Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbastanza

Numero di risultati: 101 in 3 pagine

  • Pagina 1 di 3

Da Bramante a Canova

251033
Argan, Giulio 1 occorrenze

Non l’evento, abbastanza comune, voleva rappresentare l’artista, ma la situazione che lo aveva «ispirato».

Pagina 291

Della scultura e della pittura in Italia dall'epoca di Canova ai tempi nostri

251391
Poggi, Emilio 2 occorrenze
  • 1865
  • Tipografia toscana
  • Firenze
  • critica d'arte
  • UNIFI
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La sacra lira e l'onorata fronda che giacciono abbandonate a lei dappresso, ti dicono abbastanza che tutto per essa è finito.

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Il suo dipinto che rappresenta la morte di Maria Stuarda, quello dei Foscari, l'altro del Marino Faliero, e tutte le composizioni dell’Ivanoe di Walter Scott, sono abbastanza celebri per dimostrarci che egli possedeva un non comune ingegno. Aveva disegno corretto e dalla natura ispirato, e nel colorire ebbe naturalezza, e fu di una intonazione sempre felice e gradevole.

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Il divenire della critica

252158
Dorfles, Gillo 11 occorrenze

E, forse, un analogo declino (e per ragioni abbastanza simili la loro immissione e assunzione in campo commerciale) attende alcune opere della scultura pop, di cui a questa mostra abbiamo solo gli esempi di Segal e di Oldenburg, di Trova e in parte di Chamberlain (che era più fantasioso nelle sue carrozzerie di automobili pressate che in questa opera costruita con elementi di poliuretano legato e ritagliato). Presenze insufficienti, dunque, per consentire un giudizio complessivo sulla situazione attuale in questo settore, ma comunque assai spaesate in mezzo alle frigide strutture primarie, e alle massicce costruzioni metalliche.

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È abbastanza probabile, credo, pensare che sempre maggiormente la «pittura», soprattutto quella monocroma e a base di shaped canvases, la pittura-oggetto, la pittura volumetrica insomma, possa sopraffare, per vivacità e originalità, l’attuale «vera» scultura (e penso ad artisti come Kampmann, Bonalumi, Gaul, Pascali, ecc.). Si dirà allora, che la pittura è diventata scultura? Non del tutto: piuttosto è diventata environment, è, cioè, entrata a far parte del lay-out dell’architettura d’interni, dando vita a quella modulazione ambientale che l’architettura troppo spesso trascura e che la «vera» scultura disprezza e non utilizza.

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Quest’anno vorrei limitare il mio discorso ad un particolare gruppo, abbastanza vasto, seppure abbastanza confuso, e senza precisi confini, che comprende tutti quegli artisti che hanno - chi per un verso chi per un altro - avvertito l’influenza delle più recenti correnti letterarie, ed hanno immesso nelle loro opere, per l’appunto un certo quale alone di letterarietà.

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Il quadro complessivo che risulta dalla presenza di questi undici artisti e sul quale il pubblico tedesco è chiamato a dare il suo giudizio, appare, mi sembra, sufficientemente aperto e in divenire e credo rifletta abbastanza fedelmente l’impostazione generale dell’arte italiana odierna. Forse potremmo così riassumerlo: un tendere verso la «bellezza formale» che fu da sempre un impulso innato del temperamento italico (Castellani, Bonalumi, Piacentino); ma anche una ricerca del fantastico e del giocoso - non del fantasmagorico e del grottesco! - (Del Pezzo, Paolini, Marotta); una volontà di sottrarsi agli abbagli della società consumistica (Pistoletto, Castellani); e insieme una coscienza dell’importanza dei nuovi materiali (La Pietra, Marotta), e dell’interagire tra i diversi media estetici (La Pietra), insieme ad una costante ricerca dell’aggancio tra la tradizione e l’avanguardia (Ceroli), tra i valori tecnologici e quelli artigianali (Alviani, Spagnulo).

