Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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I PREDONI DEL SAHARA

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Salgari, Emilio 3 occorrenze

... " L'israelita, quantunque si vedesse ormai perduto, non abbassava il braccio armato. Teneva la pistola sempre puntata, deciso, a quanto pareva, a scaricare contro i suoi nemici i due colpi e poi a far uso anche del pugnale. I suoi occhi neri, pieni di splendore come quelli delle donne ebree, mandavano lampi, ma il suo volto bianchissimo era diventato così pallido da far paura. "Indietro!" ripeté, con voce angosciata. I fanatici, incoraggiati dalla folla, avevano invece impugnato le corte scimitarre e gli spilloni, mandando urla feroci. Stavano per precipitarsi su di lui e farlo a brani, quando due altri uomini, vestiti di bianco come gli europei che soggiornano nel Marocco e nei paesi caldi, si scagliarono dinanzi ai fanatici, tuonando: "Fermi!" Uno era un uomo di trent'anni, alto, bruno, con baffi neri, gli occhi vivi e mobilissimi, elegante; l'altro invece era un vero gigante, alto quanto un granatiere, con un corpo erculeo e con braccia grosse come colonne, un uomo insomma da far paura e da tener testa, da solo, ad un drappello d'avversari. Era bruno come un meticcio, con una selva di capelli più neri delle penne dei corvi, con baffi grossi che gli davano un aspetto brigantesco, coi tratti del volto angolosi, il naso diritto e le labbra rosse come ciliege mature. Vestiva un costume bianco come il compagno, però invece dell'elmo di tela portava una specie di tocco di panno nero, cinto da un drappo rosso e adorno d'un fiocco d'egual colore. Era più vecchio dell'altro di cinque o sei anni, ma quale vigore doveva possedere quell'ercole di fronte a cui i magrissimi marocchini facevano una ben meschina figura! Vedendo slanciarsi quei due uomini, per la seconda volta i fanatici si erano arrestati. Non si trattava più di scannare un cane d'ebreo. Quei due sconosciuti erano due europei, forse due inglesi, due francesi o italiani, due uomini insomma che potevano chiedere l'aiuto del governatore, far accorrere delle corazzate dinanzi a Tangeri e disturbare seriamente la quiete dell'Imperatore. "Levatevi!" aveva gridato, con tono minaccioso, uno dei fanatici "L'ebreo è nostro!" Il giovane bruno invece di rispondere aveva levato rapidamente da una tasca una rivoltella, puntandola contro i marocchini. "Rocco, preparati," disse volgendosi verso il compagno. "Sono pronto a fare una carneficina di questi cretini," rispose il gigante. "I miei pugni basteranno, marchese." La folla, che giungeva coll'impeto d'una fiumana che rompe gli argini, urlava a piena gola: "A morte gl'infedeli!" "Sì, a morte!" vociferarono gli allucinati. Si precipitarono innanzi agitando le scimitarre, i pugnali ed i punteruoli grondanti sangue che avevano levato dalle ferite e si prepararono a fare a pezzi l'ebreo e anche i due europei. "Indietro, bricconi!" gridò ancora, con voce più minacciosa, il compagno del gigante, gettandosi dinanzi all'ebreo. "Voi non toccherete quest'uomo." "A morte i cani d'Europa!" urlarono invece i fanatici. "Ah! Non volete lasciarci in pace?" riprese l'europeo con ira. "Ebbene, prendete!". Un colpo di rivoltella echeggiò ed un marocchino, il primo della banda, cadde morto. Nel medesimo istante il colosso piombò in mezzo all'orda e con due pugni formidabili fulminò altri due uomini. "Bravo Rocco!" esclamò il giovane dai baffi neri. "Tu vali meglio della mia rivoltella." Dinanzi a quell'inaspettata resistenza, i fanatici si erano arrestati, guardando con terrore quel colosso che sapeva così bene servirsi dei suoi pugni e che pareva disposto a ricominciare quella terribile manovra. L'ebreo approfittò per accostarsi ai due europei. "Signori," disse in un italiano fantastico, "grazie del vostro aiuto, ma se vi preme la vita, fuggite." "Me ne andrei molto volentieri," rispose il compagno del colosso, "se trovassi una casa. Noi non l'abbiamo una casa, è vero, Rocco?" "No, signor marchese. Non ne ho trovata ancora una." "Venite da me, signore," disse l'ebreo. "È lontana la vostra?" "Nel ghetto." "Andiamo." "E presto," disse Rocco. "La folla si arma e si prepara a farci passare un brutto quarto d'ora." Alcuni uomini avevano invaso le case vicine ed erano usciti tenendo nei pugni moschetti, scimitarre, jatagan e coltellacci. "La faccenda diventa seria," disse il marchese. "In ritirata!" Preceduti dall'ebreo il quale correva come un cervo, si slanciarono verso la piazza del Mercato, salutati da alcuni colpi di fucile, le cui palle, per loro fortuna, si perdettero altrove. I fanatici ed i loro ammiratori si erano gettati sulle loro tracce urlando ed imprecando: "A morte i kafir!" "Vendetta! Vendetta!" Se i marocchini correvano, anche il marchese ed i suoi compagni mostravano di possedere garetti d'acciaio, perché non perdevano un passo. Però la loro posizione diventava di momento in momento più minacciata, tanto anzi che il marchese cominciava a dubitare di poter sfuggire a quel furioso inseguimento. La folla si era rapidamente ingrossata e dalle strette viuzze sbucavano altri abitanti, mori, arabi, negri, e non inermi. La notizia che degli stranieri avevano assassinato tre fanatici doveva essersi propagata colla rapidità del lampo e l'intera popolazione di Tafilelt accorreva per fare giustizia sommaria dei kafir che avevano osato tanto. "Non credevo di scatenare una burrasca così grossa," disse il marchese, sempre correndo. "Se non sopraggiungono i soldati del governatore, la mia missione finirà qui." Avevano già attraversato la piazza e stavano per imboccare una via laterale, quando si videro sbarrare il passo da una truppa di mori armati di scimitarre e di qualche moschetto. Quella banda doveva aver fatto il giro del mercato per cercare di prenderli fra due fuochi e come si vede era riuscita nel suo intento. "Rocco," disse il marchese, arrestandosi, "siamo presi!" "La via ci è tagliata, signore," disse l'ebreo con angoscia. "Mi rincresce per voi; il vostro aiuto vi ha perduti!" "Non lo siamo ancora," rispose il gigante. "Ho cinque palle e il marchese ne ha altre sei. Cerchiamo di barricarci in qualche luogo." "E dove?" chiese il marchese. "Vedo un caffè laggiù." "Ci assedieranno." "Resisteremo fino all'arrivo delle guardie. Il governatore ci penserà tre volte prima di lasciarci scannare. Siamo europei e rappresentiamo due nazioni che possono creare serie noie all'Imperatore. Orsù, non perdiamo tempo. Si preparano a fucilarci." Due spari rimbombarono sulla piazza e una palla attraversò l'alto berretto del colosso. All'estremità della piazza sorgeva isolato un piccolo edificio di forma quadrata, sormontato da una terrazza, colle pareti bianchissime e prive di finestre. Dinanzi alla porta vi erano certe specie di gabbie che servono da sedili ai consumatori di caffè. I tre uomini si slanciarono in quella direzione, giungendo dinanzi alla porta nel momento in cui il proprietario, un vecchio arabo, attratto da quelle urla e da quegli spari, stava per uscire. "Sgombra!" gridò il marchese in lingua araba. "E prendi!" Gli gettò addosso una manata di monete d'oro, lo spinse contro il muro e si precipitò nell'interno seguito da Rocco e dall'ebreo, mentre la folla, maggiormente inferocita, urlava sempre "A morte i kafir."

