Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbasso

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Vietato ai minori

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Bonanni, Laudomia 2 occorrenze

(Mica abbasso il censore merda, è avvenuto altrove.) Magari provocatoria, lo ammette con se stesso, ripetendola soppesandola. Infine, rassicurato: uno scherzo. Aggiunge: indagheremo. Ci sono studenti, di famiglie perbene, come si esprime lui, perfino un nobile figlio di conte, il contino. Questo censore è un grande giovanotto biondo _ troppo biondo, chioma d'oro folta ondulata brillante _ alto, spalle larghe. Giovanotto (scapolo) quarantenne ma non li dimostra. Vigoroso, da imporsi anche, e se non altro, tìsicamente. Del resto ha il potere in mano, potere assoluto nell'ambito, e se ne rende conto con una tal quale compiacenza. Benché si dissimuli, per quanto glielo consente l'assuefazione professionale. Le roi sono io. Deve lasciarmi nel cortile coi ragazzi. Insisto. Sono autorizzata. Mi coglie una sensazione sgradevole. Intanto proprio ragazzi non sembrano, ingranditi dai corti calzoncini di tela militare (divisa interna estiva) esponendo gambe muscolose e pelose o secche e ancora più pelose. Rasati alla galeotta. In silenzio, con facce rispettosamente inespressive, mi circondano. È come sentirsi indifesi alle spalle e a un tratto la sensazione che qualcuno stia facendoti dietro le boccacce. Magari un gesto osceno. No, dopotutto ragazzi. Sei tu a non sapertici muovere, guardarli e parlargli con naturalezza. Coraggio, su. Faccio un mezzo giro. Gentilmente _ o forse timidamente _ sorrido a due teste vicine che si separano rapide. Con qualche passo accorto, come per caso, me li pongo di fronte, io schiena al muro. Contro il malcancellato (da qualcuno subito accorso con uno straccio) le roi è mort... no... la guerra è finita... Così stiamo per un poco, io a interrogare essi a rispondere monosillabi, freddini e compunti ma squadrando con quasi selvaggia curiosità. Ho chiesto che anche gli agenti si allontanassero. Stanno dal lato opposto a sorvegliare, dunque il gesto osceno no. Sicura di conoscere abbastanza i ragazzi da saper trattare con questi come con qualsiasi altro. E mi torna in mente la storia delle fotografie ascoltata poco prima nell'ufficio del censore. Fanno commercio di fotografie. Promosso dai più grandi e corrotti, dagli altri, perfino dai bambini (ma dove sono i bambini?) alimentato per guadagnarsene il favore, a volte solo per un avanzo di minestra, un pezzette di pane. Ma hanno fame? Sa com'è... le razioni... è un'età che non si saziano mai. Rivedo la foto della giovane turgida _ sorella _ sigaretta in bocca, gonna incollata, gamba fuori dello spacco, in atteggiamento così goffo da non risultare nemmeno provocante. Ai miei occhi beninteso. Requisita. A chissà quale prezzo ne era stata barattata un'altra, sempre sorella ma composta. Crocetta sul pube e dietro: ce la grasa che baia tuta, (Ortografia a parte, richiamava qualcosa di Celine.) Colpita. Sul momento. Presto capirò più in là del mio naso e di quello ben fatto del censore biondo. Ossigenato? Provo l'imbarazzo di essere donna, sono costretta a convenirne. Come tale forse mi guardano _ e per l'eccezionaiità dell'avvenimento: un'estranea, oltreché femmina _incerti se sia davvero concesso di parlare liberamente o non nasconda un tranello. Nessuno fiata. Mi tengo ritta al muro controllandomi con una certa tensione, tale è il potere di ambiguità dissimulazione diffidenza negli occhi di ragazzi reclusi. Finché Bilotte, il buffone della compagnia, quello che ha spalmato sul pane la pasta dentifricia (nel pacco delle "dame" di non so quale santo) mi si offre con un generoso: Ti rifaccio i tacchi. Lo riconosco, lui e anche altri, dal formato tessera nelle cartelle sfogliate col censore. Bilotte sa riparare le scarpe, sta imparando l'arte. Mica ciabattino, dice, calzolaio. Per adesso, nel seminterrato che ho visto durante la visita ai locali, con un vecchio "maestro d'arte" dal muso grinzo irascibile, fra scarpacce militari a bocche aperte, rappezza coi ritagli di questi residuati. Idem il laboratorio di sartoria, stesso maestro come gemello, sparsi sul tavolaccio pezzi del grigioverde avanzato alla guerra. Utilizzati perditempi. Lavoro senza compenso, non però obbligatorio. Apprendisti pochi. Ma Bilotte è ambizioso e forse, per quanto assurdo, sognatore. Ambisce a calzolaio di fino. Ha commesso qualcosa come una ventina di furti _ una ciliegia tira l'altra, anche ciliege infatti _ furterelli, cosette da poco, piccole fesserie le chiama lui. (Considerare su quale scala gli uomini hanno commesso le loro grandi fesserie in questa sciagurata guerra, e misurarvi le colpe di Bilotte: veniali.) Ora sembra fermo a non ricominciare. Sono ingenuamente disposta a crederci. Non gli creda, mi ha avvertito il censore, mangiano abbastanza, ritenendo che si sarebbero lamentati per il cibo. Invece no, ne per il cibo ne per altro, avranno paura. Dice Bilotte: Mi cascassero le mani. Se le guarda, ci sputacchia, le frega energicamente quasi per la soddisfazione d'intraprendere il qualcosa di nuovo che è una vita senza fesserie. Dopotutto bene o male qui si mangia. Sia pure senza ciliege. Qui è la sezione giudiziaria del carcere per minori, ossia riformatorio, alias casa di correzione, trasformata _ la dicitura _ in Centro di Rieducazione con annesso Istituto di Osservazione _ sulla carta _ ma si continua a dire sbrigativamente, cumulando, riformatorio o correzionale. Qui, sezione giudiziaria, scontano la condanna inflitta dai tribunali per reati non più passibili di perdono di condizionale o sono detenuti in attesa di giudizio. La mancanza di spazio costringe a unirvi i rieducandi, cioè i discoli, i disadattati, i vagabondi senza fissa dimora per abbandono o per elezione. Separare il grano dal loglio non si può. (E i bambini, dove sono i bambini?) Insomma non tutti autentici delinquenti, ancora secondo le espressioni del censore, la cui sola vista debba ispirare penosa repellenza. Oh sì certo, ragazzi. Certo certo, creature fresche senza fallo con qualcosa di vergine d'innocente e schietto. Dei disgraziati. Redimibili, sicuro. Me lo ha concesso con parole sue, retoriche. Accento sincero e falso, vorrebbe coprirsi, nascondermi la realtà senza riuscirci, spinto dall'idea di "apparire". Del resto la retorica è il linguaggio che s'impara a scuola, sovrapposto ai luoghi comuni che s'imparano in famiglia, e può esservi anche una sincerità di fondo venuta su deformata. Il linguaggio burocratico (i fascicoli) è la deformazione tout court. Abbiamo continuato mettendo sulla bilancia guerra e miseria e diosà che altro, perfino le loro stesse madri. Se fanno il mestiere li buttano fuori, quando non se ne servono... Sospensione. Perifrasi varie per significare il sesso. Aizzato dall'ambiente. O se non altro l'esplosione dell'età che di per sé può spingere a eccessi catastrofici anche in tempi normali e in ambienti normali. Nell'adolescente c'è sempre il delinquente potenziale: citazione dalle requisitorie di un PM che gode fama d'implacabilità. Tuttavia sembrava incerto se aprirsi con una donna _ o l'intrusa? _ sulla piaga della masturbazione. Le cose su cui si tace, anche in famiglia a scuola, come se fossero asessuati. Be' sì... ce n'è uno... qualcuno ... uno pare come se si volesse distruggere... pustolosi gialli... Lo ritiene ancora un vizio disgustoso e pericoloso o finge? Ho lasciato perdere l'omosessualità per non metterlo in condizione di negare. Contronatura. Detta e considerata impropriamente tale, giacché si riscontra negli animali e del resto è nella natura come le malattie. Delle quali pure si ha vergogna ma non si può certo eliminarle. E comunque repressa la natura trova il suo pertugio qualechesia. Bene, a ogni modo eccomi per cosi dire nella tana. A