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Per quanto riguarda il rapporto tra arte e gusto e quindi tra critica impostata sul problema del gusto o meno, la faccenda non cessa di complicarsi man mano che ci si discosta da quelle regole istintive che permettevano, ancora alcuni anni fa, di fare una distinzione abbastanza netta tra buono e cattivo gusto, tra arte e Kitsch.

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Ma forse non si è dato abbastanza peso a un fatto: al divenir teatro di tutte le forme artistiche del periodo che stiamo attraversando. Divenir teatro, nel senso di trasformarsi delle arti figurative, della musica, della plastica, in un’azione dell’uomo che si serve del proprio corpo (del Leib come avrebbe detto Husserl) per imbastire un dialogo tra sé e il prossimo, tra artista (l’attore) e il pubblico.

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.), è ormai abbastanza generalmente accettata l’ipotesi, anzi la constatazione, del verificarsi di alcune condizioni per cui, entro ogni area culturale, si presentano analoghi «modelli» svincolati dal percorso storico, e che vengono a costituire quasi delle costanti transepocali.

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E, del resto, non è da oggi che si ribadisce (e non lo si farà mai abbastanza) la «non-normatività» dell’estetica e delle sue «leggi»; e la - per contro - assoluta normatività (autonormatività) d’ogni poetica, dunque d’ogni autonoma operazione creativa (poietica) da parte dell’artista.

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Della semanticità della pittura moderna si è, credo, discusso e ragionato abbastanza; mi pare invece che sia importante discorrere d’una sempre più evidente dimensione sintattica, della stessa del legame e del nesso - ora lasso ora stretto - intercorrente tra i «segni» del nuovo linguaggio visuale; e questo proprio oggi che, come dissi dianzi, la pittura molto spesso è ridotta alla macchia, al dinamismo del gesto, al ritmo del «foro», alla negativizzazione dell'immagine quale appare negli «spazi vuoti» di Rothko, di Tapies, di Feito.

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È abbastanza sintomatico che la figura del critico d’arte si sia affermata in età postbarocca, mentre prima d’allora s’identificava il più delle volte con quella dello stesso artista o dello storico-filosofo. È una condizione analoga a quella che vide l’instaurarsi d’una disciplina a sé stante, cui fu dato il nome di estetica. (Solo a partire dal 1750, anno della pubblicazione dell’Aesthetica di Baumgarten, come è noto). Perché prima d’allora l’estetica era compito dello stesso artista o del filosofo e dello storico, e perché, a un certo momento dell’evoluzione del pensiero umano, si è avvertita la necessità o l’opportunità di creare una disciplina a sé stante che analizzasse il perché dell’arte?

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I due eventi non hanno probabilmente nessun addentellato: non credo che Husserl (oltretutto abbastanza indifferente ai problemi artistici dell’epoca) avesse alcun rapporto con i giovani scapigliati che raccoglievano oggetti inutili e li trasformavano in oggetti artistici solo attraverso un atto di volontà e di decisione. Eppure alcuni principî divenuti oggi comuni e ben noti: l’intenzionalità dell’artista, l’oggettualizzazione, stanno alla base di quelle ricerche e permettono quindi di giustificarle anche in un senso più «profondo» di quanto di solito non si faccia.

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La pittura antica e moderna

252642
Farabulini, David 1 occorrenze
  • 1874
  • Tipografia e Libreria di Roma del Cav. Alessandro Befani
  • Roma
  • critica d'arte
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Insomma i maestri e gl’intendenti dell’arte hanno qui abbastanza per mirare quasi in breve specchio un’istoria manifesta, continua e compiuta della pittura, e per distinguere le differenti qualità e virtù di tanti ingegni che fiorirono ne’ più gloriosi secoli italiani.

