Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbasso

Numero di risultati: 78 in 2 pagine

  • Pagina 1 di 2

Sull'Oceano

171046
De Amicis, Edmondo 2 occorrenze
  • 1890
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
  • UNICT
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Intanto, guardando abbasso, proprio sotto il palco di comando, io avevo fatto una scoperta maravigliosa, una delle più belle figure che avessi mai viste per mare o per terra, vive, dipinte o scolpite, dal primo giorno che giravo il mondo. Il Commissario mi disse ch'era una genovese. Sedeva sopra un panchettino, accanto a un vecchio che pareva suo padre, seduto sul tavolato, e lavava il viso a un ragazzetto in piedi, che aveva l'aria d'un suo fratello. Era una ragazza grande, bionda, con un viso ovale d'una regolarità e purezza di lineamenti angelici, d'occhi grandi e chiari, bianchissima; perfetta del corpo, eccettuate le mani, un po' troppo lunghe; vestita d'un giubbino bianco svolazzante e d'una gonnella azzurra, che parea che stringesse due cosce di marmo. Dal vestito, benché pulitissimo, si vedeva ch'era povera; e aveva una dignità tutta signorile; ma mista a un'apparenza così ingenua; a una grazia così semplice d'atteggiamenti e di mosse, che non stonava con l'umiltà del suo stato. Dava l'idea d'una bambina di dieci anni che fosse cresciuta così in pochi giorni. Parecchi passeggieri, intorno, la guardavano, e altri, passando, si voltavano a darle un'occhiata. Ma per tutto il tempo che rimanemmo a guardarla, non girò una volta gli occhi intorno, non diede mai il minimo segno d'accorgersi che l'ammirassero, e il suo viso mantenne una tranquillità così immobile, così trasparente, direi quasi, da rendere impossibile anche il più vago sospetto che quel contegno fosse un artificio. Ed era così diversa in tutto dalla folla circostante, che sembrava solitaria in mezzo a uno spazio libero, benchè Ia gente Ia premesse da ogni parte. In che modo si trovava là quel miracolo gentile? E la sua fama doveva già esser grande a bordo, perchè a un dato momento vedemmo affacciarsi a un finestrino, e guardarla con l'aria di un ammiratore abituale, nientemeno che il cuoco della terza classe, con tanto di berretta bianca, un faccione rosso e brusco, d'una straordinaria alterigia, sul quale appariva la coscienza di esser per gli emigranti più importante personaggio del piroscafo, riverito, temuto, corteggiato come un imperatore. - E anche costei, - disse scotendo il capo il Commissario, - senza volerlo, mi darà da pensare. - E prevedeva un viaggio scellerato.

