Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbassavamo

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Racconti 1

662657
Capuana, Luigi 1 occorrenze
  • 1877
  • Salerno Editrice
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Abbassavamo le tende per evitare di esser veduti da una zitellona di rimpetto che bracava dalla mattina alla sera tutti i fatti del vicinato; e il dialogo si riduceva quasi invariabilmente a questo qui: - Sei vedova? - No; ma partirà fra qualche settimana. - Starà fuori a lungo? - Chi lo sa? Non dice mai nulla. Parte e arriva improvvisamente nei giorni e nelle ore che meno l'aspetto. - Che rabbia! - E l'Augusta sorrideva di quel suo tranquillo sorriso, che mi piaceva ogni giorno piú che mai. - Aspetta lí - diceva talvolta. E rientrava per mettersi al pianoforte. Spesso però il pianoforte taceva a un tratto, ed ella non ricompariva piú. Il protettore era venuto a casa. Il nostro dolce colloquio restava interrotto sul meglio. Ma "lui" ripartiva; faceva delle assenze di quindici, di venti giorni, e noi tornavamo alle nostre intime relazioni con un'assiduità meravigliosa, come se ciò fosse stato la cosa piú regolare del mondo. Ci preoccupavamo di "lui" soltanto per sapere quando partiva e indovinare possibilmente quando sarebbe ritornato. Ci amavamo? Nessuno dei due aveva osato fare all'altro questa interrogazione. Amarci? Di che amore? Domande complicate che esigevano risposte ancora piú complicate. Lasciavamo correre: valeva lo stesso. Io avevo intanto trovato in lei qualcosa che addolciva le amarezze del mio cuore, e spesso anche le addormentava. Ma vi eran dei giorni però nei quali preferivo rigustare quelle amarezze, e glielo davo a vedere. - Sei stanco di me? - mi chiese un giorno con un accento di affettuoso rimprovero. - Perché dovrei esser stanco? - feci io, evitando cosí di rispondere. - Perché è naturale - riprese l'Augusta; - non c'è nulla di eterno al mondo, e l'amore meno di tutto. - Credi tu - le domandai all'improvviso come conseguenza delle idee che mi si affollavano in testa, - credi tu che una donna possa morire di amore? - Mio Dio! - esclamò con un'intonazione di voce che mi suona ancora nell'orecchio; - ma le donne non muoiono di altro -. Questa risposta cosí semplice mi turbò profondamente. - Senti - ella disse dopo un pezzo: - è vero che tu sei stato l'amante di una gran dama? - Chi ti ha sballato questa sciocchezza? - Prima rispondi: ti dirò poi. - Ho già risposto, se t'ho detto: sciocchezza. - Eppure io so di certo che tu hai avuto una amante e che ora siete in rottura; quel biglietto di tre mesi fa dovette inviartelo lei. - Quella? Un'amante? Oh! Niente affatto, mia cara! - Eh, via! Ti vuoi nascondere da me: ma io, tu lo sai, non sono punto gelosa. Dunque, la poverina ti vuol bene a tal segno che si è rovinata la salute per te. Dopo il tuo abbandono fece delle pazzie; corse, balli, viaggi, ogni possibile stravaganza pur di buscarsi un malanno che la facesse morire ... e c'è finalmente riuscita. - Chi ti ha detto questo? - chiesi meravigliato di sentire sulla sua bocca quello strano miscuglio di falso e di vero. Tacque un pezzetto e stette a capo chino, colla fronte corrugata, coll'indice della mano sinistra appoggiato sulle labbra, come se cercasse di ricordare. - Mi perdonerai? - fece poco dopo, sedendomisi sulle ginocchia e passandomi le braccia intorno al collo. Questo sfoggio di tenerezza accrebbe straordinariamente la mia curiosità. - Parla - dissi impaziente. - Mi perdonerai? - tornò a domandare l'Augusta. - Cento volte, non una, ma parla, ti prego! - Ecco qui. Tre giorni fa la cameriera di quella gran dama venne a cercarti. Tu non eri in casa, e nemmeno il tuo servitore. La Lucia, sentendo replicatamente suonare il tuo campanello, affacciossi all'uscio, e riconobbe in quella cameriera una sua amica d'infanzia. Si misero a chiacchierare sul pianerottolo. L'altra aspettava con una smania incredibile; ogni minuto le pareva l'eternità: infatti, dopo un'ora, vedendo che tu non rientravi in casa, si decise a lasciar l'imbasciata alla Lucia, caldamente racco mandando di fartela appena arrivato. Fu lei che confidò alla Lucia tutta la storia della sua padrona: la Lucia, che forse fece lo stesso dei fatti miei, venne