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La storia dell'arte

253405
Pinelli, Antonio 1 occorrenze

In alcuni esagoni (tavv. 2a-c) vediamo teste dipinte in modo abbastanza rozzo e sommario, con timidi scorci prospettici ed un linguaggio aspro e stentato, che ben poco ha a che fare con quello dell’Angelico e del suo entourage. Grazie ai documenti d’archivio che ci parlano della presenza nel cantiere, nell’estate del ’48, di un pittore locale, Pietro di Nicola Baroni, intento a completare l’incorniciatura ornamentale delle vele, è pressoché inevitabile ipotizzare che l’autore di queste teste piuttosto mediocri e sostanzialmente estranee alla cultura figurativa angelichiana possa essere stato proprio lui. Ipotesi che trova piena conferma da un confronto con un suo polittico della Galleria Nazionale di Perugia (tav. 2d), che ci mostra figure dipinte con un analogo stile piuttosto rustico e scarsamente espressivo, alcune delle quali presentano caratteristiche pressoché identiche a quelle delle testine orvietane anche sotto il profilo fisiognomico.

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Le due vie

255121
Brandi, Cesare 2 occorrenze

Ma ai fini di questo studio è necessario polarizzare l’esame a tre aspetti abbastanza recenti che questo indirizzo critico ha sistematicamente assunto, sorti, come è naturale, dal terreno, il più propizio, del pragmatismo americano, ma con i forti apporti di altre correnti filosofiche, più o meno affini, come il positivismo logico, il comportamentismo, e, infine, la filosofia delle forme simboliche del Cassirer.

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Il quadro generale si presenta ormai abbastanza chiaro: i tentativi di concettualizzare l’arte come segno, come messaggio, come comunicazione si sono dimostrati inoperanti o infruttuosi, nella misura in cui tendevano a trasformare un affaccio parziale sull’opera d’arte in punto di stazione unico, per di più pretendendo di surrogare l’indagine sulla struttura con la registrazione del comportamento del ricevente. Quasi che la trasformazione della qualità in quantità, che sta alla base della teoria economica dell’informazione, e l’indagine semantica potessero veramente porre le basi per un’utopica estetica scientifica.

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L'arte contemporanea tra mercato e nuovi linguaggi

256911
Vettese, Angela 3 occorrenze

La nostra vita e il nostro tempo scorrono accelerati dandoci un senso di vertigine, come se le ore e i giorni a nostra disposizione non fossero mai abbastanza e la terra ci mancasse continuamente sotto i piedi. «Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie», per dirla come Ungaretti; quando osserviamo i mobiles di Alexander Calder, per fortuna più allegri del paesaggio interiore da soldati in trincea che descrive il poeta, ci sentiamo come i frammenti colorati dell’artista americano, appesi a un filo e in balia di correnti e sbilanciamenti.

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Seppure con sfumature diverse, queste sono le basi della cosiddetta «teoria istituzionale dell’arte», secondo la quale i valori sarebbero appunto determinati da una comunità che è abbastanza elastica per cambiare sovente idea -, la quale nel suo insieme forma un’istituzione.

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Anche se si tratta di una nicchia abbastanza stretta, è sufficientemente importante per giustificare le ricerche internazionali che stanno valutandone i numeri: sapere come si predispongono le maglie per un’inevitabile selezione delle proposte non significa ripiegare su una posizione utilitaristica, cinica e antiumanistica dell’arte. Al contrario, queste maglie sono, che piaccia o meno, un modo per raggiungere la qualità con l’aiuto dei rabdomanti più sensibili.

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Personaggi e vicende dell'arte moderna

261077
Venturoli, Marcello 4 occorrenze
  • 1965
  • Nistri-Lischi
  • Pisa
  • critica d'arte
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Molti dei suoi primi quadri hanno per soggetto osterie e bettole, la parola vins appare grande e imperiosa nei suoi cartoni — cominciò abbastanza tardi a usar la tela — come un miraggio. Il piccolo alcoolizzato aveva bisogno di dieci franchi al giorno per «guadagnarsi da bere». Suoi primi acquirenti furono i negozianti di cornici e i rigattieri di Montmartre, tra cui Serot e Anzoli. Questo primo periodo dell’arte di Utrillo si lega a filo doppio con la grande lezione degli impressionisti.

