Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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LA DANZA DEGLI GNOMI E ALTRE FIABE

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Gozzano, Guido 2 occorrenze

Comparvero tutti, ma nessuno era abbastanza piccolo per entrare dalla serratura nello spogliatoio della Bella. Vi riuscì finalmente il reattino, perdendovi quasi tutte le penne, e portò la forcella al desolato Nonsò. Nonsò presentò la forcella alla Principessa. - Al presente - disse il Re - voi non avete più motivo per ritardare le nozze. - Sire, una cosa mi manca ancora e senza di essa non vi sposerò mai. - Parlate, Principessa, e ciò che vorrete sarà fatto. - Un anello mi manca, un anello che mi cadde in mare, venendo qui... Venne ingiunto a Nonsò di ritrovare l'anello, e quegli si mise in viaggio con la giumenta fedele. Giunto in riva al mare chiamò il pesce e questo comparve. - Ritroveremo l'anello, fatti cuore! E il pesce avvertì i compagni; la notizia si sparse in un attimo per tutto il mare e l'anello venne ritrovato poco dopo, tra i rami d'un corallo. La Principessa dovette acconsentire alle nozze. Il giorno stabilito s'avviarono alla cattedrale con gran pompa e cerimonia. Nonsò e la cavalla seguivano il corteo regale ed entrarono in chiesa con grave scandalo dei presenti. Ma quando la cerimonia fu terminata, la pelle della giumenta cadde in terra e lasciò vedere una Principessa più bella della Bella dalle Chiome Verdi. Essa prese Nonsò per mano: - Sono la figlia del re di Tartaria. Vieni con me nel regno di mio Padre e sarò la tua sposa. Nonsò e la Principessa presero congedo dagli astanti stupefatti, né più se n'ebbe novella.

Sono già stata punita abbastanza! I Sovrani entrarono nella camera della figlia e il Re, vedendola risanata, abbracciò il medico. - Vi offro la mano della Principessa: vi spetta di diritto. - Grazie, Maestà! Sono già fidanzato con una fanciulla del mio paese. - Vi spetta allora metà del mio regno. - Grazie, Maestà! Non saprei che farmene! Sono pago di questa borsa vecchia, di questa tovaglia, di questo mantello logoro... Cassandrino, fattosi invisibile, prese il volo verso il paese natio, restituì ai fratelli i talismani recuperati e, sposata una compaesana, visse beato fra i campi, senza più tentare l'avventura.

Al tempo dei tempi. Fiabe e leggende delle Città  di Sicilia

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Perodi, Emma 3 occorrenze

Cambiava ogni momento le cameriere del Palazzo Reale perché gli pareva che non fossero abbastanza pulite, e le voleva giovani, non giovandosi che le vecchie lavassero la sua biancheria, gliela stirassero, nè gli spolverassero i vestiti. Una volta ne mandò via una sui due piedi perché la vide grattarsi la testa con l'indice; un'altra volta ne cacciò una come una ladra perché la sorprese con la punta del mignolo nel naso. Un giorno poi mise sottosopra tutto il palazzo e fece correre anche le guardie perché vide una pulce attaccata alla carne del collo di una povera donna di faccende. Dunque il Re cercava sempre donne di servizio e ogni tanto domandava ai suoi camerieri : Dite, ce l'avreste una ragazza giovane, sana e pulita di molto per entrare al mio servizio ? - Venne il giorno che fece questa domanda anche a quel cameriere che aveva veduto cader l'acqua dal terrazzino della casa di donna Peppa e di donna Tura. - Don Giovanni, - gli disse il Re - che novità ci sono ? - Io, Maestà, non ho alcuna novità da raccontare ; soltanto oggi ho adocchiato una certa casa dove deve esservi una ragazza bella e pulita ; se Vostra Maestà la vuol vedere.... - Sì, don Giovanni, la voglio proprio vedere e subito domattina prima di mezzogiorno. - Vedremo, Maestà ! - Che vedremo ! - ribattè il Sovrano. - Con me non si dice vedremo ! Domani quella ragazza ha da esser qui a tutti i costi, così ordino, e così voglio! - Quando il Re ordinava e il Re voleva, bisognava obbedire senza fiatare. E così fece don Giovanni, che uscì, camminando all'indietro, senza risponder nulla. La mattina dopo era appena giorno quando il cameriere andò a bussare all'uscio delle due sorelle. - Chi è ? - domanda donna Peppa fra il sonno, con una vociaccia più brutta di lei. Il cameriere, nel sentire quella voce chioccia di donna bavosa e vecchia, stava per fuggire, ma poi pensò : - Sarà la donna di servizio, - e rispose : - Sono il cameriere di Sua Maestà il Re nostro signore per grazia di Dio ! - Ma che re e non re ! Noi col Re non abbiamo mai avuto nulla da spartire, e a quest'ora non si viene a molestar la gente ; andatevene ! - La sorella, sentendo che era un messo del Re, mise le gambe fuori dal letto, s'infilò la sottana e scese per andare ad aprirgli. Risalì col cameriere e questi si guardò intorno e domandò : - Che siete sola ? O le altre dove sono ? - Ma si può sapere chi cercate ? - domandò donna Tura mettendosi le mani sui fianchi e fissandolo con gli occhietti di porco. - In casa ci sono io, e lì in quella stanza c'è la mia sorella Peppa. - Chiamatela, che debbo parlare con lei. - Donna Tura, lemme lemme andò a chiamarla. Quando il cameriere si vide davanti quelle vecchie orrende, si sgomentò tutto, ma pensò : - Col Re non si scherza, e se lo faccio aspettare e non gli porto nessuno, sale in furia e mi manda certo a morte ; se, invece, vede un orrore di donna, è capace di mettersi a ridere e di sgridarmi soltanto ; dunque è meglio portargliene una di queste, benché facciano spavento tutt'e due. - Allora il cameriere disse a donna Tura, che era la maggiore : - Il Re vi vuole subito, e il Re non intende di aspettare. Dunque vestitevi per bene e io vi ci accompagno. - Ma il signor Re che può mai volere da me ? - Non lo so, e non facciamo chiacchiere inutili. Piuttosto sbrigatevi in un momento. - Donna Tura andò in camera sua tutta tremante e confusa. E mentre si pettinava i cernecchi, pensava: - Ma che vorrà mai il signor Re ? Ma che vorrà ? - Quand'ebbe terminato di pettinarsi, si mise una sottanuccia nuova di cotone a fiori, un paio di pendenti falsi, un vezzo di vetro, si legò intorno al collo enorme un nastro vecchio, perché era povera, e si infilò un paio di scarpe, le meglio che avesse. Poi si buttò sulle spalle una certa mantellina dell'anno mai, e così agghindata, che pareva la Befana, si presentò al cameriere. Non appena don Giovannino la vide, si sentì morire e sospirando disse : - Via, andiamo!!! - Scendono le scale, escono e salgono nella carrozza che aveva portato il cameriere e i cavalli partono. Ma avevano fatto pochi passi che donna Tura disse : - Fatemi il favore di far fermare un momento che debbo scendere, - e lo disse con l'intenzione di scappare e non tornar più perché non aveva coraggio di comparire davanti al Re così brutta e mal vestita. Il cameriere chiama il cocchiere, fa fermare e donna Tura scende e tutta piangente imbocca un vicolo e si mette a correre all'impazzata, ansando come un mantice. Mentre correva così, senza sapere dov'andarsi a nascondere, viene a passare una Fata, che, vedendola tanto disperata, la ferma e le dice: - Figlia, che hai che piangi tanto ? - State zitta ! Peggior disgrazia non poteva capitarmi. Il Re mi ha mandata a chiamare, e come faccio a presentarmi a lui così brutta e vecchia da far paura ? - Figlia mia, non t'affliggere; non sei brutta davvero ; anzi, sei tanto bella, - e le passò la mano sulla testa, sul viso, sulle spalle e poi se ne andò. Bastò quella carezza della Fata perché a un tratto da brutta si facesse bella, da vizza si facesse fresca. E come cambiò lei, così cambiò tutto quello che aveva addosso : il vestito si convertì in un abito sontuoso di broccato, i pendenti falsi in orecchini di diamanti, il vezzo di vetro in un magnifico vezzo di perle e quel mantellaccio dell'anno mai in un sontuoso mantello tutto foderato d'ermellino. Donna Tura, quando si vide così ben vestita da parere una principessa, smise a un tratto di piangere, si fece tutt'allegra e tornò addietro a cercare la carrozza. Figuriamoci come restasse il cameriere nel vedere quella bella ragazza che gli faceva cenno di aprir lo sportello ! - Ma chi è lei ? - le domandò. - Chi sono ? Ma quella di poco fa. - Ma come mai in un momento è così cambiata? - Questo non deve importarvi ; aprite e andiamo dal Re ! - II cameriere si sentì allargare il cuore di condurre al Re quella bella cameriera vestita come una gran signora e dette ordine al cocchiere di sferzare i cavalli. Arrivarono al Palazzo e don Giovanni per una porticina e per una scala di servizio, condusse donna Tura in un salottino privato del Re e le disse d'aspettare. Quando il Re entrò la squadrò da capo a piedi. - E lei chi è ? - le domandò. Donna Tura fece una bella riverenza e rispose con una vocina tutta latte e miele : - Maestà, sono la nuova cameriera portata da don Giovanni. - Badi, - le rispose il Re che vedendola così bella e ben vestita non s'attentava a darle del voi come alle altre - io sono molto esagerato per la pulizia. - Per questo, - rispose donna Tura - Vostra Maestà può stare tranquilla, perché io sono veramente sofistica e non posso tollerare nè macchie, nè polvere e non mi piace altro che l'acqua. Guardi le mie mani, come sono pulite, e le unghie ? Così le tengo sempre anche quando faccio il servizio. - II Re s'accostò per guardarle le mani e sentì che la cameriera era tutta profumata. - Bene ! Bene ! - esclamò. - Lei è proprio la cameriera che fa per me, e lei sola pulirà i miei abiti, avrà cura della mia biancheria e delle mie stanze particolari. Se mi contenta, non dubiti che la pagherò bene e alla mia Corte potrà invecchiare. - Donna Tura fece un';altra bella riverenza e uscì per farai indicare dal cameriere quel che doveva fare. Ora lasciamola e torniamo all'altra sorella. Donna Peppa, il giorno dopo, aspetta aspetta, e non vedendo tornare la sorella, si veste e va al Palazzo del Re a cercarla, e là giunta la fa chiamare. Donna Tura le va incontro tutta impettita e la guarda d'alto in basso come se neppure la conoscesse, perché era brutta e vestita male e, senza neppur lasciarla parlare, le mette in mano un'elemosina e le dice: - Buona donna, eccovi una moneta, andate in pace! - Donna Peppa se ne andò, brontolando e sputando veleno, e si fece anche più gialla e più secca dalla grande invidia che la rodeva. - Come, siamo cresciute insieme, siamo invecchiate insieme, siamo sorelle e mi tratta così ? - diceva con la sua vociaccia di dispettosa. - Lei ora o giovane, è bella, è al servizio del Re e finge di non conoscermi più. Ma che posso fare per diventar giovane e bella anch'io, e prendere il suo posto? - Brontolò e si logorò tre giorni sola sola, senza neppur mangiare ; il quarto rieccola a Palazzo Reale a far chiamare donna Tura. Questa scende, la guarda, al solito, d'alto in basso, le fa l'elemosina e le dice: - Buona donna, eccovi una moneta, andate in pace! - Ma donna Poppa le aggranfia la mano mentre l'altra le faceva l'elemosina e le dice : - Se non mi confessi come facesti a diventare giovane e bella, prima sfilo tutto il rosario e poi ti faccio arrestare. - Zitta, zitta ! - rispose donna Tura. - Vieni stasera sotto la Torre Pisana, alla mezzanotte, e ti getterò giù una borsa con l'indicazione che chiedi e il danaro che occorre per pagare chi ti darà gioventù e bellezza. - La vecchia allampanata se ne andò allora tutta contenta, e la sera sul terrazzino di casa sua cantava con la voce di strega mummificata : - Turì ! Turì ! Turì ! Turù ! Oh! quant'è bella la gioventù ! - Quando fu vicina la mezzanotte si rinvoltò in une scialle e pian piano s'avviò al Palazzo Reale e si mise sotto la Torre Pisana. Di lì a poco s'aprì un finestrino in cima alla torre, comparve una testa, e una voce di donna chiamò : - Peppa, ci sei ? - Ci sono; - rispose donna Peppa di giù. Allora dall'alto cadde un sacchetto pesante ai piedi di donna Peppa, la testa di donna scomparve e il finestrino si richiuse. - Mi voleva ammazzare ! - disse donna Peppa - e per questo ha sacrificato anche dimolti danari. Meno male che l'ho passata liscia e che i danari mi rimangono. - Tutta contenta s'incamminò per tornare a casa, ma andava piano piano, un po' per la vecchiaia, un po' perché quel sacchetto le pesava. Giunta che fu davanti a Sant'Antonio eccoti che di dietro a una cantonata sbucano fuori quattro mori con la papalina e vanno per chiapparla. Ma donna Peppa spalanca le braccia per chiedere aiuto, e i quattro musulmani, vedendo quella bocca che pareva un forno, quel viso incartapecorito, quei radi cernecchi ritti dallo spavento, la prendono chi sa per quale strega e fuggono spaventati. Allora sì che donna Peppa arrancava per isbrigarsi e giungere presto a casa, ma allora sì che andava piano e che le gambe le facevano cicche ciacche. Basta, tutte le cose vengono a termine e venne a termine anche quella passeggiata notturna per le vie di Palermo. Appena a casa la vecchia dovette mettersi a letto perché non ne poteva più, e in letto lesse il biglietto di donna Tura, che diceva : Chi bella vuol apparire Qualcosa ha da soffrire. Io andai da un barbiere, mi feci tutta scorticare e sotto mi tornò la pelle fresca come a quindici anni. Poi andai da un cavadenti, mi feci levare tutte le radiche dei denti rotti e mi tornarono tutti come perle. Finalmente mi strappai i cernecchi e per ogni capello bianco strappato, me ne tornarono cento castagni. Fa’ come me e tu pure sarai giovane e bella. Qui troverai il danaro per le spese necessarie. " Donna Peppa quella notte non chiuse occhio, e, volta di qua, volta di là, non pensava altro che a tornare giovane e bella e andare a presentarsi al Re come cameriera. - Ai miei tempi, - diceva fra sé - ero bella, molto più bella di Tura, che è stata sempre piccola e tozza. Se mi tornasse il personale come a vent’anni oltre il viso e le spalle ! Se potessi cacciar dal Palazzo Reale quella smorfiosa di mia sorella !... - e le pareva già di vedersi tornata una bella ragazza bella davvero, e stabiliva quali vestiti, quali gioielli si sarebbe comprata con le monete che le aveva gettate la sorella dal finestrino. La mattina, si alzò a stento, e si mise al terrazzino ad aspettare che aprissero le botteghe. Quando vide che i bottegai incominciavano a comparire sulle soglie, si vestì e se ne andò dal primo barbiere di Palermo. - Buon giorno, - disse. - Buon giorno, - rispose l'altro - in che posso servirvi ? - Vorrei che mi scorticaste il viso. - Il barbiere fece un salto. - M'avete preso per un macellaio? Dovete sapere che io sono maestro nell'arte, e chi si affida alle mie mani non ha neppure una scalfittura alla pelle. - Ma io voglio essere scorticata e pago bene, - e nel dir questo battè sul sacchetto delle monete. A quel suono il barbiere si rabbonì. - Se volete proprio essere scorticata, vi posso scorticare, ma ad un patto. - E quale? - Che mi firmiate un foglio nel quale dichiarate che siete stata proprio voi che avete richiesto da me questo pessimo servigio. - Ve ne firmo cento dei fogli, non uno e se poteste sapere come diventerò dopo scorticata, non direste che il servigio che mi renderete è pessimo. - II barbiere stese la dichiarazione e donna Peppa la firmò. - Ora scorticatemi, - disse - Un momento, buona donna. Siccome vi farò soffrire non poco, sarebbe meglio che mi pagaste avanti ; dopo potreste perder la memoria. - Ma sicuro ; vi pagherò ora, e dopo avrete una buona mancia. - E lo pagò in tante monete d'oro. Dopo averle riposte a chiave in un cassetto, il barbiere disse : - Siate forte però e sedete qua, - e le indicò una sedia. Poi prese un rasoio e incominciò a tagliarle una striscia di pelle in mezzo alla fronte. Ma appena dette il primo colpo di rasoio, la vecchia si mise a strillare come un'anima dannata. - Ahi ! Ahi ! Ahi ! - Volete che smettiamo ? - chiese il barbiere. - No, no ! Scorticatemi, che voglio apparir bella come la sorella mia, e dopo che mi avrete scorticata, andrò dal cavadenti a farmi cavare le radici dei denti rotti, poi mi strapperò i cernecchi e allora a Palermo, nè in tutto il mondo ci sarà ragazza più bella e più fresca di me. - II barbiere rideva a più non posso. Egli dette un altro colpo di rasoio più giù, e la vecchia strillò più che mai. - Ahi! Ahi! Ahi ! - Smetto ? - domandò il barbiere. - No, no ! Scorticatemi, che voglio apparir bella come la sorella mia. - II barbiere continuò a scorticarla, e taglia taglia, finalmente giunse a scorticarle la gola. Ma qui la pelle era più dura che sul viso ed egli, volendola intaccare, le tagliò il gargherozzo e donna Peppa morì senza farsi cavare le radici dei denti rotti, e senza strapparsi i cernecchi, che non aveva. Alle grida della donna si radunò una gran folla davanti alla bottega, e la gente, vedendo la vecchia ridotta peggio d'un Ecce Homo incominciò a far tumulto. - Arrestatelo ! - diceva, accennando al barbiere. - Mettetelo a morte. È lui che l'ha ammazzata, poveretta. - Vennero le guardie e davvero lo volevano ammanettare e portare in prigione, ma il barbiere cavò fuori la carta firmata da donna Peppa e nessuno osò più accusarlo. Ora lasciamo la vecchia morta e torniamo alla sorella viva. Al primo colpo di rasoio che il barbiere aveva dato in mezzo alla fronte di donna Peppa, nello stesso punto preciso era caduta la pelle nuova a donna Tura ed a quel posto erano ricomparse le rughe. Più il barbiere scorticava una sorella, e più la pelle cadeva all'altra che l' aveva perfidamente consigliata a farsi scorticare. Quando donna Peppa tirò il fiato per l' ultima volta, donna Tura era ridotta un mascherone e le sue vesti belle, linde ed eleganti s'erano convertite in luridi stracci. In quel momento il Re la fece chiamare per preparargli la biancheria, e quando si vide davanti quella vecchia sudicia e brutta, con i baffi lunghi e le labbra bavose che le pendevano sul mento, andò su tutte le furie. - Chi siete ? Perché siete venuta fin qui a insudiciare con le vostre manacce la mia biancheria ? Andatevene ! Io voglio donna Tura. - La vecchia ebbe un bel dirgli che donna Tura era lei ; il Re la fece cacciare dalle guardie, ed ella dovette tornarsene a morir sola sola nella misera casuccia. Ogni notte poi le appariva la sorella col viso tutto scorticato e sanguinante, che le diceva con voce lamentevole e piena di doloroso rimprovero : - Perfida ! m'hai fatto morire, ma sei stata punita. -

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- La signora aveva inteso abbastanza. Fece cenno alla cameriera di salutare la comare e tutte e due se ne andarono: Vincenza tutta lieta, la signora con un diavolo per capello. Arrivò a casa di corsa e tutta trafelata andò dal figlio e gli disse: - Quella ragazza tu non la sposerai, se la madre non confessa come da pezzente è divenuta signora ! - II povero Cavaliere si sentì morire. Egli non voleva dire che i quattrini a donna Paola glieli aveva dati lui, e a Maricchia non voleva rinunziare. - Perché prestate orecchio alle calunnie? - Non sono calunnie; è la verità che un mese addietro donna Paola stava in una catapecchia ed era una pezzente, dunque ? - Avrà rivendicato qualche eredità! - Ma che eredità, se è figlia di poveri, se il marito era facchino del porto, se.... - La signora soffocava dalla rabbia all' idea che suo figlio potesse imparentarsi con certa gente. - Io sposerò Maricchia anche figlia di facchino, anche povera ! - disse. In quel mentre capitò il padre, che aveva udito il diverbio, e quando fu informato del motivo di esso, dichiarò anche lui che non voleva assolutamente che si facesse il matrimonio, anzi ordinò al figlio di prepararsi a partire per Palermo ove aveva un vecchio zio, e gli promise che la moglie l'avrebbe trovata più bella di Maricchia e certo di miglior condizione, e senza dargli tempo d'avvertirla, lo fece imbarcare su una nave già pronta e lo spedì via. Torniamo a Maricchia. Aspetta aspetta il Cavaliere, il Cavaliere non si vedeva e Maricchia era nelle smanie. Passa un giorno, ne passano due, ne passano tre, finalmente Maricchia manda la cameriera al palazzo del promesso sposo a prender notizie, e la cameriera fa l'ambasciata a donna Vincenza. - Mi manda la signorina Maricchia a prendere notizie del suo promesso sposo, lo riverisce e gli fa dire che aspetta con impazienza una sua visita. - Risponde donna Vincenza trionfante : - Dite a Maricchia, figlia di Totò il facchino del porto, che il Cavaliere è andato a Palermo a sposare una signora pari suo e che tornerà soltanto con la moglie. - Figuriamoci quel che provasse Maricchia nel ricevere l' ambasciata ! Perse il lume degli occhi, si gelò tutta e cadde in terra lunga distesa, coi denti chiusi, intirizzita come se fosse di marmo. La portarono sul letto e chiamarono subito i medici della città che tentarono tanti rimedi, ma Maricchia non ritornava in sé. Passa un giorno, passa un altro e la ragazza sempre rimaneva insensibile. Provarono a pungerla con gli spilli, ad avvicinarle la fiamma agli occhi, a toccarla con oggetti infocati, nulla. Era bella, bianca, con le labbra scolorate, e non si alterava punto. Chi diceva che era viva, chi diceva che era morta e bisognava sotterrarla, e intanto tutti correvano al palazzo a vederla esposta su un bel letto, tutta vestita di bianco. La madre del Cavaliere seppe che cosa era accaduto a Maricchia, ma donna Vincenza si guardò bene dal dirle che era caduta in terra quando la cameriera le aveva fatto la sua ambasciata, e credette che fosse così per malattia e si rallegrò tutta di poter richiamare il figlio a Trapani. Il Cavaliere, che non sapeva nulla, sperando che i genitori avessero cambiato opinione, tornò subito tutto contento e donna Vincenza, che gli andò incontro per le scale, gli disse con fìnta compassione : - Poveretta ! Che fine ha fatta ! - Chi ? - domandò il giovane turbato. - La zita di vossignoria ! Non lo sapete ? È morta da un pezzo ! - II Cavaliere, a quella notizia, non salì neppure in casa. Riscese le scale, e via al palazzo dove abitava Maricchia. Va su, entra, e in sala, circondata da ceri, vede la zita su un letto, tutta vestita di bianco, con la madre inginocchiata accanto e le sorelle prostrate e piangenti. Al rumore che fa, esse alzano la testa e donna Paola gli va incontro e gli dice : - V'ha mandato Iddio! - e gli racconta che appena egli fu partito, Maricchia seppe dalla cameriera di sua madre che era stato mandato a Palermo per prender moglie, e che quella notizia l'aveva fulminata. - Ma dunque è così da un pezzo ? - Donna Paola gli fece cenno di sì. - E non s'è alterata? Non s'è putrefatta? - Vedete, è bella e fresca come da viva, e le sue carni odorano. - Dunque non è morta? - Alcuni medici dicono di sì, perché non s'è cibata più da settimane e settimane ; altri dicono di no. - Ah, Maricchia adorata ! - esclamò il Cavaliere baciandola in fronte. - Ti giuro che, viva o morta, ti serberò sempre fede di sposo, e che nessuna donna fuori di te sarà mia moglie! A quel bacio, a quelle parole, Maricchia ebbe un sussulto. Egli le prese le mani e se le portò alla bocca, chiamando : - Maricchia ! Maricchia, sposa mia ! - Maricchia allora aprì gli occhi, si guardò intorno, sorrise al promesso sposo e a un tratto si alzò sul letto. La madre e le sorelle piangevano e ridevano dalla gioia, e chi la baciava di qua, chi di là. Lentamente Maricchia scese dal letto e disse : - Sposo mio, ho tanto sofferto da quando mi fu fatta l'ambasciata di donna Vincenza. Sentivo tutto e non potevo nè movermi, nè parlare. - Quale ambasciata? - chiese il Cavaliere. Maricchia gliela riferì e il giovane saltò su tutte le furie e disse : - Prima di sera, Maricchia, ti giuro che tu sarai mia moglie. Ma ora lascia che vada a punire chi ti ha fatto tanto male. - E di fatto andò al suo palazzo, cacciò di casa la perfida, e quindi dichiarò al padre e alla madre che la sera stessa avrebbe celebrato le nozze con Maricchia. - Con la figlia di Totò, il facchino del porto ! - esclamò la madre. - Perché vuoi abbassarti tanto? - Mamma, Maricchia mi vuol bene davvero e questo è quel che conta. Ne dubitereste dopo quel che è accaduto ? - La madre si strinse nelle spalle e non osò contraddirlo, il padre neppure, così quella sera stessa, nella sala dove Maricchia era stata tanti giorni esposta come morta, fu benedetto il matrimonio. E siccome gli sposi si volevano molto bene, vissero lungamente felici e contenti Senza punto badare a quel che disse il mondo, Che, volta e gira, è sempre bello e tondo.

