Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

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  • Pagina 1 di 1

Mitchell, Margaret

220820
Via col vento 2 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Ella aveva abbassato gli occhi modestamente, mentre il cuore le batteva con violenza, credendo giunto il felice momento. Quindi egli aveva ripreso: - Ora no! Siamo quasi a casa e non c'è il tempo... Oh, Rossella, come sono vigliacco! - e spronando il cavallo l'aveva riaccompagnata a casa salendo di corsa la collina. Seduta sul tronco d'albero, la giovinetta ripensava a quelle parole che l'avevano resa cosí felice; ma a un tratto esse presero un altro significato, un significato orribile. Forse aveva voluto darle la notizia del suo fidanzamento! Oh, se papà si fosse sbrigato a tornare a casa! Ella non poteva più sopportare l'attesa. Guardò nuovamente con impazienza la strada e fu nuovamente delusa. Il sole era adesso sotto all'orizzonte e lo splendore purpureo andava digradando in rosa. Il cielo sfumava lentamente dall'azzurro al delicato blu-verde di un uovo di pettirosso, e la calma divina del crepuscolo rurale discendeva a poco a poco sopra di lei. Un'oscura opacità scivolava lentamente sui campi. I solchi scavati nella terra e la strada infossata perdevano il loro magico colore sanguigno e diventavano semplice terra bruna. Al di là della strada nel prato, cavalli, muli e mucche, con la testa al disopra della barriera, aspettavano tranquillamente di essere ricondotti nelle stalle per avere il foraggio. Non amavano le ombre cupe dei cespugli lungo il ruscello che scorreva attraverso il prato, e muovevano le orecchie verso Rossella, come se fossero stati capaci di solidarietà umana. Nella strana mezza luce, i grandi pini della palude, di un verde cosí caldo sotto i raggi del sole, erano neri contro il cielo color ardesia; una fila impenetrabile di giganti neri, che nascondevano ai loro piedi la pigra acqua giallognola. Sulla collina al di là del fiume, i grandi comignoli bianchi della casa di Wilkes svanivano gradatamente nell'oscurità delle grandi querce che li circondavano; soltanto qualche punto luminoso - le lampade accese per illuminare la cena - mostrava che laggiù vi era una casa. L'umido e profumato tepore della primavera l'avvolgeva dolcemente, insieme col fresco odore della terra arata e dei verdi germogli. Tramonto, primavera e germogli non erano un miracolo per Rossella. Ella accettava quelle bellezze naturalmente, come l'aria che respirava e l'acqua che beveva, non avendo mai visto scientemente la bellezza in nulla se non nei volti femminili, nei cavalli, nelle vesti di seta ed altre cose tangibili. Eppure la serena luce crepuscolare sui ben coltivati campi di Tara portò una certa calma al suo spirito turbato. Ella amava quella terra, senza neanche sapere di amarla; l'amava come amava il volto di sua madre sotto la lampada, all'ora della preghiera. Sulla strada sinuosa Geraldo non si vedeva apparire. Certo, se ella fosse rimasta ancora ad attendere, Mammy sarebbe venuta a cercarla, per costringerla a rientrare. Ma appunto mentre aguzzava gli occhi nell'oscurità crescente, udí uno scalpitar di zoccoli giungere dall'estremità del poggio e vide mucche e cavalli disperdersi spaventati. Geraldo O'Hara stava tornando a casa attraverso la campagna a gran velocità. Salí la collinetta al galoppo del suo cavallo dal petto largo e dalle gambe sperticate, apparendo in distanza come un ragazzo su un cavallo troppo grande. I suoi lunghi capelli bianchi svolazzavano indietro; egli eccitava l'animale con lo scudiscio e con le grida. Benché piena della propria angoscia, Rossella lo guardò avvicinarsi con orgoglio affettuoso, perché Geraldo era un ottimo cavaliere. «Chi sa perché ha la smania di saltar le barriere quando ha bevuto un poco» disse fra sé. «Dopo la caduta dell'anno scorso, proprio in quel punto, quando si spezzò il ginocchio... Credevo che gli sarebbe servito di