Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbassavano

Numero di risultati: 1 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Mitchell, Margaret

220938
Via col vento 1 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Dalle stanze da letto al piano di sopra giungeva un incessante ronzio di voci, che si alzavano e si abbassavano punteggiate da scoppi di risa e da «Ma no! Gli hai proprio detto cosí?» e da «E lui che disse?» Sui letti e sui divani delle sei grandi camere le ragazze riposavano, dopo essersi tolte il vestito e avere allentato il busto, coi capelli sciolti. La siesta pomeridiana era un'abitudine locale e non era mai cosí necessaria come nelle riunioni che duravano tutto il giorno, avendo inizio la mattina presto e terminando col ballo. Per mezz'ora le ragazze discorrevano e ridevano; poi le serve chiudevano le imposte e nella calda semioscurità le voci diminuivano in bisbigli e infine cessavano in un silenzio interrotto solo da respiri regolari. Prima di sgusciare nel vestibolo superiore e di affacciarsi alla ringhiera, Rossella si era assicurata che Melania era coricata sul letto insieme con Gioia e Etta Tarleton. Dalla finestra del pianerottolo vedeva il gruppo degli uomini seduti sotto gli alberi a bere, e sapeva che vi sarebbero rimasti fino al tardo pomeriggio. I suoi occhi scrutarono il gruppo, ma Ashley non vi era. Tese l'orecchio e udí la sua voce. Come aveva sperato, egli era ancora nel viale d'accesso, a salutare le signore che se ne andavano coi bambini e ad assistere alla loro partenza. Scese velocemente le scale, col cuore in gola. E se avesse incontrato il signor Wilkes? Che scusa avrebbe trovato per giustificare quel suo gironzolare per casa mentre tutte le altre ragazze riposavano per esser belle la sera? Beh, comunque, valeva la pena di arrischiare. Giunta in fondo alle scale, udí le serve che si muovevano in sala da pranzo agli ordini del maggiordomo, togliendo la tavola e le sedie per preparare per il ballo. Al di là dell'ampio vestibolo era la porta aperta della biblioteca; ella si affrettò a entrarvi senza far rumore. Attenderebbe là dentro che Ashley finisse i suoi saluti e lo chiamerebbe vedendolo rientrare. La biblioteca era nella semioscurità, perché le persiane erano chiuse. La stanza cupa dalle alte pareti completamente coperte di libri neri le diede un senso di oppressione. Non era quello il luogo che avrebbe scelto per un colloquio come sperava sarebbe stato quello a cui si preparava. La grande quantità di libri la opprimeva sempre, come pure le persone che amavano legger molto. Ad eccezione di Ashley. I mobili pesanti le sembravano enormi nella mezza luce, e cosí le sedie a spalliera alta e sedile profondo, fatte per i Wilkes che erano di statura elevata, e le solide e morbide sedie coi cuscini di velluto per le ragazze, con davanti sgabelli anch'essi coperti di velluto. All'altra estremità della lunga stanza, dinanzi al caminetto, il divano di due metri - il posto preferito di Ashley - drizzava la sua massiccia spalliera come un enorme animale. Chiuse la porta lasciando una fessura e cercò di calmare i battiti del proprio cuore. Si sforzò di ricordare con precisione quello che la sera prima aveva progettato di dire ad Ashley, ma non vi riuscí. Aveva pensato qualcosa e lo aveva dimenticato... o aveva soltanto progettato di far parlare Ashley? Non ricordava; e improvvisamente fu invasa da un gelido terrore. Forse, se il suo cuore smettesse di battere in modo cosí assordante, potrebbe pensare che cosa dire. Ma il rapido battito non fece che aumentare quando ella udí Ashley rivolgere un ultimo saluto ai partenti e rientrare nel vestibolo. Riusciva a pensare soltanto che lo amava... che amava tutto di lui, dall'altero portamento del suo capo dorato alle sue scarpe nere; amava la sua risata anche quando la canzonava, amava i suoi strani silenzi. Oh, se entrasse e la prendesse fra le braccia sicché ella non dovesse parlare! Doveva amarla... «Forse, se pregassi...» Chiuse gli occhi e cominciò a mormorare «Dio ti salvi, Maria, piena di grazia...» - Oh, Rossella! - Era la voce di Ashley che interrompeva il rombo delle sue orecchie gettandola nella piú gran confusione. Egli si era fermato nel vestibolo, scrutandola attraverso la porta. parzialmente aperta, con un sorriso enigmatico sul volto. - Per chi vi nascondete? Per Carlo o per i Tarleton? Ella inghiottí la saliva. Dunque Ashley si era accorto degli uomini che le erano stati intorno! Com'era adorabile