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- Signor padre, non dovete negarmi quel che vi chiedo, abbastanza sono infelice; mi promettete che anderete dal Re e gli riferirete le mie parole ? - II mercante voleva molto bene a tutte le figlie, ma quella minore era la sua prediletta. Nel sentirsi pregare a quel modo da lei, non seppe dirle di no. Basta, partì, andò a Palermo e dopo che ebbe sbrigato i suoi affari, s'incamminò verso il Palazzo Reale, Anche quella volta passò l'ambasciata, fu ammesso alla presenza del Re, che lo squadrò con alterigia e gli chiese : - Buon uomo, avete merce preziosa da mostrarmi ? - Maestà, non ne ho, ma ho una figlia a casa, tanto buona e tanto bella che si strozza per Vostra Maestà. - Sì ? - disse il Re,e battè su un timbro d'argento. Comparve un cameriere, e il Re gli ordinò di portargli tre canne di corda ben solida. Quando gli fu recata, la porse al mercante perché la desse alla figlia. Il pover uomo si sentì morire dalla vergogna. Torna a Messina, e appena a casa, chiama la figlia minore e le dice : - Vedi a che? cosa m'hai esposto ? Il Re me ne ha fatta un'altra delle sue. Quando gli ho detto che volevi strozzarti per lui, m'ha dato questo pezzo di corda. - La ragazza, disperata, si mise a singhiozzare. Dopo alquanto tempo il mercante dovette partire di nuovo per Palermo per i suoi negozi, e quella volta non chiese alle figlie che cosa volevano che portasse loro, per non esporsi a fare per la minore un'altra ambasciata al Re.Ma lei stessa, vedendo che si preparava per il viaggio, gli disse : - Padre mio, per il bene che mi volete, dovete farmi un piacere : andate dal Re e ditegli che io m'ammazzo per lui ! - Figlia mia, sei pazza ! Ti pare che io possa tornare per la terza volta dal Re dopo che mi ha trattato come mi ha trattato ? - Padre mio, fatelo se non volete trovarmi morta al vostro ritorno. - E qui gli si gettò ai piedi e tanto pianse e tanto lo supplicò, che riuscì finalmente a strappargli la promessa che sarebbe andato dal Re e gli avrebbe fatta l' ambasciata. Il mercante giunge a Palermo, sbriga i suoi negozi, ritorna al palazzo e chiede udienza al Re. Fu ammesso alla presenza del Sovrano, che anche quella volta finse di non conoscerlo e gli domandò se aveva mercé preziosa da mostrargli. - Maestà, ho a casa una figlia tanto bella e tanto buona ! Questa figlia manda a dire a Vostra Maestà che si ammazzerà per lui. - II Re aveva infilato nella cintura un bel coltello col manico d'oro tutto lavorato. Lo prese e lo dette al povero padre, che perse il lume degli occhi e glielo avrebbe volentieri conficcato nel cuore. Torna a Messina e quando la figlia gli compare davanti, le dice : - Tieni, ecco che cosa ti manda il Re, - e le da il coltello. La ragazza, dopo quel giorno non ebbe più pace e smaniava sempre. Finalmente prese la determinazione di andare lei stessa a Palermo dal Re, e tanto disse e tanto fece, che il padre le procurò un cavallo e la provvide di danaro e di una lettera per un nipote che aveva a Palermo. La ragazza parte, giunge alla capitale, cerca il cugino e gli narra tutto. Alla fine gli dice che vuole essere messa fra le schiave che erano offerte in vendita al Re. Venne il giorno della vendita; tutte le schiave furono portate sulla piazza davanti al Palazzo Reale e il Re scese per fare la scelta. Quando vide quella bella ragazza, subito la comprò, e da quel momento, Rosetta fu addetta al servizio delle guardarobe reali. Il Rè s' informò dov'era, e ogni momento andava in guardaroba, con un pretesto o con un altro, per vederla e parlarle, e Rosetta gli rispondeva appena, fuggiva quando lo vedeva, e in ogni modo e maniera gli faceva capire di non poterlo soffrire. Un giorno il Re le disse : - Rosetta, vedi, io piango sempre per te ! - Questo voleva Rosetta. Presto presto cava di tasca il fazzoletto che il Re le aveva mandato per il padre e gli dice : - Ecco, vedete, Maestà, come è grande! Questo basta ad asciugare le lacrime di un anno. - il Re guarda il fazzoletto, lo riconosce e pensa : - Ma che questa schiava sia la figlia del mercante ! - Dopo alcuni giorni torna in guardaroba dove Rosetta rammendava i merletti e le dice : - Vedi, Rosetta, se tu non mi vuoi bene, io mi strozzo ! - Che Vostra Maestà si strozzi pure ! - E gli da la corda lunga tre canne. - Ah ! questa è proprio la figlia del mercante che si vendica, - pensò il Re. Dopo alcuni giorni torna in guardaroba. - Rosetta, mi vuoi bene ? - le domanda. - Se non mi vuoi bene, m'ammazzo ! - Ohe Vostra Maestà s'ammazzi pure! - E gli porge il coltello. Dopo questa prova, il Re si convinse che Rosetta era proprio la figlia del mercante che egli aveva tanto disprezzata e le disse : - Ti ho conosciuta e so chi sei. Un tempo mi volevi bene, perché non me ne vuoi più ? Perché tutto finisce, - risponde Rosetta. - - Vedi, se non mi vuoi bene, io m' ammazzo davvero. - Che Vostra Maestà s' ammazzi pure! - II Re, a quelle parole, sfodera il coltello, se ravvicina al cuore, finge d'uccidersi e cade disteso in terra. La ragazza, senza scotersi, scende in camera sua, dove c'era una finestra che guardava sulla piazza del palazzo. Il giorno dopo il Re si fece mettere su un cataletto e si fece portare sotto la finestra della camera della schiava. Questa s'affaccia, e accertasi che era tutta una finzione, gli sputa sul viso. - Puh, per una donna quant'ha patito ! - e poi fa una finestrata. Il Re, vedendosi scoperto, cessò l'inganno e incominciò a mandar gente da Rosetta a pregarla di non disprezzarlo. Prima le mandò il gran cancelliere, e Rosetta gli disse d'andarsene perché del Re non voleva sentirne parlare. Poi le mandò il gran tesoriere, ed anche a lui rispose sullo stesso tono. Poi le mandò l'arcivescovo, il gran siniscalco, e a tutti ella diceva che il Re poteva far miracoli ma per lei era come se non esistesse. Finalmente un giorno il Re scese dalla schiava. le si gettò in ginocchio e la supplicò tanto, che Rosetta, convinta che le voleva bene davvero e che era abbastanza punito del disprezzo con cui l'aveva trattata, acconsentì ad accettarlo per isposo. Fece venire il padre e le sorelle a Palermo e Io sposalizio si fece con gran pompa. E a me mi dettero un solo confettino Che è là ancora in quel buchino.

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I CORSARI DELLE BERMUDE

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Salgari, Emilio 13 occorrenze

Il vento di libeccio, abbastanza fresco, gonfiava le tele, sibilando fra le centinaia e centinaia di cordami, sartie, manovre scorrenti e fisse e dentro le griselle. Una era una corvetta, lunga, sottile, ma di portata abbastanza grossa, perché ventiquattro cannoni uscivano dai suoi babordi mentre sul cassero e sul largo castello di prora si allungavano, disposti in barbetta, quattro grossi pezzi da caccia. Era coperta di vele, come abbiamo detto, dal ponte ai contrapappafichi. Perfino gli scopamari ed i coltellacci erano stati spiegati al di fuori dei pennoni bassi, delle gabbie e dei pappafichi. L'altra invece era una grossa giunca, larga di fianchi, pesante, di stazzatura assai inferiore alla corvetta che la precedeva, con pochissime artiglierie piazzate tutte in coperta. Entrambi i navigli portavano un numero considerevole di uomini. Sulla cima dell'albero maestro della corvetta sventolava una bandiera rossa, segnale di fuoco permanente, ad ogni ora, ad ogni istante, contro tutti e contro tutto; sulla giunca una bandiera rigata, bianca e azzurra, senza stelle, perché gli Stati Uniti allora non si erano ancora costituiti in Confederazione. Era l'ora della cena. Sulla coperta della corvetta, centocinquanta uomini, di razze diverse, stavano divorando, in piedi, la, cena, con lo invidiabile appetito marinaresco. Colle gambe allargate per reggersi ai colpi delle onde, il piatto posato sul berretto, ingollavano avidamente il merluzzo, sognando la guardia franca. D'un tratto un grido scende dall'albero maestro e li fa sussultare. - Vela a sinistra! Il gabbiere installato sulla crocetta dell'albero maestro tace per qualche istante, poi la sua voce piomba più imperiosa sulla ciurma: - Due vele sottovento! Ci dànno la caccia! I piatti, in un baleno, volano in mare insieme al contenuto. Cento uomini si gettano verso le murate, alle quali sono appoggiati numerosi archibugi dalla canna lunghissima e non poche carabine rigate, di marca inglese. Gli altri corrono alle batterie, pronti a far tuonare i ventiquattro pezzi. Il secondo di bordo, un bell'uomo sulla trentina, piuttosto alto, con una ricca barba nera e gli occhi che sprizzano lampi, non ha staccato dalle labbra la sua pipa, né ha interrotta la sua passeggiata sul piccolo ponte di comando. Ha solamente voltato la testa ed ha fissato per qualche po' il lontano orizzonte. Trascorsero due o tre minuti, poi la voce del gabbiere scese ancora dall'alto: - Ci cacciano! ... Son proprio due! Il secondo interruppe la sua passeggiata, si tolse la pipa, e dopo aver gettato in aria una gran boccata di fumo, chiese con voce perfettamente tranquilla: - Ne sei ben sicuro, Piccolo Flocco? - Sì, signor Howard. - Fregate o vascelli d'alto bordo? - La luce fugge troppo presto, tuttavia credo che quelle due navi siano d'alto bordo anziché fregate. - Ah diavolo! - borbottò il signor Howard. - La cosa cambia aspetto. È necessario avvertire il baronetto. Poi alzò la voce: - Testa di Pietra! - gridò. Un uomo di forme massicce, che poteva rivaleggiare per sviluppo di muscoli con un gorilla africano, colla barba brizzolata, dai peli irti come quelli di certe bestie selvagge, e con la testa enormemente grossa, si staccò dai due grossi pezzi da caccia che si trovavano sul castello di prora e scese sulla tolda, gridando: - Eccomi, signor Howard. Pareva un vero orso grigio, per le forme e le mosse pesanti. Guai però se uno si fosse imbattuto in quel vecchio figlio della vecchia Armorica, la terra delle pietre e delle teste quadre della Bretagna, che ha sempre dato alla Francia i suoi migliori marinai! Il nostro uomo attraversò la coperta senza troppo affrettarsi, dondolandosi comicamente, e salì sul ponte di comando, togliendosi prima dalla bocca un grosso pezzo di tabacco che stava masticando con una certa voluttà. - E dunque, tenente? - chiese, dopo d'aver salutato militarmente. - Che cosa ne pensate, mastro? - chiese il signor Howard fissandolo. - Penso, tenente, che abbiamo ventiquattro buoni pezzi e quattro cannoni da caccia piazzati sui ponti, - rispose il bretone. - E se fossero navi d'alto bordo? - Certo, l'affare sarebbe un po' serio, tenente; tuttavia abbiamo a bordo centocinquanta uomini che non hanno mai avuto paura di chicchessia, comandati da un prode come sir William. - Noi: ma la giunca? - Ah! quello è il punto debole - rispose il bretone. - Coi suoi otto pezzi riuniti potrebbe fare qualcosa; ma la polvere è tanto necessaria agli assediati di Boston! - Serberemo la nostra. Ne abbiamo duemila quintali. - I quali in un combattimento costituiranno un grave pericolo. - Lo so ... Va' a chiamare il comandante. - Sarà di cattivo umore. Da quando quell'uomo che comanda la giunca è giunto alle Bermude, il baronetto è sempre di cattivo umore. - Taci: non sai nulla dei segreti di sir William. - Hum! Ci deve essere sotto una donna. Che il diavolo se le porti via tutte! In quel momento, per la terza volta, la voce del gabbiere cadde sonora dalla crocetta dell'albero maestro. - Ci stringono! Testa di Pietra lanciò intorno uno sguardo. - Ci stringono - disse. - Bel tempo per montare all'abbordaggio! Prima che il sole ritorni, chi sa che cosa avrà preparato il baronetto! - Va' Testa di Pietra! - disse il tenente. - Chiacchieri come le donnicciuole del borgo di Batz. - Il mio borgo! - rispose il bretone con un sorriso misto ad un sospiro. Scese la scala, col suo passo pesante, mise il pezzo di tabacco nel berretto. cacciandolo sotto la fodera, e si diresse verso il quadro. - Diavolo secco! - borbottò. - Il comandante non sarà certo di buon umore. Si direbbe che dopo la nostra partenza dalle Bermude l'hanno stregato. Qui sotto c'è una donna, ne sono sicuro. Mary! Quante volte l'ho udito questo nome sfuggire dalle sue labbra! Mary! Che strega infernale sarà costei? Ma io, a vent'anni, sono scappato in mare per non rompermi il collo con quelle streghe e mi sono trovato bene. Vento, luce, sole, azzurro infinito, valgono più di tutti gli occhi azzurri delle fanciulle della nostra terra di pietre. Bah! Povera gioventù! Entrò nel quadro, sempre borbottando e facendo gesti. Scesa la seconda scala, sostò un momento, grattandosi, la capigliatura quasi argentata. - Per il borgo di Batz! - mormorò. - Sono certo di trovarlo di cattivo umore. S'avanzò nel corridoio, strascicando i suoi piedi da elefante per annunciare la sua visita, poi spinse una porta. Un salottino elegantissimo, alle cui finestre, erano tende di seta azzurra guarnite di pizzi di Bruxelles, illuminato da un alto candelabro d'argento, si offrì ai suoi sguardi. In mezzo, fra i divani di seta a fiori rossi e gialli, seduto dinanzi ad un tavolino d'ebano, stava un bel giovane di ventisei o ventisette anni, di statura piuttosto alta, dal colorito pallido, cogli occhi azzurri e la barba ed i capelli biondo fulvi. Invece di portare la bianca parrucca, aveva i capelli sciolti sulle spalle, leggermente ondulati. Stava bevendo: dinanzi a lui una bottiglia ed un bicchiere scintillavano sotto la luce delle candele. Vedendo entrare il mastro della corvetta, il giovane, che pareva immerso in un dolce sogno, aveva avuto un leggero soprassalto. - Testa di Pietra! - esclamò. - Che cosa vuoi? Che non possa mai riposare un momento? Non vi è sul ponte il signor Howard? Il mastro gli lanciò uno sguardo compassionevole e scosse la testa, poi disse: - È lui che mi ha mandato, sir William. - È scoppiato il fuoco a bordo? - Ah no, sir. - E allora? - È il fuoco invece che sta per caderci addosso. - Sulla mia corvetta? Ah! - Ci sono due navi che cercano di stringerci. - Due sole? - Ma non si sa ancora se siano due fregate o vascelli d'alto bordo, capitano. L'oscurità ci ha impedito di poterle scorgere a tempo. Il baronetto prese il bicchiere che gli stava dinanzi, lo vuotò lentamente, guardandolo nel fondo come se cercasse di scorgervi qualche immagine, poi disse: - Sei ben sicuro che siano due? - Sapete che Piccolo Flocco ha la vista lunga. Sir William si alzò, girò intorno alla tavola, tormentando colla sinistra la guardia della pesante sciabola d'abbordaggio, poi, fermandosi improvvisamente, chiese: - Americani o inglesi? - Per il borgo di Batz! ... Non hanno navi d'alto bordo gli yankees, lo sapete meglio di me; perciò bisogna concludere che siano proprio inglesi, distaccate da qualche squadra delle Antille. - Hai ragione Testa di Pietra. E così tutta la mia gente è inquieta? - Trovarsi fra due navi d'alto bordo non deve essere certamente una cosa allegra, comandante, quantunque la corvetta sia solida, bene armata e montata dagli ultimi corsari delle Bermude, che non hanno mai avuto nulla da invidiare a quelli del Golfo del Messico. - Che cosa dice il signor Howard? - Ha semplicemente comandato ai vostri uomini di prepararsi alla battaglia. Ha fegato, il vostro luogotenente, ve l'assicuro io. - Se non fosse stato tale, non l'avrei certamente imbarcato, - rispose il baronetto con un sorriso. Si appoggiò al tavolino, incrociando le. braccia, poi, dopo d'aver riflettuto un momento chiese: - Sentiamo un po'. Che cosa farebbe al mio posto il mastro d'equipaggio, che gode fama d'essere un vecchio squalo dell'Atlantico? - Per il borgo di Batz! Cercherei di svignarmela prima del sorgere del sole. - Tentando una falsa rotta? - Sì, comandante. - E se non riuscisse? - Allora monteremo all'abbordaggio come una muta di cani rabbiosi, e chi le prenderà le terrà. - Ventotto pezzi, forse contro cento o centocinquanta uomini, attaccati da due parti, forse contro cinquecento, sarebbe un giuoco pericoloso; non ho nessuna voglia di morire, devo andare a Boston, - disse il Corsaro. - Vi è la giunca che ci segue: ecco lo scoglio. Bah! l'affonderemo. - Coi suoi cento quintali di polveri? - esclamò il bretone, allargando gli occhi. - Sapete che gli americani hanno estremo bisogno di munizioni. - Per ora si contenteranno delle polveri che si trovano nella stiva. Non ho la potenza di Dio. Vi sono rasoi a bordo e in abbondanza, mi pare. - Rasoi? Volete segare le gole agl'inglesi? - Poi vi sono molte casse di vestiti da donna che abbiamo preso a quella nave proveniente da Belfast e destinati alle belle cubane; casse piene di cappelli per signorine ed ombrellini e guanti e ventagli. Ne abbiamo abbastanza per mettere a posto le due navi. - Coi rasoi, le sottane, gli ombrelli e i ventagli! - esclamò il bretone. - Scherzate, sir William. - Sarà un bellissimo scherzo che mi farà risparmiare polvere, palle ed uomini - disse poi. - La giunca se ne vada. - Che sia diventato pazzo per quella misteriosa Mary? - borbottò Testa di Pietra, guardandolo con spavento. - Peccato! Così audace e valente! Il Corsaro depose il bicchiere, rifece il giro della tavola, poi, fermandosi davanti al bretone, il quale non si era ancora rimesso dal suo stupore, gli disse: - Fa' affilare i rasoi e fà cadere i baffi e le barbe ai nostri uomini. Se vuoi cipria, ne ho alcune scatole che metto a tua disposizione. Poi farai aprire tutte le casse che abbiamo preso all'inglese e vestirai i miei uomini come tante miss e ladies. Non dimenticare i parasoli, i guanti, i ventagli e i cappelli. Voglio che la mia nave, prima che il sole ritorni, sia carica di belle o brutte donzelle. - Per il borgo ... - Lascia Batz ed il, suo cadente campanile! - rispose il Corsaro. - Ah, vi è la giunca! Manderai quattro o cinque scialuppe per portare il suo equipaggio sulla nostra corvetta, poi farai sfondare uno dei suoi fianchi e la lascerai colare a fondo. - Insieme alle polveri? - Non abbiamo il tempo necessario per trasbordarle, mio caro pesce-cane. Se gl'inglesi ci sorprenderanno ai primi chiarori dell'alba, il mio scherzo potrebbe finir male. E poi ci sono troppi baffi e troppe barbe da tagliare e otto ore non sono molte. - E voi credete di evitare un disastroso combattimento a colpi di rasoio? - Certo. - Hum! - Ne dubiti? - Un poco. - Possiedi una vecchia pipa alla quale tieni molto? - La comprò mio nonno a Smirne, centocinquantanni or sono. - Benissimo, - disse il baronetto. - Se riuscirò nel mio giuoco, mi regalerai quel vecchio ricordo di famiglia; se perderò ti darò cento ghinee, che andrai a raccogliere in fondo al mare dopo la battaglia, perché il baronetto William Mac Lellan morrà sul ponte di comando, ma non si arrenderà. Va', Testa di Pietra. Il bretone rimase qualche istante immobile, come trasognato, poi se ne andò col suo passo che marcava, ora il rollio ed ora il beccheggio. Sir William, appena rimasto solo, era tornato a sedersi dinanzi al tavolino. - Mary! - mormorò. - Sposa di lui? Mai, mai!.. L'infame che ha pure nelle vene il sangue di mio padre, me l'ha rapita; ma saprò riprendergliela. Sono un bastardo, dicono nella Scozia; un bastardo, dice mio fratello, perché sono nato da un'altra donna che non si chiamava lady Anna dei duchi di Lorne. Che colpa ho se mio padre si è innamorato d'un'altra donna che non era inglese e che non poteva sposare? Un marchese d'Halifax non sono, è vero. Giorgio IV mi ha creato nobile, eppure sono costretto, scozzese, a volgere le armi contro l'Inghilterra ... Succeda quello che deve succedere, riavrò Mary o mi uccideranno dentro le mura di Boston. Si accomodò i capelli fulvi, prese da un tavolino un paio di grosse pistole, e salì lestamente la scala che conduceva sul ponte, mormorando: - Andiamo a vedere se i barbieri lavorano.

