Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Scultura e pittura d'oggi. Ricerche

266224
Boito, Camillo 9 occorrenze
  • 1877
  • Fratelli Bocca
  • Roma-Torino- Firenze
  • critica d'arte
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E poi non bagna sempre le sue architetture nell’atmosfera veneziana; non dà abbastanza solidità ed ampiezza a’ suoi terreni, nè sfondo a’ suoi sfondi: insomma non è raro che in quelle tele si cammini con fatica e si respiri a stento. Il Querena si compiace anche nel ricreare con la fantasia le vedute dei secoli scorsi, restaurando i monumenti, e ravvivandoli con macchiette, che rappresentano fasti veneziani.

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Le opere del Grita escono dalle sue viscere; chi non le rispetta non le ha guardate abbastanza o le ha guardate con animo di trovarle brutte: la quale cosa accade tuttodì, senza che il guardatore si possa dire perciò di mala fede o di poco ingegno, poichè la leggerezza anche degli uomini più sodi — la nostra di critici segnatamente — è maravigliosissima. L’artefice che non bada a’ quattrini, che non cerca le lodi del pubblico e delle gazzette, che non fa un compromesso tra l’arte propria ed il gusto della età in cui vive, che alza la sua professione a ministero di idee, ha diritto non all'ammirazione, se non è ammirabile, ma alla stima della gente, massime in questi anni, nei quali gli artisti non abbominano i soldi, gli elogi e gli onori.

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Così vissi mezzo anno senza pace, con il travaglio di vedere troppo e con il rimorso di non vedere abbastanza, invocando un’ora tranquilla, bramando un paese dove i secoli trascorsi non avessero lasciato nessuna traccia del loro passaggio, un prato irrigatorio, una risaia, quattro gelsi, un rigagnolo.

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A chi vi dicesse di buttar giù i ruderi delle Terme di Caracalla, rispondereste legandolo per matto furioso; lasciate dunque in piedi un Governo, che è oggetto da gliptoteca, che è moneta da gabinetto numismatico, ma che giova al carattere della città, mostrando sparuto, è vero, e pure abbastanza evidente il riverbero di una sua bella epoca già molto lontana. Siete pittore prospettico: badate almeno alle macchiette. La prima volta che io entrai nella chiesa di San Giovanni in Laterano, mentre stavo guardando alla prosopopea di quei pilastri e di quelle arcate del Borromini, un cardinale con la testa alta, il portamento altero, l’occhio scintillante, usciva dalla sagrestia, seguito in atto di riverenza servile da uno stuolo di canonici e abati e chierici e servidorame in livrea gallonata. La chiesa, che nel totale mi era parsa goffa ed insulsa, diventò di botto, per merito di quelle figure, cosa tutta diversa. Il rosso, il pavonazzo, il nero, il bianco fecero brillare le tinte uggiose dell’architettura, fecero vivere le linee delle colonne e delle trabeazioni. Niuno meglio di voi può sapere come un colpo di colore trasmuti una scena, come un tono rinnovi un quadro. Voi mi volete interrompere per dire, l’indovino, che senza il Governo dei Papi i preti potrebbero starci a ogni modo. È vero; ma ciò che mi piaceva nel cardinale di San Giovanni in Laterano, ciò che lo accordava sì bene ai dodici apostoli colossali del Le Gros e del Rucconi, non era tanto la sua porpora, quanto quella sicurezza sdegnosamente cattolica, quell’incesso da principe orgogliosamente modesto, che non possono rivelarsi senza la coscienza e l’esercizio del proprio potere.

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Disgraziatamente, benché la cosa sia stata fatta abbastanza bene presso Parigi e in parecchi altri siti, l’unico luogo dove non la si possa con serietà tentare è per l’appunto Roma. L’imitazione assumerebbe qualcosa del puerile. Avere accanto l’esemplare e la copia farebbe ridere, ad onta della opportunità e della bellezza; senza dire che le case romane, eccetto quelle altissime della Suburra e di altri quartieri popolari, avevano il solo piano terreno e, al più, di sopra in alcune parti dell’edificio un basso piano di camerine. Perciò la riproduzione, che non sarebbe difficile per le abitazioni di campagna, riescirebbe quasi impossibile per quelle di città, dove le aree vogliono essere, anche nei villini, tenute in gran pregio, guadagnando in altezza col numero dei piani quel che si è sforzati a risparmiare nella superficie.

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Si vedono quattro seggioloni del Brustolon, belli a parte a parte, goffi nell'insieme, e alcuni bassorilievi scolpiti in legno, con isgorbia abbastanza castigata, dal secentista Fantoni.

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Chi dicesse, invece di non ignobile, nobile o generoso o gentile o forte o piacente, direbbe troppo e non direbbe abbastanza. Tutti i sentimenti, anzi tutte le infinite gradazioni dei sentimenti si possono suscitare con l’arte. C’è una sola cosa, che fa diventare miserabili anche i pregii materiali della forma: la bassezza. Tolta questa, ogni impressione, ogni affetto rientra nel dominio dell’arte: il cuore può sentirsi dilaniare, straziare, inorridire, stringere, soffocare, raggrinzare, raggricchiare; si può andare fino al disgusto, quasi fino allo schifo e allo stomaco. Il Machiavelli dice che Dante non ha fuggito il porco: avrebbe potuto dire il medesimo di tanti pittori, che sono veri artisti. La stessa voluttà non ignobile ha dei diritti nell’arte, dei grandissimi e legittimi diritti: esempio i Greci, i Cinquecentisti veneziani, Rubens e via via. Sappiamo bene che la critica nega sovente questi diritti; ma la critica deve serbare la dignità della sua toga e de’ suoi occhiali. Fa come la famosa figura del Camposanto di Pisa: si copre il volto con la mano, e guarda tra le dita.

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Il bozzetto parve troppo drammatico e poco statuario; questa apoteosi del 17 di marzo sembrò più un monumento alla Rivoluzione che un monumento al Manin; e ci rammentiamo di avere udito un bel vecchio biasimare la seggiola del Vela, raccontando con compunzione come il Manin fu portato dalle Carceri sino in Piazza San Marco sopra un nudo asse di legno trovato a caso presso il Ponte di Canonica, come poi al Caffè Florian si sostituì all’asse un tavolino, che ancora oggi è conservato per reliquia, e come su questo tavolino, senza che il futuro proclamatore della Repubblica perdesse mai la sua dignità e la sua compostezza, venisse questi portato dal popolo plaudente fino alla sua casa di San Paternian, che è un giretto abbastanza lungo.

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Il povero pittore non sa da che parte pigliarle, il pennello non è abbastanza sottile per la dilicata modellatura, la tavolozza non è abbastanza ricca di gradazioni per il soave incarnato. Meglio il naso da pappagallo o gli occhi da civetta. La stessa fotografia riproduce con più evidenza artistica i volti un poco bizzarri, che non i lineamenti misurati e raccolti. Il sole stesso non ama la perfezione. Così è dei ritratti corporei come dei morali e degl'intellettuali: si ammira la perfezione, ma — bestie che siamo! — ci si sente più attratti alla grandezza imperfetta. L’errore, l'esagerazione rende umana la sublimità dell’ingegno. Il genio dell'uomo grande, che lodiamo, ha un pizzico del piccolo genio di noi, che lo lodiamo. Possiamo stringere la mano all’imperfetto o all’eccessivo: siamo della stessa natura. Poi Leonardo, die sapeva di tutto, ch’era sommo in tutto, non aveva l’indole dell’animo pittoresca: non ebbe amori, non passioni fervide: come uomo era sbiadito. Parlando di lui tornano sempre alle labbra le parole bellezza e perfezione. Era di bella persona — dice un manoscritto della prima metà del 1500, pubblicato ch’è poco dal Milanesi — di bella persona, proportionata, grattata et bello aspetto. Portava un pitocco rosato corto sino al ginocchio, che allora s'usavano i vestiri lunghi: haveva sino al mezzo il petto una bella capellaia e inanellata e ben composta. Queste sono forse alcune delle cagioni, per le quali, dopo tanti studii parziali e tante dotte fatiche, non abbiamo ancora su Leonardo un volume compiuto e limpido; queste sono forse le cause, per le quali il Magni ha piantato sul monumento una figura scipita.

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Racconti 1

662677
Capuana, Luigi 10 occorrenze
  • 1877
  • Salerno Editrice
  • prosa letteraria
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Siete cattiva abbastanza. - Mi ringraziate cosí? - Di che dovrei ringraziarvi? Avete detto: "È malato, è inoffensivo, andiamo dunque nell'antro ...". - Del leone? Diventate vano, sapete! - ... e facciamolo arrabbiare, facciamolo ruggire; sarà un bel divertimento. L'antro è cosí solitario che non c'è nessun pericolo di compromettersi; ed io mi sento tanto forte da tenere il leone a distanza, anche se avesse il suo piú fiero accesso di febbre. - È poi vero che i leoni abbiano la febbre? - Dicono. Ma chi gli ha tastato il polso? ... E siete venuta. Su dunque; fatemi arrabbiare, fatemi ruggire. Di nuovo quel dente? - Sí, torna a molestarmi. - Dente benedetto, se gli debbo l'incredibile fortuna d'una vostra prima visita! - Prima ed ultima. - Perché? - Parto per Napoli. - Lo dite in un modo! ... - Il ministro ha avuto l'idea di traslocare colà mio marito. - In questo caso, il ministro propone, e la donna dispone. - Non ho nessuna ragione per non andare. - E me? - Voi non siete una ragione. Ci amiamo forse? Di tanto in tanto, avete il capriccio o l'amabilità di ripetermelo; io ho sempre il buon senso di non credervi punto. Voi siete cosí scettico, cosí blasé, da non avervi a male, se non vi credo; ed io sono cosí buona da continuare a darvi la replica nella puerile commediola che vi piace di rappresentare. La cosa non può avere gravi conseguenze né per voi, né per me. La vita, per noi venuti qui da poco tempo, è tanto noiosa, che fin questa sciocchezza giova a dist rarci. Perché dovremmo privarcene? Ora che lascio Roma, cercherete un altro svago, magari piú concreto; non penerete molto a trovarlo. Io, io ... oh, io potrò farne anche a meno! So l'arte di annoiarmi, da un pezzo. - Vi guardo a bocca aperta. - Potete chiuderla. Ho detto. - È impossibile che siate venuta qui unicamente per spiattellarmi sul viso certe cose somiglianti a impertinenze. Vi assicuro che un'impertinenza non cessa d'esser tale uscendo dalla piú bella bocca della cristianità, quale io giudico la vostra. Dunque quelle parole hanno un senso nascosto. Sarò sincero; anche con tutt'e due i piedi in ottimo stato, non avrei mai tanto talento di ermeneutica da poter tentare la interpretazione del grazioso indovinello da voi recitato con l'aria veramente incantevole d'un'at trice consumata. Siate compiacente, aiutatemi. Voi vorreste andare a Napoli. - Non son io che voglio andarci, è il ministro che manda colà mio marito. La moglie, lo sapete, deve seguire il marito; è testuale. - Voi vorreste andare a Napoli. Perché? - Giacché volete saperlo, corro dietro a una avventura ... romanticissíma. Amo, e mi credo amata. Tegolo sulla testa, fulmine a ciel sereno! Il famoso coup de foudre! ...? ... Inglese; biondo, bello, fatale, come lord Byron che non ho avuto l'onore di conoscere. Abbiamo flirtato ... Si dice? - Se vi fa comodo. Mi prendete forse per l'Accademia della Crusca? - Abbiamo flirtato una settimana per le gallerie e per le chiese, fingendo di ammirare Raffaello e il Correggio, la Cappella Sistina e San Paolo, dandoci degli appuntamenti, senz'aver l'aria di darceli - un incanto! - e trovandoci insieme il giorno dopo, esatti fino a un minuto. Egli deve avermi scambiata per una principessa; niente di male: qui sono tutte principesse. Io gli ho fatto supporre che lo credo un principe del sangue, viaggiante in incognito. Se poi sarà un fabbricante di tele da vele, di rasoi o di saponetti di glicerina, non importa. E siccome mi ha detto che ... la sua famiglia starà sei mesi a Napoli ... perché una sorella di lui è mezza tisica, cosí ... - Tutto questo, scusate, mi conferma nella mia vecchia opinione che le donne, in generale, non abbiano molta fantasia, e le donne di spirito, in particolare, per gastigo della loro malignità, ne manchino affatto. - Con voi non si può ragionare. - Sragioniamo; sarà meglio. Malato, con un piede all'altro mondo, nel mondo della bambagia e delle fasciature, sono dispostissimo a dire la verità, e nient'altro che la verità. Non vi sembra che se cominciassimo ad amarci sul serio o, piuttosto, a persuaderci che ci amiamo sul serio, sarebbe una bella cosa? - Domandatelo a mio marito. - Scommetto che s'egli sapesse che stiamo ripetendoci da un anno questa storia che non ci vogliamo bene, che non possiamo amarci, voi perché non mi credete, io perché non ho ricevuto da voi nessun segno che possa permettermi la piú piccola illusione ... - Che cosa ci avete perduto? - Il ranno e il sapone - Parlate da lavandaio. Oh! Il mio lord non si permetterebbe mai simili espressioni. - Non m'interrompete. Credete, dunque, che se vostro marito conoscesse la nostra suprema stupidaggine, non proverebbe un sentimento di profondo disprezzo per voi e per me? - Mio marito è uomo di buon senso, uomo positivo. Egli suol dire che le peggiori sciocchezze sono le inutili. Amandoci sul serio, ne commetteremmo una di questo genere. A che scopo? Volete che v'enumeri i vantaggi della nostra condizione? Facendo le viste d'amarci, abbiamo tutti i benefizi dell'amore ... - Tutti? Oh no! Lasciatemi protestare. - ... senza nessuno degl'inconvenienti che l'amore per davvero ci getterebbe fra' piedi. Mi avete scritto bellissime lettere; le pubblicherò, dopo la vostra morte, e vi faranno onore; non v'adulo. Io v'ho risposto con altre ... passabili, di una discreta ortografia. Non le veggo fra queste. - Gli archivi ricevono unicamente le pratiche espletate. - Sta bene; grazie. E in questo modo siamo scampati dal pericolo d'innamorarci, voi chi sa di quale strega; io chi sa di qual figuro. I veri innamorati scelgono sempre il peggio. - Perché non sono il peggio? Eppure mi credevo abbastanza mostruoso, in tutti i sensi, da potere far perdere la testa alla donna piú savia! - Ve lo ripeto: diventate vano ... Le due e mezzo! Ho appena un quarto d'ora da concedervi. Se credete che sia venuta qui senza commozione ... - Possibile! ... Quale? - Quella di fare una cosa che non avrei dovuto, col pericolo ... - Quasi in questo punto di città non si fosse piú sicuri che nella campagna romana! - Se poi credete che io sia rimasta qui un quarto d'ora senza provare il rimorso ... - Di che mai? - D'aver interrotto il riordinamento del vostro piccolo archivio del cuore. Oh! Mi vi siete rivelato sotto un aspetto inatteso. La vostra meravigliosa sentimentalità - chi poteva supporlo? - mi sbalordisce, mi turba. Avete pianto, riprendendo in mano quei fiori secchi? Le vostre mani hanno tremato, riaprendo le lettere ingiallite delle vostre signore di tempo fa? Diciamo signore, cosí, in blocco. Non sono proprio sicura che qualche bella cameriera non si sia introdotta fra esse, in un momento di vostra dist razione. E farete dei versi su questo soggetto? Siete capace di tutto. Ne avete fatti per me, una sola volta, sei mesi addietro. Allora forse pensavate che, per farsi credere innamorato davvero, bisognava mostrarsi completamente ridicolo. Ora, con la storta a un piede e il piccolo archivio del cuore disperso sul tavolino, siete sublime a dirittura. Dovreste farvi fotografare cosí. - Invece di muovervi il riso, tutto questo dovrebbe provarvi che ogni scettico ha il suo quarto d'ora di fede, come ogni credente il suo quarto d'ora di scetticismo; dovrebbe provarvi che quando un uomo del mio carattere arriva fino al punto di rimescolare con triste compiacenza le poche ceneri del suo passato, vuol dire che egli non ha nulla nel presente da eccitargli l'immaginazione, da fargli battere il cuore; e che il presente gli appare cosí squallido, cosí doloroso da spingerlo a voltarsi addietro, ve rso l'ideale; perché, se non lo sapete, l'ideale è dietro o davanti di noi; e noi non facciamo altro, in tutta la vita, che rimpiangerlo o corrergli appresso, senza chiapparlo mai. - Continuate. Mi sento intenerire; preparo il fazzoletto. - Voi tentate di far la brava ... - No; tento di restar seria, per non darvi una mortificazione ... Altri otto minuti. Vorreste intanto farmi il piacere di guidarmi attraverso il vostro piccolo archivio del cuore? Dev'essere interessantissimo. - Siete in vena di ridere ... Ma, badate: parlo con tutta la serietà possibile! Non vi ho mai detto con tanta sincerità, con tanta profonda commozione come in questo momento ... - Ricominciate? - Giacché siete in vena di ridere, ridete pure a spese delle mie illusioni giovanili, delle ardenti passioni dei miei vent'anni, dei miei amori fragili e passeggieri ... che non sono stati i peggiori. - Alla buon'ora! - Ludovico rovistò fra le carte e gli oggetti sparsi sul tavolino e, scelti alcuni fiori secchi legati con un rozzo filo bianco, risprese in tono scherzoso: - Fiori di campo. Mazzolino preistorico; 1866@, 1866, data approssimativa. Allora amavo il rustico, l'ideale dell'ideale, la figlia del mio fattore. Tutte le belle mani di contesse, di marchese, di principesse, di semplici signore, strette e baciate dopo, non mi sono parse belle quanto quelle mani grassotte, gonfie pei geloni, e che facevano la calza. Purità, il tuo nome è Sedici Anni! Ogni volta che sento il profumo del fieno ... - Vi vien la voglia di mettervi all'erba? - Signora, rispettate almeno l'innocenza! - E rifrugato, continuò: - Età della pietra: lettera di quattro pagine, geroglifici primitivi. Non ne capisco piú niente, tranne che la sartina finiva con abbraccarmi e darmi mille bachi.? - Che non fecero il bozzolo? - Altro! Il mio primo rimorso. Se scriverò la mia vita ... - Leggerò allora questo capitolo, e procurerò di rabbrividire. Su, su, entriamo finalmente nei tempi moderni. - La mia prima signora! - Autentica? - Autenticissima. Aveva un solo difetto: si metteva sempre a piangere, dopo. Non sapeva persuadersi, diceva, con che cuore poteva tradire un marito che l'adorava! ... Cosa molto lusinghiera per me, ma che, ripetuta, mi seccava. E il suo tradimento ... - Vi tradí? - Per veder di capire, con un altro, in che modo ella poteva tradire il marito che l'adorava! ... Fui cosí bestia, cara amica, da provocare il mio rivale e buscarmi un bel colpo di punta al braccio, guaribile in dieci giorni. Questa è la lettera di congedo. Monumentale. "Ti amo troppo ... Non ci vedremo piú! ... Lasciami ai miei rimorsi! Clelia." È il nome della sua cameriera: si firmava cosí per cautela. - E quel porte-bonheur? - Modernissimo, tutto quel che ci può essere di piú moderno. L'epistolario, in tre volumi, fu restituito all'autrice, meno queste pagine interessanti e questo gingillo che ha aderito al mio polso sette mesi, notte e giorno, testimone irrefragabile d'una passione degna di miglior sorte. Giacché questa volta fui io che presi la rivincita su la volubilità femminile, tradii per tradire. Il cattivo esempio della mia prima signora mi aveva cosí pervertito, che restai sordo ai pianti, alle imprecazioni, alle lette re di questa natura: "Mostro! Quel ch'io soffro, non lo saprete mai!" Infatti, non l'ho piú rivista ... Era bella, proprio. E affettuosissima: troppo. L'ho rimpianta, ma non lo ha saputo mai. - Pari e patta. - Nastro contemporaneo. Una marchesa, vero genio epistolare: già voi altre donne siete tutte tante Sévigné inedite. Queste lettere, salvate a stento dal terribile naufragio della nostra passione, potrebbero, in mancanza di altre, farne fede. "M'hai lasciata or ora. Stanca delle divine ebbrezze ..." Voi non amate il realismo; salto qualche frase. "Non posso far a meno di scriverti, di comunicarti le sensazioni che mi conturbano ancora ..." Salto, salto ... "Ho aperto la finestra. Che silenzio! Che c alma! Gli alberi del giardino ..." Descrizione, credetemi, che il Fogazzaro non sdegnerebbe per sua. "Gli alberi fremono d'amore sotto i pallidi raggi della luna. I fiori, mezzi addormentati, si bisbigliano, da un'aiuola all'altra, le loro confidenze ... Un cane abbaia in lontananza ..." Due pagine! ... "In questo momento tu, forse, dormi. Oh, se sognassi di me!" Glielo confessai il giorno dopo: a mezzogiorno dormivo ancora, ma senza sognare. Quando amo in una certa maniera, dormo come un ghiro ... Andate via? - Sono edificata a bastanza! ... Voi avete tre o quattro mie lettere, insignificanti. Passatele pure agli archivi ... Credo che non farete cosí facilmente ridere con esse un'altra signora. - Ah! ... Voi dunque supponete ...? - Non suppongo nulla; giudico. Siete mostruoso davvero. Stavo per lasciarmi ingannare anch'io da codesta vernice di scetticismo che, forse, poteva nascondere un cuore buono e gentile ... Mi avete fatto male, molto male! ... Lo scetticismo è una malattia di cui si può guarire; ma il cinismo ... - Sono cinico? ... Io? ... - Se c'è una parola che significhi qualcosa di peggio, suggeritemela; ve la dirò. - Finalmente! ... Oh, finalmente, son riuscito a strapparvi la maschera! Ho rappresentato cosí bene la mia parte ... - La risorsa è da uomo di spirito. Però voi avete detto che sono persona di spirito anch'io, e, per conseguenza, maliziosa. - Vedete? Non mi difendo. Voglio darvi tutto il tempo di giudicarmi con calma e con imparzialità. - Addio! - Neppure a rivederci? - Ci rivedremo senza dircelo. - Sentite, Maria. Non mi fate il torto di dare importanza a uno scherzo, fatto piuttosto per mettermi all'unisono del vostro buon umore ... di testa. Da un anno ci diamo la maggior pena del mondo per mostrarci l'una all'altro proprio il rovescio di quel che siamo. È stato un continuo scambio di assalti, di motti, di frasi, nelle quali le parole non avevano per nessuno dei due il significato ordinario. Ogni puntura era una delizia; ogni morsettino una felicità ... Non lo negate ... - Io non fiato. Solamente vi avverto di risparmiarvi la pena di tanta eloquenza. Ora che fingete di parlarmi in serietà ... - Fingo! - Vi credo assai meno di quando fingevate per chiasso. Oh gli uomini! Addio! - E non potersi muovere per trattenervi! - Piove. Non ce ne siamo accorti. Siete venuto ad abitare in un deserto. Non si trova mai una carrozza da queste parti. Mandate il servitore a cercarmene una. - Potreste aspettare che spiova. Vedete? La Provvidenza manda la pioggia unicamente per prolungarmi il piacere di vedervi qui, di sentirvi parlare, e ... di rappacificarci, forse ... Sedete intanto. - Guardo se spioverà presto. - Sedete. Oramai lo so: noi ci amiamo! - Davvero? - Sí, noi ci amiamo. Ed è un peccato saperlo con certezza. Pensavo a questo vedendovi andar via ... Ne avremo per due, tre settimane, per un mese al piú, e poi ... Invece abbiamo durato quasi un anno nell'amarci inconsapevolmente. Ed è stato deliziosissimo. - Se non siete un mostro, siete talmente pervertito ... - Siamo cosí tutti, chi piú chi meno, a questi lumi di luna di raffinatezza nevrotica. Il naturale, lo spontaneo, il primitivo non ci basta piú. È troppo semplice per la nostra esperienza e per la nostra malizia ... Via! ... Amiamoci! ... Siamo sinceri almeno un momento. E cosí, se dovrete proprio partire, partirete fra due o tre settimane, fra un mese; qualche giorno prima che il nostro amore finisca. Faremo come coloro che si levano da tavola con un po' d'appetito. È igienico, dicono. - Sciocchezze ne avete detto sempre; mai però tante e tante di seguito, quante da che sto qui! - Dovreste esserne lieta. Una donna che ispira delle sciocchezze, è una donna veramente amata. - Povere donne! - Maria! ... - Avevo un triste presentimento, venendo qui. Non m'ingannavo. Perché non sono tornata addietro? Mi sarebbe rimasta l'illusione. Ho creduto a una lusinga del cuore, e ne sono punita. Meglio per me. Errore evitato, rimorso risparmiato. Ne avevo già uno: quello d'esser sul punto d'ingannare una brava persona che m'ama seriamente. - I mariti non amano; tutt'al piú, vogliono bene. - È preferibile. - Ma è un'altra cosa. - No, non vi credo, non voglio credervi. Sareste proprio perverso, se tutto ciò che dite fosse davvero quel che pensate, e di cui siete convinto. - Non posso alzarmi, altrimenti mi butterei ai vostri piedi, per farvi la mia dichiarazione in regola ... Siete cosí formaliste voi donne! Allora, probabilmente ... - No; non parlate cosí. Mi fate dispiacere ora. - Che volete? Mi veggo in una certa situazione con questa storta, inchiodato su la seggiola ...! - Soffrite molto? - Non me ne sono accorto da che voi siete in casa mia. - Se prometteste di non scherzare piú sopra un argomento tanto serio ... - Ve lo prometto. - Chi sa? Potrei venire qualch'altra volta ... - Non v'augurate, spero, che la mia storta duri eterna! - Intendetevela col vostro dottore. - Grazie. - A rivederci ... Ma buttate via tutti questi ingombri! ... Ci tenete molto, insomma? - Tanto! ... Come terrei a conservare le vostre poche lettere, se un'altra mi chiedesse quel che voi chiedete ... - Oh no, no a rivederci! ... Che tristezza! ... Addio. Addio -. Egli la seguí ansiosamente con lo sguardo, sperando non sarebbe davvero andata via. E quando la vide sparire, rimase ancora un momento con gli occhi rivolti verso l'uscio. Poi, riprendendo la occupazione interrotta: - Tornerà - disse. - La credevo piú forte. Francamente, era meglio prima. Ed ecco un'altra pratica che s'avvia per l'archivio. La vita è cosí! Mineo, agosto 1884@. 1884.