raffrontare l'immagine spesso terribile ricavata dai fascicoli, col ragazzo che mi trovo davanti. Il serafico biondino _ ogni domenica è lui a servire la messa _ per due volte "nella intemerata casa paterna in cui fin allora avevano spensieratamente giocato" (linguaggio delle note personali) usò violenza alla sorellina, "integra l'imene". Ma e quell'uomo (cronaca di quotidiano) che trovandosi accanto sul letto coniugale la figlia di pochi mesi, mentre la moglie era in cucina, l'ha stuprata? Improvvisamente mi trovo fin troppo propensa a capire, se non addirittura a giustificare, quello che ieri, due ore fa, prima di entrare qui, mi avrebbe per lo meno sconcertata se non proprio disgustata. Sgomento, sì. Riconosco Milli, taurino, faccia leale (bieca nel formato tessera inchiostroso) che ammazzò l'amico in un litigio. Tutti i ragazzi si picchiano, ma lui è forte e nell'ira perde il controllo. Ha il pugno proibito. Cadendo sotto quel suo pugno l'altro batte la testa a uno spigolo di pietra e ci rimane. Mi ha assicurato il censore che mai usa la propria forza coi compagni, non reagisce nemmeno alle più sfacciate provocazioni. E non è che qui manchino gli attaccabrighe. Ma il Milli diventa un masso inerte se si cerca d'indurlo alla lite. Quando un giorno dovrà rendersi conto, lui con questo acerbo senso di colpa in petto, d'un mondo in preda alla violenza, può darsi che finisca per sentirsi scagionato. Il mondo in cui l'altro compassionevole ragazzine nascosto al suo fianco, ha potuto ripetutamente giocare con una rivoltella tedesca "trovata in giro", divertirsi a puntare e minacciare per scherzo, uccidendo alla fine sua madre. Milli e questo orfano sono gli assassini dell'attuale gruppo di detenuti. Lo " studente " si considera l’avventuriere giustiziere, una specie di Zorro. Mi ride, cordiale, un po' spavaldo. Organizzò la banda, che si riuniva in certe cave fuori mano a banchettare con la refurtiva. Prelevata da dispense e cantine di ricchi o borsaneristi _ che è lo stesso, affermò in tribunale _lasciandovi il suo biglietto. Quei biglietti ornati da un teschio, con compiacimento ripetuto sui libri di scuola, e il fumo alle cave abbandonate, condussero a scoprire la banda. III B ginnasiale. Inoltre il mucchio delle bombe e armi varie "trovate in giro". Ragazzata definì l'avvocato quella che la pubblica accusa doveva fermamente sostenere autentica delinquenza. Associazione per delinquere. La stoffa di uno che voglia forzare la vita a mantenere le sue appassionanti promesse _ l'avventura, la punizione dell'avido adulto _ nello studente c'è ed è stoffa di qualità pregiata. Tutto dipende dall'uso che se ne fa, o si è indotti a farne. M'accorgo che manca nel gruppo il contino. Se n'era stato accanto al censore in abito borghese e il censore me l'aveva quasi presentato. Il suo buffo tendere la mano con l'atto mondanamente insufficiente di posare le labbra sulla mia. Si tiene appartato dagli altri. (Truffa e denunce del conte padre. Puttaniere, lo chiama il figlio. Va bene, tu mi tagli i viveri, io entro al cinema e mi trovo un frocio. Dal fascicolo processuale.) Grazie a Bilotte che ha rotto il ghiaccio (il dentifricio mai visto prima lo credeva sul serio roba da mangiare) posso ormai introdurmi nella sezione giudiziaria di un carcere minorile come in qualsiasi altro luogo dove si trovino riuniti, e sia pure costretti, dei ragazzi. Allora, non mettersi a scrutare in essi qualcosa d'ignoto temibile e repulsivo _ solo quel tanto di bene e di male esplosivamente mescolati nella natura umana _ piuttosto riconoscerli vittime. E ragazzi. Ricordarsi che sono ragazzi. Cioè esseri colmi d'un incoercibile slancio vitale e con quel tanto in sé d'intatto che è sempre, quasi sempre, nell'estrema giovinezza. Bisogna rifiutarsi comunque di ritenerli perduti, nutrire l'incrollabile fede che ognuno possa essere salvato. E sentirsi responsabili per ciascuno di essi. Avrò parlato con la mia parte di retorica, temo. Con entusiasmo e proponimenti da neofita. Lo leggo in faccia al censore mentre, io accalorandomi e lui annuendo docile, mi accompagna verso l'uscita. Attraverso una quantità di porte e il primo cancello interno, schiavardati via via da premurosi agenti. Agenti, un po' come angeli, di custodia. Oltre il cancello siamo ancora nell'ingresso che da sul cortile esterno, con la stanza di guardia a sinistra, a destra un altro uscio, chiuso. Ne proviene una sorta di pigolio, soffocato ma irreprimibile. I bambini, ecco dove sono i bambini. Sapevo che dovevano esserci: Istituto di Osservazione. Come si apre l'uscio c'investe un tanfo di polvere e pipì (alle camerate era di bugliolo). Ve ne sono, ristretti nella stanza angusta, con un solo custode, ventitré. Dai minori di quattordici anni a uno di sei. Si azzittiscono immobilizzati come topi alla vista del gatto. Con una strizzata al cuore riconosco il mio scolaro Augustino, paternità enne enne, prima elementare. Lui non mostra di riconoscermi. Guarda in terra. Lo chiamo, non risponde, fugge. Ma che ha fatto? Figlio unico di madre prostituta, è la risposta che vorrebbe essere spiritosa. Era venuta, quella madre, a scuola per giustificare l'assenza del bambino che entrava "in collegio". Mancano i locali e il personale è insufficiente, questo buco passa per l'Osservazione, c'è sopra la targa. Ma la verità è che, essendo il cortile l'unico posto per la ricreazione, li tengono tutti insieme, osservati corrigendi detenuti. Per riguardo alla visita... Prego di liberarli. Signor censore (e rex) non faccia complimenti con me, ormai sarò di casa. Prorompendo a mucchio s'attaccano alle sbarre del cancello come uccellini, non ancora abituati alla prigionia, ai ferri della gabbia. Nuovo schiavardamento fragoroso, le chiavi sono grosse, di ferro. E invasione del cortile claustrale. Assassini stupratori e rapinatori accolgono gli uccellini spennati coi quali giornalmente convivono, e non solo a ricreazione. Vedo il muscoloso Milli tirarsi su in braccio il mio Augustino rattrappito e piangente. "Sa, si spingono, sono tanti." Sono, per la precisione, al momento, centoventisette "ospiti", nello spazio per cinquanta frati del tempo antico di minuscole celle e sterminati corridoi, Potrebbero perfino ammutinarsi.

Oppure abbasso la guerra viva la guerriglia. Già, i politici, questa nuova specie. Hanno combattuto alle università, disselciato strade, usato catene, tubi di ferro, bottiglie molotov, le battaglie ideologiche. Questi non sono gl’infelici figli dei fiori, i disperati della droga, i delinquenti comuni, i fuorilegge passivi. Qui dentro, in definitiva, e per assurdo, forse i migliori, quelli ancora vivi, che non si lasciano solamente esistere. Qualche cosa si è smosso. Ed è terribile pensare che il rifiuto ma soprattutto la violenza facciano cambiare qualche cosa. La violenza. Come le doglie che via via sforzano e la risolutiva che spinge col sangue alla nascita. Da dove vengo? Prendono l’iniziativa, interrogano loro. Dove abito io e dove abitava l’interrogante. A Piazza Navona. Ride. Certe volte a Santa Maria in Trastevere. Dopo lo rimanderanno a casa. (Se ci resterà.) Mi rivolgo all’educatore: Posso fare qualche domanda? Anche lui sottovoce: Meglio no. Ai ragazzi: Andate a mangiare. Ne restano. E un piccolo napoletano dagli occhioni patetici me lo dice: Tentato omicidio. Può essere stata una rissa fra ragazzi o un fatto grave, scontri con la polizia. Non mi riesce, come essi apertamente, di disobbedire all’educatore. Sfugge la domanda stupida: che desiderano. Sono venuta a mani vuote. Sigarette, m’era balenato. Ignoro se sia permesso fumare lecitamente, di nascosto s’è sempre fatto, un tempo perfino foglia secca con carta di giornale, capaci oggi di procurarsi l’"erba". Ma che domanda stupida: desiderano la libertà e basta. Il napoletanino patetico: 'O mare. E gli altri scanzonati: Ci saluti Roma.

