Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Scultura e pittura d'oggi. Ricerche

266224
Boito, Camillo 9 occorrenze
  • 1877
  • Fratelli Bocca
  • Roma-Torino- Firenze
  • critica d'arte
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E poi non bagna sempre le sue architetture nell’atmosfera veneziana; non dà abbastanza solidità ed ampiezza a’ suoi terreni, nè sfondo a’ suoi sfondi: insomma non è raro che in quelle tele si cammini con fatica e si respiri a stento. Il Querena si compiace anche nel ricreare con la fantasia le vedute dei secoli scorsi, restaurando i monumenti, e ravvivandoli con macchiette, che rappresentano fasti veneziani.

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Le opere del Grita escono dalle sue viscere; chi non le rispetta non le ha guardate abbastanza o le ha guardate con animo di trovarle brutte: la quale cosa accade tuttodì, senza che il guardatore si possa dire perciò di mala fede o di poco ingegno, poichè la leggerezza anche degli uomini più sodi — la nostra di critici segnatamente — è maravigliosissima. L’artefice che non bada a’ quattrini, che non cerca le lodi del pubblico e delle gazzette, che non fa un compromesso tra l’arte propria ed il gusto della età in cui vive, che alza la sua professione a ministero di idee, ha diritto non all'ammirazione, se non è ammirabile, ma alla stima della gente, massime in questi anni, nei quali gli artisti non abbominano i soldi, gli elogi e gli onori.

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Così vissi mezzo anno senza pace, con il travaglio di vedere troppo e con il rimorso di non vedere abbastanza, invocando un’ora tranquilla, bramando un paese dove i secoli trascorsi non avessero lasciato nessuna traccia del loro passaggio, un prato irrigatorio, una risaia, quattro gelsi, un rigagnolo.

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A chi vi dicesse di buttar giù i ruderi delle Terme di Caracalla, rispondereste legandolo per matto furioso; lasciate dunque in piedi un Governo, che è oggetto da gliptoteca, che è moneta da gabinetto numismatico, ma che giova al carattere della città, mostrando sparuto, è vero, e pure abbastanza evidente il riverbero di una sua bella epoca già molto lontana. Siete pittore prospettico: badate almeno alle macchiette. La prima volta che io entrai nella chiesa di San Giovanni in Laterano, mentre stavo guardando alla prosopopea di quei pilastri e di quelle arcate del Borromini, un cardinale con la testa alta, il portamento altero, l’occhio scintillante, usciva dalla sagrestia, seguito in atto di riverenza servile da uno stuolo di canonici e abati e chierici e servidorame in livrea gallonata. La chiesa, che nel totale mi era parsa goffa ed insulsa, diventò di botto, per merito di quelle figure, cosa tutta diversa. Il rosso, il pavonazzo, il nero, il bianco fecero brillare le tinte uggiose dell’architettura, fecero vivere le linee delle colonne e delle trabeazioni. Niuno meglio di voi può sapere come un colpo di colore trasmuti una scena, come un tono rinnovi un quadro. Voi mi volete interrompere per dire, l’indovino, che senza il Governo dei Papi i preti potrebbero starci a ogni modo. È vero; ma ciò che mi piaceva nel cardinale di San Giovanni in Laterano, ciò che lo accordava sì bene ai dodici apostoli colossali del Le Gros e del Rucconi, non era tanto la sua porpora, quanto quella sicurezza sdegnosamente cattolica, quell’incesso da principe orgogliosamente modesto, che non possono rivelarsi senza la coscienza e l’esercizio del proprio potere.

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Disgraziatamente, benché la cosa sia stata fatta abbastanza bene presso Parigi e in parecchi altri siti, l’unico luogo dove non la si possa con serietà tentare è per l’appunto Roma. L’imitazione assumerebbe qualcosa del puerile. Avere accanto l’esemplare e la copia farebbe ridere, ad onta della opportunità e della bellezza; senza dire che le case romane, eccetto quelle altissime della Suburra e di altri quartieri popolari, avevano il solo piano terreno e, al più, di sopra in alcune parti dell’edificio un basso piano di camerine. Perciò la riproduzione, che non sarebbe difficile per le abitazioni di campagna, riescirebbe quasi impossibile per quelle di città, dove le aree vogliono essere, anche nei villini, tenute in gran pregio, guadagnando in altezza col numero dei piani quel che si è sforzati a risparmiare nella superficie.