subito a riferirmi fedelmente ogni cosa: mi fece vedere anche ... la lettera. - C'era una lettera? - dissi, mostrando un'indifferenza che in quel momento non provavo. - Oh sí ... una lettera ... E per via di essa che ho bisogno del tuo perdono! - L'hai già letta? - No, no! ... Ma n'ebbi una forte tentazione ... e quindi ... Eccola! ... - disse alzandosi a un tratto dalle mie ginocchia. E aperto un cofanetto di porcellana di Sèvres a fermagli di rame dorato, la cavò fuori ancora chiusa e me la porse colla punta delle dita, mormorando: - Perdona! Qual parola occorrerebbe per esprimere la vile infamia che allora mi balenò nella mente e che misi subito in atto? Quelle rivelazioni della cameriera, misto di verità e d'invenzioni, avevano irritato il mio amor proprio come uno scherno crudele; né la lettera dell'Ebe poteva avere per me un significato diverso. Amante io, io che ero stato tolto di mira quasi per vincere una scommessa! Io che ero stato ammaliato da tutte le divine seduzioni, da tutti i terribili artifizi del corpo e dello spirito e poi lasciato lí, con una risata, appena avevo mostrato di prender sul serio e lo spirito e il cuore e fin le stranezze di qu ella donna! Amante io che ora mi credevo perseguitato con una commedia di amor postumo piú spietatamente insultante dello stesso scherno con cui aveva ella accolto una sera la provocata mia dichiarazione di amore! - Leggi - dissi all'Augusta. E siccome l'Augusta esitava, supponendo che io intendessi di dare una soddisfazione alla sua gelosia, - Leggi - fammi il piacere, le dissi; - non lo faccio per te -. Appoggiai i gomiti sul piccolo tavolo lí accanto, misi la testa tra le mani e stetti cogli occhi chiusi ad ascoltare. La lettera diceva cosí: "Non meritereste che vi scrivessi. Il mio braccio, la mia testa si rifiutano ad un lavoro imposto ad essi dal cuore; ma io voglio scrivervi per l'ultima volta, prima di chiudere (se pur sarà possibile) le porte del mio spirito ad ogni affezione terrena e aprirle alle consolazioni di Dio, le sole che mi rimangano in questo punto. Ho guardato la faccia del dottore mentre toccava il mio polso. Si è rannuvolata ad un tratto. Però non avevo bisogno di questo indizio per credere che mi avvicino precipitosamente verso la morte. Mi sento morire con un'ineffabile soddisfazione che vi è impossibile imaginare. Anch'io, prima di ora, non avrei mai supposto che la morte potesse essere qualcosa di immensamente soave. Vi mando il mio perdono. Non mi preme piú di avere il vostro: me lo son meritato, e provo una consolazione come se avessi sentito ripetere questa parola dalla vostra stessa bocca. Vi ho avvelenato la giovinezza, il presente e forse l'avvenire! ... Vi ho fatto soffrire senza volerlo, ma non per cattiveria come vi siete ostinato a credere ... ed ora muoio di amore per voi! Perché vi scrivo tutto questo? Non lo sapete da gran tempo? Ah! Ve lo scrivo onde avvisarvi che avete ancora qualche giorno per risparmiarvi un rimorso. Io vi ho amato disperatamente quando voi non mi amavate piú; voi, badate! Mi amerete piú di prima appena saprete che sarò morta! Ho messo quattro ore a scrivere questa lettera, e mando la mia cameriera per consegnarvela di sua mano. Muoio sola, con una fida amica al capezzale. Mi lascerete morir cosí? Vi perdonerò anche questo. Addio per sempre! P. S. Ho pregato la mia amica di tagliarmi appena morta tutti i capelli. Se un giorno li vorreste come ricordo di colei che vi ha amato fino a morirne, chiedeteli alla Giorgina Nozzoli che voi conoscete. Addio un'altra volta e per sempre!" Sul principio al sentir pronunciare lentamente, nel modo che leggeva l'Augusta, quelle tristi parole, io avevo provato la voluttà di una quasi violazione brutale compita dalla voce di essa sullo spirito dell'Ebe. Era appunto questo il vigliacco e raffinato piacere che avevo voluto procurarmi; era questo lo strano avvilimento voluto infliggere all'Ebe facendomi ripetere dalla bocca di una donna come l'Augusta le parole dirette a commovere il mio cuore e scombuiare il mio spirito. Ma tale soddisfazione durò p oco: l'effetto fu tutto il contrario di quanto avevo imaginato. La voce dell'Augusta prese di mano in mano delle inflessioni che violentemente mi scossero il cuore. Da quella gola femminile