. - Non voglio denaro da voi: ne ho guadagnato abbastanza. Non fatemi l'offesa di pagarmi questa bottiglia. - Sei un brav'uomo! - rispose il bretone con voce grave. - lo sapevamo. Si alzò e, battendogli su una spalla, aggiunse: - Spero di rivedervi presto. Credo che allora Boston non si troverà più in mano del signor Hower. Così saremo più sicuri e più allegri. Buona notte, mastro Taverna. - Da quale parte usciremo? - chiese il bretone al boia. - Dalla pusterla del bastione n. 7 - Avete il lasciapassare? - Certo, e porta la firma del generale Howe. - Potremo scendere fino alla corvetta? - E perché no? Taglieremo la discesa per traverso, e raggiungeremo il suo ancoraggio. In un quarto d'ora i tre marinai giunsero alla linea delle fortificazioni. Il comandante delle batterie, accorse munito d'una lanterna, lesse il lasciapassare, e diede l'ordine di aprire la pusterla. Due soldati, guidarono il carnefice ed i suoi due aiutanti fino all'estremità d'un tenebroso corridoio. La porta di ferro fu aperta, e mastro Testa di Pietra poté finalmente respirare l'aria pura che saliva dalla baia. - Orizzontiamoci - disse e badiamo alle palle. Le teste dei bretoni sono dure come le pietre del loro paese, tuttavia una disgrazia può toccare, e quando una zucca è rotta, il suo proprietario non ha altro da fare che lasciarsi portare al cimitero. Aveva appena terminato di parlare, quando sulla riviera della Mistica balenarono quattro lampi, seguiti da altrettante fragorose detonazioni. Avevano sparato i quattro mortai della corvetta, ed i quattro lampi avevano illuminata abbastanza bene, sebbene fugacemente, la nave. - È laggiù, sempre al medesimo posto - disse il bretone. - Si direbbe che i nostri marinai hanno voluto segnalarcela. Veniamo, camerati, non dubitate! Si erano messi a scendere la china, piuttosto ripida ed ingombra di cespugli. Aiutandosi l'un l'altro, in breve si trovarono sulla riva sinistra della Mistica, proprio di fronte alla corvetta. Il bretone, fece colle mani portavoce, e approfittando d'un momento in cui le artiglierie tacevano, gridò con tutto il fiato che aveva nei suoi ben capaci polmoni: - Marinai della Tuonante! Venite ad imbarcare il vostro mastro I quattro grossi mortai, che dovevano essere già pronti, fecero la loro scarica destando l'eco della riviera, ma appena il fragore cessò, si udì gridare: - Chi ci domanda? - Io. Testa di Pietra. - Attendi un momento. - Va bene, signor Howard - rispose il bretone, il quale aveva riconosciuto in quella voce il secondo della corvetta. Un momento dopo una baleniera veniva calata nel fiume e si dirigeva rapidamente verso la riva, dove il mastro continuava a gridare: - Ohè! Doë! In meno di mezzo minuto la baleniera prese terra, ed il contromastro della Tuonante balzò sulla riva, dicendo: - Voi, Testa di Pietra? E il comandante? - Zitto! - rispose il bretone. - Non è qui il luogo da svelare certi segreti. Si volse verso il boia, il quale si era seduto su una roccia e fumava la pipa. - Volete venire con noi? - domandò. - Qui non corro alcun pericolo, quindi posso aspettare il vostro ritorno. Testa di Pietra e Piccolo o Flocco balzarono nella baleniera, montata da sette rematori, e presero subito il largo, fendendo le torbide acque della Mistica. Giungere alla corvetta fu un momento. Testa di Pietra salì i gradini a quattro a quattro, e si trovò subito dinanzi al signor Howard e al colonello Moultrie. La stessa domanda, e nello stesso tempo, gli fu rivolta dai due uomini. - Dov'è sir William? - Signor tenente, - disse il bretone, mentre Piccolo Flocco abbracciava i marinai che se lo disputavano l'un l'altro - venite nel quadro. Ho gravi cose da dirvi. Sappiate per ora che il nostro comandante domani sarà impiccato nel forte Johnson. - Impiccato?- gridò Howard, diventando pallidissimo. Ora guardate un po' il costume che indosso, tenente, - rispose il bretone. - Non vedete che sembro un vero carnefice? Tutto rosso come il sangue che i boia fanno spillare in un modo o nell'altro ai poveri giustiziati. E questo mantello nero? Il bretone in poche parole li mise al corrente di quanto era avvenuto. - Preso! - esclamarono ad una voce il colonnello ed il tenente. - Adagio, miei signori; sé è preso non è però ancora stato impiccato - osservò il bretone. - Io e Piccolo Flocco siamo gli amici, anzi, gli aiutanti del carnefice. Il colonnello alzò una mano. - Avrete detto che l'hanno tradotto nel forte Johnson? - Dove andiamo per impiccarlo! - Voi? - Io? Impiccherei il comandante del forte, piuttosto! Per il borgo di Batz! Un bretone tradire il suo capitano? Oh, mai! Darei la mia testa per salvare la sua! - Signor Howard, - disse il colonnello assai preoccupato - da tempo i nostri capi hanno deciso di fare una scorreria sulla punta di Hoddrel per distruggere le difese inglesi alzate sul canale di Hog Island. Quel fronte Johnson, che batte coi suoi pezzi tutto il porto di Imes's Island, è il nostro incubo. Lo assalteremo. - Abbiamo debiti di riconoscenza verso il vostro comandante rispose il colonnello con voce solenne. - Senza l'arrivo della vostra corvetta, saremmo rimasti senza polveri, e l'assedio ed il bombardamento si sarebbero prolungati indefinitivamente. Abbiamo ancora estremo bisogno della vostra nave, la sola che possa tener testa ai pezzi delle fregate, dei brik e dei brigantini inglesi. - Concludete - disse il secondo, che era uomo di poche parole. - Quando appiccheranno il baronetto? - chiese il colonnello, rivolgendosi a Testa di Pietra. - L'esecuzione è stata fissata per domani sera alle sei - rispose il bretone. - Ho la parola del boia. - Signor Howard, alle quattro voi scenderete la Mistica colla vostra corvetta, e forzerete il canale di Hog Island per appoggiare il nostro attacco. Sarò là con duemila americani, scelti fra il fiore delle truppe e vi prometto di prendere d'assalto il forte. - Siamo d'accordo. - Qualunque cosa dovesse accadere troverete i miei uomini intorno al forte - rispose il colonnello. - Spero che i nostri provinciali, come li chiamano sprezzantemente gl'inglesi, sapranno fare miracoli. Dovete farmi però una promessa. - Dite. - Siamo ancora a corto di polveri. Salveremo il vostro comandante a prezzo del nostro sangue. Incrocerete fuori del porto, le prenderete d'abbordaggio, forzerete un'altra volta il blocco, e risalirete la Mistica. Boston è agli estremi, ormai lo sappiamo, e vogliamo averla al più presto nelle nostre mani. Non sarà che questione di giorni ma guai se ci difettassero le polveri! Sarebbe la nostra rovina. Trecento pezzi che tuonano giorno e notte ne consumano, e la grossa provvista che ci avete portata è già quasi esaurita in una sola settimana. - Colonnello, - disse il tenente, - checché debba succedere, io condurrò la Tuonante nel canale per tenere indietro le fregate inglesi; ma conto assolutamente su di voi. Il mio comandante non deve morire sulla forca. - Impegno il mio onore e la mia vita! - rispose l'americano. Howard si volse verso Testa di Pietra, che aspettava ansiosamente i suoi ordini: - Il boia vi aspetta sulla riva della Mistica, è vero, mastro? gli chiese. - Sì, tenente. - Che non vi abbia giocato qualche brutto tiro? - Quell'uomo? È un bretone come me! - Allora mi sento più sicuro; tuttavia nella baleniera farò collocare un petriere e raddoppierò l'equipaggio. I tradimenti piovono addosso in tempo di guerra. - Del mio uomo sono sicuro come di me stesso. I tre uomini salirono sul cassero. Howard diede rapidamente alcuni ordini al capomastro affinché si raddoppiasse l'armamento della scialuppa, poi disse: - Testa di Pietra, vegliate sul comandante. - Vi assicuro che non morrà impiccato, perché il laccio è stato già abilmente preparato dal boia. Si romperà subito, ed egli cadrà in piedi. - Andate, mio valoroso. - Piccolo Flocco, a me! - gridò il mastro. Il giovane gabbiere, fu lesto a raggiungerlo. Scesero frettolosamente la scala, e presero posto nella baleniera. Un petriere abbastanza grosso era stato collocato a prora, pronto a scagliare un nembo di frammenti di pietra, nel caso che fosse stato necessario, e l'equipaggio era stato portato a quindici uomini. - Voga, John! - disse Testa di Pietra al contromastro. - Non aver paura delle palle. - Oh! Ci siamo abituati - rispose il timoniere sorridendo. La baleniera, riattraversò il fiume e approdò dinanzi alla roccia, sulla quale il boia di Boston fumava ancora la pipa senza preoccuparsi del pericolo cui era esposto. Testa di Pietra e Piccolo Flocco balzarono a terra, dopo d'aver salutato i compagni, che avevano ripreso prontamente il largo. - Come vedete, sono stato di parola - disse il carnefice. - Andiamo? Testa di Pietra rispose con una vigorosa stretta di mano. Seguirono la riviera della Mistica, discendendola verso la foce, poiché la scialuppa inglese, che doveva portare il boia al forte, si trovava al di là della seconda barra. Dopo venti minuti i tre uomini giungevano in una piccola cala, dove aspettava una scialuppa, illuminata da un piccolo fanale, montata da otto fuciliere e da una mezza dozzina di marinai con un timoniere. - Chi siete? - gridò, mentre i fucilieri puntavano rapidamente i loro archibugi. - Il boia di Boston coi suoi due aiutanti - rispose l'ex-galeotto. - Imbarcate. I tre uomini salirono sulla scialuppa, mentre il timoniere, tenendo in una mano una pistola e nell'altra la lanterna, li esaminava attentamente. - Aprite i vostri mantelli! - comandò. I bretoni obbedirono. - Tutto rosso - va bene. Sedetevi a prora e non pronunziate parola. - Avreste paura di svegliare i pescicani? - chiese Testa di Pietra. - Chi siete? - Il primo aiutante del boia, capace d'impiccare anche voi, senza l'aiuto dei miei due compagni. - Silenzio! Non voglio farmi catturare dagli americani. Vi è quella maledetta corvetta che da un momento all'altro può piombarci addosso e sventrarci la scialuppa. - Macché! - rispose Testa di Pietra. - Dorme sulle sue àncore. I sei marinai tuffarono i remi, e l'imbarcazione attraversò velocemente la foce della Mistica, filando dietro l'ultima barra. Per sua fortuna i cannoni da caccia della Tuonante erano rimasti silenziosi. In lontananza scintillavano i fanali della flottiglia inglese, composta per lo più di navi invecchiate nelle acque americane e di scarsissimo armamento. Non vi era che una fregata, che potesse tentare di misurarsi colla corvetta. La scialuppa, dopo una buona ora giungeva dinanzi all'isola di Imes, su una punta della quale s'alzava minaccioso il forte Johson. Era questa una salda fortezza che, colle sue artiglierie, danneggiava gravemente la cittadella di Charlestown. I comandi americani, consigliati dal colonnello Moultrie, che godeva molta considerazione e molta fama, ne avevano decisa da tempo l'espugnazione e la distruzione, d'accordo col colonnello Ashe. Fra tutti disponevano di circa tremila stanziati, di tre o quattrocento scorridori, di cinquanta pezzi d'artiglieria di diverso calibro e di parecchie grosse scialuppe. Il colonnello Moultrie con una banda di arditi scorridori aveva devastata una parte dell'isola, costringendo le navi ad allontanarsi e la guarnigione a rinchiudersi più che in fretta nel forte: ma non aveva osato tentare l'attacco. Quindi non era da stupirsi, se Moultrie ed Ashe, si trovavano in quel momento imbarazzati. - Ci siamo? - chiese Testa di Pietra. - Ci siamo - rispose il carnefice. Il timoniere prese il fanale, vi sostituì un vestro rosso a quello azzurro che aveva posto prima, poi disse con voce rude e con una certa impazienza: - Venite! - Adagio, signor mio, - disse il bretone. - Non abbiamo i piedi dei marinai, e dobbiamo guardare dove li mettiamo. Anzi, favorite darmi una mano. - Io dare la mano ad un impiccatore! ... Oh, mai! - esclamò il timoniere. - Mi porterebbe sfortuna. - Invece le corde degl'impiccatori portano fortuna, e noi le vendiamo ad alto prezzo. - Non sarò certamente io che ve ne chiederò un pezzo - rispose il timoniere - Orsù, scendete prima che la risacca riempia d'acqua la scialuppa. Piccolo Flocco, spiccò per primo il salto e cadde sulla sabbia asciutta. Il boia di Boston fu il secondo, e vi riuscì per bene. Testa di Pietra prese così malamente le sue misure, che andò addosso al timoniere e si aggrappò a lui per non cadere. L'aveva fatto apposta? Vi era da crederlo. Il primo timoniere si era sbarazzato della stretta con una scrollata che non aveva per altro gettato a terra il malizioso bretone. - Voi mi avete toccato! - urlò. - Volevate che mi rompessi il naso? - chiese candidamente Testa di Pietra. - La vostra stretta mi sarà fatale! - Come se i carnefici non avessero carne, ossa e sangue al pari dei marinai. - Su, venite! Non ho tempo da perdere! - gridò il timoniere. - Ma fateci lume, perché, vedete, ho sempre tenuto alla conservazione del mio naso Si misero in cammino e giunsero dinanzi ad una delle due pusterle, che erano guardate da un grosso drappello d'artiglieria con due pezzi. Il timoniere scambiò col comandante della guardia alcune parole poi il drappello si divise in due, e lasciò libero il passo ai tre carnefici. Attraversarono un ridotto, passarono sotto parecchie volte, e furono introdotti in una sala dove si trovava un capitano. - I signori di Boston! - disse il timoniere. L'ufficiale, che stava seduto dinazi ad un tavolino, li guardò attentamente, poi chiese: - Chi è il boia? - Io, signore - rispose l'ex galeotto, facendo un passo innanzi. - Avete qualche lettera del generale Howe? - Eccola, signore. Il capitano la prese con un certo ribrezzo, l'apri e la lesse. - Va bene - disse poi. - avete portato con voi il laccio? L'esecuzione è stata fissata per domani, ad un'ora prima del tramonto. Pensate voi a innalzare domani mattina la forca; non abbiamo pratica di tali faccende. Nei magazzini del forte troverete il legname occorrente.. Avete fame? - Non abbiamo ancora cenato, signore - fu pronto a rispondere Testa di Pietra. - Vi farò mandare viveri. Per questa notte riposerete qui. Là vi sono brande. Ciò detto, si alzò e usci senza guardarli in viso, seguito dal timoniere.