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Versione elettronica di testi relativi al periodo 800 - 900 Donna Folgore

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Faldella, Giovanni 2 occorrenze

e abbasso i mariti!" io canterò sulla sua bella faccia e canterò sulle vostre faccie brutte: " Viva i Mariti ed abbasso Piemonte Reale!" La Contessa De Ritz non ebbe uopo di ricorrere ai mariti per risolvere quella sua situazione deserta del Leon d'oro. La sua bellezza, purché fosse per un istante ritenuta, esercitava ancora prodigii di attraenza. Ne fu prova il copioso epistolario di amorose dichiarazioni, che le piovve in quello stesso albergo. C'era da fare una nuova edizione del Segretario Galante. Sono innumerevoli i deviamenti, che cagiona nella vita sociale l'attraenza della Bellezza viziosa. Strappa studenti agli studî e agli esami, rovina le economie dei padri, le sante speranze alle madri; a un agiato negoziante fa dimenticare la numerosa famiglia e vent'anni di probo commercio; fa che un vedovo spogli e abbandoni le figlie da maritare; deraglia tutti dai propri doveri. Tutte le classi erano rappresentate nelle proposte di amore fatte alla Contessa De Ritz, la cui bellezza pareva perfezionata divinamente dai plasmi delle avventure ed acuita preziosamente dal mistero di una superiorità indiscussa. Chi si era innamorato, ammirandola a teatro. Chi sarebbe caduto in ginocchi vedendola uscire di Chiesa. In tutte quelle lettere gocciolavano lacrime calde commoventi di amanti sinceri. Essa si fermò preferibilmente su queste pagine erotiche: " Fiore di bellezza, fiore dell'anima mia! Señora de mi alma y de mi vida señora de mis ojos y de mi alma, señora mia de mi corazon, señora mia de mi bida (Vedi Carteggio di Carlo Emanuele I alla Serenissima Infante sua Reale Consorte). Che cosa è questo cuore, che si rinvergina, questa macchina, che sussulta nell'ispirazione di una nuova aura floreale? Perché dopo le scettiche irrisioni, dopo gli sprezzi filosofici ritorniamo fanciulli? periodicamente fanciulli? Fra le chiacchiere pornografiche dei buoni amici buontemponi si eleva il sentimento purificatore. Mi batte il cuore come in un idillio di Beatrice fanciulla. Basta una figura sorridente di bellezza inaudita, non mai vista. Non so ancora precisamente chi ella sia. So che è bionda e flessuosa, come una Dea del Settentrione e ha la gagliarda maestà di una bellezza schiettamente romana. Ella è una autentica matrona con lo slancio della modernità. È fiera ed angelica. Dapprima la commentai salacemente fra amici. Ma tosto quei commenti mi sembrarono irriverenti, sacrileghi ... Che stranezze! Dopo avere pienamente, intimamente conosciute altre beltà in tutte le loro forze, in tutti i loro abbandoni, dà un'emozione religiosa pur la vicinanza di una bellezza nuova straordinaria. Il nostro cuoricino emette il pigolio del rondinino, che lascia per la prima volta il nido volando tremulo, incerto sugli effluvii di maggio. Ignoto la vidi accompagnata al Caffè, al Teatro, all'Albergo ... Ieri sera contemplandola sola alla Birreria, presunsi essere suo conoscente. Parendomi che Ella cercasse giornali illustrati, io mi permisi di offrirle il Fischietto da me tenuto in mano. Essa accettò graziosamente la mia offerta del foglio, e quando Ella volle restituirmelo, sentii che quel giornale tocco da lei l'avrei conservato per tutta la vita. E lo rubai alla Birreria. Che musica quella della sua voce nel dirmi grazie. Grazie a Lei, o bella Signora, che ha ridato un fiore alla mia anima, grazie al tuo sorriso, che mi ha ricordato un angelo forse intravveduto in una vita anteriore. Musica allegra e dignitosa della tua voce, chi sa se ti sentirò ancora? Se ti parlerò ... ? Dipende da te, da Lei. Forse sarebbe per me più prudente, terminare qui tosto questo romanzo più che ideale; contentarsi del fiore, senza aspettare il frutto che marcirà. Ma è possibile restare ideali, anche a costo che il riconoscimento della nostra idealità ne renda ridicoli a noi stessi? È mio destino terminare una lettera lealmente patetica con un tentativo di felice umorismo. Devo recarmi a Genova a ricevere un bastimento di medicinali e coloniali. Vuol venire con me? Io sono il suo ardente servitore Doctor Malalingua Chimico farmacista Evasio Frappa" Nerina soffusa di curiosità capricciosa diede la preferenza all'umorista foderato di patetico. Ma è dunque inesauribile la serie dei Capricci per pianoforte?! Eccole dinnanzi la specialità inesplorata dell'amore maledico. Amare una malalingua, un umorista di celebrità provinciale, inedita per il resto del mondo. È una varietà di Gioiazza, una varietà più cinica, anzi più brutale, in quanto che nella scala dei bruti il porco sia superiore al cane. Difatti l'intercalare passionale di Evasio Frappa era: * Dimmi che sono un porco. Ma nella brutalità eravi pure l'ingenuità animale. Non quelle promesse di amore eterno proprie della menzogna umana. Tanto meno il disegno pazzo di un nuovo matrimonio, annullati i precedenti in oga magoga. Anzi il farmacista Frappa a Genova nell'attesa dell'imminente bastimento di coloniali e medicinali, cenando allegro in un ristorante dell'Acquasola, e lodando lei della natura allegra, le regalava la primizia di questi Paradossi Idrostatici del Doctor Malalingua autore delle Cacature di Mosca : " Il matrimonio è un'indecenza (lo si capisce con evidenza apodittica pel suo scopo intimo palese). Il matrimonio è una schiavitù; sarebbe come obbligare una persona a mangiare per tutta la vita nella stessa trattoria. Il matrimonio è un'impostura solenne, perché copre con la lustra di un contratto civile e di una santa benedizione il sottointeso di perenni porcherie, che finiscono di stomacare anche gli stomaci meno deboli" . Nerina, che si era meritato da doctor Malalingua il complimento di natura allegra, con la sua volubilità di risorse non mai finite si rannuvolò di un tratto, ed uscì dalla nuvola come una preziosa compunta d'amore riportando con un sospiro la definizione della mascherata linguistica: * Ah! il matrimonio è l' amour permis . Il farmacopola spaventato che gli si spiegasse dinnanzi la carte du tendre , si affrettò a levar le berze da quella geographie d' l'amour ; ed annunziato, che gli era finalmente arrivato il bastimento carico di generi coloniali e medicinali, da cui per suo conto ritirava e spediva a Trentacelle due sacchi e quattro pacchi, si affrettò a scortare la spedizione. Ma prima con quella serietà di precisione contabile, che è prerogativa di certi buffi, volle delicatamente liquidare i suoi conti con la contessa. Con una sostenuta politezza e franchezza, la pregò di accettare per suo piccolo ricordo un ciondolo di rarità numismatica, una pezza d'oro di lire cento del quarantotto recante il motto: Italia libera * Dio lo vuole. E visto accettato il dono senza smorfie, egli stesso sentì una divina liberazione, per cui postergando anche lui il rammarico di staccarsi da tanta bellezza straordinaria, volle tuttavia aggiungerle il regalo del suo cinismo linguacciuto: * Cara Nerina, gli idealismi sono spostati in questa epoca, in cui si va perdendo il senso morale, onde sparisce il rimorso del mal fare. Ci incamminiamo a tale epoca, in cui le più felici coppie, i matrimonii meglio assortiti saranno assolutamente associazioni di malfattori. Nerina, forse per la prima volta convinta da un uomo e da una situazione, accettò la pezza da cento lire, non come ciondolo, ma come moneta. Essa finora era vissuta, come i personaggi della Divina Commedia di Dante, senza preoccuparsi dei quattrini. I quattrini per lei aveva primieramente provveduto il padre suo, poi il primo marito, poi l'amante secondo marito in partibus infidelium , quindi all'uscita del Santo Oblio di nuovo il padre, che non voleva ella rimanesse a carico dei buoni Losati. Spese enormi avevano fatto per lei ricchi perdutamente di lei innamorati in varii gradi di latitudine e longitudine terrestre. Ma, quantunque il ticchio della lautezza borsuale non le fosse mai mancato con una istintiva accortezza, cionondimeno non c'era mai stata ombra apparente di mercimonio. Ora con l'accettazione della pezza da cento si sentiva discesa di un altro gradino. E