Intanto, per oggi, mi sento compensato abbastanza da questa dolce passeggiata da innamorati. La gente (ahimè, a torto!) deve crederci proprio due innamorati. Infatti, vede?, quell'uomo fermato sotto gli alberi sta a guardarci da un pezzo, masticando la sua invidia insieme col mozzicone di sigaro che non vuole accendersi -. E voltando il capo, ella rideva a scossettine portando la punta del ventaglio alle labbra, piegando un po' il busto slanciato; rideva, ma quasi per tentar di distrarsi da riflessioni penose che le esitavano ancora sul volto. Quell'uomo fermato sotto gli alberi, dopo averli seguiti con lo sguardo lungo il sentiero del prato, era andato a sedersi dirimpetto a loro, divorandoseli con certi occhi sgranati, dal tavolino dove mangiava solo, col tovagliolo appiccato al colletto. Luigia e Renato, a metà di pranzo, messisi di buon umore, gli ridevano quasi in faccia, facendolo arrossire coll'imboccarsi a vicenda pezzettini di fritto o di arrosto, se colui si fermava a guardarli piú balordamente incantato. - Intanto non mangia proprio niente. - Mangio poco. E non è il miglior modo per ingrassare. - Ah! ... Tu lo vuoi? - disse a un tratto Renato, che non ne poteva piú di quell'imbecille. E, alzatosi da sedere, diede un bel bacio a Luigia che non ebbe tempo di schermirsi. Per istrada, nell'oscurità della notte, mentre il tranvai a vapore si allontanava gettando rapidi spruzzi di luce rossastra su le siepi e su i campi, essi ridevano ancora del viso sbalordito di quel povero imbecille allorché avea visto quel bacio. Poi, nella intimità del ritorno a piedi, stringendo il braccio di Renato con abbandono, incoraggiata dal buio, ella era tornata a scusarsi. - Non ci faccio una bella figura, lo capisco. Ma ..., infine, non ho voluto mostrarmi piú virtuosa che non sono. Però voi uomini non potete capirlo. È altra cosa per voi ... - Renato la lasciava dire, accarezzandole una manina. L'accento sbiaditamente veneziano dava un fascino deliziosissimo a quella facile parola che risuonava nell'oscurità, fra il lieve stropiccio dei piedi sulle foglie secche del viale, e andava a perdersi nel gran silenzio della campagna cosí pieno di vaghi rumori. Renato la lasciava dire, non ancora ben persuaso; anzi acceso e smanioso del possesso di quella magrolina assai piú ora, che non quando l'aveva adocchiata al terrazzino del secondo piano della casa accanto, raccolta nella veste da camera di tela cruda, larga e ondeggiante, col braccio che usciva ignudo dalla manica rovesciata, poggiato col gomito su la ringhiera; braccio magro, coperto da peluria che dava un tono quasi bronzino alla pelle bruna. La lasciava dire non ancora ben persuaso, ma nello stesso tempo, per raffinatezza di scapolo, contento di quella resistenza cosí inattesa e cosí franca. Era piccante! Ah, la bella bruttina, come aveva già cominciato a chiamarla, diventava qualcosa di ghiotto fra la trivialità dei soliti incontri! E per ciò, quasi senza accorgersene, quando furono vicini a casa tornò a insistere, scherzando: - Chiedo soltanto il favore di dar un'occhiatina al suo nidicino del secondo piano ... - È impossibile. Non vuol persuadersene? - Soltanto un'occhiatina, per figurarmela nel suo vero ambiente quando la sento canticchiare con vocina di falsetto ... Non vuol permettere neppur questo? Allora venga a bere un bicchierino di Kümmel o di Chartreuse a casa mia, qui, a due passi ... Non è un gran sacrifizio. - Impossibile! ... - Ella lo supplicava con gli occhi improvvisamente gonfi di lagrime, stringendogli forte la mano, alla luce del lampione sotto cui s'erano fermati: - Non mi offendo di quest'insistenza. È cosa naturalissima. Il torto è mio -. Renato la interruppe: - Buona notte. - È in collera? - Niente affatto -. Il tono brusco della voce però lo smentiva. Il fascino di quella svelta personcina, dai grandi occhi neri nel viso magro, era stato piú forte della stizza. E cosí egli s'era lasciato riprendere, indolentemente. Promise, da gentiluomo, che non ne avrebbe piú riparlato, ed ebbe l'onestà di confessarle che una relazione seria, com'ella desiderava, non era possibile. - Ci vedremo frequentemente, da camerati, da giovinotti ... Eh? - Ella non rispose né sí, né no, esitante - Ho paura di annoiarlo ... - Invece, Renato era tutto contento quando la vedeva entrare improvvisamente in quella camera di scapolo ch'ella irraggiava dei suoi sorrisi, faceva echeggiare delle sue risatine somiglianti a gorgheggi, e che riempiva e agitava con gentile irrequietezza di ragazza nervosa. Intanto ch'egli preparava la solita tazza di caffè, Luigia andava da un tavolino all'altro rovistando libri, disegni, svolgendo grosse pagine di album. - Tutte queste belle donnine sono state sue amanti? - Renato non rispondeva, affettando discrezione. - Tanto a me può dirlo. Non ho nessuna ragione di essere gelosa. Come sono belle! Ah, l'esser bella dev'essere una grande soddisfazione! Se io fossi bella, come questa qui per esempio, farei disperare parecchia gente, parecchia! - È cosí cattiva? - No: ma la bellezza è una forza -. Renato le assicurò ch'ella aveva qualcosa di meglio della bellezza, quel che di attraente, di simpatico che spesso la bellezza non ha. - So benissimo che sono brutta, ma so pure che non sono antipatica ... Questo cappello alla Rubens, con questa gran piuma, mi dà un'aria bizzarra ... Sciocca! Lo dico da me! ... E scoppiò a ridere voltando le spalle, con una smorfietta, allo specchio davanti a cui si era fermata per provarsi il cappello. - Capelli pochi e cortini. Che disperazione! E cosí ribelli! Non c'è pettine che riesca a domarli. Già, mi ci confondo poco. Ho ben altro da fare! ... Che delizia questa camera cosí grande e cosí piena di luce. La mia è un bugigattolo da aggirarvisi appena. Mi è cara però; è piena di ricordi! - ... Dolci? - Tristissimi. Quante lagrime, quante sofferenze, quando riarsa e stroncata dalla febbre dovevo lavorare tutto il giorno, per settimane, per mesi, rompendomi la schiena, sostentandomi di solo pane! ... Non voglio neppur rammentarmelo! ... - E ora? - Ora? Vivucchio, lavorando sempre, orgogliosa di non essermi mai avvilita. Piuttosto un tonfo nel naviglio. C'è mancato poco, un mese fa! Qualche volta ci ripenso sul serio ... Infine! ... Quegli occhioni neri prendevano un'espressione indefinibile, allorché ella parlava di morire. Ne ragionava tranquillamente, senza affettazione, come di cosa da dover accadere un giorno o l'altro, quando si è tanto disgraziati a questo mondo, quando non si ha neppure un cane che ci voglia bene o che ci sia legato da un legame qualunque! Sua madre era morta. Suo padre ... Un giorno (non poteva dimenticarlo, aveva appena sette anni) un'amica della mamma che la conduceva a spasso, le aveva additato un signore alto, bruno, bell'uomo, che entrava in un caffè. - Va', digli: babbo, dammi un bacio! - Ed era entrata in quel caffè e s'era accostata a quell'uomo veduto allora per la prima volta e gli aveva detto, tremando: - Babbo, dammi un bacio. - Quel signore, baciatala, accarezzatala e compratele delle chicche, le aveva detto: - Va' va'! - E n on lo aveva piú riveduto. E non ne aveva piú saputo notizia! ... - Ma perché le racconto queste malinconie? Addio, addio ... Scappo. - Senza pagar nulla? ... - Renato se la fece sedere sui ginocchi, vincendone la riluttanza - Voglio il mio obolo, il mio solito bacio ... - Mi lasci andare! ... - E quando la Luigia non fu piú lí, egli rimase pensoso, sotto un'impressione che non sapeva spiegarsi, affatto nuova per lui. Era strano. Quel corpicino magro non lo turbava piú. La viva sensazione di quei baci era già diventata qualcosa di puro, di spirituale. Gli pareva quasi impossibile. E come lo metteva di buon umore ogni visita della bella bruttina! Sotto quell'apparente allegria però, chi sa quali e quanti dolori! Infatti, in certi giorni, lo sforzo della poverina era troppo evidente. Quegli occhi avevano pianto; quel pallore, che il suo solito sorriso non riusciva a velare, raccontava miserie ch'ella nascondeva pudicamente e altieramente in fondo al cuore. Renato la prendeva tra le braccia, con aria di scherzo: - Via, confessati all'amico, al camerata. Se ti occorresse, per caso, qualche sommettina. - No, no, grazie; in verità, non mi occorre niente. Com'è buono! - Intenerita, gli stringeva tutte e due le mani ripetendo: - No, no, grazie! - con voce turbata. - Se mai, ecco, le prometto che ricorrerò a lei, piuttosto che ad altra persona. Ma spero che non avvenga. Ci mancherebbe solo questo! Pur troppo, io abuso della sua gentilezza, da vera sfacciata ... No, no, grazie! Grazie! - Renato non insistette per delicatezza. E da quel giorno in poi, la invitò a pranzo piú frequentemente. Luigia, però, aveva capito subito; e due o tre volte aveva rifiutato, col pretesto di un precedente invito di un'amica. Ma egli, rimasto a spiarla, l'aveva vista rimanere in casa fino a sera tardi; e il lume s'era spento presto dietro i cristalli della cameretta al secondo piano. E quella sera Renato non aveva avuto voglia di desinare neppur lui, pensando alla poverina che forse era andata a letto senza aver messo niente dentro lo stomaco. Si trovavano quasi tutte le sere, alle otto precise, all'angolo di via Larga, come due amanti. Ella gli andava incontro sorridente, infilandosi un guanto, frettolosa: - L'ho fatto aspettar troppo? E, presisi a braccetto, passeggiavano per le vie fuori mano, lentamente, fermandosi davanti le vetrine. Ella gli raccontava minutamente le sue occupazioni della giornata; Renato la interrogava intorno al passato, in modo però da non sembrare indiscreto ... - Oh, non posso piú avere segreti per lei! - ella rispondeva. Quella sera erano andati a rannicchiarsi in un angolo del caffè Gnocchi, presso il teatro Dal Verme, caffè mezzo deserto. E Luigia aveva parlato, per ore, squisitamente, con abilità di narratrice che lo stupiva, facendogli sfilare sotto gli occhi i ricordi della lieta fanciullezza e della triste gioventú, passata fra i riflessi verdastri della Laguna, quando sua madre viveva ancora ... - Bella mia madre! Non le somiglio affatto -. E avea continuato, appoggiando l'espressiva testina bruna sul rosso della spalliera di velluto, accostandosi a Renato con piú intimità, quando venne il momento di parlare di ... quell'altro. - Fuggita con lui dalla casa della zia, andammo a Padova, poi a Milano ... Sin dai primi mesi, egli fu costretto a lasciarmi sola, per via degli affari. Prima mi scriveva spesso; poi, a lunghi intervalli; poi non mi scriveva piú. Arrivava e partiva all'improvviso, facendomi anche soffrire ... Mi bastava cosí poco, che anche di quel nulla sarei vissuta contenta. Una sera, in un ballo, apersi gli occhi! ... C'era un'altra di mezzo. Il sangue mi diè un tuffo. Mi sentii impazzire, e le allungai uno sch iaffo, in mezzo al ballo, all'improvviso. Fui eccessiva, si. Ma, dopo, non mi umiliai? Non gli chiesi perdono? Gli volevo bene a quell'uomo ... Gli volevo bene davvero! Eran tornati a casa silenziosi, affrettando il passo. - Forse ho fatto male, raccontandole la mia brutta storia. - Anzi, te ne sono gratissimo, proprio. - Non lo dice per cortesia? E per la prima volta, nel separarsi, gli tese le labbra col piú strano dei sorrisi di quel suo stranissimo viso di bella bruttina. Quel viso pareva livido sotto il pallore. Una mattina Renato le annunziò: - Vado via, per qualche tempo -. Luigia era rimasta senza parola, interrogandolo con incredulo sguardo ... - Dice per chiasso? - Oh, dispiace anche a me, tanto! Ma ti scriverò spesso. Puoi esser sicura che, vicino o lontano, sarò sempre amico affezionato e sincero. - Quando? - ella domandò dopo un momento di silenzio. - Fra una settimana. - Ah! I suoi occhioni neri s'erano dilatati dall'allegrezza: - Avevo creduto che partisse subito. Fra una settimana? Passerà presto anch'essa, pur troppo! ... - Renato, in quei pochi giorni, se la vide venire in casa piú frequentemente, meno allegra, sí, ma con cordialità piú aperta. Restava a lungo sdraiata sul canapè o su una poltrona, con la faccia appoggiata a una mano, un piedino accavalciato sull'altro, e gli occhi ombrati dalle ciocche arruffate su la larga e bella fronte, fissi su lui. E se Renato andava a sedersele accanto e le prendeva una mano e le passava il braccio attorno alla vita, ella tentava di svincolarsi, ma fiaccamente, e finiva col lasciarsi b aciare senza resistenza. - Prendo anticipazioni per tutto il tempo che rimarrò lontano - egli diceva. - Non dubiti: le manderò, ogni volta, mille baci per lettera ... - Ne preferisco dieci ora -. Nelle solite passeggiate serali, Luigia gli si attaccava al braccio con abbandono: - Non so affatto persuadermi che domani l'altro non ci troveremo piú insieme ... Si rammenterà di me? ... Ho qualcosa qui, nel cuore, e non riesco a metterlo fuori; un peso, una specie di rimorso. Mentre lei è stato cosí buono, cosí affettuoso, cosí sinceramente amico con me, io invece mi son mostrata quasi ingrata, cattiva. Almeno debbo esserle sembrata tale. È vero? - Perché dici cosí? Hai torto -. Allora, nei punti piú deserti delle vie, ella si fermava, guardandosi attorno, e gli saltava al collo, stringendolo al seno forte forte: - E dire che, forse, non ci rivedremo piú! ... È il mio maggior tormento -. Appena Renato comprese che cosa significava quella trasformazione di Luigia, sentí una commozione mista di pietà che lo fece impallidire. Ah! La povera creatura voleva sdebitarsi a quel modo. No; lui, invece, lui le doveva gratitudine per tante sensazioni blande, per tanti sentimenti miti, per tante ore deliziose che gli avevano fatto riposare il corpo e lo spirito con ristoro completo. No, povera creatura! Cosí era stato troppo delizioso, troppo bello! Perché guastarlo? E la guardava intenerito, mentre cam minavano senza scambiare una parola, tornando da Gorla con quel plenilunio di giugno, ridente su la vasta campagna addormentata. Era l'ultima sera che Renato restava in Milano. Perciò ella aveva voluto accompagnarlo su, rassegnata al proprio sacrifizio. Nel togliersi il cappellino tremava. Poi si era seduta sul canapè, passandosi nervosamente le mani su la faccia. - Ci rivedremo un'altra volta? - Perché no? Fra quattro mesi. - Oh, in quattro mesi chi sa quante cose accadranno! Potrò anche morire -. Si erano presi per mano; ma non si davano neppure un bacio, sorridendosi tristamente, con lunghi intervalli di silenzio. - Che ore sono? - ella domandò. - Le dodici e mezzo. - Come s'è fatto tardi! - Renato restava tuttavia seduto accanto a lei. - Perché non si leva il soprabito? - Vo' accompagnarti fino al portone di casa -. Luigia stette un momento a fissarlo, sbarrando gli occhi, credendo di aver capito male; grosse lagrime le tremolavano irresolute sugli orli delle palpebre: - È ... per vendicarsi di me? - No, no, cara! - disse Renato. - Tutt'altro! Tutt'altro! - E le accarezzava il volto. Ella rideva e piangeva, e il petto le si allargava in un gran respiro di sollievo. Roma, 9@ 9 febbraio 1883@. 1883.

. - Non era mai abbastanza! - E la baciava sulla fronte. Un desiderio lo tormentava: - Se avesse avuto un figliuolo da lei! Oh, allora soltanto gli sarebbe parsa proprio sua! Ma il figliuolo non veniva. - Meglio! - esclamava lei quando il barone toccava malinconicamente questo tasto. - Non avevano Giorgio? - Sí, sí, ma è tutt'altro! - rispondeva quello sospirando. Infatti la loro casa non era allegra: vi mancava un raggio di sole. Lei passava le giornate divorando romanzi e libri di viaggi. Non amava il marito, ma non provava ripugnanza di trovarsi sua moglie. I suoi parenti avevano voluto cosí e lei aveva ubbidito, senza che questo le costasse nulla. Certe volte sentiva svegliarsi dal fondo del cuore un sentimento indefinito, qualcosa che lei stessa non arrivava a capire, un bisogno, un'irrequietezza, una smania; ma confondeva il malessere dello spirito col malessere fisico, e consultava il dottore. Il dottore ci perdeva il latino: - Nervi! - Le sue ricette non approdavano a nulla. - Sai? Giorgio torna in famiglia - annunziò una sera il barone. Cecilia non mostrò né piacere, né dispiacere, ma una leggiera sorpresa: - Ah! - Il barone avea creduto che il ritorno di Giorgio non le fosse gradito e per iscusarlo s'era affrettato ad aggiungere: - È un po' ammalato. I medici consigliano qualche mese d'aria nativa. - Gli farà bene, certamente -. Lei continuava a leggere, distratta. Il barone si sentiva sulle spine; quell'indifferenza lui la prendeva in mala parte. - Quando? - domandò la baronessa dopo qualche minuto di silenzio. - Presto. - Bisognerà preparargli le stanze ... - Andremo in villa. L'aprile e il maggio li passeremo là. Ti dispiace? - Anzi! - Il barone si era sentito togliere un gran peso dal petto. La villa del Gelso Nero era deliziosamente situata in mezzo a quel giardino di aranci, malgrado che non fosse molto bella con quel casamento a due piani. Dietro la siepe di nespoli del Giappone, di pomi e di peri che circondava la spianata, gli agrumi affacciavano le loro cime luccicanti, di un verde bronzino. L'aria era tutta imbalsamata del profumo della loro zagara. Nei primi giorni la baronessa e il figliastro si eran trattati con un po' d'impaccio. Giorgio non sapeva adattarsi a chiamare mamma una matrigna cosí giovane; a lei non riusciva di chiamarlo semplicemente Giorgio, e gli dava del "baronello". Facevano lunghe passeggiate, a piedi o a cavallo, insieme al barone. Qualche volta andavano anche soli, quando il barone s'intratteneva a dare un'occhiata ai lavori dei calabresi che sterravano la vasca. Cosí in meno di due settimane l'impaccio fra matrigna e figliastro era stato vinto. Già si davano del tu, e il barone n'era lietissimo. Giorgio, gracile, bianco, pareva un fanciullo addirittura, con quei capelli d'un biondo cinericcio e quella straordinaria dolcezza dello sguardo. Però la sua voce, armoniosa, femminile, turbava la baronessa. Sentendolo parlare lei lo guardava fisso. Tanta gentile freschezza le ridestava, tumultuosamente, le sue prime sensazioni di ragazza. Fremiti deliziosi le correvano per tutta la persona; il cuore le si gonfiava. Quando passavano la mattina nell'uliveto, sul prato smaltato di fiori e dorato dal sole, o in giardino - lui sdraiato bocconi fra l'erbe, all'ombra di un magnifico albero di arancio; lei seduta al suo fianco sul cuscino che Giorgio portava apposta - intanto che questi leggeva ad alta voce, con una monotonia d'inflessioni efficacissima, la Cecilia stava ad ascoltarlo lavorando all'uncinetto. Di tanto in tanto quei suoi begli occhi neri lampeggiavano fra l'ombra dei rami; poi restavano assorti in un punto lon tano. - Sai che in collegio t'odiavo? - le disse Giorgio una volta sbucciando un'arancia. - Davvero? E perché? - Mi ero figurato che fossi brutta. Invece ... - Sono meno brutta che non ti immaginavi? - Sei bella! - Glielo aveva detto sinceramente, con un'ammirazione di fanciullo, continuando a sbucciare. La baronessa s'era alzata, e preso il libro messo a cavalcioni di un ramo, lo sfogliava inoltrandosi lentamente pel viale. Giorgio andò a raggiungerla per offrirle l'arancia. - No, grazie. - Metà almeno! ... - No, non ne aveva voglia. - Almeno uno spicchio! - No -. E sorrideva, guardandolo negli occhi, stranamente intenerita. Giorgio le si era piantato dinanzi, porgendole lo spicchio presso la bocca, insistendo - Metà -. Cedeva, per compiacerlo. Giorgio mangiava l'altra metà: - Come era dolce! - E assaporava. - Via, lasciami leggere - disse la baronessa impallidita. Ma quel ragazzo non s'avvedeva di nulla. Trovata in casa non un'intrusa ma una sorella, anzi qualche cosa di piú, un'amica, si sentiva felice. - Beata giovinezza! - esclamava Cecilia nel suo interno. Però non si mostrava sempre del medesimo umore con lui. Certe volte mutava da un momento all'altro, dalla dolcezza a un tono brusco. - Ha i nervi - diceva Giorgio a suo padre. - Ti senti forse male? - le domandava il barone. - No; perché dovea sentirsi male? - Giorgio mi ha detto: "Cecilia ha i nervi" -. La baronessa abbassava la testa e aggrottava le sopracciglia. Il barone interpretava quell'atto a modo suo: ci vedeva lo stesso dolore che tormentava lui, il desiderio smanioso di quel frutto della loro unione che tardava tanto a venire! - La presenza di Giorgio doveva essere una continua irritazione di quel sentimento, un'offesa, involontaria, alle legittime esigenze di quel cuore! Lo capiva, pur troppo! Ma chi ne avea colpa? ... Ora che suo figlio s'era rimesso in salute, poteva ritornare in collegio. Intanto, c'era ancora da sperare! - Ma quando partecipò la sua risoluzione alla baronessa, questa si oppose: - Quel ragazzo era ancora sofferente. Perché tanta fretta di mandarlo via? Voleva far sospettare che lei, la matrigna, cercasse di tenerlo lontano? Le vacanze erano prossime. In ottobre Giorgio sarebbe stato rimesso del tutto ... - E lui che credeva di farle piacere! Com'era lieto di scoprire che si era ingannato! In città la vita della Cecilia e di Giorgio scorreva piú monotona. La lettura, il pianoforte potevano svagarli per qualche ora. Le giornate parevano eterne! La sera, durante la solita passeggiata pel viale alberato, fuori il dazio, mentre il barone giocava a' tarocchi nel casino di convegno, Giorgio diceva delle barzellette, osava delle confidenze come ad un camerata. Una sera le raccontava la storia di un suo amoruccio a dieci anni, una vera fanciullaggine. - E poi? - Poi? ... Nulla - aveva risposto Giorgio. Lei gli si era aggravata sul braccio camminando a passi lenti, muta, cogli occhi fissi nel cielo stellato. Poi aveva lasciato il braccio per ficcare le mani nelle maniche della mantiglia con un gesto di freddolosa, e avea avuto il capriccio di andar quasi di corsa; poi si era fermata a un tratto: - Voleva tornare a casa. La serata era troppo fresca ... Sentiva dei brividi ... - Faceva caldo invece! ... - E in casa si era svestita in fretta ed era andata a sedersi sul terrazzino, colla testa appoggiata al ferro della ringhiera, cogli occhi socchiusi, dondolando la seggiola. - Ninna, ooh! Ninna ooh! - cantava Giorgio, ridendo, agevolando colla mano quel dondolamento. - Ninna, ooh! - Al lume di luna che cadeva a sbieco dalla cornice della casa, i capelli di lei e la mano appoggiata sulla sbarra della ringhiera risaltavano luminosi; il resto della figura si velava nell'ombra: e in quell'ombra il bianco dei suoi denti brillava fra le labbra semiaperte a un sorriso. - Ninna, ooh! - Giorgio, stai fermo! stai fermo! - E tentava fiaccamente di trattenergli la mano. Ma Giorgio non smetteva, da ragazzo imbizzito. All'ultimo, improvvisamente, le soffiava sul viso e scappava. Cecilia s'era rizzata d'un colpo, come se quel soffio l'avesse frustata. Si mordeva le labbra, si passava le mani sui capelli, col petto che le si sollevava. Giorgio, battendo le mani, rideva in fondo alla stanza, nel buio. Il barone era andato a Palermo; ed essi avevan seguitato a fare il chiasso per gli appartamenti, rincorrendosi, nascondendosi dietro agli usci, proprio come due ragazzi, appena si sentivano stanchi di leggere o seccati di suonare. Due volte erano anche andati al Gelso Nero in carrozza, per poche ore, il tempo di fare una giratina pel giardino degli agrumi e di perdersi sotto gli archi a sesto acuto dell'uliveto o sotto il pergolato che attraversava la vigna. Tornando, sul tardi, la Cecilia si rannicchiava in fondo alla carrozza, muta, guardando fissamente Giorgio con certi sguardi divoratori, quando lui non poteva vederla: e di tratto in tratto aveva certe scossettine nervose che le facevano strizzar gli occhi e scuoter la testa. Giorgio, rincantucciato nel lato opposto, non pensava a nulla; e se si voltava verso la matrigna e incontrava la punta acuta degli sguardi di lei, sorrideva a fior di labbra con puerile compiacenza, senza sottintesi. Allora sorrideva anche lei, tristamente, e stendeva la mano ad accarezzargli la bionda capigliatura che gli si arruffava sulla fronte d'avorio, con una carezza da mamma; e il suo polso batteva piú celere e la sua mano, piccola e bianca, tremava. In uno di questi ritorni Giorgio, destandosi dalla sua indolenza, le avea detto: - Domenica avrò diciassette anni; divento quasi un uomo -. La Cecilia lo aveva guardato come se queste parole significassero chi sa che cosa: - Diciassette anni! E la settimana dopo erano andati di nuovo al Gelso Nero, questa volta a cavallo. Era una giornata d'estate, col cielo leggermente nuvoloso, piena di tepori. Ma verso sera, quando essi già si apparecchiavano a ritornare, aveva cominciato a venir giú un'acquerugiola fina fina che sembrava un gran velo di tulle steso contro il sole al tramonto. - Pioggia d'estate! - disse Giorgio osservando il tempo dalla finestra. La baronessa guardava il cielo e la campagna, muta, colla fronte corrugata, colle labbra strette, gustando quel sordo e carezzevole rumore della pioggia sul fogliame che luccicava, agitato lievemente dal vento. Lontano, lontano, brontolavano i tuoni: il temporale s'avvicinava, preceduto da lampi. I cavalli, insellati, nitrivano e scalpitavano sotto la tettoia della stalla. Ma la pioggia avea continuato a venir giú piú fitta. Il sole era già sparito dietro montagne di nuvoli nerastri. - O dove vuole andare, voscenza? - disse massaro Turi. - Pioverà certamente tutta la nottata -. La baronessa aveva guardato Giorgio e si erano messi a ridere: - Che bella sorpresa! - Anche la massaia era comparsa sull'uscio della stanza col suo grembialone bianco di traliccio: - Doveva accendere i lumi? Preparare i letti? Cuocere un po' di verdura, un filu d'amareddi, per la cena? C'era delle uova fresche; il pecoraio, piú tardi, avrebbe portato la ricotta ... - Oh, bene! Oh, bravo! Giorgio ruzzava come un bimbo, intanto che la baronessa, addossata alla finestra, mordevasi lievemente la punta dell'indice, cogli sguardi sprofondati nella oscurità a traverso la nera campagna. I canali scrosciavano sull'acciottolato davanti la casa. Le fiammate dei contadini vi gettavano larghe striscie di luce rossiccia dagli usci aperti del pianterreno, e su quelle passavano di tratto in tratto strane ombre allungate. La voce di Giorgio, sceso un momento giú dagli uomini, scoppiava argentina fra le risate, a riprese. Un cane abbaiava. Poi Giorgio era tornato su ridendo: - Che grullo quel boaro! Lo canzonavano tutti. Aveva paura delle Nonne che gli spastoiavano le vacche per farlo arrabbiare! Una notte gli avevano anche impiastricciato quattro ciocche della sua zazzera; se lui le avesse tagliate, sarebbe morto sul corpo. Che grullo! - E la biancheria da letto? Ah! Gli toccava a dormire sulle materasse belli e vestiti! - Allora s'eran messi a rovistare pei cassettoni. Finalmente, in fondo a un armadio, avean trovato due paia di lenzuola rimaste in campagna per caso. E rifacevano i letti, chiassosamente. Giorgio strappava il lenzuolo rimboccato; la Cecilia fingeva d'arrabbiarsi: - Com'era strambo! - E tornavano a rimboccare, ridendo, irrefrenabilmente, abbandonandosi a traverso il letto, l'una di qua, l'altro di là, tenendosi i fianchi, non ne potendo piú. E cosí daccapo nell'altra camera attorno il letto di lui. La cena era parsa deliziosissima. - Ghiotti quegli amareddi! - Squisito quel pane dei contadini! - Seduti di faccia, coi gomiti sulla tavola e il viso fra le mani, colle ginocchia che si toccavano, perduti in mille discorsi inconcludenti, indugiavano ad andare a letto. Giorgio un po' sonnacchioso, lei cogli occhi foschi, luccicanti, colle labbra umide e piú accese del solito. Parlavano a voce bassa, ad intervalli. Giorgio si alzò il primo, snodandosi la cravatta, sbottonando la camicia che scoprí il suo collo tornito, piú bianco della spuma, un collo di vergine. Cecilia lo accompagnò fino all'uscio della camera e rimase sí, addossata allo spigolo, mentre lui appostava sbadatamente una sedia a piè del letto. - Buona notte! - Buona notte! - La pioggia veniva giú forte ma uguale, con uno scroscio sordo sordo. Tutta la villa dormiva. La baronessa cominciò a spogliarsi, lasciando cadere i capelli snodati sulle spalle ignude. Si passava sulla fronte le mani fredde, madide come quelle d'una ammalata. Tutt'a un tratto, cosí come trovavasi, barcollante come una persona ebbra, aveva fatto uno, due passi verso l'uscio ... e l'avea aperto, risoluta. Era stata lei! Al povero ragazzo non era mai passato pel capo che ciò potesse accadere. Ah, tutto gli avea preparati! E avean continuato, insaziabili, come due esseri senza coscienza, come due bruti belli e giovani che tracannavano la coppa della vita, per esaurirla. Nulla era venuto a turbarli: né cura del presente, né pensiero dell'avvenire. Una figura, fantasma, non s'era mai rizzato in mezzo a loro! Ogni sentimento era stato soffocato da quel delirio di sensi scoppiato pari a un fulmine in mezzo alla loro serenità gioconda. Lei lo avea fatto tremare sotto la violenza del suo fascino; lui l'avea scossa tutta colla sua carne di fanciullo piú bianca della spuma, fresca, vellutata, colla soavità del suo sorriso, coll'azzurro profondo del suo sguardo; complici: la libera solitudine, la cieca confidenza di chi non poteva neppur sospettare e il ciel o e la terra e ogni cosa, in quell'autunno siciliano che ha tutte le seduzioni della primavera con qualche cosa di piú intimo e di piú seducente! Il pretore, il brigadiere dei carabinieri e due amici erano stati introdotti dal barone in punta di piedi, allo scuro. Il barone avea acceso un fiammifero; la sua mano, che lo teneva in alto per rischiarare il gran letto nuziale a traverso le cortine, tremava convulsa. - Per carità, signor barone! Siamo ancora a tempo, sia generoso! - Il pretore lo scongiurava, stringendogli fortemente le braccia. - È molto se invoco soltanto la legge! - avea risposto il barone. Da quella mattina in poi le imposte del palazzo Russo-Scaro non sono state piú aperte, chiuse per un lutto eterno. La villa del Gelso Nero è rimasta anch'essa deserta. Quando lo zio del barone, il vecchio abbate di San Benedetto, passa per caso davanti quel palazzo che gli rammenta la catastrofe dell'ultimo rampollo della sua famiglia, abbassa la testa, accasciato: - Se vedete una grande rovina - suol ripetere colla sua profonda amarezza di cenobita - dite pure, senza timore d'ingannarvi, che una donna è passata per lí! Milano, 15@ 15 febbraio 1879@. 1879.