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E se oggi persone filo-astratte ad oltranza possono esistere e difendere in quel loro modo allergico i valori delle ultime avanguardie, ciò devono in gran parte alla generazione che li ha preceduti, e che ha operato da ponte fra il clima chiuso del Novecento e quello aperto della Liberazione; un ponte non sempre consapevole dei valori di stile, almeno nel senso di uno sviluppo in un ordine avanguardistico dell’arte italiana, specie nel momento iniziale della scuola romana, ma assai energico nella determinazione psicologica e morale: tutti artisti, i Pirandello, gli Stradone, i Guttuso, i Cagli, i Mirko, che seppero assai presto approfondire il quanto di divergenza dal Novecento, anche sul piano formale e se ne distaccarono abbastanza. Almeno tanto quanto era sufficiente a non farli restare quei figli del Novecento che erano stati sugli avvii, e in certe loro intime contraddizioni.

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Se noi reputiamo ancor valida, ma non suscettibile, per altro, di ulteriori sviluppi, la pittura dei Messicani, così candidamente implicata nei modi del surrealismo, e tutta ricca di lieviti popolari, non troviamo altrettanto coerente questa pittura ultima di Attardi, che non è abbastanza surrealista per essere accettata come un angosciato giuoco dell’inconscio, e non è abbastanza visiva e realistica per essere accettata soltanto come un saggio, in caldo, nell’espressionismo storico. Le simbologie e le suggestioni che, per esempio, in un Guerreschi sono il frutto di una autentica «malattia psicologica», quel trasferire il passato dei lager nel presente della realtà «pacifica» in città, torturando di filo spinato, di squarci e di muffe le sue composizioni, in Attardi sono il frutto di una volontà che si risolve nella immaginazione e che non si scalda nella fantasia: così il quadro «Sulla via di Palermo» — il meno felice che noi abbiamo potuto vedere nella ricca produzione di Attardi — è una inerte mescolanza, in tanto agitarsi di personaggi, mondi, aranci, carabinieri e feticini (degni davvero di figurare, quanto a livello, nel più basso ciarpame della morbosità espressionista), di elementi surrealisti ed elementi realisti, fino a una inconcepibile compromissione classica (con rigurgiti michelangioleschi nella plasticazione e nei chiaroscuri), per di più dentro uno spazio fisico, da «Giudizio Universale», dove frammenti di quadri di Delacroix, tirati come una gomma dalla parte dell’espressionismo, dovrebbero fare il sogno o l’incubo o la favola.

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Tra i pezzi più belli della mostra, dove il pittore resta se stesso al cento per cento, fantomatico e insieme fiabesco, drammatico e tuttavia «ottimista», ricordiamo due pezzi di taglio abbastanza grande rispetto gli altri, il «Figure 1957» e «Ricordo di Rio», nonché la splendida serie delle prove per lito, in bianco e nero e a colori esposte nella saletta di destra. Fra le opere con le unghie fatte, di cui s’è parlato, preferiamo di gran lunga, per la sonorità un po’ saputa, ma non inerte, «Forme bianche», «Festa», «Avvenimento in una stanza».

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Pop art

261459
Boatto, Alberto 2 occorrenze

In Inghilterra il panorama della nuova arte appare dei più variati, e presenta uno sviluppo insulare abbastanza autonomo rispetto agli americani. L’inclinazione popolare diventa qui francamente popolaresca, oppure assume spontaneamente flessioni decorative con dichiarati agganci all’Art Nouveau, quasi un ripercorrere con vena pittoresca e humour la tradizione moderna che già dalla fine dell’Ottocento è stata una tradizione di arte applicata, di grafica, di oggetti d’uso, e che pertanto ha puntato subito su una larga circolazione sociale. L’io divagante dell’artista in quanto uomo comune, ma non scaduto ancora ad anonimo componente della massa, si sovrappone alla iconografia oggettiva e ne ricava seducenti motivi poetici, narrativi, satirici, a volte di abbandonato divertissement. Si fa luce talvolta anche un gusto naif, ma cittadino e perciò ricco di uno scaltrito candore, così diverso dalla tradizionale naïveté paesana.