si vedeva dinnanzi molti altri gradini da scendere, per la prosaica necessità del pane e del companatico quotidiano. I personaggi di Dante, eccetto il conte Ugolino e complice, non mangiano. Essa sì; ed anche si veste, cosa di cui parecchi peccatori e parecchie peccatrici della Divina Commedia fanno a meno, o si aggiustano, senza ricevere la nota del sarto o della sarta per le cappe aurate di piombo ecc. Per mangiare e vestire a questo mondo ci vuole pecunia. Ricorrere al padre no; perché il padre è tomo da ricacciarla in un chiostro anche lontano. E questo programma è troppo pericoloso per la libertà dei suoi capricci, a cui sempre più vorticosamente essa ci tiene. Costituirsi sotto il giogo coniugale del primo o del secondo marito farebbe maggiormente a pugni con la vocazione del libertinaggio spinto oramai agli estremi limiti. Nella infinita processione del suo cervello passa come un'orezza l'idea della Beltà, valore giuridico, industriale. Se per i bisogni indeclinabili della natura umana, anche i sacerdoti di Dio si fanno pagare, perché non si dovranno pagare i favori delle Dee? La lettura del profilo di Formidabile , Dea Reggimentale, fu molto suggestiva per lei; e vieppiù suggestiva la conoscenza dell'autore. Ma non ella inquadrerà i biglietti da cento. Per vestirsi pagando onestamente la sarta, bisogna svestirsi disonestamente a pagamento. È una idea di infamia granitica economica, che si eleva sulle antiche sofferenze e crudeltà cardiache, da cui Dio scampi pure il prossimo! Fino allora essa non aveva considerato l'amore come cosa seria; lo aveva tenuto in conto di un divertimento, come il giuoco, come l'andare a teatro o a passeggio. Ora concepisce l'amore come una serietà finanziaria, che si accorda con il materialismo storico, per cui anche le rivoluzioni più ideali si addebitano a movimento di interessi, e si accorda con la norma dei costumi, per cui anche il rispetto più sacro, quello dovuto ai genitori, si commisura alla ricchezza e all'apparenza della ricchezza. Nerina, che si era primieramente maritata per una presentazione fattale al Caffè San Carlo, ricorda precisamente che Teodoro Mandibola, divenuto basso profondo acclamato a Torino, ricevette molto sostenutamente tra gli specchi dorati di quel Caffè il padre suo contadino, che mediante sacrifizii lo aveva fatto studiare, e quando lo ebbe congedato, disse ai compagni bellimbusti: a l'e il me massè ! (il mio mezzadro). Dunque lusso, ricchezza for ever , per sempre. Onde procacciarsi ricchezza e lusso occorrono intermediarii anche alla bellezza mercantile. Coloro che vogliono escludere affatto le mediazioni dai negozii umani, non conoscono la compagine della umanità, che è tutta una trama di infiniti rapporti. Le mediazioni devono riempire le crepe, far ponti, e non far gobbe; ma sono necessarie alle transazioni umane e anche a quelle d'amore. Il ruffianesimo, se ha un posto distinto nell'Inferno di Dante, è nella vita tra le più riguardevoli fonti di ricchezza. Esso si intreccia ad altri baratti e se ne fa coperchio. A Genova alla Salita dell'Imalaja, N. 69 rosso, interno 12, fioriva una cospicua Agenzia, che in altro tempo e in altra località si era pure occupata di ingaggiare ingegni e studi letterarii per lo sfruttamento attivo del Signor Gravet-Negrier. Ed era precisamente dessa, che aveva spedito il letterato Adriano Meraldi alla fortuna letteraria di Parigi. Ora funzionava in ispecial modo nel ramo erotico, occupandosi principalmente di procurare coppe d'amore alla sete ardente degli ammiragli lussuriosi e dei baldi ufficiali di marina che stazionavano nel porto, dopo una lunga navigazione. L'ammiraglio inglese Sir James Thoptson aveva il ticchio di rifare il celebre Nelson non solo nelle vittorie navali, ma altresì nelle conquiste amorose. Vide, come in un baleno, la Contessa De Ritz alla passeggiata dell'Acquasola, e gli parve di veder sfolgorare Emma Liona rediviva. Si persuase di potere con Lei disporre di regni ... E si rivolse all'accreditata agenzia della Salita dell'Imalaia. Il direttore dell'agenzia fece il caso molto difficile. Si trattava niente meno che di una bellezza europea ed asiatica, moglie separata di un eroe garibaldino, nobile conte ed onorevole deputato al Parlamento Italiano, e moglie scismatica di uno scrittore di fama mondiale. Anche non ci fosse stato di mezzo il matrimonio scismatico ricordiamo: non si gloriava il visconte Boissy d'Anglas pari di Francia, non si gloriava di presentare la Contessa Guiccioli sua moglie in seconde nozze come ci-devant maitresse di Giorgio Byron? L'ammiraglio inglese offriva come prezzo morale inestimabile la gloria di un nuovo Nelson. L'agente traccheggiò fino a che riuscì a conteggiare immoralmente un determinato centinaio di sterline, di cui la maggiore parte restò attaccata alle sue unghie. L'ammiraglio Thoptson era un eccentrico, che oltre alla gloria marinara, pregiava altamente la forma della Diva e la franchezza del costei spirito. Avendo domandato a Nerina: " Siete maritata?" si sentì rispondere: " Non più! I matrimonii sono associazioni di malfattori. Ed io sono onesta." Questa risposta al buon ammiraglio parve il non plus ultra della sublimità spiritosa. Avrebbe voluto impiccare per lei alla più alta antenna della nave ammiraglia il più eloquente oratore del Regno Unito. Dovendo egli salpare dal porto di Genova per il Canadà, profferse di condurre con sé Nerina offrendole l'impero della bellezza del Nuovo Mondo ancora da Lei inesplorato. Nerina, già conquistatrice di Europa e di Terra Santa, avrebbe accettato il patto del miraggio. Non la tratteneva la tribù dei minuti amanti, che erano pullulati intorno all'albero gigantesco dell'amore ammiraglio. Lacrime d'amanti non sono diamanti. Anzi erano diventate ridicole, incalcolabili ossia da non calcolarsi, quantités negligeables , le lacrime di questi piccoli amanti, pesciolini di rimpetto a una balena. Che importa uno studentello, precipite da un tetto, suicida di forsennato amore per lei? Che importa davanti alla prospettiva di divenire grassa gigantessa di ciccia soda, ed essere comperata a peso d'oro da un principe di Kabul, come Lola Montes, la zingara fattucchiera d'amore? Che importa se qualche impiegatuccio, qualche mozzo muore di fame per pagarsi un po' di Lei? Essa pretende che i suoi umili adoratori le dicano: Ave Cesarina ; i morituri ti inchinano. N'è dolce il sacrifizio di morire di fame per te. Avanti, ammiraglio! Ti seguo nella traversata dell'Atlantico, anche se l'oceano ondeggi tutto di lacrime dei miei amanti abbandonati alla disperazione per me. Chi la trattiene a Genova non è un amante né all'ingrosso, né al minuto. È un dispettoso del suo amore. È il baroncino Svembaldo Svolazzini, la cui Gilda, di origine artigiana, si era perfettamente baronificata, come se discendesse da una baronia delle Crociate. Che modelli di coniugi (marito amante della moglie e moglie amante del marito) erano Svembaldo e Gilda! Svembaldo era Direttore amministrativo della Acciajeria Amaldi di San Pier d'Arena; e rappresentava a perfezione il tipo del padrone delle ferriere romanzato da Giorgio Ohnet. In tanta desolazione di fallimenti morali ed amorosi, è consolante fermarci su questa immagine reale di idealità. Per un rarissimo privilegio di tempra adamantina egli aveva potuto conservare nella virilità i purissimi ideali dell'adolescenza. Aveva creduto vedere, che Gilda, solo Gilda sarebbe stata la degna collaboratrice della sua vita; e in tale fede si confermò con la più salda ed immacolata costanza. Bisogna dire, che Gilda fece di tutto per associarsi a lui in quel tipo di coniugio. Bambina si era un po' indugiata a guardare il girasole di Adriano Meraldi. Ma ora è profondamente persuasa, che Svembaldo è un sole in paragone di quel girasole. Egli, benché figlio di ricco e superbo barone, ha prediletta lei povera figliuola di un umile falegname; ed ha continuato ad amarla con un attaccamento maraviglioso, benché spedito alla caccia nell'India per lo scopo di allontanarlo da lei; egli l'ha rintracciata al Ritiro, alla purificazione del Sant'Oblio, e l'ha estratta di là, per farla sua, per farla consorte del più esemplare barone della cristianità nella modernità