Cristina accettava quell'adorazione come cosa naturale e dovuta; e solo in alcuni rari istanti provava un senso di dispetto contro quell'uomo che le pareva non facesse mai abbastanza per lei. Allora, sdraiata sul canapè o su la poltrona, con l'aria incerta di chi guardi attraverso una nebbia, sognava a occhi aperti una piú completa felicità con un'altra persona piú degna, ma che non prendeva nella fantasticheria neppure la determinata apparenza d'uomo; e se Enrico, in quel punto, le si faceva accosto e le rompeva la delizia di quel sogno a occhi aperti, ella gli si rivoltava brusca: - Lasciami stare! - - Finalmente tutto è al posto! - Cristina trasse un sospirone: - Ah! Ed ebbe un capriccio che mise Enrico di buon umore: - Dobbiamo andarvi a sera avanzata, per svegliarci là la mattina dopo, come da un sogno diventato realtà. - Oh, brava! ... Cara! - Erano entrati difilato nella camera da letto, per non perdere l'illusione di destarsi dal loro bel sogno diventato realtà. La lampada di bronzo, come al Rosmarino, diffondeva su ogni cosa la penombra della sua tenera luce azzurrognola. Enrico gongolava. Cristina intanto si cavava lentamente le buccole con le belle manine piene di anelli, e levava via, ad una ad una, le forcine dai capelli, lasciando cascare prima le lunghe trecce nere dei lati, poi quelle della crocchia, gran mazzo fitto serpeggiante sulle spalle, che ella scosse rovesciando indietro superbamente la testa. Al sottile profumo che si diffuse nell'aria, Enrico prese sua moglie in braccio, come una bimba mezza addormentata che la mamma porti a letto; e Cristina, sguizzando con un grido fra le coperte, vi si raggomitolava, da freddolosa, voltandogli le spalle. - Smetti, Enrico. Lasciami dormire; vo' levarmi per tempo -. Egli stette cosí fino al mattino, guardando fisso la palla azzurra della lampada pendente della volta, con l'orecchio intento al leggiero respiro di lei profondamente addormentata. Quasi fosse stata lí sola sola! Quasi egli non si fosse mezzo rovinato per lei, con la pazza prodigalità di quella casa, di quei mobili, e d'ogni altra cosa messale sotto i piedi, per sgabello, pur di averne il ricambio d'un po' di affetto, d'un qualsiasi segno di gradimento! ... E invece! ... Ah! Voleva rimproverarla, appe na svegliata, domani. Ma non osò dirle nulla quando, lasciatisi baciare gli occhi ancora sonnacchiosi, ella si maravigliò, lamentandosi: - Come? Il sole è già alto? ... Oh, Dio che accapacciatura! Forse l'umido della camera ... - Dormigliona ... Ma che! - Nell'aprire, l'uno dopo l'altro, gli scuri di tutte le imposte, egli sorrideva vedendole strizzare gli occhi all'avvampare improvviso del sole che, a traverso i cristalli, accendeva mille allegri riflessi su le pareti, per le volte, su pei mobili nuovi, lucidissimi. E Cristina girava attorno l'altera testa da lo sguardo ghiaccio sotto le sopracciglia un po' aggrottate: - Guarda. Queste stanze paiono vuote ... - Eppure tu hai veduto quanta roba! ... - Si perde nello spazio, non figura. E quel giallo del canapè e delle poltrone! Fa male agli occhi. Quel tavolino là, cosí scompagnato! E queste cornici! Come sono piccine, meschine! - Rimedieremo. A poco a poco. Capisci, abbiamo fatto anche troppo. - E si comincia assai bene con la testa che mi si spacca! - Era tornata a buttarsi sul letto, scontenta, disillusa, rovesciando il proprio cattivo umore addosso al marito, che già trovava giuste le osservazioni di lei: - Infatti, queste stanze paiono vuote. Il giallo della stoffa del canapè e delle poltrone, sí, è troppo arrabbiato! - Enrico ricevette con poca buona grazia la visita della solita faccia smunta e butterata che veniva giusto per fargli il mirallegro ed anche per rammentargli le benedette scadenze che erano già lí lí ... - Auf! Non mi lasciate rifiatare! - Ma, signor avvocato! ... Voi siete una persona intelligente ... E Merluzzo, come lo chiamavano, gettando attorno furbe occhiate di stima, mettendo un prezzo a ogni cosa, per abitudine e per tranquillarsi - non si sapeva mai! - diventava insinuante, dava buoni consigli. - Giudizio, signor avvocato! Economia, economia! Dico bene, signora? - Cristina, che attraversava in quel momento la stanza, non gli rispose, non si voltò nemmeno. - Quel visaccio di marcia mi fa schifo. Pagalo - ella disse al marito. - E che faccia un crocione al nostro uscio -. Enrico la guardò, sbalordito: - Dunque sua moglie non capiva, non aveva mai capito l'enormità del sacrifizio fatto per lei! ... Pagalo! ... Ed egli già provava il capogiro sull'orlo dell'abisso scavatosi con le proprie mani sotto i piedi. Pagalo! ... - Quasi domani colui e gli altri creditori non potessero venire a spogliarlo zitti zitti, e lasciarlo fra le nude mura di quella casa che aveva già inghiottito anche il prezzo dell'altra! Pagalo! ... Pagalo! ... Enrico non trovava piú pace, giorno e notte. La notte poi c'era qualcuno che gli teneva sbarrati gli occhi per non farlo dormire, intanto che Cristina gli russava leggermente al fianco, tutta ritirata in un canto, con le belle braccia seminude stese sul guanciale attorno il capo, in delizioso ab bandono. E quelle giornate come passavano rapide, divorandosi il terribile mese che portava in coda il veleno delle fatali scadenze! - Ah, se non avessi la fierezza di non volere intaccare neppure d'un soldo la dote di lei! ... Ma dovrò arrivarvi, per forza! ... Cosí almeno la casa diverrà sua proprietà; sarà il meno peggio -. Allorché gliene fece motto, Cristina si inalberò, dura, inflessibile - No vo' saperne: no, no! - Perché ti metti in collera? Dico per chiasso -. Gli era mancato il coraggio d'insistere innanzi a quel: "No, no!" cosí recisamente pronunziato; gli era mancato il coraggio di tentar di farle intendere che era pel meglio, per la pace di lei stessa. "No, no!" E se lo sentiva rintronare dentro il cervello, come tanti colpi di mazzuolo. "No, no!" E se lo sentiva picchiare sulla schiena, su tutta la persona, ogni giorno piú, dopo che anche sua madre gli aveva risposto: - Oh, io non voglio entrarci nei vostri pasticci! La roba di tuo padre te la sei presa tutta, fino all'ultimo soldo ... La mia, aspetta che io abbia chiusi gli occhi ... E, per ora, ne ho poca voglia -. E cosí pure lo zio canonico: - Donde vuoi che li cavi i quattrini, se il governo si succhia tutto e c'è il gastigo di Dio sopra le campagne? - Cristina non badava all'insolita taciturnità del marito, a quei profondi sospiri che gli scappavano involontariamente, di tanto in tanto. Si confondeva coi vasi di fiori dei terrazzini che dovevano far bella mostra per la festa di san Michele e per la fiera, quando la processione, con gli stendardi delle confraternite, con la statua del santo su la barella, seguita dalla banda impennacchiata, sarebbe passata lí sotto, all'andata e al ritorno. Avrebbe invitati gli amici, ora che non aveva piú bisogno di scom odarsi per andare a godere la vista della processione in casa altrui. E pensava a pararsi, a lisciarsi, per godersi il fresco a vespro sul terrazzino centrale di quella bella casa nuova che tutti guardavano con invidia, e che attirava l'occhio dei passeggieri appena scendevano dalla corriera davanti la posta, lí di faccia, mentr'ella fingeva di non accorgersene, con quell'aria altiera che strappava l'ammirazione. - È la mano di Dio! - rispondeva inesorabilmente donna Momma a chi le parlava degli imbarazzi del figliuolo. - Non ha ubbidito a sua madre, ha voluto fare di suo capo ... Ben gli stia! - Enrico, a quelle parole, scrollava la testa: - La mano di Dio! - E, pur di far piacere alla sua Cristina, si sarebbe rovinato da capo, a occhi chiusi. Quel maraviglioso corpo di donna insensibile lo teneva ammaliato fortemente; lo riduceva un bambino. Con lei dimenticava subito ogni preoccupazione di interessi, ogni danno: - Oh, quel bronzo finalmente si animerà fra le mie braccia! - La notte però, quando le sue palpebre non volevano chiudersi neppure un momento e Cristina gli dormiva accanto, egli chinava ansiosamente l'orecchio sul petto di lei, scostandone con cautela, adagino adagino, la camicia: - Sí, il cuore batte regolarmente qui sotto ... Ma dunque? ... Ma dunque? E, una notte, un soffio di pazzia gli era passato sul viso: - Se avesse spaccato quel seno caldo e palpitante, per accertarsi che lí sotto c'era un cuore come in tutti gli altri! ... Aveva dovuto levarsi da letto, perché le dita gli si contorcevano. Se fosse restato un altro momentino, avrebbe conficcato in quelle belle carni, rabbiosamente le unghie, simile a una bestia feroce. E si era contentato di baciarle a fior di labbra, e scappar di camera. E, dopo, gli pareva di avere fatto un orribile sogno, e non voleva neppure rammentarselo. - Già, non sto bene. Ho la febbre -. Il dottore, a capo chino, picchiando leggermente con la punta della mazzettina sul pavimento, aspettava che la signora gli facesse qualche domanda mentre l'ammalato, assopito dalla violenza della febbre, con la testa voltata di fianco, le occhiaie livide, la bocca semiaperta sotto i biondi baffi arruffati e rovesciati in giú, respirava forte, sibilando; quasi avesse avuto dentro il petto un viluppo di cose vive che non voleva uscir fuori e gli zufolava ora in alto, nella gola, ora in basso, nello stomaco te so e gonfiante le coperte. La signora non diceva nulla, impassibile, mezza annoiata, si vedeva, di quella malattia che già durava da una settimana e non accennava a diminuire. Poi l'ammalato diè uno scossone, riaperse gli occhi intorbidati e, con le labbra riarse, esclamò: - Cristina - In ogni momento, quegli sguardi stanchi e smorti la cercavano, le si inchiodavano addosso quando l'avevano trovata, la seguivano per la camera in tutti i movimenti, la invocavano supplicanti, rivolti all'uscio donde era uscita, si rianimavano un istante appena la vedevano ricomparire: - Cristina! - Siamo qua, caro avvocato - disse il dottore. E ricominciò le sue osservazioni, tastandogli il polso, saggiando il calore della pelle su le guance e su la fronte, premendogli lo stomaco teso e rimbombante come un tamburo; e scrollava il capo, pensoso, voltando di tratto in tratto gli occhi verso la signora che, seduta da piè del letto, si guardava le belle mani quasi non avesse altro da fare. - Dottore, guaritemi presto ... per lei! - Il dottore gli rispondeva di sí col benevolo sorriso delle persone abituate agli spettacoli tristi. E cosí eran passati altri due giorni, nell'opprimente silenzio di quella camera, rotto soltanto dal fil di voce del malato che chiamava continuamente: - Cristina! - La voleva vicino, per stringerle la mano, per richiederla di un bacio, atteggiando a un bacio le labbra scottanti ... - Sta' tranquillo - gli rispondeva sua moglie. - Bada piuttosto a guarire, per la festa -. Ella pensava alla festa che già rumoreggiava nella piazza, dove rizzavano i palchetti per le bande musicali e piantavano gli ultimi pali per la illuminazione e pei festoni; e su quella fronte altiera e su quelle labbra tumide e sanguigne lampeggiava la grande stizza per la malattia di suo marito, sopraggiunta cosí male a proposito, quasi a posta per contrariarla! Merluzzo stava attorno al dottore, attendendolo a ogni visita giú nel portone, su le spine per le notizie: - Il Signore deve accordare cent'anni di vita a questo galantuomo! Ma se la disgrazia però ... - Una mattina il dottore gli disse: - L'avvocato va male. La signora, non sospetta niente; corro da donna Momma, per sgravio di coscienza -. Quegli allora montò i gradini di marmo a quattro a quattro: - Chiamatemi la signora - disse alla serva. E vedendo che la signora tardava, si era introdotto, in punta di piedi, fino all'uscio della camera del malato. Cristina si rizzò, fulminandolo dall'alto in basso con terribile sguardo. Colui però le accennò con la mano, umilmente, aspettando nell'altra stanza, togliendosi di capo il cappellaccio unto appena la vide venire, sebbene venisse repugnante. Si faceva piccino, le si strisciava dinanzi come un verme, movendo la testa di qua e di là, con occhi obliqui e voce compunta: - In questo momento non bado ai miei interessi ... In caso di disgrazia, sono garantito. Ma non è giusto che il signor avvocato si sia messo allo sbaraglio, con la grande spesa di questa casa per amore di lei; e, all'ultimo, debba venir la suocera ad afferrarla per un braccino e a metterla fuori dell'uscio ... - Cristina tese gli orecchi, fissandolo inquieta: - Ma ... mio marito non sta male. - Per l'altra vita sí, signora mia! - Quel viso bruno impallidí, quelle labbra sanguigne si scolorarono, quasi donna Momma l'avesse già afferrata per un braccino, e stesse per metterla fuori dell'uscio - Che posso fare? - Subitamente dimessa, con una preghiera negli occhi, si era accostata all'uomo dalla faccia smunta e butterata che poco prima le faceva schifo. - Senta, signora mia ... - E lasciò che colui la prendesse per una mano e la trascinasse nell'altra stanza piú appartata dove potevasi ragionare a quattr'occhi. - In caso di disgrazia, meglio aver da fare con costei, che con quel diavolo di donna Momma - pensava Merluzzo. Donna Momma, capitata mentre il notaio e i testimoni scendevano le scale, montò su col sangue alla testa, le lagrime agli occhi: - Come? Mio figlio muore e non me ne fate sapere niente? - E alla vista della nuora che, soddisfatta del testamento, teneva tra le mani una mano del moribondo: - Non te la godrai, no, la sua roba! - si mise a gridare - Enrico, Enrico! Figliuolo mio! - Il disgraziato cercava, con gli occhi che non ci vedevano piú, la figura adorata di sua moglie; e moveva le labbra senza poter piú pronunziare quel nome che doveva essere il suo estremo sospiro. Mineo, giugno 1884@. 1884.

E per non lasciarselo sfuggire, per paura che il male non gli si fosse attaccato abbastanza, tornava a baciarlo, a ribaciarlo, su la bocca, su le gote, sul collo, sugli occhi, sui capelli; talvolta lo mordeva, con furore di belva ... - Ah! ... Ti ho fatto male? ... - E subito lo baciava dove lo aveva morso, per attutirgli il dolore. Intanto egli doveva asciugarsi il viso coi fazzoletti tutti impregnati del sudore di lei; intanto doveva bere nello stesso bicchiere, dal lato dov'ella avea accostato le labbra ... No; non volea lasciare la sua cara preda a quell'altra! Infatti Lorenzo che davvero si sentiva morire a poco a poco, ora le si avvicinava con indefinito terrore superstizioso, pensando - I miei presentimenti, ecco, si avverano! - L'attesa della catastrofe, inevitabile, lo teneva invasato. E il giorno ch'ella gli disse: - Mi sento meglio - Lorenzo le prestò fede, tanto aveva bisogno d'illudersi. - Mi sento bene, quasi guarita improvvisamente. È effetto di questa bella giornata? Di questo sole? - Ridiventata buona, gentile, affettuosa come nei primi giorni, scherzava anche intorno alla sua malattia: - Alla fine vinco io ...? Doveva essere cosí! Ho una gran forza dalla mia parte: l'amore! - Ne hai un'altra: la gioventú -. E ne risero insieme. Quel giorno Concettina volle rivedere il povero don Giacomo, e gli chiese perdono di essere stata cattiva con lui: - Quando si è malati non si ha coscienza di quel che si fa. Oggi che sto meglio, vede? - Don Giacomo però non fu ingannato dall'apparenza: - Ahimè! La lucerna dà gli ultimi guizzi. Bisogna chiamare il prete, se pur si fa a tempo! - A un tratto, ella si sentí mancare; il debole filo che la teneva attaccata alla vita stava già per spezzarsi. Si abbandonò su la poltrona, guardando Lorenzo con sguardi d'invidia feroce: - Egli restava? ... Non andava via con lei? - Gli accennò, col capo: - Senti: spingi la poltrona verso il terrazzino; apri la imposta; voglio vedere la città e la campagna, per l'ultima volta ... Affrettati ... Affrettati ... - Lorenzo ubbidí, macchinalmente. - Guarda quel campanile ... - Lorenzo guardava, sbalordito. - Ricordati che lo hai veduto l'ultima volta con me ... E quelle colline ... quegli alberi! ... Ricordati, ricordati ... che prima di morire li abbiamo guardati insieme ... e che io ti ho detto: "Guarda, guarda! ..." E quei pini di Santa Maria di Gesú ... lí a manca ... dove spesso siamo andati a passeggiare, ricordati! ... Ricordati! ... - Lorenzo, trasognato, rispondeva di sí con la voce e col capo. Quel campanile, quelle colline, quegli alberi, quei pini di Santa Maria di Gesú se li sentiva imprimere negli occhi quasi per una malía che lo invadeva ... Non avrebbe piú veduto altro che quelli! ... Sempre! ... Sempre! ... Sempre! ... E Concettina, attiratolo al petto con sforzo supremo, cercando le labbra di lui che la reggeva per la vita: - Muori con me! ... Muori con me! ... - balbettava. Roma, novembre 1882@. 1882.

che quel mio affetto cosí segreto, cosí fuori d'ogni speranza dovesse servirle di consolazione, di compenso pel vile tradimento dell'Emilia; e credevo che per cotesto santo fine non avrei mai pati to abbastanza! Era la prima volta, che il cuore mi si apriva alla vita ineffabile dell'amore! Né doveva amare piú mai! Tre mesi dopo ella lasciò Firenze e la Toscana quasi disperato della salute. Il mio dolore fu immenso! L'unico e debole filo di speranza di che osavo talvolta lusingare i miei sogni e i miei delirii, si spezzava ad un tratto. Già tra me e lei, credevo, c'era omai di mezzo l'infinito. Dio mio! E sarei morta senza essere riamata un istante; senza che l'amor mio fosse da lei conosciuto! Potei rassegnarmi anche a questo; e divenni, se era possibile, piú sua; giacché mi strinsi, giurando solennemente, ad un voto : non mi avrebbe avuto alcun altri! Ho mantenuto. Due anni appresso sposai, per crudele necessità di famiglia, un uomo il quale mi amava davvero, piú di quel che non meritassi e mi ama sempre. Sposa fedele, obbediente, servizievole, io non gli ho concesso che il mio corpo. Oh l'anima mia, no, non l'avrà mai! Son io colpevole? Non lo so; non voglio saperlo. Quando anche la fossi? Per me val lo stesso. Già ho tentato di amarlo, ma non ci son potuta riuscire. Tu, Eugenio, sei rimasto nella mia mente come una figura celestiale, bello di giovinezza immortale, s empre lo stesso, sempre l'Eugenio di quella sera fatale, col cuore immeritamente lacerato, coll'anima nobilmente dignitosa sotto un'onta vigliacca, e la tua immagine si scancellerà dal mio petto coll'ultimo respiro della mia vita! Quando mio marito mi annunziò che il suo officio d'ingegnere delle strade ferrate lo chiamava in Sicilia, fui, dalla contentezza, sul punto di ammattire. Mi pareva che la Sicilia fosse come una sola città e che ti avrei infallibilmente riveduto. Ahimè! Messina, Siracusa, Augusta, Catania dove saresti tu mai? Avrei voluto fin morire in Sicilia per rimanerti vicina! Giorni fa, oh! tu non puoi credere che festa fu la mia! E insieme che tormento! "Non mi ha riconosciuta!" dissi all'amica che avevo allato. Ma non voleva dir nulla! Ti avevo trovato! Finalmente! Ed ero decisa a cercarti. Oh non volevo andar via cosí lontano, in Oriente, senza dirti il mio segreto, senza sgravarmi il cuore da un peso affannoso! ... Come sono ora felice! Tu mi dimenticherai presto lo so; ma che m'importa? Mi hai amato un momento, almeno me l'hai detto, e voglio illudermi e credere. Non osavo sperar tanto. Ripetimelo! T'amo anch'io, Eugenio! T'amo! T'amo! Ed ora andiamo via - soggiunse tosto - e si levò da sedere - Delfina! Delfina! - esclamai trattenendola per la mano, né sapendo aggiunger altro - Lasciami! Andiamo! - diss'ella con un accento dolce e quasi di preghiera - Ma quando, ma dove potrò rivederti? - le chiesi allora atterrito - Rivedermi? - fece ella, diventando seria tutto ad un tratto - Rivedermi? Mai piú! Credi che io sia tanto forte da sfidare il pericolo? No, Eugenio. Sono stanca. Lasciami, andiamo per pietà! Non le ritenni piú la mano e il suo braccio cadde come un corpo inerte. La guardai in viso. Un pallore mortale aveva improvvisamente tinto le sue guance e scolorito fin le sue labbra - Tu soffri? - le chiesi piú atterrito di prima - T'amo! - rispose con voce spenta. E si avviò a capo chino Fatti pochi passi, si rivolse verso di me che le tenevo macchinalmente dietro. - Ti chiedo una grazia - disse, sforzandosi ad un sorriso: - mi giuri di accordarmela? - Te lo giuro! - risposi non sospettando nulla di quel che avrebbe richiesto. - Non seguirmi! - Oh! - Hai giurato! - riprese con autorevole dignità - Poi è inutile rivederci! Domani l'altro partirò con mio marito per Costantinopoli, ove la società delle ferrovie lo manda a dirigere e a sorvegliare i lavori. Perché metterci al repentaglio di mutarci in un rimorso questi tristi, ma grandi, ma solenni momenti di gioia? - Scendemmo pei viali, silenziosi come due condannati a morte; io traendo a stento i passi, senza vedere né pensare; Delfina lesta e quasi affrettata. Giungemmo al cancello. - T'amo! - ella mi disse sottovoce come addio, e mi strinse la mano. - T'amo! - risposi. E mi appoggiai ad uno dei candelabri che sono lí innanzi. Si allontanò per la via diritta andando in su, poi torse a destra. E quando vidi sparire dietro la cantonata l'ultimo lembo della sua veste, mi parve che metà della mia vita fuggisse via dietro a lei!