Pagina 40

Pagina 58

IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

190556
Schira Roberta 1 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Altre frasi che potrebbe pronunciare: in questa stanza fa troppo caldo/freddo; abbasso/alzo il riscaldamento/l'aria condizionata; apro la finestra. Vuole essere rassicurato, sempre e comunque, quindi fatelo spesso prima, durante e dopo i pasti. Anche l'invitato, se appartiene a questa categoria, arriva trafelato, oppure entra timidamente e non osa consegnarvi la bottiglia o il libro che vi ha portato in regalo. «Ma sicuramente lo hai già letto, se vuoi si può cambiare». Poi si fa prendere dall'ansia perché dice di non conoscere nessuno, ma volendo fare conversazione entra continuamente in cucina a chiedervi consigli e ragguagli sugli altri ospiti ingarbugliando i tempi di cottura del vostro soufflé. L'anfitrione negativo con tendenze paranoiche. Riesce a fare fiasco in ogni iniziativa o meglio, vittima del «pensiero negativo», fa inconsciamente in modo di fallire. A volte è convinto di avere poteri speciali, come intuire gli eventi prima che avvengano, o di leggere i pensieri degli altri. Crede di poter esercitare un controllo magico sugli esseri umani. Fondamentalmente è negativo e disorganizzato. Non è come l'ansioso, il quale teme che la serata vada storta: l'anfitrione negativo la fa andare storta davvero. È superstizioso, salta sul tavolo se cade il sale e inizia a recitare mantra contro la sventura. Non è escluso che a metà del polpettone inizi a raccontarvi dettagli angoscianti della propria vita sentimental-sessuale- bancaria. Attenzione: potrebbe essere tutto falso, è troppo diffidente per aprirsi veramente agli altri. Alterna intervalli di completo mutismo a momenti di logorrea, in genere dopo un bicchiere di Brunello. Può cambiare completamente umore, anche più volte in una serata. L'invitato con leggera tendenza paranoica sospetta che gli altri invitati, se si appartano o abbassano la voce, parlino di lui ed è circospetto anche nei confronti del cibo. La coppia scoppiata. Non c'è nulla di peggio che capitare a cena una sera in cui i padroni di casa hanno litigato o sono in crisi o stanno per separarsi e, nonostante questo, si ostinano a organizzare cene e inviti. Oppure decidono di uscire lo stesso in coppia. Lo fanno o come estremo tentativo per salvare il matrimonio, o perché hanno bisogno di un pubblico. Davvero imbarazzante. Ciascuno dei due ha un solo obiettivo per tutta la cena: ricoprire di frecciatine malefiche il partner approfittando della presenza di estranei per rinfacciare tutto il rinfacciabile. Una volta, alla fine della serata, l'uscita del marito «Potresti alzare quel sederone cellulitico e andare a prendere una bottiglia di vino, per cortesia, visto che non hai fatto un cavolo per tutta la sera?» ha fatto capire a noi ospiti che forse era meglio togliere il disturbo. La maggior parte delle volte i rimproveri lasciano completamente indifferente il diretto interessato, ma mettono in seria difficoltà gli ospiti. I peggiori sono quelli che vi obbligano a prendere posizione. Davanti a un «Diglielo tu, se non ho ragione?» oppure un «Secondo te? Avanti, di' quello che pensi!» è meglio svignarsela. In questi casi l'unica cosa saggia è rispondere con un diplomatico: «Scusate, ma si è fatto tardi» e battere in ritirata. La coppia pomiciona. A pensarci bene, non so se sia più intollerabile la coppia scoppiata o la coppia pomiciona. Li riconoscete quasi subito, perché arrivano tenendosi per mano. Badate, descrivendovi questa tipologia di coppia non sto affatto pensando a due studenti, o a una coppia fresca di luna di miele, no, i fidanzatini in questione possono essere anche due settantenni che si sono appena conosciuti, anzi è proprio a loro che mi sono ispirata, avendone incontrato recentemente un paio di esemplari. Sembrano isolati dal mondo, a tavola vi passano il sale continuando a fissarsi negli occhi, si estraniano dalle conversazioni, si tengono per mano sotto il tavolo, ma senza particolare passione. Si chiamano tra di loro con nomignoli nauseabondi e, se intervengono attivamente alla serata, parlano continuamente di come si sono innamorati, della loro canzone preferita e dei loro progetti futuri. Una variante della coppia pomiciona è la coppia in attesa; in questo caso, l'argomento principale sarà ovviamente il nascituro e il corso di preparazione al parto, l'ultima ecografia oppure le sopraggiunte intolleranze alimentari di lei. La coppia in odore di santità. Sia in veste di ospite sia di anfitrione la coppia in odore di santità, appena seduta a tavola, dedica qualche minuto di preghiera a ringraziare il Signore, poi la cena prenderà l'avvio sul tono pacato, tranquillo e fintamente pacifico dei padroni di casa. Gli argomenti di conversazione saranno opportunamente selezionati, nulla che possa turbare le coscienze. Ecco, la persona più vicina a questa tipologia, anzi il personaggio perfetto per farvi capire a chi sto pensando, è Ned Flanders, il vicino devoto di Homer Simpson, quello che lui definisce «più santo di Gesù». Ovviamente non si fanno inviti il venerdì e, se capita, niente carne per rispettare il giorno di magro mentre, la domenica, l'invito a pranzo potrebbe comprendere anche la partecipazione alla Santa Messa. I figli della coppia in questione si alzano a sparecchiare, poi vanno a letto da soli: dei veri mostri. L'anfitrione ipermaterno. Il padrone di casa ipermaterno o iperpaterno inizia ad accudirvi non appena entrate in casa assillandovi di domande e ha un unico scopo per tutta la sera: occuparsi di voi rimpinzandovi di cibo. «Non ti piace la carne di agnello? Oh, ma non ti preoccupare, ho in freezer una bistecca di manzo, oppure un branzino o preferisci un pezzo di gallina?» Dopo cena vi fa sedere sul divano, vi mette addosso una copertina e vi toglie le scarpe, e guai a voi se osate protestare. La sua preoccupazione principale è che ve ne andiate da casa sua senza sentirvi sazi e così vi ingozza di cibo, di oggetti, di parole e possibilmente anche di qualche «schiscetta» per il viaggio, nel caso abbiate ancora un languorino. Si preoccupa per la vostra salute fisica e morale e in genere utilizza, in pieno stile materno, il ricatto come modalità relazionale: «Se non torni entro una settimana, potrebbe venirmi quell'eritema di origine psicosomatica», «Se non finisci le lasagne le getterò tutte nella spazzatura: è davvero un peccato». E, prima di congedarvi, un «Trovati un/una fidanzato/a, è ora che tu metta la testa a posto» non ve lo toglie nessuno. L'ospite oculato, ossia taccagno. Se siete riusciti a farvi invitare da un autentico taccagno siete bravissimi. Lui non ha mai con sé il portafogli, come un mio amico di Torino, gira sempre con una banconota da cento euro in tasca evitando così le piccole spese come offrire aperitivi, caffè o pagare il taxi. Al ristorante vuole sempre fare alla romana, segnandosi le sue portate. Se viene invitato difficilmente porta qualcosa, ma se lo fa probabilmente è un regalo riciclato: occhio alla scadenza. Però dopo il vostro ennesimo invito decide di ricambiare: state pronti. Non c'è nulla che non va, se non nelle porzioni e nella qualità degli ingredienti: porzioni ridotte e ingredienti scadenti. Ma quello che denuncia irrevocabilmente l'anfitrione tirchio è la scelta del vino: se volete bere decentemente conviene che ve lo portiate da casa.