. - Siamo abbastanza lontani per non temere l'esplosione della mina. - Dove finiremo? - Lo vedremo più tardi. - Orizzontiamoci, comandante, - disse il bretone. - Conosci Boston? - Ci sono stato due volte, ma vent'anni fa. Ora non so più come siano le sue vie, pure credo che una certa taverna esista ancora. Lavorava tanto, perciò il suo padrone non può essere fallito, né fuggito nell'America del Sud. - Sapresti trovarla? - Mah! Con questa oscurità non è cosa facile. Diamine, non ho una bussola piantata nel cervello. In quel momento avvenne uno scoppio che li scaraventò tutti e tre a terra. La mina era scoppiata con fracasso spaventevole, lanciando in aria le casematte ed una parte del bastione. - Povero pappagallo! - esclamò Testa di Pietra che si era prontamente rialzato tastandosi le costole. - A quest'ora viaggia verso l'altro mondo, colla velocità di trenta o quaranta nodi all'ora. Deve soffiare sempre buon vento in quel brutto paese. Urla spaventevoli echeggiavano. Alcuni soldati fuggivano come pazzi in tutte le direzioni gridando: - Aiuto! aiuto Dalle finestre delle case prospicienti il bastione erano caduti con gran fragore i vetri. Il Corsaro e Piccolo Flocco non avevano riportato nessuna contusione, essendo, in virtù delle loro buone gambe, abbastanza lontani dal luogo dello scoppio. - Capitano. - disse Testa di Pietra - pare che di pappagalli ne siano volati in buon numero, non so se in cielo o all'inferno. Nei quartieri vicini squillavano le trombe per chiamare a raccolta i soldati dispersi per la città, ed avviarli sul luogo del disastro. Già dei furgoni carichi d'inglesi e di assiani correvano all'impazzata, per portare i primi soccorsi. - Gettiamoci in una viuzza oscura - disse il Corsaro. - se ci scorgono ci manderanno al bastione e non ho nessun desiderio di rivederlo. Fila, Testa di Pietra. Il bretone prese la corsa attraverso terrapieni ingombri d'artiglierie e di carri e, raggiunte le prime case, si gettò dentro un viottolo, che nessuna lanterna illuminava e che pareva deserto. - Ci fosse almeno una taverna aperta! - disse. - Oh, ne troveremo! - rispose il Corsaro. - Gl'inglesi sono troppo buoni bevitori per farle chiudere, specialmente in queste notti. Finestre si aprivano e teste si disegnavano vagamente alla luce delle lanterne. Domande e risposte s'incrociavano fra gl'inquilini. - Che cosa è saltato? - Un forte di sicuro. - È saltata la torre di Oxford insieme col castello. - Ma no, lo scoppio è avvenuto in direzione opposta. - Poveri figliuoli! Dopo che il Corsaro aveva riacceso l'occhio di bue, si erano rimessi in marcia, tenendo la mano sinistra appoggiata sul calcio d'una delle loro pistole. Il bombardamento continuava malgrado il disastro. Le palle americane giungevano facilmente in città dall'altura, sfondavano tetti e spaccavano muraglie. Di quando in quando altre esplosioni si succedevano, seguite da urli di spavento e da un fragoroso crollare di rottami. Erano le grosse granate dei mortai della corvetta che facevano quelle prodezze. - Suona la musica a bordo della Tuonante - dice Testa di Pietra. - Se si chiama Tuonante deve ben tuonare, per il borgo di Batz! ... Bum! Questi sono i cannoni da caccia di poppa. Saprei distinguere la loro voce fra mille altri pezzi. Percorsero, quattro o cinque viottoli fiancheggiati da case basse ed oscure che parevano disabitate; poi si fermarono dinanzi ad una lampada sospesa, sopra una porta. - Albergo delle trenta corna di bisonte! - lesse Piccolo Flocco sull'insegna, e domandò: - Che si possa mangiare bisonte qui, mastro Testa di Pietra? - Che io sappia, i bisonti non portano che due corna, quindi là dentro ve ne dovrebbero essere almeno quindici sempre a disposizione degli avventori. - Chiudete il becco! - disse il Corsaro, mettendo le mani su un anello di ferro che voleva essere una maniglia e spalancando la porta dell'albergo delle Trenta corna di bisonte. Un'ondata di fumo puzzolente li investì. Avevano fumato molto là dentro, quella sera, malgrado il bombardamento. L'albergo non era altro che una tavernaccia d'infimo ordine, che consisteva in uno stanzone assai basso dalle pareti ben affumicate, con una mezza dozzina di tavolini sgangherati e di scanni in non migliore stato, e illuminata da un'unica candela di sego che dava più fumo che luce. Dietro il banco, un omaccione coi capelli e la barba rossa e due occhi grossi come quelli dei buoi, dall'aria stupida, fumava la pipa reggendosi la testa con una mano. Scorgendo il Corsaro si alzò dicendo: - Buona sera, gentleman: che cosa posso servire a Vostro Onore? - Portaci una bottiglia di gin o di brandy, purché sia buono, rispose sir William sedendosi al tavolino che era più vicino alla candela. - Ne ho ancora qualcuna, gentleman. Se foste giunto fra qualche giorno, con mio grande dispiacere avrei dovuto rimandarvi, perché non entra più nulla nella piazza, Quest'assedio è la mia rovina. - Raddoppia i prezzi delle bottiglie che ancora possiedi, mastro Taverna - disse Testa di Pietra. - Ecco un bel consiglio. - Infatti avete ragione. - Ma non cominciare da noi. I consigli si pagano sempre, specialmente quelli che danno gli avvocati. - Ah! siete avvocato? - Sì, del catrame, - rispose il bretone, scoppiando in una risata. Il taverniere lo guardò stupidamente, poi scosse la sua grossa testa fulva e scese in cantina. - Si può fumare, comandante? - chiese il bretone. - Fa' quello che vuoi - rispose il Corsaro, che era diventato improvvisamente di cattivo umore. Testa di Pietra trasse da una delle sue dodici tasche la preziosa reliquia di famiglia, la caricò con cura minuziosa e l'accese alla fiamma della candela. - Pare impossibile - disse, dopo essersi avvolto in una nuvola di fumo - tutte le volte che adopero questa pipa mi pare di trovarmi in Bretagna. - Nel castello dei tuoi avi - disse Piccolo Flocco con aria grave. - Sappi, per tua regola, ragazzaccio, che i miei avi dormivano sempre sul mare e non avevano quindi bisogno di castelli - rispose il bretone. - Su qualche barca sconquassata. - Briccone! Mio nonno andava a pescare il merluzzo fino sulle coste dell'Islanda, ed il suo skooner era considerato il miglior veliero di tutte le coste bretoni. Se fosse stata una carcassa, mio nonno sarebbe morto sul mare, mentre ha chiuso gli occhi sul suo letto. - Foderato di piume d'edredon. - Sicuro! Portava sempre dall'Islanda quelle preziose penne che tengono tanto caldo. Il ritorno del taverniere, armato d'una bottiglia discretamente polverosa e di tre tazze, interruppe quella disputa che avrebbe potuto andare molto per le lunghe, ma alla quale il Corsaro pareva non avesse prestato nemmeno orecchio. - Vecchia, mastro Taverna? - chiese il bretone. - Cinquant'anni. - Corpo di centomila corna di bisonte! In quale distilleria della Inghilterra l'hai veduta nascere, se non hai nemmeno quarant'anni? - Bisognerebbe domandarlo a mio padre - rispose serio serio il taverniere. - Fallo venire. - È morto vent'anni fa, dopo aver bevuto, in seguito ad una scommessa, tre bottiglie di whisky. - Beveva per incoraggiare gli avventori - disse Piccolo Flocco. - E vi ha lasciata la pelle. - E la cantina a voi, mastro Taverna, - disse il bretone. - assaggiamo dunque questo famoso ... che cos'è? - Gin - Che ha cinquant'anni di prigionia. Comandante, se è vero che è così vecchio, vi metterà di buon umore. Il Corsaro non rispose. Colla testa appoggiata al braccio sinistro, gli sguardi fissi dinanzi a sé, il volto pallido, non si occupava di quanto accadeva intorno a sé. Certo doveva pensare in quel momento a Mary di Wentwort. - Soffia tempesta! - sussurrò il bretone in un orecchio del giovane gabbiere. Il taverniere sturò la bottiglia, empì una tazza, e subito si vide cadere, insieme col liquido, una cosa nerastra che mastro Testa di Pietra si affrettò a prendere. - Corpo d'una barca sventrata! - urlò. - Cosa faceva tuo padre? Il conservatore di scorpioni sotto spirito? Il taverniere era rimasto stupefatto e guardava con due occhi smarriti un superbo scorpione, magnificamente conservato, che il bretone teneva stretto fra le sue dita. - Che cosa ci fa qui dentro questa bestiaccia? - chiese Testa di Pietra -, guardandolo di traverso. - Volevi forse avvelenarci perché siamo inglesi? Ti faremo tradurre dinanzi al Consiglio di guerra e fucilare come traditore. - Perdonate, - rispose il taverniere balbettando e tremando. Questa è la bottiglia dove metteva in infusione gli scorpioni. - E volevi darci ad intendere che era stata tappata cinquant'anni fa in non so quale distilleria gallese? - Ho sbagliato, non avevo un lume. - Avaro! dovevi accendere una candela. - Non se ne trovano quasi più a Boston, e bisogna economizzare quelle poche che ancora rimangono. - E perché fai raccolta di scorpioni? Per avvelenare i soldati inglesi? Si vede bene che sei un americano, forse amico di quella canaglia di Washington o di quell'altra pellaccia che si chiama Arnold. - No, no, mister. Li metto in infusione per sanare più rapidamente le ferite. - Per il borgo di Batz! Hai mai udito raccontare che un taverniere facesse anche il farmacista? - Mai - rispose seriamente il giovane gabbiere. - E nemmeno voi, comandante? Il Corsaro si limitò a sorridere e a crollare la testa. - Riporta nella cantina i tuoi scorpioni - disse Testa di Pietra - e portaci un'altra bottiglia. Non dimenticare che se vi trovo qualche serpente in infusione, ti faccio fucilare. Il taverniere scappò via colla bottiglia, dicendo: - Scendo col lume, questa volta. - Crepi l'avarizia! - gli gridò dietro Piccolo Flocco. Un istante dopo risaliva con un'altra bottiglia di aspetto più venerando, perché aveva un bel contorno di ragnatele polverose. - Cent'anni? - chiese il bretone. - No, sessanta - rispose il taverniere. - L'ha tappata tuo nonno? - Mia madre. - Allora dev'essere eccellente: cambia le tazze e vuota. - Non l'hai ancora finita, vecchio brontolone? - chiese il Corsaro. - Comandante, - rispose Testa di Pietra - chiacchiero come una dozzina di pappagalli per distrarvi. Siete di pessimo umore stanotte, mentre dovreste esser contento ora che siamo entrati nella piazza. Qui non c'è burrasca. - Puoi avere ragione - rispose il Corsaro con un pallido sorriso. Prese la tazza che gli stava dinanzi poi la vuotò d'un fiato. - Proprio messo in prigione sessant'anni fa? - chiese Testa di Pietra; ma sir William rispose con una scrollata di spalle. - All'assalto anche noi, Piccolo Flocco. - Sempre, mastro, - rispose il giovane gabbiere. E tracannarono, senza nemmeno gustarlo, il fortissimo liquore. - Che te ne pare, figliuolo mio? - chiese il bretone. - Non so. - La mia pipa è più forte. - Sfido io! vi hanno fumato tre o quattro uomini per un paio di secoli almeno! - Non so se siano veramente due secoli, - rispose Testa di Pietra - ma molti anni sono passati attraverso questa pipa. Il turco che l'ha fabbricata doveva essere un vero artista ed anche ... Una mossa brusca del Corsaro gli troncò la frase Sir William si era alzato ed aveva fissato il taverniere, il quale si era fermato presso il tavolino, come se aspettasse un giudizio sulla bottiglia. - Da quanti anni di trovi in Boston? - gli chiese. - Ci sono nato, Vostro Onore. Dunque, ti trovavi qui quando gli americani assediarono la piazza. - Sì, mio gentleman. - Allora conoscerai tutti i comandanti dell'armata. - Certo, signore. - Anche il marchese d'Halifax? - Ho avuto l'altissimo onore di portargli le mie ultime bottiglie di Bordeaux e di Champagne. - Ah! Dove abita? - Nel castello d'Oxford. Mi stupisco come Vostro Onore lo ignori - disse il taverniere. - Ci troviamo qui solamente da ieri, e non conosciamo affatto la città. - Abita nel castello d'Oxford? - esclamò Testa di Pietra. - So dove si trova, e vi saprei condurre ad occhi bendati, comandante. È il punto meglio fortificato della piazza: è vero, mastro Taverna? L'oste fece col capo un cenno affermativo. - Siediti - disse il Corsaro. Il taverniere obbedì, ma tenendo lo sgabello ad un paio di metri dalla tavola. - Hai mai veduto, nel castello, una fanciulla bionda? - Le ho portato due bottiglie di vino del Reno, mio gentIeman. Erano le ultime che tenevo nella cantina; due bottiglie che devono aver fatto molto onore all'Albergo delle trenta corna di bisonte. - Bum! - esclamò Testa di Pietra. - Vi erano certamente dentro scorpioni! - Ah, no, signore, - rispose il taverniere. - Non potrebbero conservarsi! - Per caso non ne avresti ancora una bottiglia? - Credo di si. - Portala subito: ma ti avverto che se vi trovo uno scorpione, parola di marinaio, dò fuoco alla tua baracca. Comandante, permettete che il vostro vecchio lupo di mare ve l'offra. Uomini che sono sfuggiti miracolosamente alla morte hanno ben diritto di bere più d'un bicchierotto e di quello prelibato. - Fa' come vuoi - rispose il Corsaro sorridendo. - Sei il più pazzo dei miei marinai. - Quando affermate ciò, ci credo, - rispose il bretone con gravità - e appena terminata la campagna, andrò a rinchiudermi in un manicomio.

La corvetta, sebbene ostacolata dalla corrente, avanzava abbastanza velocemente, sicché in cinque minuti raggiungeva una profonda cala sulla riva sinistra, dove gli americani avevano innalzato due piccoli, ma ben muniti ridotti. Le àncore furono affondate, le vele prontamente imbrogliate, e i fanali di dritta e di sinistra accesi. Una scialuppa montata dai sei rematori e da un timoniere, si era staccata dalla riva, abbordando la corvetta sotto la scala abbassata. Il colonnello americano il pilota ed il Corsaro ricevettero il timoniere. - Ah, voi, mister Pardell! - esclamò il colonnello. - Non credevo di trovarvi ancora qui! - Corro sempre dove c'è da menar le mani - rispose il capitano. - Ecco il Corsaro, il baronetto William Mac Lellan, di cui avrete già udito parlare, il più audace scorridore del mare delle Bermude. - Vi aspettavamo impazientemente Sir, - rispose il capitano, stendendo la mano - e sono incaricato di portarvi i ringraziamenti del Congresso e quelli del generale Washington. Il baronetto s'inchinò, poi disse: - Vi porto quattrocento tonnellate di polvere, cinquemila fucili con relative baionette, duemila bombe e quattro grossi mortai. In più metto a disposizione della causa americana la mia corvetta ed i miei centocinquanta uomini, scelti fra i migliori corsari che scorazzino l'Atlantico. - Il Congresso pagherà ogni cosa. Sir William alzò le spalle. - Dono tutto alla causa americana, - disse - ad una condizione però. - Quale, sir? - chiese il capitano, stupito di tanta munificenza da parte d'un uomo che tutti credevano di puro sangue inglese. - Mi si permetta di entrare, questa notte stessa, in Boston con un paio dei miei uomini. - È impossibile, sir. - Non è finita la galleria che doveva terminare sotto le casematte del gran bastione di Hamilton? - chiese il colonnello. - Sì, mister Moultrie. Anche la mina per farlo saltare è stata preparata. - Passeremo per di là - disse il Corsaro. - È assolutamente necessario. - Incontrereste la morte, sir, - rispose il capitano. - Le nostre spie ci hanno informato che gl'inglesi questa notte tenteranno una sortita per cacciare i nostri compatrioti da Breed's Hill e da Bunker's Hill. A quest'ora gli assediati devono essere già in marcia e v'incontrereste subito con loro. - Maledizione! - esclamò sir William. - Affare rimandato mio caro baronetto, - disse il colonnello. Una giornata passa presto e domani potrete tentare l'impresa, con maggior successo. Il Corsaro era rimasto silenzioso e, come era sua abitudine, si era messo a passeggiare nervosamente per la tolda. Ad un tratto un fracasso infernale ruppe il silenzio che regnava nella baia. Fumo rossastro s'alzava sopra i bastioni, sopra le lunette, sopra un ridotto di Boston, attraversato da lunghi getti dì fuoco. - Vedete - disse il capitano americano. - Gli assediati cercano di mascherare le loro mosse, bombardando le nostre posizioni. Domani ci sarà grossa battaglia, per ributtare dentro le mura gl'inglesi. - Proprio questa notte! - disse il Corsaro con rabbia. La galleria è ben simulata e per quella potrete sempre entrare, ora che è stata finita - rispose il colonnello. - Testa di Pietra! - gridò sir William. Il bretone era in quel momento occupato a tagliare, con una grossa forbice da una lastra di zinco, piccoli triangoli, sui quali legava fette di lardo, aiutato da Piccolo Flocco. - Per il borgo di Batz! - esclamò, udendosi chiamare. - Che non possa dedicare nemmeno cinque minuti alla pesca degli albatros? Lasciò cadere a terra tutto, e raggiunse il Corsaro, che seguiva con lo sguardo le faville che sprizzavano dalle palle infuocate scagliate dai forti di Boston contro le due alture occupate dagli americani. - Non odi tutto questo baccano? - Per il Borgo di Batz! Lo udrebbero anche tutti i morti sepolti lungo le coste della Bretagna, se tanti cannoni si sparassero a Brest, e non volete che giunga agli orecchi d'un vecchio artigliere? - Che cosa facevi in questo momento? - Preparavo, insieme con Piccolo Flocco, gli ami per catturare gli albatros. Ne vengono molti è vero, signor colonnello, alla foce del fiume? - Si, - rispose Moultrie, ridendo. - Allora spero di prenderne parecchi. I miei uomini si fabbricheranno splendide borse da tabacco ed anche meravigliosi bocchini con le ali di quei predoni degli oceani. - E la guerra? Non odi? - Huff! Quando gli inglesi saranno stanchi di sparare, lasceranno dormire i loro pezzi - rispose tranquillamente il bretone, levandosi di tasca la sua storica pipa e preparandosi a caricarla. - Abbiamo imbarcato quattro mortai che ci hanno mandati i nostri amici francesi - disse il Corsaro. - Dirai al signor Howard di farli collocare sulla tolda: così proveremo il loro tiro d'arcata. - Preferisco i cannoni da caccia. - Alza più che puoi anche quelli e prendiamo parte alla festa di fuoco. Va'! Tutti i forti di Boston infuriavano con un fragore assordante, assecondati da tutte le navi da guerra che si trovavano in porto e dalle batterie galleggianti. I due ridotti americani piantati sulle due alture, tenevano coraggiosamente testa al fuoco degli assediati e coprivano di palle la città, scatenando incendi fra le case di legno, che la guarnigione inglese a malapena riusciva a spegnere. Tutta la baia era in fiamme. Lampi partivano da tutte le parti. A fior d'acqua, sulla riva della Mistica e sulle alture di Brunker's Hill e di Breed's Hill. La corvetta non aveva tardato a prendere parte a quella festa del fuoco come l'aveva chiamata sir William. Il secondo di bordo, insieme con Testa di Pietra ed i più abili artiglieri aveva fatto disporre sul larghissimo cassero dietro i cannoni da caccia, i quattro mortai ricevuti dai corsari francesi ed avevano fatto aprire un magnifico fuoco contro il bastione di Workart, tempestandolo di granate del peso di quaranta chilogrammi. Anche i cannoni da caccia erano entrati in scena e spazzavano le basi e lo specchio d'acqua per impedire alle scialuppe inglesi di avvicinarsi. Lo spettacolo era spaventoso ed il rimbombo assordante. Nonostante il pericolo, gli abitanti di Boston si erano rovesciati in massa verso i bastioni, per godersi quel terribile bombardamento che doveva più tardi rammentare agl'inglesi quello celebre di Gibilterra. Le due posizioni americane tenevano valorosamente testa a quel diluvio di palle, senza per questo interrompere i lavori che dovevano metterli in grado, all'alba, di respingere energicamente l'assalto nemico. Le perdite erano considerevoli, ma maggiori quelle degli inglesi. i quali si lasciavano stoicamente mitragliare dai quattro pezzi da caccia del Tuonante, senza sparare un solo colpo di fucile, per non far conoscere le loro mosse agli americani. Tutta la notte le artiglierie dei forti, delle trincee, dei ridotti e delle navi rimbombarono con un crescendo orribile, poi, verso l'alba i colpi a poco a poco divennero più radi, finché cessarono completamente. Gl'inglesi avevano lasciato la piazza e si preparavano animosamente ad assalire le due alture, le cui artiglierie recavano tanto danno alle case ed alle fortezze.

- Guadagniamo abbastanza bene per permetterci, qualche volta, dei capricci. Vi dispiace? - Niente affatto. - Allora se si aprisse un buco attraverso quella porta si potrebbe vedere la nostra vittima? - Certamente. - Sono tanto curioso di sapere come passa il suo tempo. L'avete veduto? - Io no. - Lo vedrete allora domani con un palmo di lingua fuori. Signor Però Paga, ecco i due dollari promessi e andate pure a dormire. Non abbiamo più bisogno di voi. Il cantiniere salutò, facendo risuonare i pezzi d'argento guadagnati così facilmente. Testa di Pietra andò a chiudere la porta, si sedette, poi disse: - Ora decidiamo. - Che cosa vorreste fare? - chiese il boia. - Vedere il mio comandante. - E se vi è il cappellano? - Che cosa importa? Non siamo noi i carnefici? Diremo che siamo stati mandati dal comandante del forte per preparare la sua funebre toeletta. Lasciate fare a me. - E vorreste, poi ... ? - Rapirlo! - E come fareste a uscire dal forte? - Ah! Ecco il guaio! Intanto andiamo a visitarlo. Al resto penseremo. Voi rimanete pur qui e vuotate questa bottiglia di pessima birra. Estrasse il suo coltello da manovra e si avvicinò alla porta indicatagli da Però Paga, munita di vecchia serratura e che non avrebbe resistito ad un colpo di spalla del robusto marinaio. Si mise in ascolto e non udì nulla. - Che quel birbante ci abbia ingannato? - si chiese il bretone, digrignando i denti. - Se mi ha rubato i due dollari, parola d'onore, lo strozzo e senza adoperare il laccio del mio compatriota. Impugnò il coltello e fece saltare i chiodi, poi sollevò la serratura e tirò il chiavistello. La porta si aprì. Fece segno ai suoi due compagni di non muoversi poi aprì così dolcemente la porta, che i cardini non cigolarono. Dinanzi agli sguardi del bretone apparve una specie di cappella illuminata da un paio di candele posate su un tavolino, in mezzo alle quali si alzava un crocefisso di metallo. Un uomo stava seduto presso il tavolino, colla testa fra le mani. Il bretone aveva frenato a stento un grido di gioia. Aveva riconosciuto il suo comandante, sebbene gli volgesse le spalle. S'avanzò sulla punta dei piedi, guardando da tutte le parti, poi, pienamente rassicurato, batté sulle spalle del comandante, dicendo: - Sir William, silenzio: non mandate nessun grido. Il baronetto si era alzato di scatto e aveva fatto tre o quattro passi indietro, soffregandosi energicamente gli occhi e chiedendosi ripetutamente: - Sogno? - No, mio comandante, non sognate. Sono proprio io, Testa di Pietra, nella veste del carnefice. - Ma come hai potuto giungere fin qui? - Eh, la storia sarebbe troppo lunga a raccontarsi: ve la dirò un'altra volta. - Sarà troppo tardi, perché domani gl'inglesi mi impiccheranno - rispose il baronetto con un mesto sorriso. - Howe non mi grazierà, perché mio fratello è inesorabile. - E lo credete? - Lo credo: mi hanno già annunziato che il boia di Boston è giunto. - Ma insieme con me e con Piccolo Flocco! - rispose il bretone. Il baronetto lo guardò trasognato, poi disse: - Siete due diavoli! - Niente affatto comandante: due bravi marinai, che vogliono vedervi ancora sul ponte di comando della Tuonante. - Dimmi ... - Una domanda prima Non c'era il cappellano della guarnigione poco fa? - Si, è andato a coricarsi; non tornerà prima dello spuntar del sole. - C'è pericolo che qualche sentinella entri improvvisamente? - Dovrebbe fare un baccano infernale per levare i catenacci e fare scorrere i chiavistelli - rispose il baronetto. - Ma, dimmi ... - Domandate pure. - Mary? - chiese il disgraziato con voce soffocata. - L'hanno rapita e riportata al marchese - rispose il bretone. - Non dovete disperare però: col bombardamento che infuria non si penserà a fare un matrimonio. E poi vostro fratello non è ancora guarito. - Me lo assicuri? - Perché dovrei ingannarvi, comandante? - Oh, no! - protestò il baronetto. - Vi dirò dunque che non sarete impiccato dal carnefice di Boston. - Chi lo dice? - Io! rispose il bretone. - Con quale sicurezza? - Con questa: il signor boia di Boston è mio compatriota. Vorreste che i bretoni si prestassero ai tristi giuochi degl'inglesi? Oh, no, no! Ho la sua parola, e sono sicuro che la manterrà. Vi consiglio per altro di mostrarvi docilissimo e dì lasciarvi impiccare. - Che cosa dici, Testa di Pietra? - esclamò il baronetto. - Questo non è il momento di scherzare. Per me si tratta di morire e di morte ignominiosa. - Comandante, - disse il mastro - ho lavorato febbrilmente per la vostra salvezza. Vi dico di lasciarvi impiccare; rispondo di tutto - E come? - La corda che dovrebbe strozzarvi si spezzerà subito. - Per quale miracolo? - Non ci pensate comandante. Tutte le precauzioni sono state prese per salvarvi e gli americani ci aiuteranno gagliardamente. - Anche gli americani! - esclamò il baronetto. - Diamine! Domani, quando conteranno dì impiccarvi, il colonnello Moultrie ed Ashe daranno al forte un assalto formidabile, appoggiato dalla Tuonante. - Dalla mia corvetta! - esclamò il Corsaro, i cui occhi si erano illuminati d'una luce strana. - Sì, anche i pezzi della corvetta prenderanno parte all'attacco, comandante. - Così - disse, fermandosi improvvisamente dinanzi a Testa di Pietra che lo guardava con angoscia - dovrò lasciarmi mettere la corda al collo? - Ve l'ho detto: una semplice commedia, comandante, che sarà subito interrotta dalle artiglierie della vostra Tuonante. - La mia corvetta! - esclamò il Corsaro. - Che possa tornare a bordo della mia nave, e sfiderò tutta la flottiglia inglese che ingombra il porto. - La rimonterete, comandante; vi dò la parola d'onore d'onesto marinaio. In quel momento si sentì un rumore dietro la porta della cappella che metteva nel corridoio. Le sentinelle facevano la loro visita. - Fuggi, Testa di Pietra, - disse il Corsaro. - Non lasciarti sorprendere. Il bretone fece due salti, raggiunse la porta del magazzino, e la chiuse silenziosamente, borbottando: - Canaglie! Non avrete la sua pelle. Parola di bretone! Il boia e Piccolo Flocco, che non avevano lasciato il tavolino, lo interrogarono con lo sguardo. - Tutto va bene - rispose Testa di Pietra. - Possiamo prendere un po' di riposo. Per il borgo di Batz! La giornata è stata movimentata ed abbiamo diritto di chiudere gli occhi.

