Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

254944
Saltini, Guglielmo Enrico 2 occorrenze
  • 1862
  • Le Monnier
  • Firenze
  • critica d'arte
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Dire degnamente delle molte opere che ha modellate fin qui, vorrebbe un libro: ma noi col solo annoverarle, siamo certi favellare abbastanza della sua fama. Quando appena in sui venticinque anni (1842) scoperse al pubblicò il suo Abele morente, il Bartolini, vedutolo, scriveva ad un amico suo che le sorti dell’arte erano assicurate, e per sempre bandito da essa il manierismo servile. E tant’oltre corse il grido di questa stupenda figura, che quasi fu dubitato se l’artista avesse potuto mai superarla. Ma il Caino, la statua di Giotto scolpita per il portico degli Uffìzi (1845), l’altra di Sant’Antonino arcivescovo ivi pure collocata (1852), e la celebre base in cui volle con maraviglioso accorgimento rappresentate le immigrazioni della gran tazza di porfido che deve posarle sopra, esprimendo cosi in poche figure il lungo avvicendarsi di tanti secoli e la storia di quattro civiltà; fecero a tutti manifesto natura ed arte essersi intieramente rivelate al Duprè. E quando gl’Italiani ammirarono di nuovo quest’ultimo suo lavoro all’Esposizione Nazionale dell’anno decorso, insieme a quella Saffo, che diserta d’ogni umano conforto, sembra avere abbandonato la vita anche prima dell’estremo sacrifizio; a que’graziosi e tanto differenti fanciulli, festante l’uno per la grassa vendemmia, afflitto l’altro per le uve perdute; e a quella Vergine santa che tutta rivela nel muto sembiante la disperata desolazione materna; fu una la voce che lo salutò tra coloro che servendo col pensiero agli affetti, fanno rispondere le arti ai divini concepimenti. Nè vogliamo tacere che nel 1857 il Duprè inviò al concorso di Londra un modello pel monumento a Wellington, lavoro qua da pochi veduto, ma che gli meritò premio dalla sapiente Albione; nè delle due grandiose opere a cui attende adesso, il bassorilievo da collocare sulla porta maggiore della facciata di Santa Croce, esprimente l'Esaltazione del sacro simbolo, e il monumento sepolcrale di una gentildonna morta in Toscana pochi anni sono. — Torello Bacci di Firenze, uomo sui quarantacinque, scolpì nel 1844 la statua di Piero Capponi pel portico del Vasari; crediamo però che oggi abbia lasciato l'arte. — Pietro Costa pure fiorentino (n. 1819), studia con amore ed opera con coscienza. La statua di Francesco Redi che fece (1854) tra le ventotto degli illustri toscani, per la naturale movenza e per un certo gusto nella composizione merita lode; e quella sua graziosa americana del Sud (1859) che è adesso all’Esposizione di Londra, e il monumento della cantatrice Angiolina Bosio inaugurato nel 1860 nel campo santo cattolico di Pietroburgo, gli fruttarono anche appresso degli stranieri onorata menzione.— Luigi Cartei fiorentino (n. 2 settembre 1822), modellò nel 1847 per il portico degli Uffizi la statua dello storico Francesco Guicciardini; fece un’assai graziosa figura allegorica pel palagio dell'Esposizione italiana, e attende oggi con desiderio a scolpire una Pietà che ha da essere collocata nella nuova chiesa di Santa Caterina in Firenze. — Vincenzio Consani di Lucca, giovane artista, amante dei classici studj e del vero, scolpì (1856) non senza abilità la statua di Pier Antonio Micheli, famoso botanico, pel portico vasariano, e nell’anno appresso il monumento a Carlo III di Borbone duca di Parma. Merita anche di esser ricordata la sua Musica Sacra, molto gentile figuretta di garzone che canta. — Tito Sarrocchi di Siena, giovane che assai promette di sè, mandò all’Eposizione Nazionale del decorso anno un suo vago gruppo di una sorridente fanciulletta che insegna la prima preghiera al fratellino. — Salvino Salvini di Livorno (n. 26 marzo 1824) ha nome tra i più valenti scultori toscani. La statua d’Archimede, che inviava all’Accademia fiorentina, come saggio de’ suoi studi di Roma, e quella desolata figlia di Sion Ehma, modellata nel 1852, sono òpere degne di grandissima lode. Questa in special modo, dalle cui labbra par che di nuovo prorompa il disperato lamento dei biblici canti, destò già l’ammirazione degli Italiani e forma adesso quella dei forestieri nel palagio di Londra. Il Salvini oggi professore nella R. Accademia di Bologna, ha inalzato a questi giorni nel camposanto di Pisa un’assai bella statua a Niccola Pisano, e va modellando la statua equestre di Re Vittorio Emanuele, vinta al concorso del 1860, che poi gettata in bronzo, adornerà la gran piazza dell’Indipendenza a Firenze.

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Vero è che le opere sue e dei suoi contemporanei, in mezzo a molti pregi, risentono di una certa tal quale asprezza metallica, nè celano abbastanza la immensa fatica dell’artefice; pure lavorò moltissimo, e sempre con amore. Una delle cose sue principali è la stampa della cappella di San Filippo Neri, e meritano lode quelle ricavale da alcuni quadri della galleria Cerini, e da qualche dipinto di Raffaello. Fu maestro d’intaglio in rame nella nostra Accademia. — FERDINANDO GREGORI pure di Firenze (n. 1740, m. sul finire del secolo) figliuolo e allievo di Carlo, disegnò anch’esso e incise assai bene a bulino. Stette prima molto tempo in Parigi, e poi tornato in patria successe al padre nell’insegnamento; ma poco fece nè cose di gran conto. Appartengono pure a questo periodo i fiorentini — ANTONIO GREGORI fratello di Ferdinando, che ebbe una certa dolcezza nel taglio. — CARLO FAUCCI, discepolo anch’esso del vecchio Gregori, che incise qualche buona stampa, come la favola d’Ercole sopra un disegno del Traballesi, cavato dal quadro del Domenichino in Forlì; — SANTI Pacini che adoperava il pennello e il bulino, senza però levarsi dalla mediocrità; e — GIUSEPPE CIPRIANI pittore che anche incideva all’acqua forte vedute e disegni per libri, sebbene, come notammo a suo luogo, debba esso la fama piuttosto alle matite. — Ma chi portò nell’arte toscana qualche miglioramento è GIOVAN BATTISTA Cecchi fiorentino (n. 1748, m. dopo il 1800). Non potendo attendere, perchè storpiato della mano destra, al mestiero del falegname a cui l’avean posto i poverissimi genitori, si mise al disegno per il quale mostrava non comune vocazione. Poi desiderando applicare all’intaglio in rame si allogò presso Ferdinando Gregori, di cui fu non ultima lode avere allevato all’arte questo giovane volonteroso. Fece il Cecchi molte incisioni; ma tra le principali si ricordano solamente una Santa Vergine da Annibaie Garacci; un’altra da Francesco Vanni detta dal volgo la Madonna della Poppa, quadro posseduto una volta dalla famiglia Orlandini di Siena; e il Martirio di San Lorenzo di Pietro da Cortona. Si devono pure a lui molti dei ritratti della serie degli uomini illustri nelle arti belle, data in luce a’suoi tempi in Firenze. Mercanteggiò anche di stampe, ma senza ritrarsi dall’esercizio della sua professione, di cui fu operosissimo cultore.

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