Pagina 35

Giovanna la nonna del corsaro nero

204910
Metz, Vittorio 2 occorrenze
  • 1962
  • Rizzoli
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Pagina 150

Pagina 211

Cipí

206578
Lodi, Mario 2 occorrenze
  • 1995
  • Edizioni E. Elle
  • Trieste
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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C'erano proprio tutti: c'era la dolce Cippicippi, c'era Chiccolaggiú, c'erano anche i curiosi, i passeri che avevano gridato «abbasso Cipí» il giorno dell'assemblea sull'albero grande; e in un angolo, nascosta e trepidante, c'era Mamí. Il vento arrivò, arrivò come una furia, fece il giro del cortile, si fermò un momento sopra la Torre fumante e disse: — Dunque voi volete una prova... una prova sicura... vediamo un po'...! Cosí dicendo parti di scatto, infilò la testa nel buco del signore della notte e vi entrò tutto con un sibilo acuto che fece tremare i calcinacci delle pareti. Poi ne usci trascinando con sé tutto quel che c'era dentro: polvere, avanzi di ossa, piume lacerate... — Il vestito dei miei piccoli! — gridò Cippicippi, riconoscendo le piume dei suoi figli. E scoppiò in un pianto dirotto. Mentre Chiccolaggiú e le altre madri cercavano fra le piume quelle dei propri cari, il vento gridò: — Ecco la prova. Vi basta? — E se ne andò rapido come era venuto, senza pretendere un ringraziamento, a continuare il suo lavoro. Nel buco si sentiva il signore della notte brontolare. Le madri e i passeri gridavano disperati: — Assassino! Mascalzone! Esci di lí e te la daremo noi una lezione! Ma Cipí cosí disse: — Amici, le parole di offesa non servono a nulla. Ora che abbiamo la prova e che abbiamo individuato il nostro nemico, dobbiamo trovare il modo di cacciarlo via. — Cacciamolo subito! — disse uno. — Ricordate che il mostro ha un becco uncinato e artigli potenti contro i quali nulla possono il nostro piccolo becco e la nostra forza, — avvisò Cipí. — Ma noi siamo tanti! — esclamò Chiccolaggiú con gli occhi stravolti. — Spargeremo dell'altro sangue! — ammonì Passerì. — Compagni, un'idea! — esclamò Cipí. — Sentiamo! — dissero i passeri stringendosi attorno a lui. — Il mostro ha bisogno di mangiare perché, come avete visto, non è vero che si nutre di ombre di comignoli; ebbene, noi dobbiamo fare un patto: nessuno deve piú incantarsi alle sue parole e nessuno degli altri passeri deve venire sul nostro tetto di notte, e se vorrà venire noi lo cacceremo a beccate! Cosí, preso dalla fame, il mostro se ne dovrà andare, se non vorrà morire nel buco. — È giusto! — disse Cippicippi, — ma bisogna essere tutti d'accordo. — Chi accetta la proposta venga con me, - disse Cipí volando sul grande albero. Tutti lo seguirono. Sul grande albero si stabilirono i turni delle sentinelle e cosí per una, due, tre, cinque, dieci notti, quando il signore della notte mandava fuori le stelline a dire: — Venite con noi nel regno della felicità, venite... venite... — nessuno l'ascoltava e guai a chi si avvicinava. La dodicesima notte, sfinito dalla fame e pieno di vergogna, il mostro dovette cedere: usci dal buco, prese il volo, spari silenzioso nella notte e da quella volta non lo videro mai piú.

Pagina 107

. — Abbasso Cipí. È un bugiardo! Viva il signore della notte! — risposero altri. A morte! — Calma! Calma! Sul grande albero si scatenò in breve una tremenda confusione: passeri che credevano a Cipí e altri che credevano al signore della notte cominciarono a offendersi e a calunniarsi e Cipí non riusciva a calmarli: dalle parole passarono alle beccate e ci fu qualcuno che nella rissa perdette alcune piume. — Fate la pace! Basta, — supplicava Cipí, ma nessuno l'ascoltava. Col cuore spezzato si ritirò sul carabiniere di sinistra seguito dai pochi passeri che gli avevano creduto e da lí osservò quelli rimasti; alcuni lo guardavano con occhio torvo e fra essi c'erano tante madri, compresa Chiccolaggiú che, con la testa fra le ali, singhiozzava cosí forte da far sussultare il ramo.

