Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Saggi di critica d'arte

261824
Cantalamessa, Giulio 6 occorrenze
  • 1890
  • Zanichelli
  • Bologna
  • critica d'arte
  • UNIFI
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A questo punto non posso far a meno di riferirvi, o Signori, un aneddoto che a me pare abbastanza curioso. Qualcuno di voi ricorda certamente il cav. Gaetano Giordani, ispettore di questa pinacoteca, quel vecchietto così compito e cerimonioso, che non avea ridotto la difesa dell’arte antica, da lui idoleggiata, ad un bisogno di aggredire con arroganza i moderni, anzi apprezzava gl’ingegni di adesso, animava i giovani volonterosi, e, ad ogni indizio di appetito storico nel suo interlocutore, scodellava volentieri la sua erudizione, che non era poca, e avea potuto fornir nutrimento a molti studiosi, non escluso l’illustre Milanesi, che se n’è valso in vari passi dei suoi commenti al Vasari. Ma che non può il rispetto cieco agli scrittori antichi? Ciascun di noi trovando in un quadro del Francia una data diversa da quella che il Vasari gli assegna, giudicherebbe che il Vasari ha sbagliato. Ma il Giordani non volle che il Vasari avesse torto, e obbligò il Francia ad ima postuma testimonianza falsa, facendo cancellare i quattro I che seguivano il 90. Le ossa di Giorgio di Arezzo avranno esultato nella tomba fiorentina; ma la gioia a fondamento di falso non è durevole neppure pei morti. Ora i quattro I sono ricomparsi, grattata la tinta che li aveva occultati, ma è sempre discernibile la traccia della tentata cancellatura, e ciò è bene che sia, perchè sono molto istruttivi i documenti delle aberrazioni in cui è incorsa la critica, quando unico impulso ari suoi 'passi non sia stata la spassionata ricerca della verità.

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È da credere che uno dei suoi più grandi dispiaceri sia stata la caduta della famiglia Bentivoglio, dalla quale era stato beneficato; ma era oramai il tempo in cui la desuetudine dalla vita politica e dalla libertà, il potere senza contrasto seguitare a far l'artista sotto qualunque dominio rendeano questi uomini abbastanza indifferenti al cambiar di padrone. O fosse tema dell’ira di Giulio, o desiderio di non perdere l'ufficio della zecca, o facile rassegnazione ad avvenimenti ch’ei non poteva mutare, potè persino imprimere sulla medaglia, ordinata a commemorare quel trapasso di signoria, le parole: “Bononia per Julium a tyranno liberata Certo, la distruzione dei suoi affreschi lo afflisse di più; ma nelle poche notti insonni che il travaglio di questo pensiero gli procurò, egli avrà trovato conforto in fondo alla sua anima sì pacifica, considerando che nei suoi cinquantasette anni, grazie a Dio, egli era sano e fecondo, e avrebbe fatto altre opere non meno degne di quelle che la brutalità dei vittoriosi avea disperse in polvere sotto un cumulo immane di rovine.