Il Corsaro alzò le spalle, poi disse: - Lupo sono anch'io e di mare per di più, ed avrò abbastanza denti per difendermi. Mi avete promesso di guidarmi fino alla galleria che mette sotto le casematte. - È vero, sir William, e sono uomo da non mancare alle promesse dovesse anche costarmi la vita. Vorrei bensì attendere una occasione migliore. - Per lasciare intanto il tempo al marchese d'Halifax di costringere colle minacce o colla forza Mary di Wentwort a sposarlo? Ah, no! Il suo viso era diventato improvvisamente cupo. - Questa spada - disse - deve bagnarsi del sangue degli Halifax. - Vorreste uccidere il marchese che, alla stretta dei conti, è vostro fratello? - Se entro in Boston, quell'uomo pagherà l'infame tradimento e mio padre mi perdonerà. - E poi? - Non ho alcun dubbio sul trionfo finale della vostra santa causa. Apri una cassa e ne estrasse un vestito completo da ufficiale della marina inglese. - Lo sapevo - disse - che un giorno mi sarebbe stato prezioso. Stava per spogliarsi, quando un baccano infernale si udì al di fuori. Quelli della piazzaforte, avevano ripreso il bombardamento delle posizioni americane con una rabbia crescente. Sparavano i forti, sparavano i ridotti, e navi e le batterie galleggianti, facendo cadere verso la Mistica e sull'altura di Bunker's Hill una vera pioggia di proiettili. Il Corsaro mandò un urlo di rabbia. - Proprio questa notte! - esclamò. - Ah. maledetti! Aveva gettato al suolo la giacca e si era fermato dinanzi ad una miniatura che rappresentava una fanciulla bionda cogli occhi azzurri. - Mary, - disse, mentre i suoi occhi sfavillavano - mi sfiori pure la morte, questa notte, Lellan sarà da te. Colonnello, - disse poi con una certa esaltazione - avete paura delle palle infuocate o delle bombe inglesi? - Mai, sir William. - Siete sempre deciso a mantenere la vostra promessa? - Sempre. - Signor Howard, chiamatemi Testa di Pietra e Piccolo Flocco. L'uno, senza l'altro, non potrebbe fare mai nulla. Il secondo di bordo vuotò il bicchiere, e mentre i quattro pezzi da caccia ed i quattro mortai tuonavano terribilmente, salì sulla tolda. Anche i pezzi di dritta, avevano cominciato a sparare a colpì di bordata, facendo sussultare la corvetta. Non era trascorso mezzo minuto, che il bretone scendeva nel quadro. Aveva in bocca la sua famosa pipa. - Sei pronto a venire con Piccolo Flocco - gli chiese sir William. - Dove, comandante? - A Boston. - La serata veramente non mi pare propizia, non per la mia pelle, perché è ormai troppo vecchia e non servirebbe nemmeno ad adescare i pescicani, bensì per la vostra. - Per la mia? ... Me ne rido. - rispose il Corsaro. - E poi credo che la palla, piccola o grossa, che dovrà uccidermi, non sia stata ancora fusa. - Allora andiamo, - rispose il vecchio lupo di mare, lanciando in aria una nuvolata di fumo densissimo. - Vi sarà da menare le mani, comandante? - Forse anche troppo. - Non chiedo di meglio, e poi sapete che Piccolo Flocco, sebbene giovane, ha muscoli di acciaio. Per il borgo di Batz! È stato lui, nell'ultimo abbordaggio, che per primo è saltato sul ponte dell'inglese; e che sciabolate menava! Pareva un mulino a vento ... Dobbiamo cambiarci? I baffi e le barbe sono già caduti. - Non è necessario. - E le armi? - Bastano un paio di pistole a doppia canna per ciascuno e la piccola sciabola d'abbordaggio. - Ai vostri ordini, comandante. - Sia pronta una scialuppa fra cinque minuti. Sul ponte e nella batteria si mantenga il fuoco. - Sì comandante. - Bevi. Il bretone prese la grossa tazza che il Corsaro gli porgeva e d'un fiato la vuotò, borbottando poi: - Vivaddio! si beve meglio nel quadro che a prora. Si rimise in bocca la storica pipa e se ne andò. Il Corsaro gettò via le vesti, e indossò rapidamente una divisa da ufficiale inglese, accomodandosi sul capo una candidissima parrucca, come si usava in quel tempo. - Che cosa vi pare? - chiese a Howard e al colonnello americano. - Uhm! - disse quest'ultimo. - Non so in quale stato sarà ridotta la vostra eleganza quando avrete attraversata tutta la lunghissima galleria. Un lampo terribile balenò negli occhi del Corsaro. - Vi sono tanti ufficiali di marina in Boston, - disse con voce tagliente - Qualora ne avessi bisogno, ne ucciderei qualcuno per prendergli la divisa. - Questi corsari hanno veramente fegato! - mormorò il colonnello americano con un sospiro. - Se ne avessimo duemila a nostra disposizione, a quest'ora non ci sarebbe più un inglese sul suolo americano. - Colonnello, siete pronto? - Ai vostri ordini, sir Mac Lellan. - Signor Howard, affido a voi la mia corvetta. Vi lascio un equipaggio invecchiato fra il fumo delle batterie e sempre pronto a montare all'abbordaggio. Cercate di conservarmi la nave e di aiutare più che potete i nostri nuovi amici. - Ne rispondo pienamente, - rispose il luogotenente. - Piuttosto di lasciarla cadere nelle mani di Howe, la farò saltare insieme a me e ai miei uomini. - Ci conto, - rispose il Corsaro. Gli diede un'affettuosa stretta di mano, poi salì in coperta seguito dal colonnello. Come la sera precedente il tempo si era messo al brutto. In lontananza l'Atlantico rumoreggiava sinistramente, ed il vento sibilava mentre grosse nuvole si addensavano in cielo. - Ecco una bella notte! - disse il Corsaro, mentre i mortai ed i pezzi da caccia sparavano simultaneamente, facendo sussultare la corvetta. - Amo le notti di tempesta e le notti di fuoco. Testa di Pietra e Piccolo Flocco si erano fatti innanzi. - La scialuppa è pronta, comandante, - disse il primo. - Vi avverto che l'impresa sarà dura e che vi sono molte probabilità di lasciarvi la pelle. Il bretone alzò le spalle e guardò, sorridendo, Piccolo Flocco. - Che cosa ne dici, piccolo squalo? Il giovane gabbiere rispose con una risata argentina. - Che cosa si va a fare dunque alla guerra? - chiese poi. - Per darle o per prenderle; sono sempre stato pronto a darne più che ho potuto ed a riceverne il meno possibile. - Sei troppo chiacchierone, figliuol mio, - disse il bretone. - Un altro capitano, invece di starsene qui ad ascoltare le tue bravate, ti avrebbe regalata una magnifica pedata. Abusi troppo della bontà del baronetto. - Lascialo dire, Testa di Pietra, - disse il Corsaro. - Alla sua età piace chiacchierare. - Preferisco invece fumare e bere, capitano. - Andiamo. Scesero la scala di tribordo, accompagnati fino alla piccola piattaforma da Howard e balzarono in una scialuppa montata da sei marinai e da un timoniere. Il colonnello americano vi era già. - Vi raccomando la mia corvetta - gridò un'ultima volta il Corsaro. - State tranquillo, sir - rispose Howard. - La rivedrete correre attraverso l'Atlantico. Le palle fioccavano, ché gl'inglesi tentavano di ridurre al silenzio la corvetta, i cui mortai non cessavano di lanciare dentro la città le loro grossissime granate. Ma tirando essi a palle infuocate, era facile scorgerle in aria ed evitarle prima che cadessero, perché si lasciavano dietro una striscia fiammeggiante come i bolidi. Il timoniere, sempre all'erta, ora faceva filare la rapida baleniera, ora la tratteneva, aspettando che i proiettili si sprofondassero nel fiume. La traversata non durò che cinque minuti, ed i tre corsari e il colonnello americano presero terra senza aver provato gli effetti di quelle palle micidiali. - Quando udrete due colpi di pistola, verrete a riprendere me, Testa di Pietra e Piccolo Flocco, - disse sir William. - Non so però quale sarà la notte in cui torneremo a bordo. Aspettate qui il colonnello che deve fra poco ritornare sulla corvetta. Addio, ragazzi. - Buona fortuna, capitano! - risposero ad una voce i sette uomini della baleniera. Una salita assai erta, ingombra di folti cespugli, si trovava dinanzi ai tre corsari. - Dove si trova la galleria? - chiese sir William al colonnello. - Non la chiamate galleria, - rispose l'americano. - È un passaggio strettissimo che non vi permetterà di avanzare che uno dietro l'altro. - Non importa. Dov'è? - Centocinquanta passi lontana da noi. - E la mina dove si trova? - Sotto le casematte; vi consiglio di non farla esplodere. - Non commetterò una simile sciocchezza. Resteremmo tutti schiacciati, e per ora non ho alcun desiderio di morire ... Volete guidarci colonnello? - Sempre ai vostri ordini, sir William. L'americano si orientò rapidamente, poi cominciò ad arrampicarsi. Le artiglierie tuonavano sempre. - Bella notte, vero, Testa di Pietra? - disse il Corsaro il quale seguiva da presso il colonnello. - Per il borgo di Batz! - rispose il bretone. - Mi pare di essere alle feste carnevalesche di Brest. Ma là piovevano allora fiori e confetti ed io, giovane mozzo, li prendevo sul viso senza protestare e i confetti li mangiavo ve l'assicuro. Non so quante purghe mi abbia fatto ingoiare la mia povera mamma, prima d'imbarcarmi pei banchi di Terranova ... Bum! Un passo più innanzi e la mia vecchia pipa scoppiava come una mina. - È stata caricata con polvere? - No, signor comandante: di ottimo tabacco del Maryland. - Vattene sul campanile di Batz. - A suonare le campane! È troppo lontano, mio capitano ... Bum! Un'altra! - Taci, eterno chiacchierone - disse il Corsaro. - Rimproveri Piccolo Flocco e sei peggio di un pappagallo. - Per il borgo di Batz! Avete ragione, mio comandante. Non me n'ero accorto. In quel momento una palla piombò a pochi passi da loro, una palla destinata certamente alla corvetta e che, per poca forza del calibro del pezzo, si era arrestata a tre quarti di via. - Granata a palla infuocata! - disse il bretone. - Piccolo Flocco, ragazzo mio, va un po' a vedere. Salterai tu solo, se si tratterà di una bomba. - Fermi tutti! - comandò il Corsaro con voce imperiosa. - Guai a chi si muove! Tutti a terra! Successe uno scoppio, seguito da un sibilare di proiettili e di frammenti di ferro e di ghisa solcanti l'aria. I quattro uomini, rimasero incolumi. - Grazie alla tua premura, Testa di Pietra - disse il giovane gabbiere. - Se fossi andato a raccogliere quel dolce inglese, a quest'ora non avrei forse più né le breccia né le gambe. Non ti obbedirò più. - Silenzio! - comandò il colonnello. - Siamo presso la galleria. - Ci sarà qualche sentinella da bucare? - chiese il bretone, il quale non voleva rassegnarsi a chiudere il becco. - Ma che! Avrete da percorrere, in salita, più di trecento metri, prima di trovarvi faccia a faccia cogl'inglesi. Un'altra palla passò fischiando sulle loro teste, perdendosi in direzione della corvetta. - Non finisce più questa pioggia? - borbottò Piccolo Flocco. Comincia a diventare un po' seccante. Avessi almeno il cappotto d'incerato che la mia buona vecchia mi ha regalato! - Sì. Ti difenderebbe quello! - disse Testa di Pietra che lo aveva udito. Il colonnello in quel momento si fermò dinanzi ad un altissimo gruppo di passiflore e, vi si cacciò risolutamente in mezzo, senza badare alle spine che gli laceravano l'abito. S'avanzò attraverso la macchia per circa dieci metri, poi chiese: - Chi ha l'occhio di bue? - Io - rispose Piccolo Flocco. - Accendetelo. Ormai non ci possono più vedere. Testa di Pietra batté l'acciarino ed accese l'esca e quindi la piccola lanterna. - Si trovarono dinanzi ad una roccia altissima, alla cui base si apriva un buco. - Ecco il passaggio, - disse il colonnello. - Non potrete avanzare che strisciando come i crotali e non troverete che un po' di spazio nella camera di mina. Una delle pietre che servono di pavimento alla casamatta del bastione, che volevano far saltare, è stata già smossa e con un piccolo sforzo la solleverete facilmente. Agite con estrema prudenza e badate di non fare scoppiare le polveri. - Testa di Pietra, hai una cordicella incatramata in tasca? - Un buon marinaio ne ha sempre, capitano, - rispose il bretone. - Che cosa volete farne? - chiese il colonnello, un po' sorpreso. - Voglio risparmiarvi la fatica e il pericolo di far saltare il bastione e la casamatta - rispose tranquillamente il Corsaro. - Vi esporrete ad un rischio gravissimo. - Ci siamo abituati noi; e poi siamo venuti qui per agire e non per ascoltare il rombo delle cannonate. - Fate come volete. I miei compatrioti vi saranno riconoscenti. - Addio, colonnello. Spero di rivedervi presto. - Siate prudente - rispose l'americano con voce assai commossa. - Se vi prendono non vi risparmieranno. Si strinsero un'ultima volta la mano e si separarono. Il colonnello si cacciò fra le passiflore per raggiungere la scialuppa che l'attendeva sulla riva della Mistica, ed il Corsaro, presa la piccola lanterna, si cacciò nella galleria, seguito subito da Testa di Pietra e da Piccolo Flocco.

Quella squadra, abbastanza potente per battere l'Atlantico, a poco a poco si era radunata intorno a quella di sir William, riconosciuto ormai il più abile ed intrepido marinaio ai servigi degli insorti americani. Predavano, i corsari, le navi cariche di polveri e di armi destinate alla guarnigione di Boston, ma soprattutto facevano grande raccolta di viveri. Il governo inglese, informato delle gravi strettezze nelle quali si trovava la guarnigione di Boston, aveva con incredibili spese imbarcato un numero enorme di buoi, di capre, di vitelli, di carni salate e di vegetali, e su rapide navi li aveva inviati verso quella città. La squadra americana comandata da sir William, che incrociava sempre dinanzi a Boston, era piombata improvvisamente su di essa, le aveva catturate. Era una risorsa enorme, inaspettata per gli assedianti, anche perché, oltre a viveri e munizioni, c'era una quantità straordinaria di carbone. Howe non vedendo nessuna risorsa giungere dal mare, aveva fatto cacciar fuori dalla città ben ottocento abitanti inabili, per la maggior parte affetti da vaiuolo. Suo disegno era di contaminare il campo americano e di portarvi dentro la strage, senza bisogno di bombe e di combattimenti furiosi. A questa infame guerra risposero gli americani stringendo sempre più l'assedio. La Camera del Massachussetts, temendo che gli americani stringendo sempre più la piazza, se ne tornassero alle loro case prima che fosse presa la città, aveva prontamente emessi cinquantamila biglietti di sterline di credito, sui quali era rappresentato un soldato americano, impugnante una spada diritta, attorno alla quale si leggevano queste parole latine: Ente petit placídam sub libertate quietem. Gli americani peraltro decisero di fare uno sforzo supremo per impadronirsi di Boston. Washington, e i generali Lee e Gage, che armeggiavano nei dintorni di New York, avendo compreso che la buona riuscita della causa americana dipendeva dalla caduta di Boston, scesero verso il sud, conducendo seco parecchie migliaia di stanziali ed un buon numero di pezzi d'assedio Quel rinforzo fu di grande utilità agli assedianti, i quali cominciavano a trovarsi a mal partito a cagione del freddo sopravvenuto. Washington e i suoi generali avevano prese le misure necessarie per stringere maggiormente la piazza ed impedire che la guarnigione potesse in qualche modo approvvigionarsi. Approfittando del ghiaccio, il prode americano aveva spinto grosse avanguardie fin quasi sotto le mura di Boston, affinché tribolassero giorno e notte, con finti assalti, agl'inglesi. Per di più, aveva fatto costruire due grosse batterie galleggianti alle bocche del fiume Cambridge per battere la piazza anche da quella parte, Poi fu decisa l'occupazione di tutte le alture dominanti la città che gl'inglesi, affievoliti dagli stenti, poveri di munizioni, non si trovavano più in grado di difendere. La notte del 3 marzo del 1776 tutti i pezzi americani, cominciarono a tirare, cagionando dentro la piazza molti incendi, e la notte del 4 marzo si impadronirono delle ultime alture. Gli americani si erano messi nell'impresa con grande slancio malgrado il freddo intenso. Protetti dalle batterie di Phipps Farm e di Roxbury, ottocento scorridori passavano l'istmo di Dorchester, seguiti subito da milleduecento stanziali e da molti carri pieni di gabbioni e di travi e di balle di fieno, onde improvvisare trincee che li mettessero al coperto dai tiri della squadra inglese. Gli americani giunsero felicemente sugli ultimi baluardi senza che la guarnigione se ne fosse accorta. Al mattino, diradatasi la nebbia, Howe vide, con sua grande sorpresa e rabbia, che il nemico si era già rafforzato anche lassù e vi aveva piantato le artiglierie. Comprese che la piazza stava per venire rinchiusa in un cerchio di ferro e di fuoco, e decise di tentare un supremo assalto alle ultime posizioni americane. Washington, avvertito di quel disegno, non aveva indugiato a prendere le sue precauzioni per respingere il presidio e distruggerlo. Aveva fatto rafforzare rapidamente le trincee improvvisate munendole di nuovi pezzi, fatto accorrere soldati da tutti i dintorni e stabilito i segnali che dovevano farsi su tutte le alture. Non contento di ciò, considerando che la squadra di sir William avrebbe potuto forzare il blocco e gettare le àncore alla foce della Mistica, vi aveva aggiunto quattromila uomini scelti, affinché approfittassero della confusione della lotta per attraversare il Cambridge e tentare un assalto disperato. Il generale Sullivan comandava le prime schiere incaricate di assalire le ultime alture; Greene lo seguiva con parecchie migliaia di soldati. Dal canto suo Howe, comandante della piazza, aveva fatto costruire gran numero di scale per montare all'assalto delle trincee americane, affidando la temeraria impresa a lord Percy, ai suoi comandi aveva messo più di tremila soldati, il meglio di quanto gli rimaneva della sua stremata e affievolita guarnigione. Già si erano mossi animosi gli assediati, quando scoppiò un violentissimo uragano, che respinse le acque fuori della baia, accompagnato da una pioggia dirottissima che rendeva quasi nulla l'efficacia delle armi da fuoco. Howe, disperando di spuntarla per quella notte, aveva dovuto richiamare le sue forze, mentre gli americani si affrettavano a rafforzarsi. Il colonnello Mifflin aveva apprestato gran numero di botti piene di sassi e le aveva collocate intorno alle alture, affinché muovendo il nemico all'assalto, le facessero rotolare con grande furia per romperne gli ordini. Howe, accortosi dell'impossibilità di forzare le posizioni americane e disperando ormai di ricevere soccorsi dall'Inghilterra, decise, anche per consiglio di lord Durmonth, uno dei segretari di Stato, di evacuare la città e di fuggire a New York che gl'inglesi allora tenevano saldamente. Non aveva una squadra potente, tuttavia i sette od ottomila uomini, che erano scampati alla fame, al vaiuolo, ai bombardamenti, vi potevano trovare rifugio. Si trattava di centocinquanta navi, fra grosse e piccole già assai invecchiate dai lunghi ancoraggi, e d'una sola fregata, l'unica che avesse potuto forzare il blocco, poiché la squadriglia del baronetto e dell'ammiraglio americano si erano affrettate a tornare in mare per mettersi in agguato. Le grandi difficoltà consistevano nel trasportare gli abitanti fedeli alla causa inglese e le loro famiglie per sottrarli ad un massacro. Il viaggio era lungo e difficile, l'inverno infieriva, i viveri scarseggiavano, e le soldatesche incapaci ormai di opporre valida difesa. Howe cionondimeno non esitò. Aveva preso la decisione di ritirarsi a New York o all'isola d'Halifax. Mandati a chiamare i notabili della città, espose loro la gravità della situazione e mostrò le materie incendiarie che aveva fatto preparare, affinché mettessero fuoco alla città nel momento in cui gli americani entravano. Quella brava gente fu poi mandata al campo americano per pregare il generale Washington che non volesse disturbare la loro partenza. Il comandante supremo delle forze americane, preso fra l'incudine ed il martello, e non volendo d'altronde la distruzione della città e la perdita di tutti gli averi di quei disgraziati abitanti, cedette, a condizione che Howe lasciasse indietro le artiglierie e tutto quello che non avrebbe potuto imbarcare. Alle 4 del mattino del 17 marzo cominciò l'imbarco della guarnigione, alla quale si erano unite mille e duecento famiglie d'inglesi. La squadra inglese si componeva, come abbiamo detto, di circa centocinquanta navi fra grosse e piccole. Washington lasciò che la flotta, fra una grande confusione prendesse il largo, ed entrava poco dopo nella città, colle bandiere spiegate e i tamburi rullanti. Il colonnello Moultrie, appena appresa la decisione di Washington di non ostacolare l'uscita della flotta, aveva subito pensato a sir William, ed aveva mandato uomini fidati a spiare l'imbarco dei. fuggiaschi. Come già se l'era immaginato, Howe, il marchese d'Halifax, ormai completamente ristabilito, ed i generali inglesi avevano preso posto sulla fregata, e su quella avevano veduto imbarcarsi anche una giovinetta bionda, che non poteva essere altro che Mary di Wentwort. Moultrie aveva fatto armare una scialuppa e si era portato a bordo della Tuonante, la quale aveva già messo a terra le truppe americane e si trovava in compagnia dei briks dei corsari delle Bermude. Una breve spiegazione aveva avuto luogo fra i due uomini, dopo di che sir William, comprendendo benissimo che per una donna non si potevano compromettere i destini d'una nazione, spiegò le vele verso l'uscita del porto coi briks, risoluto ad abbordare la fregata o morire nella temeraria impresa. Alle tre del pomeriggio la fregata, per la prima, lasciava la baia, guidando l'immensa turba delle sconquassate navi inglesi. Il baronetto, scorgendola, mandò un altissimo grido: - In caccia! Abbordiamola! Salvate la mia fanciulla! Non fate fuoco sul quadro! Il capitano della fregata, avvertito forse dal marchese dell'agguato che gli si tendeva, premendogli soprattutto di condurre in salvo, più che Mary di Wentwort, il generale Howe ed il suo Stato Maggiore, con una lunga bordata aveva subito appoggiato verso la costa, filando velocemente a settentrione. Le due navi, in piena corsa, cercavano di stringersi da presso, ma anche la fregata, che, come sfida, aveva inalberato sul corno della mezzana i colori del marchese d'Halifax, era uno splendido veliero. Le cannonate si succedevano alle cannonate. Mentre gl'inglesi sparavano sulla coperta, i corsari tiravano sull'alberatura dell'avversaria coi pezzi da caccia di prova, colla speranza di fracassarle un albero e di fermarla. Già la squadra inglese non era quasi più visibile, quando due palle incatenate, partite dai cannoni poppieri della fregata, presero di traverso l'albero di trinchetto della Tuonante, un po' sopra la coffa, spaccandolo di colpo. Il Corsaro mandò un grido terribile: - Mia Mary! Ancora una volta ti ho perduta. La corvetta, oppressa dal peso dell'albero che le gravitava sulla dritta, si era inclinata sul fianco, fermandosi quasi di colpo. La partita era perduta. Ancora una volta il marchese d'Halifax trionfava. Testa di Pietra, che teneva la ribolla del timone, vuotò sul coronamento di poppa la sua storica pipa, poi scuotendo la testa brontolò - Corra pure a nascondersi in qualche angolo dell'America: lo ritroveremo. Intanto la fregata, sbarazzatasi del suo pericoloso avversario, fuggiva lesta come un gabbiano verso il settentrione.

