Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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UGO. SCENE DEL SECOLO X - PARTE PRIMA

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Bazzero, Ambrogio 1 occorrenze

- Era il ponte una lunghissima tavola, sostenuta da catenoni, la quale si abbassava, precisamente come i levatoi, a mettere in comunicazione la piattaforma del battifredo colle mura nemiche. - Calate il ponte! - gridavano ancora Gisalberto e Aginaldo, correndo sulle strette scale. - Maestro Sega, mettete i contrappesi! - comandava Ugo con poderosa voce: - Girate le ruote e tendete le corde! - Ma non vedeva il maestro. Gli armati nell'ardore dell'assalto udirono quel comando, e credendo fosse ubbidito, o, a meglio dire, fremendo unicamente per menare le mani, erano giunti all'alto. Aginaldo liberò un catenone, poi l'altro, nè tenne la fune del ponte perché abbassasse a poco a poco, ma lasciò andare. Gisalberto esultava: - Investiamo con impeto! Al basso Ugo ancora affannosamente minacciava: - I contrappesi o la dannazione eterna! - ed ecco ficcando intorno gli occhi, gli venne veduto il maestro orrendamente schiacciato nel terreno e dimezzato il corpo da una rotaia sanguinosa: una freccia gli era confitta al petto. - Cavalieri! - ebbe ancora cuore di urlare Ugo: - tenete i catenoni! - ma non aveva ancora detto, che ecco la torre barcollò verso la fossa.... Egli che si stava attaccato ai congegni delle ruote posteriori fu balzato a cinque passi sul terreno: la torre con fragore di ruina schiantò il ponte contro le mura nemiche, e precipitò nel fossato Gisalberto, Aginaldo e quanti armati v'aveva. Nel castello suonarono i pifferi a scorno e dalle feritoie i balestrieri levarono grida di vittoria... Si scosse Ugo, dolorosissimo, e ancora incerto di quanto era accaduto, ancora imprecava: - Maestro, v'hanno pagato per tradirci? - Si volse su un fianco e vide gli uomini che, abbandonate le petriere e le manganelle, accorrevano animosissimi, giungevano alla torre, vi s'arrampicavano come gatti, tentavano di unghiarsi alla muraglia: ma la muraglia restava troppo alta e non dava appicco; piovevano gli olii e la pece, guizzavano d'alto in basso le punte: e chi degli assalitori rifaceva il cammino: chi era incalzato: chi incontrato: e chi piombava nella fossa: e chi, avvinghiato al legname, si spenzolava!... Intanto sopraggiunsero i fanti e i cavalli che erano indietro. - Avanzate le manganelle! Se il ponte c'è, per Dio! fate la breccia! - tuonava Ugo, tentando di rizzarsi dal terreno sul quale lo inchiodavano le doglie. Cominciarono poco più di dodici uomini, incontro alle frecce nemiche, a trascinare le macchine e a caricarle di sassi, e a porle da assestare i colpi. Presero a farle giuocare: un proietto percuoteva nelle mura, l'altro nella torre, sconquassandola e facendola sempre più piegare, e i nemici ridacchiavano e ululavano i troppo presti assalitori così sfracellati dagli amici. Ugo, non sapendosi persuadere che fosse desto, così com'era senza l'elmo, si tormentò fortemente la faccia, poi si rotolò davanti a una pozza d'acqua, e in essa tuffò il capo per averne refrigerio. Accorrevano in quella Oberto ed Ildebrandino, e venivano dall'altro lato del castello, investito dalle petriere e dai trabuchi, a portare la trista notizia che troppo deboli erano le macchine, nulla si era potuto fare, dalla porta deretana avevano dato il passo ad una banda di nemici, combattendoli sì, ma non sperdendoli. Tutti credevano che questa masnada fosse venuta alle spalle di Ugo per distruggere le torri di legno. Oberto incominciò a meravigliare: - Come? Qui non ci sono i nemici? - e vedendo, alla lontana, Ugo disteso bocconi: - Messere, - disse allo zio: - è morto! - Chi? - Ugo. Si storce nell'agonìa. Guardate! Ildebrandino per dolore volse via la faccia esclamando: - Oh la libertà delle nostre castella! - e vivamente: - Ma