise il suo scacciamosche in un angolo e tolse i piatti, mentre Mammy frugava nel cassetto della credenza per cercare il logoro libro di preghiere di Elena. Pork si avvicinò in punta di piedi e tirò giú lentamente la lampada finché l'angolo della tavola fu brillantemente illuminato mentre il soffitto sembrava ritrarsi nell'ombra. Elena si rassettò le gonne e cadde in ginocchio sul pavimento, mettendo il libro aperto sulla tavola dinanzi a sé e giungendovi sopra le mani. Geraldo si inginocchiò accanto a lei; Rossella e Súsele presero i loro posti consueti al lato opposto della tavola, raccogliendo le loro gonne voluminose come un cuscino sotto alle ginocchia, in modo che dolessero meno per il contatto col pavimento. Carolene, che era piccola per la sua età, non si poteva inginocchiare comodamente presso la tavola e perciò si poneva dinanzi una sedia, coi gomiti sul sedile. Le piaceva questa posizione perché generalmente si addormentava durante le preghiere; collocata in quel modo, sfuggiva agli occhi della mamma. I servi della casa si affollarono sospingendosi nel vestibolo per inginocchiarsi dinanzi alla porta, Mammy gemendo nel curvarsi, Pork dritto come un fuso, Rosa e Tina, le cameriere, graziose nelle larghe vesti di percalle a vivi colori, Cora, la cuoca, magra e gialla sotto il fazzoletto bianco che portava sul capo, e Jack, istupidito dal sonno, il piú lontano possibile dalle dita spietate di Mammy. I loro occhi scuri brillavano di attesa, perché la preghiera insieme ai bianchi era uno degli avvenimenti della giornata. Le frasi vecchie e piene di colore delle Litanie, con la loro orientale ricchezza d'immagini, non avevano significato per loro, ma davano una certa soddisfazione ai loro cuori, ed essi chinavano il capo cantando le risposte «Kyrie eleison» e «ora pro nobis». Elena chiuse gli occhi e cominciò a pregare; la sua voce si elevava e si abbassava, cullava e molceva. Le teste si curvavano nel cerchio di luce gialla mentre ella ringraziava Dio per la ricchezza e la felicità della sua casa, della sua famiglia e dei suoi schiavi. Dopo aver terminato di pregare per quelli che vivevano sotto il tetto di Tara, per suo padre, madre, sorelle, per i tre bimbi morti e per le «anime del Purgatorio» strinse fra le lunghe dita la corona e cominciò il rosario. Come il fruscío di un dolce venticello si udiva il mormorio delle risposte delle gole bianche e di quelle nere: «Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Cosí sia». Malgrado il suo mal di capo e la sofferenza delle lagrime represse, un senso profondo di quiete e di pace discese su Rossella, come sempre a quell'ora. Un po' delle delusioni della giornata e del timore dell'indomani scomparivano lasciando posto a un sentimento di speranza. Non era l'elevazione dell'anima a Dio che recava questo balsamo, perché in lei la religione non andava al di là delle preghiere mormorate a fior di labbro, ma piuttosto la vista della faccia serena di sua madre rivolta verso il trono di Dio, coi suoi angeli e i suoi santi, a chiedere la benedizione per tutti quelli che amava. Quando Elena parlava col cielo, Rossella era sicura che il cielo la ascoltava. Elena terminò; e Geraldo che non riusciva mai a trovare il suo rosario al momento delle preghiere, cominciò a contare le avemarie sulle dita. Mentre la sua voce tuonava, i pensieri di Rossella cominciarono suo malgrado a vagabondare. Sapeva che avrebbe dovuto fare l'esame di coscienza; Elena le aveva insegnato che alla fine di ogni giornata bisognava esaminare attentamente la propria coscienza, riconoscere le proprie colpe e pregare il buon Dio di averne il perdono e la forza di non piú ripeterle. Ma Rossella esaminava il proprio cuore. Lasciò cader la testa sulle mani giunte, in modo che la madre non potesse vederla in viso, e il suo pensiero tornò tristemente ad Ashley. Come poteva egli progettare di sposar Melania mentre amava lei, Rossella? E mentre sapeva quanto ella lo amava? Come poteva volontariamente spezzarle il cuore? E ad un tratto un'idea le attraversò il cervello come un lampo di luce. «Ma Ashley non sa affatto che io lo amo!» Ebbe un sussulto: la sua mente rimase come paralizzata per un lungo momento durante il quale non respirò neppure; quindi prese l'aire. «Come potrebbe saperlo? Mi sono sempre comportata con tanta riservatezza, cosí da signora e cosí "lasciatemi-stare" che probabilmente egli immagina che non m'importi nulla di lui se non come amico. Sí, per questo non ha mai parlato! Crede che il suo amore sia senza speranza. E perciò aveva l'aria tanto... La sua mente tornò velocemente al tempo in cui lo aveva sorpreso a guardarla in modo strano, quando gli occhi grigi che nascondevano cosí bene i suoi pensieri le erano apparsi spalancati in un'espresisone di tormento e di disperazione. «Sarà disperato perché crede che io sia innamorata di Brent o di Stuart o di Cade. E probabilmente ha pensato che dal momento che non può sposare me, tanto vale che accontenti la sua famiglia sposando Melania. Ma se sapesse che io lo amo...» Il suo spirito volubile passò dalla piú profonda depressione alla felicità piú vibrante. Questa era la ragione della reticenza di Ashley, della sua strana condotta. Egli non sapeva! La sua vanità venne in aiuto al suo desiderio di credere e questo desiderio divenne realtà. Se egli sapesse che lei lo ama, accorrerebbe accanto a lei. Ella non doveva che... «Oh!» pensò in estasi premendosi le dita sulla fronte china. «Come sono stata sciocca a non pensare a questo fino ad ora! Debbo trovare il modo di farglielo sapere. Non la sposerebbe se sapesse che io lo amo! Come potrebbe?» Con un sobbalzo si accorse che Geraldo aveva finito e che gli occhi di sua madre erano fissi su lei. Cominciò in fretta la sua decina, sgranando le avemarie automaticamente ma con una profondità di emozione nella voce che costrinse Mammy ad aprir gli occhi e a lanciarle uno sguardo inquisitivo. Quando ebbe terminato la sua decina e Súsele e poi Carolene dissero le loro, la sua mente ricominciò a correre dietro al nuovo pensiero che l'aveva invasa. Non era ancora troppo tardi! Quante volte la Contea era stata scandalizzata dalla fuga di due innamorati quando uno o l'altro dei due era quasi davanti all'altare con un terzo! E il fidanzamento di Ashley non era ancora stato neanche annunciato! Sí, vi era tutto il tempo! Se non vi era amore fra Ashley e Melania, ma soltanto una promessa data tanto tempo fa, perché non avrebbe egli potuto sciogliersi dalla promessa e sposare lei? Certamente lo farebbe, se sapesse che lei, Rossella, lo amava. Doveva trovare il modo di farglielo sapere! E ora... Si svegliò bruscamente dal suo sogno di felicità, perché aveva trascurato di rispondere alle preghiere e sua madre la stava guardando con aria di rimprovero. Nel riprendere il rituale, aperse un attimo gli occhi e lanciò un rapido sguardo intorno alla stanza. Le figure inginocchiate, il quieto splendore della lampada, l'ombra in cui i negri si inchinavano, perfino gli oggetti familiari che un'ora prima le erano sembrati odiosi, presero in un momento il colore delle sue nuove emozioni e la stanza le sembrò ancora una volta un luogo piacevole. Non dimenticherebbe mai quel momento e quella scena. - Virgo fidelissima - intonò sua madre. Le litanie della Vergine erano cominciate e Rossella rispondeva obbedientemente: - Ora pro nobis - mentre Elena, col suo dolce contralto, lodava gli attributi della Madre di Dio. Come sempre fin dall'infanzia, questo era per Rossella il momento dell'adorazione per Elena anziché per la Madonna. Per quanto ciò potesse esser sacrilego, Rossella vedeva sempre, attraverso gli occhi chiusi, il volto di Elena e non la Beata Vergine mentre si ripetevano le antiche frasi. «Salus infirmorum... Refugium peccatorum... Sedes sapientiae... Rosa mystica...» erano belle parole perché erano gli attributi di Elena. Ma stasera, a causa dell'esaltazione del suo spirito, Rossella trovò in tutto il cerimoniale, nelle parole mormorate dolcemente, nel mormorio delle risposte, una bellezza che superava tutto ciò che aveva conosciuto prima. E il suo cuore si volse a Dio in sincero ringraziamento perché dinanzi ai suoi piedi si era aperto un sentiero... una strada che la conduceva fuori dalla sua miseria, dritta fra le braccia di Ashley. Dopo l'ultimo «amen» tutti si alzarono, qualcuno un po' faticosamente. Mammy riuscí a rimettersi in piedi mediante gli sforzi combinati di Tina e di Rosa. Pork prese dalla mensola del caminetto un lungo cerino, lo accese alla fiamma della lampada e si avviò per il vestibolo. Di faccia alla scala era una credenza di noce, troppo grande per la stanza da pranzo; sulla scansia superiore erano diverse lampade e una lunga fila di candele ficcate nei candelieri. Pork accese una lampada e tre candele e, con la pomposa dignità di un primo ciambellano della camera reale che accompagna il re e la regina nella camera da Ietto, precedette la processione per le scale, sollevando il lume in alto. Elena lo seguiva al braccio di Geraldo, e dopo di loro venivano le ragazze, ciascuna con un candeliere in mano. Rossella entrò nella sua stanza, posò il candeliere sul cassettone e frugò nell'armadio per prendere l'abito da ballo che bisognava aggiustare. Se lo gettò sul braccio e attraversò silenziosamente il pianerottolo. La porta della stanza da letto dei suoi genitori era semiaperta, e prima che ella avesse bussato, udí la voce di Elena bassa ma severa. - Mr. O'Hara, devi licenziare Giona Wilkerson. Geraldo esplose: - E dove vado a prenderlo un altro sorvegliante che non mi truffi e non mi derubi? - Bisogna licenziarlo, immediatamente, domani mattina. Il grosso Sam è un buon caposquadra e può occuparsi di tutto finché tu non trovi un altro sorvegliante. - Ah, ah! - era la voce di Geraldo. - Capisco! È il bravo Giona che è il padre... - Bisogna licenziarlo. «Dunque è lui il papà del bambino di Emma Slattery» pensò Rossella. «Sfido! Che altro ci si può aspettare da uno yankee e da una ragazza di quel genere?» Quindi, dopo una pausa discreta che diede tempo a Geraldo di smettere di borbottare, picchiò alla porta e porse l'abito a sua madre. Mentre si svestiva, Rossella rifletteva; e quando spense la candela il suo progetto per l'indomani era completo in ogni particolare. Era facilissimo, perché con la semplicità di spirito che aveva ereditato da Geraldo, i suoi occhi erano fissi soltanto sulla meta, ed ella pensava soltanto al mezzo piú diretto per raggiungerla. Prima di tutto, sarebbe orgogliosa, come aveva ordinato Geraldo. Dal momento del suo arrivo alle Dodici Querce sarebbe piú allegra e piú spiritosa che mai. Nessuno sospetterebbe che ella era stata addolorata per il matrimonio di Ashley con Melania; e civetterebbe con tutti quanti. Questo tormenterebbe Ashley, ma lo farebbe spasimare per lei. Non trascurerebbe nessuno degli scapoli, dal vecchio Franco Kennedy, che era il corteggiatore di Súsele, fino al tranquillo e timido Carlo Hamilton, fratello di Melania, il quale arrossiva cosí facilmente. Ronzerebbero attorno a lei come api attorno all'alveare, e certamente Ashley lascerebbe Melania per unirsi al circolo dei suoi ammiratori. E allora, ella manovrerebbe in modo da rimanere qualche minuto sola con lui, lontana dalla folla. Sperava che tutto andasse bene; altrimenti la cosa sarebbe stata difficile. Ma se Ashley non faceva il primo passo, lo farebbe lei. Quando fossero finalmente soli, egli avrebbe ancora dinanzi agli occhi il quadro degli altri uomini che le giravano attorno; sarebbe impressionato dal fatto che ognuno di coloro la desiderava, e lo sguardo triste e disperato riapparirebbe nei suoi occhi. Allora ella lo renderebbe nuovamente felice, lasciandogli scoprire che, pure avendo tanti spasimanti, lo preferiva a tutti gli uomini del mondo. E dopo aver ammesso questo, pudicamente e dolcemente, si sorveglierebbe con attenzione, comportandosi in tutto come una signora. Certo non le verrebbe neanche in mente di dirgli audacemente che lo amava; questo no. Ma questo era un particolare che non la turbava. Aveva già sbrogliato simili situazioni altre volte e lo farebbe ancora. A letto, col chiaro di luna che la bagnava tutta, si figurò la scena. Vedeva l'espressione di sorpresa e di felicità che gli illuminerebbe il volto nel momento in cui Ashley avrebbe compreso che ella lo amava, e udiva le parole che egli le direbbe chiedendole di essere sua moglie. Naturalmente essa gli risponderebbe che non poteva pensare a sposare un uomo che era fidanzato con un'altra, ma egli insisterebbe; e finalmente lei si lascerebbe persuadere. Allora decidererebbero di andar a Jonesboro nello stesso pomeriggio e... Sicuro, domani sera a quest'ora lei poteva essere la signora Ashley Wilkes. Sedette sul letto abbracciandosi le ginocchia, e per un momento fu veramente la signora Ashley Wilkes... la sposa di Ashley! che felicità! Ma subito dopo sentí un po' di freddo al cuore. E se le cose non andassero cosí? Se Ashley non le proponesse di fuggire con lui? Respinse decisamente questo pensiero. - Non voglio pensare a questo, adesso - disse decisamente. - Se ci penso, mi conturbo troppo. Non vi è ragione che le cose non vadano come io desidero... se Ashley mi ama; e so che mi ama! Sollevò il mento e i suoi occhi dalle lunghe ciglia nere brillarono nel chiaro di luna. Elena non le aveva mai detto che desiderio e raggiungimento sono due cose diverse; la vita non le aveva insegnato che il correre non sempre significa raggiungere il palio. Rimase nella luce argentea col coraggio che si rafforzava sempre piú e facendo i progetti che una sedicenne può fare quando la vita è sempre stata per lei cosí piacevole che ogni sconfitta pare impossibile, e un bell'abito e una fresca carnagione sono per lei le armi che vincono il destino.

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Io avere abbastanza di libertà. Avere bisogno di qualcuno che pensare darmi da mangiare tutti giorni, e dirmi cosa dovere fare e non fare e curarmi quando essere ammalato. Se mi tornasse polmonite, come fare? No, badrona! Loro chiamare me «mist' O'Hara», ma non essere capaci curarmi. E miss Elena curarmi se io essere ammalato e... Che cosa avere, miss Rossella? - Il babbo e la mamma sono morti, Sam. - Morti? Tu non dire la verità, miss Rossella?! Questo non essere modo di trattare povero Sam! - È la verità. La mamma morí quando gli uomini di Sherman vennero a Tara, e il babbo... è finito nel giugno scorso. Non piangere, Sam! Ti prego, altrimenti piango anch'io! No, non piangere! Non posso sopportarlo. Non parliamo di questo adesso. Ti racconterò un'altra volta... Miss Súsele è a Tara e ha sposato un brav'uomo, il signor Will Benteen. E miss Carolene è in un... - Rossella fece una pausa. Non avrebbe mai potuto spiegare a quel gigante piangente che cos'era un convento. - È andata ad abitare a Charleston. Ma Pork e Prissy sono a Tara... Andiamo, Sam, soffiati il naso. Hai proprio desiderio di andare a casa? - Sí; ma non essere come credevo, con miss Elena e... - E non ti piacerebbe restare ad Atlanta e lavorare per me? A me occorre un cocchiere e bisogna che sia uno che possa incutere timore a tutti i mascalzoni che vi sono in giro. - Sí, badrona. Questo essere vero. E io dire a te che non fare bene ad andare in giro sola. Tu non sapere che canaglie essere negri in questi tempi, specialmente quelli che stare qui a Shantytown. Non essere sicuro per te. Io essere qui da due giorni, ma avere sentito loro parlare di te. E ieri, quando tu essere passata e quelle donnacce negre averti detto brutte parole, io avere riconosciuta te, ma tu andare troppo presto e io non potere raggiungerti. Ma io pensare a questa gente! Sicuro! Avere visto che oggi non essere qui attorno nessuno di loro? - L'ho notato; e certo debbo esserne grata a te, Sam. Dunque, che ne dici dell'idea di venire a farmi da cocchiere? - Miss Rossella, grazie, badrona. Ma credere che essere meglio io andare a Tara. Il grosso Sam chinò gli occhi; il suo alluce nudo tracciò inutili segni nella polvere della strada. Sembrava inquieto. - Perché? Ti darò un buon salario. Devi rimanere con me. Il grosso e stupido viso nero sul quale si poteva leggere come su quello di un bimbo, si rialzò a guardarla; vi era un'espressione di timore scritta su quei lineamenti. Si avvicinò e appoggiandosi a un lato del carrozzino, sussurrò: - Miss Rossella, io dovere andare via da 'Tlanta. Dovere andare a Tara dove non potermi trovare. Io... io avere ucciso un uomo. - Un negro? - No, badrona. Un bianco. Un soldato yankee; e loro stare cercando me. Perciò io essere qui a Shantytown. - Com'è stato? - Lui essere ubriaco e avere detto qualche cosa che io non poter sentire e io avergli messo mani sul collo... Non avere avuto intenzione di ammazzarlo, miss Rossella, ma mia mano essere molto forte e prima che io essermi accorto, lui già morto. E io avere tanta paura che non sapere cosa fare! Allora essere venuto a nascondermi qui e quando ieri averti visto passare, avere detto: «Mio Dio! Quella miss Rossella! Lei pensare a me. Non farmi prendere dagli yankees. Lei rimandare me a Tara». - Dici che ti cercano? Sanno che sei stato tu? - Sí, badrona. Io essere cosí alto che non potere essere scambiato con altro. Credo che essere il negro piú alto di 'Tlanta. Essere già venuti a cercarmi qui ieri sera, ma una donna negra avermi nascosto in una capanna nei boschi finché loro essere andati via. Rossella aggrottò le ciglia riflettendo. Non era affatto spaventata o spiacente che Sam avesse commesso un delitto; soltanto era delusa di non poterlo avere come cocchiere. Un negro grande come Sam sarebbe stato una guardia del corpo non meno sicura di Baldo. Pazienza; bisognava trovar modo di farlo andare a Tara, perché non cadesse in mano delle autorità. Valeva troppo per lasciarlo impiccare! Era stato il miglior capoccia che Tara avesse mai avuto! Rossella non riusciva a concepire che adesso era libero. Apparteneva ancora a lei, come Pork, Mammy, Pietro, la cuoca e Prissy. Era ancora «uno della famiglia»; e come tale doveva essere protetto. - Ti manderò a Tara stasera - disse finalmente. - Ora, Sam, io devo andare ancora avanti un tratto; ma sarò di ritorno prima del calar del sole. Tu mi aspetterai qui. Non dire a nessuno dove vai; e cerca se puoi procurarti un cappello per nasconderti il viso. - Io non avere cappello. - Tieni, eccoti un quarto di dollaro. Compra un cappello da uno di questi luridi negri e aspettami qui. - Sí, badrona. - Il suo viso brillava per il sollievo di avere qualcuno che gli diceva che cosa doveva fare. Rossella proseguí pensierosa. Certamente per Will un buon coltivatore sarebbe il benvenuto a Tara. Pork non era mai stato un grande aiuto, come contadino, e non lo sarebbe mai. Con l'andata di Sam a casa, Pork potrebbe venire a raggiungere Dilcey ad Atlanta, come gli era stato promesso alla morte di Geraldo. Raggiunse lo stabilimento che il sole era già al tramonto; piú tardi di quanto aveva creduto. Johnnie Gallegher era sulla soglia della miserabile baracca che serviva da cucina per il piccolo accampamento. Su un tronco dinanzi alla casupola di pietra che serviva da dormitorio sedevano quattro dei cinque galeotti che rappresentavano il personale dello stabilimento. Le loro uniformi erano sporche e bagnate di sudore; ad ogni movimento si udiva il tintinnare delle loro catene, ed essi avevano un'aria di apatia e di disperazione. «Come sono macilenti e malsani» pensò Rossella guardandoli duramente; eppure quando li aveva presi, poco tempo prima, erano in migliori condizioni! Non alzarono neanche gli occhi quando ella scese dal carrozzino, ma Johnnie si volse verso di lei sollevando incurantemente il cappello. Il suo piccolo viso bruno era duro come una noce. - Non mi piace l'aspetto di quegli uomini - disse Rossella bruscamente. - Sembra che stiano poco bene. Dov'è l'altro? - Dice che è ammalato - rispose laconicamente Johnnie. - È nella sua amaca. - Che cos'ha? - Soprattutto pigrizia. - Vado a vederlo. - Non ci andate. Probabilmente è nudo. Ci penso io. Domani tornerà al lavoro. Rossella esitò; in quel momento vide uno dei forzati alzare stancamente il capo e lanciare a Johnnie un'occhiata carica d'odio prima di riabbassarlo. - Li avete frustati? - Scusate, signora Kennedy, chi è che dirige lo stabilimento? Voi mi avete messo a questo posto e mi avete affidato la direzione. Mi avete dato libertà d'azione. Avete da lamentarvi di me? Non ho fatto per voi il doppio di quello che faceva il signor Elsing? - Sí, questo è vero. - Ma un brivido percorse Rossella da capo a piedi. Vi era qualche cosa di sinistro in quel baraccamento; qualche cosa che ai tempi di Ugo Elsing non vi era. Un senso di solitudine, di abbandono che la fece raccapricciare. Quei forzati erano lontani da tutto e da tutti, e cosí completamente alla mercé di Johnnie Gallegher, che se egli li avesse frustati o comunque mal trattati, probabilmente lei non lo avrebbe mai saputo. E coloro non oserebbero lagnarsi con lei, per timore di peggiori punizioni dopo la sua partenza. - Sono sparuti. Date loro abbastanza da mangiare? Eppure Dio sa che per il loro vitto spendo tanto che potrebbero essere grassi come porcelli. Soltanto la farina e la carne di maiale sono costate trenta dollari il mese scorso. Che cosa date loro per cena stasera? Si avvicinò alla baracca e guardò dentro. Una grassa mulatta, che era curva su un vecchio fornello arrugginito, si volse abbozzando un saluto e continuò a mescolare in una casseruola dove cuocevano dei fagioli. Rossella sapeva che Johnnie Gallegher viveva con quella donna; ma ritenne che fosse meglio fingere di ignorarlo. Vide che eccettuato i fagioli e un pane di granturco non vi erano altri preparativi per la cena. - Non fate altro per questi uomini? - No, signora. - C'è della carne a cuocere insieme a quei fagioli? - No, signora. - Non c'è lardo? Ma i fagioli non valgono nulla senza lardo. Non nutrono abbastanza. Perché non c'è lardo? - Mist' Johnnie dice che è inutile. - Dovete mettercelo. Dove tenete le provviste? La negra volse gli occhi spaventati verso un piccolo armadio a muro che serviva da dispensa e che Rossella spalancò. Vi era a terra un bariletto aperto di farina di granturco, un sacchetto di farina di frumento, una libbra di caffè, un poco di zucchero, un barattolo di sorgo e due prosciutti. Uno di questi, posato sulla scansia, era stato cotto da poco e ne erano state tagliate un paio di fettine. Rossella si voltò verso Johnnie come una furia e incontrò il suo sguardo incollerito. - Dove sono i cinque sacchi di farina di frumento che vi ho mandato la settimana scorsa? E il sacco di zucchero e quello di caffè? Ho mandato cinque prosciutti e dieci libbre di lardo e non so quanti sacchi di ignami e di patate... Dove sono? Non potete averle consumate in una settimana, anche dando agli uomini cinque pasti al giorno. Avete venduto tutto, ladro che siete! Venduto i miei viveri e vi siete messo in tasca il denaro; e a questi uomini date fagioli e pane di granturco! Sfido che sono cosí magri! Levatevi di lí. Gli passò davanti impetuosamente e andò alla porta. - Ehi, voi lí in fondo! Sí, voi...! Venite qui! L'uomo si alzò e andò goffamente verso di lei, facendo tintinnare le catene; ella vide che i suoi malleoli nudi erano rossi e irritati per lo strofinare del ferro. - Quando avete avuto del prosciutto l'ultima volta? L'uomo guardò a terra. - Parlate! L'uomo continuò a tacere, avvilito. Finalmente alzò gli occhi, guardò Rossella implorando e li riabbassò. - Paura di parlare, eh? Bene, andate in dispensa e prendete quel prosciutto sulla scansia. Rebecca, dàgli il tuo coltello. Voi, portate il prosciutto a quegli uomini e dividetelo con loro. E tu, Rebecca, prepara delle focacce e del caffè per costoro. E dàgli del sorgo in abbondanza. Subito, cosí vedo mentre glielo dai. - Questo essere caffè privato e farina di mist' Johnnie - azzardò Rebecca sgomentata. - Di mister Johnnie, proprio?! Suppongo che anche il prosciutto sia suo. Fai quello che ti dico. Sbrigati. Johnnie Gallegher, venite con me fino al carrozzino. Attraversò lo spiazzo in disordine e si arrampicò nel veicolo, osservando con cupa soddisfazione che gli uomini strappavano il prosciutto a brandelli che ficcavano voracemente in bocca. Sembrava che temessero che qualcuno potesse da un momento all'altro rapir loro quel cibo. - Siete un vero furfante! - gridò furibonda a Johnnie che era accanto alla ruota, col cappello ricacciato indietro sulla fronte aggrottata. - E mi consegnerete il prezzo dei miei viveri. Per l'avvenire vi porterò le provviste giorno per giorno invece di mandarvi il necessario per un mese. Cosí non potrete truffarmi. - Per l'avvenire io non ci sarò. - Vi licenziate?! Ebbe l'impulso di gridare: «Tanto meglio!» ma la fredda mano della prudenza la trattenne. Che farebbe, se Johnnie se ne andasse? Con lui, era stato prodotto il doppio di legname di quanto se ne produceva sotto la gestione di Ugo. E proprio adesso ella aveva ricevuto una grande ordinazione, la piú grossa che avesse mai avuta; ed era urgente. Se Johnnie se ne andava, chi provvederebbe alla gestione dello stabilimento? - Sí, mi licenzio. Voi mi avete dato qui pieni poteri, e mi avete detto che da me non volevate altro se non la maggior quantità possibile di legname. Non mi avete detto allora che sistemi dovevo usare; e non intendo che veniate a dirmelo adesso. Non potete lagnarvi che io non abbia rispettato il contratto. Come ottengo il risultato, è cosa che non vi riguarda. Vi ho fatto guadagnare del denaro e ho ben guadagnato il mio salario... e quello che ho potuto arrangiare in piú. E adesso voi venite qui a immischiarvi, a rivolgere delle domande agli uomini, a distruggere la mia autorità. Come volete che, dopo questo, io possa conservare la disciplina? Che vi importa se occasionalmente qualcuno riceve un colpo di frusta? Sono degli indolenti che meritano anche di peggio. E se anche non sono rimpinzati?... Non meritano di meglio. O vi occupate degli affari vostri e lasciate che io mi occupi dei miei, o me ne vado stasera stessa. Il suo viso duro era piú spietato che mai; e Rossella si sentí incerta sul da farsi. «Che farò, se se ne va stasera? Non posso rimanere tutta la notte a guardia dei galeotti!» Evidentemente il suo volto rivelò il suo pensiero, perché l'espressione di Johnnie mutò alquanto e i suoi occhi sembravano meno crudeli. Anche la sua voce suonò meno aspra. - Si fa tardi, signora Kennedy; è meglio che andiate a casa. Non ci guasteremo per una piccola cosa come questa; vi pare? Potete trattenere dieci dollari sul mio stipendio del mese prossimo e siamo pari. Gli sguardi di Rossella andarono involontariamente al miserabile gruppo che stava divorando il prosciutto; poi pensò al malato. Avrebbe dovuto liberarsi di Johnnie Gallegher che era un ladro e un aguzzino. Chi sa che cosa faceva a quei disgraziati quando lei non c'era... Ma, d'altra parte era abile; e lei aveva bisogno di un uomo che sapesse il fatto suo. Inutile: ora non poteva mandarlo via. Soltanto, in avvenire sorveglierebbe che i forzati avessero le giuste razioni di vitto. - Vi tratterrò venti dollari - disse brevemente - e tornerò a discutere su questa faccenda di mattina. Raccolse le redini. Ma sapeva che non se ne sarebbe piú parlato. Era un affar finito; e anche Johnnie lo sapeva. Mentre percorreva il viottolo verso la strada di Decatur, la sua coscienza e il suo desiderio di guadagno combatterono un'aspra battaglia. Non vi era scopo ad esporre delle vite umane alla brutalità di quel piccolo uomo. Se uno di quei disgraziati moriva, ella sarebbe colpevole quanto lui, perché lo aveva lasciato a quel posto conoscendo i suoi mali trattamenti. Ma d'altra parte... d'altra parte, quegli uomini avevano il torto di essere dei forzati. Se avevano commesso dei delitti ed erano stati arrestati, meritavano ciò che loro capitava. Ciò in parte sollevò la sua coscienza; ma mentre percorreva la strada, i visi smunti dei forzati le tornarono dinanzi agli occhi. - Oh, vi penserò dopo! - si disse; e ricacciando il pensiero nel fondo piú recondito della sua mente, richiuse la porta del ripostiglio in cui nascondeva le immagini piú segrete.