Non era veramente una stanza, ma nemmeno un nicchia, e cinque o sei uomini avrebbero potuto rifugiarsi abbastanza comodamente. Testa di Pietra in un lampo lo ispezionò, e si dichiarò subito soddisfatto. - Mi pare di trovarmi nella cala della Tuonante - disse il bravo uomo. - Sarà un po' difficile che quelle canaglie di policemen vengano a trovarci quaggiù. Mastro Taverna è la perla degli albergatori. Saprò ricompensarlo. In quel momento entrò Piccolo Flocco, il quale chiese subito: - Come si sta? - Magnificamente bene! - rispose il bretone. - Se fossi mastro Taverna, ci metterei cocomeri. Come si mangerebbero freschi! Quell'uomo non sa fare il suo mestiere, povero diavolo! E tutto deve dipendere dai suoi occhi di bue. La voce sonora di mastro Taverna risuonò in quel momento dentro il pozzo come un colpo di cannone. - Prendete il carico, miei gentIemen! La fune era ridiscesa con due gigantesche ceste contenenti tabacco, bottiglie, salsicciotti, prosciutti, cacio del Canada, pagnotte e due grosse coperte di cotone. - Ora mi pare che vada meglio - disse il bretone. Qui staremo benissimo, se mastro Taverna ci manderà tutto questo ben di Dio ogni giorno! Tuttavia preferirei essere a bordo della nostra corvetta. - Per far che, Testa di Pietra? - chiese il giovane gabbiere. - Il momento non potrebbe essere più terribile. Si tratta della vita del nostro comandante. - A chi lo dici? A me? Per il borgo di Batz! Non sai che sarei ben lieto di trovarmi al suo posto colla prospettiva di essere impiccato fra breve, pur di trarlo da quella condizione? - Che cosa pensi di fare? - Non lo so: ho la testa vuota. Questo colpo mi ha atterrato. Testa di Pietra aveva fissato i suoi occhi su una bottiglia che portava la famosa marca Medoc. Decapitarla fu l'affare di un istante. - In fondo a questa troverò la soluzione dell'arduo problema disse poi. - Va' a cercarla - rispose il giovane gabbiere. - Questo Medoc lo lascio tutto per te. - Lo vuoterò fino all'ultima goccia. Guarda, vi è anche Bordeaux e, pare perfino impossibile, una bottiglia di champagne che berrai quando l'avremo calata nel pozzo. Questo vino si deve bere sempre gelato. Il mastro fece onore a tutto quel ben di Dio. Piccolo Flocco, credette opportuno imitarlo. Per un momento dimenticarono il loro comandante e la sua fidanzata: ma quando il mastro ebbe bevuto un paio di bicchieri del suo vino preferito ed ebbe accesa la pipa, riprese il discorso. - L'affare è grave - disse. - Pare anche a me - rispose Piccolo Flocco. - E non so trovare una via d'uscita a tutto questo imbroglio. Capisci? Si tratta della vita del nostro comandante. - Lo sanno anche i sordi a quest'ora. Bevi un altro bicchiere di Medoc. - Hai ragione. Il mastro si riempi il bicchiere, lo vuotò lentamente, guardandovi dentro come faceva sempre, poi disse: - Bisogna aspettare la cameriera. - È tutta qui la tua trovata? Si direbbe che i bretoni di Batz invecchiano troppo presto. - Fulmini e vulcani! - gridò il mastro, scaraventando nel pozzo la bottiglia ormai vuota. Hai ragione, Piccolo Flocco. Sei giovane e non hai il cervello fossilizzato; potrai quindi scovare qualche cosa di buono. Alla prova, amico! ... - Credo che faremmo bene a tornare al più presto a bordo della corvetta giacché il passaggio della mina è stato ristabilito. - E dopo? - E tornare quassù con un drappello di marinai scelti, per tentare di salvare il comandante. - In mezzo a dieci o dodicimila uomini? No, ho invece un'altra idea, - disse Testa di Pietra. - Dilla. - Impadronirci del carnefice, affinché non impicchi il baronetto e gettarlo in questo pozzo. - E se invece lo fucilassero, il comandante? - No, gl'inglesi amano troppo la corda e lo impiccheranno. - E perché prendere il carnefice? - Per guadagnare tempo. - Ne troveranno un altro. - Non se ne trovano, in una città, due che facciano quel pessimo mestiere. Sparito il carnefice, saranno costretti a rimandare l'esecuzione; e chi sa che intanto la piazza non si arrenda. Sono a corto di viveri gl'inglesi, e credo anche di munizioni: aiuti dall'Inghilterra non ne giungono, quindi saranno obbligati un giorno o l'altro a capitolare, se non vorranno morire di fame. - Sei furbo. - Ora solamente te ne accorgi? Sono di Batz io! - Lo so - rispose il giovane gabbiere un po' mortificato. - Dunque andremo a dire due parole al carnefice! Lo porteremo via, e se non vorrà morire annegato, prenderà il nostro posto. - Riusciremo. - Rispondo di tutto. Lasciami dormire; così intanto le idee matureranno meglio. - Credo che per il momento non ci sia niente da fare - rispose il giovane gabbiere. - Con questa frescura dormiremo come ghiri Si avvolsero nelle due coperte, spensero la candela, e, si addormentarono placidamente. La notte passò tranquillissima, e chi sa quanto i due marinai avrebbero dormito, se qualche ora dopo l'alba la voce di mastro Taverna, non avesse destato l'eco della piccola camera. Il bretone, fu il primo a balzare in piedi. - Novità? - chiese. - Ci sono stati i policemen. - E che cosa hanno fatto? - Hanno frugato tutto l'albergo ed hanno fatto vestire il tedesco, finalmente desto - rispose mastro Taverna. - E la signora? - Non è stata disturbata, ed è già partita per il castello, promettendomi di ritornar presto. - Torneranno quei cani di policemen? - Può darsi; ma potete contare sulla mia fedeltà. Non vi tradirò a nessun prezzo. - Lo sapevo che eri un brav'uomo - rispose il bretone. - Diversamente non avrei messo i piedi nella sua taverna. Puoi calarci del thè? Fa freddo quaggiù, ed una bevanda calda ci farebbe bene. - Subito, signore. Anche Piccolo Flocco si era svegliato. - Che vogliono arrestare anche noi? - chiese a Testa di Pietra. - Pare - rispose il bretone. molto preoccupato. - Qui non spira più buon vento per noi, mio giovane amico, e faremo bene ad alzare i talloni al più presto. - Ma non prima d'aver riveduta la tua Nelly. La voce del taverniere si fece nuovamente udire. Annunciava il thè. - Giunge in tempo - disse il mastro; che cominciava ad aver brividi di freddo. Si avvicinò all'uscita di quello strano rifugio e vide scendere per mezzo di una sagola un bel bricco pieno dell'aromatica bevanda - Questa è la perla dei tavernieri! - disse Piccolo Flocco. - - Non se ne troverebbe un altro in tutto il mondo. - Lo credo anch'io - rispose Testa di Pietra slegando lestamente il bricco. Poi, alzando la voce, gridò: - Se succede qualche cosa, vieni subito ad avvertirci. - Si, mio gentleman. - Conta su una sterlina fiammante. Non avendo tazze, si servirono dei bicchieri, poco badando che vi fosse qualche residuo di Medoc, e di Bordeaux. - Avrei preferito un buon caffè - disse Testa di Pietra, quando ebbe vuotato il terzo bicchiere, che doveva essere l'ultimo. - Ed ora, Piccolo Flocco? - Aspettiamo la tua Nelly. - Allora cerca il tabacco e fumiamo. Mi annoio enormemente e sai perché? - Manca l'odore del catrame. - Precisamente, mio piccolo amico. Il pacco di tabacco fu subito trovato e i due uomini cominciarono a fumare furiosamente in attesa d'un'altra chiamata. Non era trascorsa un'ora quando mastro Taverna si mise a gridare. - La miss! la miss! - Rimani qui, Piccolo Flocco, - disse il bretone - e lascia sbrigare a me quest'affare. Afferrò la fune e s'inerpicò rapidamente, ansioso di rivedere la cameriera. Diana, o meglio Nelly, come si ostinava a chiamarla il bretone, lo aspettava. - Nel vedere il simpatico marinaio, prima arrossì, poi impallidì esclamando: - Voi! - Quante ore d'angoscia mi avete fatte passare, mia dolce Nelly, - disse il bretone. - Non ho chiuso gli occhi un solo momento pensando a voi. - Vi credo, marinaio, - rispose la miss. - L'amore turba. - Lasciamo per il momento l'amore, e ditemi che ne hanno fatto dei mio comandante. - Lo hanno chiuso nella torre del castello d'Oxford - rispose la cameriera. - Non vi sono altre prigioni in Boston? - Che ne so io? - E la vostra padrona? - Si trova presso il marchese. - Non è ancora morto quel cane? - Guarisce anzi rapidamente. - Per il borgo di Batz! - urlò il bretone. - Tutto va a rotoli! Che cosa si dice nel castello a proposito del baronetto? La cameriera divenne pallidissima, poi disse con un fil di voce: - Si dice che sarà impiccato posdomani. - Da chi? - urlò il bretone. - Dal carnefice. - Ve n'è uno dunque in Boston? - Sì, marinaio. - Uno solo? - Uno solo. - Dove abita, quell'uomo? - Di fronte al castello, in una vecchia casa dipinta a grandi scacchi rossi, che potreste riconoscere facilmente, perché non se ne trova una seconda in Boston. - Lo conoscete? - L'ho veduto due o tre volte impiccare ribelli. - Che uomo è? - Un antico galeotto, graziato perché strangoli i condannati - Robusto? - Quasi quanto voi. - Va bene: avrà a che fare con me. Ora mia dolce Nelly, tornate subito al castello, e cercate in qualche modo di avvertire sir William che i suoi due marinai son sempre liberi e che pensano a salvarlo. Andate subito: i policemen potrebbero giungere da un momento all'altro, e non ho desiderio di farmi prendere. Senza aspettare una parola dal suo merluzzo scavalcò il muricciuolo del pozzo e riguadagnò il suo rifugio. Piccolo Flocco lo aspettava in preda ad una viva ansietà. - Te lo avevo detto! - esclamò. - Bisogna fare sparire il carnefice. - Sai almeno dove potremo trovarlo? - chiese il giovane gabbiere. - So tutto, e basta. Accendi la pipa ed aspettiamo. - Che cosa? - Vorresti che andassi a pigliare per il collo un boia in pieno giorno? Il colpo lo faremo stasera. D'altronde, che cosa manca qui? Il tabacco non difetta i salciciotti abbondano insieme col cacio canadese, e le bottiglie non si contano. Testa di Pietra ruppe un altro pacco di Maryland e si mise a fumare. Aveva ben altro per il capo, il brav'uomo! Era il comandante che lo preoccupava. Le ore passavano, e mastro Taverna non si faceva più vivo. Cominciava ad annottare quando Testa di Pietra si decise a fare una salita. - Vieni anche tu - disse a Piccolo Flocco. - Qualche cosa di grave dev'essere successo nella taverna. O ci prenderanno, o faremo una strage dei policemen. Odio quegli uomini! S'aggrappò alla fune e salì lestamente fino alla bocca del pozzo. Piccolo Flocco fu pronto a seguirlo. - Per il borgo di Batz! - esclamò il mastro. - Non odo nessun rumore: che mastro Taverna sia stato ucciso o portato via? - Mah! - rispose il giovane gabbiere. - Non sono affatto tranquillo. - E nemmeno io. - Tieni pronta la pistola e la sciabola d'abbordaggio. - Al tuo comando farò fuoco, poi monterò all'abbordaggio. Essendo aperta la finestra del magazzino, da veri marinai vi saltarono dentro, ma subito sì fermarono. Quattro guardie stavano in quel momento frugando i due letti, bestemmiando in pessimo inglese. Testa di Pietra fu lesto ad afferrare una pesante sedia. - Che cosa fate qui? - domandò con voce tuonante. - Chi siete e che cosa desiderate nella mia casa? I quattro agenti si guardarono l'un l'altro stupefatti, poi uno di loro rispose: - Chi siete? - Il padrone della Taverna - rispose audacemente il mastro. - Voi? - Io. - Se l'abbiamo arrestato e già fucilato! - Chi? - Il taverniere. - Perché? - Era un traditore. - Ah, canaglie! Sotto, Piccolo Flocco! Accoppiamoli. Il giovane gabbiere si era pure armato d'una sedia assai pesante. I due marinai in un baleno si scagliarono come due belve contro i quattro agenti. I colpi si succedevano ai colpi. Bastò un solo minuto perché i quattro disgraziati agenti giacessero a terra pesti dalle tremende seggiolate avute. Fortunatamente l'Albergo delle trenta corna di bisonte si trovava in una viuzza poco frequentata e battuta, per la sua posizione, da bombe americane, sicché i due marinai poterono sbrigarsela coi quattro agenti senza che alcuno intervenisse. - Gambe, ora! - disse Testa di Pietra, quando vide i quattro semisvenuti e nell'impossibilità di alzarsi. - Morte agli sbirri! E scappò lesto come una saetta, seguito dal giovane gabbiere, il quale teneva ancora in mano un pezzo di sedia. La notte era oscurissima, le vie deserte, le case ben chiuse; e solamente i proiettili americani si facevano sentire. I due marinai, sempre correndo, giunsero sulla piazza del castello. Lì presero respiro, e si guardarono l'un l'altro sorridendo. - Ne abbiamo date, eh? - disse il mastro. - L'abbiamo scampata bella! - aggiunse Piccolo Flocco. - Mi vedevo già preso, legato e impiccato. - La vittoria deve sempre rimanere alla marina, diceva la buona anima di mio nonno, e sono fermamente convinto che avesse ragione su tutta la linea. - L'avranno fucilato davvero, quel povero taverniere? - Hai creduto, Piccolo Flocco, a quello che hanno detto gli agenti? Fucilare un miserabile taverniere! C'è da ridere. Un tale onore è riservato a pezzi grossi dell'esercito e della marina, che hanno tradito il paese. - Allora lo avranno impiccato. - Nemmeno - rispose il bretone. - Lo avranno arrestato, non ti dico di no, ma non s'impicca lì per lì un galantuomo, che non ha preso parte ad alcuna cospirazione. - E noi, ora, che cosa facciamo? - Le finestre del carnefice sono illuminate - rispose il bretone. Può dunque riceverci. - E che cosa vorresti farne di lui, ora che non possiamo più ritornare alla taverna? - Ti sei scordato della casamatta diroccata nella quale abbiamo cacciato quell'inglese? - Vorresti portarlo là? - Per ora sì. - E con quale pretesto ti presenterai? - Lascia fare a me - rispose il mastro - Quelli di Batz sono furbi.

Ne abbiamo abbastanza di questi tedeschi, che ci piovono addosso da tutte le parti come lupi affamati. - Ecco un parlare d'oro! - disse il bretone. - Non credo però che questo bravo ragazzo abbia già rimandata la sua anima al di là dall'Atlantico. Sono resistenti questi giovanotti. Orsù aiutatemi a portarlo a letto. Mi occorrono le sue vesti. - Per farne che cosa? - chiese Piccolo Flocco. - Lo saprai dopo. Sollevarono il soldato, che pesava quanto un giovane toro, lo portarono nella stanza magazzino, lo spogliarono della sua divisa e lo cacciarono sotto le lenzuola.

Il soldato, con un ultimo sforzo, si levò dalla strettoia di quell'interminabile corridoio e con uno scatto improvviso si rizzò nella camera da mina, abbastanza vasta perché un uomo potesse starvi ritto ed agire liberamente. Sir William, più lesto di uno pantera, lasciò andare l'occhio di bue, afferrandolo strettamente per il collo. - No, amico, - gli disse - questi scherzi non sono tollerati dai corsari delle Bermude. Alza le braccia o ti ammazzo. L'irlandese, mandando un ruggito, aveva tentato di liberarsi dalla stretta, ma il baronetto aveva muscoli d'acciaio e lo teneva fermo. Testa di Pietra e Piccolo Flocco, usciti alla loro volta dalla strettoia, si erano scagliati sul soldato. Il primo aveva alzato il suo pugno grosso come una, mazza da fucina, domandando: - Devo accopparlo, comandante? - Non ne vale la pena - rispose il Corsaro. - È ormai perduto. Hai corde ed una sagola incatramata? - Si, comandante. - Legalo. - E poi? - Aspetta un po'. Devo esaminare questa famosa camera da mina. Ah! non dimenticare d'imbavagliarlo. - Lasciate fare a me. Mentre il Corsaro si cacciava in un altro passaggio molto più ampio del primo, il bretone estrasse da una tasca un fazzoletto e Piccolo Flocco teneva fermo l'irlandese, puntandogli una pistola sotto il mento. - Signor arrak, - disse - permettete che vi chiuda il becco per impedirvi di cantare. Oh, non temete. Vi lascerò libero il naso, affinché possiate respirare. Il soldato rispose con un mugolio minaccioso, ma non osò muoversi. Testa di Pietra, il quale poteva finalmente, si affrettò a imbavagliare e poi legare per bene il disgraziato contro la parete. - Questo pappagallo d'oltre oceano non canterà finché non gli leverò il mio velaccio. Non ti sembra un vero salame, Piccolo Flocco, con quella giacca rossa e tutta quella corda intorno? - Peccato non lo sia davvero! - rispose il giovane gabbiere. - Lo affetterei subito e ne farei una buona scorpacciata. - Se vuoi provare i salami d'Irlanda, non sarò io ad oppormi. - Mi prendi per un antropofago? - Uh! Ho mangiato anch'io carne umana, su una zattera perduta in mezzo all'Atlantico meridionale, e ti posso dire che non è poi tanto cattiva. In quell'istante rientrò sir William, che teneva in mano l'occhio di bue. - Dunque, capitano? - chiese il bretone. - Fra cinque minuti saremo dentro Boston e le casematte saranno saltate. - Per il borgo di Batz! - Non abbiamo da percorrere più di venticinque o trenta passi per giungere alle casematte. Là dentro tutto è oscuro ed una delle pietre è stata spostata, probabilmente da questo soldato. - E la mina? - Voltati, non vedi? Testa di Pietra girò sui talloni e fissò i suoi sguardi sul raggio di luce che il Corsaro aveva proiettato verso una della quattro pareti. - Una miccia! - esclamò. - E dietro la miccia sta la mina. - E quegli stupidi d'inglesi non l'hanno vuotata! Forse non ne hanno avuto il tempo. Tutto ieri hanno combattuto. - È vero comandante. - Quanto credi possa durare quella miccia? - Dai tre ai quattro minuti, - rispose il bretone, dopo di averla svolta. - Abbiamo tempo più che sufficiente per metterci in salvo - rispose il Corsaro. - Non vi saranno soldati nella casamatta? - Ho udito persone russare, ma devono essere tanto stanchi quelli che hanno preso parte al combattimento, che non si sveglieranno nemmeno se cammineremo sopra di loro - Umh! E di questo pappagallo che cosa ne faremo? - Lo lasceremo qui a saltare insieme con la mina, - rispose freddamente sir William. - Se gli concedessi la vita, ora che ci ha veduti in faccia, domani o posdomani potrebbe incontrarci in una via qualunque di Boston, riconoscerci, farei arrestare e poi impiccare. La guerra ha le sue crudeli necessità. - Povero diavolo! D'altronde è meglio che ci preceda lui all'altro mondo. Se lo incontreremo, il più tardi possibile, gli faremo le nostre scuse. - Da' fuoco e seguimi subito. Testa di Pietra aperse l'occhio di bue che il Corsaro gli porgeva, diede fuoco alla miccia, poi i tre uomini lasciarono precipitosamente la camera da mina, mentre l'irlandese che vedeva approssimarsi la morte, mordeva rabbiosamente il fazzoletto che lo imbagliava e si dimenava disperatamente, tentando di spezzare i legami.