lezione; specialmente, poi, perché ha giurato alla mamma di non saltare piú.» Rossella non aveva rispetto per suo padre; lo considerava suo coetaneo più delle proprie sorelle, perché il saltar le siepi di nascosto di sua moglie gli dava un orgoglio da ragazzo e una gioia simile a quella di lei quando riusciva a farla in barba a Mammy. Si alzò in piedi e lo osservò mentre si avvicinava. Il grosso cavallo giunse alla barriera, si piegò sulle gambe posteriori e saltò senza sforzo, con la leggerezza di un uccello, mentre il suo cavaliere gridava d'entusiasmo, agitando lo scudiscio in aria, coi riccioli bianchi che ondeggiavano dietro il capo, Geraldo non vide sua figlia nell'ombra degli alberi, e proseguí accarezzando con approvazione il collo del cavallo. - Nessuno nella Contea può starti a paro, e neanche nella regione - disse con orgoglio alla sua cavalcatura. Quindi si pose frettolosamente a ravviarsi i capelli e a rassettare la camicia sgualcita e la cravatta che nella violenza della corsa gli era andata a finire sotto l'orecchia. Rossella conosceva questo frettoloso modo di rimettersi in ordine, che aveva per iscopo di apparire dinanzi alla moglie come un signore che ha cavalcato tranquillamente tornando da una visita a un vicino. Sapeva anche che ciò avrebbe dato a lei il pretesto di iniziare la conversazione con lui senza rivelare il suo vero scopo. Rise forte. Come aveva previsto, Geraldo sobbalzò; poi la riconobbe e sul suo volto florido apparve un'espressione timida e diffidente nel tempo stesso. Mise piede a terra con difficoltà, a causa del ginocchio rigido e, passandosi le redini intorno al braccio, mosse verso di lei. - Beh, signorina - le disse prendendole il ganascino. - sei stata qui a spiarmi e poi, come ha fatto tua sorella Susanna la settimana scorsa, andrai a dirlo alla mamma? Vi era dell'indignazione nella sua voce bassa un po' rauca, ma anche una certa blandizia, e Rossella per stuzzicarlo fece scoppiettare la lingua contro i denti, mentre lo aiutava a rimettere a posto la cravatta. L'alito di lui, che le respirava sul viso, sentiva fortemente di whisky Bourbon, con una lieve fragranza di menta. Egli emanava anche odore di tabacco da masticare, di cuoio e di cavalli; un miscuglio di profumi che Rossella associava sempre a suo padre e che le piaceva istintivamente negli altri uomini. - No, babbo, io non sono una pettegola come Súsele - lo assicurò, esaminando con aria giudiziosa se tutto era in ordine nel suo aspetto. Geraldo era piccolo: poco piú di un metro e cinquantacinque; ma cosí quadrato di spalle e grosso di collo, che quando era seduto gli estranei lo credevano alto. Il suo torso atticciato posava su corte gambe robuste, sempre serrate nei piú bei stivaloni di cuoio che si potessero trovare e sempre largamente piantate come quelle di un ragazzino barcollante. La maggior parte delle persone piccole di statura sono ridicole quando si prendono sul serio; ma il gallo bantam è rispettato nel pollaio, e cosí avveniva per Geraldo. Nessuno avrebbe mai avuto la temerità di credere Geraldo un ometto ridicolo. Aveva sessant'anni e i suoi capelli ricciuti erano argentei; ma il volto malizioso non aveva una ruga e gli occhi azzurri erano giovanili, di quella persistente giovinezza di chi non si è mai tormentato il cervello con problemi piú astratti della quantità di carte che bisogna chiedere in una mano di poker. Era un viso schiettamente irlandese, come se ne potevano trovare nel paese che aveva lasciato tanti anni prima: tondo, colorito; naso corto, bocca larga e aggressiva. Sotto il suo aspetto collerico, Geraldo O'Hara aveva il cuore piú tenero del mondo. Non poteva vedere uno schiavo fare il broncio dopo una reprimenda, per quanto meritata, né udire un gattino miagolare o un bambino piangere; ma aveva orrore che questa sua debolezza fosse scoperta. Egli ignorava che tutti coloro che lo conoscevano scoprivano dopo cinque minuti la bontà del suo cuore; la sua vanità ne