Il marchese stava per dare il segnale della fermata, quando la sua attenzione fu attirata da uno stormo immenso d'uccelli di rapina, il quale ora s'alzava ed ora si abbassava fra le dune, con un gridio assordante. "Cosa c'è laggiù?" si chiese fermando il proprio cavallo. "Qualche motivo deve aver radunato qui quei volatili che sono pur rari in questo deserto." "Se voi vedete gli uccelli, io sento un puzzo orrendo," disse Rocco, che da qualche istante fiutava l'aria. "Si direbbe che dietro quelle dune vi sia un carnaio che sta putrefacendosi." "Un'ecatombe forse?" chiese il marchese, impallidendo. "Qualche massacro compiuto dai predoni del Sahara, dai feroci Tuareg?" "Od una carovana morta di sete?" aggiunse Ben. "Rocco, rimani a guardia della provvista d'acqua e di Esther, ed io con Ben andiamo a vedere." Fecero fermare la carovana e spinsero i cavalli attraverso le dune spronandoli vivamente, perché s'impennavano, nitrivano, fiutavano l'aria, scuotevano le folte criniere e sferravano calci. A mano a mano che s'accostavano alle dune, dietro le quali si vedeva piombare l'immenso stormo degli uccelli da preda, l'odore diventava così pestilenziale, che il marchese, quantunque abituato alle stragi dei campi di battaglia, si sentiva quasi venir meno. Sorpassata l'ultima duna, un orribile spettacolo si offerse ai loro occhi.

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