. - Ora ne vedrete due abbastanza simpatici. - Vedo - rispose il carnefice, alzando la lanterna e proiettando la luce sui volti dei due marinai. - Venite pure: la solitudine mi annoia. Chiuse la porta e introdusse i marinai in una stanzetta arredata con un semplice tavolo, con poche sedie sgangherate e molte matasse di corda. Il carnefice stava certamente per ubriacarsi, perché sulla tavola vi erano due bottiglie che esalavano un acuto odore di brandy. Il carnefice accostò alla tavola un paio di sedie e portò due bicchieri. - Posso offrirvi? - chiese. - Portate pure e versate - rispose il bretone. Testa di Pietra assaggiò prima il pessimo brandy del boia di Boston, poi chiese: - È vero che le corde degli impiccati portano fortuna? - Così si dice; ma la fortuna non l'ho mai saputa trovare con tante corde che ho adoperato. Sono settantatrè, se non m'inganno. - Settantatrè uomini mandati all'altro mondo? - chiese Testa di Pietra, facendo un gesto di spavento. - Senza dubbio è un bel numero. - Non dico di no - rispose il carnefice. - Quando il governatore mi scrive d'impiccare quello o quell'altro individuo, devo obbedire per non perdere il pane, e impicco, perché la giustizia ha ormai giudicato. - Sempre giudicato giustamente? - Di ciò non mi occupo. Essi condannano, e io impicco. Il boia di Boston, che era anche il boia di tutti gli Stati americani soggetti all'Inghilterra, empì i tre bicchieri, poi guardando fisso il bretone coi suoi occhi neri, che risaltavano stranamente fra il rosso della barba, gli chiese: - Ed ora vi domando lo scopo della vostra graziosa visita. Il bretone stette un momento in silenzio, poi disse: - Doë. - Doë! - esclamò il carnefice, facendo un balzo dalla sedia. - Bretone, è vero? - Sì, di Burgot. - Per il borgo di Batz! Siamo quasi fratelli. - Voi di Batz? - esclamò il boia. - Sì; mi ero già accorto che eravate un uomo della Terra delle pietre - rispose il mastro. - I bretoni si conoscono assai facilmente dall'accento. - Di Bazt! - esclamò nuovamente il carnefice, il quale pareva scombussolato. - Siamo fratelli. - Lo credo, amico. - Date dell'amico a un boia. - Forse che non siete un bretone come me? A queste parole due grosse lacrime spuntarono dagli occhi del carnefice e scesero silenziosamente giù per il viso, perdendosi fra la foltissima barba. Piccolo Flocco, più sensibile di Testa di Pietra, col dorso della destra si era asciugata, di nascosto, una lagrima. - Doë - disse il mastro - spiegami come va che un bretone è diventato boia! Ciò mi stupisce, anche perché sei ai servigi degl'lnglesi che sono stati sempre i nostri nemici. Il carnefice alzò la testa e disse, parlando lentamente: - Appartenevo anch'io alla gloriosa marina francese ed avevo raggiunto il grado di contromastro cannoniere. Forse oggi sarei uno dei migliori artiglieri della flotta, senza la brutalità di un ufficiale, il quale pareva nutrisse contro di me un odio che non so nemmeno ora spiegarmi ... Non bevete? - Sì, beviamo - rispose Testa di Pietra, - continuate. Il carnefice si passò una mano sulla fronte madida di sudore e riprese: - Una sera, mentre ero di guardia a bordo della Bellona, vedendolo, mi passò davanti agli occhi come una nube sanguigna, e il mio coltello di manovra bevette il suo sangue. - L'uccideste? - Gli spaccai la gola. - Faceste benissimo! - rispose Testa di Pietra. - Se non fossi stato lesto a fuggire e a rimpatriare, mi avrebbero fucilato. Vuotò il bicchiere che gli stava dinanzi, con una specie di folle rabbia, poi disse: - Forse sarebbe stato meglio. Non sarei diventato un infame carnefice, un essere disprezzato, che non può lasciare la sua casa se non protetto da una mezza compagnia di granatieri, perché la folla minaccia di lapidarmi. Si era interrotto per caricare la pipa, che stava presso il bicchiere. - Avanti, compatriota, - disse Testa di Pietra. Il carnefice accese la pipa, gettò in aria una nuvola di fumo acre, intensissimo, poi riprese: - Un destino avverso mi perseguitava. Devo essere nato sotto una sinistra stella. Fuggii in Inghilterra e mi arruolai nella flotta di Re Giorgio. Gli Inglesi avevano allora estremo bisogno di marinai e non badavano né da qual parte provenissero, né chi fossero. Il triste destino mi perseguitò anche sulle navi inglesi, ed una notte di sull'albero di trinchetto dell'Essex, durante la tempesta, gettai in mare un mastro gabbiere. Anche quello mi aveva preso di mira, torturandomi. Fui arrestato e condannato a vent'anni di lavori forzati nelle colonie inglesi. E qui ho accettato il triste compito d'impiccare la gente. Guardate: mentre venivate da me, stavo preparando un laccio destinato a togliere la vita a un gentiluomo inglese. - Chi? - domandarono ad una voce i due bretoni, balzando in piedi. - Un certo baronetto Mac Lellan. Ho ricevuto l'avviso oggi. - Il baronetto Mac Lellan! - urlò Testa di Pietra. - II nostro comandante! - Che cosa dite? - Che quel signore che dovrete impiccare è il nostro capitano. - Capitano d'una nave? In quell'istesso momento i quattro grossi mortai della corvetta tuonarono con grande fracasso, soffocando le detonazioni di tutte le altre artiglierie. - Udite questi colpi? - chiese Testa di Pietra. - Gli orecchi miei sono ancora in buone condizioni - rispose con un sorriso. - Sono i cannoni della nave di sir Mac Lellan. La sua corvetta ha forzato felicemente il blocco ed ha gettato le àncore nelle acque della Mistica. - Comprendo, ma non so spiegarmi una cosa. - Quale? - Perché mi mandino a giustiziare quel brav'uomo nel forte Johnson. - Dov'è quel forte? - Di fronte al porto di Charlestown. - E dove si trova ora il mio comandante? - Lo hanno già condotto nel forte, eludendo la sorveglianza degli americani. - Il nostro comandante non è più qui! - esclamarono ad una voce i due marinai in preda ad un vero sbigottimento. - Ed andrò al forte per impiccarlo. - E quando? - chiese Testa di Pietra con estrema ansietà. - Posdomani mattina: questo è l'ordine che mi è stato comunicato. - Testa di Pietra - disse il giovane gabbiere - sapresti dirmi perché lo fanno impiccare al forte Johnson, mentre sarebbe così facile farlo qui? - Perchè non si osa ucciderlo sotto gli occhi della miss. Credi che tutti ignorino che il nostro comandante è stretto parente del marchese d'Halifax? - Dunque è vero quello che si sussurra al castello? - chiese il boia. - Che cosa si dice? - Che il gentiluomo che dovrò impiccare è fratello del marchese d'Halifax. - Non vi è che una lieve differenza: il marchese è nato in Inghilterra da una donna inglese, il baronetto in Francia da una donna francese. - E quel furfante osa mandarlo sul patibolo? - Sì, dopo avergli portato via la fidanzata. - È un'infamia! - La credo anch'io. - E perché lo vogliono ammazzare? - Perché poche sere fa, nella torre del castello, il baronetto, in un duello leale, dette al marchese una stoccata per punirlo di avergli rapita la fidanzata. Il boia si alzò e andò a prendere una fune. - Di questa mi servirò per provarmi a impiccare il vostro gentiluomo; provarmi, ho detto, perché son certo di non riuscirvi. I due marinai avevano guardato con terrore il laccio fatale. - Mi avete capito bene? - chiese il boia, vedendo che non rispondevano. Poi, dopo una breve pausa, riprese con voce lenta: - Quando vogliamo salvare o, meglio, ritardare la morte d'un uomo per ventiquattro o quarant'otto ore, con una lama solidissima tagliamo interamente la fune, sicché il peso dell'impiccato la spezza subito. - E non lo impiccano? - chiese il mastro. - No - rispose il boia. - Si riconduce in prigione, in attesa d'un nuovo laccio. - Parlate sul serio, compatriota? - Sono un bretone! - rispose il carnefice - Posso avere errato nella mia vita, è vero; ma non sarei capace d'ingannare un uomo che ha bevuto l'aria della Bretagna e che si è riscaldato al suo sole. Sono molti anni che non ritorno laggiù! Da quanto tempo non vedo più i gloriosi colori della grande e generosa Francia! Maledizione eterna sull'uomo che mi rovinò la vita e mi esiliò per sempre dal mio paese! Il boia si era alzato stringendo i pugni, cogli occhi schizzanti fuoco, la barba arruffata. Fece un gesto terribile, come se volesse abbattere qualcuno, poi scoppiò in un pianto dirotto. Testa di Pietra, assai commosso, gli si era avvicinato e battendogli familiarmente una spalla gli disse: - Orsù; dimenticate il passato, compatriota; vi prometto di farvi rivedere la nostra cara Bretagna. - Ho laggiù mio padre e due sorelle che non vedo da sette anni. - Li rivedrete; ci penso io. La Francia molto deve al mio comandante, ed una grazia chiesta da lui al re Luigi XVI non sarebbe rifiutata. Il carnefice si asciugò le lacrime col rovescio delle maniche, poi guardò una vecchia pendola che faceva udire il suo monotono tic tac. - Le dieci - disse. - Abbiamo tempo. Poi fissando Testa di Pietra. gli chiese: - Vorreste lasciare Boston ora che il vostro comandante non si trova più qui? - Avevamo già divisato di fuggire questa notte. - Vi faccio una proposta: ho un lasciapassare, ed una scialuppa mi attende alla foce della Mistica per condurmi a Charlestown. Ne volete approfittare? Passerete per i miei aiutanti. - Ma dobbiamo prima abboccarci col secondo della corvetta. Dobbiamo informarlo di quanto è accaduto e prendere accordi per salvare il baronetto. - La scialuppa ha l'ordine di attendermi fino alle quattro del mattino - rispose il boia. - Avrete tutto il tempo per rivedere i vostri amici. Non vi domando che un quarto d'ora per preparare il mio laccio. Intanto voi accendete una candela e passate nella stanza attigua per vestirvi di rosso come devono essere gli aiutanti di un boia. Vi sono molti abiti; non avete che da scegliere. Prese il laccio che aveva poco prima mostrato ai due marinai, lo stese sulla tavola, e con un coltello solidissimo, simile ad un bisturi cominciò uno strano lavoro, che egli solo, marinaio prima e poi carnefice, avrebbe potuto eseguire. Quando i due marinai della Tuonante, vestiti completamente di rosso come usavano allora i boia inglesi, ricomparvero, il lavoro era già finito. - È quello il laccio fatale che dovrebbe impiccare il nostro comandante? - chiese Testa di Pietra non senza una certa emozione. - Si, ma l'ho sventrato così bene in un certo punto, che la fune si spezzerà subito, senza far subire al vostro comandante nemmeno un principio di asfissia. - E poi come lo salveremo? - Questo è un affare che riguarda voi. Volete un consiglio? - Dite pure, compatriota. - Giacché gli americani ormai sono così forti, possono attaccare domani sera il forte, trucidare la guarnigione e salvare il vostro capitano. Ci saremo noi a proteggerlo, e tre bretoni possono tenere testa a sei inglesi. Vi pare? - Giustissimo - rispose senza esitare Testa di Pietra. - Voi due andrete a bordo della vostra nave, e vi abboccherete coi vostri amici; io vi aspetterò nella cala della Morte, dove la scialuppa m'aspetta. Sapete dove si trova? - Alla foce della Mistica - rispose Testa di Pietra. - La conosco. - Vogliamo andare? Tutti si alzarono. Il mastro mosse incontro al carnefice, gli stese la mano e disse: - Doë! Conto su di voi come se foste un fratello; ma credo utile avvertirti che sono tal uomo, da non lasciare impunito un tradimento, perché i bretoni non sono mai stati traditori. Due grosse lagrime spuntarono negli occhi del boia. - Fratello - disse con voce rotta dai singhiozzi - disponi della mia vita. - Stringi allora la mia mano, giacché siamo nati entrambi nella terra delle pietre e delle teste dure. - Non oso. - Metti qui dentro la zampa, per il borgo di Batz! Un tempo sei stato anche tu marinaio. Allunga! Il boia di Boston ebbe una lunga esitazione, poi stese, non senza un fremito la sua mano. - Doë - disse il mastro. - Doë! - rispose il boia. E la stretta fu data fra i singhiozzi che rompevano il petto dell'antico condannato. Piccolo Flocco si era asciugato di nascosto un'altra lagrima. Il boia bevve un ultimo bicchiere di brandy, poi disse: - Possiamo andare. Prese un biglietto coperto di un grosso bollo di ceralacca, che stava su un tavolino, e se lo cacciò in seno. Testa di Pietra e Piccolo Flocco lo seguirono, dopo di aver acceso le pipe e di essersi armati delle pistole e delle sciabole d'abbordaggio. I tre uomini s'incamminarono: ma Testa di Pietra condusse la marcia in modo da passare dinanzi all'Albergo delle trenta corna di bisonte. Il suo stupore fu immenso nello scorgere la taverna illuminata. - Corpo d'un cane strozzato! - esclamò. - Che vi siano ancora dentro i policemen in piena baldoria? Sono disposto a dar loro una altra pestata, che se la ricorderanno per un po'. A me, Piccolo Flocco! Aprì impetuosamente la porta si trovò dinanzi a mastro Taverna. Questi stava seduto malinconicamente dietro al suo banco, in attesa di avventori. - Sei vivo o sei l'ombra di mastro Taverna? - gridò il mastro, precipitandosi verso il banco. L'albergatore spalancò più che poté i suoi occhi fenomenali poi allargò le braccia, e mandò un grido altissimo: - Voi, mio gentleman! In quel costume? Orrore! - E per chi mi prendi, dunque? - rispose il bretone. - Per un boia? No; sono ancora un marinaio, e se indosso questo costume, ho i miei buoni motivi caro mastro Taverna! ... Ma dunque, non è affatto vero che ti abbiano fucilato! - Mi hanno arrestato, questo è vero, ma mi hanno subito rilasciato. - Ed i policemen, che hanno occupato durante la tua assenza la taverna? - So, gentleman, che ne hanno portati via quattro terribilmente feriti, anzi, pestati, ma niente di più. Chi sia stato poi a conciarli in quel modo non lo so davvero. - Chi? Eh, mastro Taverna, dovresti aver già indovinato. Quando vedemmo che saccheggiavano le tue bottiglie, li prendemmo a seggiolate, e i colpi, amico mio, grandinavano! parevano colpi di cannone! Fracassammo due sedie, che per altro non ti pagheremo. - Ah, no, no! - protestò mastro Taverna. - Ordinate anzi, e senza pagamento. - Una bottiglia di Medoc, che desidero offrire al boia di Boston, mio carissimo amico. Ma bada, che se non è proprio della qualità più fina, ti faccio impiccare subito. L'albergatore aveva fatto tre o quattro passi indietro, con aria smarrita, appoggiandosi al banco. La presenza del boia lo aveva così straordinariamente atterrito, che i suoi grandissimi occhi gli erano quasi usciti dalle orbite. - Come sei brutto, mastro Taverna! - disse Testa di Pietra. Non fare quegli occhiacci. Tanto ti spaventa il boia di Boston? Hai torto, perché è un mio compatriota, e poi è un uomo che non schiaccerebbe una mosca senza l'ordine del comandante della piazza. Avresti forse sulla tua coscienza un gran numero di delitti! - Io? - balbettò il pover'uomo. - Allora portaci il Medoc, perché noi marinai soffriamo sempre la sete.

Il signor Howard, che lo osservava attentamente e che aveva indovinato le inquietudini del baronetto, disse: - Abbiamo il vento abbastanza favorevole per deviare verso le coste della Florida. Qualche giorno perduto non sarà la rovina degli americanoidi. Si era fermato. Improvvisamente la fronte spaziosa del Corsaro si corrugò. - Signor Howard, - disse questi con voce alterata - volete chiamarmi il comandante della giunca che ho fatto affondare? Desidererei rivederlo. - Siete molto strano, sir William - disse il luogotenente. - Eh! voi non sapete quali tempeste devastino il mio cuore ... Lo aspetto nel quadro. Scese dal ponte, lanciò un ultimo sguardo nell'Oceano scintillante di azzurro e di luce, poi a lenti passi entrò nel quadro e sedette dinanzi al tavolino su cui stava sempre una bottiglia. Il suo pugno da marinaio piombò, come un colpo di tuono sul tavolino, mentre dalle sua labbra usciva una rabbiosa imprecazione: - Maledetti i battiti del mio cuore! ... Follie, dicono! Ah, no! Alla mia età non sono né follie né fantasie ... Dove finirebbe la gioventù? Eppur Testa di Pietra è mille volte più felice di me! Ma non tutti possono nascere topi della cala. Sospirò a lungo, si alzò con un moto brusco, fece un gesto come se avesse voluto stritolare qualche cosa, poi si mise a passeggiare per la saletta nervosamente. Ad un tratto sì fermò. Un uomo era entrato seguito dal luogotenente Howard. Era d'aspetto imponente, già un po' avanzato negli anni, con una lunga barba grigia che gli scendeva fino a mezzo il petto e gli occhi d'un azzurro profondo e d'una strana limpidezza nel medesimo tempo. - Mi desiderate, sir William? - chiese. - Si, colonnello Moultrie, - rispose il baronetto. - Desidero che mi ripetiate ciò che vi ha detto Mary di Wentwort. - Mi pare di avervelo detto, sir Mac Lellan - Che cosa volete? Ho sempre timore d'aver udito male. - Che Mary di Wentwort, se non andrete a liberarla, malgrado l'assedio e la pioggia di palle infuocate e di bombe che gli americani scagliano contro le mura di Boston, diverrà la moglie del marchese d'Halifax. - Mai! Mai! - urlò il baronetto. - Ella ha giurato fede eterna a Mac Lellan. - Lo so - rispose il colonnello americano. - Me lo ha confessato. Disgraziatamente per voi, il marchese d'Halifax la tiene in sua mano e potrebbe approfittare dell'assedio per costringerla a diventare sua moglie. - Credete impossibile, a uomini risoluti a tutto, di entrare in Boston? - chiese il baronetto, tergendosi la fronte che si era coperta di sudore. - Forse, passando per la galleria sotterranea che conduce ai ridotti del Corno. - Sarà ben guardato quel passaggio? - Certo, sir William, - rispose il colonnello. - Non importa; sapremo forzarlo ed entreremo nella piazza a dispetto di tutti. Si era alzato in preda ad una viva agitazione, passandosi e ripassandosi una mano sulla fronte tempestosa. - Chi avrebbe mai detto - disse poi, con voce irata - che il mio fratellastro potesse giungere al punto di rapirmi la fidanzata? Eppure colonnello, è proprio così, - Voi non siete figlio del marchese d'Halifax? - chiese l'americano. - Sì, mio padre, rimasto vedovo e passato in Francia, s'innamorò di una giovane e bellissima castellana, la quale gradì subito i suoi omaggi. Nacqui nel momento in cui ferveva la guerra nelle Fiandre. Mio padre cadde sul campo di battaglia. Mia madre poco dopo moriva, lasciandomi solo al mondo, ma possessore d'un castello nella Turenna e di vaste tenute. Un vecchio scudiero, che era stato in gioventù famoso spadaccino, si occupò della mia educazione. Col tempo però quel paese mi divenne odioso, ed avendo ereditato anche un piccolo castelluccio in Bretagna, andai a stabilirmi sulle rive del mare. A quindici anni ero un valente marinaio, oltre ad essere un abile uomo d'armi. "Quante volte ho guidato le barche dei contrabbandieri! E quante volte, durante la guerra, ho dato la caccia alle orde spagnuole fino in mezzo al mare di Biscaglia!". "Avevo venticinque anni e spadroneggiavo la Manica col mio Tuonante, che avevo armato a mie spese e che batteva colori di Francia. Un giorno, mentre riposavo nel mio castelluccio, di ritorno da una lunga crociera, venne a trovarmi un gentiluomo inglese incaricato di rimettermi documenti da parte del marchese d'Halifax". "Fino allora ben poco avevo saputo intorno a mio padre ed ignoravo che avesse avuto un figlio dalla sua prima moglie, la duchessa d'Argyle. Il marchese mi rimetteva la mia nomina di baronetto inglese, sotto il nome di William. Mac Lellan, firmata dal Re d'Inghilterra, come mio padre ne aveva espresso il desiderio nel suo testamento, e nel medesimo tempo m'invitava a lasciare la marina francese e raggiungerlo nel suo castello d'Alstal, situato in un'isola delle Ebridi. Fino allora avevo creduto di avere nelle mie vene sangue puramente francese". "Mio fratello, arrivato che fui nel vecchio castello dei duchi d'Argyle, mi fece comprendere che, non dovevo portare le armi contro il paese di mio padre". "La mia fama di fortunato corsaro era già notissima in Inghilterra e la mia corvetta era ben conosciuta su quelle coste. Acconsentii a non ritornare mai più in Francia per riprendere le armi contro la mia nuova patria, e mi rimisi in mare sotto la bandiera inglese. "Passarono alcuni anni, e durante le tempeste invernali, che battevano i fianchi delle Ebridi con una furia formidabile, ritornavo al mio nido, al castello d'Argyle, la cui baia era profonda e sicura. Appunto durante uno di quei ritorni conobbi Mary di Wentwort, una gentildonna scozzese imparentata ai duchi di Fife e di Lorme, le due più alte nobiltà dell'Inghilterra settentrionale. Vederla ed amarla fu per me una sola cosa. Mi sapeva corsaro intrepido e mi amò". "Il marchese d'Halifax, come seppi poi, aveva già messo gli occhi su quella pallida perla del nord. Egli credeva che il bastardo non potesse competere con lui. Invece il corsaro vinse e fu deciso il nostro matrimonio. Ignoravo allora che mio fratello, fratello per modo di dire, amasse alla follia la fanciulla. "Tutto era pronto per il matrimonio, poiché Mary Wentwort mi aveva giurato, di fronte al mare, durante le notti di luna, il suo amore". "Ah! quella notte! ... Abbracciati sotto il raggio della luna che sorgeva sull'orizzonte, ascoltavamo il ritmo sonoro delle onde. Voi, colonnello, non siete mai stato marinaio e non potete comprendere la grande poesia del mare. È una musica divina". Sir William, il quale pareva in preda ad una grande eccitazione, si era bruscamente fermato, poi fece, un gesto largo, piantò la sinistra sulla sua sciabola d'abbordaggio, e riprese, con voce rotta di quando in quando da un singhiozzo: - Ero partito per Edimburgo, dove volevo acquistare gioielli per colei che doveva diventare la mia sposa. Non l'avessi mai fatto! Quel viaggio, durato appena una settimana, spezzò la mia vita. - Perché? - domandò il colonnello Moultrie. - Perché quei sette giorni bastarono al marchese d'Halifax per compiere il più infame tradimento. Si era nuovamente interrotto. - Signor Howard, - disse con voce rauca - datemi da bere. Ardo. Il luogotenente prese da una mensola tre bicchieri ed una bottiglia piena d'un liquido color dell'ambra e dopo averla sturata, versò. Il Corsaro afferrò uno dei tre bicchieri, lo vuotò d'un colpo, stette alcuni istanti ancora muto, cogli occhi fissi sulla spumeggiante scia che si lasciava indietro la corvetta, poi si volse bruscamente verso il colonnello ed il luogotenente. - Me l'aveva rapita - gridò - cinque giorni prima del mio ritorno ed era partito per l'America insieme col generale Howe, che conduceva laggiù fanti tedeschi, assoldati nell'Assia e nel Brunswick. - Brigante! - esclamò il colonnello. È inutile che vi dica quale schianto provò il mio cuore. Chiamai a raccolta i miei uomini e veleggiai alla volta di Boston, poiché avevo saputo che le forze che conduceva Howe erano destinate a rinforzare quel presidio. Fu una corsa folle attraverso l'Atlantico, ma quando giunsi alle Bermude le forze inglesi erano già sbarcate e gli americani avevano assediata la piazza. Rinnegai la mia nuova patria e ritornai corsaro, sfogando il mio dolore in continui combattimenti contro le navi che inalberavano un vessillo ormai da me odiato. Siete venuto a dirmi, colonnello, che Mary di Wentwort a giorni sarà costretta a sposare il marchese d'Halifax e che spera da me un aiuto. Accada quello che accada, entrerò a Boston. Aveva appena finito di parlare, quando il colonnello ed il luogotenente lo videro chinarsi improvvisamente, tenendo la testa verso il sabordo spalancato, attraverso il quale entrava a fiotti un superbo raggio di sole. - Un colpo di cannone sparato da lontano - disse, - Sul ponte! sul ponte!