Se lo domandava spesso, tentando d'illudersi per non piú ricordarsene, per non piú crederci; per ottenere, almeno cosí, un momento di riposo in quello straziante travaglio del sangue, dei nervi, dell'intelligenza che tornavano a ribellarsi contro l'oltraggio, quasi continuasse tuttavia l'opera sua vituperosa; indignata di se stessa quando credeva che la volontà non reagisse abbastanza da scancellarle dalla memoria l'orribile impressione; irritata contro tutti perché non la soccorrevano, anche ignorando la c ausa dell'incessante tortura ... Non si accorgevano che soffriva? In certe giornate, allorché il cielo era coperto, o la pioggia scrosciava sui vetri del salottino dove ella tentava di distrarsi ora leggendo, ora applicandosi a un lavorino manuale, sentiva, ahimè!, invadersi a poco a poco da una specie di fascino che la forzava a ricordare, a rappresentarsi fino i minuti particolari dell'atrocissima scena. I grandi occhi neri le si dilatavano enormemente sul volto pallido e affilato; le mani scarne e bianchissime brancicavano i bracciuoli della poltrona dov'ella si disten deva con l'abbandono di persona morta; e mentre le labbra aride articolavano di tanto in tanto parole inintelligibili e sconnesse, quell'altra stanza che prima serviva da salottino, i mobili, i quadri, gli oggetti d'arte sparsi allora qua e là su le pareti e negli angoli, il tavolino tondo, il lume dalla ventola giapponese, le si rizzavano rapidamente attorno con la solidità del vero; quasi fossero ancora là, e non li avesse ella dispersi due giorni dopo, perché sparisse anche ogni inanimato testimone dell' incredibile onta ... Ma ... e la sua debolezza non ci aveva concorso per nulla? Ma ... e non c'era stato dalla parte di lei un cieco assentimento di sensi? ... Oh, no! Oh, no! ... Ella non sospettava; non diffidava ... Il fratello di suo marito! ... Sarebbe stato un delitto. Colui parlava quasi sottovoce, stranamente commosso, seduto di rimpetto; ed ella agitava il largo ventaglio nero, senza guardarlo in viso, sorridendo di quel ch'egli diceva e del modo con cui lo diceva, distratta, nell'intimità dell'ora tarda o da una canzone che saliva inattesamente dalla via e si allontanava affievolendosi, o dal rumore di una carrozza che passava di corsa; il silenzio, poco dopo, rendeva piú dolce e piú intimo il conversare, lasciando un po' di libertà all'immaginazione e non obbligando a rispondere. Durava da parecchie settimane. Nella lontananza del marito, egli era venuto piú di frequente, anche per affari ... Come sospettare? ... Come diffidare? ... Mai una parola, mai un'occhiata, mai un gesto che potesse metterla in guardia! Si era levato da sedere continuando a parlare, facendo qualche passo su e giú davanti a lei, con certi sguardi che le avevano dato un senso di meraviglia e le erano parsi un po' buffi in quel momento ... E a un tratto ... Ella si dibatteva, come se quelle labbra le ricercassero di nuovo il viso, il collo, le mani che si difendevano: - No! No! No! - Ed era soggiaciuta per l'annientamento d'ogni forza, vinta da un immenso stupore, quasi fosse stata non già vittima, ma testimone di quel delitto! ... E si era rizzata, ravviandosi istintivamente i voluminosi capelli disordinatisi nella breve lotta, cercando con lo sguardo lui che era scappato via come un ladro, lui che ella avrebbe voluto chiamare in soccorso, tanto quell'infamia le pareva incredibile! Cosí rizzavasi ora, ogni volta che l'allucinazione la vinceva; e cosí riportava istintivamente le mani al capo per ravviarsi i capelli alla rinascente sensazione del disordine di allora. E rivedevasi ritta in mezzo al salottino, come si era vista in quel mo mento nello specchio di faccia, senza riconoscersi, atterrita di quel fantasma pallido e sconvolto che non si moveva, là, non parlava, e pareva non respirasse neppure ... E compreso l'orrore ch'era stato consumato - e non si poteva piú cancellare - aveva nascosto le improvvise vampe del volto tra le mani diacce e convulse. - Lui! ... Lui! ... Il fratello di mio marito! - Barcollava, come allora ch'era andata tentoni per le stanze buie fino alla camera da letto; e, come allora, i singhiozzi e il pianto tornavano a farle nodo alla gola: - Lui! ... Lui! ... Il fratello di mio marito! La mattina, quando s'era trovata ancora piangente, accoccolata come una mendicante sul pavimento, con la testa appoggiata alla sponda del letto, le mani avviticchiate attorno ai ginocchi; al barlume dell'alba, penetrato nella camera dai cristalli rimasti aperti, la prima sensazione che le aveva dato la coscienza di se stessa era stata un invincibile ribrezzo dei vestiti che trovavasi in dosso; poi, una pazza paura che non le si fossero appiccicati alle carni per perpetuare la sua onta. Rapidamente s'era spo gliata, strappando i bottoni, i ganci, ogni cosa che faceva intoppo; e rivestitasi in fretta, aveva spinto coi piedi fuori della stanza quel mucchio di roba e di biancheria, quasi fosse stato un sudiciume da potere appestar l'aria. Era rimasta tutta la giornata chiusa in camera, scusandosi con un'emicrania, senza voler vedere nessuno, neppure la sua bambina venuta a picchiar all'uscio colle manine, chiamando: - Mamma! Mamma! - Ed era rimasta lí, buttata sul letto, col volto affondato nei guanciali, al buio, smaniante di urlare forte, forte, forte, perché il marito lontano la sentisse, turandosi nello stesso tempo con le mani la bocca, per impedire che qualche grido non le sfuggisse mentre si sentiva soffocare. E quando suo marito sarebbe tornato? Oh, non ci voleva pensare! Sarebbe morta, prima. Non si sentiva già morire? Ed era bene. Al terrore di quel prossimo arrivo, all'idea di sentir sovrapporre ai baci maledetti i dolci e affettuosi baci di lui, brividi acuti le correvano per le ossa. Dio! ... Non si sarebbe accorto subito? Intanto ella, no, non poteva accusare, non doveva ... Quell'infamia era cosí enorme, che nessuno l'avrebbe creduta, - Un fratello! - e meno di tutti suo marito ... In certi momenti riusciva forse a prestarsi fede ella stessa? Non le pareva d'essere sotto l'incubo d'un cattivo sogno, mostruoso prodotto dell'immaginazione malata? ... Ed era una realtà! Sentendo che egli aspettava in salotto - aveva avuto la temerità di tornare e chiedere di parlarle! - tremante e convulsa era sbalzata dal letto, senza sapere quel che intendesse fare; e si era strascinata fin là, arrestandosi in mezzo all'uscio per appoggiarsi e non cadere. Egli le si era buttato ai piedi, soffocato dai singhiozzi: - Perdonami, Teresa, perdonami! ... Parto ... Non ci vedremo piú ... Ero pazzo! ... Ho orrore di me ... Perdonami ... Ti ho amata ... Da due anni ... Mi ero allontanato di casa tua per questo ... Perdonami! - Andate via ... Neppure Iddio può perdonarvi! ... Andate via! - Rantoli piú che parole, fremiti di odio, che ne rendevano irriconoscibile la voce. - Teresa! ... Risparmiamogli un inutile dolore ... - Non aveva soggiunto altro, implorando. Ed ella, nel vederlo andar via col passo malfermo d'un uomo a cui traballasse il terreno sotto i piedi, gli avea ripetuto: - Andate, andate! ... - Maledizione, sputo di disprezzo, dove si riversava tutta l'ambascia del suo povero cuore avvelenato per sempre! E al ritorno del marito? Voleva essere forte, per non tradirsi con la menoma esitanza o col piú lieve movimento delle labbra e degli occhi ... Perciò parlava spesso del ritorno del babbo alla bambina, tenendola sulle ginocchia, accarezzandola; quasi l'innocente creatura, incapace di mentire, dovesse poi, occorrendo, testimoniare in favore della mamma! ... Ma stringendo al petto la figliuolina che le fissava in viso, un po' meravigliata, i begli occhi azzurri, e pareva tentasse di penetrarne, a quelle eccessive carezze, le nas coste intenzioni; come piú l'ora dell'annunziato ritorno si avvicinava, come piú il momento della terribile prova diventava imminente, ella si sentiva di giorno in giorno assai meno rassicurata, assai meno forte. E allorché il marito le scrisse che sarebbe stato trattenuto ancora una settimana dagli affari, respirò alleviata; senza curarsi che il ritardo prolungasse la tortura dell'incertezza, illudendosi di doversi sentire tanto piú coraggiosa e piú forte, quanto meglio si fosse preparata e assuefatta al t erribile colpo di quell'incontro. Si occupava soltanto di lui. Nel salottino, rinnovato da cima a fondo e che gli avrebbe procurato una sorpresa, le pareva di amarlo con maggior tenerezza, quasi con ineffabile pietà materna; giacché ora le accadeva di chiamar piú facilmente: "Figliuolo mio!" colui che, datole cuore, nome, agiatezza, e rimasto modello di marito innamorato della moglie, sapeva mettere nell'intima affezione coniugale tutte le delicatezze dell'affetto fraterno e l'alta devozione della vera amicizia. Si occupava soltanto di lui; voleva occuparsi unicamente di lui, anche per scacciar via l'immagine di quell'altro, del colpevole, che talvolta la faceva sobbalzare, pallida d'indignazione, come nel punto ch'egli le aveva balbettato ai piedi: "Perdonami, Teresa! Ti amavo, da due anni!" Da due anni? ... Ah! ... Intendeva forse che ella doveva essersene già accorta? ... E per ciò aveva supposto ...? Le lagrime, che allora le sgorgavano dagli occhi, le bruciavano il viso: - Miserabile! ... Miserabile! - E almeno aveva ancora la forza di sdegnarsi! E almeno poteva ancora buttargli in faccia, quasi fosse stato presente, quel feroce: "Miserabile!" che le scoppiava simile a un fulmine dalle labbra contratte. Ma tosto che le parve di sentir dentro di sé un accenno, un preavviso di cui le sue stesse viscere inconsapevolmente provavano nausea; ma quella mattina, seguita a una mortale nottata d'insonnia, in cui l'accenno, il sospetto era divenuto certezza per lei, si era d'un colpo sentita annientare, quasi le sue membra avessero voluto sciogliersi, disgregarsi, disperdersi, per uccidere l'empio germe vitale da cui sarebbe accusata al marito, alla figlia, a tutti, spietatamente, inesorabilmente ... Oh, Signore! ... Era mai possibile? Quella mattina ella respinse in modo brusco anche la bambina che voleva saltarle al collo per darle il buon giorno. Sbalordita, atterrita, neppur capiva il significato delle parole che andava pronunziando interrottamente, ad alta voce, come una pazza, torcendosi le mani, appoggiata al letto colle gambe irrigidite, puntando i piedi sul tappeto. Era mai possibile? ... Oh, Signore! Poi, si era sentita inattesamente tranquilla, con disperato abbandono alla fatalità dei casi umani e un lontano, quasi fanciullesco, luccicore di speranza ... - Dio, con un miracolo, Dio solo potrà salvarmi! - Al rumore dei propri passi nell'oscurità silenziosa e vuota della chiesa, le era parso che qualcuno l'avesse inseguita fin dov'era corsa a chiedere consigli e conforti al vecchio confessore. Da due giorni la ragione le vacillava. Uno spaventevole suggerimento le brontolava insistentemente nell'orecchio; e non gli aveva dato ascolto per paura, per viltà, quantunque la morte le sembrasse liberazione e anche espiazione. Ma non sapeva, non poteva ... Ora sarebbero stati due delitti in uno ... No! No! In un angolo, perduta nell'ombra, una donna in ginocchio e colla testa appoggiata alla balaustrata di marmo che chiudeva la cappella, pareva singhiozzasse pregando. A lei però non riusciva né di pregare, né di piangere; le lagrime le si erano disseccate dentro gli occhi. Ebete, simile a un accusato che paventi l'apparire del giudice da cui dovrà essere condannato, attendeva seduta che il vecchio confessore, già fatto avvisare, giungesse; e intanto si distraeva, guardando fisso quella figura di donna curva s ul marmo della balaustrata, provandone una viva compassione. Quando colei, levatasi in piedi e pregato un istante col volto verso l'immagine dell'altare, - Madonna o santo, non si distingueva bene - era sparita via silenziosamente, simile a un fantasma doloroso, ella era rimasta sola, sopraffatta dal terrore di quella oscurità, di quel silenzio, di quelle statue biancheggianti nell'ombra, di quelle lampade agonizzanti nel misterioso fondo dell'abside ... Ma n'era uscita consolata, alleggerita dal peso en orme che le schiacciava il petto, rassegnata a tutte le conseguenze del volere di Dio. Una voce piena di dolcezza e di pietà le aveva detto: - No, tu non sarai rea, tacendo. Poiché la tua coscienza non può rimproverarsi niente, poiché hai trovato niente in fondo al tuo cuore da doverne chiedere perdono a quel Dio che legge i piú nascosti abissi dell'uomo; va, tu sei ancora pura e innocente anche al cospetto di tuo marito; e faresti molto male, e ne saresti responsabile innanzi agli uomini e innanzi a Dio, se ti lasciassi fuggir di bocca quel che ormai dovrà rimanere un triste segreto fra Dio e te! - Che gentile carezza al viso l'aria fresca della via! Il cielo pallido ancora degli ultimi riflessi del crepuscolo, e lucente alto, fra i tetti nereggianti, con limpidezza profonda, come corrispondeva alla mite luce che le sorrideva nell'animo dal vero cielo della parola divina! E come sentivasi dolcemente stanca, in quella deliziosa convalescenza dello spirito, che la rendeva immemore e meravigliata di poter passare lieta anche lei, tra la gente lieta dei marciapiedi! E che fretta di trovarsi in casa per ab bracciare la bambina! Da due giorni, povera creatura, doveva essere afflitta di vedersi cosí poco baciata e abbracciata! Camminava svelta e leggiera. Tutto era finito; non ci era piú da temere. Il miracolo che doveva salvarla era dunque avvenuto? Nell'avvicinarsi a casa, però, ecco qualcosa che le saliva, le saliva lentamente dal profondo del cuore; ed ecco di nuovo quel cieco terrore di cui le pareva d'essersi sbarazzata lassú, nella penombra e nel silenzio della chiesa, dietro la grata del confessionario. Sí, avrebbe taciuto ... Sí, avrebbe mentito ... Ma se suo marito tardava ancora? Accelerando sempre piú il passo di mano in mano che quel terrore riprendeva intero possesso di lei, era arrivata a piè della scala, ansante, con le ginocchia fiacche, peggio che se avesse fatto una gran corsa; e dovette reggersi al ferro della ringhiera per montar gli scalini, e poi fermarsi un momento dietro l'uscio per riaversi e ricomporsi prima di suonare il campanello. La bambina le era venuta incontro saltellante, agitando il telegramma del babbo. Teresa lo aveva mezzo strappato per aprirlo; e lettolo, si era lasciata cascare sulla seggiola, trattenendo a stento le lagrime, coprendo di baci la testina bionda che le domandava: - È del babbo? Verrà domani? - Sí, sí, domani! ... - La gioia della bambina le dilaniava il cuore. - Domani! Forte della sua innocenza, durante l'interminabile nottata ella si era ripetuta una dietro l'altra, per fissarle meglio nel cuore, tutte le confortanti parole del vecchio sacerdote; e aveva invocato dal cielo il coraggio di risparmiare al marito l'immeritato strazio di quell'onta. Neppure la sua bambina doveva un giorno arrossire, quantunque a torto, della povera mamma! Dio certamente avrebbe impedito che quest'altra creatura, per la quale ella non avrebbe potuto mai avere viscere di madre - lo sentiva, mai ! mai! - venisse viva alla luce. Le ore scorrevano con tormentosa lentezza sul quadrante dell'orologio che ella osservava a intervalli; le pareva intanto che le sue preghiere, nella vasta calma della notte, dovevano piú facilmente arrivare lassú. E già si sentiva ascoltata, già si sentiva consolata di nuovo. - Perché doveva repugnarle mentire? Non era per buon fine? Come facevano dunque quelle altre che mentivano a fronte alta, a cuor leggiero, tradendo? Infine ... se non le fosse riuscito, se quegli per caso si fosse accorto ... Ebbene, che poteva farci? Avrebbe parlato, avrebbe confessato ... sí, sí! Era forse meglio ... Soltanto le otto e mezzo? Altre otto ore di agonia! - Si voltava e si rivoltava nel letto, tastandosi spesso la fronte che le bruciava, tentando invano di distrarsi, di non pensare; e brancicava furiosamente le lenzuola quando l'immagine di quell'altro, scacciata via o tenuta lontana un pezzo, tornava ad assalirla come un invasamento, parlando dal profondo delle viscere di lei; irridendola quasi col mandarle a traverso lo spazio, dall'oceano che egli forse in quel momento traversava, le infami parole: "Ti amavo! Da due anni!" Non avrebbe taciuto mai? Era rimasta a letto fino a tardi, incapace di fare lo sforzo di levarsi, quasi, restando immobile, potesse anche ritardare la corsa del treno con cui suo marito tornava; poi s'era alzata tutt'a a un tratto, irrigidendosi contro ogni impressione capace di infiacchirle l'animo, improvvisamente risoluta di affrontare faccia a faccia il pericolo. Con la cipria rosea e colorandosi lievemente le labbra sbiadite, aveva scancellato dal volto qualunque traccia di pallore; e provava, come una attrice la parte da reci tare, quel che avrebbe dovuto fare e quel che avrebbe dovuto dire all'arrivo di lui ... Sarebbe stato un attimo, ma le tardava che già non fosse passato! Perciò andò incontro al marito franca, sorridente, - col cuore, sí, un po' agitato, mordendosi le labbra - e gli stese le mani sicura; e non tremò tra le braccia di lui, e resistette all'impressione di quei caldi baci con l'alterezza della innocenza. Era commossa nel vederselo dinanzi gentile, buono, affettuoso, qual era partito; e si stupiva che il fingere e il mentire non costassero insomma maggiore sforzo. Soltanto quando il marito, alla vista della trasposizione e dei mutamenti da lei fatti nel salottin o, le domandò perché non glien'avesse scritto mai niente, ella, con qualche imbarazzo e alzando le spalle, rispose: - Capriccio. Non sdegnartene, Giulio -. In verità n'era malcontento. Non gli pareva di ritrovarsi in casa propria; quasi avesse fatto uno sgombero egli che odiava gli sgomberi. Viveva da sette anni in quella casa. La sua felicità era nata e cresciuta là, in quelle stanze ariose, fra quei mobili che avevano veduto e sentito, quasi persone vive e di famiglia, tutto quel che piú intimamente lo interessava e gli era caro, sin dal primo giorno dopo il viaggio di nozze. - Volevo farti una sorpresa - ella aggiunse, esitante ... Giulio sorrise. Infine, mobili e oggetti d'arte avevano solamente mutato di posto, dalle altre stanze nel nuovo salottino; e la loro disposizione era cosí gentile e intonata che poco dopo egli non provava piú il cattivo effetto della prima impressione. La bambina, arrampicataglisi su le ginocchia, lo accarezzava, lo baciava, aggrappata al collo, chiamandolo: - Babbino bello ... Babbino caro. - Intanto, fra i baci e le carezze, egli osservava sua moglie: - Sei un po' dimagrita ... - Ti pare? - E un po' pallida. Non sei stata ammalata, spero. - Ho avuto l'emicrania ... - Rispondeva tranquilla, senza abbassare gli occhi sotto quegli sguardi che la scrutavano, anzi interrogava alla sua volta: - Tu però mi sembri pensieroso. Che hai? - La partenza di Carlo ... - È partito? ... Per dove? - Come? Tu non sai? ... Carlo è partito per l'America, improvvisamente. Non disse niente neppure a te? Lo sforzo di fingere la rendeva quasi sincera. A quel nome, un leggiero brivido le era passato per la schiena; ma, subito rimessasi, ella mostrava di ascoltare con curiosità e meraviglia il marito che le raccontava l'improvvisa partenza del fratello. - Risoluzione inesplicabile ... Temo che qualche grosso affare non gli sia andato male ... M'informerò, senza destar sospetti ... Ne sono molto impressionato. - Tornerà presto. - Dice che non tornerà piú! ... Ella ebbe un senso di sollievo, e deviò il discorso. - I tuoi affari vanno bene? - Benissimo -. La bambina, presa in quel punto una mano alla mamma e mettendola in quella del babbo, gli diceva ridendo: - Non vedi? ... La mamma vuol essere baciata anche lei! Ogni apparenza era salva, ogni ragione di timore sparita; ella avrebbe potuto viver tranquilla, seppellendo nel piú profondo del petto quel terribile segreto, ed ecco che la sua tortura ricominciava piú atroce. Con la irritazione contro l'incestuosa creatura che le palpitava in seno e non le dava nessuna delle sofferenze provate nella prima gravidanza, Teresa era divenuta cosí nervosa, cosí eccitabile, che ogni insignificante contrarietà le produceva strani scoppi di stizza, seguiti spesso spesso da sfoghi di singhiozzi e di pianto. - Ma che ti senti insomma? Sei malata - le ripeteva suo marito. - Non dire cosí; è peggio! - rispondeva, piena di rabbia e di vergogna. Una mattina che Giulio, turbato e tenendola per le mani, aveva insistito piú del solito perché parlasse, Teresa gli si era buttata al collo piangente, stringendolo forte, premendo con la faccia sulla spalla di lui. - Non lo capisci? Tu sei malata ... - No! no! E quasi gli aveva morso il collo, spaurita, sentendosi salire alle labbra la terribile rivelazione che la strozzava. - No ... No ... È per la bambina ... Ho il cuore grosso ... Che so io? ... E gli era cascata quasi in convulsione tra le braccia. Giulio, spaventato, aveva mandato subito pel dottore. Il dottore, dopo poche interrogazioni e osservazioni, s'era messo a sorridere; e nell'andar via gli avea raccomandato: - Bisogna che la signora stia molto calma. Le conseguenze d'un aborto potrebbero essere gravi -. Ella era rimasta sdraiata sulla poltrona, con tale abbattimento di forze da non poter tenere nemmeno semiaperti gli occhi; e mentre il marito la confortava, lieto del male passeggero, pregandola di riguardarsi, giusta le raccomandazioni del dottore, lagrime silenziose le scorrevano sul bianco volto, e le mani ghiaccie le tremavano stringendo la mano di lui. - Mi hai fatto paura! - egli le diceva, asciugandole la faccia, accarezzandola, dandole lievi baci sulla fronte ... - Mi hai fatto paura, sai? - Ma Teresa non rispondeva, immobile, sfinita; e pensava fisso a quell'aborto che sarebbe stato la sua salvezza, se fosse davvero avvenuto. E ruminando cattivi propositi contrariamente alle raccomandazioni del dottore, vedeva passare, quasi in sogno, una minuscola cassetta funebre portata via di nascosto da un uomo vestito di nero, come ben si addiceva alla trista cosa lí racchiusa ... E le pareva che quell'uomo vestito di nero, con quella funebre cassetta sotto braccio, andasse, andasse, andasse ... e si perdesse lontano, in una nebbia fitta, mentre le viscere dilaniate le doloravano ancora. Non avveniva cosí. Il suo fragile corpo diveniva piú resistente e piú forte, il tormento dell'animo prendeva maggior vigore. E intanto non solo ella non si riguardava, ma commetteva imprudenze; s'affaticava, si stancava, si esponeva a serii pericoli, e senza approdare nulla! Cosí, di giorno in giorno, mentre il seno le si arrotondava con la piú benigna e piú sana gestazione che mai donna potesse desiderare, un odio sordo la invadeva contro quell'ostinato germe che voleva vivere per forza e crescere e venire alla luce ... E picchiando sul proprio seno, intendeva schiacciare il capo dell'invisibile nemico lí dentro nascosto, finché inorridita di quel soffio di pazzia che le aveva attraversato il cervello, non s'arrestava e non cadeva in ginocchio invocando il perdono di Dio, e dell'innocente creaturina. - Era ingiusta. Non doveva risentire solo colei il peso dell'infamia altrui, né scontarne la pena! - Poco dopo la bambina s'era ammalata gravemente. Teresa avea voluto restare notte e giorno al capezzale della inferma. Preghiere non erano valse, né minacce del marito per indurla a rimuoversi di là. Il rimorso le lacerava il cuore. Ella rammentava con spavento la vile menzogna: - È per la bambina ... Ho il cuore grosso ... Che so io? ... E il ricordo di queste parole le si mutava in terribile rimprovero, quasi avesse buttata cosí una cattiva sorte addosso alla creaturina che ora smaniava nel letto riarsa dalla febbre, tra la vita e la morte ... - Oh, lei stessa la uccideva! La bambina avrebbe espiato, vittima pura, l'infame delitto di quell'uomo! ... - E credendo d'assistere all'agonia della creatura che era stata la sua gioia, la sua superbia di madre immacolata e felice, si sentiva intanto sussultar nel seno quell'altra con festoso anelare alla luce, con vivo senso d'allegrezza pel vicino sprigionamento. E presso il capezzale dove le pareva che l'alito freddo della morte gelasse il sudore sul viso sfigurito della sofferente, ecco il fantasma di colui - dello scomparso - che le si ripresentava dinanzi con umile aria di preghiera: "Ti amavo, da due anni. Per questo m'ero allontanato da casa tua!" Perché se lo sentiva cosí pertinace nell'orecchio? Perché il di lei pensiero vi si fissava dispettosamente, con una specie di sdegnosa compiacenza? E quando, Signore!, quando? Ora che la sua figliuolina era all'estremo, ora che ella avrebbe dato volentieri in olocausto la propria inutile e triste vita, pur di sviare il pericolo da quel capo diletto! Il Signore era stato misericordioso; non le aveva preso la bambina! Teresa riviveva con lei. E al rifiorire del roseo colore sulle guancine dimagrite, le fioriva in cuore una nuova dolcezza di maternità, un senso di pace che neppure quei rapidi sussulti del seno riuscivano a turbare. - La sua bambina era salva! - Si sentiva felice; non odiava piú, con l'istessa intensità di prima, l'altra creatura che già si faceva sentire maggiormente col grave pondo e coi vaganti dolorini, preludi di un'altra fase di tortura ... Sí, di un'altra fase di tortura. La infelice non poteva pensare, senza raccapriccio, alla continua presenza di quell'insultante testimone della ignominia di lei, di quella menzogna, di quell'inganno vivente che sarebbe stato di continuo sotto i suoi occhi, e ch'ella non avrebbe mai potuto, mai!, tenere come sangue e carne sua! ... E allorché il marito la rimproverava dolcemente, non vedendole preparar nulla pel prossimo arrivo del figliolino tanto desiderato - egli credeva con certezza che sarebbe stato un figliuolo - Teresa gli rispondeva: - Chi sa quel che accadrà? - Presentimento e mal augurio. S'era fissata nell'idea di dover morire soprapparto insieme con la creatura da nascere; e se ne rallegrava, provando pure un indefinito terrore di quel momento, e non per sé, ma per coloro che sarebbero rimasti, il marito e la bambina. E se la teneva stretta al seno per ore intere, accarezzandola, baciandola, quasi già fosse orfanella, dicendole cose strane che la bambina non capiva: - Se me ne andassi? ... Se non tornassi piú? - Saresti cattiva. - Non vorresti piú bene alla mamma? - Dovresti portarmi con te. - Oh, no, figliolina mia! - La bambina, impressionata da questi discorsi, la denunciò al babbo: - La mamma dice che se n'andrà, che non tornerà piú -. Giulio impallidí. La persistenza di quel presentimento gli aveva dato nel cuore. - La mamma è una sciocchina! - disse, tentando di scioglier la mano da quella di sua moglie. Teresa lo trattenne. - Hai ragione: sono una sciocca! - Provava insolite tenerezze anche per lui. Spesso gli gettava le braccia al collo, guardandolo fisso negli occhi, muta, quasi per compensarlo; vergognosa di non poter essere sincera e di dover tacere, lei, lei che non gli aveva mai nascosto un sentimento, un pensiero, com'egli a lei! E non potergli dir: "Taci!" quando le parlava del bambino che sarebbe stato il colmo della loro felicità coniugale! Ah, se egli avesse saputo! ... Giulio intanto progettava di dare il nome di Carlo al nascituro, per ricordo del fratello creduto morto da che non scriveva piú e non se n'era potuto aver notizia né dai consoli, né dalla legazione ... Il mistero lo tormentava. - Cosí buono! Di carattere un po' chiuso, un po' fantastico, ma docile nella stessa impetuosità. Qualche passione malaugurata! - rifletteva talvolta. Ed ella tremava nel sentirglielo ripetere. - A che stillarti il cervello? - gli rispondeva con durezza. Ma si riprendeva subito: - È tuo fratello; hai ragione ... Al bambino però, se sarà un bambino, daremo il nome di tuo padre. Non ti pare piú giusto? - Negli ultimi quattro mesi era frequentemente ritornata dal confessore, ogni volta che si era sentita a estremo di forze. E il marito, lasciandole pienissima libertà, la canzonava un pochino, senza cattive intenzioni, credente anche lui, quantunque troppo distratto dal rimescolio degli affari. In quella chiesa dove tante volte aveva dato pienissimo sfogo al proprio cuore, ella trovava sempre il balsamo che le addolciva la piaga, e gliela rendeva sopportabile, se non riusciva a guarirla. Ribellioni, indignazioni, tetri propositi, tutto si ammansiva, si acchetava in lei alla voce consolante che le parlava in nome del Signore. Un'intima corrispondenza si stabiliva allora tra lei e Dio. - Egli solo sapeva la verità! ... Egli solo poteva giudicarla e compatirla! - E, una o due volte, si era sorpresa con parole di preghiera, con invocazioni di perdono sulle labbra anche in favore di colui che le aveva fatto tanto male. - Era morto? O espiava terribilmente il delitto di un istante? ... - Là, in chiesa, poteva pensarci senza che la coscienza le si rivoltasse, senza che un'ondata d'odio e d'orrore le si sollevasse nel petto. - Dovete perdonare anche voi, figliuola mia! - le ripeteva il confessore. E dietro il confessionario, a piè dell'altare, le riusciva facile. Ma da lí a poco, in casa, ai primi sussulti del seno, non sapeva, non poteva piú! In quell'ultima settimana, con la fissazione di dover presto morire, un senso piú vasto di pace e di serenità la penetrava tutta, una tenerezza di distacco e di rimpianto, che involgeva persone e cose e le gonfiava gli occhi di lagrime. Non ne parlava per non rattristare anticipatamente suo marito. Si sforzava anzi di mostrarsi allegra; e preparava il corredino, quantunque lo credesse inutile, e la sola vista di quelle fasce, di quei pannilini, di quelle camicette, di quelle cuffiettine le desse i brividi ... Ma il suo Giulio n'era contento; voleva apparir contenta anche lei. Acuti dolori l'avevano tormentata fin dalla mattina, senza che n'avesse detto niente al marito. La morte, invocata e aspettata, ora le metteva spavento; e le pareva di allontanarla con l'illudersi che quelli che la incalzavano, la incalzavano non fossero i dolori prenunzi del parto. Andava da una stanza all'altra, appoggiandosi alle pareti e ai mobili nelle strette che si rinnovavano sempre piú forti, intestata di avvertire il marito soltanto all'ultimo, quando non avrebbe piú potuto nascondergli le soffere nze. A un tratto aveva gridato: - Giulio! Giulio! - E gli s'era aggrappata al collo, baciandolo desolatamente con le labbra diacce: - Giulio! ... Muoio! Giulio! Neppure allora era morta! Si tastava tutta, tastava le coperte del letto, per convincersi d'essere ancora in vita, per accertarsi che proprio suo marito accarezzasse e baciasse il bambino ignudo, vagente tra le mani della levatrice. Girava gli occhi attorno, stupita che il presentimento l'avesse ingannata; con tale confusione nella mente, e tal'indicibile prostrazione di forze da credere di sognare, o di vedere ogni cosa a traverso una nebbiolina leggera, in mezzo alla quale si muovevano silenziosamente le persone, mormorando parole a voce bassa e che ella non riusciva ad afferrare. - Forse si muore in questo modo! - pensava. Al destarsi dal sonno riparatore che l'aveva vinta, allo scorgere a piè del letto il marito in amorosa contemplazione del neonato, che riposava coperto d'un velo di tulle; al: - Come ti senti? - di Giulio, a cui dalla commozione e dalla gioia tremava la voce, ella lo fissò spalancando gli occhi, sorridendogli inconsapevolmente. Sentiva intanto dentro di sé un'oppressione non mai provata, uno strazio nuovo: la barbara violazione del cuore materno, che le rendeva repugnante la bella creaturina dormente lí acc osto. - Guardalo ... Che bocciuolo di rosa! - Giulio non si era contentato di sollevare il velo di tulle da una parte; ma, spinte le mani sotto il guanciale dove il piccino era adagiato, lo aveva deposto delicatamente a fianco della mamma, perché potesse ammirarlo, senza scomodarsi. Ella si trasse un po' indietro e serrò gli occhi ... - Che hai, Teresa! Ti vien male? - Allontana cotesto guanciale ... Mi opprime il respiro ... E questa coperta ... - Non era vero. Voleva soltanto, a ogni costo, evitar di baciare il piccino; avrebbe voluto, se fosse stato possibile, impedire egualmente che suo marito lo baciasse ... Quelle carni rosee non gli avrebbero dato alle labbra una sensazione rivelatrice? ... A lei poi ... sarebbe parso di baciare ... Oh no ... mai, quantunque il suo cuore di madre la invitasse intanto e la spingesse! ... Avrebbe voluto, almeno, che qualche tregua si fosse stabilita tra la innocente creaturina e lei; ma nel tempo istesso che parte di lei cosí desiderava e voleva, l'altra parte, la piú orgogliosa, si tirava indietro, s'adontava di quel desiderio, si ribellava a quella volontà e ce rcava di paralizzarla! Voleva forse baciare ...? E restava là, cogli occhi serrati, inerte, sotto lo spasimo della chiusa tortura; pensando con terrore che finalmente, una volta o l'altra, doveva vincere la ripugnanza per non dar nell'occhio al marito. E inorridiva dell'inevitabile contatto che le avrebbe fatto risentire piú immediata la violenza patita. La mattina che dinanzi al marito non poté fare a meno di baciare il figliolino prima di tentare di dargli la poppa, appena sfiorate con le labbra quelle carni delicate, Teresa gettò un urlo e cadde in deliquio. Si era immaginata che dando il bambino a balia, avrebbe dovuto sentirsi alleviata, sollevata; invece era peggio. Giulio parlava continuamente del piccino. Ogni due o tre giorni le proponeva una scarrozzata fuori porta, fino alla cascina della balia. La figliuola, anche lei, rammentava in ogni istante il fratellino con cui avrebbe voluto già fare il chiasso insieme. Cosí l'odiata creaturina, quantunque lontana, riempiva la casa di sé piú che se fosse stata presente ... E poi ... - Come? ... Perché ora? ... - ella si domandava, spaventata. E poi, qualcosa di strano, di mostruoso cominciava ad avvenire dentro di lei ... - Come? ... Perché ora? ... Dio! Dio! - Quell'altro, lo scomparso, tornava a poco a poco a farsi risentire, dimessamente al suo solito, supplichevole: "T'amavo! Da due anni! ..." - Come? ... E lei, lei piú non se ne offendeva? ... E lei stava ad ascoltare, mezza indignata, sí, ma pari a chi lascerebbesi forse commuovere, se colui avesse insistito? - Ahimè! Nella solitudine in cui volentieri rimaneva per lunghe ore della giornata, il ripetio di quel: "Ti amavo! ... Da due anni!" diveniva sempre piú insinuante e piú forte ... E all'allucinazione del suono delle parole, s'univa quella della figura, alta, bruna, dal viso serio, dallo sguardo quasi severo e contenuto a stento ... E qualcosa si ridestava in tutto il suo corpo con lento brulichio di sensazioni e di vibrazioni, qualcosa rimasto a germogliare nell'oscurità feconda, e che usciva fuori a un tratto, e si espandeva e fioriva ... Questo le pareva piú abbietto della prima violazione del suo corpo ... - No! No! No! - protestava sdegnata, come in quel triste istante, in quella sera, - No! No! - Inutile! "Ti amavo da due anni!" E lei non se n'era mai accorta! ... Quanto avea dovuto soffrire colui! Che tormenti e che lotte, povero giovane! E si era esiliato per lei! E aveva abbandonato tutto ... per lei ... per espiare la colpa d'un istante! - ella pensava trasognata, quasi un'influenza esteriore le spingesse la povera mente verso quel punto e ve la tenesse fissata. E riscuotendosi tutt'a a un tratto, guardava attorno atterrita, feroce contro colui, riboccante di sprezzo di se stessa, con c osí tragico pallore sul viso, e sguardi cosí smarriti, che Giulio tornava a impensierirsi. La gravidanza ora non c'entrava piú. Certe stranezze del carattere di sua moglie diventavano addirittura inesplicabili. Non la riconosceva! Nei momenti, nei giorni ch'ella tentava di rifugiarsi in lui per vincere il tristo demone, egli la vedeva sempre agitata, eccessiva in quei baci ed abbracci piú da amante che da moglie, e affatto diversa da quella ch'era stata fin allora. Poi, ella mostrò improvvisamente desiderio di lanciarsi fuori della cerchia intima e tranquilla che li aveva accolti tant'anni, ignari quasi ed ignorati, paghi e contenti della felicità di amarsi e di sentirsi amati fra le consapevoli pareti dove non giungeva nessun rumore della vita cittadina. E a quegli scatti di sensazioni, a quei capricci di passeggiate, di visite, di teatri, di feste, che lo meravigliavano assai, Giulio cominciò a temere che la gravidanza non avesse lasciato in lei qualche funesto germ e d'esaltazione nervosa ... Il dottore, ripetutamente consultato senza che Teresa ne sapesse nulla, era stato d'ugual parere. Avevano fissato insieme un metodo di cura abilmente combinato: viaggi, bagni, regime ricostituente ... Ed ella aveva subito acconsentito, lietissima ... Capiva che già v'era qualcosa di guasto dentro di sé, di affievolito per lo meno. Lo stesso confessore non le consigliava di distrarsi, di fuggire la solitudine, perché in questa il demonio conduce meglio il suo scellerato lavoro di tentazione? Era andata piú volte ad accusarsi, ingenuamente, chiedendo perdono a Dio della sua debolezza, implorando la forza di resistere; e confessore e dottore, quasi d'accordo, le ripetevano: - Si distragga! - Ma che posso farci? ... Il nemico è accovacciato qui, nel mio interno! - Da un mese ella dormiva soltanto a brevi intervalli; poi le palpebre le si ritiravano in su. Doveva svegliare ogni volta il marito? E il nemico la sopraffaceva. Andati per vedere il bambino, avevano trovato la balia piangente. - Signora mia, non vuol poppare. - Da quando? - domandò Giulio. - Da ier sera dopo le otto. Alle quattro aveva poppato benissimo -. Giulio disse: - Non è nulla ... Riportiamolo in città -. Fingeva di non essere turbato, per rassicurare Teresa che teneva fissi gli occhi su la culla dove il bambino, col viso pallido, i labbrini violacei semi aperti e le manine increspate, dormiva. Che triste ritorno! Ella si era rovesciata in fondo al legno, muta, stringendo una mano di Giulio. La balia seduta dirimpetto, canticchiando sotto voce, cullava il piccino; e la bambina, su le ginocchia del babbo, stringendogli le braccia attorno al collo e appoggiandogli la testina alla spalla, ora guardava lui, ora la mamma, e non osava rompere il silenzio. Solo Giulio, che invece avrebbe voluto piangere, tanto aveva il cuore ingrossato, ripeteva di tratto in tratto, monotonamente: - Non sarà nulla! Non sarà nulla! - Alle prime parole della balia, Teresa aveva avuto un sussulto - Se il bambino morisse! - E il malvagio istintivo movimento era stato subito seguito da un senso di ribrezzo e di orrore. Poi, in casa, attorno al lettuccio del bambino, quando già si poteva leggere in viso al dottore il destino della povera creaturina, la brutale preoccupazione della propria salvezza aveva preso di nuovo il sopravvento, snaturata, senza pietà. Sentendosi quasi affogare, la infelice s'aggrappava a tutto. Pur di salvarsi lei, che doveva importarle degli altri? ... Perciò s'irritava contro suo marito che, inconsola bile, forsennato, pregava, scongiurava il dottore con insistenza bambinesca, quasi lo credesse padrone della vita e della morte e capace di fare un miracolo! ... Il maleficio le pareva legato a quel filo di esistenza che non voleva spegnersi, che non volevano lasciar spegnere ... lui specialmente, suo marito! ... Ed ella vibrava tutta, si sentiva tirare, strizzare tutta; vedeva fiammelle. E immediatamente, senza stacco, cadeva in grande prostrazione, mutata di punto in bianco, con le lagrime agli o cchi per quella creaturina agonizzante; stupita che poco prima avesse potuto desiderare e affrettare coi voti l'empio scioglimento. - Ma sí, ma sí! ... Lo voleva! Aveva sofferto troppo! ... Non resisteva piú! - E vedendo il marito chino sul lettuccio, dolorosamente intento a spiare il mancante respiro del figliolino, si sentiva spinta ad afferrarlo per un braccio e strapparlo di là, e urlargli una terribile parola. Il sangue le affluiva al cervello, le martellava le tempia, un violentissimo tremito tornava a scoterle la persona. - Giulio! ... Giulio! ... - Voltandosi al grido sommesso, egli l'avea vista accostare cautamente, in punta di piedi, con gli sguardi smarriti e un dito sulle labbra. - Lascialo andare, Giulio! ... Lascialo andare! ... - E lo tirava via dolcemente, sorridendo triste, scuotendo la testa con movimento significativo ... - Teresa! Teresa mia! - balbettò Giulio, non comprendendo ancora tutta la sua sventura da quegli occhi smarriti, da quelle parole incoerenti. - Lascialo andare ... Ti vorrò piú bene ... Vorrò bene a te solo. A te solo - ripeteva la misera pazza, tirandolo pel vestito: - A te solo! - Sei mesi dopo, al ritorno della ragione, ella credeva di aver fatto un lungo sogno orrendo, e lo raccontava al marito, domandandogli a intervalli: - Ho sognato, è vero? - Sí, hai sognato - egli rispondeva fremendo. - Abbiamo sognato tutti! - soggiunse all'ultimo. E pensava quasi con invidia al fratello che avea cessato di sognare, uccidendosi in Australia. Roma, maggio 1889@. 1889.