Pagina 184

La vista, il tatto, la gola e l’odorato, aderendo agli oggetti, immettono l’artista in mezzo al mondo, ma provocando pure il gioco delle reazioni sensibili, emotive e fantastiche, lo trascinano dalla sua apparenza abbastanza lontano. Giacché fra l’avidità dei sensi e la qualità materiale delle cose si slarga l’universo degli appagamenti e delle delusioni (la corrispondenza o non degli oggetti alle voglie dell’uomo), ed è proprio questo strato interno ad alimentare il lavoro dell’americano. Scopo delle sue sculture è di materializzare un’esperienza del mondo, dei non facili incontri con esso. «Io non mi interesso che all’esperienza umana: i rapporti fra l’uomo e il mondo», è una confessione-chiave di Oldenburg. Se fra lui e la realtà esiste un malinteso («Sono abbastanza spaventato dal mondo. Non mi sento sicuro fra gli uomini» 34), se s’insinuano il vuoto e la fredda distanza, seminando nello spazio i suoi cibi e i suoi utensili, questi oggetti nati da una privazione, Oldenburg spera di colmare l’intervallo o, almeno, di accorciarlo, dando così vita ad un’opera di risarcimento fisico e psicologico. Di fronte ad un ambiente scostante, un desiderio d’integrazione, di essere accolto amorosamente percorre invece tutto il suo lavoro.

Pagina 90

Scritti giovanili 1912-1922

264846
Longhi, Roberto 14 occorrenze

troppo artistica la vita e perciò non abbastanza artistica fu l'arte sua.

Pagina 125

Eppure, per scegliere un artista che non deve riuscire discaro al nostro, egli sa abbastanza che Van Gogh per esempio, non si esimeva certo dall'inarcare fino ad una sazietà schematica le case, ed ogni generalità ambientale al pari dei suoi uomini mobilissimi. Questo significherebbe forse in Boccioni una leggera schiavitù a qualche oggetto di rango superiore, riportato fuori dell'arte come soggetto artistico? Quando infine egli rappresenta l'uomo non gli si asserve forse vagamente nello sforzo stesso di volerlo unificare con l'ambiente?

Pagina 150

E dove volendo risolvere il problema abbastanza complesso della liberazione degli spagnoli dal Romanismo e del passaggio al '600 non ha saputo far altro che riprendere ed ampliare la tesi che gli aveva servito - tutti sanno con quale risultato - per costruire la sua monografia su Ribera. Pensa cioè ad escludere ogni influenza di Caravaggio nella formazione dei grandi spagnoli e per giungere a ciò tenta di mostrare che lo sviluppo allo stile tenebroso avvenne in Ispagna in modo affatto indipendente, per opera di tardi romanisti e soprattutto di Ribalta, di Roelas e di Carducho.

Pagina 172

E per convincersi meglio di ciò 16, giunge perfettamente opportuno l'esame dell'opera acutamente avvicinata dal Voss alla Coronazione di spine * di Vienna, l'Andata al Calvario** (n. 476) dello stesso Museo; soltanto, per non conoscere alcuna produzione intermedia dell'artista, non abbastanza distanziata da quella, anzi tanto avvicinata da supporla dubbiosamente un pendant.

Pagina 186

Nonsenso, poiché se Gentileschi ha coraggio abbastanza per sciogliere di veli il mito religioso, non ha mente a sufficienza per disperderlo completamente nel nuovo ambiente con la serietà, l'impassibilità umana di cui era capace un Caravaggio.

Pagina 241

Non rileveremo mai abbastanza le difficoltà che si opponevano a un’artista nella trattazione di soggetti come questo che erano anche più restii a mutamenti per essere già accomodati da tempo in certi stampi apparenti di «genere», affatto mnemonici.