i nemici non sono venuti per di qua? - Tutto non è perduto, messere. Fate lavorare le scuri al ponte! - Ugo è morto! - Fate in vostro nome! E tutti e due galopparono oltre, per un pezzo, verso le macchie: ad un tratto ecco sul cammino loro incontro il trombetto di Ugo. - Che avete? - domandò Ildebrandino. - Lasciatemi, chè ho grandissima furia! - Che avete? - Devo parlare a lui! - Ugo è morto! Mi riconoscete? - Morto? - Morto di punta - confermò energicamente Oberto. - Santa Madre di Dio! - proruppe il trombetto: - Torno dall'inseguire un traditore accorso di lontano, che poco stette mi mettesse lo scompiglio nei saluzzesi! «Messere! dov'è Ildebrandino?» gridava egli per farci abbandonare l'assalto: «L'ho difeso quanto ho potuto! ho difeso madonna! ma il castello d'Ildebrandino è in mano dei nemici!» Oberto e lo zio furono lì lì per rovesciarlo d'arcioni. E quegli seguitava: - Ma dite! Il capitano è morto? - Pensiamo ai vivi - rispose irosamente Oberto. Lamentò Ildebrandino: - Che si è fatto da Aginaldo? Da Gisalberto? Baldo ancora aspetta coi cavalli! Che aspetta? In quella quattro uomini, gittando l'armi, venivano per la montagna, abbandonate le macchine e lasciati vilmente i compagni. Come videro i cavalieri e il trombetto Aimone, certo si sentirono a mal punto, il perchè due ad alta voce dissero a giustificazione: - Aginaldo e Gisalberto sono morti! Aldigero, Ugonello, Oddone, sono fuggiti alla valle! - e con artifìcio: - Voi che avete tromba, dove siete stato? Il capitano ci mandò in cerca di voi. Presto, suonate! ad avvisare i saluzzesi! - e si dispersero nel bosco. - Dio volesse che fosse come voi dite! - lamentò Aimone. - Pensiamo ai vivi - replicò Oberto con ambizione: - Due dì fa l'impresa fu cominciata da tale che aveva sproni d'argento! - E con quel tale io la compirò! - comandò lo zio: - Vi faccio cavaliere d'arme! Voi sarete tanto valente che sbatterete la testa di Adalberto sul ponte di Rupemala a orrendo giuoco dei mastini! - e così proclamando in atto di solenne promessa volse il capo nella direzione del suo castello. Una nube nerissima, a vortici rigurgitanti, dal sotto in su insanguinata da riflessi guizzanti, si levò dal basso del monte, roteando nella valle. - Oberto! - gridò Ildebrandino, afferrando il nipote per un braccio sì fortemente che quasi lo fece staffeggiare: - E non diemmo le mazze sul capo al malaugurato! Guarda! La masnada era corsa la! Oberto guardò e non riuscì che a dire: - E potemmo lasciare sola Imilda! Il trombetto si toccò la spada, dicendo, come ad ammansarli col pensiero di vendetta: - E affermava dunque il vero quel traditore! Ma gli ho pagato l'ambascerìa quanto valeva: tre stoccate sulla testa tanto vecchia e tanto pelata! E ancora parlava! «Ho difeso!» E voleva dirmi il suo nonme, e lo disse, ed io lo bandirò per vitupero dei traditori: Federigo saluzzese. - Il mio fedelissimo servo! - urlò lldebrandino: e Oberto spronava al suo castello. - Tu l'hai ucciso! Vitupero a te, figlio di bifolchi! Non conosci i forti e i fedeli?... Oberto! Oberto! attendimi al tuo fianco!... Tu l'hai uccìso? E tu mi tradisci?... Oberto! Oberto! Noi due soli? E i nemici quanti saranno? Ah! quelli cui diemmo il passo! E Federigo perchè lasciò Imilda? Forse che tutto era già perduto? Ma quelli che appiccarono il fuoco, non sono nemici di tutti! Dunque su tutti!... Suona la ritirata, o araldo, suona poi a raccolta e muoviamo al castello!... Oberto! Oberto! attendici! Saremo più di cento lance!... Suonate la ritirata, suonate, messer l'araldo! Suonate, per pietà! - Così finiva a supplicare il cavaliere, quasi impazzato, e pregava, alzando la mazza, e minacciava a mani giunte, e strappava le redini al cavallo per raggiungere Oberto e le strappava per accostarsi al trombetto. Aimone avrebbe le mille volte voluto una freccia a forargli le orecchie, piuttosto che quelle parole a straziargli l'anima, e chiamava