Né gli sarebbe parso pagato abbastanza. - Che hai insomma? ... Mai un desiderio! ... Mai un capriccio! ... - Voi mi prevenite sempre. Che mi manca? - La mattina in cui lo sconcerto delle viscere, agitate a un tratto e insolitamente, le rivelò quel che già era accaduto, Carmelina si scosse indignata contro di sé, quasi la sua volontà fosse stata complice, quasi da quel momento si vedesse già caduta in pieno possesso di lui, e si sentisse tiranneggiata nel piú intimo del proprio organismo. E non gli disse nulla; prima, sperando d'essersi ingannata; poi, sperando che la natura avrebbe avuto pietà di lei e l'avrebbe fatta abortire. Era offesa, violata da que l mistero di vita che le germogliava nel seno: - Non basta quel ch'io soffro? Dovrà soffrire anche questa creatura che verrebbe a intristirsi con me nella desolazione della mia vita? - E di essa già risentiva tutto il gran peso, come nei primi giorni. E quella sensazione di repugnanza, di persona che volesse farle male, le si rinnovava forte alla presenza del marito; il quale intanto l'adorava piú che mai e la sopraffaceva con sottomissioni da fanciullo, con delicatezze da donna - Oh! Oh! ... Perché non me l'hai detto subito? - Quell'unica volta i suoi occhi grigi e smorti si erano animati d'un lampo di gioia, aveano sorriso imbambolati dalle lagrime, mentr'ella ricadeva sfinita nella tristezza indolente, da cui non la destarono neppure i vagiti della gracile creaturina che, nascendo, ne aveva messa in grave pericolo la vita. Cosí l'allattò, cosí la vide crescere, quasi non fosse stata pure sangue suo. Non si sentiva madre, come non s'era potuta sentir moglie, come non si sentiva piú giovane, né donna, né nulla! - Sí, qualcosa dev'essersi rattrappito dentro di me; il cuore, certamente! - All'opposto, suo marito cominciava a provare un'irritazione per questa resistenza passiva: - Neanche la maternità la lega a me! - E si mise a sorvegliarla piú inquieto, provocandola con qualche parola un po' dura, adombrandosi di tutto, senza nasconderglielo come aveva fatto fino allora. - Che motivo avete? - ella rispondeva tranquillamente. - Sei ingrata. Donna senza cuore! - A questi rimproveri amari, restava muta e impassibile, non volendo ch'egli si mettesse in collera e gridasse dinanzi alla figliuola e alla persona di servizio. Spesso però il suo silenzio faceva peggio. Da qualche tempo in qua, stando in casa, egli si chiudeva nella stanza da studio, fra libri legali e processi. E non la scienza l'occupava, non i processi ammonticchiati sul tavolino dentro le polverose copertine rosse e azzurre, legati in fascio. Sprofondato nella poltrona coi gomiti appuntati su un libro aperto a caso, la testa fra le mani scarne, pensava a colei che non lo amava, a colei ch'egli amava sempre piú, disperatamente, per quegli occhi neri e grandi, per quella fresca carnagione bruna che il li eve pallore rendeva piú bella, per quel corpo delicato e perfetto, e che non vibrava, mai!, sotto la furia dei suoi baci, tra le strette di quei suoi abbracci da cui sarebbe stata animata fino una statua! ... - Ah! Chi sa quali fantasmi le passano per la testa? Chi sa quali visioni agitano quel cuore che il seno piccolo e bianco nasconde ai miei sguardi? Come sono infelice! Come sono infelice! ... - E a un tratto appariva nella stanza dov'ella lavorava straccamente camicine per la bimba, dando un punto a ogni quarto d'ora; appariva sull'uscio com'un fantasma, per sorprendere, chi sa?, qualche indizio in quegli occhi sognanti, su quelle labbra chiuse e contratte che non avevano piú sorriso da che egli l'aveva sposata. Carmelina non alzava palpebra, indovinando senza farglielo capire. La bimba, seduta per terra sopra un tappetino dove arruffava con grande attenzione i ritagli di trine e di mussolina raccolti fra le magre gambine aperte, levava il visetto sparuto per guardare suo padre accostatosi a farle una carezza, serio, taciturno. - Il babbo! - balbettava, vedendolo andar via, rivolta alla mamma. E la stanza ricadeva nel silenzio, bianca, inondata di luce. Una volta egli parlò apertamente: - Mi rode una gelosia pazza! ... La colpa è tutta tua! - Perché? - Perché soltanto in apparenza m'appartieni, per effetto della legge e del sacramento, non per legami di cuore! ... - Signore! ... Che debbo fare? - Quel che non hai fatto finora: amarmi! - Non vi amo forse? Non vi rispetto? Di che potete lamentarvi? Come s'ama? Non lo so. - Lo vedi in me come s'ama! - Non riesco mai a contentarvi! ... Signore! ... Quanto sono disgraziata! - Vedendola piangere, s'era sentito rimescolare; e l'aveva presa tra le braccia, tremante, confuso, ripetendole: - No, non voglio che tu pianga! Non piangere! - E Carmelina aveva dovuto farsi forza per non irritarlo. Quel giorno egli provava uno dei soliti accessi di tenerezza che lo assalivano di tanto in tanto e lo lasciavano maggiormente triste e sconsolato; specie di febbre d'amore, che lo estenuava come febbre vera. Allora sembrava un altro. La sua voce diventava quasi dolce e il suo pallore si coloriva di leggiera tinta d'incarnato. - T'amo troppo. Oh, come t'amo! Io non so esprimermi. Bisogna compatirmi. Mi mancano le parole ... - E l'andava accarezzando, ammirandola da capo a piedi, rapito. - Me n'accorgo, in certi momenti riesco increscioso; incresco fino a me stesso! T'amo troppo. Ti vorrei tutta mia, tutta, tutta! E vorrei poter leggere qui, dietro questa fronte, dietro questa fronte piú splendida del cielo. - Non vi nascondo nulla. Che potrei mai pensare da nasconderlo a voi? - Infatti, nel languore delle lunghe giornate di solitudine non pensava proprio a nulla, oppressa da grave stanchezza e da strana sonnolenza, quasi gli occhi diacci di suo marito, che le stavano sempre addosso, le buttassero, prima ch'egli uscisse di casa, una malia da tenerla legata. Massime ora che si sentiva piú sola dopo che i suoi parenti erano tutti morti, lontano, in quella casa di Catanzaro dove la sua giovinezza avea cantato e sorriso al cospetto delle montagne attorno, scure di verde o bianche di neve, sempre belle al gran sole. Non le era rimasta nell'anima altr'eco del mondo. Ripensando, vedeva soltanto quei colori di campagne e di cielo; sentiva soltanto quel susurro di voci paesane, che le ronzava negli orecchi dolce e sommesso: e allora il suo povero cuore dava un debole segno di vita, s'agitava per un istante nell'allegria dei ricordi. S'agitava anche, ma per compassione, quando le veniva dinanzi la bimba che cresceva stenta, pianticina senza umore, aduggita. Per lei, nelle belle giornate, osava qualche volta chiedere al marito di condurle un po' fuori. E quegli le conduceva lungo la spiaggia sabbiosa, nei posti piú solitari, per strade di campagna fuori di mano. Pareva che la bimba provasse le medesime sensazioni della mamma, abbagliamento, stupore della violenta intensità della luce e della freschezza dell'aria pregna di salse emanazioni marine. Non correva, non saltellava, non si sentiva tentata dalle erbe e dai fiori che spiegavano la pompa del rigoglio e la festa dei colori pei campi; si teneva stretta alla mano della mamma, guardava con gli occhietti sbalorditi, senza godimento, senza voglie, e presto diceva: - Babbo, torniamo a casa? - Come avrebbe voluto dirgli Carmelina, se non avesse avuto paura di destar sospetti. Nella casa di Palermo la solitudine era piú grande. Mettendo per la prima volta il piede in quelle stanze vaste, dalle volte che si sprofondavano nell'ombra, dagli usci dipinti a grandi fiorami sormontati da paesaggi anneriti dal tempo, dal pavimento di mattoni di Valenza che agghiacciava le piante dei piedi, dalle pareti sbiadite e ornate di specchi in immense cornici dorate che si accartocciavano baroccamente, Carmelina s'era sentita mancare il respiro. - Tutta questa decrepitezza, tenuta ritta, non si sa come, l'ha cercata a posta, per farmi invecchiare piú presto? - Vi s'era però facilmente abituata, e non v'invecchiava piú che altrove. Gli anni, la vita inerte le avevano anzi un po' arrotondato il corpo; e la pelle bruna, sbiadita all'ombra, dava gran risalto a gli occhi neri e ai capelli nerissimi. Guardandosi nei grandi specchi lievemente appannati, che la riflettevano intiera, quasi dentro una nebbia sottile, se ne maravigliava: - No, non sono invecchiata! - E un baleno di civetteria femminile le passava sul volto. Il tempo e l'abitudine mutavano la sua tristezza in tale sentimento di riposo e di pace, ch'ella non avrebbe voluto mutare stato. La lassezza da convalescente, la indolenza che le rendeva faticoso fin il parlare, prendevano per lei le stesse attrattive voluttuose della soave pigrizia del corpo e dello spirito, che la teneva raccolta, scalducciata, e le mettevano ne le grandi pupille la strana aria di sognante che impressionava le persone. Per questo il frastuono della vita cittadina da cui era assediata coi gridi dei rivenditori ambulanti, coi rumori delle carrozze che scotevano i vetri delle finestre echeggiando cupamente per le volte, e col sordo affaccendamento di lavoro che si ripercoteva indistinto là dentro, serviva soltanto a renderle maggiormente caro l'isolamento e la muta severità delle vecchie cose dalle quali era circondata. Fin suo marito non le dava piú la solita sensazione di ripugnanza o di persona che volesse farle male. E stava ad ascoltarlo intenta quand'egli le raccontava il processo discusso alle Assise nella giornata, quasi volesse appellarsi a lei contro i giurati che s'erano lasciati infinocchiare dalle sonore ciance avvocatesche. In quelle sere la bimba non voleva andare a letto per ascoltare anch'essa le storie dei ladri e degli assassini; e guardava a bocca aperta ora il babbo che parlava, smorto smorto, nell'ombra della ventola, con le mani sui bracciuoli della poltrona illuminate dalla luce viva, e le lunghe gambe nascoste sotto la coperta rossa del tavolino; ora la mamma che taceva, o esclamava di tanto in tanto: - Povera gente! - Cosí le stagnava la vita, senza che l'umor tetro del marito vi producesse piú neppure un lieve increspamento a fior d'acqua; e cosí durò fino al giorno in cui la bimba cadde ammalata, e per le stanze mute s'intese frequente il rumore cadenzato dei tacchi del dottore, che, vista la gravità della cosa, veniva a visitarla tre o quattro volte al giorno. Le tristi occupazioni d'infermiera le furono di sollievo. Le medicine da somministrare d'ora in ora, esattamente; i piccoli servigi che la costringevano a muoversi da una stanza all'altra; il dover ragionare e venire a patti con la malata per indurla a star cheta sotto le coperte, o a prendere un cucchiaio di medicamento in ricambio dei bei regali di nastri, di oggetti d'oro, di ninnoli di porcellana che voleva schierati sul guanciale o ficcati dentro il letto; la stessa ansiosa aspettativa del resultato de lla malattia, tutto concorse a produrle una specie di risveglio di sensi. Da la finestra che il dottore voleva aperta finché il sole era alto, irrompeva nel palazzetto addormentato un giocondo tumulto di vita; voci che chiamavano e rispondevano; scoppi di risa, canti allegri di operaie che lavoravano all'aria aperta nella via di fianco, godendosi il dolce tepore del sole di aprile. E quel canarino che trillava a la finestra della casa accanto! ... E quel merlo che fischiava piú in là ... E gli squilli argentini di quell'incudine, piú in là ancora, sotto i colpi di martello! ... Che festa! Non si saziava di guardare fuori, seduta al capezzale della bimba, tenendo strette fra le mani le manine febbricitanti; non si saziava di guardare, quasi quelle donne che sciorinavano la biancheria sui terrazzini della casa di faccia, lassú, distante; quasi quella monaca casalinga, che, piú in qua, innaffiava i vasi di fiori e si soffiava il naso col fazzoletto turchino; quasi quei due, marito e moglie certamente, che s'abbracciavano in mezzo alla stanza credendo di non essere veduti, fossero uno spettacolo per lei. Un'altra mattina, invece di biancheria, lassú sciorinavano dei tappeti. Quella giovane in veste grigia da camera dai grandi ricami rossi che si vedeva distintamente, e che faceva luccicare al sole l'oro della sua folta capigliatura, pettinandosi sul terrazzino, servendosi dei vetri dell'imposta per specchiera, doveva essere molto bella. Andava e veniva, forse per cambiare il pettine, forse per prendere delle forcine ... Parlava con qualcuno che non si vedeva ... Era allegra, rideva ... Do veva esser felice! ... - Ah, Signore! ... Che cosa avviene dentro di me? - Si sentiva quasi destare da profondissimo sonno. Il sole che inondava la camera le metteva vivi formicolii per tutta la persona; gli sbuffi d'odor di zagara che il vento trasportava da lontano, dai giardini di aranci della Conca d'oro, le turbavano la testa. E se ne stava tutta la giornata rifugiata là, come in un angolo di paradiso, senza piú impensierirsi della malattia della bimba; paga di stringerne fra le mani le manine arse dalla febbre; bevendosi tutta quell'aria, assorbendosi tutta quella luce, ineb briandosi di quei rumori e di quegli odori. E quando, sul tardi, all'abbassarsi del sole, bisognava chiudere l'imposta, e compariva nella cameretta la faccia gialla e scarna del marito ritornato dal tribunale, ella provava una stretta al cuore, e ricadeva nella torpida inerzia che durava da anni ed anni. Poi quei turbamenti, quelle vertigini le diedero insonnie tormentose, le stesse insonnie di suo marito. Fingeva però di dormire, rannicchiata nel proprio cantuccio di letto, quasi raffrenando il respiro; e la mattina, saltava giú che non era neppure l'alba, con la scusa della bimba, ma veramente per riprendere la seggiola del capezzale e veder ripetere l'incantesimo del giorno avanti. Poi, quando la bimba cominciò a star meglio, ella che non s'era mai affacciata a un terrazzino - per indolenza, perché l'eccessivo movimento della vita cittadina le dava noia - si sentí attratta a quella finestra e vi restò a lungo, coi gomiti appuntati sul davanzale, la faccia sorretta dalle mani, girando attorno i grandi occhi desti, scoprendo cose che non aveva veduto e avrebbe dovuto vedere: quel campanile, quella terrazza dove una cagna allattava dei cagnolini bianchi e neri, quel comignolo, quei rami verdi d'una pianta di limone che sorpassavano un tetto nuovo. E stava là lunghe ore al sole, come una lucertola, voltandosi di tanto in tanto verso il lettino della convalescente e sorridendole con insolito sorriso delle labbra e degli occhi; stava là stordita, meravigliata di sentirsi tuttavia capace d'avere quelle sensazioni; talora sconvolta da turbamenti improvvisi ch'ella non sapeva spiegarsi, da brividi che le correvano su su per la schiena e la scotevano tutta; e cosí assorbita, e cosí sopraffatta, d a non pensare a tirarsi indietro per evitare la insistente curiosità di quel signore mezzo nascosto fra le cortine, il quale tornava ogni giorno a guardarla, coll'indiscreto cannocchiale da teatro, dal terrazzino a mancina. Gli aveva rivolto appena un'occhiata il primo giorno soltanto; e quella figura alta e bruna, dai capelli un po' radi nel centro del capo, dai grandi mustacchi castagni che si curvavano in su, le si era stampata talmente nelle pupille, che continuava a vederla durante la insonnia, con quel cannocchiale appuntato, con quei polsini bianchi e lustri dai piccoli bottoni d'oro fuor delle maniche del vestito ... E se ne stizziva - Chi è? Che cosa vuole? - Che volesse colui, ella lo capí a un tratto una mattina, da certe mosse di occhi ... - Mamma, che hai? - Niente, figliolina, niente! - Intanto si era ritirata dalla finestra con brusco movimento, smorta in viso. La bimba si stupiva che le labbra che la baciavano fossero diacce e tremanti. - Mamma, che hai? - Niente, figliolina! - E affondava la faccia nei guanciali, accanto alla testina della bimba, dolorosamente. Per parecchi giorni di seguito non s'affacciò alla finestra e tenne i vetri socchiusi, quasi avesse avuto paura delle lusinghe dell'aria tiepida di quelle giornate primaverili, delle seduzioni di quel sole smagliante che irrompeva nella camera insidioso, a traverso i vetri; indignata della propria debolezza contro quel fantasma che la premeva da qualunque parte ella si volgesse ... alto, bruno, dai capelli un po' radi, dai grandi mustacchi rovesciati in su, dai polsini bianchi e lustri con piccoli botton i d'oro, dalle mani affilate che tenevano il cannocchiale fissato addosso a lei, insistentemente ... Ed ora che sapeva che cosa egli volesse, la sua alterigia d'onesta s'inalberava, protestava, quantunque il suo amor proprio si sentisse un po' solleticato; protestava, anche con quella strana pietà pel marito, quantunque se lo vedesse dinanzi piú giallo, piú magro, piú innamorato e piú geloso ancora, quas'egli presentisse il tranello teso al cuore di sua moglie ... - Oh, no, no! - ella pensava; - sarebbe un'infamia! ... Ma già, forse, si tratta d'un castello in aria della mia fantasia riscaldata. Perché costui mi ha guardata tre, quattro volte ... Sciocca! Resisteva però alla smania per cui avrebbe voluto affacciarsi alla finestra a fine di persuadersi che s'era ingannata, e mettersi il cuore in pace. - Ha paura dell'aria? - le disse il vecchio dottore. - Apra questa finestra, cosí! ... L'aria è balsamo di vita -. E l'aperse egli medesimo. Stiede un pezzetto sulla seggiola del capezzale, irrequieta, lottante, quasi la finestra fosse stata un abisso che le dava la vertigine; poi s'affacciò, rigida, deliberata di non guardare, coi gomiti appuntati sul davanzale, la faccia tra le palme ... E appena s'accorse di quell'uomo ch'era là ad attenderla ... forse, il cuore cominciò a sussultarle, le orecchie le zufolarono, gli oggetti attorno le barcollarono sotto gli occhi intorbidati ... - Domani, oh, domani sarò piú forte! ... - Intanto, quantunque assolutamente risoluta di non dargli una occhiata, nel tirarsi indietro lo aveva guardato, di sfuggita, suo malgrado ... - Avrei dovuto mortificarlo, con una guardatura sdegnosa, da dargli una lezione! - E quella sera suo marito la sentí tremare sotto i baci e tra gli abbracci, quasi ella cercasse d'evitarli. - Ti senti male? - Sí, un po' ... - Che ti senti? - Nulla, non saprei ... Forse la stagione -. In alcuni momenti, quand'era sola, tutt'a un tratto il cuore le diventava grosso grosso, gli occhi le si riempivano di lagrime, i singhiozzi le annodavano la gola ... Quella volta, sentendosi soffocare, era corsa alla finestra, per prendere un po' d'aria, senza pensare a colui. E vedendo ch'egli la guardava sorridendo tristamente a fior di labbra, e le rimproverava la severità con lieve movimento degli occhi e del capo - Ah, Signore! - quella volta s'era sentita afferrare a tradimento, violentemente; gli aveva risposto con un sorriso, con tale sorriso! ... e si era tirata subito indietro nascondendo la faccia tra le mani: - Oh, Dio, mi par di morire! - Si sentiva venir meno. E avrebbe voluto morire davvero nel punto in cui aveva ceduto, dandosi incondizionatamente, da non riprendersi piú. Fu uno scatto, quasi avesse avuto tuttavia sedici anni, e si fosse sentita tale forza nei polsi da lottare col mondo intero! Sentiva bisogno di muoversi, di gesticolare, di ridere, di cantare, ella che fino a poche settimane addietro aveva passato le giornate sonnecchiante su una delle poltrone addormentate anch'esse negli angoli oscuri di quelle stanze fredde e silenziose. E s'aggirava da una stanza all'altra, leggera, saltellante, levando le mani giunte e gli occhi alle divinità mitologiche dipinte nel ce ntro della volta, per ringraziare non sapeva chi di quella grazia vivificante che le era stata concessa! Debole, ingenua, rimasta quasi bambina sotto l'opprimente gelosia del marito, ella si svegliava in un subito gagliarda, esperta di tutte le astuzie, di tutte le malizie, di tutte le ipocrisie della donna abituata a ingannare: - Ah, finalmente la mia povera vita ha uno scopo, finalmente so! ... - Non sapeva nulla; illusa che tutto si sarebbe limitato là, e che l'immagine di quell'uomo ch'ella teneva chiusa nell'intimo del cuore, come in un tabernacolo, per prostrarlesi dinanzi col pensiero in adorazione spirituale, non le avrebbe chiesto nient'altro ... - Che potrò dargli di piú? E, alcuni giorni dopo, allorché quel "che" le balenò per la mente, la sua dignità di moglie si rivoltò inviperita: - Spezzerò piuttosto, calpesterò il mio cuore! No! no! - E continuò a vedere quell'uomo fra un nimbo abbagliante; e, accostandoglisi con la delirante adorazione di donna che amava per la prima volta, le pareva d'elevarsi, materialmente, e non sentiva piú il terreno sotto i piedi. Perciò fu atterrita e sentí crollarsi il mondo addosso la mattina in cui ricevette una lettera di lui - imprudente! ... - che le chiedeva di poterla vedere da vicino, di parlarle; lettera breve, quasi imperiosa col suo carezzante tono di preghiera. - Imprudente! ... - Per fortuna, in quel momento neppure la persona di servizio era in casa. E alla vecchia mendicante, che attendeva la carità e la risposta, restituí la lettera con sotto poche parole tracciate in fretta in fretta: "Impossibile! Se mi amate, non mi scrivete piú!" Lo disse anche a quella donna, mettendole in mano un pugno di monete: - Non venite piú, buona donna. Se mio marito vi vedesse! ... E lo ripeté a lui dalla finestra, coi gesti, supplicandolo trambasciata, piú e piú giorni di seguito. - E insiste! ... E non sa persuadersi! ... - Vuoi dunque che venga io? ... Son deciso ... sí, sí ... E subito ... Comincio a vestirmi. - Ah! N'è capace. Bisogna impedirglielo, a ogni costo! - La forza del terrore le offuscò il cervello, quasi non fosse peggio ancora quel ch'ella stava per fare. Non riusciva a infilarsi le maniche della mantelletta, a annodarsi i nastri del cappellino. - Torno subito - disse alla serva che la guardava meravigliata. - Non dire alla bimba che vo fuori -. Aveva negli occhi il bacio di ringraziamento scoccatole da colui al cenno che gli rispose: - Aspettatemi, vengo io. - E scendendo le scale, ripeteva mentalmente: - No, no! ... - Era andata per romperla, per dirgli ch'era impossibile, per persuaderlo con le preghiere, facendogli capire le difficoltà del proprio stato ... E appena colui la ricevette su l'uscio, prendendola per una mano, sorridente, da persona abituata a simili avventure; e appena si vide in quell'elegante appartamentino da le imposte socchiuse in penombra tentatrice ... gli cadde tra le braccia, senza dir motto, quasi vi fosse andata a posta e per nient'altro! Da qualche mese il marito la osservava, chiuso nel suo silenzio d'itterico, intrigato da quel raggiare d'una seconda giovinezza che le scoppiava dal colorito del viso ridiventato piú fresco, da quel fosforeggiare di lampi mal rattenuti negli occhi ... - Doveva credere a un inatteso mutamento? Il tempo, l'abitudine potevano produrre anche quel miracolo. Perché no? - Invece, ora ritrovava in lei la stessa resistenza che nei primi giorni del loro matrimonio, quando la giovinezza e la novità del legame potevano in qualche modo scusarla; invece scopriva in lei rapidi movimenti d'impazienza, d'alterigia, quasi di ribellione! ... E lo ferirono peggio d'una pugnalata le parole che la bimba disse una sera alla mamma: - Mamma, perché non canti come questa mattina? - Egli non fece un gesto, né batté palpebra; ma vide l'occhiataccia lanciata dalla mamma a la bambina. - Ah! Dunque cantava? ... Dunque cantava? - Tutta la nottata non ruminò altro. E il giorno dopo, mentre i testimoni facevano le loro deposizioni, mentre gli avvocati declamavano dinanzi ai giurati dando colpi di pugno sui tavolini, egli tendeva l'orecchio, col capo rovesciato sulla spalliera della sedia a bracciuoli, gli occhi chiusi, terribilmente pallido nella toga nera; tendeva l'orecchio per afferrare da lontano una nota di quell'insolito cantare di sua moglie nell'assenza di lui: - Perché cantava, ella che non aveva cantato mai! ... - E, in casa, gli occhi grigi gli si scurivano, perduti dietro questa ricerca, quasi avesse voluto trovarne la traccia su pei vecchi mobili, o nell'aria di quelle stanze che doveano certamente saperne qualcosa. Carmelina non gli badava, ingannata dall'apparenza, con la cieca temerità di chi non sa valutare il pericolo e con la fierezza di chi è deliberato, in ogni caso, a sfidarlo. Non voleva riflettere, non voleva ragionare. Il terrore dei primi giorni, quando le pareva che avrebbe visto sprofondarsi il pavimento sotto i piedi se la serva, inavvertitamente, avesse accennato al padrone che la signora era stata fuori; lo sbalordimento di quant'era accaduto quella mattina, senza che la sua volontà vi avesse concorso - anzi! ... anzi! ... - tutto era stato trascinato via dalla piena irrompente della passione che diveniva piú minacciosa di giorno in giorno. Appena un mese dopo, ella garriva il suo amante: - Come? Ora hai paura tu? E mi chiami imprudente? ... - Penso a le conseguenze; uno scandalo, forse un processo! ... - Ella alzava le spalle, irritata che colui riflettesse troppo, mentr'ella avrebbe affrontata anche la morte per venire a trovarlo un momento, per dargli un solo bacio. Invece sentiva domandarsi: - E ... lui, lui non sospetta ancora nulla? - No -. Un giorno, rimettendosi in furia il cappellino, ella gli disse: - Che vita! ... Vedersi soltanto per pochi minuti! ... Se venissi a stare con te, nascosta in quella stanza in fondo dove nessuno potrebbe vedermi? - E tua figlia? ... - aveva risposto l'amante, fissandola per osservare l'effetto delle sue parole. - Mia figlia? ... È figlia di lui! ... Ne avrò un'altra ... tua, sai? - E gli buttò le braccia al collo, senz'accorgersi che l'amante era diventato freddo freddo, e aveva aggrottato le sopracciglia, impensierito. Però il sospetto di qualcosa d'indegno cominciò a turbarla, dopo che i pretesti per evitare le sue visite divennero piú frequenti. Ai rimproveri, egli rispondeva sorridendo con tranquillità d'uomo sazio e annoiato, negando fiaccamente, in maniera da far capire che negava per mera cortesia di persona bene educata ... Un giorno, sul tardi, pochi momenti prima che suo marito rientrasse in casa, ricomparve la vecchia mendicante, con un'altra lettera e per la carità. Anche quella volta la fortuna l'aveva aiutata. Sentendo picchiare all'uscio, era andata ad aprire; la serva trovavasi in cucina. Quella lettera non potuta leggere, cacciata in fondo a la tasca del vestito col cuore abbuiato da terribili presentimenti, era stata una lunga tortura durante il pranzo, per tutta la serata, mentr'ella ricamava e suo marito leggeva un giornale, e la bimba, mezza stesa bocconi sul tavolino, coi capelli scuri che le cascavano dietro gli orecchi, ritagliava un vecchio figurino di mode sotto il lume, accompagnando al movimento delle forbici uguale movimento di labbra. Aveva indugiato fino alla mattina del giorno dopo - fino a che suo marito non andò fuori di casa - masticando il tossico dell'incertezza, tastando di tanto in tanto la busta in fondo alla tasca, quasi avesse potuto, palpando, indovinarne il contenuto. Poi aveva letto febbrilmente, abbracciando con l'occhio due, tre righe in una volta ... e s'era sentita lanciare nel vuoto da immensurabile altezza, giú, giú, giú, in quell'abisso che la lettera le spalancava sotto, abisso senza luce che se la inghiottiva v ivente! Colui aveva detto alla vecchia serva: - Se venisse quella signora ... starò fuori di casa fino a notte. Se volesse aspettare, metti alla finestra il solito segnale, finché non sarà andata via -. E la vecchia aveva messo il segnale. La povera signora aspettava da piú di due ore, ostinandosi, quantunque la vecchia s'affacciasse di tratto in tratto sull'uscio per ripeterle: - Non tornerà prima di notte; mi ha detto cosí. - Sí, sí; aspetterò. Chi sa? Potrebbe tornare anche prima -. E ricascava, abbandonata, nell'angolo di canapé dove s'era buttata arrivando. Si sentiva precipitare tuttavia giú, giú, giú, in fondo all'abisso senza luce; e non aveva altra sensazione. Quella vertigine della testa, del cuore, di tutta la persona, le impediva di pensare, d'accorgersi degli oggetti circostanti, di formarsi un'idea netta del tempo che passava, e dell'enorme pazzia ch'ella commetteva restando là. A intervalli, la nebbia fosca della sua mente veniva solcata da un chiarore; un quadretto dalla cornice dorata, un oggetto di porcellana con una punta di luce viva, un'impugna tura di fioretto appariva su la parete in un canto del salottino, e le spariva sotto gli occhi appena ella tentava fissarli. Soltanto allorché sentí domandarsi: - Vuole che accenda il lume? - soltanto allora si riscosse, atterrita: - Ditegli che ho aspettato finora e che ... non tornerò piú! ... Soffocava. E andò via, ritta su la persona, come fantasma, mentre la vecchia le faceva lume. Cosí montò le scale di casa; e cosí, come fantasma, senza esitare, passò davanti al marito che le aperse e non ebbe la forza di dirle nulla, e richiuse lentamente l'uscio dietro il quale era stato ad attenderla da parecchie ore, bevendo le lagrime che gli irrigavano il viso sconvolto, in agguato per scannarla, com'era suo diritto, come si meritava questa sgualdrina, ora ch'egli sapeva tutto! ... - Oggi la signora ritarda ... - Rientrando, gli era parso d'aver capito male. Il suo istinto geloso s'era subito svegliato: - Oggi? ... - Credevo che il signorino sapesse ... - disse la serva, spaventata dal tono di quella domanda. - So, so: le altre volte però è tornata sempre piú presto ... - Sempre. - Tutti i giorni? ... - Nossignore; una, due volte la settimana. - E ... da quando? ... Da quando? - Ma, se il signorino lo sa ... - Rispondi! Da quando? - Da quattro mesi, forse ... Non ricordo bene ... Oh, vergine santa! - Da quattro mesi! ... Da quattro mesi! Una, due volte la settimana! ... - Ogni esclamazione, era lampo di vivissima luce che gli rischiarava il cervello; era scoppio di fiamme avvolgentisi al corpo che intanto sudava diaccio ... - Da quattro mesí! ... Due, tre volte la settimana! ... - E i minuti passavano, e i quarti d'ora passavano, via via, sul quadrante dell'orologio a pendolo dov'egli teneva fissi gli occhi; e le ore squillavano pel salotto lentamente nell'attesa mortale, quasi annunziassero un'immensa catastrofe! ... - Meglio per lei, se il mondo finisse prima di rimettere il piede in casa, in questa casa insozzata dalla sua infame persona! ... Ecco perché rifioriva! ... Ecco perché cantava! ... E la gelosia non mi ha servito a niente! ... Balordo! Balordo! - E i minuti passavano, eterni come quarti d'ora! E passavano, via via, gl'interminabili quarti d'ora che sembravano secoli! La serva aveva sentito suonare con violenza ... - Prendi il tuo fagotto ed esci da questa casa, subito, subito, ruffiana! - Vergine santa! Che dite mai, signorino! - Esci! Esci, ruffiana! - E spintala con un urtone fuori dell'uscio, facendole sbalzare in terra il fagotto, aspettò. S'aggirava dietro l'uscio, simile a tigre pronta a slanciarsi, assetato del sangue della infame. La bimba, accorsa con la serva, non avendo mai visto il babbo cosí infuriato, era andata a rincantucciarsi nel salotto, impaurita; e, poco dopo, s'era addormentata su la seggiola, con le gambette spenzolanti e la testina cascata sul petto. Carmelina la guardò, ebete; e sbarazzatasi convulsamente dello scialle e del cappellino, si rovesciò su la poltrona. Gli orecchi le rintronavano d'un sinistro rumore di case crollanti. - Dove sei stata? Dove sei stata? ... - Alla stretta di quelle mani piú fredde e piú forti dell'acciaio e che le stritolavano i polsi, ella cacciò un grido: - Ammazzatemi! ... Avete ragione! ... Ammazzatemi! - E fissava con avida angoscia qualcosa che gli aveva visto luccicare fra lo sparato del panciotto. Le tardava di morire. Per che doveva piú vivere? Ma colui si strappava i capelli, ma colui le si rotolava ai piedi, mugolando il nome di lei. E quand'ella credette alfine che le si slanciava addosso per ucciderla, si sentí brancicare, amorosamente, su i capelli, su la faccia, per tutta la persona; e si sentí furiosamente baciare e ribaciare, fra singhiozzi e lagrime irrompenti, quas'egli avesse voluto riprendere quel che gli era stato rubato: la sua vita, il suo sole, la sua donna adorata! - Come hai potuto, infame? ... Come hai potuto? ... - Non lo so ... Non lo so ... - Alle incalzanti domande ripeteva sempre: - Non lo so ... - Ma pensava a quello sguardo diaccio diaccio, di persona malefica, incontrato per le scale della sua casa, a Catanzaro. A un tratto Lupi si rizzò in piedi: - Lisa, Lisa! - La bimba, riscossa piú dall'urto del braccio che da la voce soffocata del babbo, spalancò gli occhi e saltò giú mal desta, lasciandosi trascinare. In quel punto l'istinto della vita scattò nel seno della madre disgraziata, quasi voce che gridava aiuto dalle viscere sussultanti; e vedendo il marito che trascinava quell'altra creatura, dicendo con voce cavernosa: - Guarda; dovrai ricordartene; guarda! - gli si levò incontro, tendendo le braccia supplicanti. - Per quest'innocente che ho nel seno! La bimba vide luccicare una lama e poi sua madre ripiombare, stravolgendo gli occhi fino al bianco ... - Mamma! Mamma! - gridò senza comprendere niente in quel momento. Mineo, 10@ 10 novembre 1883@. 1883.