Pagina 262

Allora, non giudicheremo i cenni storici, che saranno buoni, tante guide potevano servire al compilatore; e la bibliografia in fine che è ricca e ben disposta; del catalogo diremo ch'è abbastanza completo, sebbene non sempre accettabile nelle attribuzioni e con qualche lacuna; ne noto una che mi riguarda particolarmente; perché mai il D., che non esclude di proposito tutta l'arte dopo il '500 e cita persino Dupré e Maccari, non ricorda il quadro di Preti al Duomo? Sono nèi.

Pagina 299

Figuriamoci se non ci fu abbastanza perché i soliti irreducibili ciuchi potessero satollarsi continuando a rivoltarsi per bocca quei quattro o cinque nomi, che noi non ripeteremo qui per far loro dispetto, di quei quattro o cinque artisti sommi nei quali, a detta loro, l'espressione artistica è perfetta perché riassuntiva ecc. di un'epoca intera.

Pagina 3

Non possiamo dire molt'altro di bene dello scritto del Nicodemi; il quale è troppo guasto da certe pregiudiziali di ambiente storico-religioso per poter affrontare con abbastanza gioia e vitalità il problema artistico. La questione della Controriforma e delle norme precise dettate all'arte - per noi senza alcun esito - dai Cardinali Paleotti e Borromeo e da altri legislatori dell'arte, pesano come un incubo sopra la mentalità critica del Nicodemi che non si stanca di citare queste cause senza per altro addurne chiaramente gli effetti, che di fatto non esistono. Egli avrebbe potuto meglio approfondire il confronto tra il Federigo Borromeo autore delle leggi-capestro nel «De Pictura Sacra» e il Federigo Borromeo critico d'arte libero e sereno nel «Museum», e avrebbe allora inteso quanta sopportazione ampia e libera fosse anche là dove la superficie appariva più austera, e inflessibille. D'altronde noi non neghiamo che la Controriforma abbia guasto un poco anche il buon gusto del cardinale Federigo: testimonia abbastanza di ciò la sua passione per i quadretti alla fiamminga, con cadaveriche ghirlande di fiori passi a incorniciare madonnine livide e bimbi stenti; eppure negli stessi tempi il padre Morigi e il Borsieri esaltano la pittura milanese per la sua larghezza e focosità antifìamminga, senza paura di urtare contro precetti rigoristici quasi inavvertiti daghi artisti e dal pubblico. Ma, Dio, questa tetraggine da arcivescovado ambrosiano in tempo di peste, come serve male ai fini della critica d'arte!

Pagina 354

Abbastanza note al pubblico sono le opere dell'ultimo periodo Veneziano del Lys, e cioè la Toilette di Venere ag1i Uffìzi, il San Girolamo ai Tolentini di Venezia e il Sacrificio di Abramo (Uffizi, Casa Giovanelli a Venezia, e collezione Roumiantzoff a Mosca).

Pagina 385

Così se ne parla a cuore gonfio perché non c'è nulla di abbastanza significante, neppure in cattivo gusto da poterci permettere la doverosa fatica di qualche considerazione dall'alto; non ci si offrono che degli scampoli di mode attardate e che non erano le prime neppure a suo tempo. Ci fosse almeno una qualche eco singolarmente regionale; poter scoprire, anche un po' interrato, il filone del paesaggio romano arcigno e severo di Costa e magari di Coleman; ma anche «The Roman Campagna» è ormai troppo diluita nell'acquerella «alla The Studio».

Pagina 431

Non abbiamo dunque quasi nulla a ridire sulla parte che riguarda l'architettura, salvo il giudizio non abbastanza favorevole sul Borromini.