il capitano che lo conducesse al furore di una zuffa, così: - Messer Ugo! Ditemi che non è morto! Perchè mi partii dal suo fianco? No, fu lui che mi mandò ad Eleardo! Messer Ugo!... - Suonate, la ritirata! E l'araldo dolorosissimo: - Oldrado non mi diede mai questo comando! - Dopo fate a raccolta!... Oberto! Oberto! - E se messer Ugo tornasse? - Anche là al mio castello sono i nemici di tutti! Il trombetto si disse con risoluzione guerresca: - La voce del capitano è la tromba: udite la voce - e squillò, verso il monte. - Che segno è questo? - domandò trepidante il cavaliere. - Quello che avvisa i saluzzesi di accorrere al portone! - disse superbamente l'araldo, e suonò verso la valle, e vide che dopo lo squillo si muoveva un drappelletto di cavalieri... Che? Un'insegna? Un'insegna quadra di comando. Fosse...? - Era l'insegna dì Ugo. Aimone staccò la tromba dalle labbra e guardò. Per una via Ugo veniva. E per un'altra Ildebrandino cacciavasi a rovinosa corsa dietro ad Oberto.... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Alla mattina di quel giorno, nel castello d'Ildebrandino, partiti i cavalieri, lasciandovi poca scorta, madonna Imilda era scesa nella cappella. Oh sì eh'ella aveva grandissimo bisogno di conforto! - O Signore, o Vergine santissima! Fate che il padre mio mi torni salvo dall'armi! Almeno il padre! Oh come vi prego! Tu che sei interceditrice potente, e tu che tutto ascolti!... Se ci fosse anche la madre mia a pregarvi! Come la vorrei accanto a me! - E Imilda piangeva dirottamente: - Ella m'avrebbe salvata da questo tumulto! Vedi, anch'io vorrei esser tra l'armi, per udire quel grido: - vittoria!... Vergine dolcissima, tu sorridi a me che piango? E tu che sei Dio hai voluto per immenso gaudio avere in eterno la madre! A me l'hai tolta! Salvatemi il padre, che mi protegga!... Che sarebbe d'Imilda deserta nel castello degli avi?... Deserta?... O Signore, per un'altra persona io ti prego, per Oberto... Oh ma sarei deserta senza padre, sola nei lunghissimi giorni dell'abbandono! Oberto, povero Oberto, da tre notti non ho più cucito la tua fascia... Qual tormento, quale dolcezza novissima in me! Tu non sai! E se sapessi!... Ma che ho fatto? Che ha detto? Perché basta uno sguardo, una compassione, una lagrima?... Una vita infelice! - E Imilda fremeva tutta: e taceva, non osando nemmeno a sè stessa confessare il grido dell'anima combattuta: poi - A Oberto m'aveva promessa il padre: ed ero contenta, e sarei stata tranquilla... O Madonna, che voglio dirti? Che vuoi ascoltare? Non so... voglio... vorrei... devo, oh sì devo! come cristiana, pregarti per un altro cavaliero: devo, come nata da liberi castellani, pregarti per il capo dell'impresa! Egli ci rende tutto! Ed è valente, e cortesissimo.... Perchè sorridi, Vergine santissima? Non so, ma mi sorridi, come mai non facesti. Ah perchè anche tu lo scorgi benigna? E fai bene perchè mi fu detto ch'egli è infelice. Io sento che è infelicissimo! Non conobbe la mamma sua. Tu che sei la mamma di lassù fagli conoscere almanco... una sorella del suo dolore! E fammi grazia: disponi sì che ci sia un'altra giovinetta, bella e religiosa più di me, la quale preghi per Oberto. Così tu potrai esaudirla... Io sono... Io non so!.... Mi trovo irrequieta.... Ah tu sai ed esaudisci! Mi trovo tormentata! Amo messer Ugo! «Chi siete?» «Sono il figlio di Guidinga»... Ugo! Imilda era nella cappella da un pezzo e così pregava, quando nella corte ecco un grido spaventato, e un altro! Imilda si fa in piedi tremante, corre sotto un finestrone aperto. - I nemici! - ascolta la voce del vecchio Federigo: - Salvate madonna! - ed ecco ancora: - Fuoco! fuoco! La vergine, come a luogo di rifugio, si butta ai piedi dello altare, scongiurando con fiero rimorso: - O Signore, salvate mio padre! Come vi ho pregato? È il mio castigo dunque così pronto? - ed ode ancora un rumore di pugna, e uno sbattersi