Pagina 96

I ragazzi della via Pal

208177
Molnar, Ferencz 3 occorrenze
  • 1929
  • Edizioni Sapientia
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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Soltanto Barabas, ghignando, si dichiarò all'opposizione: — Abbasso Colnai! II presidente allora continuò: — Se il signor segretario vuol mantenere la carica di segretario deve fare con noi il giuramento dell'impegno segreto perchè se il professore Raz viene a sapere che... A questo punto Nemeciech s'accorse di Ghereb che stava aggirandosi fra le cataste di legname. «Quando Ghereb se ne sarà andato, pensò, tutto sarà finito... Finite le fortezze, finito il campo... Ma se Boka riuscisse a commuoverlo chissà che non abbia a pentirsi...» II biondino quasi piangeva di rabbia e si permise di interrompere il presidente: — Signor presidente, io non ho tempo. Devo andarmene. Vais allora gli domandò severo: — Il segretario avrebbe forse paura? II segretario teme forse che se veniamo scoperti, anch'egli sarà punito? Ma Nemeciech non lo ascoltava più. Era tutto intento a spiare Ghereb il quale appiattato dietro il legname aspettava il momento propizio per andarsene... Nemeciech allora senza rispondere una parola piantò in asso l'assemblea, strinse la giacca e via per il campo fino alla porticina. L'assemblea ammutolì. E nel silenzio sepolcrale il presidente disse con voce cupa: — I signori soci han tutti veduto il contegno di Ernesto Nemeciech! Io dichiaro Ernesto Nemeciech vigliacco! — Approvato! — disse in coro l'assemblea. Colnai anzi ribattè: — Traditore! Richter chiese agitato la parola: — Propongo che il vile traditore il quale lascia la società nel momento del pericolo, sia espulso e nel protocollo segreto venga qualificato come traditore! — Approvato! — dissero in coro i presenti. E il presidente emanò la sua sentenza nel silenzio generale: — L'assemblea dichiara Ernesto Nemeciech vigliacco e traditore, lo destituisce dalla carica di segretario e lo espelle dalla società! Signor conservatore del protocollo! — Presente! — rispose Lesik, — Segni nel protocollo che l'assemblea ha dichiarato traditore Ernesto Nemeciech scrivendo il suo nome tutto in lettere minuscole. Un mormorio corse fra gli intervenuti. Questa era, per statuto, la pena più grave che si potesse infliggere. Molti si raggrupparono attorno a Lesik che sedette in terra appoggiando il quaderno da dieci soldi sulle ginocchia: quel quaderno era il protocollo della società, e con enormi scarabocchi vi scrisse: «ernesto nemeciech è traditore». Così la Società dello Stucco ha privato del suo onore Ernesto Nemeciech. E intanto Ernesto Nemeciech, o se preferite, ernesto nemeciech, correva in via Chinorsi dove abitava Boka in un modesto appartamento a pianterreno. Entrò di galoppo sotto il portone e s'incontrò con Boka. — Oh, bella! — esclamò Boka — Che vieni a fare qui? Nemeciech raccontò ansimando quel che aveva scoperto e tirava Boka per la giacca perchè si affrettasse. E corsero entrambi al campo. — Hai visto e sentito tutto quanto mi racconti? — chiese Boka mentre correvano. — Visto e sentito. — E Ghereb c'è ancora? — Se facciamo presto, lo troviamo, spero. Vicino alle Cliniche dovettero fermarsi perchè Nemeciech prese a tossire. — Vai tu — disse —, vacci da solo... lo... devo tossire... E tossiva forte. — Sono raffreddato — disse a Boka che non si moveva —. Mi sono raffreddato al- l'Orto Botanico. Sono cascato nel lago, ma non sarebbe stato niente. Era l'acqua della piscina che era fredda. Mi sono gelato fino alle ossa. Svoltarono in via Pal e proprio allora la porticina si apriva e Ghereb ne usciva in fretta. Nemeciech afferrò Boka: — Eccolo! Boka fece portavoce della mano e gridò con voce squillante che rimbombò nella pace della viuzza: — Ghereb! Ghereb si fermò, voltandosi. Quando riconobbe Boka rise a lungo. E se la svignò, sempre ridendo. Tra le case di via Pal la risata risuonò stridula: Ghereb si beffava di loro. I due ragazzi rimasero come inchiodati. Ghereb era scomparso ed essi sentivano che tutto era perduto. Non dissero più una parola e s'avviarono verso la porticina del campo. Dal di dentro giungeva il frastuono allegro dei giocatori che si scambiavano le palle e l'evviva dei soci al nuovo presidente della Società dello Stucco! Nessuno lì dentro sospettava di non essere più in casa propria, nel proprio territorio. Quel breve tratto arido e scabro di terreno di Pest, quello spiazzo rinchiuso tra due case d'affitto, significava per la loro anima infantile la libertà, lo sconfinato, a mezzogiorno prateria americana; nel pomeriggio pianura magiara; sotto la pioggia, oceano; d'inverno, polo nord, insomma l'amico loro compiacente che si trasformava in quel che volevano per divertirli! — Vedi — disse Nemeciech —. Non sanno niente! Boka abbassò il capo e mormorò: — Non sanno niente! Nemeciech si fidava di Boka. Non disperava vedendosi vicino l'amico intelligente e prudente. Ma si spaventò quando scorse la prima lagrima negli occhi di Boka e quando sentì che il presidente, lo stesso presidente gli diceva con profonda tristezza e con voce esitante: — Ed ora che si fa?

Lo stralisco

208606
Piumini, Roberto 16 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
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Il libro della terza classe elementare