Quel paesaggio non slontanavasi forse abbastanza pei suoi sguardi e pel suo cuore. Forse il posto non aveva un aspetto tanto diverso da qualch'altro che ella avrebbe voluto dimenticare. E cosí, mentre il piede s'inoltrava lesto, potrei dire affrettato, lungo le viottole o fra l'erba, la sua anima fuggiva, fuggiva chi sa dove e parlava agitata con s e stessa. Le labbra infatti le si atteggiavano di quando in quando a un che da non potersi dire né un sorriso, né un'espressione di rabbia o di sdegno: qualcosa di straziante, d'immensamente doloroso; un pianto (sicuro, era proprio cosí) un pianto dell'anima. E intanto gli occhi brillavano a volte, lampeggiavano, parlavano quasi allo inverso. Io la guardavo stupito - Strana la vita! - esclamò ella ad un tratto - Due che poche ore fa erano perfettamente sconosciuti l'uno all'altra, si trovano ora vicini, ospiti della medesima casa, in via di diventare forse amici. Domani la fatalità che gli ha riuniti li sbalzerà di nuovo per lati opposti, e verrà dí che torneranno ad incontrarsi senza nemmen riconoscersi. - Impossibile questo! - risposi. - La vita ha cose peggiori! - soggiunse tentennando il capo. - Badi qui; mi dia la mano. Eravamo all'orlo di un ciglioncino ch'ella voleva saltare. La sua manina fremette nella mia mano come colta da brividi, e la lasciò quasi subito. In questo punto due farfalle ci passarono davanti l'una inseguendo l'altra. Ella fermossi e, proprio stizzita, diessi a sparire coll'ombrellino quella che pareva inseguisse, il maschio probabilmente. - Rissa di amore! - diss'io. - Dica violenze - rispose, - violenze del piú forte. - S'intende, l'amore è una divina violenza: per questo è una gran cosa -. Guardommi con tal cipiglio che non potrò mai dimenticare. Parve meravigliata osassi ragionar dell'amore; me ne rimproverava cogli occhi. - Ho detto male? - richiesi. - No; ... che vuole che io ne sappia! - rispose correggendo coll'esitazione quel suo primo slancio - Solamente ... - Prego, parli - Solamente (badi, ve', è una mia opinione) io credo che gli uomini non abbiano diritto a discorrere d'un sentimento che non possono mai provare. - Non possono? - Certo. L'uomo non ama, fa all'amore. - È una distinzione troppo sottile - Ma verissima. Noi donne ... - Giusto quel che volevo domandarle! - Noi donne invece, una sola volta in vita nostra (non piú) noi amiamo davvero. Pel resto, noi non si fa mica all'amore; viviamo dei bricioli di quel primo banchetto della vita. Se gli uomini se ne persuadessero! Già spesso non ce ne persuadiamo neanco noi stesse. - È la teorica del primo amore portata all'eccesso - osservai ridendo. - S'inganna - rispose - Ciò che comunemente dicesi il primo amore è una sensazione quasi animale, istintiva, e può indefinitivamente prolungarsi per diversi stadi della vita. Frequente è il caso che parecchi uomini nel cuor d'una donna rimangano, l'un dopo l'altro, sempre un unico primo amore. Creda, la donna è capace del vero amore soltanto nella pienezza del suo sviluppo, dai vent'anni ai venticinque. - Quanta poesia ella mi ammazza! - E c'è peggio - continuò con arguta malizia - Non tutte le donne possono amare: fra cento, appena due! - Qui bisogna intendersi - dissi - sul preciso significato che si dà alla parola. - È un significato che non si spiega, s'intuisce. Noi donne lo comprendiamo quasi tutte. Che discorsi, non è vero? Mentre si ha dinanzi gli occhi una cosí bella campagna, con questa magnifica giornata, con quell'usignuolo tra i pioppi che gorgheggia divinamente! - E corse, mutata d'un subito, alla fonte lí presso. Il capelvenere rivestiva per intero la rozza muratura fatta a proteggere l'acqua dalle frane della collina; gli acanti vi crescevano rigogliosissimi alla base colle loro larghissime foglie frastagliate, riverse a guisa di capitello; e i lati venivano protetti da una siepetta di rovi fra cui si erano intrecciate certe campanule a fiori bianchi e grandi che non so come vengan chiamate dai naturalisti, né mi importa saperlo. - Com'è bello qui! - disse; e tuffò nell'acqua le mani per spruzzarsi un pochino il viso con bizzarria fanciullesca. Avessi tu visto che incanto! Che capolavoro di quadretto non avrebbe potuto farsi con quel piccolo sfondo verdeggiante e pieno di ombra e la sua gentile personcina ritta in piedi innanzi la fonte, cogli occhi chiusi e il capo riversato all'indietro, nell'atto che riceveva la fresca e cara impressione dell'acqua spruzzata! Meravigliato piú che curioso, fermato a dieci passi di distanza, io domandavo intanto a me stesso: - Ma chi è costei che cita Shakespeare in inglese, ragiona dell'amore con tanta sottigliezza, e prende in affitto il quarto d'una villa dove sa doversi trovare sola a solo con un uomo ch'ella ha visto ora per la prima volta? Non sapevo che rispondere. Vi era tanta semplicità, tanta franchezza in quel suo fare, dirò anche tanta imprevidenza, che invece di sospettare qualcosa intorno a lei, io provavo verso la b ella creatura un sentimento di rispetto e di tenerezza quasi protettrice, e la ringraziavo in cuor mio. Questo sentimento somigliava l'impressione provata alla lettura di una di quelle serene e meravigliose pagine che Omero fra gli antichi e Goethe fra i moderni ebbero, quasi soli, la fortuna di poter scrivere: né piú, né meno. Infatti, per una strana associazione d'idee, io mi sentivo mulinare nel cervello: Come vider venire alla lor volta La bellissima donna i vecchion gravi Alla torre seduti ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ... Essa all'aspetto Veracemente è Dea! E ci mancava poco non mi stizzissi di quella pedanteria fuori stagione. - Fuori proposito, anzi! - riflettevo alle dieci di sera, quando ella si era già ritirata nelle sue stanze, ed io appoggiato sul davanzale della finestra, col sigaro acceso, riandavo i menomi avvenimenti della giornata. Poco prima avevo visto lí, sullo spianato, la famiglia dei fittaiuoli mangiar la minestra all'aria aperta; gli avevo sentiti calmi e alla buona ragionare di bestiame, di agli, di polli, di grano turco, di una piccola tirchieria del padrone, di tutto il lor mondo. E osservando la massaia belloccia un tantino, pulita, di un carattere mite e sottomesso, ero stato naturalmente tratto a confrontare le due vite, quella della Fasma e di lei, le due anime, i due cuori. Che differenza! Che sproporzione! E le mie sim patie non erano mica per la massaia, la donna all'antica, ma per la nervosa, per l'agitata, per la tormentatissima Fasma. Ecco perché dicevo che i versi di Omero mi eran venuti in mente a sproposito. Tra Elena e Fasma non ci scorgevo rapporto di sorta e irriverentemente concludevo: - Elena! Elena! È la massaia! - Suonava la mezzanotte all'orologio di Empoli che nel silenzio notturno si sentiva benissimo fin là. Quei cento tocchi picchiati e ripicchiati cosí solennemente che dominavano cupi e lontani lo stormire delle frondi, il canto di alcuni grilli e il gracidare di qualche rana, accrebbero il senso d'indefinita malinconia e di sconforto, la quasi voglia di piangere che mi opprimeva in quel punto. Quel fantasma vivente ne aveva già richiamati due altri che da un pezzo non mi si erano piú presentati alla memoria, o, se si erano, n'erano stati facilmente scacciati via. Ricordi lontani e recenti, immenso tesoro di aurei sogni, di grandiose speranze, di desideri ardentissimi, di dolcezze, di possessi, di dolori, di smanie, di disperazioni, quanto aveva insomma influito piú che ogni altra cosa sulla mia vita, e modificato l'anima e il cuore con indelebile stampo; tutto mi si era rimescolato nella memoria dietro quei due fantasmi di donne! - E questo qui? - mi domandavo inquieto E tornavo a fantasticare, a creare colla rapidità dell'elettrico dei veri romanzi onde spiegarmi l'enimma della giovane donna che forse, certo fantasticava alla sua volta tre stanze piú in là della mia - L'amerò? - insistevo finalmente a domandarmi - l'amerò? E facevo e rifacevo un rigoroso esame di coscienza; però conchiudevo sempre di no. Non sapevo capirlo; ma c'era un che da cui mi veniva interdetto il sentimento preciso dell'amore: una forza repulsiva, un fluido misterioso (benefico o malefico, chi avrebbe potuto giudicarlo?) che mi teneva, come suol dirsi, a rispettosa distanza da lei. Ed io ora mi consolavo di questo, ora me ne sentivo un po' offeso; infine avevo trent'anni! Il giorno dopo ella volle dei libri. Li scelse da se stessa, l'Ernesto Maltravers del Bulwer, i Nouveaux contes fantastiques del Poe, tradotti dal Baudelaire (due libri agli antipodi l'uno dall'altro) e stette quasi tutta la giornata nella sua stanza, ove io non osai andare a disturbarla. Però dal finestrino di un piccolo andito potei, non visto, osservarla a lungo: leggeva a sbalzi. Sdraiata sur una poltrona, si lasciò due o tre volte cadere il libro di mano e non lo riprese che dopo un pezzo. Era il libro che slanciava quell'anima irrequieta dietro le visioni del passato, o incontro alle incerte nebbie dell'avvenire: o non aveva esso tanta potenza da impossessarsi completamente dell'attenzione di un cuore rigoglioso e travagliato dalla stessa sua forza, che pur tentava forse dimenticare il passato, forse dominare le fatalità del futuro? A volte ella si levava, con uno scatto, da sedere; passeggiava su e giú per la stanza, ora rapida, ora lenta; poi si fermava colla testa bassa, colle braccia alzate in avanti e le mani aperte, quasi avesse voluto impedire a certi ricordi di accostarsi alla sua memoria, e restava in quell'atteggiamento per piú secondi; indi rimettevasi a leggere. Verso le quattro pomeridiane scese in giardino e diessi a ripulire i fiori, ad annaffiarli, facendosi aiutare dalla fittaiuola. Mi affrettai a raggiungerla e fui molto sorpreso di non trovarle sul volto nessuna traccia di quell'agitazione interna della quale ero stato spettatore (per quanto dalle umane azioni si possa indurre con certezza i sentimenti e i pensieri). La sua fronte era serena, d'una serenità verginale, illuminata dal tranquillo splendore della pupilla e da quello del suo sorriso; giacché il suo sorriso ora splendeva ed ora scintillava: almeno a me mi faceva quest'effetto. Vi era nel suo gesto una calma gentile; e dal suono della sua voce erano affatto sparite quelle vibrazioni tremule, imperiose, che davano alla parola un'espressione altiera, imponente, efficacissima. - Questi poveri fiori! - disse vedendomi: - perché farli nascere e poi lasciarli morire di sfinimento? - Crede ella che si accorgano di soffrire? - risposi. (La fittaiuola si era allontanata per riempire d'acqua l'annaffiatoio) - Non lo so - replicò - ma infine non mi pare una bella cosa. Io però ritengo che tutto soffra nella natura quando gli vien meno ciò che dovrebb'essere il suo alimento, il suo sostegno; l'anima, come il sasso: non vive ogni cosa? - Sí; ma non ogni cosa ha la coscienza di vivere. - Soffre meno forse; ma noi, per questo, restiamo meno cattivi? E continuò attentamente, con pazienza proprio materna, a levar via qua delle foglione riarse, là delle erbucce parassite; qua a smuovere la terra, lí ad accostarla piú al ceppo, rimondando, ripulendo, strappando; e i fiori pareva la ringraziassero quando il venticello gli agitava. - Sa? - riprese dopo un pezzetto; - ho dovuto dire una bugia. - Grossa? - feci io, sorridendo. - Piccina, a dire il vero. La fittaiuola mi ha domandato come non avessi, benché sua sorella, l'accento toscano. - Va'! Le bugie hanno le gambe corte. Ed ella ha risposto? - Lo supponga. Sono stata lungamente fuori casa, maritata in Piemonte. Son vedova adesso. - Una bugia veritiera? - Ecco! - esclamò con gesto di rimprovero - lei rompe i patti. Ieri sera si fissò che nessuno dei due dovesse chiedere all'altro indicazioni di sorta sul passato; dovremmo prenderci per quel che si apparisce, due piovuti dalle nuvole. - Ha ragione. Mi mordo la lingua -. Quest'incidente bastò per turbarla. Lasciò in asso i suoi fiori, portò una mano alla fronte e voltommi le spalle avviandosi a manca, pel piccolo viale delle acacie. Fatti alcuni passi però si rivolse addietro e mi chiese: - Non vuoi venire? Passarono cosí parecchi giorni senza che il mistero di quella donna si chiarisse per nulla, ma non senza che la nostra famigliarità non divenisse piú intima e piú espansiva C'era in quel carattere un po' del giovinotto e del virile, mescolato a quanto di piú finamente femminile possa trovarsi in una donna; ed io a poco a poco avevo, conversando, perduto il ritegno di toccare con lei certi soggetti scabrosi. Ci mettevo, è vero, tutta la delicatezza, tutto il pudore possibili; ma ritenevo anticipatamente ch'ella non avrebbe mai fatto la contegnosa fuori proposito. Mi pareva all'inverso, che il suo carattere elevato la dovesse difendere da qualunque bassezza. Infatti non c'è che le donne nobili di cuore e di mente per non arrossire di nulla in conversazione e tollerar quasi tutto. Dopo due settimane ella veniva piú frequente nella mia stanza. Era un raggio di sole! Un nugolo di sentimenti vaghi ed incerti, di desideri confusi ed inestricabili, di dolcezze indovinate e non assaporate, le quali si eran lasciate dietro la smania di gustarle fino all'ultima goccia, turbinava, turbinava a guisa del pulviscolo dell'aria in quel soavissimo raggio, ed io me ne sentivo rischiarato fin dentro i piú ciechi nascondigli del cuore. Ella si affacciava sorridente, esitando; spesso rimaneva a lungo fermata sull'uscio e poi si slanciava nella stanza con un piccolo salto. Voleva non mi levassi da sedere, né lasciassi l'occupazione che avevo per le mani; ed ora veniva a guardarmi a scrivere o a leggere e si appoggiava alla spalliera della mia sedia per dar un'occhiata al libro in lettura; ora andava attorno lesta come una rondine, mettendo in assetto ogni cosa, garrendomi del disordine seminato dappertutto. - Facciamo un po' gli uffici di buona sorella! - diceva ridendo; e la luce del suo sorriso, direi anche il profumo della sua persona restava impresso e attaccato su qualunque oggetto ella toccasse. L'orma del suo piedino mi pareva vederla luccicare sul pavimento come del fosforo stropicciato. - Sa - le dissi un giorno - che io finirò coll'innamorarmi pazzamente di lei? - Non ha ancor cominciato? - rispose; - sarà troppo tardi! - Per amare non è mai tardi - replicai un tantino punto sul vivo dal suo tono frizzante. - Faccia presto, per carità! - continuò sullo stesso tono. - Ma è proprio cattiva! - esclamai. - Anzi troppo buona, mi pare. Cred'ella d'avermi fatto un bel complimento dicendomi che finirà coll'innamorarsi pazzamente di me? Quando un uomo non s'innamora, cioè, non sente la voglia di far all'amore a prima vista; quando può rivedere una donna, parlarle impunemente per due settimane e dirle infine scherzando: "Quasi quasi commetterei la sciocchezza di far all'amore con lei!" pretenderebbe forse che la donna gli dovesse rispondere: "Oh, grazie!" e gettarglisi al collo? Siete capaci anche di questo voial tri! Si metta in collera, via! - Rimasi di stucco a quest'uscita. Ella si accorse del mio imbarazzo, e mutando intonazione, mentre rassettava sul tavolo le carte ed i libri, continuò senza guardarmi: - Stia tranquillo; non mi amerà! - E la sua voce tremava alquanto. - Chi glielo assicura? - feci io, rinfrancato. - Il mio cuore - rispose - Se non avessi questa certezza, capisce?, non rimarrei qui -. La sua gaiezza sparí ad un tratto, e poco dopo ella andò via dalla mia stanza, piú che stizzita, turbata. Quai ricordi, quai dolori, quali passioni le avevo destati nell'anima con quelle parole? N'ero tanto piú dispiaciuto, quanto piú convenivo ch'ella avesse ragione. Non l'amavo; era cosa certa: non mi sentivo tratto ad amarla. Avevo sbadatamente parlato a quel modo. Ella mi piaceva immensamente, mi inspirava un rispetto illimitato, misto ad un senso di compassione profonda: qualcosa che so io? di religioso, di superstizioso, di fanciullesco; amore, no di sicuro. Perché? Ecco il problema che non mi era riuscit o di risolvere, e me lo ero messo innanzi piú volte. Avrei dato un occhio perché fosse stato diversamente. Vanità, sciocchezza o altro, mi attristavo di non amarla e di non esserne riamato. In quel cuore (non occorreva un gran sforzo) scorgevo sepolti inestimabili tesori di affetto, d'ingenuità, di sacrifici, di pudiche debolezze, di care fantasie, di nobili sdegni, di tenerezze quasi violente; non mancava uno solo di tutti i divini elementi onde la natura e la civiltà traggono fuori la sublime creazione de lla donna moderna: e mi pareva di doversi ritenere per fortunato davvero chi avesse potuto dire con piena coscienza: "Quel cuore mi appartiene!" Perché non dovevo esser io? E se non l'amavo, non avrei potuto amarla fra qualche giorno, fra una settimana, ed esserne riamato? Il cuore intanto, testardo! rispondeva sempre di no. Ella però dimostrò, nei giorni appresso, voler quasi compensarmi di questa privazione con un mondo di gentilezze, di attenzioni cortesissime e cordiali che avevano il lor pregio e soddisfacevano in alcuni momenti le piú strane esigenze dell'amor proprio. Potei sorprendere nei suoi sguardi, nel suo accento, nei suoi discorsi certi lampi di abbandono inusitati, involontari, che mi diedero i brividi. Giacché a volte, curiosa questa! provavo paura di essere amato da lei. La sua forza mi avrebbe sopraffatto; non sarei piú rimasto lo stesso! E rifuggivo da un amore in tal guisa. Avrei, all'opposto, voluto foggiarla a modo mio: cosí soltanto potevo meglio assicurarmene il possesso. Ma era un'assurdità! Pure! D'allora in poi ripetetti piú volte quel "pure!" pieno d i tante cose; mi lasciai lusingare. La vedevo di giorno in giorno venir a me con delle concessioni piú larghe. Erano atti, gesti, occhiate, bizzarrie, motti lanciati a mezzo, che indicavano evidentemente un segreto lavorio del suo cuore, un'effervescenza che non poteva piú venire padroneggiata dalla sua energica volontà; qualcosa piú forte di lei. Ma quando mi ero illuso un pezzetto, mi accorgevo da lí a poco che avevo torto. Il segreto lavorio, l'effervescenza, l'abbandono erano dei fatti da non potersi negare; ma tra questi sentimenti e la mia persona non ci scoprivo finalmente relazioni di sorta. Intravvedevo un sottinteso; ero, che dire? Un pretesto. E siccome sentivo avvilirmi troppo da quest'idea, correggevo: un capriccio. Ci scapitavo in tutti e due i casi e tornavo di bel nuovo, e di proposito, a illudermi. In alcuni momenti il suo fascino diventava proprio immenso. Sentirmi avviluppare e compenetrare da quella malia era una delizia indicibile che, sopratutto, veniva dal suono della sua voce molle, velato, con la greca rotondità vantata da Orazio, che io non avevo capito fino a quel punto: la quale non era soltanto nel suono delle parole, ma nelle cose ch'esse esprimevano, in un'armonia che non si apprende. E poi quel suo carattere a sbalzi! Quei passaggi inattesi! Quei contrasti cosí strani che pur riuscivano cosí naturali, perché venivano da lei! Io mi stancavo a seguirla in tutte queste rapide trasformazioni, in tutti questi nuovi e sorprendenti avatara del suo cuore ch'ella spiegava forse ad arte innanzi i miei occhi sbalorditi, e mi davano le vertigini. Non c'ero abituato; scotevano troppo e, infine, perché? Non dovevo piuttosto rimanermene passivo, indifferente, in guardia (se cosí volevo) e lasciar fare? Non provavo anche in tale situazione un piacere squisito? Che andavo di piú cercando? Ma il "pure!" ecco, veniva a galla insistente; il filtro della Fasma operava. Le mie illusioni diventavano piú lunghe, piú frequenti; non osavo toccarle con la punta di un dito per tema di non vedermele volar via a stormo, come degli uccellini spauriti. Ella mi guardava in un modo! Mi sorrideva con tal'espressione! Finalmente non ero mica di marmo! L'illusione fu completa. Mi credetti amato davvero! Chi non l'avrebbe creduto? Un giorno ella venne nella mia stanza, col volume del Poe. Scrivevo una lettera di affari; la pregai mi scusasse. Appoggiossi al davanzale della finestra, colle spalle rivolte alla campagna, e continuò la sua lettura. Di tanto in tanto non potevo far a meno di levare gli occhi dall'uggiosissima lettera per contemplare quella bella figura illuminata dai lievi riflessi della luce che venivano di fuori. Una o due volte i nostri sguardi s'incontrarono: sorridemmo a vicenda. Quand'ebbi terminata e suggellata la lettera, la Fasma mi parve talmente assorta nel libro, che non volli disturbarla. Stesi la mano ad un volume arrivatomi fresco fresco la sera innanzi, l'Eva del Verga, ripresi anch'io la lettura interrotta e fui legato alla mia volta Quel volumetto, si sa, proprio divora il lettore: ella me ne aveva parlato Ma in quel punto le mie sensazioni non provenivano soltanto dalla schietta bellezza del libro. L'imaginazione traduceva, interpretava, a modo suo quelle pagine appass ionate. Eva e Fasma si confondevano bizzarramente: non le discernevo piú. L'opera dell'artista toglieva ad imprestito dalla realtà; la persona vivente dall'opera d'arte; e qualche volta sparivano tutte e due perché io le avevo lasciate chi sa dove? molto indietro, e mi ero lanciato alla ventura entro una vaporosa immensità tutt'ombre e splendori, tutta musiche e profumi, l'immensità dei sogni ad occhi aperti, e stentavo a rivenirne. Infatti non mi accorsi che la bella Fasma si era pian pianino accostata e che, posatami leggermente una mano sui capelli, china col viso fin sulla mia spalla, osservava curiosa qual libro leggessi. - Eva! - esclamò con stizza improvvisa, strappandomi il libro di mano. Il libro, sfogliandosi tutto, era volato in un canto. - Perché? - chiesi stupito. - Perché quel libro è cattivo! - Credetti accennasse al falso concetto della moralità di un'opera d'arte che è in voga fra noi. - Sono forse una ragazza? - le domandai ridendo. - Non dico questo - rispose - È cattivo perché quell'Eva par viva e commove ed interessa e si fa amare come a una vera donna riesce di rado. Che infamia è l'arte! Possiamo noi entrare in lotta colle sue creazioni, con la sua potenza che spoglia la realtà da ogni triviale bassezza, da ogni accidentale stonatura e la rende immortale? Ma, quando vi siete montati la testa con tali visioni degne dell'oppio e dell'haschich, che ci rimane a noialtre infelici colle nostre debolezze, colle nostre miserie? Come ispir arvi interesse, compassione, amore? È una lotta disuguale: la donna colla Dea, e la povera donna soccombe! Che infamia è l'arte! Per un minuto di effimera consolazione spreme anni intieri di pianto. Il suo male non è ciò che dice, ma quel che non dice e costringe a supporre e a indovinare. Allorché questa morbosa facoltà si è sviluppata (e la si sviluppa tosto) il suo potere non ha confini; l'ebbrezza stimola all'ebbrezza. Quelle raggianti figure ch'essa evoca col potere della sua magica bacchetta passano g loriose e trionfanti innanzi ai vostri occhi e li fanno tremolare di sensazioni vivissime. Che siam noi rimpetto ad esse? Volgari, meschine, spregevoli ombre e, sopratutto, noiose, noiose all'eccesso! Qual terribile confronto! Ecco; ella guarda ancora il libro buttato lí e tenta, forse, ricostruirsi l'illusione che gli ho rotta. Ecco; non mi bada nemmeno! - Ma no! - esclamai, levandomi dalla sedia e tentando di trattenerla per la mano. Era scappata via come un lampo. Dapprima, lo confesso, avevo creduto scherzasse; ma dall'accento compresi a un tratto ch'ella diceva davvero. Divenuta pallidissima, le sue labbra tremavano agitate, frementi: già pareva fosse lí lí per dare in uno scoppio di pianto. - Mi ama! - dissi con superba compiacenza; - gelosa fin di un fantasma! Nessun critico aveva fatto a quel libro un elogio di tal sorta. Mi lasciai tutto di un pezzo cader sulla seggiola e stetti lí chi sa quanto! Assaporandomi a centellini la sublime scoperta. Perché intanto non l'amavo anch'io? Verso le cinque pomeridiane cadde quel giorno una delle solite pioggerelle del maggio, e l'aria ne rimase cosí rinfrescata da non permetterci affatto la nostra passeggiata serale. La bella Fasma, del resto, non si fé' mica viva. Volevo questa volta picchiare due colpetti al suo uscio (omai me ne riconoscevo tutto il diritto); pure non mi parve conveniente: montai sulla terrazza. Il vento aveva disperso qua e là le nuvole che, ridotte leggiere e trasparenti come tante ondate di fumo bianchiccio ai raggi della luna, facevan l'effetto di slontanare piú e piú l'azzurro cupo del cielo seminato di stelle. Dai prati attorno levavasi un fresco sentore di humus piacevolissimo, una vera sensazione della vita della natura, la quale pareva godesse coi suoi mille esseri affollati pei campi e pelle colline i dolci sogni della sua lieta giovinezza, dei veri sogni di amore. La campagna infatti spi egavasi lí innanzi scura, con ondulazioni diverse, con linee larghe, con masse immense, imponenti, nel fondo. Era come accovacciata e ripiegata su se stessa; rifiatava appena, sotto una pioggia di pulviscolo argentato cadente dall'alto quasi a proteggerne il sonno Stetti lí circa fino alle due dopo la mezzanotte, col capo scoperto, incurante del freddo e del sonno, incurante spesso anche di pensare; immerso nell'onda dolcissima di un piacere senza nome, di una sensazione tiepida, snervante, che finiva col tormi la coscienza del mondo e di me stesso; e la mattina ero in preda d'una fiera emicrania; tolleravo appena la piú debole luce; tenevo a stento gli occhi aperti. Mi ero, la notte, buttato vestito sul letto; e in tale stato ella trovommi verso le nove della mattina, quando, aperto lievemente l'uscio, chiese a bassa voce: - Si sente male? - Non ebbi la forza di darle subito una risposta; sicché ella accostossi premurosa sulla punta dei piedi al mio letto, e, vedendo ch'ero desto, tornò a domandarmi, questa volta: - Ti senti male? - Benché mezzo stordito capii la forza di quel "ti" e apersi gli occhi per ringraziarla con uno sguardo e con un sorriso. Nel tempo stesso m'impadronii di una sua mano e l'accostai alle labbra. C'era qualcosa di nuovo, di sorprendente in lei, come un'effusione, uno straripamento di affetto che si versava dalle pupille tremule e imbambolate di tenerezza. Non avevo mai udite tante carezze nel suono della sua voce, né mai veduto tanto abbandono nel suo gesto. - Ti senti male? - replicò per la terza volta con accento ognora piú affettuoso e piú carezzevole, chinando il viso presso il mio. Tenni chiusi gli occhi. Sentivo il tepore della sua pelle e il suo respiro, e non osavo rispondere per paura di rompere colla mia voce quell'incanto. La sapevo cosí bizzarra, e cosí strana! - È la mia solita emicrania - risposi finalmente per non tenerla piú sulla corda. - Hai medicine? - tornò a domandarmi. - Sí, ho preso il guarana. Passerà. Vorrei star peggio e averti sempre vicina! - soggiunsi dopo E ribaciai la sua mano. Ella mi posò lievemente le labbra prima sulla fronte, poi sugli occhi, poi sulla bocca (e qui ve le tenne piú a lungo) Fece cosí due o tre volte, sempre lievemente, toccando appena la pelle come per non farmi male. Io mi sentivo guarire. Non erano mica baci quelli lí, erano qualcosa di meglio; una dolcezza nuova, ineffabile che, se non mi guariva, mi avrebbe ucciso. Il dover ristorare, ravvivare i nervi sofferenti e intorpiditi dimezzò la loro potentissima azione, e fu bene davvero. La stanza era al buio. Verso la parte del letto veniva di rimbalzo la poca luce di mezz'uscio aperto e copriva tutta la sua persona, facendo luccicare le pieghe della sua veste di faglia nera con riverberi smorzati. Il suo volto specialmente era illuminato per intero; ma piú che da quella, pareva lo fosse da una luce sua propria, da uno sprigionarsi d'atomi brillanti dalla pelle e dagli occhi che le svolazzavano attorno. - Mi ami dunque? - le chiesi attirandola verso di me col braccio che le cingeva il busto Liberossi improvvisamente dalla mia stretta e balzò in piedi. Impaurito di quell'atto sorsi anche io sul sedere. Sorrise, mi porse le due manine, e guardandomi fisso in volto, con un'indefinibile civetteria che era nell'accento, nel sorriso, nell'atteggiamento, in ogni cosa, domandommi: - Che piú ti piace di me? - La bocca - risposi Aperse gli occhi quasi atterrita, lasciò cadere le braccia e ripetè macchinalmente: - La bocca! La bocca! - Era pallida: tremava. Io non capivo davvero. Che mai potevo aver detto di male? E per stornarla da quell'impressione mormorai nuovamente: - Mi ami dunque? - Dio mio! - fece ella portando, con acuta espressione di dolore, le mani al suo volto. E scappò via. - Fasma! Fasma! - le gridai dietro, ma invano. Avevo avuto torto. Che importava quella domanda? Non era anche troppo ch'ella mi facesse evidentemente capire ciò che io volevo confessato dalle sue labbra? Perché tormentarla? Perché quasi avvilirla innanzi a se stessa esigendo un'inutile conferma del mio trionfo? Fosse l'emozione o il guarana, l'emicrania era sparita. Saltai giú dal letto, apersi le imposte e la improvvisa inondazione della luce (il sole era in alto) mi giunse incresciosa. Colle ombre amiche e discrete parve s'involasse dalla stanza la miglior parte delle dolcezze poc'anzi provate, e quando colla superstizione di un contadino richiusi le imposte, credetti sentire dei lievi e ironici cachinni dietro i cristalli, al di fuori. Erano le fuggite impressioni che si facevano beffa di me. Mi son chiesto piú volte perché l'amore si compiaccia volentieri di ombre e di mistero. Dei sentimenti che tu hai tenuto lunga pezza nascosti, che ti son montati piú volte a fior di labbra e gli hai ricacciati indietro, sdegnoso persino di confessarli a te stesso, in un luogo appartato e privo di luce, ecco ti sgusciano dal cuore senza ritegno, senza che tu te ne accorga, e il cuore si sente come levar una macina di addosso. Affare di nervi o m'inganno! La luce irrita, mette in attività, distrae le cento forze dell'organismo, e l'amore, questo terribile autocrate, non può tollerare che una menoma parte dell'attività vitale sia impiegata altrimenti quando esso governa. Innamorati, cerchiamo perciò la notte con indomabile istinto. Un bacio dato allo scuro val piú di mille baci scoccati sotto i giocondi testimoni dei raggi solari. Una parola sussurrata senza che si veggano le labbra dalle quali ci viene, dice un mondo di cose che tu non trovi nella stessa par ola pronunziata di giorno da due labbra stillanti dolcezza. Consigliati forse da quest'istinto, la Fasma ed io ci evitammo, quel giorno, a vicenda. Le imposte delle nostre stanze rimasero chiuse; desinammo alla meglio, ognuno per proprio conto; ed io mi rimisi a letto e guardai per delle ore il soffitto, da cui mi brillava nella mente certo rosone di fiori stranissimi osservato altre volte, il quale intanto serviva di pretesto a dei soavi pensieri Levatomi dopo il tramonto apersi l'uscio e le imposte, attesi con impazienza di sentire il fruscio della sua veste nella camera attigua, e quando fu il momento sporsi fuori il capo ad interrogare l'espressione del volto di lei. Era di una tristezza rassegnata, una tristezza di amore però e di nient'altro; si vedeva. Le andai incontro, le strinsi la mano senza dire un sol motto; e indovinata la sua intenzione d'uscire all'aria aperta, le accennai si avviasse. - Che stupenda serata! - diss'ella scendendo lenta le scale. All'orizzonte il cielo somigliava un lago di purissimo verdemare con spuma di oro lucente Su quei spruzzi di nuvole, su quei vapori crepuscolari la luce del sole tremolava di mille riflessi sempre cangianti che smorivano chiari, con bellissimo effetto, sulle linee nette e frastagliate dei colli, e in alto con dei toni di azzurro sempre piú densi e piú cupi, di tale trasparenza e di tale unità da far disperare qualunque artista. L'aria agitata leggermente da un venticello vespertino, fresca, asciutta, profumata da odori indistinti, avviluppava il corpo e lo penetrava con una sensazione di ristoro efficacissima; lo rendeva una piuma. La campagna aveva sussurri, gemiti, mormorii, rumori vaghi, canti interrotti di galli, trilli sommessi d'insetti, agitar d'ali impercettibili, rosicchii continuati, affacendamenti misteriosi, abbaiare di cani, tintinni di campane di bestiami lontani; e poi quell'intiera, indefinibile, fremebonda corrente di vita da cui son legati assieme tutti gli esseri, per cui si sente il pensiero umano e nell'insetto e nella fronda e nella roccia immobile e tranquilla. Oh, c'era davvero piú di quanto occorresse! Le nostre mani, ricercatesi di accordo, si erano avviticchiate avidamente e si premevano forte. Procedevamo commossi cogli sguardi slanciati per l'immensa campagna, senza sentir bisogno di dirci una breve parola, fermandoci di quando in quando per scambiarci un bacio interminabile ch'ella era la prima ad interrompere, esclamando sottovoce: - Mio Dio! - Pareva che quella felicità la facesse soffrire. Io intanto avevo stizza di non soffrire a quel modo. Non ero evidentemente neppur felice a quel modo! Sopraffatta da un impeto di passione selvaggia, stordita, concentrata in sé, fremente per tutta la persona con spasimo lieve, ella lasciavasi in pieno abbandono delle mille sensazioni onde era dominata ed oppressa, anzi procurava di raddoppiarne l'effetto: e ciò che io chiamava soffrire ne era proprio il colmo, il loro estremo valore. Quel pieno abbandono, quel dimenticare me stesso a me, invece, non riusciva. Provavo un piacere dimezzato. Vedevo insistentemente la mia immagine sorridere ed agitarsi nel suo piccolo cuore: ma la vedevo preciso come un'immagine riflessa sul nero della camera oscura. Attraverso quell'immagine, che pur sembrava solida e vivente, ne passava sovente un'altra che non potevo discerner bene, la quale la avvolgeva, le si sovrapponeva formando una strana confusione, e infine le spariva dietro come se vi si chiudess e dentro e l'animasse e le desse il moto Appunto per questo ora non ripetevo piú la sciocca domanda della mattina. Le ombre cadevano fitte dal cielo: la terra dormiva. Gli alberi, le macchie, le erbe avevano già preso una figura molto diversa da quella del giorno. A dieci passi di distanza, l'aspetto delle cose assumeva sembianze fantastiche: la mente ne era un po' turbata, e l'occhio vedeva quel che non era, l'orecchio sentiva rumori strani e fuori natura. Un altro momentino, e le fate, gli spiriti, sarebbero venuti a volteggiarci sul capo, a turbarci, a impaurarci colle loro apparizioni improvvise. Provava anch'ella quest'effetto, e mi si stringeva al braccio con forza e girava attorno diffidente la testina e si fermava ad ascoltare. Ci eravamo dilungati troppo benché si fosse andati lentamente. Chi voleva accorgersi delle ore volate via? Andavamo incontro ad un gruppo di alberi che disegnavansi sull'orizzonte con forme immani e grottesche. Si sarebbe detto che dei mostri giganteschi, fermati ad attenderci lí sul passaggio, agitassero le teste orrende e digrignassero i denti. - Torniamo addietro: ho paura! - sussurrommi all'orecchio, appendendomisi al collo come una bimba. Questo bacio fu il piú lungo. Traversammo i campi da un'altra parte e prendemmo per far piú presto una scorciatoia. La fittaiuola, addormentata, ci attendeva a piè della scala. La mandai a letto ringraziandola e seguii la Fasma ch'era già nel salotto. Il sorriso con cui mi accolse fu qualcosa di sublime. Mi sentii come preso da un delirio veemente, e le corsi incontro e la levai di peso tra le braccia. Ella die' un piccolo grido e nascose il volto sulla mia spalla Credetti che qualcosa di eterno per la mia vita si fosse deciso in quel punto! E tutto tremante varcai, la prima volta, con essa in collo, la soglia oscura della sua stanza. La mattina dopo mi domandavo: - Ho sognato? Non trovavo il verso di persuadermi che quanto era accaduto fosse proprio una realtà. Certe volte non c'è cosa che paia piú impossibile del vero. Giú mi attendeva un ragazzo con una lettera da Firenze. Un urgentissimo affare di famiglia mi richiamava colà; potevo esser di ritorno la sera. Guardai l'orologio; mancava ancora tre quarti di ora pel passaggio del treno: giusto quanto occorreva ad arrivare in tempo alla stazione. Rifeci, stizzito, le scale onde avvertire la Fasma. Trovai il suo uscio serrato col paletto di dentro. La chiamai a nome; non rispose. Stetti ad origliare commosso. Mi era parso d'aver sentito singhiozzare. Possibile? E ritenni il fiato Non mi ingannavo. Veniva dalla sua stanza un suono di pianto represso, di grida soffocate, di singhiozzi interrotti. - Ahimè! - pensai, - questi passaggi repentini come debbono farle del male! - E picchiai, ripicchiai, tornai a chiamare piú volte. Nessuna risposta! Quel pianto, quelle grida smorzate a forza, continuavano sempre. Che fare? Il tempo stringeva. - Fasma! Fasma! - le urlai dietro l'uscio; - debbo andare a Firenze; sarò qui col treno di sera. Per carità, stia tranquilla! Mi risponda. Stia tranquilla. A rivederci! - Non avevo piú il coraggio di darle del "tu"! Nessuna risposta! - A rivederci! - replicai E rimanevo dietro l'uscio. Però dopo alcuni minuti mi parve sentire, o sentii davvero, una parola di addio. Corsero alcuni istanti di angoscioso silenzio. Il pianto a poco a poco cessò, cigolò finalmente il paletto e la Fasma apparve accanto all'uscio. Sorrideva, ma in viso le si vedevano chiare le tracce del suo dolore. - Che è stato? - le chiesi tremante. - Nulla! - diss'ella - È passato. Addio. - Tornerò presto; non posso far a meno di andare. - Addio! - ripetette con una monotonia di accento che mi trafisse l'anima. Evidentemente ella pativa a star lí. Mi decisi a partire. - Per carità, stia tranquilla! - replicai stringendole affettuosamente la mano. - Addio! - diss'ella per la terza volta e collo stessissimo tono. Affrettai di una corsa il mio ritorno. Eran le sette di sera. - La signora dov'è? - chiesi alla fittaiuola. - È già attorno da un pezzo - rispose quella donna con aria inquieta. Entrai nella mia stanza e non so perché gli occhi mi corsero subito al tavolo; c'era un foglio spiegato. Sentii stringermi il cuore da un tristo presagio! Non osavo accostarmi. Che poteva aver scritto? Finalmente presi convulso quel foglio e corsi subito alla finestra. Era una sua letterina. "Caro signore" diceva "non pensi male di me! Mi compatisca invece, mi compianga. Prima di buttarmi la pietra del suo disprezzo, ella dovrebbe conoscere tutta la storia del mio cuore e della mia vita, un'infelicissima storia. Non gliela posso dire; è troppo lunga; e poi, a qual pro? Non pensi male di me! Mi dimentichi: è meglio! Non osa domandarle altro la sua gratissima Fasma" Pensar male di te! Dimenticarti, divina creatura! Oh, potessi rivederla! Villa Santa Margherita, agosto 1874@ 1874