avrebbe terribilmente sofferto, perché gli piaceva credere che quando egli gridava i suoi ordini, tutti tremavano obbedienti al suono della sua voce. Non si era mai accorto che ad una sola voce si obbediva alla piantagione: alla dolce voce di sua moglie Elena. Era un segreto che non avrebbe mai scoperto, perché tutti, da Elena fino al piú stupido lavoratore dei campi, erano uniti in una tacita e benevola cospirazione per lasciargli credere che la sua parola era legge. Rossella si lasciava impressionare meno di chiunque altro dalle sue grida e dalle sue ire. Era la sua figliuola maggiore; e Geraldo, ora che non sperava piú che venissero altri figli maschi dopo i tre che giacevano nella tomba di famiglia, aveva preso a trattarla come avrebbe trattato una ragazzo, in una maniera che ella trovava divertentissima. Ella somigliava a suo padre piú delle due sorelle minori, perché Carolene, battezzata Carolina Irene, era delicata e sognatrice, e Súsele - nata Susanna Eleonora - si inorgogliva della propria eleganza e del proprio aspetto signorile. Inoltre, Rossella e suo padre erano legati da un reciproco accordo per nascondere le loro marachelle. Se Geraldo la sorprendeva a scavalcare una barriera invece di camminare per mezzo chilometro fino a trovare un'apertura, oppure a sedere fino a ora tarda sui gradini della casa insieme a un giovinotto, la puniva personalmente e con veemenza, ma taceva il fatto a Elena e a Mammy. E quando Rossella lo scopriva a saltare le siepi e le barriere malgrado la solenne promessa fatta a sua moglie, o veniva a sapere attraverso i pettegolezzi della Contea, l'ammontare preciso delle sue perdite a poker, si asteneva dall'accennare al fatto, sia pure nella maniera astuta e ingenua di Súsele. Rossella e suo padre si assicuravano solennemente l'un l'altro che far giungere un fatto simile alle orecchie di Elena non avrebbe avuto altro risultato che di farla soffrire; e nulla al mondo li avrebbe indotti a darle un dispiacere. La fanciulla guardò suo padre nella luce crepuscolare e, senza saper perché, trovò nella sua presenza un certo conforto. Vi era in lui qualche cosa di vitale, di rude, di grossolano che le andava a genio. Essendo la negazione di ogni analisi, non si rese conto che ciò avveniva perché ella possedeva in alto grado quelle stesse qualità, malgrado sedici anni di sforzi da parte di Elena e di Mammy per distruggerle. - Ora hai l'aspetto molto presentabile - gli disse - e credo che nessuno possa sospettare i tuoi giochi se non sei tu a vantartene. Ma trovo che dopo esserti rotto il ginocchio l'anno scorso saltando la stessa barriera... - Ah, beh, ora ci manca soltanto che mia figlia mi dica quando devo e quando non devo saltare! - e le prese nuovamente il ganascino. - Il collo è mio; dunque... Del resto, signorina, che state facendo voi, fuori a quest'ora senza uno scialle? Vedendo che egli impiegava le solite manovre per sbrogliarsi da una conversazione spiacevole, ella infilò il braccio sotto al suo dicendo: - Ti stavo aspettando. Non sapevo che avresti fatto cosí tardi. Volevo sapere se hai comprato Dilcey. - L'ho comprata, e ad un prezzo rovinoso. Ho comprato lei e la sua piccola mulatta, Prissy. John Wilkes me le avrebbe quasi regalate, ma non voglio che si dica che Geraldo O'Hara approfitta dell'amicizia quando si tratta di affari. Gli ho fatto accettare tre biglietti da mille per tutt'e due. - Dio mio, babbo, tremila! E non avevi nessun bisogno di comprare Prissy! - Da quando in qua le mie figlie si mettono in cattedra a giudicarmi? Prissy è una graziosa piccola mulatta e... - La conosco. È una creatura stupida e timida; - replicò Rossella senza scomporsi. - E la sola ragione per cui l'hai comprata è che Dilcey ti ha pregato di comprarla. La spavalderia di Geraldo scomparve ed egli apparve confuso e turbato come sempre quando veniva sorpreso a compiere una buon'azione. La figlia rise del suo turbamento. - Beh, e se anche lo avessi fatto? A che mi sarebbe