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Non lo ringrazierò mai abbastanza... come voi! Siete stata tanto buona! - È stato un piacere per me, signora Wilkes. Spero... spero che non vi metta in imbarazzo il fatto che io ho detto che il signor Wilkes era un cliente regolare. Veramente non è mai... - Lo so. No, nessun imbarazzo. E vi sono tanto riconoscente. - Scommetto che le altre signore non mi sono affatto riconoscenti - disse Bella con subitanea amarezza. - E che non sono grate neanche al capitano Butler. Anzi, lo odieranno anche di piú. Sono certa che voi siete la sola che mi dica «grazie». Scommetto che quando mi incontreranno le altre, non mi guarderanno neppure. Ma non me ne importa. E non mi sarebbe importato niente se tutti i loro mariti fossero stati impiccati. Ma mi dispiaceva per il signor Wilkes. Non ho dimenticato come siete stata buona con me durante la guerra, a proposito del denaro per l'ospedale. Nessuna signora in questa città era mai stata cortese con me; ed io non dimentico una gentilezza. E ho pensato che sareste rimasta vedova con un bambino... è un bel piccino, il vostro. Ho anch'io un bambino e perciò... - Davvero? Avete un bimbo? E abita... hm... - Oh no! Non è ad Atlanta. Non vi è mai stato. È in collegio. Non l'ho piú visto da quando era piccolo. E... Insomma, quando il capitano Butler mi ha chiesto di mentire, ho voluto sapere chi erano gli uomini, e quando ho saputo che uno di loro era il signor Wilkes, non ho esitato. Ho detto alle mie ragazze: «Vi strapperò gli occhi se non direte che siete state tutta la sera col signor Wilkes» - Oh! - fece Melania ancora piú imbarazzata da questa chiara allusione di Bella alle sue «ragazze». - Sí, siete stata molto buona... hm... e anche loro. - Meno di quanto meritate! - esclamò Bella con calore. - Ma non avrei fatto questo per chiunque. Se fosse stato per il marito di miss Kennedy, non avrei mosso un dito, qualunque cosa mi avesse detto il capitano Butler. - Perché? - Perché, miss Wilkes, la gente che fa il mio mestiere sa una infinità di cose. Molte signore sarebbero sorprese e stupite se immaginassero quello che io so sul conto loro. E quella signora non è buona, miss Wilkes. Ha ucciso suo marito e quel bravo Wellburn come se fosse stata lei a sparare il colpo che li ha mandati all'altro mondo. È stata la causa di tutto, andando in giro per Atlanta senza compagnia, provocando i negri e i delinquenti bianchi. Nessuna delle mie ragazze... - Non dovete dire delle cattiverie contro mia cognata - interruppe Melania irrigidendosi. Bella pose una mano sul braccio di Melania per calmarla e poi la ritrasse in fretta, - Non mi agghiacciate, signora Wilkes, vi prego. Mi darebbe troppo dolore, dopo che siete stata cosí buona e cosí dolce con me. Avevo dimenticato che le volete bene e vi chiedo scusa di quello che ho detto. E mi dispiace che il povero signor Kennedy sia morto. Era un brav'uomo. Andavo a comprare da lui della roba per la mia casa e mi ha sempre trattata gentilmente. Ma la signora... ecco, non è della stessa classe vostra. È una donna fredda e non è colpa mia se la penso cosí sul suo conto... Quando farete il funerale del signor Kennedy? - Domattina. Ma avete torto quanto alla signora Kennedy. In questo momento è prostrata dal dolore... - Può darsi - replicò Bella con evidente incredulità. - Bene, ora debbo andare. Non vorrei che qualcuno riconoscesse la mia carrozza, se rimango qui piú a lungo; e sarebbe una seccatura per voi. E se mi vedete in istrada, signora Wilkes... non mi salutate. Io capirò lo stesso. - Sarò fiera di salutarvi e di parlarvi. Fiera di dovervi della gratitudine. E spero... spero che ci vedremo ancora. - No - rispose Bella con fermezza. - Non sarebbe conveniente. Buona notte.