operosa. Gilda ha nella sua coscienza una rettitudine superiore a quella della pialla e della squadra di suo padre; e sente, che sarebbe un mostro orribile di stortura, se mancasse per un bruscolo a quel dovere colossale di riconoscenza. Per ciò si studia di farsi ogni giorno più bella, più elegante, più savia e più spiritosa all'unico fine di allietare i giorni del suo sposo, e quando può annunciargli con sicurezza la prossimità di un lieto evento, gli promette: voglio fartelo così grazioso, così bombonin , da intenerire la dignità di tuo padre e il contegno della tua signora mamma. Egli le gittò le braccia al collo, e la baciò con estasi lunga, proclamandola santa, santa, santa. Quella beatitudine coniugale gli rendeva più lucida la mente, più solido il carattere, più elastica l'attività, lo rendeva un valore aureo crescente anche nell'acciajeria. Lo sollevava più nobile col blasone del lavoro. Soltanto il vero, degno, santo amore resiste alla seduzione dei sensi peccaminosi. Indarno Nerina imperatrice dei sensi peccaminosi cerca di accivettare Svembaldo; indarno essa ha rinunziato alla conquista dell'America per conquistare lui. Egli si mostra incorruttibile, come l'angelo più vicino alla Divinità; imprendibile come una fortezza fatata. Eppure Nerina non rinunzia ad avvincere anche lui. Niun personaggio della vecchia Europa e dell'Asia Minore le ha finora resistito. Che il giovane Svembaldo rimanga unico invitto nella vecchia Europa? che egli sia maggiore dell'Asia minore? Gli manda messaggi difilati, sinuosi, ardenti, uncinanti, appiccaticci. Affitta un quartierino dirimpetto all'alloggio di lui; lo specula; lo occhieggia; lo occhialineggia; lo persegue; gli fa da sentinella; gli soffia motti audaci, inviti affascinanti, paroline tenerissime. Lo rasenta fino a fargli tastare la sofficità calda, pungente del suo plasma di Dea. Invano, sempre invano. Pur Nerina non cessa dall'assedio e dalla persecuzione. La giovane baronessa Gilda sta per uscire armata di tutta la forza, che le dà il diritto più sacro alla difesa. Ma il marito la scongiura a non insudiciarsi al contatto di quella perduta; e per liberarsi dagli incessanti attentati dell'impudica persecutrice, minaccia di ricorrere alla Questura; pensa che deve finire col ricorrervi. * * * Fu una coincidenza, poiché per lo stesso soggetto, per cui pensava di ricorrere alla Questura una perla di galantuomo, si rivolgeva una schiuma di lerci ribaldi alla Questura, che nel regno d'Italia era legalmente incaricata non pure di tutelare la pubblica sicurezza della civile cittadinanza, ma di organizzare e costringere il più turpe e barbaro carnaio del vizio. Una volta si muovevano la Massoneria e il gesuitismo per restituire la Contessa Nerina al padre e al marito legittimo. Ora è succeduta la fatale combinazione della probabile denuncia di un perfetto gentiluomo e della trama di sordidi malfattori. Mentre gli onesti procedono spesso apertamente isolati, i malfattori si associano nell'ombra. Vere associazioni di malfattori si addensavano per acchiappare nella più vergognosa ragna la contessa Nerina, ed attrarla all'ultima perdizione. Essa con la sua audacia capricciosa tende ad evolversi, evolversi, per innalzarsi infinitamente. E non si accorge di precipitare nella più cupa e fetida profondità. Siccome il vero romanzo è una storia dei costumi, ed il romanziere verista deve lasciar parlare le persone e gli avvenimenti e, secondo una nota formola, deve guardarsi dallo scoprirsi, a similitudine della Corona nel governo costituzionale, così invece delle nostre considerazioni, riportiamo un ristretto delle dispense scolastiche di Ilarione Gioiazza, che è pure un personaggio del nostro racconto. Egli non trovando mai il tempo di divenire ammalato, oltre a tenere uno studio fiorente di avvocato, anzi di avvocatissimo, vinse un famoso concorso di dottore aggregato alla facoltà di giurisprudenza della Università di Torino, e da libero docente promosso a straordinario ebbe indi a poco quale titolare la cattedra di medicina legale all'Università di Catania. Ma non gli convenne accettarla; e seguendo l'andazzo legale di accrescere i corsi liberi per ispremere maggiore quantità di quattrini dagli studenti coatti moralmente; egli inaugurò un corso speciale sulla polizia sanitaria dei costumi nella stessa capitale delle antiche provincie. Noi diamo appunto un tratto delle sue relative lezioni stenografate e poligrafate. " Lo dirò, anche avessero a gongolarne i clericali e gli altri nemici dell'Unità e della Libertà Italiana, che (si intende i nemici) il Diavolo se li porti. Il vero, sì, che nel 1859 e nel 1860, durante l'orgasmo di fare l'Italia libera ed una, gli italiani e le italiane si amarono troppo, si amarono tanto che produssero una spaventosa diffusione di lue venerea specialmente nel regio esercito e nel corpo dei volontarii. Se ne impensierì lodevolmente quel testone del Conte di Cavour, che badava a tutto; ed incaricò l'intemerato ed oculato sifilografo prof. Casimiro Sperino di allestire alla lesta un regolamento sulla Prostituzione, che è il famigerato regolamento del 15 febbraio 1860, contro cui si appuntano i picconi demolitori dei moralisti, degli igienisti, dei giureconsulti e degli apostoli d'ambo i sessi. È perniciosa la schifiltà dei giornali in pantoffole, che vorrebbero mettere la sordina alle verità più strepitose. Noi proclamiamole salutarmente. Si disse che la Natura è più forte delle Leggi, e si direbbe meglio che essa stessa è la legge più forte fra le leggi. Poiché Dio Creatore ha dato l'amore naturale come mezzo indispensabile a continuare la sua creazione, un Governo, il quale deve governare ogni funzione sociale per evitare il maggior male e fare un po' di bene non può prescindere dalla funzione primigenia della massima importanza vitale. Perciò il tessuto connettivo del Governo va dalla santa nobiltà del matrimonio alla abbiettezza peccaminosa della prostituzione. Ma il Governo non deve mai procedere a casaccio, bensì secondo i casi, che offre il perpetuo svolgimento della sfera di vita umana. La Storia dei Costumi ci mostra, come agli stati nella maggiore potenza, e probabilmente a cagione della medesima, (tanto è breve il tratto dalla potenza alla prepotenza e alla strafottenza, dalla retta volontà al folle arbitrio) accadde un pervertimento, una rivulsione sessuale. Così alla Serenissima Repubblica di Venezia occorse provvedere contro al dannoso predominio della masturbazione e della pederastia. Lo stesso pare ricorra nel sottosuolo immorale della granitica Germania pervasa dalla omosessualità. Che fece la Serenissima verso la fine del 1400 per richiamare la sua maschia gioventù alle vie indicate dalla natura figlia di Dio? Ordinò alle sue cortigiane di affacciarsi spettoracciate allettatrici dai balconi. Così Pompeo Gherardi Molmenti nella sua Storia della Vita Privata di Venezia 21a ediz. pag. 321. Anche a Lucca nel 1448 si instituì l' Ufizio dell'Onestà a punire i peccati contro natura e a ravvivare gli amori naturali. E se non capitò al punto di un eccesso diverso forse fu ingiusto l'interdetto ricordato da Dante alle sfacciate donne fiorentine * d'andar mostrando con le poppe il petto. Ad ogni malattia il suo rimedio. Napoleone I, genio della guerra, per amore e necessità dei soldati, coniò il regolamento celtico, sottomettendovi le femmine da conio. Cavour, genio della nuova Italia, riparando all'epidemia celtica, che devastava le schiere giovanili accorrenti al compimento della libertà e dell'unità italiana, faceva rimodellare quel regolamento agli urgenti bisogni della nazione. In che consiste sostanzialmente il suddetto regolamento? Nel matricolare le femmine prezzolate per gli sfoghi sessuali ed astringerle a visita medica periodica, e se riconosciute infette, ritirarle dal commercio sottoponendole a cura coercitiva. Fin qui il regolamento non fa una grinza; il relativo diritto va diritto a fil di spada. Se per la salute pubblica si proibisce al macellaio di vendere carni infette, a fortiori si può applicare la proibizione alle femmine contaminate, che la voce del popolo chiama coi nomi di vacche, troje ed altre bestie da macello. Oltre ai benefizii della salute fisica, non