servito comprare Dilcey se poi si fosse immalinconita a causa della bambina? Del resto, non permetterò mai piú a un negro di sposarsi fuori di qui. È troppo dispendioso. Suvvia, piccola, andiamo a cena. L'oscurità era diventata piú profonda; dal cielo erano scomparse le ultime sfumature di verde e un freschetto pungente aveva sostituito il tepore primaverile. Ma Rossella s'indugiava, non sapendo come condurre il discorso su Ashley senza destar sospetti in suo padre. Era difficile, perché la fanciulla era priva di furberia; e suo padre le somigliava tanto che riusciva immediatamente a penetrare i suoi deboli sotterfugi, come lei penetrava i suoi. E nel farlo mancava generalmente di tatto. - Come stanno alle Dodici Querce? - Al solito. C'era Cade Calvert e dopo definita la faccenda di Dilcey ci siamo trattenuti tutti quanti nella galleria a bere qualche bicchierino. Cade è appena tornato da Atlanta, dove tutti sono agitati e parlano di guerra... Rossella sospirò. Se Geraldo cominciava a parlare della guerra e della secessione, non l'avrebbe piú smessa per qualche ora. Lo interruppe con un altro argomento. - Ti hanno parlato della riunione di domani? - Aspetta che ci penso. Miss... come diamine si chiama? quella piccina graziosa che era qui anche l'anno scorso... sai, la cugina di Ashley... ah, sí: miss Melania Hamilton! Dunque, lei e suo fratello Carlo sono già arrivati da Atlanta... - Ah, dunque è venuta? - E venuta; ed è molto carina; tranquilla e silenziosa come dovrebbero essere tutte le donne. Su, figliuola, non perdiamo tempo. La mamma ci starà cercando! Rossella si sentí cadere il cuore alla notizia. Aveva sperato e sperato che Melania Hamilton sarebbe stata trattenuta ad Atlanta dove abitava; e il sentire che anche suo padre approvava il suo carattere tranquillo cosí diverso dal suo, la decise a parlare apertamente. - C'era anche Ashley? - chiese. - C'era. - Geraldo lasciò il braccio di sua figlia e si volse a scrutarla. - E se è per questo che sei venuta ad aspettarmi, perché non lo hai detto subito, invece di girare intorno all'argomento? Rossella non trovò una parola da rispondere ed arrossí indispettita. - Avanti, parla. La fanciulla continuò a tacere, desiderando in cuor suo che le fosse permesso scrollare il proprio babbo per chiudergli la bocca. - C'era e ha chiesto molto cortesemente di te, come hanno fatto anche le sue sorelle e hanno detto che speravano che nulla ti avrebbe impedito di essere domani alla festa. Cosa di cui non garantisco - aggiunse malizioso. - Ora, figliuola, che cos'è questa storia fra te e Ashley? - Nessuna storia - rispose Rossella brevemente riattaccandosi al suo braccio. - Rientriamo, babbo. - Ora sei tu che hai voglia di andare - osservò Geraldo. - Ma io rimango qui finché non ti ho capita. Ora che ci penso, da un po' di tempo in qua sei di umore strano. Ti ha fatto la corte? Ti ha chiesto di sposarlo? - No - fu la breve risposta. - E non lo farà - riprese Geraldo. Un impeto di furore la invase; ma Geraldo le accennò con la mano di calmarsi. - Aspetta, bambina! Ho saputo oggi molto confidenzialmente da John Wilkes che suo figlio sposerà miss Melania. Sarà annunciato domani. La mano di Rossella ricadde dal suo braccio. Dunque, era vero! Si sentí stringere il cuore come in una morsa. Sentiva però sopra di sé lo sguardo di suo padre, un po' compassionevole, un po' annoiato di trovarsi di fronte a un problema che era incapace di risolvere. Egli voleva bene alla figliuola, ma l'idea che ella lo costringesse a cercare una soluzione ai suoi problemi infantili gli dava fastidio. Elena era capace di risolverli; Rossella avrebbe dovuto confidare a lei le sue pene. - Hai dunque fatto una figura ridicola... e l'hai fatta fare a noi? - gridò, alzando la voce come sempre nei momenti di eccitazione. - Sei corsa dietro a un uomo che non ti ama, mentre potresti avere i migliori giovanotti della Contea? La collera e l'orgoglio ferito presero il sopravvento sul