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E quando mi sveglio mi pare che nel mondo non vi sia abbastanza denaro per potere impedire che io soffra la fame... In quei momenti Franco era cosí sdolcito e meschino che diventavo furibonda e perdevo la calma. Credo che non mi capisse; ed io non cercavo di farmi capire. Pensavo che un giorno, quando avessi avuto del denaro, gli avrei spiegato... Ed ora è morto ed è troppo tardi. Ed io ho fatto male... Se dovessi rifarlo, credo che agirei diversamente. - Basta - impose Rhett svincolandosi dalla stretta frenetica di Rossella e traendo di tasca un fazzoletto pulito. - Asciugatevi gli occhi. Non c'è buon senso a disperarsi in questo modo. Ella prese il fazzoletto e si asciugò le guance, piú sollevata perché le sembrava di aver deposto un po' del suo grave fardello sulle larghe spalle di Rhett. Egli appariva cosí calmo e tranquillo; e anche la piega leggera della sua bocca la confortava perché provava che la sua angoscia e la sua confusione erano eccessive. - Vi sentite meglio adesso? Dunque, vediamo di andare in fondo a questa faccenda. Dite che se doveste tornare da capo, agireste in modo differente. Ma è vero questo? Riflettete un momento. Agireste davvero in altro modo? - Ma... - No; tornereste a fare lo stesso. Avevate altra scelta? - No. - E allora perché vi disperate? - Perché sono stata cattiva ed ora lui è morto. - E se non fosse morto, voi continuereste ad essere cattiva. Insomma, se ho ben capito, voi non siete addolorata perché avete sposato Franco, siete stata caparbia con lui e avete senza volerlo cagionato la sua morte. Siete disperata solo perché avete paura di andare all'inferno. È cosí? - Ma... mi sembra che sia lo stesso. Tutto è cosí confuso... - Anche la vostra morale è considerevolmente confusa. Voi siete nella esatta posizione di un ladro che è stato colto con le mani nel sacco, e non è addolorato perché ha rubato ma perché ha una tremenda paura di andare in prigione. - Un ladro... - Oh, non prendete le cose alla lettera! In altre parole: se non aveste questa stupida idea di potere essere dannata per l'eternità, sareste ben contenta di esservi liberata di Franco. - Rhett! - Andiamo! Dal momento che vi state confessando, tanto vale che diciate tutta la verità, piuttosto che una decorosa menzogna. Ditemi un po': la vostra... hm... coscienza vi ha mosso molti rimproveri quando voi avete offerto... come vogliamo dire?... quel tesoro che è piú caro della vita, per trecento dollari? L'acquavite stava adesso lavorando nel cervello della giovane donna che si sentiva un po' stordita e indifferente. - Veramente non ho pensato a Dio in quel momento... né all'inferno. E quando vi ho pensato... ho calcolato che Dio avrebbe compreso. - Ma non avete pensato che Dio avrebbe compreso anche la ragione per cui sposavate Franco? - Come fate, Rhett, a parlare cosí di Dio mentre non ci credete? - Ma voi credete in un Dio della collera; e questo è ciò che importa adesso. Perché il Signore non dovrebbe comprendere? Siete forse spiacente di possedere ancora Tara e che questa non sia in mano dei «Carpetbaggers»? Vi dispiace di non essere affamata e lacera? - Oh no! - E avevate altra alternativa, eccetto quella del matrimonio con Franco? - No. - Chi lo ha costretto a sposarvi? Gli uomini hanno il libero arbitrio. E perché si è lasciato trascinare da voi a fare quello che non voleva? - Ma... - Non vi tormentate, Rossella. Se doveste tornare da capo, voi sareste ancora trascinata a mentire e lui a sposarvi. Vi esporreste nuovamente a un pericolo ed egli dovrebbe vendicarsi. Se egli avesse sposato la vostra sorellina, forse non sarebbe morto, ma essa lo avrebbe reso anche piú infelice di quanto avete fatto voi. Non poteva andare diversamente. - Ma io avrei potuto essere piú buona con lui. - Avreste potuto... se foste stata differente. Ma eravate nata per tiranneggiare chi ve lo avesse consentito. I forti sono fatti per essere tiranni e i deboli per piegarsi. È stata colpa di Franco che non vi ha percossa con la frusta... Mi meraviglio di voi, Rossella che sentite svegliarsi la vostra coscienza a quest'età. Gli opportunisti come voi non dovrebbero averne. - È un male essere opportunista? - È sempre stata ritenuta una cosa vergognosa... specialmente da quelli che hanno avuto le stesse opportunità e non le hanno colte. - Oh Rhett... Voi state scherzando mentre io credevo che sareste stato gentile! - Sono gentile... Ma voi, cara Rossella, siete brilla. Ecco tutto. - Come osate... - Oso. Siete sull'orlo di quella che volgarmente si chiama una «sbornia malinconica»; quindi cambierò argomento e vi rallegrerò raccontandovi qualche notizia che vi divertirà. Veramente, stasera sono venuto qui espressamente per parlarvi di questo prima di partire. - Dove andate? - In Inghilterra; e forse rimarrò assente qualche mese. Lasciate un po' stare la vostra coscienza, Rossella. Non ho voglia di continuare a discutere sulla salvezza della vostra anima. Volete sentire questa novità? - Ma io... - cominciò Rossella debolmente e s'interruppe. Fra l'acquavite, che stava attenuando le aspre punture del rimorso e le parole beffarde ma consolatrici di Rhett, il pallido spettro di Franco si andava ritraendo nell'ombra. Forse Rhett aveva ragione. Forse Dio comprenderebbe. Si riprese abbastanza per poter ricacciare l'idea in fondo al suo cervello e decidere: «Ci penserò domani.» - Che novità? - chiese con sforzo, soffiandosi il naso nel fazzoletto di lui e spingendo indietro i capelli che avevano cominciato a scompigliarsi. - La novità è questa. - E Rhett sorrise. - Vi desidero ancora piú di quanto abbia mai desiderato alcuna donna; e credo che ora che il povero Franco non c'è piú, vi interessi saperlo. Rossella strappò le mani dalla sua stretta e balzò in piedi. - Io... Voi siete l'individuo screanzato che esista! Venire proprio in questo momento a farmi dei discorsi... Dovevo saperlo che siete sempre lo stesso! Col cadavere di Franco ancora caldo! Se aveste un po' di costumatezza... uscite subito da questa... - State zitta, altrimenti fra un momento vedrete qui miss Pitty - rispose Rhett senza alzarsi ma afferrandola per i polsi. - Temo che non abbiate compreso la mia idea. - La vostra idea? Non ci tengo. - Ella lottò per svincolarsi. - Lasciatemi e uscite. Non ho mai visto una simile mancanza di tatto! - Zitta! - ribatté Rhett. - Vi sto chiedendo di sposarmi. O volete che mi metta in ginocchio? - Oh... - fece Rossella ansimando; e piombò a sedere sul divano. Lo fissò a bocca aperta, chiedendosi se forse era l'acquavite che le faceva uno scherzo, poiché ricordava la dichiarazione di Rhett: «Mia cara, io sono di quegli uomini che non si ammogliano». O lei era ubriaca o lui era pazzo. Ma non ne aveva l'aspetto. Sembrava calmo come se avesse parlato del sole e della pioggia e la sua cadenza strascicata colpí le sue orecchie senza un'enfasi particolare. - Vi ho sempre desiderata, Rossella, da quel giorno che vi vidi alle Dodici Querce, quando scagliaste il portafiori, dimostrando cosí che non eravate una signora. Ho sempre avuto l'intenzione di farvi mia, in un modo o in un altro. Ma poiché voi e Franco avete messo assieme un po' di denaro, capisco che non verrete piú a farmi qualche interessante proposta di prestiti e garanzie. Quindi vedo che mi tocca sposarvi. - È uno dei vostri soliti scherzi, Rhett? - Ma come: io vi apro l'anima mia e voi fate delle insinuazioni! No, Rossella: questa è una vera e propria dichiarazione, in debita forma. Riconosco che non è di buon gusto farla in questo momento, ma ho una buona giustificazione per la mia sconvenienza. Parto domani per una lunga assenza e temo che se aspetto il mio ritorno, vi troverò sposata con qualcuno che ha un po' di denaro. E allora ho pensato: perché non io, e il mio denaro? Veramente, Rossella: non posso passar la vita a cercare di afferrarvi fra un marito e l'altro. Parlava sul serio. Non vi era dubbio. Nel rendersi conto di questo ella si sentí la bocca arida e inghiottí. Lo guardò negli occhi per potergli rispondere e li vide ridenti, ma con qualche cosa di profondo che non vi aveva mai visto prima; una strana lucentezza che sfidava ogni analisi. Sedeva con aria indifferente; ma ella comprese che la sorvegliava attentamente come un gatto sorveglia la tana di un sorcio. Nella sua calma era un senso di forza rattenuta che la fece indietreggiare un po' sgomenta. Le chiedeva di sposarlo: commetteva un gesto incredibile. Una volta Rossella si era proposta di tormentarlo se le avesse rivolto quella richiesta; si era proposta di umiliarlo e di fargli sentire il proprio potere, assaporando una gioia maligna nel far questo. Ora egli aveva detto quelle parole, ed ella si sentiva piú che mai in suo potere; e non le veniva neanche in mente ciò che aveva avuto in animo di fare. Come una ragazza a cui fosse stata rivolta per la prima volta una parola d'amore, arrossí e mormorò: - Non... non mi sposerò mai piú. - Ma sí, vi sposerete. Siete nata per essere moglie. Perché non mi sposereste? - Perché... non vi amo, Rhett. - Questo non è un ostacolo. Non mi pare che nelle vostre due esperienze matrimoniali l'amore abbia avuto gran parte. - Come potete dir questo? Sapete che a Franco volevo bene! Egli non rispose. - Sí, gli volevo bene! - Va bene; non discutiamo. Volete riflettere sulla mia proposta mentre io sarò lontano? - Rhett, non mi piacciono le cose che si trascinano. Preferisco rispondervi subito. Penso di tornare a Tara, lasciando Lydia Wilkes con zia Pitty. Desidero andare a casa per molto tempo e... non desidero rimaritarmi. - Storie. Perché? - Cosí... Non mi piace essere maritata. - Ma, mia povera figliuola, voi non siete mai stata veramente maritata. Che cosa volete sapere...? Ammetto che siete stata disgraziata... una volta per dispetto e un'altra volta per denaro... Avete mai pensato a sposarvi... per il piacere di farlo? - Piacere! Non dite sciocchezze. Non vi è nessun piacere nel matrimonio. - No? Perché no? Ella aveva ripreso una certa calma e insieme a questa l'acquavite riportava a galla la naturale schiettezza. - Sarà un piacere per gli uomini... E Dio sa perché! Non l'ho mai capito. Ma la donna non ne ricava altro che il proprio mantenimento e un sacco di lavoro; e poi bisogna accontentare la pazzia del marito... e un bambino all'anno. La risata di Rhett fu cosí sonora che echeggiò nel silenzio della casa e Rossella udí aprire la porta della cucina. - Zitto! Mammy ha delle orecchie di lince; e non sta bene ridere cosí forte dopo... Smettetela di ridere! Sapete che quello che dico è la verità. Piacere! Storie! - Ho detto che siete stata disgraziata; e quello che dite ne è la prova. Avete sposato un ragazzo e un vecchio. E per soprammercato, scommetto che vostra madre vi ha detto che bisogna sopportare «quelle cose» perché poi si ha il compenso della maternità. Beh, tutto questo non è esatto. Perché non provate a sposare un uomo giovine che ha una cattiva reputazione e che sa fare con le donne? Vi assicuro che è piacevole. - Siete grossolano e presuntuoso; e mi pare che questa conversazione stia andando troppo in là. E sia... assolutamente volgare. - Ma è anche divertente, no? Scommetto che non avete mai discusso sulle relazioni coniugali, neanche con Carlo e con Franco. Ella lo guardò aggrottando le ciglia. Decisamente Rhett sapeva troppe cose, Dove diamine aveva imparato tutto quello che sapeva sulle donne? Era proprio sconveniente. - Non fate il cipiglio. Fissate l'epoca, Rossella. Non vi chiedo un matrimonio immediato a causa della vostra reputazione. Lasceremo un intervallo conveniente. A proposito: quanto è un «intervallo conveniente»? - Non ho detto affatto che vi sposerò. E non è conveniente neanche parlarne in questi momenti. - Vi ho detto la ragione che mi spinge a parlarvene. Parto domani e sono un innamorato troppo ardente per reprimere piú a lungo la mia passione. Ma forse sono stato troppo precipitoso nella mia richiesta. Con una subitaneità che la sbalordí, egli scivolò dal divano in ginocchio e, con una mano sul cuore, recitò rapidamente: - Perdonatemi se vi ho sbigottita con l'impeto del mio sentimento, mia cara Rossella... volevo dire, signora Kennedy. Ma non può esservi sfuggito che da un pezzo l'amicizia che nutrivo per voi si è trasformata in un sentimento assai piú profondo, molto piú bello, piú puro, piú sacro. Oserò nominarvelo? Ah! È l'amore che mi rende cosí temerario! - Alzatevi! - minacciò Rossella. - Non fate lo sciocco... Se Mammy entrasse e vi vedesse?! - Sarebbe stupita e incredula vedendomi per la prima volta cosí gentile - replicò Rhett alzandosi con leggerezza. - Andiamo, Rossella: non siete una bambina né una scolaretta che cerca la scusa delle convenienze o altro del genere. Dite che mi sposerete al mio ritorno, o, dinanzi a Dio, non partirò. Rimarrò qui e tutte le sere verrò a suonare la chitarra sotto le vostre finestre e a cantare con quanta voce ho in gola; vi comprometterò, sicché dovrete sposarmi per salvare la vostra reputazione. - Siate ragionevole, Rhett. Non mi voglio rimaritare. - No? Ditemi la ragione. Non può essere timidezza di ragazzina. Che cos'è? Improvvisamente ella pensò ad Ashley, lo vide chiaramente come se le fosse accanto, coi suoi capelli d'oro, gli occhi sonnolenti, pieno di dignità, cosí straordinariamene diverso da Rhett. Ecco la vera ragione per cui non voleva rimaritarsi, benché non avesse una particolare obiezione contro Rhett che a volte le era anche simpatico. Ella apparteneva ad Ashley, da sempre e per sempre. Non aveva mai appartenuto a Carlo né a Franco, non potrebbe mai appartenere veramente a Rhett. Tutto ciò che ella aveva fatto, lo aveva fatto soltanto perché amava Ashley. Ashley e Tara: ella apparteneva a loro. I sorrisi, i baci, il riso che aveva dato a Carlo e a Franco erano di Ashley, anche se egli non li aveva mai chiesti e non li avrebbe chiesti mai. E nella profondità del suo essere era il desiderio di conservarsi per lui, benché sapesse che mai egli la prenderebbe. Non sapeva che il suo viso era mutato, assumendo, attraverso quei pensieri una dolcezza che Rhett non aveva mai visto prima. Egli fissava gli occhi verdi un po' obliqui, la tenera curva delle labbra rosse, e per un attimo si sentí mancare il respiro. Quindi egli torse la bocca con violenza e bestemmiò, spazientato. - Siete una stupida, Rossella O'Hara! Prima che ella fosse tornata presente col pensiero, egli l'aveva circondata con le sue braccia dure e forti, come quella notte, tanto tempo fa, sulla buia strada di Tara. Ella provò nuovamente quello smarrimento, quel senso di condiscendenza, quel calore che la indebolivano. E il volto serio di Ashley Wilkes si confuse e dileguò nel nulla. Egli le ripiegò la testa sul proprio braccio e la baciò, dapprima dolcemente e poi con un crescendo d'intensità che la costrinse ad aggrapparsi a lui come alla sola cosa ferma in un mondo che le girava a attorno. La bocca insistente di lui le scostò le labbra tremanti, facendole correre attraverso i nervi dei brividi violenti, svegliando in lei sensazioni che non aveva mai conosciute. E prima che lo stordimento la vincesse completamente, Rossella si accorse di ricambiare il suo bacio. - Basta, vi prego... svengo! - sussurrò cercando fiaccamente di volgere il capo altrove. Egli le strinse la testa piú fortemente contro la sua spalla e Rossella intravide confusamente il volto bruno di lui, i suoi occhi spalancati e che avevano una strana lucentezza. Il tremito del suo braccio la spaventò. - Voglio farvi svenire. Voglio farvi svenire. Sono anni che siete in attesa di questo... Nessuno degli imbecilli che avete conosciuto vi ha mai baciata cosí... Non è vero? Né il vostro prezioso Carlo né Franco né quell'idiota del vostro Ashley... - Vi prego...! - Ho detto quell'idiota del vostro Ashley. Tutti signori... Che cosa sapevano delle donne? Che cosa capivano di voi? Io vi conosco. La sua bocca fu nuovamente su quella di Rossella ed ella si arrese senza lottare, troppo debole per volgere il capo e senza neppur desiderio di volgerlo; il corpo scosso dai battiti violenti del cuore, mentre la paura della forza di lui e della propria debolezza le dava il capogiro. Se non smetteva, certo ella perderebbe i sensi. Se smettesse... non smetterebbe mai?! - Dite di sí! - Le labbra di Rhett erano incollate alle sue ed ella vedeva i suoi occhi cosí vicini che le sembravano enormi, come se riempissero il mondo intero. - Ditemi di sí, maledizione o... Ella mormorò «sí» senza neanche accorgersene. Come se, per suggestione, il monosillabo le fosse uscito dalle labbra senza sua volontà. Ma appena lo ebbe pronunciato, si sentí improvvisamente calma; il capo cessò di girarle e anche l'ebbrezza dell'acquavite diminuí di botto. Gli aveva promesso di sposarlo senza averne affatto l'intenzione. Non sapeva come tutto ciò fosse accaduto, ma non le dispiaceva. Ora le sembrava naturale di aver detto «sí», quasi come se, per divino intervento, una mano piú forte, della sua si fosse impadronita delle sue faccende per risolverle. Egli respirò profondamente e si chinò come per baciarla di nuovo; ella piegò il capo indietro e chiuse gli occhi. Ma Rhett si ritrasse senza baciarla e ciò le diede una leggera delusione. Essere baciata in quel modo le dava una sensazione strana ma eccitante. Egli rimase un po' di tempo a sedere tenendo ancora la testolina di lei appoggiata alla propria spalla; e come se si fosse imposto uno sforzo, il tremore delle sue braccia cessò. Si scostò un momento e la guardò. Ella aperse gli occhi e vide che quell'ardore che l'aveva spaventata era scomparso dal volto di Rhett. Si sentí incapace di sostenere il suo sguardo e chinò gli occhi confusa e fremente. Quando egli parlò, la sua voce era calmissima. - Avete detto sul serio? Non avete l'intenzione di ritirare la vostra parola? - No. - Non è stato perché... hm... come si dice?... vi ho fatto « perdere il lume degli occhi» col mio ardore? Ella non rispose, perché non sapeva che cosa dire; era tuttora incapace di guardarlo. Rhett le pose una mano sotto il mento e le sollevò il volto. - Vi ho detto una volta che avrei sopportato da voi qualunque cosa, eccetto una menzogna. E ora voglio la verità. Perché avete detto di sí? Rossella si sentí ancora impossibilitata a rispondergli; ma avendo riacquistata un po' di padronanza di sé, continuò a tenere gli occhi pudicamente abbassati ma sollevò un poco gli angoli delle labbra in un piccolo sorriso. - Guardatemi. È per il mio denaro? - Oh, Rhett! Che domanda! - Guardatemi e non cercate di imbrogliarmi. Io non sono Carlo né Franco ne uno di quei giovinotti della Contea che si sono lasciati prendere alla pania delle vostre ciglia palpitanti. È per il mio denaro? - Ma..., in parte, sí. - In parte? Sembrò che la risposta non lo irritasse. Respirò ancora rapidamente, e fece uno sforzo per spegnere nei propri occhi l'ardore che le parole di lei vi avevano acceso; un ardore che a lei la confusione impediva di scorgere. - Ecco - cominciò Rossella imbrogliandosi e confondendosi nelle parole - il denaro è necessario... Lo sapete benissimo, Rhett; E Franco non ne ha lasciato molto. Ma poi... noi siamo adatti uno all'altro... E voi siete il solo, fra quanti uomini ho conosciuti, che sopporta la verità da una donna; è piacevole avere un marito che non vi crede una stupida e al quale non occorra raccontare delle frottole... e... sí, Rhett, vi voglio bene. - Mi volete bene? - Oh Dio - ribatte ella stizzosamente - se dicessi che vi amo pazzamente, mentirei; e per di piú, voi non lo credereste. - A volte, gioia mia, ho l'impressione che esageriate nel dire la verità. Non credete che sarebbe piú carino da parte vostra dire: «Rhett, vi amo», anche se non fosse vero? Ella rimase anche piú confusa, non comprendendo dove egli volesse arrivare. Sembrava cosí strano, agitato, irritato, beffardo; lo vide ritrarre le mani da quelle di lei e ficcarle nelle tasche dei calzoni, e si accorse che stringeva i pugni. «Se anche dovessi perdere il marito, voglio dire la verità» pensò allora torva, col sangue in tumulto come sempre quando egli la tormentava. - Sarebbe una menzogna, Rhett; e a che scopo dovremmo dire delle sciocchezze? Vi voglio bene, ve l'ho detto. E voi mi capite. Una volta mi avete detto che non mi amavate perché avevamo troppi punti in comune. Tutti e due furfanti; questa fu la vostra... - Dio mio! - sussurrò Rhett rapidamente volgendo il capo altrove. - Preso nella mia stessa trappola! - Che avete detto? - Nulla. - La guardò e rise; ma non era un riso cordiale. - Fissate l'epoca, cara - e rise di nuovo, chinandosi a baciarle le mani. Ella provò sollievo nel vedere che il malumore era passato, e sorrise a sua volta. Rhett giocherellò per un istante con la sua mano rispondendo al suo sorriso. - Vi è mai capitato, fra i romanzi che leggete, di trovare la vecchia situazione della moglie indifferente che si innamora del proprio marito? - Sapete che non leggo romanzi - rispose Rossella; e cercando di mettersi all'unisono col suo tono scherzoso continuò: - Del resto, una volta mi avete detto che è il colmo del cattivo gusto, marito e moglie che si amano. - Quante cose maledettamente idiote ho detto! - ritorse egli bruscamente e si alzò in piedi. - Non imprecate. - Dovreste abituarvici, e imparare a imprecare anche voi. Dovreste assuefarvi a tutte le mie cattive abitudini. Questo fa parte del prezzo per... volermi bene e mettere i vostri graziosi artigli sul mio denaro. - Sentite: non mettete le cose in questi termini, soltanto perché io non ho voluto mentire allo scopo di farvi diventare presuntuoso. Voi non siete innamorato di me, non è vero? Perché io dovrei esserlo di voi? - No, cara, non vi amo, come voi non mi amate; e se vi amassi, sareste l'ultima persona a cui lo direi. Dio protegga l'uomo che vi ama davvero. Perché voi spezzereste il suo cuore, tesoro, da quella gattina perversa e crudele che siete, cosí incurante e sicura che non si prende neanche il disturbo di nascondere i suoi artigli. La trasse in piedi e la baciò di nuovo; ma questa volta la sua bocca era diversa; sembrava che egli cercasse di irritarla, offenderla, insultarla. Le sue labbra scivolarono sulla sua gola e infine premettero il taffettà sul suo seno, cosí a lungo e con tanta forza che ella si sentí bruciare la pelle. Alzò le mani a respingerlo, con verecondia oltraggiata. - Non dovete! Come osate...?! - Avete il cuore che batte come quello di un coniglio - motteggiò Rhett. - Se fossi presuntuoso, penserei che quei battiti son troppo veloci per un semplice affetto. Lisciatevi le penne arruffate. E smettete quell'aria di verginella. Ditemi che cosa debbo portarvi dall'Inghilterra. Un anello? Come lo volete? Ella ondeggiò un momento fra l'interesse destato da queste ultime parole e il desiderio femminile di prolungare la scena di collera e di indignazione. - Oh... un anello di brillanti, Rhett... molto grosso! - Cosí potrete farlo scintillare dinanzi agli occhi delle vostre amiche povere dicendo: «Vedete che cosa ho ghermito!» Benissimo; avrete un grosso anello, tanto grosso che le vostre amiche meno fortunate potranno consolarsi sussurrando che portare delle gemme cosí grandi non è da signora. Improvvisamente attraversò la stanza ed ella lo seguí stupita fino alla porta chiusa. - Che c'è? Dove andate? - A casa mia, a finire il bagaglio. - Ma... - Che cosa? - Niente. Vi auguro buon viaggio. - Grazie. Aperse l'uscio e attraversò il vestibolo; Rossella lo seguiva, un po' sconcertata come per un mutamento inatteso dell'atmosfera. Egli infilò il soprabito e prese guanti e cappello. - Vi scriverò. Fatemi sapere se cambiate idea. - Non volete... - Che cosa? - Sembrava impaziente di andar via. - Baciarmi come saluto? - Fu un bisbiglio, come se ella avesse temuto le orecchie della casa. - Non vi pare di avere avuto abbastanza baci per una sera? - ritorse egli sorridendole. - Pensare che una giovine donna pudica e bene allevata... Ma non ve lo avevo detto che vi sarebbe piaciuto? - Siete un individuo impossibile! - gridò lei incollerita, senza piú curarsi di essere udita da Mammy. - E se non tornate piú, non me ne importa nulla! Si voltò e corse a precipizio su per le scale, aspettando di sentire la sua calda mano sul braccio per fermarla. Invece egli aperse tranquillamente la porta d'ingresso; una corrente fredda penetrò nel vestibolo. - Ma tornerò - disse soltanto; ed uscí, lasciandola in cima alle scale con gli occhi fissi sulla porta chiusa.