manca chi ravvisa nella prostituzione ordinata i benefizii della salute morale. A questo proposito mi cadde sott'occhi nell'appendice di una gazzetta circondariale "Paradossi idrostatici" (speciosa verità, dove vai qualche volta a ficcarti?) una bizzarra laude di un Doctor Malalingua a Santa Raab patrona delle meretrici. È dedicata ad una nuova Ninon de Lenclost "amica sincera, amante infedele". Con il ritornello "per cinque lire" in quell'inno si loda (non ricordo precisamente i versi) Raab, meretrice di Gerico, e non solo per i meriti patriottici militari, per cui Dante, lasciata Taide puttana nell'inferno a graffiarsi con le unghie merdose, sublima, imparadisa Raab nel cielo luminoso di Venere facendola scintillare come raggio di sole in acqua mera. Nell'inno non solo è vantato il merito storico di Raab che ricettando in sua casa gli esploratori favorò la prima gloria di Jousè in su la Terra Santa ; ma è celebrato il suo merito attuale sociale. Lo studente, il garzone vede in te rifulgere la bellezza di Eva nel Paradiso Terrestre; acqueta un'estasi per cinque lire. E se ne parte senza responsabilità, scossa la polvere dai sandali, scossi i grilli dal cerebro, per cinque lire, aggiunta alla portinaia ruffiana la mancia di moneta invalida. Così è risparmiata la virtù della innocente figlia dell'onesto operaio, e della giovane sposa del vetusto Conservatore delle ipoteche per cinque lire. Si evita una fabbrica pestilenziale di corna con cinque lire. Quanto invece costa una seduzione! Spesso gronda lacrime e sangue. La corte di una damina si prolunga rovinosamente più dell'assedio di Troia. Crudeli infanticidii, fughe sciocche e calamitose, madri aspettanti nella preghiera o nella disperazione, padri che si inginocchiano o maledicono ai figli! suicidii, delitti ... Tutti i disastri, che si evitano con cinque lire. Fin qui l'inno. In prosa un prode e virtuoso generale, Alfonso La Marmora non credeva certamente, che la morale se ne andasse ad magnam meretricem , quando nel rapporto degli ufficiali, li consigliava paternamente: Fieui, andè a magne. Badate che i test ... i non vi pesino mai di più che la testa. Il senatore Giambattista Borelli, chirurgo di salutare prestigio, divisava nettamente l'alto benefizio di una Aspasia sensuale, intellettuale e spiritosa, che riposa, snebbia, consola e rallegra gli spiriti e i corpi affaticati dei grandi lavoratori della patria e dell'Umanità, e rintegra la forza sociale del maschio con la dolce e santa ebbrezza dell'eterno femminino, senza piagnistei di amanti, senza trafitture di gelosia e senza pezzuole ributtanti e puzzolenti di levatrici e nutrici. Signori Studenti! Non bisogna però mai esagerare, e tanto meno tirare a generalità lo specialissimo sollievo di alcuni celibi necessarii come le api operaie. Con tali esagerazioni ci dimostreremmo dammeno del ragionamento collettivo degli imenotteri fabbricatori di miele. La Società è profondamente complessa; la verità è infinitamente poliedrica; e la scienza deve procurare di rifletterne il maggior numero di faccette. Per la santa meretrice Raab della Sacra Scrittura o per la profumata esilarante intelligenza di Aspasia greca o di una principessa cosmopolita, non dobbiamo trascurare le giuste e sante nozze, fondamento della Società, seminarium reipublicae. La prostituzione, tutto al più male necessario, ha i suoi effetti perniciosi, che bisogna ridurre ai minimi termini. I Regolamenti, che si proposero di riparare alla maggiore pernicie, ci riuscirono? Pare di no, se ascoltiamo il grido di dolore e di protesta che si eleva e circola contro di essi dalla Patagonia alla Scandinavia. Da noi si è pronunziata nettamente contro il Regolamento meretricio la Reale Commissione per lo Studio delle Questioni relative alla Prostituzione e ai provvedimenti per la Morale ed Igiene Pubblica , composta dei signori: Peruzzi comm. Ubaldino, deputato al Parlamento, presidente , * Bertani dott. Agostino, deputato al Parlamento, * Bianchi prof. Francesco consigliere di Stato, * Casanova comm. avv. Giuseppe, capo di Divisione al Ministero dell'Interno, * De Renzis barone Francesco, deputato al Parlamento, * Giudici comm. Vittorio colonnello medico, deputato al Parlamento , * Lucchini prof. avv. Odoardo, deputato al Parlamento , * Mazzoni comm. prof. Costanzo, * Patania dott. Carmelo, deputato al Parlamento, * Pessina prof. Enrico, senatore del Regno, * Villari prof. Pasquale, senatore del Regno, * Pellizzari prof. Celso, segretario . Non si potrebbe immaginare un conserto più competente di ingegno, studio, ed amore del bene, dall'accortezza delle antiche repubbliche mercatanti alla fiamma di Gerolamo Savonarola, dal civilista al penalista, dall'ambulanza garibaldina alla tenda del R. Esercito, dall'eleganza del proverbio martelliano alla burocrazia più inchiostrata, dal numero all'idea, dal fucile al microscopio, dal Consiglio di Stato al laboratorio di Chimica, da una buona Camera a un bel Senato. Ebbene tutto questo conflato di osservazione, di scienza e di coscienza è unanime nel denunziare gli orribili abusi, di cui fu capace l'applicazione del Regolamento. Mentre lo Statuto del Regno e il Codice Civile garantiscono la libertà personale dei maggiorenni che non siano condannati al carcere e al manicomio, mentre si è persino abolita la cattura per debiti civili e commerciali, mentre si è tanto gridato contro la schiavitù negra d'America, ecco autorizzata dal nostro governo liberale e Nazionale, protetta dalla sacra maestà del braccio regio la tratta e la coercizione delle schiave bianche, lavoratrici organizzate della bellezza, lavoratrici del piacere, lavoratrici dell'amore. Onde il romanziere moralista Vittorio Bersezio può rettamente deplorare l'harem libero, che la civiltà europea consente alla libidine ricca di procurarsi specialmente nella miseria delle classi povere. Abbiamo le meretrici di stato tra gli altri monopolii dello stato, come i sali, i tabacchi, la polvere pirica, i pallini da caccia, i francobolli, i tarocchi, e le altre carte da gioco; come potremo avere le ferrovie di Stato e il chinino di Stato. Intanto abbiamo l'infezione di Stato. Imperocché i sifilicomii governativi sono definiti dalla Regia Commissione centri di lenocinio, scuole di corruzione, fomiti di libertinaggio, esercizii di tribadismo, scarica di malanni, sentina di febbri, ergastolo fecondo di tifo e scabbia, sordido ricetto di bestie immonde. L'infezione tocca pure i pubblici ufficiali, che impiegati a trattare turpitudini si deturpano. Nei sonetti del Fucini si contemplano le guardie briache addormentate in un casino, mentre in pescheria accadono zuffe mortali. La maggiore turpitudine è segnalata nella recluta delle prostitute. Si comprende alla stregua del semplice buonsenso, che una donna maggiorenne, la quale voglia fare commercio del proprio corpo, sia assoggettata a certe regole di igiene, di cura e di decenza, e che si freni la spocchia di un pistoiese Canonico Pacchiani (vedi Guadagnoli dello Stiavelli) che sorpreso di notte a far gazzarra nella pubblica via con una donnaccia volle proclamarsi uomo libero con donna libera in terra libera. Ma che per offrire carne fresca ai provetti consumatori, per fornire macchine di piacere ai loro organi viziati, l'autorità governativa dia forza legale ad associazioni di malfattori per la retata e la coscrizione di innocenti creature nell'esercito della mala vita, è un orrore. Inorridite, continenti! Inorridite, stelle, davanti a questo bolide. Il Comm. Bolis, benemerito e compianto direttore generale della Pubblica Sicurezza, attestò alla R. Commissione che si erano forzate alla disciplina delle meretrici vergini certe, che da tenenti postriboli si è mercanteggiata la verginità di fanciulle quindicenni e, più orrenda lacerazione della Natura, vennero insanguinate a prezzo dalla libidine fanciulle tuttavia acerbe, ignare del fiotto mestruo. Oh! Società di sepolcri imbiancati, o menzogne convenzionali della Civiltà, o Italia, non donna di provincia, ma bordello!" Neppure, secondo l'eloquenza dell'avv. prof. Ilarione Gioiazza larga di umorismo e di invettive, Nerina verso il termine dei suoi capricci per pianoforte poteva considerarsi vergine martire.