che l'emozione rendeva tremante, ogni parola, ogni frase, ogni periodo della lettera riceveva un'espressione direi quasi un nuovo significato che addirittura ne centuplicava l'efficacia. Sentivo ad una ad una cadermi sul cuore, come del piombo liquefatto, le grosse gocce di lagrime dovute scendere silenziose sul pallido viso della morente, mentre la scarna sua mano erasi stentatament e trascinata sul foglio; e quando l'Augusta faceva una piccola pausa, e quando la sua voce si turbava in guisa che le parole gli uscivano molto confuse di bocca, mi pareva di udire l'affanno della infelice che la mia superbia condannava a morire senza una parola di perdono insistentemente invocata; e mi sentivo annodare la gola e strozzare il respiro. A metà della lettera aveva fatto un gesto quasi per strapparla di mano dell'Augusta e impedire la sacrilega offesa che intendeva di essere la mia vendetta; ma mi trattenne l'idea d'infliggermi come un affronto il sentirmela leggere sino in fondo dalla stessa bocca scelta per quella profanazione veramente indegna di un uomo. Non piangevo, ma tremavo, ma mi sentivo schiacciare da una terribile mano. Provavo sulle guance dei colpi di staffile che dovevan lasciarvi le lividure. Ogni stilla del diaccio sudore ch e mi scendeva dalla fronte mi pareva uno sputo di disprezzo lanciatomi in viso da tutte le creature gentili. Terminata la lettura successe nella stanza un silenzio profondo. Ero sotto l'oppressione di un incubo e non potevo destarmi. - Se tu fossi in tempo! - disse l'Augusta con voce commossa e colle lagrime agli occhi. Ci voleva quest'affettuosa esclamazione di una donna per farmi rientrare in me stesso. - Se fossi in tempo! - ripetei torcendomi dolorosamente le mani. Il fiàcchere mi pareva non volasse a precipizio come il cuore febbrile avrebbe voluto. Si trattava di dover correre da un capo all'altro della città e per le vie piú frequentate. Il cocchiere dovette credermi ammattito sentendomi sempre urlare dietro le sue spalle: - Ma corri! Ma sferza! - Montai gli scalini a quattro a quattro. La cameriera che già piangeva diede, appena mi vide, in un nuovo e piú forte scoppio di pianto. Ahimè! Giungevo troppo tardi? Un vecchio prete uscito in fretta dalla stanza dove era corsa la cameriera, mi venne incontro, mi porse la mano, e con accento semplice e calmo, ma che imprimeva intanto qualcosa di solenne al suo aspetto quasi volgare: - Signore! - mi disse - quali che possano essere le sue idee religiose, la prego di non turbare alla morente questi ultimi istanti. Iddio le ha concesso una tranquillità ch'ella stessa non sperava. Dimenticata la terra, tutti i suoi pensieri sono ora rivolti al cielo che si apre misericordioso alla sua anima afflitta. Non ci appartiene piú, o signore! Questi momenti sono di Dio! - Lo guardai ebetito. Una sentenza dell'Hegel mi si presentava in quel punto limpidissima alla memoria, e me la ripetevo macchinalmente: "La necessità della morte è quella del passaggio dell'individuo nell'universale". Rammentavo un'altra sentenza del Goethe: "La nostra vita non è una vera vita, ma la morte della vita divina che viene ad estinguersi nella nostra". E mi meravigliavo di poter fermarmi col pensiero su tali ed altre simili idee che mi passavano per la mente scombuiata pari a nuvoloni di un temporale spinti per l'aria dalla furia del vento. Come non provavo un dolore immenso? Come non morivo di dolore? Una strana lucidità mi faceva riflettere: - Forse sto per ammattire! - E tentavo di assistere al lento confondersi della mia ragione entro le tenebre della pazzia. Tutt'ad un tratto l'uscio da cui era uscito il prete spalancossi con violenza, e la cameriera venne fuori urlando e battendosi il petto. Mi avanzai fino alla soglia, tenuto sempre per mano dal prete il quale mi diceva delle parole che piú non riuscivo ad intendere ... Una suora di carità asciugava sulla bianca fronte dell'Ebe l'ultimo sudore della morte! Miseria del cuore umano! Son passati appena quattro anni! Mi pareva che senza di lei la mia esistenza non avrebbe piú avuto nessuna ragione di durare! ... E già ne parlo tranquillamente, e già sorrido pensando che obbliare è una profonda, una divina necessità della vita.

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