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E poteva essere abbastanza inopportuna da notarlo. Quello di trapuntato nero, con le maniche a sbuffo e la collaretta di trina, faceva risaltare mirabilmente la sua pelle bianca, ma la faceva apparire un pochino piú vecchia. Rossella scrutò ansiosamente nello specchio il suo volto di sedici anni quasi come se temesse di scorgervi delle rughe o il doppio mento. Non avrebbe mai voluto apparire meno fresca accanto alla dolce giovinezza di Melania. Quello di mussolina color lavanda era bello, con le ampie incrostazioni di trina e tulle, ma non era mai stato adatto al suo tipo. Starebbe bene al delicato profilo di Carolene e alla sua espressione di fragilità; ma Rossella sapeva che a lei quel vestito dava l'aria di una scolaretta. E non voleva certo apparire troppo infantile accanto alla tranquilla posatezza di Melania. Il taffetà verde a quadri, tutto a volani, orlati di nastro di velluto verde, le si addiceva molto ed era infatti il suo abito favorito perché dava ai suoi occhi i riflessi dello smeraldo; ma disgraziatamente aveva proprio sul davanti una inequivocabile macchia di grasso. Avrebbe potuto nasconderla con la spilla, ma forse Melania aveva la vista buona. Rimanevano svariati abiti di cotone, che a Rossella non sembravano abbastanza eleganti per l'occasione; gli abiti da ballo e quello di mussolina a fiori che indossava ieri. Anche questo, però, era un abito da pomeriggio non adatto per un picnic, perché aveva le maniche corte a sbuffo e la scollatura troppo profonda. Ma non c'era nulla da fare: bisognava mettere quello. Dopo tutto non si vergognava del suo collo, delle sue braccia, e del suo petto, anche se non era corretto metterli in mostra di mattina. Guardandosi nello specchio e girandosi per vedersi di fianco, si disse che nella sua figura non vi era nulla di cui potesse vergognarsi. Il suo collo era corto ma rotondo, le sue braccia pienotte e seducenti, il seno, spinto in alto dal busto, era veramente bello. Non aveva mai avuto bisogno di cucire nella fodera dei suoi corpetti striscioline di seta increspata, come facevano molte ragazze di sedici anni per dare alle loro figure la pienezza e le curve desiderate. Era felice di avere ereditato le candide mani sottili e i piedini di Elena, e avrebbe voluto averne anche la statura. Ma comunque, la sua altezza la soddisfaceva abbastanza. Che peccato non poter mostrare le gambe - pensò sollevando la gonna e osservandole con rimpianto, dritte e ben formate, sotto le mutandine. Aveva delle gambe tanto carine: lo riconoscevano perfino le ragazze del collegio di Fayetteville. Quanto alla vita, nessuno a Fayetteville, Jonesboro o nelle tre Contee poteva vantarsi di averla piú sottile. Il pensiero della cintura la ricondusse a cose piú pratiche. L'abito di mussolina verde aveva una cintura di quaranta centimetri, e Mammy le aveva allacciato il busto per l'abito di trapuntato, che era tre centimetri piú largo. Bisognava dunque che Mammy lo stringesse di piú. Aperse la porta, prestò ascolto e udí il passo pesante di Mammy nel vestibolo. La chiamò con impazienza gridando, sapendo di poter alzare la voce con impunità, perché Elena era nella dispensa a distribuire il cibo della giornata. - Credere che io poter volare - borbottò Mammy affannandosi per le scale. Entrò sbuffando con l'espressione di una che attende la battaglia ed è disposta ad affrontarla. Nelle sue grandi mani nere era un vassoio su cui fumavano due grosse patate dolci coperte di burro, un piatto di focaccine di grano saraceno imbevute di sciroppo e una grande fetta di prosciutto che nuotava nel sugo. Vedendo il carico di Mammy l'espressione di Rossella mutò, passando dall'irritazione all'ostinata bellicosità. Nell'eccitazione di misurare gli abiti ella aveva dimenticato la ferrea regola di Mammy, la quale esigeva che prima di recarsi a qualsiasi riunione le ragazze O'Hara dovevano essere talmente rimpinzate a casa da non poter mangiare nulla al ricevimento. - È inutile. Non mangio. Puoi riportarlo in cucina. Mammy posò il vassoio sulla tavola e si mise le mani sui fianchi. - Sí, Miss; mangerai! Mi ricordare troppo bene quello che essere successo all'ultimo pic-nic, quando io ero troppo ammalata per poterti portare il vassoio prima che tu andare via. Dovere mangiare questo senza lasciare nulla. - Non lo mangio. Piuttosto vieni qui e allacciami piú stretto, poiché è già tardi. Sento la carrozza che è già davanti alla casa. Il tono di Mammy si fece piú dolce: - Via, Miss Rossella, essere buona, mangiare un pochino. Miss Carolene e Miss Súsele avere mangiato tutto. - Si capisce! - esclamò Rossella con disprezzo. - Hanno il cervello di un coniglio! Ma io no; basta coi vassoi. Mi ricordo ancora quella volta che ho mangiato tutto prima di andare dai Calvert e là fu presentato a tavola un gelato che avevano portato sul ghiaccio fino da Savannah, e io non ne potei mangiare che un cucchiaio. Oggi mi voglio divertire e mangiare quanto mi pare. A questa sprezzante eresia Mammy abbassò il capo con indignazione. Nella sua mente ciò che una signorina poteva o non poteva fare era diverso come il bianco dal nero; non vi era fra le due cose alcuna via di mezzo. Súsele e Carolene erano una creta molle nelle sue mani vigorose, e ascoltavano rispettosamente i suoi avvertimenti. Ma era sempre stata una lotta per insegnare a Rossella che la maggior parte dei suoi impulsi naturali non erano da signora. Le vittorie di Mammy su Rossella erano conquistate duramente, ed erano il risultato di una scaltrezza sconosciuta ai bianchi. - Se a te non importare quello che dice la gente, a me importare - muggí. - E io rimanere qui perché non voglio che tu andare a ricevimento affamata. Ti avere detto e ripetuto che si riconoscere una dama perché mangiare come un uccellino, e io non volere che tu andare dai signori Wilkes per cavarti la fame. - La mamma è una signora eppure mangia - ribatté Rossella. - Quando essere sposata, potrai mangiare anche tu - ritorse Mammy. - Quando miss Elena avere tua età, non mangiare nulla quando usciva; e nemmeno tua zia Paolina e zia Eulalia. E tutte essersi sposate. Signorine che mangiare molto non trovare marito. - Non ci credo. A quel picnic, quando tu eri ammalata e io non mangiai prima di uscire, Ashley Wilkes mi disse che gli piaceva vedere una ragazza con un appetito sano. Mammy crollò la testa minacciosamente. - Quello che i giovanotti dire e quello che pensare essere due cose diverse; io non mi essere accorta che Mist' Ashley avere chiesto di sposarti. Rossella aggrottó le ciglia e fece per rispondere aspramente; ma si trattenne. Vedendo l'espressione del suo volto, Mammy riprese il vassoio e con la furberia della sua razza, mutò tattica. Si avviò alla porta sospirando: - E va bene. Avere appunto detto alla cuoca, mentre preparare questo vassoio: «si riconosce una signora da quello che non mangia» e lei avere risposto: «non avere mai visto una signora bianca mangiare meno di quanto mangiare Miss Melly Hamilton l'ultima volta che essere stata a trovare Mr. Ashley... voglio dire a trovare Miss Lydia». Rossella lanciò un'occhiata sospettosa; ma la larga faccia di Mammy aveva solo un'espressione d'innocenza e di rammarico per il fatto che Rossella non fosse tanto signora quanto Melania Hamilton. - Metti giú quel vassoio e vieni ad allacciarmi piú stretto - ordinò la giovinetta irritata. - Cercherò di mangiare un pochino dopo; se mangio adesso non si può stringere abbastanza il busto. Nascondendo il suo trionfo, Mammy posò il vassoio. - Quale abito mettere? - Questo - rispose Rossella indicando il morbido ammasso di mussolina verde a fiori. Istantaneamente Mammy fu in armi. - Questo no; non essere adatto per mattino. Non potere mostrare il petto prima delle tre pomeridiane e quel vestito non avere colletto né maniche. Ti riempirai di lentiggini come quando sei nata e io non volere che tu tornare ad essere lentigginosa dopo tutto il latte con cui averti spalmata durante inverno per toglierti quelle che esserti presa a Savannah sulla spiaggia. Ora vado a parlare con la mamma. - Se le dici una parola prima che io sia vestita, non mangerò neanche un boccone, - rispose Rossella freddamente. - Mamma non avrà il tempo di farmi cambiare abito, una volta che sono vestita. Mammy sospirò rassegnata, sentendosi sconfitta. Fra i due mali era meglio che Rossella portasse di mattina un abito da pomeriggio piuttosto che dovesse mangiare come un maialetto. - Tieniti ferma e trattenere il fiato - ordinò. Rossella obbedí afferrandosi ad una delle spalliere del letto. Mammy tirò la stringa vigorosamente e quando la sottile circonferenza della cintura racchiusa fra le stecche di balena diventò ancor piú sottile, un'espressione di orgoglio e di affetto apparve nei suoi occhi. - Nessuno avere vita sottile come il mio agnellino - disse soddisfatta. - Ogni volta che stringo Miss Súsele oltre i cinquanta centimetri, sviene. - Uff... - fece Rossella respirando con difficoltà. - Io non sono mai svenuta in vita mia. - Beh, non essere nulla di male se ogni tanto tu avere svenimento - consigliò Mammy. - Non è bello, ti avverto, che tu sopportare la vista dei serpenti e dei topi. Non dico quando essere in casa, ma almeno quando essere in compagnia. E poi... - Oh, basta! Non parlare tanto. Il marito lo troverò, vedrai, anche se non grido e non svengo. Dio, come è stretto il mio busto! Infilami il vestito. Mammy infilò accuratamente i dodici metri di mussolina verde sulla montagna delle sottovesti e agganciò sul dorso il corpetto scollato. - Terrai la sciarpa quando essere al sole; e non ti levare il cappello anche se avere caldo - impose. - Altrimenti venire a casa bruna come la vecchia Miss Slattery. Ora mangia, tesoro; ma non mangiare troppo in fretta. Rossella sedette ubbidiente dinanzi al vassoio, chiedendosi se le sarebbe stato possibile mettere qualche cosa nello stomaco e avere ancora abbastanza spazio da poter respirare. Mammy prese dall'armadio un largo asciugamano e lo annodò attorno al collo della fanciulla allargandoglielo sul grembo. Rossella cominciò col prosciutto perché le piaceva e si sforzò d'inghiottirlo. - Dio volesse che io fossi sposata - disse risentita mentre attaccava borbottando le patate dolci. - Sono stanca di dover sempre essere innaturale e di non fare mai quello che mi piace. Sono stanca di fingere di mangiare come un uccello e di passeggiare quando ho voglia di correre, di dire che mi gira la testa dopo un valzer, mentre ballerei due giorni di seguito senza stancarmi. Sono stufa di dire «siete straordinario!» a degli imbecilli che non hanno la metà dell'intelligenza che ho io e di far finta di non saper nulla perché gli uomini possano dirmi delle sciocchezze credendo d'insegnarmi chi sa che cosa... Non posso mangiare neanche un altro boccone. - Prova una focaccina calda. - Mammy era inesorabile. - Perché una ragazza deve far tanta fatica per trovare un marito? - Credo che essere perché i giovanotti non sapere quello che vogliono. Sanno soltanto quello che credono di volere. E se dare loro quello che credono di volere, evitare un sacco di dispiaceri e il pericolo di rimaner zitella. E loro credono di volere dei topolini stupidi e che hanno dei gusti da uccelletto. Io pensare che un giovinotto non sceglierebbe mai per moglie una donna se capire che lei ha piú intelligenza di lui. - E non credi che gli uomini abbiano delle sorprese dopo il matrimonio quando si accorgono che la moglie ne capisce piú di loro? - Allora essere troppo tardi. Essere già sposati. - Un giorno o l'altro mi metterò a fare e dire tutto quello che mi pare; e se alla gente non piace, non me ne importa nulla. - Non lo farai - disse gravemente Mammy. - Almeno finché io essere viva. Mangiare la focaccina; intingila nello sciroppo. - Non credo che le ragazze yankees facciano di queste sciocchezze. Quando siamo stati a Saratoga, l'anno scorso, ne ho viste tante che si comportavano come se fossero intelligenti, e anche davanti agli uomini. Mammy ebbe un riso beffardo. - Ragazze yankees! Può darsi che parlare e fare come dici tu; ma non ho mai saputo che qualcuna di loro essere stata chiesta in moglie a Saratoga. - Ma anche le yankees si sposano - contraddisse Rossella. - Non nascono per opera e virtú dello Spirito Santo. Si sposano e hanno dei figli. Ve ne sono anche troppi. - Le sposano per il denaro - replicò Mammy decisa. Rossella intinse la focaccia nello sciroppo e la mise in bocca. Forse quello che diceva Mammy era giusto. Doveva esserlo, perché Elena diceva la stessa cosa, benché con parole diverse e piú delicate. Infatti, le mamme di tutte le ragazze che conosceva instillavano nelle loro figlie la necessità di essere creature fragili, deboli, con occhi da cerbiatta. Occorreva veramente una certa intelligenza per coltivare e conservare quegli atteggiamenti. Forse lei era stata troppo aspra. Aveva avuto occasione di discutere con Ashley e aveva sostenuto con franchezza le proprie opinioni. Forse questo e il sano godimento che ella provava nel cavalcare e nel passeggiare, l'avevano distolto da lei facendolo volgere verso la fragile Melania. Forse se ora mutasse tattica... Ma sentí che se Ashley fosse stato vinto dai premeditati armeggii femminili, ella non lo avrebbe piú rispettato come lo rispettava ora. Non valeva la pena di avere un uomo che si lasciava impressionare da un sorriso, da uno svenimento e da un «oh, siete straordinario!» Eppure, sembrava che questo piacesse a tutti. Se in passato aveva usato una tattica sbagliata... oramai il passato era passato. Oggi ne userebbe un'altra; quella giusta. Lo voleva; e aveva solo poche ore per riuscire. Se svenire o fingere uno svenimento poteva giovare, farebbe anche quello. Se sorridere, civettare ed essere sventate poteva attrarlo, civetterebbe con piacere e sarebbe piú sventata anche di Caterina Calvert. E se erano necessarie misure piú ardite, ebbene! le prenderebbe. Oggi era la giornata! Non vi era nessuno che potesse dire a Rossella che la sua personalità, benché fosse tanto vivace da fare spavento, era piú attraente di qualsiasi finzione ella potesse tentare. Se le fosse stato detto, sarebbe stata lieta ma incredula. E anche la società di cui ella faceva parte sarebbe stata incredula, perché mai - prima o dopo di allora - la naturalezza femminile era stata cosí poco apprezzata. Mentre la carrozza la portava per la strada sanguigna verso la piantagione dei Wilkes, Rossella provò un senso di gioia colpevole perché né sua madre né Mammy facevano parte della brigata. Non vi sarebbe al picnic nessuno che, alzando delicatamente le sopracciglia o sporgendo il labbro inferiore, si intromettesse nel suo piano d'azione. Senza dubbio, Súsele racconterebbe un sacco di storie domani; ma se tutto andava secondo le speranze di Rossella, l'eccitazione della famiglia per il suo fidanzamento con Ashley o per la sua fuga sarebbe tale da equilibrare il loro dispiacere. Sí; era ben contenta che Elena fosse stata costretta a rimanere a casa. Geraldo, montato da un buon bicchiere di cognac, aveva licenziato Giona Wilkerson quella mattina, ed Elena era rimasta a Tara per verificare i conti della piantagione prima della sua partenza. Rossella aveva salutato sua madre nello studietto dove ella era seduta dinanzi alla grande scrivania coi suoi casellari pieni di carte. Accanto a lei era Giona Wilkerson, col cappello in mano; la sua faccia pallida e sparuta nascondeva a stento l'ira e l'odio che lo invadeva vedendosi licenziato senza cerimonie dal miglior posto di sorvegliante che fosse in tutta la Contea. E tutto a causa di un po' di amor platonico. Aveva detto e ripetuto a Geraldo che il bambino di Emma Slattery poteva essere stato procreato da altri dodici uomini come da lui - nella qual cosa Geraldo era d'accordo - ma questo, secondo Elena, non mutava la situazione. Giona odiava tutti i meridionali. Odiava la loro gelida cortesia verso di lui e il loro disprezzo per la sua condizione sociale, malamente nascosto dalla loro urbanità. Odiava soprattutto Elena O' Hara, perché ella era il compendio di tutto quello che egli detestava nei meridionali. Mammy, come superiora delle donne della piantagione, era rimasta a casa per aiutare Elena; quindi fu Dilcey che salí a cassetta accanto a Tobia, portando sulle ginocchia le scatole con gli abiti da sera delle ragazze. Geraldo cavalcava accanto allo sportello, riscaldato dal cognac e contento di sé per aver liquidato cosí rapidamente la spiacevole faccenda di Wilkerson. Aveva rovesciato tutta la responsabilità su Elena, senza menomamente pensare alla delusione di lei per dover rinunciare al convito e alla conversazione con le sue amiche; era una bella giornata di primavera, i suoi campi erano belli e gli uccelli cantavano ed egli si sentiva troppo giovine e giocoso per pensare ad altro. Ogni tanto si metteva improvvisamente a cantare qualche canzoncina irlandese o il lugubre lamento in morte di Roberto Emmet. Era felice, piacevolmente eccitato all'idea di trascorrere la giornata a dir male degli yankees e a parlare della guerra, e fiero delle sue tre belle figliuole nelle loro eleganti crinoline, sotto certi buffi e minuscoli parasoli di trina. Non pensava piú alla sua conversazione del giorno precedente con Rossella, perché gli era completamente uscita di mente. Pensava soltanto che sua figlia era graziosa e somigliava a lui; e oggi i suoi occhi erano verdi come le colline d'Irlanda. Quest'ultimo pensiero gli diede una migliore idea di se stesso, e allora egli gratificò le ragazze di un'interpretazione a piena voce della canzone «La verde Erinni». Rossella lo guardava con l'affettuoso disprezzo che le mamme hanno per i ragazzi vanagloriosi e pensava che al tramonto sarebbe completamente ubriaco. Tornando a casa nell'oscurità avrebbe cercato, come sempre, di saltare tutte le barriere fra le Dodici Querce e Tara e - sperava Rossella - con l'aiuto della Provvidenza e il buon senso del suo cavallo, arriverebbe a casa senza rompersi il collo. Disdegnerebbe il ponte e attraverserebbe il fiume facendo nuotare il cavallo e arriverebbe a casa strepitando per esser messo a dormire sul divano dello studio con l'aiuto di Pork che in queste occasioni aspettava sempre nel vestibolo con la lampada accesa. Rovinerebbe il suo nuovo abito grigio, cosa che l'indomani mattina lo avrebbe fatto imprecare terribilmente; e avrebbe raccontato a Elena che nell'oscurità il cavallo era caduto dal ponte - una menzogna evidente a cui nessuno avrebbe creduto ma che tutti avrebbero finto di accettare, facendogli cosí ritenere di essere molto furbo. «Il babbo è un tesoro egoista e irresponsabile» pensò Rossella con un'ondata di tenerezza per lui. Si sentiva cosí felice e eccitata che includeva nel suo affetto tutto il mondo, oltre a Geraldo. Era graziosa e lo sapeva; Ashley sarebbe suo prima che la giornata fosse finita; il sole era caldo e dolce e la gloria della primavera georgiana si spiegava dinanzi ai suoi occhi. Ai lati della strada i cespugli di more nascondevano col loro verde tenero le selvagge fenditure rosse prodotte dalle pioggie invernali, e i ciottoli di granito che affioravano fra la terra vermiglia erano coperti dai rami delle rose di macchia e circondati di violette selvagge di una pallida sfumatura purpurea. Sulle colline boscose al disopra del fiume i fiori dei cornioli splendevano candidi come se fra il verde ancora permanesse della neve. I meli selvatici erano tutta una spuma di corolle che da un bianco delicato sfumavano in un rosa vivo e, sotto gli alberi dove i raggi del sole striavano di macchie gialle il suolo coperto di aghi di pino, gli arbusti formavano un tappeto variopinto di scarlatto, di rosa e di arancione. Vi era nell'aria una lieve fragranza di caprifoglio e tutto il mondo era profumato come se fosse cosa da mangiare. «Ricorderò finché vivo la bellezza di questa giornata» pensò Rossella. «Forse sarà il giorno delle mie nozze!» E col cuore che le batteva, pensò alla sua fuga insieme ad Ashley nel pomeriggio, attraverso quello splendore di fiori e di verde, oppure la sera, col chiaro di luna, verso Jonesboro e un sacerdote. Certamente, il matrimonio dovrebbe essere nuovamente celebrato da un prete di Atlanta; ma a questo penserebbero Elena e Geraldo. Si sgomentò un momento pensando che sua madre sarebbe impallidita di mortificazione sapendola fuggita col fidanzato di un'altra ragazza; ma era sicura che Elena le perdonerebbe vedendola felice; e Geraldo strepiterebbe e urlerebbe, ma sarebbe contento al di là di ogni immaginazione di un'alleanza tra la propria famiglia e quella di Wilkes. - Ma questa è cosa a cui bisognerà pensare dopo il matrimonio - disse fra sé cercando di allontanare questo pensiero. Era impossibile provare altro che una gioia palpitante in quel sole primaverile, mentre i comignoli delle Dodici Querce cominciavano ad apparire sulla collina al di là del fiume. «Passerò qui tutta la mia vita e vedrò cinquanta primavere come questa e forse di piú, e dirò ai miei figli e ai miei nipoti come era bella questa primavera, piú bella di quella che essi potranno vedere.» Fu cosí felice a questo pensiero, che si uní al coro che cantava l'ultima strofa di «La verde Erinni» ottenendo la fragorosa approvazione di Geraldo. - Non so perché sei cosí allegra, stamattina - disse Súsele sgarbatamente, perché era ancora tormentata dal pensiero che l'abito da ballo di Rossella le sarebbe stato assai meglio del suo. E perché Rossella era sempre cosí egoista da non voler prestare i suoi vestiti e le sue cuffiette? E perché la mamma la sosteneva sempre dichiarando che il verde non era adatto a Súsele? - Sai benissimo anche tu che stassera sarà annunciato il fidanzamento di Ashley. Lo ha detto il babbo stamattina, e so che da tanti mesi tu pensi a lui. - Questo è tutto quello che sai - rispose Rossella mostrandole la lingua e rifiutando di perdere il suo buon umore. Come sarebbe sorpresa madamigella Susanna domattina a quest'ora! - Sai benissimo che non è cosí, Súsele - protestò Carolene. - Rossella ha simpatia per Brent. Rossella volse sorridendo gli occhi verdi sulla sorellina, stupita che fosse cosí gentile. Tutta la famiglia sapeva che il cuore tredicenne di Carolene batteva per Brent Tarleton, il quale non si era mai occupato di lei, se non come sorellina di Rossella. Quando Elena non era presente le sorelle la stuzzicavano a proposito di lui, sino a farla piangere. - Tesoro, non m'importa nulla di Brent - dichiarò Rossella troppo felice per non essere generosa. - E a lui non importa nulla di me. Aspetta che tu diventi grande. Il visino rotondo di Carolene divenne scarlatto, mentre la gioia lottava in lei con l'incredulità. - Davvero, Rossella? - Rossella, sai che la mamma ha detto che Carolene è troppo giovane per pensare ai corteggiatori, e tu le vai mettendo in testa di queste idee. - Vai a riferirlo alla mamma, e vedrai - replicò Rossella. - Tu vuoi che Carolene sia sempre una bambina perché sai che fra un anno sarà piú bella di te. - Tenete la lingua a posto, oggi, altrimenti assaggerete il mio frustino - ammoní Geraldo. - Silenzio adesso! Non è un rumore di ruote? Saranno i Tarleton o i Fontaine. Mentre si avvicinavano all'incrocio della strada che veniva dalle colline boscose di Mimosa e di Fairhill, il rumore di zoccoli e di ruote divenne piú forte e un clamore di voci femminili che disputavano gaiamente risuonò dietro agli alberi. Geraldo, oltrepassando la carrozza, fece trottare il suo cavallo accennando a Tobia di fermare il veicolo all'incrocio. - Sono le signore Tarleton - annunziò alle figliole illuminandosi, perché, eccettuato Elena, nessuna signora della Contea gli piaceva quanto la signora Tarleton coi suoi capelli rossi. - Ed è lei che guida. Ah, quella è una donna che sa come si tengono le redini! Ha le mani leggere come piume e forti come un guanto di ferro, e belle da baciare. Peccato che nessuna di voi abbia le mani cosí - aggiunse rivolgendo alle figliole uno sguardo affettuoso ma riprovevole. - Carolene ha paura delle bestie, Súsele ha delle mani che sembran d'acciaio, quando prende le redini, e tu, gattina... - Ad ogni modo io non sono mai stata buttata giú - esclamò Rossella indignata - e la signora Tarleton ogni volta che va alla caccia va a finire in qualche fosso. - E si comporta come un uomo - riprese Geraldo. - Senza svenimenti e senza storie. Ma zitta ora; sta arrivando. Si drizzò sulle staffe e si tolse il cappello, agitandolo appena vide spuntare la carrozza stipata di fanciulle in abiti chiari, parasoli e veli fluttuanti, con la signora Tarleton a cassetta, come Geraldo aveva annunciato. Con le sue quattro figliole, la loro bambinaia e gli abiti da ballo in lunghe scatole di cartone che riempivano la vettura, non rimaneva spazio per il cocchiere. E del resto, Beatrice Tarleton non permetteva mai che nessuno, bianco o negro, tenesse le redini quando lei aveva le braccia libere. Fragile, sottile di osso, e cosí bianca di pelle che i suoi capelli fiammeggianti sembravano aver assorbito nella loro massa ardente tutto il colore del suo volto, era nondimeno dotata di una salute esuberante e di un'energia instancabile. Aveva messo al mondo otto figliuoli, rossi di capelli e pieni di vita come lei, e li aveva allevati - si diceva - ottimamente, perché usava con loro la stessa severa disciplina e affettuosa indifferenza che usava coi suoi puledri. - Domateli, ma non togliete loro la vivacità - era il motto della signora Tarleton. Amava i cavalli e ne parlava continuamente. Li comprendeva e sapeva trattarli meglio di chiunque altro nella Contea. I puledri affollavano la pastura al confine del prato dinanzi alla casa, come i suoi otto figlioli affollavano la casa sulla collina; e puledri, figli e figlie, e cani da caccia la seguivano dappresso quando ella giungeva alla piantagione. Ella attribuiva ai suoi cavalli, specialmente alla sua giumenta Nelly, un'intelligenza umana; e se le cure della casa le impedivano di muoversi nell'ora in cui contava di fare la sua cavalcata quotidiana, ella metteva la ciotola dello zucchero nelle mani di un negretto e gli diceva: - Danne una manciata a Nelly, e dille che uscirò piú tardi. Eccetto rare occasioni, portava sempre l'abito da amazzone, perché anche senza averlo fissato prima, aspettava da un momento all'altro di potere andare a cavallo; e in questa attesa, indossava l'abito appena alzata. Ogni mattina, pioggia o bel tempo, Nelly era sellata e passeggiava su e giú dinanzi alla casa, aspettando il momento in cui la signora Tarleton potesse togliere un'ora ai propri doveri. Ma Fairhill era una piantagione difficile da dirigere, e raramente era possibile trovare il tempo; il piú delle volte Nelly passeggiava per delle ore senza cavaliere, mentre Beatrice Tarleton sbrigava le sue faccende con la gonna distrattamente rialzata sul braccio, mostrando al di sotto quindici centimetri di lucidi stivaloni. Oggi, con un abito di seta nera opaca, su una crinolina troppo piccola per la moda, sembrava ancora vestita da amazzone, perché l'abito era tagliato severamente come il suo costume da cavallo, e il cappellino nero con la lunga piuma, abbassato sugli occhi neri lucidi e ardenti, era una copia del vecchio cappello che adoperava per andare a caccia. Agitò la frusta vedendo Geraldo e trattenne la sua impaziente pariglia rossa, mentre le quattro ragazze si sporgevano fuori dalla carrozza vociferando i loro saluti a voce cosí alta che i cavalli sobbalzarono spaventati. Un osservatore casuale avrebbe supposto che i Tarleton e gli O'Hara non si vedessero da anni invece che da giorni. Ma erano persone socievoli e amavano i loro vicini, specialmente le ragazze O' Hara. Cioè amavano Súsele e Carolene. Nessuna ragazza della Contea, eccettuato forse quella sventata di Caterina Calvert, amava veramente Rossella. In estate, nella Contea si avevano conviti e balli quasi ogni settimana. Ma per le fulve Tarleton con la loro enorme capacità di divertirsi, ogni riunione e ogni ballo era eccitante come se fosse il primo della loro vita. Era un grazioso e vivacissimo quartetto, cosí stipato nella carrozza che le ampie gonne a cerchi e i volanti si gonfiavano spumeggiando, e i piccoli parasoli si urtavano fra di loro al di sopra degli ampi cappelli di paglia di Firenze incoronati di rose e ornati di nastri di velluto nero. Tutte le sfumature del fulvo erario sotto quei cappelli: i capelli di Etta erano di un rosso schietto, quelli di Camilla color pannocchia, quelli di Miranda a riflessi cuprei e quelli della piccola Bettina color carota. - È un bel branco, madama, - disse galantemente Geraldo portandosi col cavallo di fianco alla carrozza. - Ma son ben lontane dal superare la loro mamma. La signora Tarleton girò i suoi occhi bruni e si succhiò il labbro inferiore, come burlesco ringraziamento; le ragazze esclamarono: - Mamma, smettila di far la civetta, altrimenti lo diciamo al babbo! - Vi assicuro, Mr. O' Hara, che non ci dà mai modo di farci valere quando c'è un bell'uomo come voi. Rossella rise con le altre di queste celie, ma come sempre, la libertà con la quale le Tarleton trattavano la loro mamma, la urtò. Facevano come se essa fosse una di loro, e non avesse piú di sedici anni. Per Rossella la sola idea di poter dire una cosa simile a sua madre, era un sacrilegio; eppure... eppure... vi era qualche cosa di molto piacevole nelle relazioni delle ragazze Tarleton con la loro mamma; ed esse la adoravano, benché la criticassero, la stuzzicassero, e la sgridassero. Non che lei potesse preferire una madre come la signora Tarleton, si affrettò lealmente a dire a se stessa; ma certo doveva essere molto divertente scherzare cosí con la mamma. Sapeva che anche questo pensiero era irrispettoso per Elena e se ne vergognò. Era sicura che nessun pensiero cosí fastidioso aveva mai turbato i cervelli sotto le quattro capigliature fiammeggianti; e come sempre quando si trovava diversa dalle sue vicine, si sentí invadere da una perplessità irritata. Benché il suo cervello fosse pronto, non era fatto per l'analisi; riusciva peraltro a rendersi conto che benché le ragazze Tarleton fossero sregolate come puledri e turbolente come giumente in marzo, vi era in loro una singolare spensieratezza ereditaria. Tanto da parte di madre che di padre, erano Georgiane del nord, solo di una generazione posteriore ai pionieri. Erano sicure di se stesse e del loro ambiente. Sapevano istintivamente ciò che dovevano fare, come i Wilkes, benché in modo assolutamente diverso. E in loro non erano quei conflitti, che frequentemente si dibattevano nel seno di Rossella, nella quale il sangue di un'aristocratica della costa, dolce e quieta, si mescolava col sangue di un contadino irlandese accorto e grossolano. Rossella desiderava rispettare e adorare sua madre come un idolo, ma anche scompigliarle i capelli e stuzzicarla. E sapeva che bisognava fare o una cosa o l'altra. Era lo stesso conflitto che le faceva desiderare di apparire una signora delicata e aristocratica ai giovanotti ed essere nello stesso tempo una sfacciatella che non faceva scrupolo per qualche bacio. - Dov'è Elena, stamattina? - chiese la signora Tarleton. - Abbiamo licenziato il nostro sorvegliante ed Elena è rimasta a casa per verificare i conti. E vostro marito? E i ragazzi? - Oh, sono andati alle Dodici Querce già da un pezzo, per assaggiare il ponce e sentire se era abbastanza forte; come se non vi fosse tempo fino a domattina per questo! Pregherò John Wilkes di ospitarli stanotte, anche se, deve metterli nella stalla. Cinque uomini ubriachi sono troppi per me. Fino a tre me la cavo, ma... Geraldo la interruppe in fretta per mutare argomento. Sentiva dietro le sue spalle le figlie che ridacchiavano di lui, ricordando in che condizioni era tornato a casa l'autunno precedente dal banchetto dei Wilkes. - E come mai oggi non siete a cavallo, Mrs. Tarleton? Non mi sembrate voi, senza Nelly. Quando siete a cavallo vi si direbbe uno Sténtore. - Uno Sténtore! Ignorante che siete! - esclamò Mrs. Tarleton rifacendogli il verso. - Volete dire un centauro. Sténtore era un uomo che aveva la voce come un tamburo di bronzo. - Sténtore o centauro, fa lo stesso - rispose Geraldo senza scomporsi per il suo errore. - Del resto, anche voi avete una voce come un tamburo di bronzo quando chiamate i vostri cani. - Ti sta bene, mamma, - disse Etta. - Te l'avevo detto che urli come un indiano quando vedi una volpe. - Ma non cosí forte come urli tu quando Mammy ti lava le orecchie - ribatté Mrs. Tarleton. - E hai sedici anni! Quanto al non cavalcare oggi, è perché Nelly stamattina presto ha partorito. - Davvero? - esclamò Geraldo con vero interesse e con gli occhi brillanti della passione irlandese per i cavalli; e Rossella si sentí nuovamente urtata paragonando sua madre alla signora Tarleton. Per Elena né giumente né mucche partorivano mai. Quasi quasi neanche le galline facevano le uova. Elena ignorava completamente queste cose. Ma la Tarleton non aveva di queste reticenze. - Una puledra? - No; un piccolo stallone con delle gambe lunghe due metri. Dovete venire a vederlo, Mr. O'Hara. È un vero cavallo Tarleton: rosso come i riccioli di Etta. - E le somiglia anche molto - soggiunse Camilla; e scomparve gridando in mezzo a un piccolo vortice di sottane, sottovesti e cappelli che si agitavano, mentre Etta, imbronciata, le dava dei pizzicotti. - Le mie puledrine sono tutte eccitate, stamattina - riprese la signora Tarleton. - Hanno cominciato ad essere impazienti da quando abbiamo avuto la notizia del fidanzamento di Ashley con quella sua cuginetta di Atlanta. Come si chiama? Melania? Dio la benedica, è una cara creatura, ma non riesco mai a ricordarmi né il suo nome né il suo viso. La nostra cuoca è la moglie del cameriere dei Wilkes e ierisera ha portato a casa la notizia che stasera si annunzierà il fidanzamento; Cuochetta ce lo ha detto stamane. E come vi dico, le ragazze sono tutte eccitate; non ne capisco la ragione. Tutti sappiamo da anni che Ashley avrebbe fatto questo matrimonio, a meno che non avesse sposato una delle sue cugine Burr di Macon. Tale e quale come Gioia Wilkes che è destinata a sposare suo cugino Carlo. Ma ditemi una cosa, Mr. O'Hara: è illegale per i Wilkes sposarsi fuori della loro famiglia? Perché nel caso... Rossella non udí il resto della frase pronunciata in mezzo a scoppi di risa. Per un attimo aveva avuto l'impressione che il sole fosse scomparso dietro a una nuvola densa, lasciando il mondo nell'ombra, scolorando tutte le cose. Il fresco fogliame parve morticcio, il còrniolo pallido, e il melo selvatico, di un rosso cosí bello pochi minuti prima, lugubre e sbiadito. Rossella ficcò le unghie nell'imbottitura della carrozza, e il suo parasole ondeggiò. Un conto era sapere che Ashley era fidanzato, ma un altro conto era udirne parlare cosí indifferentemente. Il coraggio però le ritornò rapidamente; il sole riapparve e il paesaggio divenne un'altra volta gaio e brillante. Ella sapeva che Ashley la amava. Questo era certo. E sorrise al pensiero della sorpresa della signora Tarleton quando, la sera, non sarebbe stato annunciato alcun fidanzamento; e piú ancora se vi fosse una fuga. E come parlerebbe dell'aria innocente con la quale Rossella aveva ascoltato i suoi discorsi su Melania, mentre intanto era d'accordo con Ashley... Questi pensieri fecero apparire le fossette sulle sue guance, mentre Etta, che stava osservando con curiosità l'effetto delle parole di sua madre, ricadde indietro sui cuscini con un'espressione leggermente perplessa. - Non siamo d'accordo, Mr. O'Hara - stava dicendo enfaticamente Beatrice. - Questi matrimoni fra cugini non sono una buona cosa. Trovo già un errore che Ashley sposi la figlia di Hamilton; ma che Gioia, poi, debba sposare quel Carletto pallido e smunto... - Gioia non troverà marito se non sposa Carlo - disse Miranda, crudele e sicura delle proprie attrattive. - Non ha mai avuto nessun altro corteggiatore. E lui non è mai stato molto carino con lei, benché siano fidanzati. Ti ricordi, Rossella, come ti stava intorno, a Natale... - Non far la pettegola, madamigella - la interruppe sua madre. - I cugini non si dovrebbero mai sposare fra loro; neanche i secondi cugini. Il sangue si indebolisce. Non è come per i cavalli. Potete unire una giumenta a suo fratello o uno stallone a sua sorella e avete ottimi risultati, se conoscete la razza; ma fra uomini la cosa non va. I figli potranno avere dei bei lineamenti, ma punto robustezza. E... - Qui, signora, non sono d'accordo con voi! Potete citarmi gente piú bella e robusta dei Wilkes? E si sono sempre sposati fra cugini, fin da quando Briano Boru era un ragazzo. - Ma sarebbe tempo che la smettessero, perché ora si comincia ad accorgersi del danno. Oh, non dico per Ashley, che è un bel ragazzo, quantunque anche lui... Ma guardate quelle due figliuole, che pena! Belline, senza dubbio, ma cosí pallide! E guardate la piccola Melania. Sottile come un crostino e tanto delicata che basta un soffio di vento a darle un raffreddore; e senza ombra di spirito. Non sa nulla di nulla. «Sí, signora! No, signora!» è tutto ciò che sa dire. Capite quello che intendo? Quella famiglia ha bisogno di un bel sangue vigoroso, come le mie testoline rosse o la vostra Rossella. Non mi fraintendete. I Wilkes sono persone simpatiche sotto tanti punti di vista e sapete benissimo che io voglio loro bene; ma siamo schietti! Sono troppo educati e anche poco naturali, non vi pare? Faranno buona figura su una carraia asciutta, ma badate a quello che dico: non credo che i Wilkes sappiano galoppare sulla strada infangata. Mi pare che non abbiano energia; e ritengo che non siano capaci di superare gli ostacoli che potrebbero presentarsi. Animali che hanno bisogno del bel tempo. Datemi un bravo cavallone che corra con tutti i tempi! E i loro matrimoni fra consanguinei li hanno resi diversi da tutti gli altri. Sempre a gingillarsi col pianoforte o sprofondati nei libri! Scommetto che Ashley preferisce leggere che andare a caccia! Sí, ne sono convinta, Mr. O'Hara! E guardate che ossa. Troppo sottili. Hanno bisogno di giumente e stalloni robusti... - Ah... hhum... - fece improvvisamente Geraldo, rendendosi conto che la conversazione, che per lui era adatta e interessante, non sarebbe sembrata tale a Elena. La quale non avrebbe mai perdonato se avesse saputo che le sue figliuole erano state esposte ad ascoltare dei discorsi cosí espliciti. Ma la signora Tarleton era, come sempre, sorda ad ogni altra idea quando si ingolfava nel suo tema favorito: l'allevamento, di cavalli o di uomini che fosse. - So quel che dico perché ho avuto dei cugini che si sono sposati fra loro e vi assicuro che i loro bambini vennero tutti con gli occhi sporgenti come dei ranocchi, povere creature! E quando la mia famiglia voleva che io sposassi un secondo cugino, mi impennai come un puledro. Dissi: «No, mamma. Non fa per me. I miei figli devono avere spalle e fianchi, da buoni galoppatori». La mamma svenne sentendomi parlare di galoppatori, ma io rimasi imperterrita e la nonna mi sostenne. Anche lei era molto pratica di allevamento di cavalli, e disse che avevo ragione. E mi aiutò a fuggire con Mr. Tarleton! E guardate i miei figli! Grandi e grossi e in buona salute, senza mai un raffreddore, benché Boys sia alto solo un metro e sessantacinque. Ora, Wilkes... - Non vi dispiacerebbe cambiare argomento, signora? - interruppe frettolosamente Geraldo che aveva notato lo sguardo sbalordito di Carolene e l'avida curiosità dipinta sul viso di Súsele e temeva che al ritorno a casa esse potessero rivolgere a Elena domande imbarazzanti le quali rivelerebbero che egli era un pessimo «chaperon». Fu lieto di notare che la sua Gattina sembrava pensare a tutt'altro. Etta gli venne in aiuto. - Ma sí, mamma, andiamo! - esclamò con impazienza. - C'è un sole che scotta e sento che mi stanno già venendo le lentiggini sul collo. - Un minuto, signora, prima di avviarci. Che cosa avete deciso di fare per i cavalli che vi abbiamo pregato di venderci per Io Squadrone? La guerra può scoppiare da un giorno all'altro e i ragazzi desiderano che la cosa sia sistemata. È uno squadrone della Contea di Clayton e noi desideriamo per loro dei cavalli di Clayton. Ma voi, creature ostinate, rifiutate di venderci le vostre belle bestie. - Forse la guerra non ci sarà - temporeggiò la signora, completamente distratta, ora, dal pensiero delle abitudini matrimoniali dei Wilkes. - Ma signora, non potete... - Mamma - interruppe nuovamente Etta - non potete, tu e Mr. O'Hara parlar di questo quando saremo alle Dodici Querce? - È giusto, miss Etta - annuí Geraldo - e non vi trattengo piú di un altro minuto d'orologio. Fra poco saremo alle Dodici Querce e tutti quanti, giovani e vecchi, vorranno sapere dei cavalli. Ma mi spezza il cuore vedere una brava signora come la vostra mamma cosí avara delle sue bestie! Dov'è il vostro patriottismo, Mrs. Tarleton? La Confederazione non ha nessuna importanza per voi? - Mamma - gridò Bettina - Miranda è seduta sul mio abito e me lo sgualcisce tutto! - Spingila perché si levi, e sta zitta. Quanto a voi, Geraldo O'Hara, ascoltatemi. - E i suoi occhi si accesero. - Non mi gettate in faccia la Confederazione! Reputo che essa abbia tanta importanza per me come per voi, avendo io quattro ragazzi nello Squadrone mentre voi non ne avete nessuno. Ma i miei ragazzi sanno badare a se stessi e i miei cavalli no. Li darei volentieri anche gratis, se sapessi che saranno cavalcati da ragazzi che conosco, signori abituati ai purosangue. No, non esiterei un minuto. Ma lasciare i miei tesori alla mercé di boscaioli e Crackers che sono abituati ad andare a dorso di mulo! No, signore! È un incubo per me il pensiero che siano sellati con selle umide e che non siano governati come si deve! Credete che io voglia affidare le mie bestie tenere di bocca a degli ignoranti, per vederle ridotte con la bocca insanguinata e rovinata; ignoranti che li frusterebbero fino a far perder loro ogni vivacità! Mi viene la pelle d'oca solo a pensarci! No, Mr. O'Hara; siete molto gentile chiedendo i miei cavalli, ma è meglio che andiate ad Atlanta a comprare per i vostri villani dei vecchi ronzini. - Mamma, vogliamo andare, per piacere? - Era Camilla che si univa al coro impaziente. - Sai benissimo che finirai col cedere e dare i tuoi tesori. Quando il babbo e i ragazzi ti convinceranno che la Confederazione ne ha bisogno, ti metterai a piangere e glieli darai. La signora Tarleton ridacchiò e crollò le spalle. - Non lo farò - disse poi, toccando leggermente i cavalli con la punta dello sverzino. La carrozza si mosse velocemente. - È una brava donna - disse Geraldo rimettendosi il cappello e riprendendo il suo posto a fianco del proprio veicolo. - Vai, Tobia. La persuaderemo e avremo i cavalli. Senza dubbio ha ragione. Ha ragione. Se uno non è un signore, il cavallo non è affar suo. Il posto per lui è in fanteria. Ma purtroppo, in questa Contea non vi sono abbastanza figli di piantatori per fare un intero Squadrone. Che avevi detto, Gattina? - Ti prego, babbo, di andare davanti alla carrozza o dietro. Sollevi una tal quantità di polvere che soffochiamo - rispose Rossella che sentiva di non poter sopportare piú a lungo la conversazione. La distraeva dai suoi pensieri; ed ella desiderava rendere questi e il proprio volto ugualmente simpatici prima di giungere alle Dodici Querce. Geraldo, ubbidiente, spronò il cavallo e si allontanò in una nube rossastra per raggiungere la carrozza dei Tarleton. Avrebbe potuto cosí continuare la sua conversazione di argomento equino.