211566
Deledda, Grazia 1 occorrenze
  • 1930
  • La Libreria dello Stato
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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Scrivo a destra del 7 la cifra 5 del dividendo, o, come si dice, abbasso il 5, e formo così il numero 75. L' 8 nel 75 sta 9 volte; scrivo 9 sotto il tratto orizzontale alla destra del 2. Trovo il prodotto di 9 per 8 ed ho 72; lo sottraggo dal 75 ed ho 3 come resto. L'operazione è terminata; il quoziente è 29, il resto 3. Più concisamente il calcolo può esser disposto come qui a fianco e si opera dicendo: 8 nel 23, 2 volte con I' avanzo di 7; scrivo 2. 7 preposto a 5 dà 75; 8 nel 75, 9 volte con avanzo di 3. Scrivo 9 accanto al 2, ed il 3 sotto il 5; il quoziente è 29, il resto 3. ESEMPIO II. - Sia da dividere 934 per 7. Nel caso attuale, alla sinistra del dividendo basterà staccare una cifra sola, 9. E si dirà: il 7 nel 9 sta 1 volta; scrivo 1. 7 per 1, 7; 9 meno 7, 2. Abbasso la cifra 3 ed ho 23. Il 7 nel 23 sta 3 volte, scrivo 3. 7 per 3, 21; 23 meno 21, 2. Abbasso il 4 ed ho 24. Il 7 nel 24 sta 3 volte; scrivo 3. 7 per 3, 21; 24 meno 21, 3. Il quoziente è 133, il resto 3. Più concisamente si dirà: 7 nel 9, 1 volta con avanzo di 2; scrivo 1. 2 preposto a 3 dà 23 ; 7 nel 23, 3 volte; con avanzo di 2; scrivo 3. 2 preposto a 4 dà 24; 7 nel 24, 3 volte con avanzo di 3. Scrivo 3 al quoziente e 3 sotto il 4; il quoziente è 133, il resto 3. ESEMPIO III. - Sia da dividere 607 per 3. In forma concisa si dirà: 3 nel 6, 2 volte con avanzo 0; scrivo 2. 0 preposto a 0 dà 0; 3 nel 0, 0 volte con avanzo 0; scrivo 0. 0 preposto a 7 dà 7; 3 nel 7, 2 volte con avanzo di 1. Scrivo 2 al quoziente, 1 sotto al 7. Il quoziente è 202, il resto 1. 33. Per intender bene come si deve procedere per eseguire la divisione nei casi che ci restano da trattare, è utile tener presente la semplice regola che insegna a trovare il numero delle cifre del quoziente senza eseguir la divisione. Essa è la seguente: Assegnati il dividendo e il divisore di una divisione e supposto che il dividendo non sia minore del divisore Se il dividendo fosse minore del divisore, il quoziente sarebbe naturalmente 0., si immagini di staccare alla sinistra del dividendo il minimo numero di cifre che occorre per formare un numero non minore del divisore, e si conti quante sono le cifre rimanenti. Il loro numero aumentato di 1 è il numero delle cifre del quoziente. Così nella divisione di 235 per 8 abbiamo trovato un quoziente a due cifre, perchè, fatto nel dividendo il distacco voluto dalla regola, in esso non rimaneva che una cifra sola; nelle divisioni di 934 per 7 e di 607 per 3 abbiamo trovato quozienti a tre cifre, perchè, fatti nei dividendi i distacchi voluti dalla regola, in ciascuno di essi rimanevan due cifre. E passiamo ora a considerare il caso delle divisioni col divisore a due cifre ed il quoziente ad una sola cifra. ESEMPIO I. - Sia da dividere 97 per 25. Qui il quoziente ha una sola cifra, perchè per formare un numero non minore del 23 bisogna considerare entrambe le cifre del dividendo; quindi il numero delle cifre che restano nel dividendo è 0 e 0 + 1= 1. Per trovare il quoziente si veda quante volte il 2 sta nel 9. Vi sta 4 volte; ebbene, il quoziente 22 o è 4 o è minore di 4. Per provare se è veramente 4 si procede nel modo che segue. 2 per 4, 8; 9 meno 8, 1; 1 preposto a 7 dà 17; il 5 nel 17 non sta 4 volte; ciò significa che il quoziente non è 4. Proviamo 3. 2 per 3, 6; 9 meno 6, 3; 3 preposto al 7 dà 37; il 5 nel 37 sta anche più che 3 volte. Ciò significa che il quoziente è 3. Scrivo 3 sotto il tratto orizzontale; moltiplico 25 per 3; il prodotto 75 lo sottraggo da 97; e la differenza, 22, è il resto della divisione. ESEMPIO II. - Sia da dividere 234 per 37. Anche in questo caso il quoziente ha una sola cifra, perchè per formare un numero non minore del 37 bisogna considerare tutte le cifre del dividendo. Per trovarlo si dirà: il 3 nel 23 sta 7 volte; il quoziente è 7 o minore di 7. Proviamo il 7. 3 per 7, 21; 23 meno 21, 2; 2 preposto a 4 dà 24; il 7 nel 24 non sta 7 volte; dunque 7 è da respingere. Proviamo il 6. 3 per 6, 18; 23 meno 18, 5; 5 preposto al 4 dà 54; il 7 nel 54 sta più che 6 volte; dunque 6 è da accettare. Scrivo 6 al posto del quoziente. Il prodotto di 37 per 6 è 222. 234 meno 222, 12. Il quoziente è 6, il resto 12. ESEMPIO III. - Sia da dividere 126 per 15. Anche questa volta il quoziente ha una sola cifra; ma adesso il numero rappresentato dalla prima cifra del divisore, cioè 1, sta 12 volte in quello formato dalle prime due cifre del dividendo. Ebbene, in questo caso nel far le prove non si incomincerà dal 12. ma dal 9. Quindi si dirà: 1 per 9, 9; 12 meno 9, 3; 3 preposto al 6, dà 36; il 5 nel 36 non sta 9 volte, dunque 9 è da respingere. Proviamo 8. 1 per 8. 8; 12 meno 8, 4; 4 preposto al 6 dà 46; il 5 sta nel 46 anche più che 8 volte; dunque 8 è da accettare. Il prodotto di 15 per 8 è 120. 126 meno 120, 6. Quindi il quoziente è 8, il resto 6. 34. Divisioni col divisore e il quoziente a due cifre. ESEMPIO I. - Sia da dividere 805 per 38. In questo caso il quoziente ha due cifre, perché per formare un numero non minore del divisore basta staccare dal dividendo le prime due cifre; quindi il numero delle cifre che restano nel dividendo è 1, e 1 +1 = 2. Ebbene, si compia la divisione di 80 (numero formato dalle dette prime due cifre) per 38, procedendo al modo che è stato illustrato negli esempi precedenti. Si trova come quoziente i 2 e come resto 4. Adesso si scriva alla destra del 4 la terza cifra, 5, del dividendo ; con che si ottiene 45, e si divida 45 per 38. Si trova come quoziente 1 e come resto 7. Ebbene, per la divisione proposta di 805 per 38: il quoziente è 21, ossia esso ha per cifre quelle dei quozienti delle due divisioni parziali ora compiute, nell'ordine in cui sono state trovate: il resto è 7, ossia è il resto della seconda divisione parziale. In pratica l'operazione si dispone come è indicato dallo schema qui a fianco. ESEMPIO II - Sia da dividere 954 per 26. Anche in questo caso il quoziente ha due cifre; cerchiamolo, compiendo l' operazione secondo Io schema che si segue nella pratica. Distacco alla sinistra del dividendo il minimo numero di cifre che occorre per formare un numero non minore del divisore. Ottengo così 95. Divido 95 per 26. 2 nel 9, 4 volte. 2 per 4, 8; 9 meno 8, 1; 1 preposto al 5 dà 15; il 6 nel 15 non sta 4 volte. Dunque la cifra 4 è da respingere. Proviamo 3. 2 per 3, 6; 9 meno 6, 3; 3 preposto al 5 dà 35; il 6 nel 35 sta più che 3 volte; dunque la cifra 3 è da accettare. Scrivo 3 al posto del quoziente; moltiplico 26 per 3 e il prodotto, 78, lo sottraggo da 95. Ottengo come resto 17. Abbasso dal dividendo la cifra 4 e formo così il numero 174. Divido 174 per 26. 2 nel 17, 8 volte. Provo 8. 2 per 8. 16; 17 meno 16, 1; 1 preposto a 14 dà 14; il 6 nel 14 non sta 8 volte ; dunque 8 è da respingere. Provo 7. 2 per 7, 14; 17 meno 14. 3; 3 preposto al 4 dà 34; il 6 nel 34 non sta 7 volte; dunque anche 7 è da respingere. Provo 6. 2 per 6, 12; 17 meno 12, 5; 5 preposto al 4 dà 54; il 6 nel 54 sta anche più che 6 volte; dunque 6 è da accettare. Scrivo 6 al posto del quoziente alla destra del 3. Moltiplico 26 per 6 e il prodotto, 156, lo sottraggo da 174. Ottengo come differenza 18. L'operazione è terminata; il quoziente è 36, il resto 18. ESEMPIO III. - Sia da dividere 795 per 39. Anche in questo caso il quoziente ha due cifre; la prima, 2, si trova dividendo 79 per 39, con che si ha come resto 1. Abbassata alla destra di 1 la cifra 5 del dividendo si forma il numero 15. Dividendo 15 per 39 si ha come quoziente 0 e come resto 15; dunque il quoziente della divisione proposta è 20, il resto 15. 35. Eseguita una divisione, se ne verifica l'esattezza, ossia se ne fa la prova, moltiplicando il divisore per il quoziente e aggiungendo il resto al prodotto così ottenuto. Se non si sono commessi errori, il totale della somma sarà eguale al dividendo.

