Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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STORIA DI DUE ANIME

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Serao, Matilde 1 occorrenze

Ella non guardava il suo cavaliere, ma quando costui, girando, le diceva una parola, ella aveva un fremito delle palpebre che si abbassavano, un fugace cenno del capo, e il sorriso si faceva più espressivo, più intenso. Altre coppie ballavano meno bene, mediocremente o male, seguendo la prima, quella di Anna e di Mariano, e gli altri invitati, affaticati e beati, pieni di cibo, di vino, di dolci, di gelati, guardavano, in piedi, o seduti, formando siepe. I tre suonatori, invitati da don Biagio Scafa, avevano già replicata tre volte la Dolores, le coppie si diradavano, già affrante. Soli, oramai, Anna e Mariano, nelle braccia una dell'altro seguivano il metro voluttuoso, con le ondulazioni del corpo e il duplice sorriso sulle labbra. E Domenico Maresca che li guardava, senza esser visto, senza esser curato, da un quarto d'ora, abbandonarsi alla seduzione del ballo, della musica, della gioventù, Domenico, che sentiva il fiotto dell'amarezza invadere largamente, le sue vene, il suo cervello, il suo cuore, Domenico, taciturno, obliato, udì un grande fracasso di applausi salutare la fine della mazurka, che i due avevano ballato così bene, e gli evviva entusiasti salutare la coppia perfetta. Nella casa di via Donnalbina, salutati e abbracciati il padre e il compare, senza dar segno della più fugace emozione, Anna Maresca era entrata da padrona nella stanza da letto, tutta mobiliata di nuovo, e che ella conosceva perfettamente, poichè ogni mobile, ogni arredo, era stato scelto da lei, collocato da lei. negli ultimi due mesi del fidanzamento. Interdetto, Domenico Maresca era restato nel modesto salottino, mobiliato di una bourrette crema e rossa, tappezzeria voluta da Anna, poichè andava di accordo con la sua tinta calda e bruna; e disfatto da quella giornata di travagli materiali e morali, si era gittato sovra una poltroncina. Innanzi a lui, in piedi, era Mariangela, la vecchia serva fedele, tutta grigia nei capelli, tutta rughe nel volto, vestita di scuro, coi fazzoletto bianco al collo delle donne assai divote a Dio, col grembiule bianco. Ella taceva, un po' in ombra, essendo restata in casa per amore del suo padrone, che aveva servito dalle fasce, ma dubbiosa della sua sorte, con la nuova padrona. E una voce breve, imperiosa, risuonò dall'altra stanza: - Mariangela! - Signora? - Un lume. Suonavano le sette e il vicolo di Donnalbina è assai oscuro, con le alte case vecchissime che lo serrano, dalle due parti. Mariangela ripassò, con un lume a petrolio acceso, ed entrò nella stanza da letto, ove si trattenne. Vagamente, Domenico, udiva un andar e venire, un fruscio di seta, e qualche ordine dato con tono freddo e rapido. Dopo un poco, Mariangela uscì di nuovo, accese il lume del salotto, e salutò il padrone col consueto augurio. - La santa notte! - Santa notte, Mariangela. La serva si ritirò, in una stanzetta accomodata a sala da pranzo, e si mise a dire il rosario, all'oscuro, in un cantone, aspettando di esser chiamata. Domenico era sempre solo, nel salotto, non osando di entrare nella camera da letto. Udì un passo, alle sue spalle: Anna si era spogliata del suo bell'abito di seta bianca, aveva tolto i fiori di arancio dai suoi neri capelli; tolti i suoi orecchini, i suoi anelli: indossava una vestaglia di leggera lana rosa, guarnita di merletti color avorio, con un nastro avorio che ne formava larga cintura. Senza dire nulla, si andò a sedere dirimpetto a Domenico, sovra un'altra poltroncina. Egli la guardava intenerito, commosso, gustando tutte le emozioni di quella quiete tanto ambita, di quella solitudine in due, nella loro piccola casa, che era stata quella di suo padre e di sua madre, nella casa che doveva esser quella del loro amore e della loro felicità. Tutte le brutte impressioni, tutti i tristi presentimenti, tutti gli amari dubbii, tutte le penose incertezze della giornata erano sparite, ora che si trovavano, colà, soli, oramai, come egli aveva desiderato e voluto, e come gli era tanto costato, per ottenere. E cento cose egli le avrebbe voluto dire con voce amorosa, con parole amorose, per ringraziarla di averlo accettato per isposo, per donarle, ancora una volta, il suo cuore, la sua anima, la sua vita. Ma non sapeva profferire un solo motto, di quelli che gli fremevano dentro. Anna, seduta, con le braccia prosciolte, taceva. E così, banalmente, egli le disse: - Sei stanca? - Un poco. - Quella festa è stata troppo lunga... - No - ella rispose, subito. Un silenzio. - Vuoi qualche cosa, Anna? - Io? No. - Non hai fame? - Non ho fame. - Mariangela deve aver preparato la cena. - Non ho fame. - Forse prenderesti una tazza di caffè? - Non ne voglio. Prendila tu, se ti pare. - No. M'impedisce di dormire, di sera. Un silenzio, ancora. Un suono limpido e armonioso lo interruppe: era l'Ave Maria, che suonava dalla piccola, vicinissima chiesa dell'Ecce Homo. - Diciamo l'Angelus Domini... - mormorò lui, segnandosi. Anche essa si segnò, macchinalmente, e insieme pronunciarono le parole pie: - Angelus Domini, qui nunciavit Maria ... Domenico si era avvicinato a lei, dopo la comune preghiera. Anna era immersa in quel silenzio e in quella immobilità, ove pareva si assorbisse e si concentrasse la sua vita. Egli la chiamò: - Anna, Anna! - Che è? - esclamò lei, scuotendosi. - Mi vuoi bene, almeno? Tanta supplicazione, tanta malinconia, tanto rimpianto in quell' almeno ! - Eh, sì, sì! - rispose ella, fastidiosamente.

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