dolore. - Non gli sono corsa dietro. Soltanto... mi sorprende. - Menti! - Quindi scrutando il visino dolorante, soggiunse, in un impeto di tenerezza: - Mi dispiace, figliuola. Ma dopo tutto, sei ancora una bambina; e vi sono tanti altri giovinotti! - La mamma aveva quindici anni quando ti sposò; ed io ne ho sedici - replicò la fanciulla con voce sorda. - Tua madre era diversa. Non è mai stata leggera come te. Su, bambina, stai allegra; la settimana ventura ti porterò a Charleston a far visita a zia Eulalia; e con tutto il tumulto che c'è lí per Forte Sumter, in pochi giorni ti scorderai di Ashley. «Mi crede una bambina» pensò Rossella a cui dolore e collera toglievano la parola «e immagina che un giocattolo nuovo basterà per farmi dimenticare la mia pena.» - Non fare la sciocca - continuò Geraldo. - Se avessi giudizio, avresti sposato già da un pezzo Stuart o Brent Tarleton. Pensaci, figliuola. Sposa uno dei due gemelli e allora le piantagioni saranno riunite, e Giacomo Tarleton ed io ti fabbricheremo una bella casa, proprio al confine, dove c'è la selvetta di pini... - Smettila di trattarmi come una bambina! - esclamò Rossella. - Non voglio andare a Charleston e non voglio avere una casa e sposare i gemelli. Voglio soltanto... - Si interruppe ma era troppo tardi. La voce di Geraldo era stranamente tranquilla ora ed egli parlava lentamente come se tirasse fuori ogni parola da un deposito di cui si serviva raramente. - Tu vuoi soltanto Ashley e non lo avrai. E se egli ti volesse sposare, darei il mio consenso malvolentieri, e lo darei soltanto a causa della buona amicizia che vi è fra John Wilkes e me. - E poiché ella lo guardava stupita, concluse: - Io desidero che la mia bimba sia felice; e con lui non lo saresti. - Oh, lo sarei! Lo sarei! - No. Solo quando si sposa chi è simile a noi può esservi la felicità. Rossella provò subitamente il perfido desiderio di gridare: «Ma tu e la mamma siete stati felici, eppure non vi somigliate in nulla» ma lo represse temendo di ricevere un ceffone per la sua impertinenza. - Noi e i Wilkes siamo assai diversi - proseguí lentamente Geraldo, cercando le parole. - I Wilkes sono differenti da tutti i nostri vicini, differenti da tutte le famiglie che ho conosciuto. È gente strana; ed è meglio che si sposino tra cugini e si tengano tutta la loro stranezza. - Ma babbo, Ashley non è... - Taci, gattina! Non dico niente contro il ragazzo, perché mi è simpatico. E dicendo strano non intendo dire stravagante. Non è la stranezza dei Calvert che giocherebbero tutto quello che hanno su un cavallo, o dei Tarleton che hanno sempre uno o due ubbriachi in ogni letto, o dei Fontaine che sono delle teste calde, pronti ad ammazzare un uomo per una sciocchezza. Questo genere di stranezze è facile a comprendersi e se non fosse per la grazia di Dio, sono difetti che anche Geraldo O'Hara potrebbe avere! E non voglio neanche dire che Ashley correrebbe dietro ad altre donne se tu fossi sua moglie o che ti batterebbe. Saresti forse piú felice se lo facesse, perché almeno lo capiresti. È strano in un senso tutto diverso, e non vi è modo di comprenderlo. Nelle cose che dice io non trovo né capo né coda. Dimmi la verità, gattina, tu capisci qualche cosa di tutte le sue sciocchezze sui libri, la musica, la poesia, i vecchi quadri e altre stupidaggini di questo genere? - Oh babbo! - esclamò con impazienza Rossella. - Se lo sposassi, lo cambierei! - Credi? - replicò stizzosamente Geraldo lanciandole uno sguardo penetrante. - Allora vuol dire che conosci ben poco gli uomini, non escluso Ashley. Nessuna moglie ha mai cambiato il cervello del marito, ricordatelo! E quanto a cambiare un Wilkes... Per la camicia di Giove! Tutta la famiglia è cosí e lo è sempre stata; e probabilmente lo sarà sempre. Ti dico che lo sono di nascita. Guarda come si agitano per andare a Nuova York e a Boston a sentir delle opere in musica e a vedere dei vecchi quadri! E ordinano libri francesi e tedeschi senza esclusione