Pagina 454

Avverte egli stesso l'impossibilità di sanare il contrasto tra le due concezioni, ma non lo risolve tuttavia in una superiore verità per non sapere né abbandonare quel concetto abbastanza insignificante di «monumentale» (ma che cos'è poi il «monumentale» se ci sono persino dei monumenti che non sono affatto monumentali?!), né d'altra parte condurre una critica profonda agli schematismi un po' troppo accentuati del Wölfflin.

Pagina 454

Nessuna variante fra le due edizioni, forse perché il Longhi non interessava abbastanza. Il Dami anzi, nel suo discorso del 1924, affermava che il pittore usciva diminuito dalla Mostra. E lo credo, dato che si continuava ad esporre per sue, copie o derivazioni grossolane come i numeri 601, 602, 606; o di altra mano, come i numeri 611, 612: tutte cose da me espunte sui margini del catalogo.

Pagina 505

Scultura e pittura d'oggi. Ricerche

266224
Boito, Camillo 1 occorrenze
  • 1877
  • Fratelli Bocca
  • Roma-Torino- Firenze
  • critica d'arte
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Si vedono quattro seggioloni del Brustolon, belli a parte a parte, goffi nell'insieme, e alcuni bassorilievi scolpiti in legno, con isgorbia abbastanza castigata, dal secentista Fantoni.

Pagina 249

L'arte è contemporanea. Ovvero l'arte di vedere l'arte

266773
Sgarbi, Vittorio 4 occorrenze
  • 2012
  • Grandi Passaggi Bompiani
  • Milano
  • critica d'arte
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Io, ad esempio, so abbastanza poco di arte islamica, di arte sumera, benché sappia che esistano. Conosco più approfonditamente l’arte greca dell’arte romana; conosco abbastanza bene l’arte romanica e forse un po’ meno ampiamente l’arte gotica. Larte contemporanea, rispetto alla produzione di altri momenti storici, è ancora più sconfinata. Chiunque stia lavorando, in questo momento, in Svezia, in Islanda, in Cina, in Cambogia è un artista contemporaneo, che io, forse, anzi, sicuramente, non conosco. Perciò, di quello che conosco dell’arte contemporanea europea e prevalentemente italiana, posso esprimere un’opinione e tentare di indicare alcuni artisti che rivestono un interesse superiore ad altri. Cosa che invece non accade quando il percorso è chiuso, come nel caso degli artisti antichi. La sensibilità contemporanea ha mosso un critico come Longhi, ad esempio, a studiare in modo diverso Caravaggio. Quindi la sensibilità di oggi può indurre a meglio capire alcuni artisti di ieri. Ma per tornare all’arte contemporanea, prodotta nel nostro tempo, il critico deve registrarla, dove questa riesce a riguardare anche altri, oltre che l’artista; dove essa cessa di essere un fatto terapeutico, per cui l’artista si cura con l’arte che produce, ma diventa qualcosa che riesce a “curare” anche altri. È in questo momento che comincia a nascere un collegamento, un dialogo fra chi vede e l’artista.

Pagina 106

Un rischio che si corre soprattutto in Italia, dove, negli ultimi quarant’anni del Novecento, è stata fatta una battaglia per cui nuovi o non nuovi, capaci di un pensiero autonomo o scaltri rifacitori del già fatto gli artisti contemporanei sono soltanto alcuni, una vera e propria mafia, reale come quella che ha dominato la Sicilia per tanti anni, che si afferma impedendo agli altri l’accesso alla visibilità e addirittura anche la mera possibilità di essere visti, con l’idea che non meritino, che non siano contemporanei o non lo siano abbastanza, e che chi si occupa di loro sia persona che non ama l’arte contemporanea.

Pagina 23

La coincidenza fra stile e immagine crea in questo modo un rapporto abbastanza automatico nonché anche per chi abbia attenzione e sensibilità artistica una certa resistenza al godimento dell’arte contemporanea. Essa, infatti, è infinitamente ripetitiva, quindi preclude facilmente il passo alla pittura figurativa, giacché tagli, sacchi, linee sono soggetti più facili da ripetere rispetto alla figura. La pittura astratta, la pittura informale, viene spesso identificata con lo stile di un autore che si riproduce nello stesso soggetto anche perché se applicasse lo stesso concetto alla figura rischierebbe di diventare insopportabilmente ripetitivo, come è accaduto per esempio ad artisti come Bueno.