coi suoi occhi che ammiccavano, completamente ignaro del turbamento di lei! Non fu capace di dire una parola, ma sporse una mano e lo trasse nella stanza. Egli entrò, perplesso ma interessato. Vi era in lei una tensione e nei suoi occhi una luce che non vi aveva mai visto prima; e anche nella semioscurità si distingueva il colore acceso delle sue guance. Automaticamente egli chiuse la porta dietro di sé e le prese la mano. - Che c'è? - chiese, quasi in un bisbiglio. Al contatto della sua mano ella cominciò a tremare. Ecco che stava per accadere quello che aveva sognato. Mille pensieri incoerenti si agitarono nella sua mente, ma non fu capace di afferrarne uno solo da forgiare in parole. Riuscí solo a crollare la testa e a guardarlo in faccia. Perché non parlava lui? - Che c'è? - ripeté Ashley. - Un segreto che volete dirmi? A un tratto ella ritrovò la parola e nello stesso istante tutti gli anni di insegnamento di Elena scomparvero e lo schietto sangue irlandese di Geraldo parlò sulle labbra di sua figlia. - Sí... un segreto. Vi amo. Per un attimo fu un silenzio cosí profondo come se nessuno dei due respirasse. Quindi ella smise di tremare, mentre si sentiva invadere dalla felicità e dall'orgoglio. Perché non lo aveva fatto prima? Quanto era piú semplice di tutte le manovre da signora che le avevano insegnato! E i suoi occhi cercarono quelli di lui. In questi era un'espressione di costernazione, di incredulità e di qualche altra cosa... Che cos'era? Sí, Geraldo aveva la stessa espressione il giorno in cui il suo cane preferito si era rotto una gamba, e bisognò abbatterlo. Perché le veniva in mente questo adesso? Che pensiero stupido. E perché Ashley la guardava cosí stranamente e non parlava? Qualche cosa di simile a una maschera di buona educazione apparve ora sul suo viso, ed egli sorrise galantemente. - Non vi basta di aver fatto oggi collezione dei cuori di tutti gli altri uomini? - E la sua voce aveva l'antica nota carezzevole e scherzosa. - Volete proprio l'umanità? Ebbene, avete sempre avuto il mio cuore e lo sapete benissimo. Da quando vi sono spuntati i primi denti. No... nulla di tutto questo. Non era cosí che ella aveva immaginato la cosa. Nel pazzo vortice di idee che si agitavano nel suo cervello, una stava cominciando a prendere forma. Per una ragione che ella ignorava, Ashley si comportava come se ella stesse civettando con lui. Ma egli sapeva che non era cosí. Era sicura che lo sapeva. - Ashley... Ashley... dite... dovete... Oh, non scherzate adesso! Io ho il vostro cuore? Oh caro, io vi a... La mano di lui le chiuse le labbra rapidamente. La maschera era scomparsa. - Non dovete dire queste cose, Rossella! Non dovete. Non è questo il vostro pensiero. Odierete voi stessa per averle dette, e odierete me perché le ho ascoltate. Ella volse la testa altrove. Un fiotto caldo correva velocemente nelle sue vene. - Non potrò mai odiarvi. Vi dico che vi amo e so che voi dovete volermi bene perché... - s'interruppe. Non aveva mai visto un'espressione cosí dolorosa sul viso di nessuno. - Ashley, mi volete bene... non è vero? - Sí - rispose egli con voce opaca. - Vi voglio bene. Se le avesse detto che l'odiava ella non si sarebbe spaventata di piú. Afferrò la sua manica senza parlare. - Rossella, - riprese egli - non possiamo andar via e dimenticare che abbiamo detto queste cose? - No, - bisbigliò la fanciulla. - Non posso. Non desiderate... sposarmi? Egli replicò: - Sto per sposare Melania. Senza saper come, si accorse di esser seduta sulla bassa sedia di velluto; Ashley, sullo sgabello ai suoi piedi, le teneva ambo le mani in una stretta tenace. Le diceva delle cose... delle cose che non avevano senso. La mente di Rossella era vuota, completamente vuota di tutti i pensieri che vi si erano affollati solo un momento prima, e le sue parole le facevano cosí poca impressione come la pioggia sul vetro. Cadevano in un orecchio che non ascoltava; erano parole tenere e buone, piene di compassione come quelle di un padre che parla a un bambino offeso. Nella sua incoscienza afferrò il nome di Melania e allora lo fissò negli occhi grigi. Vide in essi quell'aria distante che l'aveva sempre contrariata... e anche un'espressione di odio verso se stesso. - Il babbo annunzierà il fidanzamento stasera. Ci sposeremo presto. Ve lo avrei detto, ma credevo che lo sapeste. Credevo che lo sapessero tutti... da tanti anni. Non ho mai supposto che voi... avete tanti corteggiatori. Immaginavo che Stuart... In lei tornavano