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Non parlo di Giacomo Boateri che lavorò pochissimo e di cui resta, unico saggio autentico, una sacra famiglia nella galleria Pitti, troppo rossa d’intonazione, ma per disegno, per garbo di atti e di volti abbastanza buona. Nulla palesa in questo artista il proposito di dipartirsi dalle massime del Francia. Forse è sua anche una Madonna col putto che nelle galleria vaticana è attribuita allo stesso Francesco Francia. Non parlo di Timoteo Viti, il più gentile e intelligente tra gli allievi del Francia, perchè abbandonò Bologna fin dal 1495, e vivendo lontano modificò la maniera sugli esempi del Perugino e di Raffaello. La graziosissima Maddalena, che di lui possiede questa pinacoteca, non fu fatta per Bologna, ma ottenuta, correndo il nostro secolo, da’ possessori d’Urbino mediante un cambio con altra opera d’arte. Poca attenzione merita Cesare Tamarozzi, disegnatore debolissimo, fiacco e meschino nelle modellazioni, e che spesso annega gl’insegnamenti del Francia o del Costa (non discuto s’ei provenga dall'uno o dall’altro) in un’insana condiscendenza alle predilezioni di Amico Aspertini. Non è importante rilevare se Giovan Maria Chiodarolo derivi dal Costa, come per indizi desunti dalle opere crede il mio amico Corrado Ricci, o dal Francia, come scrissero il Baldi, il Bumaldo, il Masini e, dopo questi, il Malvasia, la cui affermazione, essendo fondata sopra le vacchette del Francia ch’ei consultava e di cui fa menzione anche a questo proposito, non può essere respinta. I due maestri operarono a Bologna contemporaneamente, vissero, a quanto sembra, da buoni amici, ed ebbero molti caratteri comuni nell’arte; sicchè è naturale che i giovani desumessero dall’uno e dall’altro, e secondo la personale disposizione seguissero più questo che quello, non tenendosi troppo vincolati al maestro che li aveva istruiti. Checchè sia di ciò, del Chiodarolo qui convien dire qualche parola, poichè fa parte del gruppo di pittori che segue immediatamente al Francia, senza far causa comune coi raffaellisti.

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Ma la dilettazione estetica che l’affresco vi cagiona, non riesce mai ad eliminarvi del tutto il fastidio di un gettar di pieghe abbastanza vizioso e pesante. È singolare che questo difetto scompaia affatto nell’altro affresco, dirimpetto al primo, rappresentante S. Occitia clic disputa davanti all'imperatore. Ivi i panni non usurpano più della conveniente misura, e le pieghe hanno l’euritmia evidentemente derivata dal Francia. Ma è mancata in questo affresco l’originale e nitida ispirazione ond’è sì bello il primo. Ordine, chiarezza, equilibrio nel distribuir le figure: insomma obbedienza coscienziosa alle regole scolastiche; e non c’è altro da dire. Lodevole molto però è la figura della santa, gentile c modesta quanto nobile, con un senso, finissimamente rilevato, di ritrosia nell’atto esteriore, mentre è palese in quel gracile aspetto la fermezza della convinzione che 1’ha resa eloquente. In conclusione, il Chiodarolo appare a noi buon frescante, benchè queste pitture fossero fatte da lui quand’era giovanissimo. Più tardi, secondo le parole del Malvasia, egli fu assai più abile, dipingendo pel cardinale Ivrea nella palazzina della Viola, ove forse sotto gl’intonachi resta qualcosa delle opere sue e degli altri che vi operarono a gara. Mi auguro che si facciano dei tentativi per recuperare alla storia della pittura bolognese uno de’ più importanti documenti.

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Press’a poco nello stesso tempo era deriso a Firenze Pietro Perugino, tanto acclamato pochi anni innanzi, Pietro Perugino, che non ha col Francia solamente la comunanza di tal sorte, ma notevoli analogie d’ingegno e di stile, fin qui non abbastanza descritte dalla critica.

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Qui par veramente che il Bagnacavallo, più che abbarbagliato dalle esteriorità raffaellesche, sia stato agitato e incalorito dallo spirito di lui; la qual cosa poi in altri termini vuol dire che, levato il pensiero ad un’alta e indefinita intonazione artistica, egli ha potuto rendere un abbastanza largo margine alla sua libertà individuale. Questi santi sono notevoli pel carattere semplice, austero e maestoso degl'insiemi, per la convenienza dei tipi, pel getto decoroso dei panni. Sono esseri che veramente vivono al disopra di noi; si sente di aver con essi un rapporto da inferiori a superiori; appaiono come nobile trasfigurazione dell’aspetto umano. E questo suggello di superiorità è mirabilmente secondato dal disegno largo quanto puro, dal colore sapientemente discreto, dalla ricchezza stessa dei tappeti e degli arazzi sui quali l’artista ha fatto posar le figure. Un po’róse dal tempo e non immuni dalla tabe dei ritocchi, esse tuttavia sono assai lontane dal mostrarsi a noi in quell’eccellenza che fruttò all’artista, nel suo tempo giustissima ammirazione.

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