Abbasso i mariti! Desiderato Chiaves in una ricreazione filodrammatica, compassionando una vedovella solitaria nella sua villa, aveva fatto esclamare da uno zio rappresentativo: * Che fa il ministero della guerra, che non manda uno squadrone di cavalleria nei dintorni a consolare la solitudine della mia cara nipotina? * Così e converso gli ufficiali di Piemonte Reale Cavalleria pesante, di guarnigione all'uggia della melmosa Trentacelle nella state del 1873, potevano mitologicamente invocare Venere e Cupido: * Se non siete definitivamente morti, Dio dell'amore, Dea dell'amore, che fate? Spediteci qui una bellezza da ammirare e corteggiare. Si direbbe, che Venere e Cupido esaudissero i voti dell'Ufficialità di Piemonte Reale Cavalleria con la spedizione della Contessa Nerina a Trentacelle. Veramente essa vi era venuta per il professore Losati. Ma non è più lecito ignorare, che essa era uno di quei cuori ardenti, che non si appagano di nessun amore. Ed era più prepotente di una czarina slava nella molteplicità dei suoi capricci imperiosi. Della sua prepotenza aveva già dato saggio all'albergo, al caffè e nelle passeggiate, principalmente con gli occhi, che lucevano come una stella; una stella d'inferno, stella promettitrice di rapimenti, tempeste e rovine. La sua conquista decisiva fu a teatro. Al Politeama Tupinetti si rappresentava un drammaccio da arena: La colpa vendica la colpa. Però il maggiore spettacolo era quello che il pubblico si dava a se stesso, facendo licito il libito in sua legge per esalare seralmente l'afa della giornata estiva. Chi fumava, chi cicalava, chi beveva, chi ordinava scioppi di birra. Si sentivano come revolverate gli stappi della gazosa. Nel pandemonio si distingueva la barcaccia degli ufficiali di Piemonte Reale, che sporgeva al lato destro del proscenio, tanto da poter stringere la mano alla prima donna o dare un pizzicotto alla servetta. Irruppero cinque o sei tenentini reduci coll'ultimo treno dagli esami di promozione della Scuola di Pinerolo. Furono interrogati premurosamente sull'esito. Il più oratore di essi rispose con rassegnazione di iattanza nel latino maccheronico più che goliardico: Si passus, passus; si non passus, andabo a spassus, pigliabo uxorem et coglionabo professorem. Il cicaleccio venne interrotto dalla luminosa apparizione della Contessa De Ritz nelle sedie chiuse col professore Losati. Vista la puntatura pertinace del relativo binoccolo, un capitano osservò all'oratore dei tenentini di Piemonte Reale: * Mi pare che tu voglia pigliare la moglie degli altri, la moglie del professore. Pigliabo uxorem et coglionabo professorem, divenne il ritornello, il refrain , il leit motiv della barcaccia degli ufficiali di Piemonte Reale, che colle bande rosse sulle gambe lunghe si rizzavano, si protendevano, come diavoletti arroncigliatisi: chi spediva baci, chi pareva volesse gettare il fazzoletto di sultano, chi la rete di pescatore, chi il laccio di gaucho mato sulla Contessa imperatrice delle sedie chiuse. Il professore non dava segno di accorgersene, assorto come la maggiore parte del pubblico nella lettura dell' Eco di Trentacelle , il cui foglio uscito e distribuito di fresco, andava a ruba e costituiva l'avvenimento di quella sera. Tutti lo leggevano, ad eccezione degli ufficiali della barcaccia più dediti all'equitazione, alla scherma e alle conquiste, che ai pettegolezzi della letteratura provinciale. Eppure Spirito Losati, benché rotto alle letterature classiche, scopriva un nuovo filone di minerale letterario in quelle Cacature di Mosca , come il Doctor Malalingua dell' Eco di Trentacelle aveva voluto modestamente ed anche sprezzantemente intitolare i suoi ristretti di romanzo e spunti di commedia. Egli era il giovane farmacista Evasio Frappa, che a divagazione e sostegno della monotonia dei suoi pestelli e vasetti si era fatta coll'assidua lettura una cultura straordinaria, e si era formato uno stil nuovo caustico da rivaleggiare nella provincialità di Trentacelle con il rapido, plastico e mordente bozzettista americano Bret Hart, e da precorrere agli acidi corrosivi dell'amaro Massimo Gorki. Se un generoso editore (nella supposizione inverosimile che vi siano generosi editori in Italia) avesse la furberia di raccogliere dalle annate gialle dell' Eco o dell' Oca (come dicevano gli spiritosi dileggiati) di Trentacelle d'una quarantina d'anni fa, le Cacature di Mosca di Doctor Malalingua (Evasio Frappa) colpirebbe l'immaginazione del pubblico con un tesoretto postumo di osservazioni concrete da togliere il gusto della letteratura sbattuta e vuota oggi in voga. Segnalatamente gustosi gli scampoli: Un trombone isolato * Il burattinaio famelico * A che servono le donne d'altri * Lasciate amare * Il mestiere d'amare * Storia di una molecola * Le citte * Necrologia di una pipa * Al marito di cento, senza averne sposata nessuna , titolare di una commedia a soggetto. Noi per connessione di causa riproduciamo un profilo relativamente più debile intitolato: Formidabile , caricatura a chiave riconoscibilissima della Dea reggimentale, la cui attraente lettura in quella sera distraeva l'attenzione dal dramma " La colpa vendica la colpa" nonché dalle manovre di Piemonte Reale Cavalleria nella barcaccia, dagli inviti assordanti di gaseuse e bira , e dallo stesso splendore e fascino civettuolo della contessa Nerina sovrana nelle sedie chiuse. Ecco il profilo esumato: * Formidabile * sommario di romanzo I. Non è la storia di una pirocorvetta ad elice, ma è la storia di una nobile signora più formidabile di una fregata da cento cannoni. Nacque figliuola unica del barone Uvamico, proprietario rentier , insignificante, inconcludente e della baronessa Carissa dei nobili Scintilla morta con sapore di bambina. Fu battezzata Stella. Fu educata in un convento. Ritirata a casa a sedici anni giocava ancora con la puppatola. Sentiva bisogno di amare. In convento le era sembrato di amare un baritono venuto a cantare un pange lingua in una funzione religiosa. Ora avrebbe voluto amare uno scolare studioso, un avvocato eloquente, un giovane che si fosse reso benemerito verso sua madre o verso il prossimo, un fabbricante, che avesse trovata una tinta indelebile per i calzoni o per la cifra della biancheria. Un giorno le annunziarono, che ella avrebbe sposato il marchese Ercole Passerotto di Frappaglia. II. Chi era il marchese Ercole Passerotto di Frappaglia? Era figliuolo a un diplomatico di Carlo Emanuele ultimo e di Vittorio Emanuele I, che aveva abbandonato l'educazione del figlio per la diplomazia. L'aveva commesso a un prete, Don Procopio. Il tirone, di indole frigida, cioè pochissimo sensuale, si innamorò molto spiritualmente e poco spiritosamente del cappellano. Don Ercolino mostrava e sentiva entusiasmo per le benedizioni ed i santuarii: portava il baldacchino, la pellegrina e le conchiglie in processione: avrebbe fatto dieci miglia a piedi per sentire una messa cantata, accompagnata all'organo da padre David. Si soffiava il naso con fazzoletti dello stesso colore del piviale, che deve variare ogni giorno il prete a messa secondo il calendario rituale. Aveva divisato di immortalarsi con una monografia sulla Confraternita di Santa Caterina. I cosidetti sensi non li conosceva più nemmeno, avendo tarpato loro le ali, appena mettevano il cannone. A quindici anni, quando alcuno gli domandava chi intendesse sposare, egli rispondeva: * Voglio sposare Don Procopio! A venticinque anni, il padre gli replicò la domanda. Ed egli rispose, che voleva sposare la Chiesa. Il padre pianse alla pochezza d'ingegno del figlio, egli che voleva tirarne un diplomatico, un uomo di stato. Gli osservò, come per un figlio unico non c'era luogo a vocazione ecclesiastica, * e