degli inglesi... E poi stanno ore ed ore seduti a leggere e a sognare Dio sa che cosa, quando potrebbero passare il tempo a cacciare e a giocare a poker come fanno tutti gli uomini normali! - Nessuno nella Contea cavalca meglio di Ashley - ribatté Rossella, furente per quell'accusa di effeminatezza che veniva lanciata su Ashley. - Nessuno, eccetto forse suo padre. E quanto al poker, non ti ha vinto duecento dollari proprio la settimana scorsa a Jonesboor? - I ragazzi Calvert hanno fatto nuovamente dei pettegolezzi - borbottò Geraldo - altrimenti non sapresti la cifra. Ashley può competere col miglior cavaliere e miglior giocatore: cioè con me, bambina! E non nego che se si mette a bere può dar dei punti perfino ai Tarleton. Fa tutte queste cose, ma senza passione. Perciò ti dico che è strano. Rossella rimase silenziosa e si sentí cadere il cuore in terra. Non poteva replicare a queste ultime parole, perché sapeva che Geraldo aveva ragione. Ashley non metteva alcuna passione nelle cose che faceva tanto bene. Si interessava solo con cortesia a tutto ciò che appassionava chiunque altro. Interpretando giustamente il suo silenzio, Geraldo le accarezzò il braccio e riprese trionfante: - Lo vedi, Rossella? Anche tu riconosci che è vero. Che ne faresti di un marito come Ashley? Lunatico come tutti i Wilkes! - Poi, con tono piú lusinghevole: - Parlandoti dei Tarleton, poco fa, non ho inteso influenzarti. Sono dei cari ragazzi, ma se preferisci Cade Calvert, per me è lo stesso. I Calvert sono brava gente, tutti quanti, benché il vecchio abbia sposato un'inglese. E quando io non ci sarò più... Stammi a sentire, tesoro! Lascerò Tara a te e a Cade... - Non vorrei Cade neanche se mi coprissero d'oro! - esclamò Rossella furibonda. - E ti prego di smetterla con questi consigli! Non desidero Tara né altre vecchie piantagioni. Le piantagioni non valgono nulla se... Stava per aggiungere «se non si ha l'uomo che si desidera»; ma Geraldo inasprito dal modo impertinente col quale ella trattava il dono offerto, la cosa che egli amava di più al mondo, dopo Elena, proruppe in una specie di ruggito. - E hai il coraggio, Rossella O'Hara, di dirmi in faccia che Tara... che questa terra... non val nulla? La fanciulla annuí caparbia. Il suo cuore era troppo esulcerato perché ella potesse preoccuparsi di destare o no la collera di suo padre. - La terra è la sola cosa al mondo che valga qualche cosa - urlò Geraldo, e le sue braccia corte e grosse facevano grandi gesti di indignazione - perché è la sola cosa al mondo che rimanga e, non dimenticarlo!, la sola cosa per cui vale la pena di lavorare, di lottare... di morire. - Oh babbo! - ribatté Rossella disgustata - parli come un irlandese! - Mi sono forse mai vergognato di esserlo? No; anzi ne sono orgoglioso. E non dimenticare che tu sei per metà irlandese! E per tutti coloro che hanno nelle vene anche una sola goccia di sangue irlandese, la terra su cui vivono è come una madre. È di te che mi vergogno in questo momento. Ti offro la piú bella terra del mondo - ad eccezione di Country Meath nel mio vecchio paese - e tu che cosa fai? Arricci il naso! Geraldo aveva cominciato ad abbandonarsi a una collera piacevolmente clamorosa, quando qualche cosa nel volto addolorato di Rossella lo fermò. - In fondo, sei giovine. L'amore per la terra ti verrà col tempo. Non potrà essere diversamente, perché sei irlandese. Ora sei una bambina, preoccupata soltanto dei tuoi adoratori. Quando sarai piú vecchia, vedrai... Ora rifletti, cerca di pensare a Cade o ai gemelli o a uno dei ragazzi di Evan Munroe, e vedrai come ti metterò bene a posto! - Oh, babbo! Geraldo era ormai stufo della conversazione e infastidito del problema che veniva a gravare sulle sue spalle. Inoltre si sentiva offeso che Rossella avesse ancora l'aria desolata dopo che le erano stati offerti i migliori giovanotti della Contea e per di piú, Tara. A Geraldo piaceva che i suoi doni fossero accolti con battimani e