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Un individuo che era già abbastanza abietto quando speculava durante la guerra, arricchendosi con la nostra fame; ora poi che è in grande relazione con i «Carpetbaggers» e inoltre è amico intimo di quell'odioso individuo, il governatore Bullock... Sí, proprio una visita! La signora Bonnell sospirò. - Si tratta solo di una visita di dovere, Dolly. Ho saputo che tutti gli uomini che erano fuori quella notte hanno l'intenzione di questa visita, e credo che abbiano ragione. Ma certamente, stento a credere che Rossella sia figlia di sua madre. Sono stata compagna di scuola di Elena Robillard a Savannah, e non ho mai conosciuto una creatura piú simpatica; le volevo molto bene. Ah, se suo padre non si fosse opposto al matrimonio con suo cugino, Filippo Robillard! Un ragazzo che era soltanto un po' vivace... Intanto questo fu causa che Elena sposò il vecchio O'Hara, ed ebbe una figlia come Rossella. Ma in verità, mi pare che sia mio dovere andare almeno una volta, in memoria di Elena. - Sciocchezze sentimentali! - scherní vigorosamente la signora Merriwether. - Andare a trovare una donna che si è rimaritata dopo appena un anno dalla morte del marito? Una donna... - Aggiungete che fu lei ad uccidere il signor Kennedy - interruppe Lydia. La sua voce era fredda ma velenosa. Il solo pensiero di Rossella le impediva di esser gentile, ricordando Stuard Tarleton. - E ho sempre ritenuto che fra lei e quel Butler vi fosse qualche cosa di piú di quanto si è mai pensato, anche prima della morte del signor Kennedy. Prima che le signore si fossero rimesse dallo stupore scandalizzato provato nell'udire una ragazza parlare in quel modo, Melania era sulla soglia. La compagnia era cosí immersa nei suoi discorsi che nessuna aveva udito il suo passo leggero; ed ora avevano tutte l'aspetto di scolarette sorprese dalla maestra. Alla costernazione si aggiunse lo sgomento, vedendo il mutamento del volto di Melania, rossa di collera, con gli occhi fiammeggianti, le narici frementi. Nessuno aveva mai visto Melania adirata; e nessuna fra le signore presenti la credeva capace di uno scoppio d'ira. - Come ardisci, Lydia...? - interrogò con voce sommessa e tremante. - Dove ti conduce la gelosia? Vergògnati! Lydia impallidí ma rimase a fronte alta. - Non ritiro nulla - disse brevemente. Ma dentro di sé si sentiva ribollire. «Gelosa?» pensò. Il ricordo di Stuart Tarleton, e di Gioia e Carlo, non gliene dava forse il diritto? Non aveva ragione di detestare Rossella, specialmente ora che sospettava che avesse attirato anche Ashley nelle sue reti? E pensò ancora: «Potrei dirti molte cose sul conto di Ashley e della tua cara Rossella.» Lydia si sentiva combattuta fra il desiderio di proteggere Ashley col suo silenzio e il pensiero che se avesse svelato i suoi sospetti a Melania e a tutto il mondo, lo avrebbe liberato dalle mene di Rossella. Ma non era questo il momento. Non poteva dir nulla di sicuro: aveva solo dei sospetti. - Non ritiro nulla - ripeté con accento di sfida. - Allora sono ben lieta che tu non debba piú vivere a lungo sotto il mio tetto - rispose Melania; e la sua voce era freddissima. Lydia balzò in piedi; un fiotto di sangue salí al suo viso gialliccio. - Tu, Melania... mia cognata... non vorrai leticare con me a causa di quella sfacciata... - Anche Rossella è mio cognata - ribatté Melania fissando Lydia come avrebbe fissato un'estranea. - E mi è piú cara di quanto potrebbe essere una sorella germana. Se tu dimentichi ciò che ella ha fatto per me, io non lo dimentico. Rimase con me durante l'assedio mentre avrebbe potuto andare a casa sua, quando zia Pitty riparò a Macon. Quando gli yankees invasero Atlanta, Rossella fece il tremendo viaggio da qui a Tara portando seco me e Beau, quando le sarebbe stato facile lasciarmi in un ospedale. E mi ha curata e nutrita, anche, quando era stanca e affamata. Siccome ero debole e ammalata, ebbi il miglior materasso di Tara. E quando fui in grado di camminare, ebbi le sole scarpe intere che fossero in casa. Ashley giunse stanco e scoraggiato, senza casa e senza un centesimo, ed ella lo accolse come una sorella. E nel momento in cui volevamo partire per il Nord col cuore spezzato dall'idea di lasciare la nostra diletta Georgia, Rossella intervenne e gli diede la gestione dello stabilimento. E il capitano Butler ha salvato Ashley per bontà di cuore. Ed io sono piena di riconoscenza per entrambi! Ma tu, Lydia! Come puoi dimenticare ciò che Rossella ha fatto per tuo fratello e per me? Calcoli cosí poco la vita di tuo fratello che non hai considerazione per chi l'ha salvato? Ah, se tu ti inginocchiassi dinanzi a Rossella e a Butler, non sarebbe ancora abbastanza! - Andiamo, Melly - intervenne la signora Merriwether che si era ricomposta - non è questo il modo di parlare con Lydia. - Ho udito ciò che avete detto anche voi contro Rossella! - E Melania si volse verso la vecchia signora come un combattente che dopo aver messo fuori combattimento un avversario, si volge al successivo. - E anche voi, signora Elsing. Non m'importa quello che avete nei vostri cervelli meschini; è affar vostro. Ma ciò che dite di lei in casa mia, mi riguarda. Come potete, non dico pensare, ma profferire simili infamie? Cosí poco valore hanno per voi i vostri uomini che non avete riconoscenza per chi li ha salvati arrischiando la propria vita? Se si fosse venuta a sapere la verità, gli yankees avrebbero creduto che anche lui, Butler, era un membro del Klan! Lo avrebbero impiccato. Ma egli corse il rischio per i vostri uomini. Per vostro suocero, per vostro genero, per i vostri nipoti. E per vostro fratello, signora Bonnell, e per vostro figlio e vostro genero, signora Elsing. Siete ingrate, ecco che cosa siete! Ed esigo delle scuse da tutte voi. La signora Elsing era già in piedi, e stava raccogliendo la sua roba nel cestino, con la bocca torta. - Se mi avessero detto che avresti potuto essere cosí scortese, Melly... No, non chiederò scusa. Lydia ha ragione. Rossella è una sfacciata e un cervello balzano. Non posso dimenticare il suo contegno durante la guerra. E non posso dimenticare che da quando ha un po' di soldi si è comportata come una «stracciona proletaria»... - Quello che non potete dimenticare - interruppe Melania mettendosi i piccoli pugni sui fianchi - è che è stata costretta a licenziare Ugo perché era incapace di gestire il suo stabilimento. - Melly! - Fu un gemito in coro. La signora Elsing rizzò il capo e mosse verso la porta. Posò la mano sulla gruccia ma si fermò e si volse. - Melly - e la sua voce si era addolcita - figliuola cara, è una cosa che mi spezza il cuore. Sono stata la migliore amica di tua madre e ho aiutato il dottor Meade a metterti al mondo; ti ho voluto bene come a una figlia. E non mi addolorerei tanto di sentirti parlare cosí se fosse per qualche cosa che valesse la pena. Ma per un essere come Rossella O'Hara, che sarebbe disposta a giocare un brutto tiro a te come a chiunque di noi... Le prime parole della signora Elsing avevano fatto riempire di lagrime gli occhi di Melania; ma, dopo, il suo visetto si era indurito. - Desidero spiegare ben chiaramente - disse allora - che chiunque non va a far visita a Rossella può risparmiarsi per l'avvenire di venir qui da me. Vi fu un mormorio di voci confuse mentre le signore si levavano in piedi. La signora Elsing, lasciando cadere la sua scatola da lavoro, tornò verso il centro della stanza, con la sua frangia di riccioli finti tutta di traverso. - Non sai quello che dici, Melania! Sei fuori di te! E non ti ritengo responsabile di queste parole! Rimarrai mia amica, come io rimarrò un'amica per te. Rifiuto di ammettere che fra noi possa prodursi uno screzio simile! Era scoppiata in lagrime e, senza neanche saper come, Melania si trovò fra le sue braccia, piangendo anche lei ma dichiarando fra i singhiozzi che riaffermava ciò che aveva detto. Parecchie altre signore ruppero in pianto, e la signora Merriwether, soffiandosi il naso fragorosamente, abbracciò Melania e la signora Elsing. Zia Pitty, che era rimasta testimone pietrificata di tutta la scena, scivolò improvvisamente sul pavimento; e fu uno dei pochi svenimenti della sua vita. Fra lagrime, baci, confusione e corse per andare a cercare i sali, una sola persona conservò il viso calmo e gli occhi asciutti. Lydia Wilkes se ne andò senza che alcuno vi badasse. Parecchie ore dopo, il nonno Merriwether, incontrando Enrico Hamilton al Bar della «Ragazza moderna», gli narrò gli avvenimenti come li aveva appresi da sua nuora. Era in fondo soddisfatto che qualcuno avesse avuto il coraggio di affrontare la temibile signora Merriwether: cosa che egli non aveva mai osato. - E finalmente, che cos'hanno deciso quelle stupide pazze? - chiese zio Enrico irritato. - Non lo so con certezza - rispose il nonno; - ma ho l'impressione che Melly abbia avuto la meglio. Certo andranno a far visita, almeno una volta. Però fanno molte chiacchiere, per quella vostra nipote. - Melly è una sciocca e le signore hanno ragione: Rossella è una creatura astuta e non so perché mio nipote Carlo, allora, se ne infatuò e la sposò - fece zio Enrico cupo. - Ma anche Melly ha ragione, da un certo punto di vista. È un dovere di convenienza, per le famiglie di cui il capitano Butler ha salvato marito o padre, andare a far quella visita. Per conto mio, io non ho nulla da ridire contro di lui. Si comportò molto bene quella notte in cui ci salvò la pelle. È Rossella che mi piace poco. È troppo abile e scaltra. Ma io ci andrò. Rinnegata o no, Rossella è mia nipote d'acquisto, dopo tutto. Avevo appunto l'intenzione di andarvi oggi. - Vengo con voi, Enrico. Dolly sarà furibonda quando lo saprà. Aspettate: lasciatemi bere un altro bicchierino. - No; berremo dal capitano Butler. Bisogna convenire che ha sempre degli ottimi liquori.