. - Eppure il forte è bene armato e la sua guarnigione abbastanza numerosa! - Vi dico che non resisterà! L'attacco comincia, e sarà meglio rifugiarsi dentro qualche casamatta. - E sarà meglio, anche perché il comandante del forte, non trovandoci, rimanderà l'esecuzione a battaglia finita. A pochi passi vi era una casamatta vuota e i tre bretoni furono lesti ad occuparla, osservando ansiosamente attraverso le feritoie. Gli artiglieri della vicina batteria, troppo occupati, non avevano fatto loro attenzione. L'attacco si svolgeva in quel momento con grandiosità terrificante. Cinquanta pezzi si scambiavano palle e granate con un fracasso infernale. I proiettili cadevano copiosi sul forte, mettendo di quando in quando qualche pezzo fuori servizio. Gli americani, avevano cominciato a spiegarsi formando tre colonne d'assalto. Gli scorridori, li precedevano, sostando di quando in quando per aprire un nutrito fuoco contro gli artiglieri del forte che sparavano allo scoperto, sulla cima dei bastioni. Erano tutti buoni tiratori perciò poche volte fallivano i colpi, spargendo terrore fra i difensori del forte. Le cose erano giunte a questo punto, quando un sottufficiale inglese si precipitò dentro la casamatta dove erano rifugiati i bretoni. - Finalmente vi ho trovati! Da mezz'ora vi cerco, col pericolo di farmi spezzare in due da una cannonata. - Ci cercate? Per far che cosa? - chiese tranquillamente Testa di Pietra. - Il comandante del forte vi vuol vedere. - Poteva lasciarci qui a godere questo interessante spettacolo rispose Testa di Pietra. - L'esecuzione è stata fissata per le sei di sera. - Che cosa voglia da voi non lo so - disse il sottufficiale. - Mi ha incaricato di cercarvi. Seguitemi! - Con questo grandinare di palle? Sarebbe una pazzia, signore! Impicchiamo gli altri, ma non desideriamo affatto di andarcene sotto terra presto. Non siamo soldati! Il sottufficiale fece un gesto d'impazienza, poi riprese con voce imperiosa, che non ammetteva replica: - Bombe o non bombe, dovete seguirmi: questo è l'ordine del comandante. - Ci muoveremo, se garantirete la nostra pelle! - si provò a ribattere Testa di Pietra. - Ora chiamo un picchetto armato, e la finisco. - Uh! non scaldatevi tanto, signor mio. Abbiamo le gambe ancora buone per seguirvi, senza bisogno di baionette alle nostre spalle. Vedendo vana ogni resistenza, i tre bretoni, dopo essersi scambiato uno sguardo d'intelligenza, decisero di seguire il sottufficiale, che borbottava: - Sono comodi, questi carnefici! Appena fuori della casamatta una palla di buon calibro passò rombando sulle loro teste e andò a fracassare l'avantreno d'un pezzo, che era già stato posto fuori combattimento. - Signor mio, - disse Testa di Pietra, fingendosi spaventato, volete farci ammazzare! - E che! - rispose il sottufficiale. - Non siete buoni altro che ad impiccare la gente? - Ve l'ho già detto che non siamo uomini di guerra e che perciò non possiamo avere confidenza colle palle. - Basterà che rimanga vivo uno solo di voi. - Grazie! - rispose il bretone ironicamente. - Siete gentile come un orso. Un'altra palla, partita probabilmente dalla corvetta, ululò in alto e prese d'infilata tre artiglierie, che stavano ricaricando un pezzo a breve distanza, fulminandoli. - Se fosse toccata a noi, signor sottufficiale, non sarebbe rimasto nemmeno un carnefice. L'inglese, scese a precipizio la scaletta e condusse i tre bretoni nel cortile d'onore della fortezza, di fronte al quale s'alzava la piccola cappella. Un vecchio colonnello, il comandante della guarnigione, si staccò da un gruppo d'ufficiali, coi quali aveva fino allora discusso animatamente, e s'avvicinò ai bretoni. - Chi è di voi il primo carnefice? - chiese. - Io - rispose l'ex galeotto. - Siamo costretti, come vedete, ad anticipare l'esecuzione, poiché il forte corre gravissimo pericolo. Quest'oggi gli americani si battono come vecchi soldati, e non so se riusciremo a respingere l'assalto. - E vorreste, colonnello? - chiese il boia. - Impiccare il prigioniero prima che gli americani giungano fino a noi. - E dove? La forca non è stata ancora alzata. - In mezz'ora potreste rizzarla - disse il colonnello. - Abbiamo legname, chiodi e martelli finché vorrete. - E alzarla dove? - Qui: in mezzo a questo piazzale. - Colle palle che grandinano? Io ho lasciato Boston, colonnello, col fermo proposito di tornarmene a casa tutto intero e non mutilato. Il comandante corrugò la fronte. - Avreste paura? - Faccio il carnefice, e non voglio né devo immischiarmi colle cannonate. - Allora piantate un grosso chiodo in quel muro e impiccatelo là. - Colonnello, faccio il mio infame mestiere di esecutore di giustizia secondo certe norme stabilite. Non mi presterò mai a una simile esecuzione. In quel momento una bomba lanciata da uno dei quattro mortai della Tuonante cadde con gran fracasso nell'ampio cortile, scoppiando a breve distanza dal gruppo di ufficiali. Su sette, cinque di quei disgraziati caddero fulminati. - Colonnello, - disse il carnefice - come vedete, è impossibile alzare la forca. Se volete impiccare quell'uomo, fate lavorare i vostri soldati. Per mio conto me ne vado prima che un'altra bomba porti via la mia testa ed anche quella dei miei aiutanti. Sono l'unico boia che lavora per le colonie americane, ed ho il diritto di conservare la mia pelle. - La farò alzare dai miei soldati, giacché avete paura - rispose il colonnello. - Fate pure, signore. Altre due palle, lanciate questa volta dai cannoni da caccia della Tuonante, attraversarono il cortile sfondando parte della caserma. - Tempesta! - gridò Testa di Pietra. - Sono pillole troppo grosse per le nostre teste. Corriamo! Prese la rincorsa e si slanciò verso il magazzino, seguito da Piccolo Flocco e dal boia, i quali non avevano nessun desiderio di far la conoscenza nemmeno colle palle amiche. Appena entrati nel magazzino, trovarono il cantiniere che si strappava disperatamente i pochi capelli grigi che ancora ornavano la sua testa. - Ohè, signor Però Paga, che cosa è successo? - gli chiese premurosamente il bretone. - Vi è morta la moglie? - Che moglie i Che moglie! Non l'ho mai avuta. - E avete fatto benissimo. Anch'io sono sempre stato senza. Le donne, presto o tardi, fanno perdere la bussola anche ai più arditi e intelligenti marinai. Vi ammiro, cantiniere. Ma il cantiniere continuava a strillare e a strapparsi i capelli. - Adagio, signor Però Paga. Se continuerete così, poi attaccherete i vostri baffi, che sono veramente magnifici, degni d'un vecchio soldato, e resterete pelato come un prete anglicano. - Non sapete? - urlò il disgraziato, che pareva avesse smarrito il senno. - Finora non sappiamo proprio nulla. Spiegatevi. - La mia cantina ... - Avanti. - Distrutta da una bomba. - Che è andata a cacciarsi proprio in mezzo ai prosciutti, ai salsicciotti, ai formaggi d'Olanda ed alle bottiglie di birra doppia. Quella era una bomba non solo affamata ma anche assetata. M'immagino bensì per tutto, proprio tutto, non sarà stato distrutto da quella bomba maledetta. Non avrebbe per caso risparmiato qualche bottiglia? - Una spero di trovarla fra il disastro generale, ma ... - Ma, signor Però Paga? - Non ve la cederei per meno di dieci dollari, essendo l'ultima. - Signor cantiniere - urlò il bretone, tendendo i pugni - andate a venderla agli americani! ... Ma già essi se la berranno fra poco senza pagarvi un penny. Il cantiniere, spaventato, alzò i talloni e fuggì come fosse spinto dalla punta d'una baionetta. - Andiamo a trovare sir William - disse Testa di Pietra. - Ormai possiamo forzare tutte le porte. Senza incomodarsi a togliere la serratura, diede alla vecchia porta tarlata un poderoso colpo di spalla, strappandola dai cardini. Il baronetto era balzato in piedi, mentre il cappellano del reggimento, credendo che qualche bomba fosse caduta, si rannicchiava prudentemente sotto il tavolino. - I carnefici - esclamò sorridendo. - Venite per impiccarmi? Sono pronto. Testa di Pietra lo trasse rapidamente da una parte, e mentre gli raccoglieva sulla nuca i suoi lunghi capelli biondi trattenendoli con una specie di cappuccio, che poi il boia avrebbe dovuto abbassare fino al mento, gli disse rapidamente: - Ricordatevi di quanto vi ho detto. Appena la corda si spezza fingete di cadere. - Io! Un corsaro! Un uomo di mare! - Si tratta della pelle, comandante. E poi gli americani fra un'ora saranno sotto il forte e monteranno all'assalto. Vi assicuro che si battono splendidamente. - Allora andiamo a farci impiccare - rispose il Corsaro. Il boia nel frattempo aveva levato da un pacco il famoso laccio e l'aveva esaminato rapidamente. Piccolo Flocco s'intratteneva col cappellano della guarnigione. - Occorre che gli leghi le braccia dietro il dorso? - chiese Testa di Pietra. - È necessario - rispose il boia, porgendogli una cordicella. Poi curvandosi rapidamente su di lui aggiunse: - Fate uno di quei nodi che al più piccolo sforzo cedono. - Me ne intendo di nodi, e potete essere sicuro che appena il capitano cadrà, le sue braccia saranno libere. - Va bene. In quel momento entrò il sottufficiale, che disse in tono burbero: - La forca è stata rizzata, ma è costata la vita a quattro bravi soldati! - Lo avevo detto al colonnello che era pericoloso quel cortile! rispose Testa di Pietra. - Doveva aspettare che gli americani se ne fossero andati. - Andati? Ci stringono sempre più da tutte le parti, e fra poco monteranno all'assalto. Non li ho mai visti battersi con tanta rabbia come oggi. - Avranno freddo, e vorranno riscaldarsi al fuoco delle artiglierie. - Siete sempre così allegri? - Sì; e soprattutto quando si tratta di mandare all'altro mondo qualche personaggio importante - rispose il bretone. Il cappellano della guarnigione si era avvicinato intanto al baronetto, e tenendo in mano il crocefisso gli diceva: - Coraggio, figliuolo. Presto o tardi la morte arriva per tutti. - Un uomo di mare ha sempre coraggio - rispose il baronetto. il quale conservava un sangue freddo meraviglioso. - La morte non ha mai fatto paura a chi è abituato a sfidare i furori degli oceani. Signor carnefice, è pronto il laccio? - Sì, signore. - Allora andiamo. Fra qualche minuto tutto sarà finito. Il sottufficiale si mise dinanzi, tenendo in una mano una pistola carica; seguivano il Corsaro col cappellano, poi i tre carnefici. Al di fuori la battaglia infuriava terribilmente; tre grosse batterie americane ed i pezzi della corvetta diroccavano rapidamente gli spalti, sventravano i bastioni e sfondavano i tetti delle caserme. Anche la fucileria si faceva udire e molto vicina. Molte palle cadevano anche nel cortile, dove il comandante del forte aveva appena potuto radunare sette od otto soldati. Il Corsaro guardò tranquillamente il lugubre attrezzo innalzato alla meglio e sotto il quale avevano collocato una sedia, per toglierla poi di sotto i piedi al momento opportuno. Il comandante del forte gli era andato incontro dicendogli con voce aspra: - Signore, sono stati uccisi per colpa vostra quattro soldati. - Mi terranno buona compagnia spero, nel gran viaggio per l'altro mondo - rispose il baronetto. - Basta con le chiacchiere: boia, impiccatelo! L'ex-galeotto si arrampicò sulla forca e legò il laccio, sotto l'infuriare della mitraglia. - Sbrigatevi! - gridò il colonnello. - Adagio, signore - rispose Testa di Pietra, che faceva sforzi supremi per reprimersi. - Per un gentiluomo ci vogliono certi riguardi. - Come sapete che questo condannato è un gentiluomo? - chiese il comandante. - Vivaddio! È il fratello del marchese d'Halifax! - Avete detto? - Il fratello del marchese d'Halifax - rispose il bretone. Il colonnello non rispose. Il boia di Boston aveva intanto assicurato il laccio alla traversa della forca ed era frettolosamente disceso, dicendo: - Sono pronto. - Impiccatelo subito - disse il comandante. - Purché una bomba non cada e non ci porti via tutti - rispose il boia - Fate presto. - Salite sulla sedia ordinò il boia al Corsaro. Il baronetto obbedì docilmente, dopo d'aver baciato il crocefisso che il cappellano della guarnigione gli porgeva; si lasciò mettere al collo il laccio e calare il cappuccio nero fino al mento. Il boia di Boston si assicurò che tutto fosse pronto, poi levò di sotto i piedi del Corsaro la sedia. Proprio in quel momento i cannoni da caccia della corvetta lanciavano attraverso il cortile una bordata. Il Corsaro, abbandonato a se stesso, penzolò un momento all'estremità del laccio, poi cadde di colpo, stendendosi sul terreno. Il boia gli si era subito precipitato sopra, allargandogli innanzi tutto il laccio. - Che cosa fate? - gridò il comandante del forte, impugnando una pistola. - Il mio dovere, signore, - rispose freddamente il boia. - Quale? - Quest'uomo, secondo le leggi inglesi, per quarantotto ore non verrà più appeso. - A chi lo dite? - A voi. Non siete mai stato il rappresentante della giustizia: quindi di queste cose non potete intendervi. - Come mai la corda si è spezzata? - Chi lo sa? Forse una palla l'ha tagliata. - Ne siete ben sicuro? - Lo suppongo, perché la mia corda aveva impiccati tredici uomini. - Il numero di Giuda! - brontolò Testa di Pietra. - E non potreste riannodarla ed impiccarlo nuovamente? - Le leggi inglesi vi si oppongono, signore. - Allora lo farò fucilare. - No, colonnello. Quest'uomo è stato affidato a me, e non morrà che per mia mano. Sono il boia di tutte le colonie americane e, non obbedisco che al governo. Il colonnello lanciò tre o quattro bestemmie; congedò i soldati e anche il sottufficiale, e disse ai tre carnefici: - Riportatelo nella cappella. Testa di Pietra prese fra le sue robustissime braccia il baronetto e scappò via, seguito dal boia, da Piccolo Flocco e dal colonnello. Il cappellano, spaventato forse dalle bombe che continuavano a cadere, era sparito, per rifugiarsi probabilmente in qualche casamatta. In un lampo il bretone entrò prima nel magazzino, poi nella cappella, sulle cui tavole ardevano ancora due candele, e le depose su di una branda. Il comandante del forte si volse verso il boia e gli disse: - Dunque vi rifiutate di riappiccarlo. - La legge non lo permette prima di quarantotto ore. - Allora lo ucciderò lo. Aveva levata dalla cintura una magnifica pistola inglese a due colpi colle canne arabescate, e l'aveva puntata sul Corsaro, il quale conservava sempre un'immobilità assoluta. Testa di Pietra, fortunatamente, vigilava. Il suo pugno di ferro piombò su quello del colonnello, ritorse la pistola contro quel giustiziere di nuovo genere e fece scattare i due grilletti. Due detonazioni rimbombarono perdendosi tra il fragore delle cannonate. Il colonnello, colpito in pieno petto, era caduto senza mandare un grido. - Che cosa hai fatto, Testa di Pietra? - chiese Piccolo Flocco spaventato. - Come vedi, l'ho ammazzato! - rispose il bretone. Il Corsaro era balzato in piedi udendo così vicini quei due spari. - Morto? - chiese. - Lo avrebbero ucciso gli americani - rispose Testa di Pietra. - Sono già sotto le trincee e montano all'assalto. - Udite? Hurrà formidabili echeggiavano al di fuori. Gli scorridori avevano piantato le scale, approfittando del tiro delle loro artiglierie e montavano furiosamente all'assalto. Testa di Pietra afferrò il colonnello e lo gettò sotto una branda, gridando: - Fuori! Fuori! Facciamo qualche cosa anche noi. Aveva levato al colonnello la sciabola ed un'altra pistola a due colpi. Il Corsaro aveva afferrato una sbarra di ferro, che aveva servito poco prima a schiodare la porta. I quattro uomini si precipitarono nel cortile che in quel momento era deserto. I pezzi inglesi, ridotti ormai al silenzio, non rispondevano più né ai tiri della corvetta, né a quelli della grossa batteria americana. La guarnigione ormai era sgominata, ed invano cercava il comandante, che solamente Testa di Pietra sapeva dove si trovasse.. Gli americani, protetti dalla loro formidabile batteria, correvano all'assalto come una torma di lupi, sostenendosi di quando in quando con nutrite scariche di moschetteria, le quali spazzavano gli ultimi artiglieri che cercavano di resistere. Testa di Pietra, udendo le palle grandinare fittissime, spinse il baronetto ed i suoi compagni dentro una casamatta, dicendo: - Aspettiamo che il combattimento sia finito. Noi soli ben poco potremo fare; è vero, comandante? - Ti approvo sempre - rispose sir William col suo solito pallido sorriso. - Quando gli americani saranno qui, ci faremo riconoscere e spero che non ci pianteranno nel petto le loro baionette. Ma voi, comandante, siete armato d'una magnifica sbarra di ferro che deve pesare non meno di quaranta chilogrammi. Se i primi arrivati non vorranno intendere ragione, li metterò a posto con quel bastoncino. Intanto l'assalto si approssimava. Spezzati i bastioni, i ridotti e le lunette da furiose scariche di mitraglia, gli artiglieri, i quali avevano ormai la maggior parte dei loro pezzi fuori servizio, cedevano rapidamente. Gli scorridori, o stracorridori, come li chiamavano allora, erano già scesi nei fossati e avevano piantato le scale, incoraggiandosi con hurrà strepitosi. La fanteria leggera stava dietro di loro, pronta a montare all'assalto, mentre quella pesante continuava a scaricare i suoi moschetti e le sue carabine. - Eccoli! - gridò ad un tratto Testa di Pietra, il quale osservava da una feritoia Gli scorridori montavano infatti intrepidamente all'assalto, bruciando sulle scale le loro ultime cariche. In un momento superarono i bastioni, lavorando ferocemente colle baionette ed inchiodando non pochi artiglieri inglesi sui loro pezzi. La guarnigione del forte fuggiva in tutte le direzioni, cercando di barricarsi in caserma, ma gli scorridori, in un attimo occuparono il cortile, nel cui centro sorgeva la forca, e intimarono la resa, minacciando uno sterminio generale. Nello stesso momento quattro soldati, guidati da un ufficiale, si precipitarono a baionetta spianata dentro la caserma occupata dal comandante della corvetta, dai due marinai della Tuonante e dal carnefice, urlando ferocemente: - Arrendetevi, o vi accoppiamo tutti! Testa di Pietra, che per precauzione aveva impugnata la sbarra di ferro, alla quale faceva descrivere un terribile mulinello, scoppiò in una risata. - E che? - gridò - Vorreste ammazzare il comandante e i marinai della Tuonante? Giù le armi, corpo di un pescecane! L'ufficiale guarda con stupore i quattro uomini, abbassando la spada, ed esclama: - Il comandante della Tuonante, avete detto? - Ecco qui, signor mio, il baronetto sir William Mac Lellan, - rispose il mastro indicandogli il comandante. - È per questo valoroso che vi siete battuti: me l'aveva promesso il colonnello Moultrie. - Voi, signore! - gridò l'ufficiale, muovendo rapidamente incontro al baronetto. - Sì, son io - rispose il comandante della Tuonante. - Possibile? Non vi hanno dunque impiccato? - No: mercè l'astuzia e la generosità di questo brav'uomo che chiamano il boia di Boston. Se sono ancora vivo, lo devo a lui. Si era avvicinato all'ex-galeotto, il quale era diventato d'un pallore tale, da far temere che da un momento all'altro cadesse svenuto. - Qua la vostra mano, carnefice! - gli disse. - Vi devo la vita. Il boia retrocesse smarrito, lasciando penzolare le braccia. - Qua la mano, vi ho detto! - ripeté il Corsaro. - Senza di voi a quest'ora sarei morto. Due grosse lacrime spuntarono negli occhi del boia, poi la sua mano si tese per stringere energicamente quella che il gentiluomo gli porgeva. - To'! ... Un carnefice che piange! - borbottò Testa di Pietra. - Si è mai veduta una cosa simile? - Sir, - disse l'ufficiale. - sgombriamo subito. Fra poco il forte Johnson sarà completamente distrutto. L'avevamo giurato, e manterremo la nostra promessa. Era veramente la fine di quella imponente fortezza. La guarnigione, decimata dalle artiglierie della corvetta e dalla cannonate americane, dopo un tentativo di resistenza dentro le caserme, si era finalmente arresa ai due colonnelli americani. Il fuoco era stato sospeso; ma un altro fuoco ben più terribile aveva preso il posto delle artiglierie. Magazzini, caserme, casematte, ridotti ardevano spaventosamente. - Orsù! - disse Testa di Pietra. - È il nostro momento di andarcene, prima di essere arsi vivi. Nell'acqua ci sto: nel fuoco niente affatto. Questo è solamente buono ad accendere la pipa: ma la vecchia reliquia, non so per quale guasto, non tira più. A notte fatta, del forte non rimanevano che poche rovine, ed il Corsaro insieme col colonnello Moultrie, coi suoi due marinai e col boia di Boston, il quale ormai aveva rinunciato al suo infame mestiere per tornar marinaio, si trovavano radunati sulla Tuonante.

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