fragoroso di porte, e un correre affrettato su nelle stanze, e voci diverse, e tra tutte una irosissima che comandava: - Balestrate fuoco nelle finestre! - e un'altra: - Se tutto arde che ci rimane di bottino? - Combattete! - gridava Federigo agli uomini del castello: - Giuratemi! Alla fantasìa della fanciulla si presentò tutto il castello invaso da una turba di lupi e da un torrente di fuoco: e qua sotto alle scuri si sfasciavano gli usci: e qua si massacravano i servi: qua si sforzavano gli scrigni: dappertutto si portava ruina: e le fiamme divampavano più e più, alimentate dai cadaveri friggenti: e il fumo soffogava assalitori e assaliti. Chi precipitava dalle finestre: e chi dalle finestre entrava: chi si trascinava a morire sulla soglia, per avere fiato: chi impedito nella fuga o nella corsa di conquisto da qualche ferito pregante, gli faceva somma grazia o di una stoccata o di una maledizione... Venivano, venivano i furibondi! La camera del padre era deserta: lo scalone, il corritoio, lo stanzone dell'arme... - O Signore! la fanciulla se li imaginò al lume delle torce incendiarie nell'andito lunghissimo che conduceva alla cappella! Venivano, venivano!... Almanco le fossero già alle spalle, l'avessero già afferrata: ella si sarebbe trascinata all'altare, chiamando la Madonna! Ma oh come invece erano lenti e terribili! E che portava quel mostro? Dio! la non vedesse! Portava una testa sanguinosa!... O padre! O Ugo!... La povera vergine, esterrefatta dall'atrocissima visione, si rinversò con abbandono ai piedi dell'altare. - Non sia vero! - Fu scossa. Di nuovo la voce: - Balestrate fuoco nelle finestre! - E un'altra: - Sulle vetriere c'è su dipinta la croce: lì è la cappella. - Ancora la prima: - Sconficcate le inferriate! Imilda non ascoltò più, ed aggrappandosi ai gradini, discinse le chiome, le scompose, con quelle si velò il volto per pudicizia, poi ancora, ma più rassegnata, scongiurò: - E se vuoi mandarmi la morte! fa che non sia vergognosa! In quella al di là della porta del sacro luogo s'udirono due pedate affrettatissime e caute, e queste voci, diverse da quelle prime: - Capitano, qui c'è la cappella. Gli ori e gli argenti sono nostri. Non fate chiasso. Io provvederò - e fu chiusa la porta per di fuori e tolta la chiave. - Voi, Ingo, guarderete le finestre, e l'impresa avrà fruttato qualcosa, vi pare? - Dopo più nulla. Poi nella corte: - Oibò! guardate dal porre mano sulle cose sacre! C'è su scomunica di pontefici sommi. Via, dalle inferriate, marmaglia! Ma più poderosa gridava la voce: - Balestrate fuoco nelle finestre! dappertutto! Madonna Imilda per somma grazia della Vergine santa aveva perduto i sensi. Quando dopo un pezzo risentì l'angoscia della vita, si trovò avvinghiata fra le braccia di un cavaliero. Era suo padre? Era Oberto? Era un nemico?... Il primo pensiero che le si affacciò fu questo tremendo: - Quanto castigo! Almeno Ugo sia morto nella pugna! Ugo tristissimo! La vergine spossata levò la faccia... Oh sì l'angoscia della vita! - Sei tu! Era Ugo il cavaliero. La cappella ardeva tutta: la porta infiammata vedevasi parte cadente, parte squarciata, parte a terra. Al di là ecco la voce d'Ildebrandino: - È qui! È salva! Oberto la tua sposa è salva! - Con queste parole il vecchio credeva aggiungere maggiore gloria al fatto di Ugo: ed adempiva ad una promessa tra la sua donna morta e il morto padre di Oberto. Ugo lanciò uno sguardo alla porta, e parvegli vedere il volto di Oberto, lo vide, e parvegli che le fiamme gli fischiassero il pensiero di quello: - Imilda nelle braccia di Ugo! - Sì! - esultò, come Lucifero, il cavaliero tormentato e tormentatore, in un minuto solo di trionfale passione e di vendetta! La salvata gli avvelenava la faccia coll'alito scottante, e la persona coll'abbandono delle membra, insidioso e annuente. Oberto mosse un passo, ma arretrò soffogato. A quel solo movimento di lui, Ugo addoppiò la stretta al corpo d'Imilda, e fu ventura ch'egli non inciampasse, ubbriacato dalla malìa di quel peso: poi la spinse verso le fiamme, con atroce disegno.... - Di qui passerete un giorno sposa! - lamentò Ugo. - Può essere la porta che conduca al paradiso o all'inferno! - susurrò Imilda. Oberto mosse un secondo passo. - Pietà! - stridette Imilda. - Non sai morire? - tempestò Ugo nell'anima, scagliò a terra l'azza, e rise. E veramente per la prima volta sghignazzò. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Come Ugo era accorso nella cappella? Rifacciamo un po' di cammino, tornando al luogo della battaglia. Lasciammo Ugo, sbalestrato a terra, vicino alla pozza d'acqua, stordito ed ammaccato. Quand'egli ebbe levata la persona e guardato intorno nel bosco folto ed altissimo, vide fanti e cavalli fuggenti per ogni direzione. Non scorse però nè Ildebrandino nè Oberto che volavano a Rupemala per un cammino assai basso e nascosto. Il dolore dell'anima in Ugo la vinse sui dolori del corpo, perch'egli disperatissimo si diede per riannodare tutta quella gente scompigliata, ma invano. Gridavano in cento: - Oh quanti morti! Sarà gran ventura se domani avremo le gole salve dal capestro. Fummo traditi! Messer Baldo e Ildebrandino già lo dissero. Fummo traditi! - E chi il traditore? - Traditrice la poca esperienza degli anni in voi. - Morire domani? Oh non è meglio cercare oggi un ultimo sforzo di vittoria e gloriosa vittoria? Ma i dispersi erano troppo spaurati dalla gravità del fatto commesso e dai casi della mattina... Ugo gridava... A un tratto ode uno squillo di tromba. - Il segnale ai saluzzesi! Suono come questo non può uscire che dalla tromba di Aimone! Demonio! che suoni di là, dall'altra vita? Non è più tornato! E chi mi disse ch'è morto? - sclama Ugo, e sorge sul suo cavallo e rizza l'insegna, e, mostrando la faccia audacissima e disarmata, chiama intorno a se tre o quattro lance accorrenti, Aroldo, Bonifacio, Eustachio, trova Aimone, muove alle macchie, scavalca, solleva i saluzzesi, e solo si precipita al castello.... Che? Nessuno vorrebbe credere, ma è così! il ponte levatoio calato. Ugo, strappata la scure a un tardo soldato e datagliela sul capo, si mette a lavorare contro il portone, con braccia poderosissime, tanto più quanto più dolorose. Accorrono a lui fanti. L'insidia tremenda! ad un tratto si scuotono i catenoni e il ponte si solleva. Ugo, perduto l'equilibrio, piomba all'indietro e per somma sua ventura, siccome non vi era sbarra, rotola nel fossato. I fanti volsero le spalle per fuggire, ma il legno inclinantesi all'insù li fece sdrucciolare giù al portone, ove tutti in un fascio si maledirono orrendamente schiacciati. Ugo si abbranca ad uno dei ritti che sostengono il ponte quando sia calato, e quivi, chiamando e richiamando, giunge a farsi porgere una lancia da Bonifacio. Appena in salvo alla riva, non trovando più il suo cavallo, stramazza d'arcione Aroldo, monta sull'animale di quello, comandando: - Sorprendiamo cogli arcieri dalla parte della valle! Aimone! Aimone! Dov'è Aimone? Cercate di lui e dite che suoni a richiamare tutti i duci vicino a me! Bonifacio osserva: - È troppo tardi! Qui tutto è perduto! - E che? In tutti un impeto solo! - Baldo e Ildebrandino vi diranno.... - Per Dio! obbediranno! Io solo sono il capo dell'impresa! Altissimamente lo grido alle castella, io, io! Aroldo, Bonifacio, Eustachio, non credevo di parlare con gente pari vostra! - Galoppa verso il terreno raso, ed alza la faccia... Vede un fumo sollevarsi di lontano. - Il forte d'Ildebrandino! Chi disse di lasciare sguernite le castella? O Gesù! - e con spronate furiose Ugo lancia il cavallo... In quale direzione? Pareva che cento demoni strappassero il freno all'animale, perchè era tormentato innanzi, indietro, a destra, a sinistra, come una cosa pazza. - Qui tutto è perduto! - ripeteva il cavaliero straziatissimo le parole