- Abbastanza tranquilla da poter riflettere, da poter osservare se stessa, da alcuni giorni, a intervalli, l'assoluta mutezza del suo cuore - cosí ostinata anche dopo che la sua ragione non aveva saputo resistere all'urto degli avvenimenti - l'assoluta mutezza del suo cuore la rendeva sgomenta. - E se durerà sempre cosí? - Le minute cure d'infermiera però sopraggiungevano sempre in tempo per riscuoterla e distrarla. Allora, seduta presso la finestra, a ogni svoltar di pagina del libro che teneva in mano, ella volgeva lo sguardo verso le colline dove le ville, biancheggianti tra il verde cupo degli alberi, parevano arrampicarsi qua e là, come agnelle disperse. E alla vista di quel cielo di limpida profondità azzurrina, e senza nuvole, che serviva di fondo agli svelti campanili e alle brune case di Fiesole; alla vista di quel m are di verzura steso dattorno, a perdita d'occhio, e che quasi gettava le sue ultime ondate lí sotto, a pochi passi, con gli alberi che proiettavano l'ombra sul viale polveroso, un'impressione di refrigerio al cuore la faceva sorridere d'ammirazione per quel gentile accordo di tinte. - Bello, eh? - egli le disse, vedendola guardare cosí intenta. - Andremo assieme lassú, la prima volta che mi sarà permesso uscir di casa. - Affrettatevi - rispose Giustina. - Siete voi che mi guarite, coi vostri occhi. Fate piú presto -. Quel viso di sofferente, su cui la barba lasciata crescere rendeva piú visibili il dimagrimento e il pallore, si rianimò luminoso. E stettero tutti e due un pezzettino a guardarsi senza dir altro; egli quasi ancora incredulo di quella non mai sperata o sognata fortuna d'amante, ella commossa da carità d'infermiera, che le soavi impressioni di quel momento rendevano piú viva. Poi quando all'orizzonte il cielo si tinse d'un rosso tendente al violetto, e i campanili, le cupole, le mura di Fiesole parvero di fuoco contro gli ultimi raggi del sole al tramonto, e il vasto mare di verdura diventò scuro scuro fra i vapori azzurrognoli che salivano lentamente nella maestà della sera, Giustina sentí una tristezza piú intima, piú straziante delle altre volte, di creatura vigliaccamente abbandonata da tutti; e rimase a lungo con la fronte appoggiata ai cristalli, lasciando sgorgare di nasc osto le lagrime che le venivano su, proprio dal cuore. Il capitano intanto, dal suo letto in fondo alla camera, scoccava bacettini verso quella mezza figura di donna spiccante in nero sui cristalli della finestra, ai rossicci riflessi dei fanali di fuori. Giustina si sentiva assai meno tranquilla ora che il ferito rifioriva, ora che gli era permesso di muoversi, sedersi sul letto, e parlare. Egli l'attirava dolcemente, con tutte e due le mani, verso la sponda: - È vero? ... Siete proprio qui? - E in quell'accento pieno di carezze si sentiva il primo sfogo della gioia dovuta comprimere e soffocare durante i penosi giorni della convalescenza. - Vi ho fatto molto male ... Perdonatemi. È stato senza volerlo. - Oh, non parliamo del passato! - Avete ragione; non parliamo del passato -. E la fissava con gli occhi raggianti d'affetto umile, rispettoso dinanzi a quella severa ritrosia che era d'imbarazzo per tutti e due. Oh, egli non aveva fretta! L'aveva amata due anni senza nessuna speranza, senza nessuna lusinga, inebriato dal filtro della gioconda serenità che le sorrideva nello sguardo, della gentile espressione di dolcezza e di pace che traspariva dagli irregolari lineamenti di quel volto bruno, ridondante di salute. - Vi ricordate dove ci siamo incontrati la prima volta? - No. - È naturale; mi guardaste appena: nel salotto della signora Pietrasanta. Suonavate qualcosa del Berlioz musica strana, e come non l'ho risentita da nessun altro. Da quel momento non ebbi piú pace. Che cosa amavo maggiormente in voi? Non avrei saputo spiegarlo. Amavo voi, tutta voi ... che intanto non potevate neppure soffrirmi! - egli soggiunse sorridendo. - No; v'ero grata, credetemi ... - Mi sarebbe bastato, se me l'aveste lasciato scorgere da un lieve segno. - Non volevo incoraggiarvi. Temevo, a ragione ... - Ed ora siete qui! ... Siete mia! ... Mi pare assurdo ... - Tentò di passarsi le braccia di lei attorno alla vita e cingerla con le sue; ma Giustina si trasse indietro. - Scusate ... Certi ricordi mi fanno ancora male ... - Dimentichiamoli. - Dimentichiamoli! - ella replicò con un sospiro. - Lascerete queste brutte stanze, - riprese Fasciotti dopo un momento di silenzio. - Troveremo un nido degno di voi, da vivervi senza soggezioni importune. Io verrò a trovarvi, discretamente ... - Ella lo ascoltava, intenerita di tutti quei bei castelli in aria ch'egli si compiaceva di fabbricare con giovanile prodigalità, rovesciato sul mucchio dei guanciali, tenendola per le mani presso il letto, esitante ancora di chiederle che questa piccola familiarità d'amico si mutasse, per grazia, in un bacio d'amante. La tenerezza di lei diventava però dispetto e fino rabbia contro se medesima, appena ella si sentiva rattrappire come piú la voce del capitano suonava commossa, come piú l'accento si turbava nella crescente effusione delle confidenze, come scoppiavano in quegli occhi i forti bagliori d'un desiderio rattenuto a stento e che già pareva spazientirsi. E scappava via con qualche pretesto, per abbandonarsi nella sua camera alla desolazione del proprio tormento: - Sono dunque di ghiaccio? ... Come mai non lo amo? ... Come mai resto impassibile di fronte a tanta delicatezza di passione che può chiamarsi eroismo? ... E durerà sempre cosí? ... No! no! - rispondeva spaventata. Avrebbe voluto fermare il tempo: - Se la convalescenza di lui fosse piú lenta! - Ah, diventava anche crudele! Quella mattina, scorgendolo in piedi in mezzo alla camera, ella trasalí, come davanti a un agguato. - Entrate, c'è qualcosa che vi aspetta - le disse Fasciotti, additandole il pianoforte verticale aperto tra le due finestre dov'era prima il tavolino. - Come siete buono! - Dite egoista - rispose andandole incontro. - È stato dunque per questo che mi avete costretta a fare una passeggiata? - Volevo farvi una sorpresa -. Ella resta sull'uscio, appoggiandosi su l'ombrellino, indecisa. Nella camera, tutta illuminata dai vivi riflessi del sole di giugno che splendeva fuori, qualcosa d'insolito e di sottinteso la metteva in diffidenza. Egli le porse la mano.. - È un Pleyel - disse Giustina avvicinatasi al pianoforte. - Molto da strapazzo. - Come la suonatrice. - Questo dovrà dirlo il pubblico: io. Sono inesorabile, sappiatelo! ... Dove siete stata? - Per la campagna, da questa parte. Lasciai subito la carrozza. Sono tornata a piedi ... Che giornata di paradiso! ... Ho rubato dei fiori per voi. - Grazie -. Ella guardava il pianoforte, tentata. La passeggiata per la campagna l'aveva scossa. Si sentiva per tutto il corpo un senso di freschezza e di leggerezza. Il fremito delle fronde e delle erbe al lieve alitare del vento, riprendeva a vibrarle dentro eccitato; e socchiudeva gli occhi, quasi ancora offesa dalla troppa luce, come poco prima sotto l'ombrellino, all'aria aperta. - A che pensate? - le domandò Fasciotti, vedendola immobile e silenziosa. - A niente -. Non era vero. Ella pensava al bel bambino veduto saltellare, a cavalluccio di un bastone, su la terrazza d'una villetta ... Pensava alla bionda signora vestita di stoffa grigia, e che sorrideva di gioia materna dinanzi al bel bambino saltellante ... Cosí aveva fatto anche lei, una volta! ... - A niente! - replicò. E per frenarsi, stese una mano su la tastiera del pianoforte, facendovi scorrere su, con scatto nervoso, le dita, quantunque impacciati dal guanto. Quelle poche note la punsero come colpo di sprone. Si tolse in fretta in fretta il cappellino e i guanti: - È il ringraziamento; compatitemi - disse. Appena il pianoforte cominciò a susurrare, a balbettare sotto voce, con suoni che s'interrompevano e si riprendevano, tremolanti, accarezzantisi fra loro, egli si allungò su la poltroncina, rovesciando indietro la testa, socchiudendo gli occhi, cedendo alla deliziosa sensazione che gli si rinnovava nel cuore. - Berlioz! - mormorò sorridente di riconoscenza. A un tratto, i bassi insorsero cantando un coro grandioso, che riempiva tutta la camera di mistica sonorità. Ed ella si rizzò su la vita, irrigidendo le braccia, quasi cercasse far ostacolo alle vibrazioni che sopraffacevano, squassandole i nervi, già tesi per lo sforzo di quell'esecuzione a memoria. Fasciotti si era levato lentamente in piedi, rapito, esaltato dalla voluttuosa frase musicale che in quel momento tintinniva e guizzava rapidissima sul cupo accordo insistente. A un tratto, le si avventò, divorandosela dai baci. - No! No! - ella balbettava supplichevole, quasi svenuta. E le corde del pianoforte ondulavano ancora fra l'incessante scoppiettio. Nell'immediato turbamento, aveva pensato fuggire e scrivergli: "Perdonatemi! ... Il sagrifizio è superiore alle mie povere forze!" - Ma, dopo? - aveva subito riflettuto. - Come ne godrebbero coloro che mi hanno dato la spinta! Prima tradí il marito; ora abbandona l'amante, e non ha aspettato neppur molto! Cosí direbbero, cosí. È orribile! Dunque una persona buona e onesta può diventar cattiva e miserabile anche quand'ella non vuole? E c'è chi grida: "La ragione! La ragione! ..." A che giova, a che mai, se non è buona a salvarci dall'improvviso accecamento d'un dispetto, se ci lascia addentare e stritolare da una circostanza che deci de, senza rimedio, dell'avvenire d'una vita? - E trambasciava al ricordo di quei baci, come a rinnovantesi offesa. - Che posso piú farci? ... È inevitabile. In un pazzo impeto, non son venuta a dirgli: "Mi accusano d'essere la vostra amante; e sia, almeno; eccomi qui!" Ah! Si era figurata che bastasse soltanto dir ciò, per diventare amante come tant'altre. Invece, la gentile raffinatezza dell'uomo innamorato che le stava attorno senza chieder nulla, appagandosi di poco, aspettando, paziente ... forse perché era sicuro; invece, quella gentile raffinatezza si mutava in martirio per lei. - Oggi andremo fuori insieme - egli le disse una mattina. - Cercheremo il vostro nido. Mi è stato indicato un bel posto. - Grazie. Voi pensate a tutto - rispose Giustina, sorridendo tristamente. - È per vedervi meno seria ... Mi sembrate cangiata. Dov'è andata la vostra bella serenità? Dove la tranquilla dolcezza del vostro sguardo? ... Non lo negate: siete cangiata. - Come potrei essere la stessa? - Non osavo dirvelo; per non importunarvi; ma io vi vorrei come prima. Vi ho amata a quel modo e, sí, vi voglio a quel modo! - Scendiamo -. Il cocchiere, per isbaglio, li menava lungo una strada di campagna, inoltrandosi verso Porta a Pinti senza ch'essi vi badassero. Quell'aria tiepida, smagliante di luce; quel rigoglio di fronde che traboccava fuor dei muri di cinta con lieta foga primaverile; quel cinguettio di uccellini nidificanti tra le siepi o inseguentisi su pei rami, pigolando d'amore; quella gioconda fioritura di erbe e di piante selvatiche che profondeva sui cigli e lungo i lati della strada tesori di ciocche pavonazze, di bocci ross i e bianchi, di calici gialli, violetti, sanguigni, turchini, aperti e tremolanti su gli steli o mezzi nascosti tra le foglie; quella gran pace sorridente all'ombra degli alberi o al sole, su i vigneti, sugli orti umidicci, su i seminati dalle spighe quasi bionde; ... oh, quel magnifico spettacolo essi non se l'aspettavano punto! E continuando a tenersi per mano, tacevano, distratti. - Via Lungo il San Gervasio? - domandò il cocchiere a un contadino. Bisognava tornar indietro. Fasciotti rise del contrattempo e disse: - Indovinate che pensavo? - Se fossi stata indovina! - ella rispose. - Pensavo ... No, non voglio dirvelo -. Giustina tacque. Le parve di veder lampeggiare in quegli occhi un affettuoso rimprovero meritato, e non volle mentire per iscusarsi. Le parve di veder lampeggiare in quegli occhi anche un'improvvisa fierezza d'amante risoluto di trionfare, come trionfava lí attorno tutta quell'irrompente forza di amor vegetale, ed ebbe paura di provocarla. - Siete muta oggi - egli le disse, vedendo che lo lasciava parlare senza interromperlo, o gli rispondeva con monosillabi. - Vi ascolto. Dite tante belle cose! - Ma il suo accento era triste. E al ritorno, scendendo l'ariosa via tracciata dalla nuova Firenze a piè dei colli fiesolani, sentendolo ragionare allegramente del grazioso nido trovato per lei nella palazzina al numero venti di via Lungo il S. Gervasio, sentiva un grande accoramento: - Quella carezzante allegria non era forse un'insidia? - Piuttosto avrebbe preferito ch'egli avesse adoprato la forza: - Cosí sarebbe finita! - E nelle notti insonni, ripassando a una a una le mute sollecitazioni indovinate in un bacio piú caldo o piú lungo, in un'occhiata, in una reticenza, ella s'incoraggiava. Chi sa? Quell'illogica repugnanza del suo corpo si attutirebbe nel possesso; sarebbe forse vinta; chi sa? ... Oh, non voleva piú avere l'apparenza d'un'ingrata! Sentendolo ritornare a casa, dopo una giornata di servizio alla Fortezza, gli uscí incontro sul pianerottolo. E la stessa rassegnata dolcezza che pietosamente le sorrideva negli occhi, le tremava anche nella mano stesa a dargli la buona sera. - Che ore eterne per me! - egli le diceva in camera, accarezzandole i capelli e dandole dei bacettini su la fronte mentr'ella tentava di sfibbiargli dal fianco il cinto argentato della sciabola. Le parve piú bello in quel punto, stretto nella divisa, con le spalline e i bottoni che luccicavano, e il maschio volto, dai baffi neri fieramente rilevati, rizzato sul collo chiuso nel goletto bianchissimo; e fece uno sforzo e gli tese le braccia teneramente. Ma nelle ombre della sera che invadevano la camera silenziosa, al mormorio di quelle affettuose parole che le sfioravano la guancia, calde del fiato di lui, la riluttanza le si ridestava già e piú brusca, piú forte, quasi i nervi e il sangue, ribellati all'impero della volontà, la spingessero a gridare: "No, non dev'essere! ..." mentre avrebbe voluto dire il contrario. Egli lo capí, da quel lieve tremito che l'agitava, da quelle labbra ghiacciate che non rendevano i baci: - Voi non mi amate ancora! L'ho sospettato. - No, Emilio, t'amo! T'amo! - ella mentí, disperatamente, ingannando anche se medesima. E poco dopo, mentre colui la ringraziava sotto voce, grato del possesso vittorioso, ella diceva internamente: - Almeno m'ha creduto! - E gli si abbandonava tra le braccia, scossa da un gran convulso di ribrezzo. - Devi annoiarti in questa solitudine. - Ho pianoforte, musica, libri! ... E poi, mi dai tu forse tempo? - Faccio quel che posso. - Fai troppo. Non è un divertimento salire cosí spesso fin quassú. - Non è neppure una marcia. In quei primi mesi discorrevano talvolta cosí, alla finestra del salottino di via Lungo il San Gervasio, intanto ch'egli fumava, un po' impensierito di quella specie di stanchezza della voce di lei; e Giustina, co' gomiti appuntati sul cuscino del davanzale, continuava a rispondergli guardando ora il bel panorama di Firenze che rizzava laggiú, nella pianura, la cupola di Brunellesco, il campanile di Giotto e la guglia merlata di Palazzo Vecchio torreggiante sui tetti; ora il piazzale Michelangelo che pareva là, a due passi, col David che quasi si poteva toccare stendendo il braccio; ora monte Morello e gli appennini di Pracchia, sfumati fra i vapori, lontano. - Ti annoi; perché negarlo? - Ti dico di no. - Tanto meglio -. Quella volta, verso le sette di sera, presero una strada di campagna, poi svoltarono per una viottola solitaria, serpeggiante su la collina. - Che bella veduta! - ella disse. - Bellissima! - E si sedettero sulla spalletta rustica d'un ponticello, simili a innamorati che abbiano ancora mille cosine da confidarsi. Infatti egli le confidava la sua speranza d'un prossimo avanzamento di grado; s'era già preparato a un esame. - Quando saremo maggiore, - aggiunse scherzando - avremo piú autorità. Ordineremo: "Cara signora, vogliateci un po' piú di bene." E la signora - la disciplina soprattutto! - ci vorrà un po' piú di bene. Con un maggiore non si canzona. Giustina sorrideva: ma in quei grandi occhi tranquilli e su quelle grosse labbra colorite, il sorriso prendeva un'indefinibile espressione di dolorosa tristezza. Il ragionare, dietro una cosa e l'altra, era cascato intorno all'amore. - Perché m'ami? - gli domandò improvvisamente Giustina. - Non sono bella, tutt'altro; non sono capricciosa ... - Che ne so io? Sei qualcosa di meglio; lo giudico dagli effetti. - Non hai detto la stessa cosa a tant'altre? Sinceramente, s'intende. - Oh! Io credo che si possa aver amato cento volte e non aver mai provato una passione. - Non lo capisco. - Lo capisco ben io. Tu m'ami; mi vuoi certamente bene, ma ... - Quando una donna ha già dato all'uomo tutta se stessa ... Gli uomini non possono figurarsi, neppure dalla lontana, che cosa significhi: darsi! - Vi date forse? Vi lasciate prendere. - Povere donne! E ne menate anche vanto. - Ma lasciarvi prendere è la vostra forza. Nella guerra di amore, qualunque vittoria risulta sempre al rovescio. Chi capitola detta i patti e le condizioni. - Come s'indovinerebbe il militare, anche senza la divisa! - Ecco, per esempio, questo bacio qui ... - Emilio! - ... parrebbe, a prima vista, una violenza. Ma potevo non dartelo? La violenza l'ho sofferta io, da questi occhi, da questa bocca, da questa personcina che s'appoggia trionfante al mio braccio, e quasi mi sgrida ... per un bacio! - Emilio! - Gli ulivi stormivano attorno, nel gran silenzio della sera. - Faremo tardi, - ella disse dopo breve pausa. - Avremo la "celeste paolotta ..." E additava, ridendo, la luna montante, rossa e grande, su le colline scure, nel cielo a pecorelle: - Pare che salga di fretta dietro le nuvolette biancastre. - - Di notte, la campagna mi fa paura - rispose Giustina. - Anche quando l'esercito marcia in armi al tuo fianco? - In verità ella aveva assai piú paura di quell'allegra eccitazione rivelata dalle parole, dagli slanci improvvisi, dal tono stesso della voce. Scendevano silenziosi, a passi corti e lesti, per la viottola deserta, mentre i grilli trillavano al lume di luna, e i "chiú" di due assioli si rispondevano, distanti, a intervalli, e il gracidio delle rane dal vicino Mugnone saliva, quasi coro, monotono e solenne. Egli andava accarezzando sul suo braccio la mano di lei. E a quella carezza insistente che le produceva su la pelle delicata un sottile bruciore, Giustina sentiva riempirsi il cuore d'immensa commiserazione di sé. La vita le sarebbe parsa quasi f elice, se tutto si fosse limitato a quella dolce intimità piú dello spirito che del corpo. Perché a lui non bastava? E il ricordo della terribile sensazione di ribrezzo che la frequenza, ahimè!, non attutiva e che l'illuso orgoglio dell'amante scambiava per tutt'altro, le faceva correre un brivido freddo per la persona e le inumidiva le palpebre. - Ecco un fanale; sei contenta? - egli le disse. - Siamo quasi in città ... Ma che hai? - soggiunse subito, vedendole inaspettatamente portare agli occhi il fazzoletto. - Sciocchezza! ... Pensavo ... a quella bambina di cui ti parlai l'altra volta. Povera creatura! ... Mi è venuta in mente tutt'a un tratto, con quel visino magro e palliduccio che sparisce tra i folti capelli castagni ... Quando s'affaccia alla finestra dirimpetto, raccolta nello scialletto anche in agosto, e mi guarda, e mi guarda intentamente ... mi fa quasi male. E nel pensare a lei ... che sciocchezza! Parlava affrettata, come chi vuole ingannare, con un misto di pianto e di riso che l e tremolava nella voce; e intanto si asciugava gli occhi. - Via - disse Fasciotti, senza sospettare niente - quando ne avremo una anche noi ... - No, no! - ella lo interruppe. Aveva dovuto mentire. Il bambino suo, il caro bambino suo le era venuto in mente in quel momento, quasi il venticello che faceva stormire gli ulivi le avesse portato all'improvviso qualche profumo della villa Rosati, situata in mezzo al ristretto parco, presso lo Scrivia, dov'ella passava l'estate col figlio e il marito, lieta della fresca serenità di tutto quel verde e di tutta quell'ombra, tra i gridi allegri e i colpi dei cacciatori risuonanti dalle macchie a piè del colle. E cosí mentiva tutti i giorni, ora che il rimpianto del passato tornava a riprenderla, ora che la sua ragione non dava piú torto a quegli altri che l'avevano spinta nell'abisso. Non provava piú contro di essi il cieco sdegno di prima; non ne parlava piú con quell'accento duro e sbalzante, vibrato come guizzo di frusta dalle sue labbra convulse, nei giorni seguiti all'arrivo di Giulia da lei richiamata. - Tu che sai! ... - le aveva ripetuto interrottamente. E il cuore le si era vuotato d'ogni resto di fiele. Era stata ingiusta, al pari degli altri, forse piú; lo riconosceva. Le apparenze non stavano tutte, tutte!, contro di lei? Qual testimone poteva ella invocare per giustificarsi pienamente davanti a suo marito e a suo padre? ... E non aveva, con quel colpo di pazzia, dato ragione all'accusa? Si strizzava le mani, si mordeva il labbro, aggirandosi smaniante pel salotto, quando non le riusciva di co ntinuare a leggere perché i caratteri le si confondevano sotto gli occhi turbati e il pensiero andava via via, lontano, quasi a piangere dietro il portone della casa di suo marito, dietro il cancello della villa in mezzo al parco presso lo Scrivia, dietro l'uscio della casa paterna; a piangere e a domandar l'elemosina d'un perdono ch'ella sentiva di meritare e che sapeva, pur troppo!, non le verrebbe mai accordato. E il pianoforte gridava allora, ripeteva la sua confessione, domandava perdono in nome di lei con le dolenti melodie dello Schumann e dello Chopin, con le divine suonate del Beethoven, con le rubeste sinfonie del Wagner e del Listz, che chiamavano alle finestre dirimpetto e a quelle del primo piano della casa i visi attenti e maravigliati di parecchi inquilini; e tutti gli amati fantasmi della sua vita le sorridevano attorno in quei momenti, la colmavano di carezze e la lasciavano commossa e spossata tosto che si dileguavano lontano, lontano, piú lontano della stessa infanzia, quasi in un'altra esistenza! ... - Ah, il mio bambino! ... Ah, il mio caro bambino! - sospirava con le lagrime agli occhi, vedendo quel visino affilato di creaturina malaticcia che ella trovava sempre alla finestra dirimpetto, ogni volta che, terminato di suonare, s'affacciava a cercare con la faccia ardente la fresca impressione dell'aria aperta. Un giorno la bambina le sorrise. - Come stai, carina? - ella le domandò. E la tenerezza di mamma desolata le addolciva la voce. La bambina non rispose, e continuò a sorriderle timida. - Che fai lí? - Mi diverto a sentirla suonare. - Vieni qui, col permesso della tua mamma; suonerò a posta per te -. Non le era parso vero d'aver potuto attirarsela in casa. Fasciotti la trovò agitata, rimescolata, con quella magra creaturina seduta su le ginocchia, stretta tra le braccia, e che aveva negli occhi la meraviglia di tutte quelle carezze inattese. - Se tu sentissi che vocina! Pare un flauto - ella gli disse. - Cosí, con lei, non ti annoierai in questa settimana di mia lontananza. - Vai via? ... Per l'esame? - Questa sera, coll'ultimo treno. - Signor maggiore, buon viaggio! - Era anche allegra in quel momento. Ci voleva tanto poco per renderla quasi felice. Appena però gli lesse in viso il malumore per la presenza della bambina, non ebbe piú coraggio d'accarezzarla, di baciarla, e la mise a terra, con cuore soffocato. - Vo a casa - disse la bambina. Giustina non osò trattenerla; e l'accompagnò fino all'uscio, facendosi promettere piú volte che sarebbe tornata - Verrai tutti i giorni, è vero? - Se la mamma vorrà. - Perché non dee volere? - E riprese a baciarla, indugiando. Un dubbio la tenne su la corda: - Sospettava egli qualcosa? - Era partito evidentemente malcontento dell'insolita resistenza di lei la sera del commiato. E per calmarlo, per scancellargli la brutta impressione, per cacciargli di mente ogni sospetto, gli aveva scritto parecchie lettere lunghe, affettuosissime. - Mentiva forse scrivendogli cosí? No. Gli era grata di quella passione che pareva moltiplicasse la sua delicatezza e la sua forza nella crescente intimità della loro vita; e lo amava, sebbene in modo diverso, con grande slancio dell'anima ... Che poteva farci se il suo corpo resisteva? ... Ah, se ella avesse avuto un po' piú di coraggio! Se avesse potuto essere sincera e dirgli ... Come dirglielo? Era impossibile. Gli dovea questo gran sacrifizio, dopo che quegli per poco non le aveva sacrificato anche la vita. E quand'egli le rispose: "Tu m'ami meglio da lontano. Scherzi a parte, nelle tue lettere mi sembri un'altra. Strana creatura! Una frase, una sola frase di queste trovate ora, come tu dici, in fondo al cuore, pronunziata dalla tua bocca, mi avrebbe fatto salire ai sette cieli. Ed hai taciuto, cattiva! ... Mille baci sui ditini che hanno tenuto la penna"; quand'egli le rispose cosí, il foglio le cascò di mano, e il subito lentore dello scoramento la fece anche impallidire. - È suo marito che le