Pagina 398

Narco degli Alidosi

214056
Piumini, Roberto 2 occorrenze
  • 1987
  • Nuove Edizioni Romane
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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Tutti per una

214980
Lavatelli, Anna 2 occorrenze
  • 1997
  • Piemme Junior
  • Casale Monferrato (AL)
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Pagina 108

Pagina 27

le straordinarie avventure di Caterina

215644
Elsa Morante 2 occorrenze
  • 2007
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
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Pagina 30

Pagina 45

Il ponte della felicità

218934
Neppi Fanello 1 occorrenze
  • 1950
  • Salani Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
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Al tempo dei tempi

219360
Emma Perodi 1 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
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Mitchell, Margaret

220947
Via col vento 4 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Pagina 137

; altre volte «Abbasso il Papato!»; altre volte ancora: «Libertà!» e qualche volta anche: «Cotone, schiavismo e Diritti di Stato!» «Che diavolo c'entra il Papa?» si chiese Rossella. «E il Sepolcro di Cristo?» Ma mentre tentava di raggiungere il gruppo, vide Rhett inchinarsi seccamente e avviarsi alla porta. Tentò di raggiungerlo ma la signora Elsing la trattenne per la gonna. - Lasciatelo andare! - le disse con una voce chiara che risuonò nella sala improvvisamente silenziosa. - E un traditore e uno speculatore. È un serpe che abbiamo nutrito nel nostro seno! Rhett, in anticamera e col cappello in mano, udí ciò che era stato detto appunto perché lo udisse e si volse ad esaminare un istante il salone. Fissò impertinentemente il seno piatto della signora Elsing, sogghignò e, facendo ancora un inchino, uscí.

Pagina 250

Pagina 559

Pagina 567

Passa l'amore. Novelle

241638
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
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. - Abbasso i dazii! Le terre! Le terre! Vogliamo le terre! Chi aveva gridato: Dal sindaco? Chi aveva gridato: Dal cavallere? Non se ne seppe mai nulla. La folla irruppe per diverse vie, gli uomini con le accette, le donne coi tizzi accesi!... Il sindaco non li aveva aizzati contro il cavaliere? Il cavaliere contro il sindaco? Il cavaliere non aveva predicato ai reduci: Voi soli siete buoni, voi soli siete degni di rispetto, voi sfruttati e malmenati? E la folla ora rispondeva: - Lasciatemi fare! Farò giustizia di tutti! - E le case fumavano! E il sangue correva! Voleva i loro palazzi, i loro beni, le loro donne, sì, si, anche queste! E le trombe del Fascio non cessavano gli squilli sinistri; e dal nascondiglio dove si era rifugiato per scampare la vita, con la moglie e la figliuola scappate di casa come si trovavano, il cavaliere, pallido, tremante, incapace di dire una parola, si turava invano gli orecchi per non sentire gli squlli!