ora la vita, il sentimento e la comprensione. - Ma avete detto or ora che mi volevate bene. Le sue mani ardenti le fecero male. - Cara, perché volete costringermi a dirvi delle cose che possono ferirvi? Il silenzio di lei lo costrinse a proseguire. - Come posso farvi capire queste cose? Siete cosí giovane e irriflessiva che non sapete che cos'è il matrimonio. - So che vi amo. - L'amore non basta per fare un matrimonio felice, quando due persone sono cosí diverse come noi. Voi, Rossella, da un uomo volete aver tutto: il corpo, il cuore, l'anima, i pensieri. E se non li aveste sareste infelice. Ed io non potrei darvi tutto di me. Non posso dar tutto a nessuno. E non desidererei tutto il vostro cuore e la vostra anima. Voi ne sareste offesa e arrivereste a odiarmi... oh, amaramente! Odiereste i libri che leggo e la musica che amo perché mi toglierebbero a voi anche per un momento, ed io... forse io... - La amate? - Essa è come me, è del mio sangue e ci comprendiamo a vicenda. Rossella, Rossella! Come posso farvi capire che un matrimonio può essere sereno e felice soltanto fra due persone simili? Qualchedun altro aveva detto questo: «I simili devono sposare i loro simili, altrimenti non vi sarà felicità». Chi era stato? Le sembrava che fosse passato un milione di anni da quando aveva udito queste parole, che pure non la convincevano. - Ma avete detto che mi volevate bene. - Non avrei dovuto dirlo. In fondo al suo cervello si accese una piccola fiamma e l'ira cominciò ad avvampare in lei. - Dal momento che siete stato tanto mascalzone da dirlo... Egli impallidí. - Sono stato un mascalzone, perché sto per sposare Melania. Ho fatto torto a voi, ma l'ho fatto ancor piú grande a Melania. Non avrei dovuto dirlo perché sapevo che non avreste capito. Come potevo fare a meno di volervi bene... a voi che avete tutta la passione di vivere che io non ho? Voi che potete amare e odiare con una violenza che per me è impossibile? Perché siete elementare come il fuoco e il vento e le cose selvagge, mentre io... Ella pensò a Melania e improvvisamente vide i suoi tranquilli occhi bruni con la loro espressione distante, le sue placide manine nei mezzi guanti neri di pizzo, i suoi dolci silenzi. E allora la sua ira proruppe, la stessa ira che aveva condotto Geraldo al delitto, ed altri irlandesi loro antenati ad azioni che avevano pagato con la loro testa. Non vi era adesso in lei piú nulla dei beneducati Robillard che sapevano sopportare in silenzio qualsiasi insulto. - Perché non lo dite, vigliacco! Avete paura di sposarmi! Preferite vivere con quella stupida cretina, che apre la bocca soltanto per dire «sí» e «no» e che alleverà una schiera di marmocchi sciocchi e melliflui come lei! Perché... - Non dovete parlare cosí di Melania! - Non debbo, che l'inferno vi sprofondi?! E chi siete voi per dirmi che non debbo? Vigliacco, mascalzone... Mi avete fatto credere che mi avreste sposata e... - Siate giusta - pregò la voce di lui. - Quando mai io vi ho... Ella non voleva essere giusta benché sapesse che egli diceva la verità. Non aveva mai oltrepassato i limiti dell'amicizia con lei; e, nel ricordare questo, una nuova collera l'invase, la collera dell'orgoglio ferito e della vanità femminile. Gli era corsa dietro mentre egli non la voleva. Preferiva a lei una stupidina, con la faccia linfatica come Melania. Oh, come sarebbe stato meglio se avesse seguito i precetti di Elena e di Mammy e non gli avesse mai rivelato neppure che le era simpatico... meglio qualunque cosa che affrontare questa ardente vergogna! Balzò in piedi coi pugni stretti ed egli si alzò col volto pieno della muta angoscia di chi è costretto a guardare in faccia alla realtà quando la realtà è dolore. - Vi odierò finché vivrete, mascalzone... abbietto, abbietto... - Che altra parola voleva dirgli? Non riusciva a trovarne nessuna abbastanza violenta. - Rossella... vi prego... Tese la mano verso di lei e in quel momento ella lo percosse sul viso con tutte le sue forze. Nella stanza silenziosa il rumore fu come uno schiocco di frusta; e improvvisamente la sua ira scomparve lasciandole il cuore pieno di desolazione. L'impronta rossa della sua mano risaltava sul volto pallido e stanco. Egli non disse nulla, ma le prese la mano sinistra, la portò alle labbra e la baciò. Poi, prima che ella avesse potuto dire ancora una parola, uscí chiudendo piano la porta. Ella sedette di nuovo, perché la reazione le fece piegare le ginocchia. Se n'era andato e la memoria del suo viso