Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Da Bramante a Canova

251033
Argan, Giulio 5 occorrenze

Non tanto interessa stabilire che cosa l’artista abbia ideato e non potuto realizzare (su questo punto siamo abbastanza documentati); ma come, nel naufragio, abbia salvato il salvabile, recuperato valori compromessi, messo a profitto le circostanze avverse ed, infine, È fatto il restauro del restauro: tenendo presente che non tanto l’invenzione brillante quanto proprio il tormentoso svilupparsi dell’idea attraverso i dati di fatto, propizi o contrari, è il carattere veramente nuovo della progettazione borrominiana, sempre intimamente legata al farsi, alla vicenda esistenziale dell’opera.

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La facciata, secondo il primo progetto documentato da una medaglia coniata per la fondazione, era convessa, ad un solo ordine, abbastanza bassa da lasciare in grande evidenza, come elemento essenziale, la cupola. Era dunque ancora, come la facciata cortonesca di S. Luca, un organismo plastico. Come in S. Luca, infatti, due contrafforti laterali emergono per richiamare, all’esterno, lo schema cruciforme inscritto nell’ellissi; e anche qui il raccordo con il corpo convesso è affidato a un’intensificata degradazione prospettica, a un rapido e penetrante gioco di scorci interni, a una convergenza di piani la cui intersezione, o generatrice ideale, è all’interno, nel vano della chiesa. Il frontone è spezzato per sottolineare la coassialità della facciata e della cupola, e anche quest’ultima è ideata come un forte organismo plastico, con costoloni ribaditi, incatenato al corpo dell’edificio da una raggiera di grandi volute.

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Non l’evento, abbastanza comune, voleva rappresentare l’artista, ma la situazione che lo aveva «ispirato».

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Né daremo mai abbastanza ragione alla Griseri che, così acutamente, ha inteso come la concezione guariniana dell’architettura continua nello spazio continuo porti necessariamente alla più profonda delle «metamorfosi del Barocco»: quella della forma in segno.

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L’accostamento di un giovane e di un vecchio, abbastanza frequente nel Seicento e nel Settecento, adombra generalmente il contrasto di ideale e pratica: e la scultura veneta del tempo era tutta «di pratica», tanto povera di «ideale» quanto fornita di espedienti e di virtuosismi tecnici per adattarsi alle più diverse applicazioni ornamentali. La vecchia generazione dei «pratici» aveva ridotto l’arte all’artificio; ma il giovane (che forse raffigura, idealizzato, lo stesso Canova) calpesta le false ali ingegnosamente conteste, tiene in mano come per gioco una penna ed un pezzo di fune e, mentre sorride de]l’inutile armeggiare del vecchio, è tutto assorto nella visione, che già sembra abbacinarlo, della gran luce del sole, in cui volerà tra poco. Di sotto l’ala che è a terra spuntano foglie e fiori: l’artificio tecnico sovrasta la natura, ma l’ideale sovrasta l’artificio. Quando il Canova lavorava al gruppo, il suo protettore Giovanni Falier già progettava di mandarlo a studiare a Roma; ed il giovane era riluttante, diceva che «la natura si trova ovunque». Ma non era un segno di attaccamento ai suoi maestri veneziani, il cui pittoricismo rococò non era nient’affatto naturalistico: la natura che «si trova ovunque» era semplicemente il dato dell’esperienza empirica, l’inevitabile traguardo cli partenza per la salita verso lo «ideale», che era al di là di ogni esempio storico, anche dell’antico.

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