Pagina 178

Il marito dell'amica

245084
Neera 1 occorrenze
  • 1885
  • Giuseppe Galli, Libraio-Editore
  • Milano
  • Verismo
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Pagina 89

Il ritorno del figlio. La bambina rubata.

245286
Grazia Deledda 2 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Pagina 26

Pagina 94

In Toscana e in Sicilia

245839
Giselda Fojanesi Rapisardi 1 occorrenze
  • 1914
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
  • UNICT
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Pagina 89

L'indomani

246273
Neera 1 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
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Intorno, sulla fronte quasi rettangolare, dietro le orecchie, giù molto abbasso nella nuca, una cornice di capelli castagni, bruni in massa, ma luminosi, accendentisi qua e là con striscie seriche, con picchiettature d'oro brunito, spartiti modestamente nel mezzo e appuntati con due spilloni d'argento. Gli occhi tranquilli, di un colore indeciso, francamente aperti e sereni guardavano dritto, a guisa di dardo scoccato; ed era il loro sguardo tutta una dolcezza, una dolcezza invadente che assorbiva l'attenzione e la sviava dalla irregolarità dei lineamenti. Il mento stesso, senza carattere, di un disegno sbagliato, scompariva nella luce generale di quel volto a cui la bocca, raramente sorridente ed anche nel sorriso mesta, dava una speciale espressione di bellezza concentrata. Sotto il collo elegante e fiero, le spalle non sembravano interamente sviluppate e la delicatezza del seno che segnava ma non accentuava la femminilità, le dava una vaga somiglianza colle statue classiche di Ebe giovinetta. Piccola la mano, dove le vene si gonfiavano facilmente, dove, sotto l'epidermide fina, si sentivano trasalire i muscoli. Vestiva un abito di una mezza tinta, che ricordava un po' la peluria delle tortore, un po' quel pulviscolo dorato che copre gli alberi in autunno; e terminava ad ogni lembo, al giro del collo, all'apertura delle maniche, con una striscia di pallido rosa. La signora Oriani si trova in uno de' suoi giorni belli - pensò il dottorone, dopo aver dato una occhiata ingiro e fermatala con compiacenza sul volto di Marta, che gli sedeva proprio dirimpetto. - Non è certamente una bella donna, ma è di quelle che hanno la possibilità di diventarlo, a un dato momento; è la donna che si trasforma, la donna per eccellenza. Marta si accorgeva forse dell'effetto prodotto, perchè un raggio più vivo brillò ne' suoi occhi, che rivolse ad Alberto, come per metterlo a parte del suo trionfo e fargliene omaggio.

Pagina 150

Il drago. Novelle, raccontini ed altri scritti per fanciulli

246577
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1895
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
  • UNICT
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Una notte d'estate

249487
Anton Giulio Barrili 1 occorrenze
  • 1897
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
  • UNICT
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Pagina 99

Una peccatrice

249717
Giovanni Verga 3 occorrenze
  • 1866
  • Augusto Federico Negro
  • Torino
  • Verismo
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Pagina 49