addolorato l'avrebbe perseguitata fino alla morte. Udí il rumore attenuato dei suoi passi allontanarsi lungo il vestibolo, e l'enormità della sua azione le apparve. Lo aveva perduto per sempre. Ora egli la odierebbe, e ogni qualvolta la vedesse, si ricorderebbe che ella gli aveva dichiarato il suo amore senza essere stata menomamente incoraggiata da lui. «Sono come Gioia Wilkes» pensò all'improvviso; poi ricordò che tutti quanti, e lei piú degli altri, avevano riso con disprezzo della condotta di Gioia. Vide la goffa agitazione di Gioia e udí le sue sciocche risatine quand'era al braccio di qualche giovanotto; e questo pensiero destò in lei una nuova ira, ira contro se stessa, ira contro Ashley, ira contro il mondo. Odiando se stessa, odiava tutti quanti con la forza dell'umiliato e contrastato amore dei sedici anni. Solo una briciola di vera tenerezza era mescolata a quell'amore. In massima parte esso era composto di vanità e di compiacente fiducia nel proprio fascino. Ora aveva perduto e, piú grande del dolore della perdita, era in lei il timore di aver dato spettacolo di se stessa. La sua simpatia era stata palese? Chi sa se tutti ormai ridevano di lei? Questo pensiero la fece tremare. La sua mano si posò su un tavolino lí accanto, giocherellando con un piccolo portafiori di porcellana sul quale sorridevano due amorini. La stanza era cosí silenziosa che le venne voglia di gridare per rompere il silenzio. Doveva fare qualche cosa, altrimenti sarebbe impazzita. Prese il vasetto e lo scagliò violentemente attraverso la camera contro il caminetto. Esso oltrepassò l'alta spalliera del sofà e andò a infrangersi contro il marmo del caminetto. - Questo è troppo - disse una voce dalla profondità del divano. Nulla l'aveva mai spaventata tanto. E la sua bocca divenne troppo arida per permetterle di emettere un suono. Si afferrò alla spalliera della sedia sentendosi mancare le ginocchia, mentre Rhett Butler si alzava dal divano dov'era sdraiato e le faceva un inchino esageratamente cortese. - È già abbastanza noioso avere la propria siesta disturbata da un colloquio come quello che sono stato costretto a udire; ma perché anche la mia vita dovrebbe correre pericolo? Era proprio vero. Non era uno spettro. Ma, Dio ne guardi, egli aveva dunque udito tutto! Rossella raccolse tutte le sue forze in un tentativo di assumere una certa dignità. - Signore, avreste dovuto palesare la vostra presenza. - Davvero? - I suoi bianchi denti brillarono e i suoi audaci occhi neri risero. - Ma eravate voi l'intrusa. Io sono costretto ad aspettare Mr. Kennedy; e avendo la sensazione di essere forse individuo non grato alla società, ho avuto il tatto di allontanare la mia persona poco gradita e ritirarmi qui dove credevo di essere indisturbato. Ma ahimé! - Crollò le spalle e rise dolcemente. La collera stava ricominciando a invadere Rossella al pensiero che quell'uomo rozzo e impertinente aveva udito tutto; udito delle cose che per le quali ella avrebbe preferito esser morta piuttosto che averle pronunciate. - Spione... - cominciò furibonda. - Gli spioni odono spesso delle cose molto divertenti e istruttive - sogghignò l'uomo. - Avendo una lunga esperienza nell'origliare, posso... - Non siete un gentiluomo! - Osservazione giustissima - replicò egli allegramente. - E voi, Miss O'Hara, non siete una signora. - Sembrò trovare la cosa molto divertente, perché rise di nuovo. - Nessuna donna può considerarsi una signora dopo aver detto e fatto quello che ho udito. Però le signore hanno raramente avuto un fascino ai miei occhi. Io so ciò che esse pensano; ma esse non hanno mai il coraggio o la mancanza di educazione di dire il loro pensiero. E questo, coll'andar del tempo, diventa una noia. Ma voi, mia cara Miss O'Hara, siete una ragazza di spirito, di una spirito veramente ammirevole, ed io vi faccio tanto di cappello. Capisco benissimo quale simpatia l'elegante Mr. Wilkes può provare per una ragazza che ha la vostra natura impetuosa. Egli deve ringraziare Dio in ginocchio, perché una ragazza col vostro... Come ha detto? Con la vostra «passione di vivere», ma povera di spirito.... - Non siete degno di pulirgli le scarpe! - urlò esasperata. - E voi lo odierete tutta la vita! - Egli ripiombò a sedere sul sofà e rise. Se avesse potuto ucciderlo, Rossella lo avrebbe fatto. Invece chiamando a raccolta tutta la dignità che le fu possibile, uscí dalla stanza, sbattendo dietro di sé la porta pesante.

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