scrive? Tornerà presto? - disse la bambina, raccattando il foglio. Essa trasalí, ammutolita. I signori Castrucci, andati a farle una visita di ringraziamento per le tante cortesie verso la loro bambina, l'avevano fatta trasalire allo stesso modo, due giorni avanti, domandandole: - Suo marito sta bene? - Grazie - ella aveva risposto. La signora Castrucci, che ciarlava volentieri, si era messa a compatire le povere mogli degli ufficiali: - Dev'essere una vitaccia! ... Ora qua, ora là, come gli zingari. Le spalline e la sciabola, sí, fanno un cert'effetto; ma un cantuccio di terra ben ferma sotto i piedi ... Suo marito è capitano? - Capitano -. E se la conversazione si fosse prolungata un tantino di piú, i Castrucci l'avrebbero vista tramortire a quel: "Suo marito, suo marito" che le andavano ripetendo con l'idea di farle cosa grata. Ah, la terribile logica d'un passo falso! ... Non era mai giunta a persuadersi come si potesse mentire ... ed anche quest'altra volta aveva dovuto, stando zitta, mentire! Sí, il vero marito ella non se lo sentiva piú solamente dentro la testa, ma nel sangue, nei nervi, in tutto il corpo, incancellabile marchio di possesso fino a quel punto non avvertito! E il ribrezzo, il terribile ribrezzo che ogni volta quasi l'annientava, era appunto la sorda protesta di quel possesso, il rifiorire di quel marchio. Lo comprendeva finalmente, ora che la sua ragione vedeva chiaro, ora che poteva misurare dalla profondità del proprio abisso l'altezza da cui era precipitata in un momento di p azzia. - Si sente male? - le domandò la bambina. Ella la prese tra le braccia, coprendola tutta di baci. Ah, quelle gotine magre e palliducce non erano le gote piene e rosee della sua creatura lontana! Voleva però illudersi, voleva stordirsi; voleva, soprattutto, vincere il terrore che già la invadeva all'annunzio del ritorno del maggiore che quella lettera aveva recato. E il martirio stava per ricominciare! La giornata era grigia, come l'anima sua; l'aria afosa e pesante. Piú tardi, l'umidore della pioggiolina - che gettava un gran velo cinericcio su la pianura, sui colli attorno, su le montagne lontane - la penetrava fino al midollo, le si mutava addosso in tedio spossante, in torpida oppressione. Tuttavia ella ritornava spesso a osservare il tempo dietro i vetri della finestra, e rimaneva là con gli occhi fissi, quasi con l'orecchio teso ad ascoltare il lontanissimo fischio della vaporiera che in quel moment o doveva forse montare su pei fianchi degli Appennini, divorando la strada, infilando le gallerie, spuntando gioiosamente all'aria aperta sull'orlo degli abissi e attraverso le fosche vallate, com'ella si rammentava d'averlo visto una volta, in un'altra giornata di pioggia, col sole che si affacciava di tanto in tanto dalle nuvole squarciate e faceva sorridere ogni cosa. E il treno correva, correva, serpeggiando, arrampicandosi; le parea proprio di vederlo. E vedeva anche lui, in un angolo di vagone, sdraia to, con gli occhi socchiusi, sorridente alle visioni della prossima felicità che gl'ingannavano l'impazienza dell'interminabile viaggio. Ma il cuore le rimaneva triste, quantunque il cielo già si rischiarasse al soffio del vento che spazzava le nuvole verso monte Morello e verso Pracchia, gettando incontro al treno che veniva a gran velocità - le pareva ancora di vederlo - quello sprazzo d'oro risplendente su la campagna lavata allora allora dalla pioggia. - Signora, c'è l'uomo coi fiori - disse Giulia sull'uscio. - Sono le cinque? Aveva ordinato quei fiori per le cinque di sera, e la giornata era trascorsa cosí rapidamente ch'ella ne provava stupore. - Il pranzo è per le sette e mezzo? - Sí. Giustina andava disponendo quei fiori un po' da per tutto, con arte gentile, scegliendoli dal gran canestro che Giulia le portava dietro. Giulia, di tratto in tratto, arrischiava qualche parola: - Il signor capitano ... il signor maggiore - ora bisogna dirgli cosí, è vero? - chi sa come sarà contento! ... Dovrà fare una bella figura a cavallo; andremo a vederlo a le riviste ... - Giustina non rispondeva, e spargeva sul tappeto gli ultimi fiori rimasti, lasciandoseli cader di mano lentamente, preoccupata. L'odore delle rose, dei ciclamini e dei giacinti tuberosi riempiva il salotto. - E il martirio stava per ricominciare! - Ogni minuto che passava era un precipitarsi verso il fatale momento dell'arrivo. Colui tornava piú innamorato, piú illuso di prima. Vi aveva contribuito ella medesima; vi contribuiva ancora, abbigliandosi come per una festa, scancellando dal suo volto ogni traccia di sofferenza, tentando di farsi una maschera per continuare ad illuderlo ... - Poiché questa illusione lo rende felice! ... Non sarebbe assai peggio se dovessimo soffrire tutti e due? - E lo guardava quasi contenta, quasi illusa nei primi momenti, lasciandosi baciare una mano in ringraziamento delle bellissime lettere lette e rilette, e imparate a memoria ... - E tutti questi fiori? - Non hanno nulla di guerresco - ella rispose. - Decorazione sbagliata. Dimenticavo la marcia! - Suonate però poche battute della marcia del Tannhäuser, si levò dal pianoforte. La musica la eccitava, e non ne aveva punto bisogno. - Raccontami, raccontami tutti i particolari dell'esame. - Chi se ne rammenta piú? E poi ... lascia andare!. - Irrequietamente Giustina si levava da sedere col pretesto d'aggiustare un mazzo di fiori, di moderare la fiamma d'un lume, di spostare senza un perché qualche gingillo; e tornava a sederglisi allato, ripetendo: - Raccontami, raccontami - con tremito della voce che si comunicava a quella di lui. - Che vuoi che ti racconti? La cosa piú bella, piú deliziosa del mio viaggio è stato - occorre dirlo? - il ritorno; sono questi momenti, sono questi ... Giustina tentava di schermirsi: - Può venire Giulia lascia andare -. Tenendola stretta stretta tra le braccia, egli intanto le ripeteva nell'orecchio una frase dell'ultima lettera: - E hai taciuto! ... Cattiva! - Bevevano il caffè. Seduto presso il tavolino, sorridendo, tra un sorso e l'altro, Fasciotti spingeva verso di lei boccatine di fumo, come altrettanti colpi d'incensiere: - Non sei il mio idolo? Giustina, in piedi, assaporando lentamente col cucchiaino la calda bevanda e aspirandone il profumo, lo ringraziava con accenni del capo e degli occhi, ridiventata seria in quell'intimità del salotto che l'ora tarda e il paralume rosso, a testa di gufo, rendevano piú raccolta del solito. Nel punto che Giustina posava la tazza, egli la prese per la mano - Vieni, siedi qui -. E le passava un braccio attorno alla vita e le teneva stretti i ginocchi sui suoi ginocchi. - Voglio sentirti accosto, cosí. Fino a due settimane addietro, nel venire quassú, facevo la strada simile a un sonnambulo, dubitando sempre che e tu e questa palazzina e questo salotto e la nostra vita di amanti non avessero a sfumarmi dinanzi con lo svanire d'un sogno durato apparentemente sette mesi e in realtà qualche minuto. E quando penso che c'è stato un tempo in cui tutto questo non poteva avere per me neppure la fluida apparenza d'un sogno! ... Ti vedevo di rado; tu mi evitavi. Se potevo passart i accanto e sentire il suono della tua voce ... Ricordi? ... Ricordi? Parlava sommesso, come in un soliloquio, tenendo gli occhi socchiusi fissi in un punto della parete dirimpetto, dove quelle visioni del passato gli apparivano e sparivano, dissolvendosi nella rapidità dello sfogo: - Ricordi? ... Ricordi? - E Giustina gli rispondeva di sí, di sí, con lieve movimento della testa abbassata, stringendosi forte le mani perché egli non avvertisse come il cuore le spasimasse all'incosciente crudeltà di quell'effusione che continuava a sfiorarle il collo, verso la nuca, riandando i terrori, i dolori degli ultimi mesi, quando la sicurezza dell'amante felice traballava davanti a un ostacolo impalpabile e invisibile - non se n'era accorta? - che gli pareva si frapponesse a un tratto fra loro e li tenesse divisi, in dist anza, a dispetto dei corpi che s'allacciavano, delle labbra che confondevano i respiri ... - Non te ne sei accorta? No? Terrori e dolori d'un secondo; non lasciavano traccia; ma cosí intensi!, cosí intensi! ... Se tu avessi parlato prima! In quelle tue lettere, sí, c'era il suono, c'era l'accento della tua voce. Se tu avessi parlato prima! ... Ci voleva la lontananza - non ti pare cosa strana? - per legarci piú intimamente. Oh! Io credo all'amore, sai? La sola sensazione non mi basta. Son rimasto un tantino collegiale, come mi canzonano i miei amici. Peggio per loro, se non sapranno mai que l che valgano questi divini momenti. Mi sembra che noi stiamo ricominciando da capo, quasi io avessi avuto finora soltanto metà di te ... Ed ora tutta, tutta, tutta! È vero? - Ella seguiva a dir di sí con la testa, macchinalmente, nell'indistinta percezione del suono di quella voce diventata mormorio sommesso di baci parlanti o di parole bacianti, non lo capiva bene; zufolio agli orecchi; rimescolamento di tutta la persona; gran male; dove? Nel cervello o nel cuore, non lo capiva bene egualmente. E non s'opponeva all'improvviso movimento con cui egli sollevatala su le braccia, la portava di là, in camera, delicatamente, quasi temesse di svegliare una persona addormentata. Respira va appena, nella estrema prostrazione della volontà e di tutte le forze vitali, sotto l'aggravarsi d'un incubo che le impediva di fare la minima resistenza all'irrequieto agitarsi delle dita che le sfibiavano il vestito, le tiravano le maniche e la spogliavano senza scosse, con perizia femminile ... Ma appena, nel levar via il busto, le dita le sfiorarono, per caso, le vive carni del seno, Giustina scattò in piedi, appuntandogli le braccia contro il petto, con gli occhi smarriti: - Per pietà, no! ... Per pietà! - E, nascondendo il viso tra le mani cadeva di fianco su la sponda del letto, scossa da un tremito violento, in singhiozzi: - Per pietà! - Ella sentí, per qualche istante, un respiro grosso e frequente, quasi rantolo soffocato; e si restrinse tutta, aspettando il terribile scoppio di quel furore d'amante. - Non vi accadrà piú, ve lo giuro! - disse una voce irriconoscibile. E Fasciotti fece per uscire. Giustina gli si gettò a traverso, delirante: - Emilio! ... Emilio! ... - Senza rispondere, egli tentava di svincolarsi da quelle mani che lo brancicavano e lo afferravano e tornavano a brancicarlo. - Emilio, siate generoso! ... Fatemi male quanto volete ... Ah! - Aveva dovuto gridare; quegli le stritolava le mani, senza avvedersene, dalla rabbia di sentirsi ridicolo, sul punto di piangere come un bambino, con gli occhi che vedevano una pioggia di fiammelle attorno, e il cuore che gli scoppiava. Fu un baleno. - Perdonatemi ... il torto è mio. Entrate in letto ... vi ammalerete ... Te ne prego, entra in letto - soggiunse con l'apparenza d'un sorriso. Le ravviava le coperte, le aggiustava i guanciali sotto il capo: - Il torto è mio ... Avrei dovuto avvedermene -. E si buttò su la seggiola a piè del letto, molle d'un sudorino ghiaccio, quasi il rovescione che in quel punto riprendeva a sbattere furiosamente su i vetri della finestra lo avesse inzuppato da capo a piedi. La pioggia continuava, fra gli urli del vento che pareva si raggirasse attorno alla palazzina per sradicarla dalle fondamenta. Che gliene sarebbe importato? Un piú orrendo colpo aveva distrutto in un istante il superbo edificio della sua felicità ... e per sempre. Giustina non osava guardarlo, né rivolgergli la parola, cosí sbalordita dell'accaduto da non accorgersi ch'egli stava là, rattrappito su la seggiola, da piú d'un'ora, e non poteva passare la nottata a quel modo. Non se n'accorgea neppure lui. Finalmente si rizzò, scuotendo il capo, strizzando gli occhi; e visto che Giustina si levava anche lei e si metteva a sedere sul letto tenendogli le mani in atto supplichevole, le disse con voce alquanto calma: - Vado di là, un momentino. - Perché? - Ho bisogno d'aria ... - Aprite pure quella finestra ... Emilio, siate generoso! - ella ripeté, alla mossa di risposta sfuggitagli suo malgrado. - Oh, non dubitate! ... So il mio dovere -. Tornato a sedersi, con le braccia sui ginocchi, le mani intrecciate, curvo, abbattuto dall'incredibile disinganno, egli ruminava - Perché dunque è venuta da me? ... "M'accusano d'essere la vostra amante, e sia! ..." Chi l'ha forzata? Non lo sapeva forse che non avrebbe potuto amarmi? - Giustina, tenendo la faccia tra le palme, riprendeva a singhiozzare - Che ho mai fatto! ... Che ho mai fatto! - La pietà di lui, il terrore delle conseguenze di quella rottura - rottura irrimediabile, non poteva illudersi, con quel carattere - la inchiodavano lí, raggomitolata, quasi il mondo stesse per crollare ed ella attendesse di minuto in minuto il crollo finale: - Che ho mai fatto! - La pioggia sbatteva furiosa su i vetri, il vento urlava e fischiava. - Quanto mi ero ingannata! È stato assai piú generoso ch'io non osassi sperare -. E quei mesi d'autunno le parvero un paradiso, con le tiepide giornate, gli splendidi tramonti, le belle serate che in quel posto, tra la campagna e la città, le producevano una soave sensazione di pace e di benessere in armonia con la pace e il benessere della sua vita, ora ch'egli continuava a visitarla non piú da amante ma da amico, e come se niente di nuovo fosse avvenuto tra loro. Lo avrebbe voluto, è vero, un po' meno serio, un po' meno freddo; si vedeva, forse, in quella sua indifferenza un tantino d' ostentazione, una lieve ombra di vendetta ... - Ma, povero cuore!, deve costargli un gran sacrifizio mantenere le apparenze. Gli son grata infinitamente di questo contegno. Neppure Giulia, ch'è in casa, s'è accorta di nulla -. Ella si sentiva felice di poterlo amare a quel modo, come avrebbe voluto amarlo anche prima, come avrebbe voluto essere amata anche prima. - Ma allora, Dio mio, non poteva essere! Mi ero illusa io pure, un istante -. Ora respirava a pieni polmoni la libertà del proprio corpo in cui tutto era stato scancellato dalla purificazione del gran pianto. Delle atroci sofferenze dei mesi scorsi le rimaneva un'idea lontana, incerta, simile a ricordo di cattivo sogno; e in quanto all'avvenire, oh!, viveva perfettamente rassicurata. Ne aveva avuto parecchie prove. Una sera, verso le dieci e mezzo, appena i Castrucci erano andati via con la bambina che cascava dal sonno, Fasciotti, acceso un sigaro, s'era messo a leggere il "Fanfulla", senza dire una parola, senza voltarsi un momento verso di lei che lavorava con l'uncinetto nervosamente, a testa bassa, nell'ansia angosciosa d'un'apprensione ... - Assurda, ne conveniva. Ma ... che voleva egli insomma? Aveva già letto, da cima a fondo, il giornale; e intanto restava là, col sigaro spento tra le labbra, muto, mezzo imbroncito! - L'orologio a pendolo, dalla mensola del caminetto, suonò le undici e tre quarti. Fasciotti si scosse. Giustina, vistogli posare il giornale, riaccendere il sigaro e lisciarsi i baffi, aspettava, impaziente, ch'egli parlasse. Dopo quella trista nottata, non erano mai rimasti cosí a lungo da solo a solo. Convinti tutti e due dell'inutilità e del pericolo d'una spiegazione qualunque, in quelle prime settimane l'avevano prudentemente evitata ... - Ora, forse? ... - Agitatissima, Giustina stava per lasciarsi scappare una domanda trattenuta a stento su la punta della lingua da un quarto d'ora, quand'egli la prevenne: - Se volete andare a letto ... Io resterò qui un altro poco ... per Giulia, capite? Mandate a letto anche lei. Uscirò senza far rumore. È meglio che nessuno sappia ... Giulia sopra tutti. - Come vi piace. Buona notte -. Giustina, improvvisamente commossa, non aveva saputo rispondere altro, stendendogli la mano. - Buona notte -. E Fasciotti gliela strinse leggermente. Ma un'altra volta egli avea fatto di piú. Andata a letto per non contraddirlo, Giustina non poteva chiuder occhio, aspettando di sentirlo partire. Quell'incredibile prova di delicatezza e di riguardo le produceva una specie di contrazione alla bocca dello stomaco ... - Fino a che ora rimarrà in salotto? - Alle due era ancora là. Ella però non osava muoversi, temendo appunto che in quella circostanza, contro ogni proponimento, una parola non li trascinasse alla dolorosa spiegazione evitata. Quante ore erano passate? Non lo sapeva precisamente. S'era forse appisolata; non aveva inteso nessun rumore all'uscio di casa né al portone. E trepidante era saltata giú dal letto per accertarsi, con cautela, se c'era lume in salotto. E che respirone a quel silenzio e a quel buio! La mattina dopo, molto tardi, Giulia le domandava: - Signora, si sente male? - No, perché? - Il signor maggiore, prendendo il caffè, mi ha raccomandato d'aspettare che lei avesse sonato. - Ah! ... Gli occhi, tutt'a a un tratto, le si erano ripieni di lagrime. Dimenticava però ogni cosa per la beata certezza di sapersi amata tuttavia. Le apparenze non potevano ingannarla. E, in ricambio, il suo cuore gli si dava tutto, senza restrizioni, pieno di confidenza nelle promesse che leggevagli in viso vedendolo diventare di giorno in giorno meno riserbato, meno freddo, vedendogli smettere a poco a poco quell'aria diffidente e guardinga contro di lei e di se stesso, che aveva reso cosí penose le prime settimane della crisi; allora pareva che l'amico non potesse punto ada ttarsi a sostituire l'amante, e che sul capo di tutti e due pendesse la minaccia di crisi peggiore. La sua vita aveva già ripreso il tranquillo andamento d'una volta. Poco, quasi nulla le mancava per sentirsi nuovamente cullata nella lieta pace domestica, per tornare a rannicchiarsi nell'ingenuo egoismo d'indolente felice. Se lo rimproverava in certi momenti. Quella bambina malaticcia, ma buona e intelligente, che veniva a tenerle compagnia da mattina a sera e ch'ella conduceva attorno nelle frequenti corse per le gallerie, pei musei, pei negozi e nelle passeggiate alle Cascine, al giardino di Boboli, o lungo il Viale dei Colli, non usurpava lentamente l'affetto materno, a danno della creatura delle sue viscere ... alla quale forse avevano fatto credere che la mamma era morta? E le teneva un po' di broncio, per qualche ora, per mezza giornata, broncio di cui la bambina non s'accorgeva. - Oh, Dio! ... Come difendersi da quel naturale sentimento d'egoismo, ora che poteva finalmente riposarsi dopo tanti atroci dolori? Ora che almeno, a intervalli, le riusciva di sopire dentro di sé ogni ricordo del passato? - Quella pace interiore le fioriva fuori, sul volto, in piú sorridente vivacità degli occhi, in piú facile zampillo della parola che riprendeva la gentile festività nelle conversazioni serali, quando Fasciotti veniva lassú accompagnato da due o tre ufficiali del suo reggimento, ed ella - dopo il the - cedeva di buona voglia all'invito di suonare qualche pezzo della solita musica indiavolata, come diceva il tenente Gusmano che in fatto di musica capiva soltanto quella del suo compatriotta Bellini: - Il Dio della musica! ... E Dio ce n'è uno solo! - Les dieux s'en vont - gli rispondeva Giustina, ridendo. E per fargli dispetto si metteva a strapazzare un'aria della Norma, o una cavatina della Sonnambula: - Tralalalliero, tralalalà! - Né finiva il pezzo, ma attaccava subito, vigorosamente, la sinfonia del Vascello fantasma, un coro del Lohengrin, o qualcosa di simile. - Bum! Bum! Bum! Bum! - replicava Gusmano - È musica questa? - E Fasciotti rideva insieme con altri, dando ragione alla signora. Rovistando le carte di musica, il tenente Gusmano avea tirato fuori quella fatale sonata del Berlioz che rimaneva da un pezzo sepolta sotto un mucchio di fascicoli. - Ah! La signora ci nasconde le sonate. Berlioz ... È un tedesco? - domandò Gusmano - No? Dunque questa dev'essere una cosa assai bella. La signora, per gastigo, viene pregata di sonarla -. Gli occhi di lei s'erano subito rivolti verso Fasciotti, indecisi. - Sí, Giustina, suonatela - egli disse con un che d'ironia. - Vo' persuadermi se gli effetti di questa sonata non provengano, in gran parte, dallo stato dell'animo di chi la sente. Rischio di perdere qualche illusione. - Allora, no! - ella rispose. - Dunque non m'ama piú! ... Soltanto per pietosa generosità di gentiluomo egli fa il sacrifizio di continuare a venire da me. Sí, sí; lo vorrei detto piú chiaramente? ... Non m'ama piú! Non mi ama piú! Sul primo aveva sentito una leggera mortificazione d'amor proprio, lieve puntura di spillo al cuore, graffiatura a fior di pelle; nella nottata però non poté conciliar sonno, irrequieta sotto le coperte, con stupore e sbalordimento che aumentavano di mano in mano: - Non m'ama piú? - Le pareva impossibile. Fra le tante supposizioni fatte, il caso che Fasciotti potesse cessare d'amarla non le era mai passato per la mente. Doveva discutere un'assurdità? Lo stimava tale. - Infine, che deve importartene? - si diceva da sé. - Non è anzi meglio? - Non ne restava convinta. Si sentiva già venir meno la piú valida forza che le rendeva tollerabile quella vita d'isolamento e di sacrifizio a cui s'era volontariamente condannata. La sua pace, la sua tranquillità, dopo tante lagrime e tanti strazi, stavan per essere nuovamente distrutte? ... - E se m'abbandona col cuore, col piú terribile degli abbandoni, che sarà di me? - Tortura di nuovo genere. Come rifiatare? Come lagnarsi di lui? ... Quella settimana le parve un secolo. Ogni parola, ogni gesto di Fasciotti serviva a rischiararle, a confermarle la crudele certezza della scoperta. L'orgoglioso ritegno non le aveva impedito di mostrarsi piú cordiale del consueto con lui, d'umiliarsegli dinanzi con sfoggio di sottintesi imploranti misericordia. - Sentite - aveva osato poi dirgli - questa vostra affezione d'amico è l'unico soffio che mi tiene in vita. Se venisse a mancarmi ... - Che fareste? - Non lo so -. Fasciotti, guardatala un momentino attentamente, colpito della insolita stranezza di quell'accento, aveva soggiunto - Non vi è venuta meno finora. Il mio dovere ... - Disgraziatamente il cuore umano non conosce doveri. E poi, non si tratta di doveri. - Me lo dite voi? - Giustina non aggiunse parola. Credeva aver detto troppo; avea capito anche troppo. E appena fu sola, pianse. - Non m'ama piú! ... Ma perché non m'ama piú? Perché? A questo grido del cuore che le parve uscisse dalla bocca d'un'altra persona nascosta dentro di sé, rimase come fulminata. - Come? ... Lui mi tradisce cosí? Lui! ... E perché non mi ama piú? Perché? - Un atroce dolore alla nuca e alle tempie la distese per tutta la giornata sul canapè della camera e ve la tenne inchiodata fino a tardi. Giulia, sentendola lamentare, era entrata piú volte, domandando - Signora, debbo chiamare il dottore? - No. - Che si sente, signora? - Qualcosa qui ... Non è nulla -. E, all'arrivo di Fasciotti, trovò tanta forza da levarsi, da nascondergli il gran male che le spaccava la testa. - Dunque andrete a Pisa? - Per un'ispezione; due, tre giorni. - Mi scriverete? - La mia lettera arriverebbe insieme con me. Ella girava gli occhi attorno, con aria insospettita, cercando, annusando l'aria ... - Questo profumo ... L'avete addosso voi? - Io? - ... Mi va al capo, mi stordisce. Sí, l'avete addosso voi. - Ah, è vero! - egli rispose, ridendo con qualche impaccio. - Per fortuna non siete nel caso di diventare gelosa. - Oh, no ... per fortuna! - balbettò Giustina, pallidissima. - Vi fa proprio male? - Sí, molto! - Allora vado via; scusatemi. - A rivederci -. Si sentiva morire. Due giorni di stupore e di delirio, sotto il tremendo colpo della meningite. Giulia, atterrita, aveva telegrafato a Pisa: "La signora è in pericolo di morte." Fasciotti, credendo quel telegramma esagerazione di cameriera affezionata, non s'era affrettato ad accorrere. Non tornava il giorno dopo? La signora Castrucci, però, capita, dal continuo vaniloquio dell'ammalata, la vera condizione di Giustina, aveva detto a Giulia: - Bisogna telegrafare anche al marito e alla famiglia di lei. Non vorranno mica lasciarla morire abbandonata cosí -. Fu telegrafato. Nessuno rispose. La poverina, con la faccia congestionata, le labbra tumide e pavonazze, sfigurita, aveva appena forza di balbettare delirando: - Enrico! ..., Te lo ... giuro! Babbo! ... Sono innocente! ... Credimi almeno tu ... tu solo! ... - La suora di Carità, in piedi presso il capezzale, le passava spessissimo un po' di ghiaccio su le labbra infocate, poi rimaneva immobile, con le mani dentro le larghe maniche dell'abito grigio, mormorando preghiere. Sollevata una mano gonfia e contratta, Giustina cominciò ad accennare, quasi chiamasse qualcuno che credeva di vedere a piè del letto: - Enrico! ... Enrico! ... - Ah, il torto è tutto di suo marito! - disse Giulia alla suora che a quel nome aveva abbassato gli occhi. Giustina rantolava, continuando sempre ad accennare a piè del letto con la mano gonfia e contratta: - Enrico! ... Perdonami! ... En ... rico! ... - Povera signora! ... Se avesse saputo che, quando gli uomini non perdonano, c'è sempre Dio che perdona! - disse la suora. E inginocchiatasi, a mani giunte, cominciò a recitare: - De profundis! ... - Mineo, 25@ 25 marzo 1885@. 1885.

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