abbracci. - Ora non facciamo il broncio, madamigella. Non importa sapere chi sposerai, purché sia uno che la pensa come te e sia un bravo e orgoglioso meridionale. Per una donna, l'amore viene dopo il matrimonio. - Oh babbo, queste sono idee del tuo paese! - E sono idee ottime! Guarda un po', questi americani che hanno la smania di fare dei matrimoni d'amore, come i servitori, come gli yankees! I matrimoni migliori avvengono quando i genitori scelgono per la ragazza. Come potrebbe una stupida ragazzina come te distinguere un gentiluomo da un mascalzone? Guarda i Wilkes. Che cosa li ha conservati forti e orgogliosi attraverso tante generazioni? Il fatto di essersi sempre sposati tra di loro; tutti hanno sempre sposato i cugini o le cugine desiderate dalla famiglia. Rossella diede un piccolo grido, sentendo rinnovarsi la sua pena alle parole del padre che confermavano la tremenda inevitabile verità. Geraldo guardò il suo capo chino e si sentí a disagio. - Piangi? - chiese; e cercò di sollevarle il mento mentre sul suo volto si dipingeva una grande pietà. - No! - gridò la fanciulla con ira, volgendo altrove la testa. - Dici una bugia, ma ne sono fiero. Sono contento che tu sia orgogliosa; e voglio che questo orgoglio tu lo dimostri domani. Non mi piace che tutta la Contea spettegoli e rida di te, perché hai dato il cuore a un uomo che non ha mai avuto per te un pensiero che non fosse di semplice amicizia. «Lo ha avuto il pensiero» disse fra sé Rossella dolorosamente. «Oh, ne ha avuti tanti! Lo so. Ne sono certa. Se avessi avuto ancora un po' di tempo, so che lo avrei condotto a dirmi... Oh, se non fosse che i Wilkes debbono sempre sposarsi fra cugini!» Geraldo le prese il braccio e lo passò sotto al suo. - Ora andiamo a cena; e tutto questo rimane fra noi. È inutile preoccupare tua madre. Soffiati il naso, bambina. Rossella si soffiò il naso nel fazzoletto lacerato; quindi si avviarono a braccetto per il viale, col cavallo che li seguiva lentamente. In prossimità della casa la giovinetta stava per ricominciare a parlare, ma vide sua madre nella semioscurità del porticato. Aveva la cuffia, lo scialle e dietro a lei era Mammy col volto annuvolato, tenendo fra le mani la borsa di cuoio nero in cui Elena O'Hara portava sempre le bende e i medicinali che adoperava per curare gli schiavi. Le labbra di Mammy erano grosse e pendule; e quando essa era indignata, quello inferiore poteva raggiungere il doppio della sua lunghezza normale. In questo momento era lunghissimo, e Rossella comprese che Mammy stava rimuginando qualche cosa che non approvava. - Mister O'Hara - gridò Elena quando li vide avvicinarsi lungo il viale. Elena apparteneva a una generazione che rimaneva cerimoniosa anche dopo diciassette anni di matrimonio e la nascita di sei figli. - Mr. O'Hara, c'è bisogno di me dagli Slattery. Emma ha avuto un bambino, ma è moribondo e bisogna battezzarlo. Vado con Mammy a vedere che cosa posso fare. La sua voce aveva un tono interrogativo, come se ella attendesse l'approvazione di suo marito; una semplice formalità ma che a Geraldo faceva piacere. - Santo Dio! - proruppe Geraldo - perché quegli straccioni della palude vengono a chiamarti proprio a ora di cena e mentre io desidero raccontarti quello che si dice della guerra ad Atlanta! Vai, signora O'Hara. Non dormiresti tranquilla stanotte sapendo che fuori c'è qualcuno che ha delle angustie e tu non sei ad aiutarlo. - Non riposare mai tranquilla, perché dovere tante volte alzarsi per curare negri e bianchi poveri che non possono curarsi da soli - borbottò Mammy con voce monotona mentre scendeva i gradini e andava verso la carrozza che aspettava nel viale laterale. - Prendi il mio posto a tavola, cara - disse Elena accarezzando dolcemente il volto di Rossella con la mano coperta dal mezzo guanto. Benché sentisse alla gola il nodo delle lagrime, la fanciulla rabbrividí al tocco magico della mano materna, e al debole profumo di verbena che emanava la sua