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Si vedono quattro seggioloni del Brustolon, belli a parte a parte, goffi nell'insieme, e alcuni bassorilievi scolpiti in legno, con isgorbia abbastanza castigata, dal secentista Fantoni.

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Chi dicesse, invece di non ignobile, nobile o generoso o gentile o forte o piacente, direbbe troppo e non direbbe abbastanza. Tutti i sentimenti, anzi tutte le infinite gradazioni dei sentimenti si possono suscitare con l’arte. C’è una sola cosa, che fa diventare miserabili anche i pregii materiali della forma: la bassezza. Tolta questa, ogni impressione, ogni affetto rientra nel dominio dell’arte: il cuore può sentirsi dilaniare, straziare, inorridire, stringere, soffocare, raggrinzare, raggricchiare; si può andare fino al disgusto, quasi fino allo schifo e allo stomaco. Il Machiavelli dice che Dante non ha fuggito il porco: avrebbe potuto dire il medesimo di tanti pittori, che sono veri artisti. La stessa voluttà non ignobile ha dei diritti nell’arte, dei grandissimi e legittimi diritti: esempio i Greci, i Cinquecentisti veneziani, Rubens e via via. Sappiamo bene che la critica nega sovente questi diritti; ma la critica deve serbare la dignità della sua toga e de’ suoi occhiali. Fa come la famosa figura del Camposanto di Pisa: si copre il volto con la mano, e guarda tra le dita.

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Il bozzetto parve troppo drammatico e poco statuario; questa apoteosi del 17 di marzo sembrò più un monumento alla Rivoluzione che un monumento al Manin; e ci rammentiamo di avere udito un bel vecchio biasimare la seggiola del Vela, raccontando con compunzione come il Manin fu portato dalle Carceri sino in Piazza San Marco sopra un nudo asse di legno trovato a caso presso il Ponte di Canonica, come poi al Caffè Florian si sostituì all’asse un tavolino, che ancora oggi è conservato per reliquia, e come su questo tavolino, senza che il futuro proclamatore della Repubblica perdesse mai la sua dignità e la sua compostezza, venisse questi portato dal popolo plaudente fino alla sua casa di San Paternian, che è un giretto abbastanza lungo.

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Il povero pittore non sa da che parte pigliarle, il pennello non è abbastanza sottile per la dilicata modellatura, la tavolozza non è abbastanza ricca di gradazioni per il soave incarnato. Meglio il naso da pappagallo o gli occhi da civetta. La stessa fotografia riproduce con più evidenza artistica i volti un poco bizzarri, che non i lineamenti misurati e raccolti. Il sole stesso non ama la perfezione. Così è dei ritratti corporei come dei morali e degl'intellettuali: si ammira la perfezione, ma — bestie che siamo! — ci si sente più attratti alla grandezza imperfetta. L’errore, l'esagerazione rende umana la sublimità dell’ingegno. Il genio dell'uomo grande, che lodiamo, ha un pizzico del piccolo genio di noi, che lo lodiamo. Possiamo stringere la mano all’imperfetto o all’eccessivo: siamo della stessa natura. Poi Leonardo, die sapeva di tutto, ch’era sommo in tutto, non aveva l’indole dell’animo pittoresca: non ebbe amori, non passioni fervide: come uomo era sbiadito. Parlando di lui tornano sempre alle labbra le parole bellezza e perfezione. Era di bella persona — dice un manoscritto della prima metà del 1500, pubblicato ch’è poco dal Milanesi — di bella persona, proportionata, grattata et bello aspetto. Portava un pitocco rosato corto sino al ginocchio, che allora s'usavano i vestiri lunghi: haveva sino al mezzo il petto una bella capellaia e inanellata e ben composta. Queste sono forse alcune delle cagioni, per le quali, dopo tanti studii parziali e tante dotte fatiche, non abbiamo ancora su Leonardo un volume compiuto e limpido; queste sono forse le cause, per le quali il Magni ha piantato sul monumento una figura scipita.

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