Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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LEGGENDE NAPOLETANE

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Serao, Matilde 1 occorrenze

Egli le parlava lungamente, poi stanco, la voce gli si abbassava a poco a poco, poi taceva. La contemplava, estatico. Ella si muoveva per andarsene. - Non partire, non partire! - supplicava lui. Ella restava ferma innanzi a lui, i piedini bianchi come ale di colombo, appena posati a terra, coi capelli vagamente adorni di rose bianche, con un lembo di abito sostenuto da rose bianche. - Siedi, siedi accanto a me! Ella non sedeva, immota, guardando dinanzi a sé coi grandi occhi senza pupilla. - Parlami, parlami - mormorava lui. Ella non aveva voce, non si muovevano le labbra. Invano egli la pregava, la scongiurava, s'inginocchiava, ella non gli rispondeva. Era inflessibile e serena. Ma in un crepuscolo d'autunno, egli trovò le frasi più eloquenti per esprimere la propria disperazione: batté la fronte a terra, sparse le lagrime più cocenti, adorò la fanciulla. Ella parea si trasformasse; dietro il candore della pelle pareva che cominciasse a correre il sangue. Egli, folle, morente di amore, le offerse la sua vita per una parola. - M'ami? - Sì - parve un sussurrìo. Allora, in un impeto di passione, egli l'abbracciò. Un orribile scricchiolìo s'intese e la divina fanciulla cadde al suolo, frantumata in tanti cocci di porcellana candida. Nella notte profonda, quando i custodi dormivano, nella deserta sala delle porcellane cominciò un mormorìo, un bisbiglio, un'agitazione. Correvano fremiti da una scansia all'altra, attraverso i cristalli; voci irose e sommesse si urtavano, fieri propositi, progetti di vendetta cozzavan l'un contro l'altro. Poco a poco la calma si ristabilì: tutto era deciso. La sfilata cominciò. Prima fu l'Aurora bianca sul suo carro tirato da quattro cavalli candidi; e discesa nel giardino dove lui giaceva svenuto accanto al suo idolo infranto, maledisse per sempre le sue albe; la seguirono le ventiquattro fanciulle che sono le Ore, e sfogliarono rose avvelenate sullo svenuto; dopo vennero gli Amorini, e gli conficcarono nel cuore i dardi acuti e dolorosi. Il gruppo passò. Secondi vennero i sette re di Francia, bianchi, sui cavalli bianchi, Carlomagno, S. Luigi, Francesco I, Enrico II, Enrico IV, Luigi XIII, Luigi XIV; galoppando pei viali, toccarono con lo scettro, con la spada l'infelice, ed ogni colpo gli rintronò nel cervello. Poi ogni statuina s'avviò, gli sputò in viso, lo insultò, lo calpestò; ogni tazza fu piena per lui di cicuta, ogni vassoio di cenere, ogni coppa da fiori contenne per lui fiori malefici e crudeli. Ed infine si mosse il grande gruppo dei Titani che vogliono scalare l'Olimpo: Giove, seduto sull'aquila, fulminò il moribondo, ed i Titani lo seppellirono sotto enorme sepolcro di massi. Poi ognuno riprese la sua via, i gruppi rientrarono nelle scansie e vi rimasero immobili. Fu questa la vendetta della fredda e candida porcellana su colui che aveva frantumata la fanciulla immortale. È questa la storia eterna e fatale. L'ideale raggiunto, toccato, va in pezzi - l'arte si vendica sulla vita - e l'anima muore sotto un immane sepolcro.

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