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Durante la loro luna di miele e il loro soggiorno all'Albergo Nazionale, erano andati abbastanza d'accordo. Ma appena entrati nella nuova casa, aspre questioni sorsero fra loro. Dispute brevi, perché era impossibile prolungarle con Rhett che rimaneva freddamente indifferente alle sue parole violente ed aspettava il momento per colpirla in un punto debole. Era lei che litigava: Rhett no. Egli si limitava ad affermare la sua inequivocabile opinione sopra di lei, sulle sue azioni, la sua casa e i suoi nuovi amici. E alcune di queste opinioni erano di tal natura, che ella non poté continuare ad ignorarle o considerarle come scherzi. Per esempio, quando Rossella decise di mutare il nome dei «Magazzini Generali Kennedy» in qualche cosa di maggiore effetto, pregò, suo marito di consigliarle una iscrizione in cui fosse inclusa la parola «Emporium». Rhett suggerí Caveat Emporium assicurandola che sarebbe una scritta adatta al tipo di merce che era in vendita. A Rossella sembrò che queste parole fossero altisonanti e aveva già fatto fare l'insegna, quando Ashley Wilkes, con un po' d'imbarazzo, le tradusse il vero significato. E Rhett rise fragorosamente della sua ira. Vi era poi la maniera in cui egli trattava Mammy. Questa non aveva mai ceduto di un pollice nella sua convinzione che Rhett era un mulo con finimenti da cavallo. Con lui era educata, ma glaciale. Lo chiamava «Capitano Butler» invece di «Mist' Rhett». Non gli aveva neanche fatto un inchino quando egli le aveva donato la sottana rossa, e non l'aveva mai indossata. Sempre che poteva, teneva Ella e Wade lontani da lui, benché il bambino adorasse lo zio Rhett e questi lo ricambiasse con molto affetto. Ma, invece di licenziare Mammy o di trattarla con severità, Rhett aveva per lei la piú cordiale deferenza e assai maggior cortesia di quella che usava con le piú recenti conoscenze di Rossella; perfino maggior cortesia di quanto usava con Rossella stessa. Chiedeva sempre e il permesso di Mammy per condurre Wade a passeggio e la consultava prima di comprare le bambole per Ella. Rossella trovava che Rhett essendo il capo della casa, avrebbe dovuto avere maggior fermezza con la vecchia negra; ma Rhett rise, dicendo che il vero capo di casa era Mammy. Fece poi andare sulle furie Rossella dicendole tranquillamente che si stava preparando ad avere molta compassione per lei negli anni futuri, quando la Georgia non fosse piú sotto il Governo repubblicano e i democratici fossero tornati al potere. - Quando i democratici avranno un Governatore e un Parlamento, tutti i tuoi nuovi amici repubblicani saranno spazzati via e torneranno alle bettole e alle spelonche a cui appartengono. E tu lasciata in disparte senza un amico, né democratico né repubblicano. Beh, non pensiamo al domani! Rossella rise; e non aveva torto, perché in quell'epoca Bullock era ben saldo sul seggio del Governatore; ventisette negri erano nel Parlamento e migliaia degli elettori democratici della Georgia erano privati dei diritti civili. - I democratici non torneranno mai. Non sanno fare altro che irritare gli yankees e ritardare cosí il giorno in cui potranno tornare. Fanno delle grandi chiacchiere e vanno in giro la notte a «Ku-Kluxare». - Torneranno. Io conosco i meridionali. Conosco i Georgiani. Sono cocciuti e caparbi. Se dovessero fare un'altra guerra per poter tornare, la faranno. Dovessero comprare i voti dei negri come hanno fatto gli yankees, li compreranno; e dovessero far votare diecimila morti come hanno fatto gli yankees, tutte le salme dei cimiteri georgiani saranno alle urne. Le cose andranno cosí male sotto il governo del nostro buon amico Rufus Bullock, che la Georgia lo espellerà con violenza. - Non osare termini cosí volgari, Rhett - esclamò Rossella. - Parli come se io non fossi contenta di veder tornare i democratici! E sai benissimo che ne sarei lieta. Credi che mi piaccia vedere in giro questi soldati che mi ricordano... dopo tutto sono una georgiana anch'io! Sarei ben contenta di veder tornare i democratici. Ma non torneranno. E se anche tornassero, che male farebbero ai miei amici? Questi avranno ancora il loro denaro, no? - Se lo avranno. Ma dubito che essi abbiano l'abilità ai farlo durare piú di cinque anni, dato il loro modo di spendere. Denaro facilmente guadagnato, si spende facilmente. Sono quattrini che non profittano loro, come a te non fa profitto il mio denaro. Certamente non ho ancora fatto di te una cavallina, non è vero, mia graziosa muletta? Quest'ultima osservazione suscitò una lite che durò parecchi giorni. Dopo il quarto giorno di broncio da parte di Rossella, che col suo silenzio pretendeva evidentemente che le si chiedesse scusa, Rhett partí per Nuova Orléans conducendo seco Wade, malgrado le proteste di Mammy, e rimase assente finché a Rossella fu passata la collera. Quando egli tornò, freddo e tranquillo, ella ringhiottí la sua ira meglio che poté, ricacciandola in fondo al suo cervello per ripensarvi piú tardi. Ora non voleva avere pensieri spiacevoli. Voleva essere felice per occuparsi soltanto del ricevimento che intendeva dare nella sua nuova casa. Sarebbe stata una grande riunione serale con la casa adorna di palme che nascondevano l'orchestra; tutto il porticato adorno di arazzi e un rinfresco che le faceva venire l'acquolina in bocca. Pensava di invitare tutte le sue conoscenze: i vecchi amici e i nuovi cosí simpatici. L'eccitazione dei preparativi le faceva mettere in non cale le frecciate di Rhett: ed ella si sentiva felice come non lo era stata da molti anni. Che cosa piacevole essere ricca! Offrire ricevimenti senza badare a spese! Comprare i mobili e gli abiti piú dispendiosi, i cibi migliori e piú fini senza preoccuparsi dei conti da pagare! Che bellezza, poter mandare dei grossi assegni a zia Eulalia e a zia Paolina a Charleston, e a Will a Tara! Che imbecilli invidiosi quelli che dicevano che il denaro non era tutto! E com'era cattivo Rhett nel dire che la ricchezza non aveva fatto di lei una dama!

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Ashley aveva fatto soltanto delle spese, mentre Johnnie aveva a credito delle somme abbastanza rilevanti. Si guardò bene dal fare osservazioni mentre guardava i due registri; ma Ashley le lesse in volto. - Mi dispiace, Rossella. Ma vorrei che mi permetteste di assumere dei negri liberti invece di servirmi di forzati. Credo che avrei un miglior risultato. - Dei negri! Il loro salario ci rovinerebbe. I forzati costano molto meno. Se Johnnie ottiene queste cifre... Ashley fissò lo sguardo lontano, verso qualche cosa che ella non poteva vedere; e la luce di gioia scomparve dai suoi occhi. - Non posso far lavorare i forzati come fa Johnnie Gallengher. Non sono capace di dirigerli. - Per la camicia di Giove! Johnnie fa miracoli. Voi siete troppo tenero di cuore, Ashley. Johnnie mi ha detto che quando quelli che non hanno voglia di lavorare si danno malati, voi accordate loro un giorno di riposo. Santo Dio! In questo modo non si fanno quattrini. Un paio di frustate curerebbe molte di queste malattie... - Basta, basta, Rossella! Non posso sentirvi parlare cosí! - E gli occhi di Ashley tornarono a lei con un impeto che le mozzò le parole in bocca. - Non capite che sono anche loro uomini... e alcuni sono ammalati, denutriti, miserabili... Ah, mia cara, non posso sopportare che egli vi abbia resa cosí brutale, voi che eravate tanto dolce... - Chi? Che cosa? - Ve lo dico senza averne alcun diritto. Ma debbo dirvelo. Il vostro... Rhett Butler. Costui avvelena tutto ciò che tocca. E ha preso voi, cosí dolce, buona e generosa, malgrado la vostra vivacità, e vi ha fatta... vi ha resa dura e brutale col suo contatto. - Oh! - ansimò Rossella, in cui la coscienza della propria colpevolezza lottava in quel momento con la gioia che le dava il pensiero che Ashley la ritenesse ancora buona e dolce. Grazie a Dio, egli rendeva Rhett responsabile della sua avidità di guadagno. La colpa, in realtà, era sua; ma in fin dei conti, un punto nero di piú sul conto di Rhett non poteva fargli alcun male. - Se si trattasse di chiunque altro, non me ne importerebbe... ma Rhett Butler! Ho visto che vi ha ridotta a pensare come lui, senza che voi ve ne accorgeste neppure. Oh, so bene che non lo dovrei dire... Egli mi ha salvato la vita ed io gliene sono riconoscente; ma vorrei che fosse stato chiunque altro piuttosto che lui! Non ho il diritto di parlarvi come... - Sí, Ashley, voi avete il diritto... Nessun altro lo ha! - Vi dico che non posso tollerare che la vostra finezza sia trasformata da lui in grossolanità; e sapere che la vostra bellezza e il vostro fascino sono in potere di un uomo che... Quando penso che egli vi tocca... «Ora mi bacia!» pensò Rossella felice. «E non sarà colpa mia!» Fece un passo verso di lui; ma Ashley indietreggiò improvvisamente, come se si rendesse conto a un tratto di aver detto troppo... di aver detto cose che non avrebbe mai avuto l'intenzione di dire. - Vi chiedo umilmente scusa, Rossella. Ho... ho insinuato che vostro marito non è un gentiluomo; e le mie parole stanno a provare che io per primo non lo sono... Nessuno ha il diritto di criticare un marito dinanzi a sua moglie. Io non ho alcuna scusa se non... se non... - Si interruppe e il suo viso si contorse penosamente. Rossella attese col respiro sospeso. - Non ho alcuna scusa. Tornando a casa, lo spirito di Rossella non fece che correre la cavallina. Nessuna scusa, se non... che l'amava! E il pensiero che ella giacesse fra le braccia di Rhett destava in lui un furore che Rossella non avrebbe mai creduto possibile. Però lo comprendeva. Se ella non avesse saputo che le relazioni fra Ashley e Melania erano necessariamente simili a quelle che possono correre tra fratello e sorella, la vita di lei sarebbe stata un tormento. E Ashley credeva che fossero gli amplessi di Rhett che la rendevano dura e brutale! Ebbene, ella farebbe a meno di quegli amplessi. Come sarebbe dolce e romantico per entrambi rimanere fisicamente fedeli uno all'altro, pur essendo sposati ad altre persone! L'idea le piacque. E poi, aveva anche il suo lato pratico. Era il modo sicuro per non avere altri bambini. Giunta a casa, l'esaltazione che le parole di Ashley avevano fatto nascere in lei cominciò a calmarsi dinanzi alla prospettiva di dover dire a Rhett che desiderava fare camera separata, e a tutto ciò che questo implicava. Non era cosa facile. E poi, come potrebbe dire ad Ashley che per accontentarlo ella si rifiutava ai desideri di Rhett? A che scopo fare un sacrificio se nessuno doveva saperlo? Che fastidio, la verecondia e la delicatezza! Beh, pazienza. Troverebbe il modo di far capire ad Ashley la verità. Salí le scale e trovò, nella camera dei bambini, Rhett seduto accanto alla culla di Diletta, con Ella sulle ginocchia e Wade che spiegava dinanzi a lui i tesori delle sue saccocce. Che fortuna che Rhett amasse i bambini e si occupasse di loro! Alcuni padrigni sono cosí ostili ai figli dei mariti precedenti... - Desidero parlarti - gli disse e passò in camera da letto. Meglio sbrigarsela subito mentre il desiderio di non aver piú figliuoli era ancora tanto vivo in lei e mentre l'amore di Ashley le dava la forza occorrente. - Rhett - gli disse bruscamente dopo che egli ebbe chiuso l'uscio, - ho deciso che non voglio altri bambini. Se fu stupito a questa dichiarazione, Rhett non lo diede a divedere. Sedette su una sedia e spinse indietro la spalliera. - Gioia mia, come ti ho detto prima della nascita di Diletta, per me è indifferente che tu abbia un bambino o venti. Che perversità! Fingeva di non capire! - Mi pare che tre bastino. Non ho affatto l'intenzione di averne uno all'anno. - Tre mi sembra un numero giusto. - Ma sai... - arrossí imbarazzata. - Sai che cosa voglio dire? - Sicuro. E tu lo sai che potrei divorziare se tu ti rifiuti ai miei diritti coniugali? - Sei abbastanza abbietto da aver quest'idea! - gridò Rossella, seccata che le cose non andassero secondo i suoi desideri. - Se avessi un po' di spirito cavalleresco, saresti... saresti gentile come... Sicuro; guarda un po' Ashley Wilkes! Melania non può avere altri bambini e lui... - È un perfetto gentiluomo, Ashley! - E gli occhi di Rhett cominciarono a brillare stranamente. - Continua, ti prego. Rossella inghiottí, perché non aveva altro da dire. Ora comprendeva che era stata una stupida, sperando di comporre amichevolmente una cosa tanto importante, specialmente con un porco egoista come Rhett. - Sei stata allo stabilimento oggi, non è vero? - Che c'entra questo? Egli si alzò leggermente e avvicinandosi a lei le pose una mano sotto il mento e le sollevò il volto. - Che bambina! Hai vissuto con tre mariti e non conosci ancora nulla della natura degli uomini. Immagini che siano come vecchie dame dopo la menopausa... Le pizzicò il mento scherzosamente e lasciò ricadere la mano. Sollevò uno dei suoi neri sopraccigli mentre la fissava con un lungo sguardo glaciale. - Comprendimi bene, Rossella. Se tu e il tuo letto aveste ancora attrattiva per me, nessun catenaccio e nessuna proibizione potrebbe tenermene lontano. E non mi vergognerei di usare la forza, perché ho fatto con te un contratto... contratto che io ho mantenuto, e che tu stai rompendo. Conserva pure il tuo casto letto, mia cara. - Vorresti dire - esclamò Rossella indignata - che non t'importa... - Tu sei stanca di me, non è vero? Ebbene, gli uomini si stancano piú facilmente delle donne. Conserva la tua castità, Rossella. Non sarà una privazione per me. - Alzò le spalle e sogghignò. - Fortunatamente il mondo è pieno di letti... e molti di questi sono occupati da donne... - Saresti talmente volgare... - Povera innocentina! Ma sicuro. È solo da stupire che io non abbia cominciato prima. Non ho mai considerato la fedeltà come una virtú. - Chiuderò a chiave la mia porta tutte le sere! - A che scopo? Se ti desiderassi, nessuna serratura mi impedirebbe di averti. Si volse, come se l'argomento fosse esaurito, e lasciò la stanza. Rossella lo udí tornare nella camera dei bambini ove fu accolta da grida di giubilo. Ella sedette bruscamente. Aveva ottenuto ciò che desiderava. E ciò che anche Ashley desiderava. Ma la cosa non le faceva piacere. La sua vanità era mortificata e il fatto che Rhett non la desiderasse piú e la mettesse a livello di tutte le altre donne la irritava fuor di misura. Avrebbe voluto trovar la maniera di dire delicatamente ad Ashley che lei e Rhett non erano piú marito e moglie. Ma comprendeva che le era impossibile. Ora tutto le sembrava un brutto pasticcio; e con tutto il cuore avrebbe preferito non aver parlato. Sentiva che le lunghe conversazioni a letto con Rhett, con la brace del suo sigaro che brillava nell'oscurità, le sarebbero molto mancate; le sarebbe mancato il conforto delle sue braccia quando si svegliava atterrita dal sogno nel quale era circondata di nebbia fredda. Subitamente si sentí infelicissima, e posando il capo sul bracciolo della poltrona, pianse.

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Te l'ho già detto una volta, ma non sei stato abbastanza gentiluomo da comprenderlo. Da ora in poi chiuderò a chiave la mia porta. - Non prenderti questa pena. - La chiuderò. Dopo il modo in cui ti sei comportato l'altra notte, cosí disgustoso... - Via, cara! Non mi pare di averti disgustato tanto! - Vattene! - Non ti arrabbiare. Me ne vado. E ti prometto di non disturbarti mai piú. Questa è la fine. E volevo appunto dirti che se la mia infame condotta è insopportabile per te, non mi opporrò al divorzio. Basta che tu mi dia Diletta. - Non voglio gettare l'onta sulla mia famiglia con un divorzio. - Non avresti tanti scrupoli se miss Melly fosse morta, vero? Penso che non esiteresti un minuto a divorziare... - Te ne vai? - Sí, me ne vado. Sono venuto a casa per dirtelo. Vado a Charleston e a Nuova Orléans... Oh, un viaggetto abbastanza lungo. Parto oggi. - Oh! - E porto Diletta con me. Di' a quella stupida di Prissy di preparare la sua roba. Porterò anche Prissy. - Non permetterò che la mia bimba esca da questa casa. - È anche mia, signora Butler. Certo non mi impedirai di portarla a Charleston a vedere sua nonna? - Me ne infischio di sua nonna! Non permetterò che tu la porti via, sapendo che sarai ubriaco tutte le sere e che probabilmente la porterai in case come quella di Bella... Egli gettò a terra il sigaro violentemente; questo continuò ad ardere sul tappeto e il puzzo di lana bruciata salí alle loro narici. In un attimo Rhett era accanto a lei, pallido d'ira. - Se tu fossi un uomo, ti spaccherei la testa per quello che hai detto. Ma poiché non lo sei, ti risponderò, per chiuderti quella maledetta bocca! Credi che abbia cosí poco affetto per mia figlia da portarla...! Dio mio, sei proprio pazza! Quanto a te, che ti dai quelle arie materne, una gatta è miglior madre di te! Che hai mai fatto per i tuoi bambini? Wade e Ella hanno paura di te; e se non ci fosse Melania Wilkes, essi non saprebbero che cos'è affetto e dolcezza. Ma Diletta, la mia Diletta! Credi che io non sappia occuparmene piú e meglio di te? Credi che ti permetterò di tiranneggiarla e intimidirla come hai fatto con gli altri due? Per l'inferno, no! Fai preparare la sua roba e che sia pronta fra un'ora; altrimenti ti avverto che ciò che è accaduto l'altra notte ti sembrerà dolce e soave a paragone di ciò che avverrà. Sono sempre stato convinto che una buona lezione a base di scudiscio ti gioverebbe immensamente. Prima che Rossella potesse parlare, era uscito dalla stanza. Lo udí attraversare il vestibolo ed entrare nella camera da gioco dei bambini. Vi fu un gaio cinguettio infantile; poi la vocetta di Diletta si levò sopra a quella di Ella. - Dove sei stato, babbo? - A caccia di conigli per averne la pelle e fare una pelliccetta alla mia piccina. Dai un bel bacio al tuo tesoro, Diletta... e anche tu, Ella.