Pagina 5

Tutt'a un tratto fu veduta una figura umana, imbacuccata in pelli nere che la facevano mostruosa, montare di un salto sul palcoscenico, e gridare colla sua voce più forte, stendendo il braccio con un gesto imperioso verso l'orchestra: - Abbasso il valtzer! Non vogliamo valtzer! Non vogliamo balli aristocratici!... Vogliamo la Fasola!... Quella voce che comandava, quel gesto che imponeva fecero fermare i ballerini che danzavano e i professori che suonavano; e cominciò un immenso frastuono. Dai palchi partirono alcuni fischi acutissimi, tratti certamente con l'aiuto delle chiavi. Allora quell'uomo, quel mostro, alzò la testa orribile a vedersi col suo pallore cadaverico sui suoi lineamenti dimagriti, collo scintillare dei suoi occhi infuocati fra i peli che gli cadevano dal cappuccio sulla fronte; e quello sguardo che fissò su quei cavalieri giovani, ricchi, eleganti; su quelle mani in guanti bianchi che si sporgevano fuori dei palchi ad imporgli silenzio; su quelle signore belle, profumate, splendenti di gemme; su quella folla dorata che faceva il più vivo contrasto con quella brutta, cinica, briaca, cenciosa, che l'accompagnava, quello sguardo fu d'odio immenso, indicibile, e anche di feroce vendetta. - Abbasso gli aristocratici! - gridò egli, Pietro, il giovane aristocratico per istinto; - abbasso i guanti bianchi! Vogliamo la Fasola! Suonate la Fasola! A quelle parole successe un immenso schiamazzo di urli che applaudirono alle sue parole e chiamavano la Fasola, questa danza popolare. I carabinieri, quantunque avessero spiegato la massima energia nel cercare di calmare l'effervescenza erano in troppo piccol numero per imporre a quella folla resa audace dalla sua istessa insolenza; finalmente si fece venire il picchetto di Guardia Nazionale ch'era alla porta. In questa una fischiata solenne e generale, partita dai palchi, sembrò sfidare la collera di quella gentaglia irritata: le mani inguantate di bianco non volevano lasciarsi sopraffare dalle mani nere e callose. Nella platea scoppiò un grido generale di rabbia. Alcune signore svennero allo spettacolo di quella folla urlante che levava braccia nere e facce infuocate e furibonde, come ad imprecare, verso i palchetti, e in mezzo alla quale scintillavano alcuni ferri aguzzi. I carabinieri misero le mani sui rewolvers, e la Guardia Nazionale entrò nella sala colle baionette in canna. Rinunziamo a descrivere lo stato d'esasperazione di Brusio a quella sfida imprudente che l'aveva percosso come uno schiaffo; egli saltò in mezzo alla folla gridando: - Ora faccio scendere tutta questa canaglia coi guanti a ballare la Fasola con noi! Vado a prenderveli per le orecchie! E si fece largo in mezzo alla calca. Nessuno, nè carabinieri, nè Guardie Nazionali badarono a quell'uomo che usciva, a quella jena assetata di vendetta, che spingeva in avanti il collo anelante come un animale sitibondo. In due salti egli fu sulla scala del second'ordine, e si avanzò pel corridoio. Tutt'a un tratto egli si fermò, come percosso dal fulmine, coll'occhio smarrito, col volto pallido e convulso: si era trovato faccia a faccia a Narcisa, che partiva dal Teatro, spaventata di quel frastuono. La contessa aveva messo un grido nel vedere quell'uomo che correva come un pazzo contro di lei, facendo scintillare nel suo pugno la lama larghissima di un coltello a manico; quella figura informe ed orrenda sotto le pelli che la coprivano, della quale gli occhi soltanto luccicavano come due carbonchi sul volto che sembrava una maschera di cera gialla. Ella si era stretta contro la parete, aggrappandosi al braccio del conte, come per farsene schermo. Pietro aveva avuto uno sguardo, un solo, per lei; il coltello gli era caduto di mano; poi era fuggito, correndo a salti, urlando disperatamente, come l'animale che voleva figurare. - Oh! questa donna! questa donna!... questo demonio! - gridava egli, correndo all'impazzata pel Molo. Si fermò sull'ultimo limite di questo, quando non vide più dinanzi a sè che il mare bruno ed immenso, su cui scintillavano le stelle. Fissò uno sguardo ebete, smarrito su quella superficie che si stendeva e perdita di vista, luccicante di riflessi fosforici; su quelle stelle che splendevano sulla sua testa... Due o tre volte avanzò il passo verso quell'abisso che poteva inghiottire la sua vita coi suoi vortici spumeggianti; e ciascuna volta egli sentì una forza che l'afferrava e lo tratteneva.... Finalmente cadde accosciato sul suolo umido e spazzato qualche volta dalle onde, prorompendo in lagrime amare, ardenti, ma non più disperate. Egli pianse a lungo: quel pianto che non aveva potuto versare da circa cinque mesi, forse lo salvò. - Questa donna ha ragione, - mormorò quando fu calmo, come avea detto allorquando gli era parso che il suo cuore si fosse spezzato: - quali diritti ho io al suo amore, alla sua attenzione, fin'anche?..... lo, Piero Brusio!... Ma io voglio averli questi diritti che io m'ha dato, che in un istante di scoraggiamento io ho sconosciuto, ho ripudiato, ma che sento in me... Questa donna anderà superba un giorno dell'amore di Pietro Brusio!! E rialzando la testa, quasi lieto ed altiero di quel nuovo indirizzo che dava alla sua vita, di quell'espiazione che s'imponeva del passato, della speranza che gli brillava negli occhi ridenti, guardò il cielo quasi calmo, quasi giocondo ora. Si alzò, e con passo fermo s'incamminò verso la sua casa. Egli andò ad abbracciare la madre nel letto, come per darle la lieta notizia, mescolando le sue lagrime a quelle di gioia di lei, che ritrovava il figlio suo; e dandole la sola spiegazione della metamorfosi che uno sguardo ed un pensiero avevano potuto operare in lui con queste sole parole: - Perdonami, madre mia!... perdonami! Due mesi intieri ebbe la forza di non cercare Narcisa, di non vederla. Usciva di rado, la sera; e sempre in compagnia di sua madre e delle sue sorelle. L'aveva dimenticata? No! Egli aveva tal forza perchè viveva per lei, con lei, in lei; perchè tutta la sua vita era ormai Narcisa. Egli lavorava con un entusiasmo quasi accanito; con una lena che soltanto poteva dargli l'esaltazione in cui si trovava; e fece passare tutto il suo cuore nell'opera sua. Due mesi dopo aveva finito un dramma che rileggeva cogli occhi brillanti di sorriso; del quale era contento; che amava quasi di una parte dell'amore di cui amava Narcisa; che amava come un'emanazione di lei. Quanto egli tu soddisfatto dell'opera sua, di sè stesso; quand'egli si sentì più vicino a Narcisa, allora la cercò. La sua casa era deserta e le imposte dei veroni chiuse. La cercò inutilmente otto giorni poi passeggi e al Teatro: ne domandò agli amici: nessuno l'avea più veduta. Risoluto di trovarla ad ogni costo andò a far visita in casa A*** e colla signora condusse il discorso sino alla contessa. - A proposito, che n'è di lei? domandò. - Credevo che lo sapeste, voi suo amante: è partita. - Partita! - Sì, da venti giorni. - E per dove? - Per Napoli. - Anderò, a Napoli! disse a sè stesso. Brusio.

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