Pagina 52

L’arte contemporanea, d’altronde, è abbastanza facile da riconoscere proprio perché è un avvenimento del nuovo, ossia un nuovo modo di vedere la realtà. È un modo che fino a quel momento non c’era, e l’artista è colui che anticipa qualcosa che poi tutti avvertiranno. Se siamo abituati a percepire la realtà seguendo determinati modelli, nel vedere un artista nuovo sapremo che la sua arte è tanto più grande quanto più riesce a farci percepire in modo diverso la realtà: in quella variante, pur piccola, c’è la sua poetica. L’estetica, quindi i valori dell’arte così come quelli della poesia, sta in una diversa percezione della realtà. L’estetica non è forma: si muove come si muove il tempo. E quindi noi dobbiamo essere in grado di sentirne e di sentirvi il tempo.

Pagina 7

Ultime tendenze nell'arte d'oggi. Dall'informale al neo-oggettuale

267266
Dorfles, Gillo 4 occorrenze
  • 1999
  • Feltrinelli
  • Milano
  • critica d'arte
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Se il sistema delle videocassette, come è facile prevedere, è destinato ad avere un massiccio sviluppo, è abbastanza probabile che nei prossimi anni si assista alla messa in commercio di numerosi video-nastri, e videodischi a livelli assai diversi che andranno dal nastro pornografico e fumettistico creato per soddisfare il grosso pubblico a quello supersofisticato ed ermetico destinato alla consueta fruizione "privilegiata" di pochi adepti. Il che in definitiva non sposterà di molto l’attuale incompatibilità dei diversi generi artistici e continuerà a mantenere le opere elitarie rigidamente avulse da ogni possibilità di accesso al grande pubblico.

Pagina 161

Come gli informali avevano scardinato le “regole” del geometrismo caro ai costruttivisti e a certo strutturalismo svizzero-olandese, “regredendo” verso un genere di pittura magmatica, dal colore corposo e materico che ricordava talvolta quello di certi fauves e postimpressionisti, cosi alcuni degli attuali transavanguardisti sono “regrediti” verso un genere di figurazione abbastanza prossimo a quella dell’espressionismo ma sconvolgendo le regole prospettiche, tonali, chiaroscurali, di allora, alle volte “capovolgendo” la stessa immagine (come nel caso di Baselitz), o giungendo persino alla paesaggistica, come l’ex iperrealista Gerhard Richter.

Pagina 168

Ma siccome, d’altro canto, ci sono alcune figure abbastanza significative che non possono venir incluse nelle altre categorie, ritengo abbastanza lecito parlare di informale (o di tachisme), a proposito di artisti come Soulages, Schneider, Beynon, Riopelle, Ruth Franken, Hosiasson, Noël, Jenkins, Oscar Gauthier, Ossorio, degli italiani Vedova, Moreni, Chighine, Carena, Parisot, Bionda, Bendini, Corpora, Santomaso (e in certo senso dello stesso "naturalista" Morlotti), dei giapponesi Imai, Yoshigahara, Motonaga, Kanayama, dei tedeschi Bernard Schultze, Otto Goetz, Heinz Trokes, Peter Briining, Hans Platschek, K. H. Wiener, Rolf Cavael e, in parte, della massima pittrice portoghese Vieira da Silva, che, tuttavia, rimase sempre legata a precedenti memorie postcubiste.

Pagina 45

Certo, su alcuni di questi pittori (Gottlieb, Pollock, Stili e Rothko, di cui abbiamo trattato altrove) ebbe una certa influenza l’opera di artisti della precedente generazione americana come Marin e Dove, poco noti in Europa ma abbastanza importanti oltre oceano.

Pagina 58