che per un nobile né prete, né militare era un disonore non avere moglie. Don Ercolino si acconciò e sposò la contessina Clara Faggio Del Poggio, florida bionda, che dal giorno del matrimonio al contatto di quella cartapecora intristì, fino a morire di lì a sette mesi. Il marchese Ercole ne pianse la morte religiosamente, ufficialmente e coralmente, perché così gli imponevano le sue convinzioni di gentiluomo, di galantuomo e di fedele cristiano. Ma nel suo sé fu contento di essersi spacciato dall'obbligo della moglie, e dal disonore di rimanere nobile celibe senza essere colonnello né monsignore. Durò cinquant'anni di fiera vedovanza, durante i quali fece fabbricare due organi nuovi, pubblicò le sue opere storiche su diverse confraternite e comperò la mula bianca per l'ingresso del nuovo arcivescovo. Protestò contra lo Statuto e l'abolizione del foro ecclesiastico e dei Conventi. Nel 1858 per l'epidemia clericale elettiva fu mandato deputato al Parlamento Subalpino. Vi si recava, dopo avere udito e servito due o tre messe a San Filippo. Avrebbe creduto di commettere un peccato di gentiluomo cattolico, se avesse toccato la mano a Brofferio o a Borella. Non parlò mai. Quando il padre Angius o il conte Solaro della Margherita nominavano il Padre Eterno od il suo figliuolo nostro Signore Gesù Cristo, egli si levava il berrettino pretesco, e si faceva fieramente il segno della Santa Croce in Parlamento. Dopo il sessanta, egli pianse su Casa Savoia e si recò nel suo Castello di Frappaglia, paese quasi tutto suo. Diceva il breviario, come i preti. Abolite le corporazioni religiose anche nel Napoletano, egli ospitò a Frappaglia un monastero di suore carmelitane. Una nobile monacella, dolce come una caramella, la Mirto La Chaine di Mostiafè, la quale non aveva ancora varcato gli ultimi voti, gli presentò nel giorno onomastico un mazzo di fiori con la grazia di un'estasi implorante da reclusa. Il vecchio marchese Passerotto di Frappaglia sentì uno strabiliante effetto di amore a settant'anni. Nell'orgasmo senile la baciò, ed onestamente se la sposò, dopo avere pagata una lauta dispensa alla Dateria apostolica di Roma ed ottenuta per sopramercato una particolare benedizione dal Santo Padre. La marchesina allontanava ogni adorazione altrui con un raggio d'occhio dolcemente superbo. Morì nella maternità martire. Inconscio Barbableu, il marchese Ercole Passerotto di Frappaglia pianse di nuovo ufficialmente e coralmente, e fece venire, oltre l'arcivescovo, due vescovi e dieci canonici per la sepoltura. Finito il rito funebre, convocò l'arcivescovo, i vescovi e i canonici a concilio nel coro della cappella, e tenne loro un'arringa, dicendo che per la salute della sua anima e del suo corpo aveva bisogno di una nuova sposa, purché aristocratica e cattolica; e glie la cercassero. Non fiutarono a lungo i monsignori per trovare la nubenda al vegliardo de cujus . Uno di essi propose la propria nipote baroncina Stella Uvamico, il cui padre era vicino a spiantarsi per la sua imbecillità. Nei primi giorni del suo terzo matrimonio, il marchese Passerotto lasciò in libertà la sposa, che aveva quartiere separato. Al sesto giorno la più vecchia delle dame di compagnia avvertiva la marchesa, che lo sposo sarebbe venuto a farle visita intima di sera, dopo il rosario. Venne ilare, rimpennacchiato, ossia vestito comicamente e lussuosamente alla Goldoni con trine bianche e parrucca nera, spadino e fioretti ... Contento della relativa conquista, egli si arrese a trasportare i lari in città. Quivi dava delle feste da ballo, come glie lo permettevano le sue trecento e cinquanta mila lire di rendita. Mentre gli altri ballavano o si divertivano altrimenti, egli diceva il breviario, e finito il ballo andava a messa. La marchesina Stella paragonò il poderoso scalpitio di un capitano di Nizza Cavalleria alla tosse e allo scricchiolare della carcassa del marchese. Dopo mille rimordimenti di coscienza, diede il suo cuore, la sua fotografia, le sue labbra all'ufficiale cavaliere, per crearsi una nuova vita di felicità perpetua, fedele, amorosa, permessa dalle leggi degli angeli. Il capitano cambiò di guarnigione. Inutilmente essa spedì il marito clericale nella capitale usurpata ad invocare dal ministero massone il ritorno di Nizza Cavalleria a presidio della consorte. Essa voleva fuggire, suicidarsi, farsi monaca ... Voleva recarsi a implorare un santo consiglio da un santo vecchio sacerdote ... Invece capitò a farle visita un giovane e bel canonico. Essa si accorse solo allora, come un prete poteva essere salacemente bello. Subì una dichiarazione amorosa sacerdotale. Stella amava misticamente il canonico, che venne graffiato dalla cuoca e piantò la marchesa, dopo averla accompagnata ostensivamente a braccetto nel visitare le cappelle artistiche del Sacro Monte di Varallo. Delusa dall'abbandono canonicale, la marchesa ritiratasi al Castello di Frappaglia, quivi amò rubestamente un contadino, che aveva adocchiato a un ballo pubblico, e giudicato più bello ed aitante di tutti gli ufficiali e di tutti i canonici ... Se ne disgusta una sera per il puzzo ... Stella non voleva cadere in una stalla. Ritorna in città più formidabile che mai. Allaccia, straccia, stritola, scarpiccia cento vincoli di amore. È un uragano in un bosco d'amore. Il marchese sopporta da gentiluomo del settecento; raccomanda solo di salvare le moderne apparenze. Stella riceveva docile e imperiosa i frequenti assalti, più che omaggi, dei tenentini impertinenti ed impetuosi; e dignitosa gli inchini dei grossi colonnelli, uno dei quali, grosso come un tamburo, nel forte della dichiarazione scappò in un petardo. Sgloriata nuovamente del militarismo, essa volle lasciare un'altra volta l'esercito per la chiesa; finse una malattia e una confessione per sedurre un celebre predicatore. Poscia si invaghì di un giovane pittore, il quale visibilmente segnato dalla Dea Gloria, aveva promesso di sposare al suo paese l'umile figlia di un fornaio, ricciuta come una pecora del sole, perché era stata la sua prima favilla artistica. Stella si fissò di rapire il nuovo Raffaello alla fornarina rusticana. L'artista cede alle lusinghe della superba matrona. Ma dopo la prima eclampsi d'amore, egli, già snebbiato di voluttà, sentì la plebea tentazione di imprecare: porca marchesa! Come il re Teodorico in una ammoniaca spirituale dell'ebrietà banchettante vide nella testa del pesce i teschi delle sue vittime Simmaco e Cassiodoro, così il pittore in una svenia della Donna formidabile vide rifiorire l'immagine della sua unica Fornarina, innocente fanciulla, che lo scacciava dalla filatessa degli amanti di Stella. Per riabilitarsi egli ha bisogno di un gran colpo: trae di tasca un portafogli; ne estrae un biglietto della Banca Nazionale di lire cento, rosso come la vergogna, e lo dà alla marchesa, dicendo: non ho mai pagato tanto niuna ... Se avesse pronunciata la parola, l'avrebbe detta in greco: etaira ... La marchesa urla, ma ritiene il biglietto, lo caccia in un medaglione; poi lo fa inquadrare e spianta la sua corte. Diviene una benefattrice. L'artista ha sposato la fornarina. Il marchese Ercole è morto. Morrà anche la marchesa lasciando il fatto suo allo Spedale. Sarà santificata." " Doctor Malalingua" Alla chiusa ottimista del bozzetto, il professore sollevò lo sguardo carico dall'appendice dell' Eco di Trentacelle, e colse in uno sguardo fragrante l'attacco più che formidabile di Piemonte Reale Cavalleria alla contessa De Ritz, e questa in posa smaniosa di fortezza prendibile, e quasi in accensione di Troia omerica; onde sospirò internamente con una sicurezza di virgiliana immagine: Nerina ruit in pejus.

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