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Aveva bisogno che accanto a lei fosse una persona salda che la tenesse per mano e lottasse contro la morte finché a lei tornasse abbastanza forza da poter combattere da sola. L'ira si era tramutata in dolore, ed ella desiderava Rhett. Ma questi non si faceva vedere, e Rossella non riusciva a decidersi a chiedere di lui. L'ultimo ricordo che aveva del marito era la sua espressione quando l'aveva raccolta in fondo alle scale: pallidissimo e senz'altro sul viso che un tremendo terrore, mentre con voce rauca chiamava Mammy. E poi ricordava vagamente di essere stata portata di sopra, prima che la sua mente naufragasse nell'oscurità. Poi spasimo e ancora spasimo; la camera piena di voci che ronzavano; i singhiozzi di zia Pitty e gli ordini bruschi del dottor Meade; piedi che correvano per le scale e trottavano veloci sulle punte attraverso il vestibolo. E poi, come un raggio accecante, la certezza della morte e il terrore che le faceva tentar di gridare; e invece di un urlo era un mormorio. Ma quel mormorio desolato aveva un'immediata risposta nell'oscurità presso al letto; e la dolce voce di colei che era stata chiamata sussurrava carezzevole: - Sono qui, tesoro. Sono sempre stata qui. La morte e lo spavento si allontanavano quando Melania le prendeva la mano e la posava contro la propria guancia fresca. Rossella tentava di volgersi per vederla ma non poteva. Ecco: Melly sta mettendo al mondo un bimbo e gli yankees arrivano. La città è in fiamme e bisogna affrettarsi. Ma Melly sta mettendo al mondo il piccino e lei non può correre. Deve rimanerle accanto fino alla venuta del piccino ed essere forte perché Melly ha bisogno della sua forza. Melly soffre... ed ecco ancora le tenaglie roventi e i coltelli spuntati e ondate di spasimo. Bisogna tenere la mano di Melly. Poi c'era il dottor Meade; era venuto benché i soldati del deposito avessero bisogno di lui; e lo aveva udito dire: - Delirio. Dov'è il capitano Butler? La notte fu tenebrosa; poi venne la luce. A volte era lei che stava avendo un bambino, altre volte era Melania che piangeva; ma in tutto questo Melly era accanto a lei e le sue mani erano fresche, ed ella non usciva in gesti sciocchi e in singhiozzi inutili come zia Pitty. Ogni volta che apriva gli occhi, Rossella mormorava: - Melly? - e la dolce voce rispondeva. Poi voleva dire: - Rhett... voglio Rhett - ma si ricordava, come in sogno, che Rhett non la voleva, che il suo viso era bruno come quello di un indiano e i suoi denti biancheggiavano in una risata sardonica. Lo desiderava, ma lui non la voleva. Una volta disse: - Melly? - e la voce di Mammy rispose: - Sono io, bambina - e le fu posto un panno bagnato sulla fronte; ma lei continuò a chiamare stizzosamente - Melly... Melania - per molto tempo. Melania non venne perché era seduta sulla sponda del letto di Rhett; e Rhett, ubriaco e singhiozzante, piangeva accosciato sul pavimento, col capo nel grembo di lei. Ogni volta che era uscita dalla stanza di Rossella, Melania lo aveva visto seduto sul suo letto, con la porta spalancata. La stanza era in disordine; dappertutto mozziconi di sigari e piatti di vivande intatte. Sedeva sul letto disfatto, con la barba non rasa e improvvisamente smagrito; e fumava continuamente. Melania si fermava per un attimo sulla soglia: «Mi dispiace, sta peggio»; oppure: «No, non ha ancora chiesto di voi. È in delirio»; o ancora: «Non bisogna disperare, capitano Butler. Lasciate che vi faccia portare un po' di caffè e qualche cosa da mangiare; altrimenti vi ammalerete». Era stanchissima e aveva sonno; ma era piena di compassione per lui. Come faceva la gente a raccontare tante infamie sul suo conto: che era senza cuore, che tradiva Rossella, mentre ella lo vedeva diventare smunto da un minuto all'altro e leggeva sul suo viso un atroce tormento? Benché stanca, cercava di essere piú dolce del solito quando gli portava le notizie. Le sembrava un'anima dannata in attesa del giudizio; un bambino in un mondo ostile. Ma tutti erano bambini per Melania. Quando, finalmente, si affacciò gioiosa all'uscio per dirgli che Rossella stava meglio, era veramente impreparata a ciò che vide. Sul tavolino da notte era una bottiglia di whisky semivuota e l'odore dell'alcool riempiva la stanza. Egli levò su lei due occhi ardenti; la sua mascella inferiore tremava malgrado i suoi sforzi per non battere i denti. - È morta? - Oh no. Sta molto meglio. - Dio mio! - esclamò Rhett e si prese la testa fra le mani. Ella vide le sue larghe spalle scosse da un brivido nervoso e lo guardò compassionevole; ma la sua pietà si mutò in sgomento quando si accorse che piangeva. Melania non aveva mai visto piangere un uomo; e non avrebbe mai pensato che Rhett cosí tranquillo e beffardo, cosí sicuro di sé, potesse abbandonarsi al pianto. Quei singhiozzi disperati la spaventarono. Pensò che era ubriaco; e l'ubriachezza suscitava in lei un istintivo terrore. Ma quando egli levò il capo ed ella scorse il suo sguardo, entrò nella stanza, chiudendo l'uscio dietro di sé, e gli si avvicinò. Non aveva mai visto piangere un uomo, ma aveva confortato le lagrime di molti bambini. Gli posò una mano sulla spalla; e le braccia di lui la circondarono impulsivamente. Prima ancora di essersi accorta di ciò che accadeva, si trovò seduta sul letto, col capo di lui nel grembo e le sue mani e le braccia aggrappate a lei in una stretta frenetica che le faceva male. Accarezzò dolcemente la testa nera mormorando: - Via, via! tranquillizzatevi! Ora sta meglio! A queste parole la stretta si fece piú convulsa ed egli cominciò a parlare in fretta, balbettando, con voce rauca, come dinanzi a una tomba che non avrebbe mai rivelato i suoi segreti mormorando per la prima volta in vita sua la verità, denudandosi spietatamente a Melania che fin dal primo momento, pur senza comprenderlo, fu soavemente materna. Parlava a frasi spezzate, nascondendo il capo nelle pieghe dell'abito della donna; a volte le sue parole erano smozzicate, soffocate, altre volte le giungevano all'orecchio anche troppo esplicite: parole aspre ed amare, di confessione e di avvilimento, che dicevano cose che ella non aveva mai udito neanche da una donna, cose che le facevano salire al volto le fiamme della verecondia, ringraziando Dio che egli tenesse la testa china. Gli accarezzò il capo come faceva col piccolo Beau, dicendo: - Zitto, capitano Butler! Non dovete dirmi queste cose! Non siete in voi... Zitto! Ma la voce di lui continuò simile a un torrente irrefrenabile, mentre egli si aggrappava alla veste di Melania come se quella fosse la sua speranza di vita. Si accusò di azioni che Melania non comprese; mormorò il nome di Bella Watling; e la impressionò con la sua violenza quando gridò: - Ho ucciso Rossella! L'ho uccisa io! Voi non capite. Lei non desiderava questo bambino e... - Tacete! Siete fuori di voi! Non desiderava un bambino? Ma tutte le donne desiderano... - No! No! Voi li desiderate. Ma lei no. Non un bambino mio... - Finitela! - Non capite! Lei non voleva altri bambini ed io l'ho resa madre. Questo... questa gravidanza è tutta colpa mia. Non dormivamo piú insieme... - Ma tacete! Non è conveniente... - Ero ubriaco, quasi impazzito e volevo farle male... perché lei mi aveva offeso. Volevo... ma lei non mi voleva. Non mi ha mai voluto bene. Ed io feci tutto il possibile per... - Vi prego! - E non ho saputo di questa gravidanza fino all'altro giorno... quando è caduta. Non sapeva dov'ero per potermelo scrivere... ma se anche lo avesse saputo non me lo avrebbe scritto. Vi dico... che sarei tornato subito se avessi saputo... anche se lei non avesse desiderato la mia presenza... - Oh, sono certa che sareste tornato! - Sono stato come pazzo, tutte queste settimane; pazzo e ubriaco! E quando me lo disse, sulle scale, sapete che dissi? Che feci? Risi e le dissi: «Stai allegra. Potresti anche abortire». E lei... Melania impallidí e i suoi occhi si spalancarono inorriditi. Il sole pomeridiano entrava a fiotti dalla finestra aperta e a un tratto ella vide, per la prima volta, com'erano grandi e forti le mani di lui e com'erano vellose. Involontariamente distolse lo sguardo da esse. Le sembrarono predaci, crudeli, eppure - aggrappate alla sua gonna - deboli e innocenti. Possibile che egli avesse saputo della menzogna sul conto di Ashley e di Rossella e si fosse ingelosito? Veramente, aveva lasciato la città subito dopo lo scandalo, ma... No, non poteva essere. Egli partiva sempre all'improvviso per i suoi viaggi. Non poteva aver creduto a quel pettegolezzo. Se fosse stato a causa di quello, perché non se l'era presa con Ashley? O non gli aveva, almeno, chiesto spiegazioni? Non poteva essere. Egli era ubriaco e spezzato dalla tensione, e la sua mente galoppava, come quella di un uomo in delirio, attraverso le piú strane fantasie. Gli uomini non sopportano la tensione nervosa come le donne. Rhett era sconvolto: forse aveva avuto una piccola disputa con Rossella e ora la ingrandiva. Forse qualche cosa di quanto diceva aveva un fondo di verità. Ma non certamente l'ultima frase! Nessuno può dire una cosa simile a una donna che ama con passione come Rhett amava Rossella. Melania non aveva mai conosciuto il male, mai visto la crudeltà; ed ora che la prima volta si trovava di fronte ad essi li trovava troppo inconcepibili per poterli credere. Rhett era ubriaco e malato. E coi bambini ammalati bisogna essere consenzienti ai loro capricci. - Via, via! - gli disse dolcemente. - Tacete adesso. Ho capito. Egli rialzò la testa violentemente e la guardò con gli occhi iniettati di sangue respingendo con impeto le sue mani. - No, perdio, non potete! Siete troppo buona per comprendere. Non mi credete; ma tutto quello che vi ho detto è vero ed io sono un cane. Sapete perché ho fatto questo? Perché ero pazzo di gelosia. Lei non mi ha hai voluto bene e io ho creduto di poter riuscire a farmi amare. Ma non vi sono riuscito. Non mi ama. Non mi ha mai amato. Ama... Il suo sguardo ubriaco, pieno di passione, incontrò quello di lei, ed egli si interruppe, rimanendo a bocca aperta, come se per la prima volta vedesse con chi stava parlando. Il volto di Melania era pallido e teso, ma i suoi occhi erano fermi e dolci, pieni di pietà e di incredulità. Vi era in essi una luminosa serenità; e l'innocenza di quelle pupille brune e profonde lo colpí come un fulmine, illuminando il suo cervello offuscato dall'alcool, trattenendo le sue parole folli, insensate. Egli balbettò qualche cosa di incoerente abbassando gli occhi, battendo rapidamente le palpebre mentre cercava di rientrare in sé. - Sono un mascalzone - mormorò, lasciando ricadere stancamente il capo nel grembo di lei. - Ma non fino a questo punto. E se io ve lo dicessi, non mi credereste, non è vero? Siete troppo buona per credermi. Non ho mai conosciuto nessuno, prima di voi, che fosse veramente buono. Non mi credereste, non è vero? - No, non vi crederei - rispose Melania calmandolo e ricominciando ad accarezzargli i capelli. - State tranquillo, capitano Butler! Rossella sta meglio... Non piangete! Vedrete che guarirà.

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Sembrava stanco e abbastanza triste. Come aveva potuto credere che egli fosse cosí maleducato da parlare di cose che entrambi preferivano dimenticare? «Poverino» pensò ancora «è stato cosí preoccupato per Rossella!» Quindi gli disse sorridendo: - Sedete, capitano Butler. Egli sedette pesantemente e la guardò mentre riprendeva in mano il lavoro. - Miss Melly, sono venuto a domandarvi un grande favore e - sorrise - a chiedere la vostra complicità per un piccolo inganno che certo vi farà inorridire. - Un... inganno? - Sí. Sono venuto per parlarvi d'affari. - Dio mio! Sarà meglio che vediate mio marito. Io non ne capisco nulla! Non sono davvero intelligente come Rossella! - Temo che Rossella lo sia anche troppo; ed è precisamente per questo che voglio parlare con voi. Voi sapete come... è stata male. Al suo ritorno da Tara vorrà nuovamente cominciare ad occuparsi del negozio e di quegli stabilimenti che sarei ben lieto crollassero una notte o l'altra. Ho paura per la sua salute, miss Melly. - Sí; si affanna troppo. Dovreste farla smettere; e farla pensare a curarsi. Egli rise. - Sapete com'è ostinata. Non tento mai di discutere con lei. È come una bimba caparbia; non vuole essere aiutata. Né da me né da nessuno. Ho tentato di persuaderla a cedere la sua parte dell'azienda, ma non vuole. Ed ora, miss Melly, eccomi al fatto. So che Rossella venderebbe la sua parte al signor Wilkes e a nessun altro; e io desidero che il signor Wilkes la compri. - Dio mio! Sarebbe molto bello ma... - Si interruppe e si morse le labbra. Non poteva parlare di questioni finanziarie con un estraneo. Malgrado il lavoro di Ashley, il denaro non era mai abbastanza; da parte non si poteva mettere quasi nulla e questo la preoccupava. Melania non sapeva dove andavano i quattrini. Ashley gliene dava abbastanza per il governo della casa; ma quando capitavano delle spese straordinarie, erano guai. Senza dubbio, vi erano i conti del dottore che la curava; e poi, i libri e i mobili che Ashley faceva venire da New York costavano parecchio. E vi era il vitto e il vestiario di un certo numero di orfanelli che venivano ospitati nelle cantine. Inoltre, Ashley non rifiutava mai un prestito a chiunque fosse stato nell'esercito confederato. Poi... - Desidero prestarvi io il denaro, miss Melly - riprese Rhett. - Siete molto buono; ma non saremo mai in grado di restituirvelo. - Non me n'importa. Non vi adirate con me, miss Melly! Vi prego di ascoltarmi. Sarò piú che compensato dal fatto che Rossella non si affaticherà a correre ogni giorno agli stabilimenti. Basterà il negozio a tenerla occupata e a farla contenta... Capite? - Veramente... sí... - fece Melania incerta. - Voi desiderate un pony per il vostro bambino, non è vero? E volete che possa andare all'Università e a fare il viaggio d'Europa? - Senza dubbio! - E il volto di Melania si illuminò, come sempre quando si parlava di Beau. - Vorrei che avesse tutto, ma... siamo tutti quanti cosí poveri al giorno d'oggi... - Il signor Wilkes guadagnerà molto denaro, un giorno, con l'azienda. Ed io farò in modo che Beau abbia tutto ciò che merita. - Che furbacchione siete, capitano Butler! - E Melania sorrise. - Accarezzate l'orgoglio materno! Leggo in voi come in un libro! - Spero bene di no! - E per la prima volta gli occhi di Rhett brillarono. - Dunque: volete permettermi di prestarvi il denaro occorrente? - Ma dov'è l'inganno? - Dobbiamo cospirare per imbrogliare vostro marito e Rossella. - Dio mio, no! Non potrei! - Se Rossella sapesse che ho complottato alle sue spalle, sia pure per il suo bene... conoscete il suo carattere! E temo che il signor Wilkes rifiuterebbe di accettare un prestito da me. Quindi nessuno dei due deve sapere da dove proviene il denaro. - Ma sono sicura che mio marito non rifiuterebbe se sapesse il motivo. Vuol tanto bene a Rossella... - Non ne dubito. Ma rifiuterebbe lo stesso. So come sono orgogliosi tutti i Wilkes. - Povera me! - esclamò Melania desolata. - Vorrei... Ma davvero, capitano Butler, non posso ingannare mio marito. - Neanche per aiutare Rossella? - Rhett sembrò molto offeso. - E dire che lei vi vuol tanto bene! Sulle ciglia di Melania tremarono le lagrime. - Sapete che sono pronta a qualunque cosa per lei. Non potrò mai, mai sdebitarmi di ciò che lei ha fatto per me. Lo sapete! - Sí - replicò Rhett brevemente. - So quello che ha fatto per voi... Non potreste dire al signor Wilkes che il denaro vi è stato lasciato per testamento da qualche parente? - Ma i miei parenti, Dio li benedica, sono tutti senza un quattrino! - E allora, se io mando il denaro a vostro marito per posta, senza il nome del mittente, farete in modo che sia impiegato per acquistare gli stabilimenti e non... insomma, non serva per mantenere degli ex-confederati? In un primo momento Melania sembrò offesa da queste parole che implicavano una critica per Ashley; ma Rhett sorrise con tanta comprensione che ella gli ricambiò il sorriso. - Senza dubbio. - Allora siamo d'accordo? Sarà un segreto fra noi? - Pensare che non ho mai avuto segreti per mio marito! - Ne sono sicuro, miss Melly. Melania lo guardò pensando che aveva sempre avuto ragione lei nel giudicarlo, mentre tutti gli altri avevano torto. Dicevano che era brutale, beffardo, maleducato e perfino disonesto. Ebbene! Lei aveva compreso fino dal principio che era un brav'uomo. Da lui non aveva avuto che attenzioni e cortesie, rispetto e comprensione! E come amava Rossella! Com'era buono nel pensare a questo trucco per risparmiare a Rossella una parte del lavoro a cui ella si costringeva! Impulsivamente esclamò: - È ben fortunata Rossella di avere un marito che è cosí buono con lei! - Credete? Temo che essa non sia della stessa opinione. Del resto, io desidero essere buono anche con voi, miss Melly. Vi do piú di quello che do a Rossella. - A me? - chiese perplessa. - Ah, volete dire per Beau. Egli si alzò e prese il cappello. Rimase per un attimo a guardare il visino triangolare col suo lungo mazzocchio di capelli e i dolci occhi neri. Un viso cosí poco terrestre, cosí privo di difese contro la vita! - No, non per Beau. Sto cercando di darvi qualche cosa di piú grande di Beau; non indovinate? - Non posso - replicò nuovamente stupita. - Per me non vi è nulla al mondo di piú prezioso di Beau, eccetto Ash... il signor Wilkes. Rhett la fissò, calmo, senza parlare. - Siete molto buono, capitano Butler; ma vi assicuro che sono completamente felice. Ho tutto ciò che una donna può desiderare al mondo. - Benissimo - ribatté Rhett improvvisamente cupo. - Ed io intendo darvi il modo di conservarlo.

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Se fosse stata furba, si sarebbe trovato un altro marito da un pezzo, invece di aspettare che Alex avesse messo assieme abbastanza denaro da poterla sposare. Rossella chiacchierava allegramente; ma vi erano molte cose che non raccontava; cose che preferiva dimenticare. Aveva percorso la Contea in carrozza con Will, cercando di non ricordare quando quelle migliaia di jugeri erano verdi di cotone. Ora le piantagioni erano a poco a poco riconquistate dalla foresta e folti cespugli di ginestra, arbusti di querce basse e abeti nani erano cresciuti attorno alle rovine silenziose e sugli antichi campi di cotone. Solo qualche jugero era coltivato, dove prima centinaia e centinaia venivano frugati dall'aratro. Sembrava di camminare attraverso un paese morto. - Questa regione ha bisogno di cinquant'anni per riaversi... se mai si riavrà - aveva detto Will. - Tara è la miglior fattoria della contea, grazie a voi, Rossella, e a me; ma è una fattoria, non una piantagione. E dopo Tara viene la fattoria dei Fontaine e poi quella dei Tarleton. Non fanno molti quattrini, ma vivono. Ma il resto delle fattorie e delle persone... No, Rossella non ricordava volentieri l'aspetto della contea abbandonata. Sembrava ancor piú triste di quanto non fosse in realtà, a paragone del movimento di Atlanta. - E qui, c'è niente di nuovo? - chiese quando furono finalmente a casa, seduti sotto al porticato. Per tutta la strada aveva continuato a discorrere, per paura del silenzio. Non aveva scambiato una parola da sola con Rhett dal giorno della sua caduta, e non era troppo ansiosa di restare a quattr'occhi con lui. Ignorava quali fossero i suoi sentimenti verso di lei. Era stato di una grande bontà durante la sua convalescenza; ma era la bontà di un estraneo indifferente. Aveva prevenuto i suoi desideri, impedito ai bambini di infastidirla, sorvegliato il negozio e l'azienda. Ma non aveva mai detto «Perdonami». Forse non era neanche addolorato. Forse continuava a credere che il bambino che non era nato non era suo figlio. Come poteva, Rossella, sapere ciò che si nascondeva dietro a quel viso bruno e simpatico? Però, in quel periodo aveva mostrato una certa disposizione alla cortesia, per la prima volta da quando erano sposati; e il desiderio di lasciare che la vita proseguisse come se fra loro non vi fosse mai stato nulla di spiacevole. «Come se...» pensa tristemente Rossella «fra loro non vi fosse mai stato nulla addirittura.» Ebbene, se era questo che desiderava, lei si comporterebbe nello stesso modo. - Tutto va bene - ripeté. - Hai avuto i nuovi embrici per la bottega? Hai cambiato le mule? Per carità, Rhett, togliti quelle penne dal cappello. Sembri uno scervellato, e sei capace di andare in città senza ricordarti di levarle! - No - fece Diletta prendendo il cappello di suo padre. - Tutto va bene qui - rispose Rhett. - Diletta ed io ci siamo divertiti; credo che non sia mai stata pettinata dopo la tua partenza. Non rosicchiare le penne, tesoro; sono cattive. Sí, gli embrici sono a posto; per le mule ho fatto un buon affare. Veramente non c'è niente di nuovo: tutto procede regolarmente. Poi, dopo un attimo riprese: - L'egregio Ashley è stato qui ieri sera. Voleva sapere se tu saresti disposta a cedergli il tuo stabilimento e la parte che hai nel suo. Rossella che si stava cullando in una sedia a dondolo e sventolando con un ventaglio di penne di tacchino, si fermò bruscamente. - Cedere? E dove diamine ha preso il denaro? Sai che non hanno mai un centesimo. Melania spende subito tutto quello che suo marito porta in casa. Rhett si strinse nelle spalle. - Ho sempre pensato ch'ella fosse una personcina molto economa. Ma non sono informato sui particolari delle finanze dei Wilkes come sembri esserlo tu. Era una frase nel vecchio stile di Rhett e Rossella ne fu seccata. - Vai, cara - ella disse a Diletta. - La mamma ha bisogno di discorrere col babbo. - No - rispose risolutamente Diletta arrampicandosi sulle ginocchia paterne. Rossella aggrottò le sopracciglia e Diletta la guardò a sua volta con un cipiglio tanto rassomigliante a quello di Geraldo O'Hara che sua madre quasi rise. - Lasciala stare - intervenne Rhett. - Quanto al denaro, pare che gli sia stato mandato da un tale a cui egli prestò assistenza a Rock Island, quando costui aveva il vaiolo. Il fatto che la riconoscenza esista ancora rinnova la mia fede nella natura umana. - Chi è? Una persona che conosciamo? - La lettera non era firmata e veniva da Washington. Ashley ha stentato a capire chi poteva averla mandata. Ma è naturale che un individuo come Ashley vada compiendo tante buone azioni nel mondo che gli è impossibile ricordarle tutte. Se non fosse stata enormemente stupita per la fortuna inattesa di Ashley, Rossella avrebbe raccolto il guanto, quantunque durante il suo soggiorno a Tara si fosse proposta di non lasciarsi mai piú trascinare a litigare con Rhett a proposito di Ashley. I suoi rapporti coi due uomini erano troppo incerti: ed ella non aveva intenzione di eccitarsi in proposito finché non fosse sicura del fatto suo. - E vuol comprare? - Sí. Ma gli ho detto che certamente tu non pensi di vendere. - Ti prego di lasciare che mi occupi io dei miei affari. - Mah, so che non hai nessuna voglia di rinunziare all'azienda. Gli ho detto che tu non sopporteresti di non ficcare il naso negli affari altrui... - Hai osato dirgli questo? - Perché no? Non è la verità? Credo che in cuor suo fosse d'accordo con me; ma è troppo gentiluomo per convenirne. - Non è vero! Gli venderò l'azienda! - esclamò Rossella. Fino a quel momento non aveva pensato affatto ad abbandonare la sua industria. Per molte ragioni desiderava conservarla; e il suo valore finanziario era il motivo meno importante. Negli ultimi anni aveva avuto piú volte occasione di venderla ad ottime condizioni, ma aveva sempre rifiutato. Gli stabilimenti erano la prova evidente di ciò che aveva fatto con le sole sue forze, ed ella ne era orgogliosa. Inoltre rappresentavano il solo contatto possibile con Ashley. Se li avesse venduti, avrebbe avuto assai raramente occasione di vederlo, e probabilmente non lo avrebbe mai visto solo. E voleva vederlo; voleva sapere quali erano adesso i suoi sentimenti verso di lei, se il suo amore era morto, seppellito dalla vergogna, in quella terribile sera del ricevimento. Rimanendo in rapporti di affari, avrebbe avuto l'opportunità di parlargli, senza che nessuno potesse fare osservazioni. E col tempo, ella avrebbe certo riconquistato il terreno che forse aveva perduto nel suo cuore. Ma se vendeva gli stabilimenti... No; non aveva voglia di venderli; ma stimolata dall'idea che Rhett l'aveva fatta apparire ad Ashley in cosí cattiva luce, aveva immediatamente mutato pensiero. Ashley avrebbe l'azienda, e a prezzo cosí favorevole che sarebbe costretto a riconoscere la sua generosità. - Voglio vendere!... - esclamò adirata. - Che ne pensi, adesso? Negli occhi di Rhett passò una lievissima luce di trionfo mentre egli si curvava ad allacciare una scarpina di Diletta. - Credo che te ne pentirai - rispose. Ella era già pentita delle sue parole impulsive. Se le avesse dette dinanzi a chiunque altri che Rhett, le avrebbe ritrattate senza vergogna. Perché precipitare in quel modo? Guardò suo marito con la fronte aggrondata e vide che la stava osservando col suo antico sguardo ansioso di gatto dinanzi alla tana di un topo. Quando le vide aggrottare le ciglia, rise improvvisamente, con un balenío dei suoi denti bianchi. Rossella intuí vagamente che egli l'aveva costretta in quella posizione. - C'entri per qualche cosa in questo? - gli chiese furibonda. - Io? - Inarcò le sopracciglia con sorpresa beffarda. - Dovresti conoscermi meglio. Non compio mai delle buone azioni io... se posso farne a meno.