di Bonifacio. - Ed io voglio vittoria! - Fugge il messere! Il capo dell'impresa! - fischiano dietro ad Ugo Bonifazio ed Eustachio: e poco dopo Baldo accorre dalla valle. Ugo lancia il cavallo così da averne mozzo il respiro, lancia e smania! Eccolo al ponte di Ildebrandino: entra nel castello, balza d'arcioni gridando: - Io voglio combattere i nemici! Qui si raggrupperà una fortissima pugna! Suonate tutte le trombe! Tutti i duci vicino a me! Gli si presenta a terra un ferito, il quale, giungendo le mani: - Per amore della croce, abbiatemi misericordia! - Dov'è madonna? - supplica Ugo: - Ah!... misericordia a me! - Non uccidetemi! - Dico di madonna! Madonna! I nemici! - Misericordia, gran barone! Il traditore è quello che era all'uscio della cappella! Ho risparmiato anche il veleno per voi, gran barone! Ugo si caccia per le scale e nelle camere, trova nemici predatori e li combatte. Scompigliati, gli scarsi che avevano tentato la sorpresa, facile dacchè il castello era poco difeso, sono stretti a sgombrare, gridando: - È qui Ugo con cento cavalli! - Ugo, giù ancora per lo scalone, entra nei corridoi incendiati. Oh ecco! vede Ildebrandino ed Oberto. Incalza Ugo: - Ov'è madonna? Quegli meraviglia spaventato: - I morti tornano! - E questi: - Ugo è risuscitato per mia dannazione! - E tutti e due, facendosi segni di croce, si danno a fuggire, guardandosi alle spalle. Ugo dolorosamente li chiama e li richiama per tutti i santi: poi si mette dietro ad essi, corre, corre... È nella corte ed inciampa. Lo stesso ferito geme: - Abbiate pietà! - Il cavaliero guarda, e vede che quegli ha sul petto lo stemma di Adalberto, e sulla testa sanguinosa la tonsura di chierico. E quello: - Fate da cavaliero cristiano! Sono sul sagrato! - Era Ingo difatti sotto una finestra della cappella. Ugo, con subito pensiero religioso, esclama: - Voto una lampada d'oro alla Vergine di Saluzzo! - e facendo sgabello col corpo del ferito, s'aggrappa all'inferriata di una finestra aperta, si strascina su col petto, e ripete: - In luogo sacro voto due lampade d'oro! - D'improvviso una vampa guizza dal sotto in su ad infuocargli i capegli, e un globo di fumo gli soffoca il respiro... Riapre gli occhi: storce la bocca a ricevere aria dalla corte, fa per balzare... No, prima nell'ardentissimo strazio dell'anima raddoppia il voto alla Vergine del cielo: - Quattro lampade d'oro, per quel che ho falto! per quello che voglio fare! - e fìcca gli occhi dolorosi nella cappella, cercando l'altare a cui drizzare la destra.... Imilda è là dentro arrovesciata ed immota!... Ugo balza a terra, strappa di sotto al corpo del ferito un'azza, precipita dove gli pare debba essere l'ingresso della cappella. L'uscio è in fìamme! Lo squassa terribilmente. È chiuso! Tempesta colla scure. A quell'indiavolare accorrono Ildebrandino ed Oberto. Essi avevano combattuto gli invasori, ma non avevano trovato Imilda per tutto il castello, né alcuna cosa saputa di lei. I servi e le ancelle crano stati uccisi: il povero Federigo più non tornava dal campo di certo. Accorrono dunque Ildebrandino e Oberto, sclamando: - È proprio lui! Gii spiriti hannobraccia di nebbia. Questo no, per Dio! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Alla sera di quel medesimo giorno, narrano le cronache: Adalberto, andando nella sua camera e buttandosi armato sul letto, trovò al capezzale la fascia che Oldrado aveva riportato nel gioco d'arme, vent'anni prima, e su quella c'era scritto il numero dei morti e dei feriti nemici. Narrano anche che quello sparviero presentato all'omaggio, sorgesse dalle ortiche fra cui fu gettato, e apparisse cogli artigli di ferro e col becco di ferro, vecchio, lontano, lontanissimo, su un monte, ma ancora pronto a spiccare il volo. Queste ciance furono scritte dall'eremita di Malandaggio, un veggente che la sapeva assai lunga!

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