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Ricordatevi quell'inverno a Tara quando faceva tanto freddo ed eravamo costretti a tagliare i tappeti per farne delle scarpe, e non c'era abbastanza da mangiare e non sapevamo come avremmo fatto per dare un'educazione a Beau e a Wade. Vi ricor... - Mi ricordo - rispose Ashley con stanchezza - ma preferirei dimenticare. - Non potrete dire che eravamo felici allora! E guardateci adesso! Voi avete una bella casa e un bell'avvenire. E vi è nessuno che abbia una casa piú sfarzosa della mia, dei vestiti piú eleganti, dei cavalli migliori. Nessuno ha una tavola meglio servita né offre ricevimenti piú splendidi; e i miei bambini hanno tutto ciò che desiderano. E dove ho preso il denaro per fare tutto questo? L'ho trovato sugli alberi? Nossignore! Il lavoro dei forzati e gli utili dello spaccio... - E non dimenticare l'assassinio dello yankee - fece Rhett soavemente. - È stato il tuo punto di partenza. Rossella si volse verso di lui, pronta a ribattere aspramente. - E il denaro ti ha reso molto molto felice, non è vero, tesoro? - proseguí egli, con velenosa dolcezza. Rossella trattenne le parole che stavano per uscirle di bocca e i suoi occhi passarono rapidamente dall'uno all'altro dei tre interlocutori. Melania era quasi piangente per l'imbarazzo; Ashley era diventato improvvisamente cupo e rinchiuso in sé e Rhett la osservava, fumando, con aria tranquillamente divertita. Ebbe l'impulso di gridare: - Sicuro, mi ha resa felice! Ma non riuscí a pronunciar sillaba.

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Conosco abbastanza i particolari di alcuni dei loro affari; e quando il Parlamento comincerà a scavare... Cosa che farà ben presto; e metterà sotto inchiesta anche il governatore, cercando di cacciare in prigione anche lui, se sarà possibile. Farai bene a dire ai tuoi cari amici Gelert e Hundon di prepararsi a lasciare la città da un momento all'altro; perché se agguantano il governatore, agguanteranno anche loro. Per troppi anni Rossella aveva visto i repubblicani - sostenuti dall'esercito yankee - dominare la Georgia per poter credere alle parole di Rhett dette con tanta leggerezza. Il governatore era troppo ben trincerato perché qualunque Parlamento potesse fargli del male; meno che mai imprigionarlo. - Come corri! - osservò. - Se non lo mettono dentro, per lo meno non lo rieleggeranno. La prossima volta avremo un governatore democratico, per cambiare. - E magari sarà un po' merito tuo? - chiese Rossella sarcastica. - Senza dubbio, tesoro. Me ne sto già occupando. Perciò rincaso cosí tardi la sera. Sto lavorando come non ho lavorato mai, per organizzare le elezioni. E... so che questo ti dispiacerà, signora Butler, ma sto contribuendo anche con molti quattrini. Ti ricordi che alcuni anni fa, nella bottega di Franco, mi dicesti che era una disonestà conservare l'oro della Confederazione? Ho finito col darti ragione; e quel denaro sarà speso per far tornare i confederati al potere. - Denaro buttato! - Denaro buttato quello speso per la democrazia? - Il suo sguardo la scherní; poi tornò tranquillo e senza espressione. - Non m'importa nulla di chi riuscirà nelle elezioni. Ciò che mi importa è che tutti sappiano che me ne sono occupato e ho contribuito col mio denaro. In futuro se ne ricorderanno; e questo sarà tutto a favore di Diletta. - I tuoi discorsi mi avevano quasi fatto temere che tu fossi cambiato; ma vedo che non sei piú sincero verso i democratici di quanto tu non sia stato verso chiunque altro. - Non sono mutato affatto. Ho solo cambiato la pelle. È possibile togliere le macchie a un leopardo, ma rimane leopardo ugualmente. Diletta, svegliata dal rumore di voci nel vestibolo, chiamò con voce sonnacchiosa ma imperiosa: - Babbo! - e Rhett si avviò passando davanti a Rossella. - Aspetta un momento, Rhett. Voglio dirti un'altra cosa. Devi smettere di portare in giro Diletta, nel pomeriggio, alle tue riunioni politiche. Non fa un bell'effetto. Una bambina in quei luoghi! E fai la figura di uno sciocco. Non avrei supposto che ve la conducevi, se non me ne avesse parlato zio Enrico, credendo che io lo sapessi e... Egli si volse; il suo viso era indurito. - Che cosa vedi di male nel fatto di una bambina che siede sulle ginocchia di suo padre mentre egli parla coi suoi amici? Ti sembra una sciocchezza ma non lo è. Fra qualche anno la gente ricorderà che Diletta era con me mentre io cercavo di scacciare i repubblicani dallo Stato. Lo ricorderanno e... - La durezza scomparve dal suo volto; negli occhi neri tornò a brillare la malizia. - Sai che quando le chiedono a chi vuol piú bene, risponde: «A babbo e ai democati»? E chi odia di piú: «I innegati». Grazie a Dio, il pubblico ricorda queste cose. La voce di Rossella si levò furibonda. - E magari le avrai detto che io sono una rinnegata! - Babbo! - chiamò la vocina che adesso era indignata; e Rhett, ancora ridendo, attraversò il vestibolo per andare da sua figlia.

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Finalmente Rhett decise che il pony era abbastanza sicuro perché si potesse affidargli la bimba; e l'eccitazione di questa non ebbe confini. Fece il primo salto con entusiasmo; e dopo d'allora le cavalcate tranquille con suo padre non ebbero piú fascino per lei. Rossella non poteva fare a meno di ridere per la fierezza e l'entusiasmo del padre e della figlia. Peraltro pensò che una volta passata la novità, Diletta avrebbe pensato ad altro e il vicinato avrebbe avuto un po' di pace. Ma il gioco continuava a divertire Diletta; e tutta la mattina il cortile risuonava di grida eccitate. Il nonno Merriwether, che aveva fatto la campagna del 1849, disse che gli sembravano le grida degli Apachi quando avevano tolto con successo la capigliatura a qualche nemico. Dopo la prima settimana, Diletta chiese una barriera piú alta: mezzo metro da terra. - Quando avrai sei anni - rispose Rhett - allora sarai abbastanza grande da poter fare dei salti piú alti, e io ti comprerò un cavallo piú grande. Le gambe di Mr. Butler non sono abbastanza lunghe. - Sí che lo sono! Ho saltato il cespuglio di rose di zia Melly; è altissimo! - No, devi aspettare. - E questa volta Rhett fu reciso. Ma la sua fermezza cominciò a poco a poco a indebolirsi davanti alle insistenze e ai capricci della bambina. - Beh, va bene! - esclamò finalmente una mattina, con una risata, collocando la sbarra bianca un po' piú in alto. - Ma se cadi, non piangere e non prendertela con me! - Mamma! - gridò Diletta volgendosi verso la camera da letto di Rossella - guardami! Il babbo ha detto che posso! Rossella che si stava pettinando, venne alla finestra e sorrise alla figuretta eccitata, cosí assurda nel suo abito azzurro tutto maculato. «Bisogna proprio farle un altro vestito» pensò. «Ma Dio sa come farò per farle lasciare quello sudicio!» - Guarda, mamma! - Sto guardando, tesoro. Quando Rhett sollevò la bimba e la mise sul pony, Rossella osservò con orgoglio il portamento dritto e la testolina eretta. - Sei veramente carina, gioia! - Anche tu! - rispose Diletta generosamente, e martellando col tacco le costole di Mr. Butler, galoppò verso la barriera. - Mamma, guarda come faccio questo salto! - gridò adoperando lo scudiscio. Guarda come faccio questo salto! La memoria andò a ricercare nel fondo della mente di Rossella. Vi era qualcosa di minaccioso in quelle parole. Che cosa? Perché non si ricordava? Guardò la sua figliuoletta cosí leggera sul cavallino che galoppava e la sua fronte si increspò mentre un brivido la percorreva tutta. Diletta procedeva con impeto, i riccioli neri al vento, gli occhi azzurri splendenti. «Somigliano agli occhi del babbo» pensò Rossella; «occhi irlandesi. E gli somiglia veramente in tutto!» Al pensiero di Geraldo, il ricordo le tornò chiaro con la rapidità del lampo, illuminando per un istante un'intera zona di campagna di una luce innaturale. Udí una voce che cantava in irlandese, udí il veloce scalpitar di zoccoli che salivano l'altura di Tara, udí una voce simile a quella della sua bambina: - Elena! Guarda come faccio questo salto! - No! - urlò. - No, Diletta! Fermati! Mentre si curvava fuori della finestra, vi fu un pauroso scricchiolío, un grido rauco di Rhett, una confusione di velluto azzurro e di zoccoli agitati sul suolo. Quindi Mr. Butler balzò in piedi e si allontanò al trotto con la sella vuota.

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Il romanzo della bambola

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Contessa Lara 3 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • paraletteratura - romanzi
  • UNICT
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Il cuore tiene luogo di molta ricchezza; Camilla non avea che il suo povero cuore di bimba diseredata da offrirle; ma la Giulia aveva sofferto abbastanza, trascinata da un mobile all'altro, rinchiusa dentro l'armadio come uno straccio in disuso, perchè non le importasse più nulla, nè di balli, nè di cene, nè di gite in carrozza, nè di case signorili. Capiva che il carattere di quella bambina era serio, che il suo cuore era buono, costante; e un benessere nuovo, un sentimento di sicurezza de' più dolci la riempivano di gioia, di serenità. Povera e felice! non si curava di tutto quanto lasciava dietro a sè di frivolo. Avrebbe fatto vita nuova... pelle nuova - almeno nel piedino straziato. Sicchè disse addio, malinconica ma senza rimpianti, alla elegante casa de' Rivani, dove aveva conosciuto la vita di chi si diverte, non quella di chi è amato davvero. La Marietta la vide andarsene senza farle una carezza, senza darle un addio, senza nè anche prenderla in braccio un'ultima volta: ormai, agli occhi suoi, la Giulia era un balocco guasto e null'altro. Nel cortile, dappiede alle scale, il Moro insellato per la passeggiata a Villa Borghese, aspettava, tenuto per la cavezza, la padroncina, sbuffando e raspando, co' segni della più viva impazienza. Girò la testa quando la signora Amalia e Camilla scesero le scale. La bambola avrebbe voluto stringersi ancòra più alla sua nuova amica; fissò gli occhi sul cavallo capriccioso come la Marietta... e se le lacrime del cuore potessero filtrare attraverso il vetro, due lacrime, forse, avrebbero rigato quel visetto di porcellana rosea, nell'ultimo distacco dalla prima persona amata.

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Non era, c'è da figurarselo, un capolavoro d'arte, quel piedino, di forma piuttosto chinese che greca; ma, intanto, la bambola vi si reggeva sopra abbastanza bene, senza zoppicare; e coperto, come doveva stare, dalla calzetta, nè pure si vedeva che fosse d'una pelle più chiara di tutto il resto del corpo. Terminato che l'ebbe d'attaccare, la fanciulla rizzò su la tavola la Giulia, che pareva un'altra volta sana. Fu proprio in quel punto, che, tutta commossa e felice per quel che le era riuscito di fare, l'aveva baciata in faccia, come una sorella che si vede uscire salva da un grande malore. La Giulia, un po' barcollante fra le mani di Camilla, avrebbe voluto rispondere anch'ella co' suoi baci a quell'atto d'amore; e le sarebbe parso d'essere la bambola più felice del mondo se avesse potuto, come un tempo, esclamare: - Mamma! - proprio quando Camilla le premeva la bocca su la guancia; perchè sentiva che la sua vera mamma, quella destinata da Dio, come tutte le buone mamme, era proprio Camilla; ma, ahimè, il congegno che la faceva pronunziare il benedetto nome era spezzato, spezzato per sempre; e per quanti sforzi facesse per far uscire dal suo petto un po' di suono e mettere insieme quelle due sillabe, a nulla riusciva, e rimaneva muta, sotto l'impressione violenta e soave di quel bacio, come incantata. Ah, scellerato congegno che, non avendo nulla che fare col suo sentimento, le avea fatto cento volte chiamar mamma la Marietta! Si fosse almeno rotto prima, nel viaggio da Milano a Roma, o glie lo avessero riadattato adesso, adesso che provava veramente l'affetto filiale in tutta l'intensità di cui era capace! Quante parole tenere si sprecano, a volte, per chi non se le merita, mentre si resta muti quando poi viene il momento dell'amor vero! Tutto questo la bambola lo sentiva confusamente, ma soffrendone. Quando il piedino fu accomodato, la bimba pensò a farle un po' di corredo, sempre con degli avanzi di roba che la signora Amalia le accordava perchè non servivano più in casa. Avrebbe potuto, forse, procurarsi qualcosa di meglio: non foss'altro de' pezzetti di nastro e di trina da qualche sua compagna di scuola; ma aveva troppo amor proprio per chiedere un'elemosina per la sua cara; meno poi che a chiunque altri alla Marietta, che, secondo lei, era stata tanto cattiva con la povera Giulia. Messa insieme un po' di robicciola, c'era poco tempo per cucirla; e quel poco Camilla se lo levava dal sonno. Bisognava vederla alzarsi senza far rumore, prima dell'alba, e mettersi lì avanti al suo canestro a tagliare e agucchiare, ingegnandosi di far meglio che poteva. Sur una seggiola a fianco si teneva la Giulia, che la fissava co' limpidi occhi turchini, grata di tutta quella fatica fatta per lei. Non le importava, no, più delle gonnelle guarnite di merletto vero, de' vestiti di velluto e damasco, de' cappelli con le penne di struzzo, de' manicotti di pelliccia rara. Un abitino di cotone, e dei baci; uno sciallino ch'era stato un fazzoletto di colore, e dei baci; nulla in testa, tranne i suoi bei capelli biondi, che Camilla pettinava più accuratamente de' capelli propri, e dei baci. Vita nuova per lei, come per la sua piccola amica. Avevano messo insieme le loro due solitudini; avevan fatto di due cuori, destinati al silenzio, un cuore solo; e così si consolavano l'una con l'altra. Una volta - questo era uno dei ricordi più gentili della bambola - la zia de' Rivani avea regalato uno scudo d'argento a Camilla, perchè potesse comprarsi dei dolci; ma la signora Amalia, appena uscita la sorella, s'era impossessata, manco a dirlo, del denaro, lasciando alla bambina soltanto un soldo, che, diceva lei, bastava per pigliare una pasta.

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- Una volta che la Giulia avea passato parte della giornata presso una bimba sordo-muta, figlia di un orefice abbastanza agiato che vendeva oro e gemme con pagamento a un tanto il mese, esercitando così una specie d'usura senza che i clienti troppo se n'avvedessero, ella fu riportata a casa prima che rincasasse la Rachele, andata a visitare certi parenti, su a Roma Nuova. Fu Attilio che ricevette la bambola dalle mani della piccola sordo-muta. - Questo è il momento! - pensò il ragazzo, aggranfiando la Giulia e portandola in fondo al retrobottega, all'ombra d'un armadio. Un istante, esitò. O non era meglio dare il giocattolo a Sarina perch'ella ci si divertisse a suo piacere? No; era troppo buona Sarina; non avrebbe, certo, tenuto una cosa a dispetto della persona cui apparteneva, tanto più non potendola pagare. Bisognava, dunque, dare un dispiacere alla Rachele, null'altro. Che fare? Tagliuzzar l'abito, magari il corpo della pupattola? Ma la Rachele l'avrebbe coperta d'un'altra veste, facendo, per di più, frustar lui, Attilio, dal padre. Qualcosa di peggio, allora. E andò a frugare in un cassetto di cianfrusaglie per cercarvi un vecchio temperino irrugginito, ridotto quasi una seghetta, tanto avea la lama intaccata. Poi, presa la Giulia, la distese lunga sur una panca dov'egli saltò a cavalcioni, e si curvò tutto sul viso di lei, che teneva fermo. La bambola, spaventata, avrebbe voluto far un balzo indietro e gridare aiuto, misericordia, perchè l'assassinavano. Ma dovette sopportar, come sempre, (così facciamo anche noi!) il proprio destino, e abbandonarglisi in silenzio, immobile. Attilio cominciò a passarle il temperino su le guance, facendo in lutto e in largo de' fregacci a uso croci. La lama rozza e guasta raschiava la fine porcellana, portandosene via il bel color di rosa e solcandola tutta di rughe. Per la Giulia, ognuno di quegli sfregi in faccia era peggio d'una coltellata in cuore; non che a lei, ormai, importasse più della sua bellezza, triste e finita come si sentiva; ma l'addolorava quella viltà commessa sur una povera cosa che non aveva alcuna colpa dei rancori sciocchi e perversi tra' due fratelli. Il temperino continuava a deturparla: l'aveva ferita in torno agli occhi, sul mento, su la fronte, da per tutto, stridendo sinistramente: come un malvagio che rida mentre fa una cattiva azione. Quando ella non fu più che un mostro, cessò il supplizio, e Attilio, con un riso diabolico, guardandosi bene attorno per paura di esser visto, andò a buttar il giocattolo rovinato sul letto della Rachele. Costì la Giulia ricordava e rifletteva: - Ah, Signore, è proprio vero che non bisogna mai lagnarsi d'un male, perchè può capitarne uno peggiore. Un giorno, bella, ricca, vanitosa, era diventata brutta, e povera, avvilita; amava una creatura al punto di sentire antipatia per tutte le altre, e quella era morta; le pareva d'essere l'ultima delle infelici in quella casaccia, e adesso... adesso, per di più metteva paura a chi la vedeva! Nella sua desolazione un pensiero la consolò: s'ella era ridotta a quel modo, nessuna bambina l'avrebbe più voluta pagare nè anche la miserabile moneta di un soldo; e non le sarebbe più stata inflitta l'umiliazione di esser ceduta a ore, cambiando ogni momento di padrone e d'abitazione. Quando la Rachele, tornata tutta allegra da casa de' parenti, trovò la sua pupattola ridotta in quello stato, il pallore giallognolo del viso le si fece addirittura terreo. Indovinò che il tradimento era stato di Attilio: da quell'invidioso tutto amore per Sarina si aspettava qualunque brutta cosa. Lo avesse almeno avuto fra le mani come aveva la bambola! Ma a punirlo ci avrebbe pensato di sicuro, il babbo; non dubitasse il signor Attilio! Della Giulia, non ebbe alcuna pietà; il suo solo rincrescimento era di non potersene più servire per darla a nolo. E di nuovo il pensiero le corse a suo padre, che le avrebbe in qualche modo procurato qualche altro giocattolo, ora ch'ella si era avvezzata a quella piccola speculazione. È impossibile descrivere la scena ch'ebbe luogo tra il rigattiere e il figlio, quando la Rachele mostrò al padre la pupazza sciupata. Attilio si buscò almeno una mezza dozzina di scapaccioni, che, del resto, s'era ben meritati; ma dietro le spalle del vecchio diede alla sorella un tale spintone da mandarla a sbattere contro il muro. Nel parapiglia ci andò di mezzo anche la povera Giulia, che cadde bocconi sotto la tavola, e lì rimase tutta la notte, sul pavimento umido, fino che il giorno di poi il vecchio la raccattò per portarla in una soffitta che gli serviva per la roba da sbratto; certa roba così impolverata e ammuffita da obbligare un cristiano, vedendola, a farsi il segno della croce. Ah, se Camilla, la sua Camilla fosse tornata al mondo, chi sa che pianto!

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