veste di seta. Per lei vi era in Elena O'Hara qualche cosa che toglieva il respiro; un miracolo che viveva in casa con lei e le ispirava rispetto, la affascinava, la blandiva. Geraldo accompagnò sua moglie fino alla carrozza e diede ordine al cocchiere di fare attenzione. Tobia, che aveva cura da vent'anni dei cavalli di Geraldo, sporse le labbra con muta indignazione nel sentirsi dire come doveva guidare. Mentre si allontanava, con Mammy seduta accanto a lui, entrambi erano la perfetta personificazione del broncio africano pieno di biasimo. - Se io non facessi tanto per quegli straccioni bianchi degli Slattery ed essi dovessero pagare qualcuno per tante cose - si adirò Geraldo - sarebbero costretti a vendermi quei miserabili pochi jugeri di fondo di palude e la Contea sarebbe sbarazzata di loro. - Poi, rallegrandosi in anticipazione di una delle sue solite burle: - Vieni, figliuola; andiamo a dire a Pork che invece di comprare Dilcey ho venduto lui a John Wilkes. Gettò le redini del suo cavallo a un negretto che era lí accanto e si avviò su per i gradini. Aveva quasi dimenticato il crepacuore di Rossella, e pensava solo a burlarsi del suo domestico. Rossella salí lentamente gli scalini dietro a lui, coi piedi pesanti. Pensava che, dopo tutto, un'unione fra lei e Ashley non sarebbe stata piú strana di quella di suo padre con Elena Robillard O'Hara. Come sempre, si chiese come mai sua padre, cosí rumoroso e cosí poco sensibile, avesse potuto sposare una donna come sua madre; poiché mai vi erano state due persone piú lontane come nascita, come educazione, come abitudini mentali.

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Oggi, con un abito di seta nera opaca, su una crinolina troppo piccola per la moda, sembrava ancora vestita da amazzone, perché l'abito era tagliato severamente come il suo costume da cavallo, e il cappellino nero con la lunga piuma, abbassato sugli occhi neri lucidi e ardenti, era una copia del vecchio cappello che adoperava per andare a caccia. Agitò la frusta vedendo Geraldo e trattenne la sua impaziente pariglia rossa, mentre le quattro ragazze si sporgevano fuori dalla carrozza vociferando i loro saluti a voce cosí alta che i cavalli sobbalzarono spaventati. Un osservatore casuale avrebbe supposto che i Tarleton e gli O'Hara non si vedessero da anni invece che da giorni. Ma erano persone socievoli e amavano i loro vicini, specialmente le ragazze O' Hara. Cioè amavano Súsele e Carolene. Nessuna ragazza della Contea, eccettuato forse quella sventata di Caterina Calvert, amava veramente Rossella. In estate, nella Contea si avevano conviti e balli quasi ogni settimana. Ma per le fulve Tarleton con la loro enorme capacità di divertirsi, ogni riunione e ogni ballo era eccitante come se fosse il primo della loro vita. Era un grazioso e vivacissimo quartetto, cosí stipato nella carrozza che le ampie gonne a cerchi e i volanti si gonfiavano spumeggiando, e i piccoli parasoli si urtavano fra di loro al di sopra degli ampi cappelli di paglia di Firenze incoronati di rose e ornati di nastri di velluto nero. Tutte le sfumature del fulvo erario sotto quei cappelli: i capelli di Etta erano di un rosso schietto, quelli di Camilla color pannocchia, quelli di Miranda a riflessi cuprei e quelli della piccola Bettina color carota. - È un bel branco, madama, - disse galantemente Geraldo portandosi col cavallo di fianco alla carrozza. - Ma son ben lontane dal superare la loro mamma. La signora Tarleton girò i suoi occhi bruni e si succhiò il labbro inferiore, come burlesco ringraziamento; le ragazze esclamarono: - Mamma, smettila di far la civetta, altrimenti lo diciamo al babbo! - Vi assicuro, Mr. O' Hara, che non ci dà mai modo di farci valere quando c'è un bell'uomo come voi. Rossella rise con le altre di queste celie, ma come sempre, la libertà con la quale le Tarleton trattavano la loro mamma, la urtò. Facevano come se essa fosse una di loro, e non avesse piú di sedici anni. Per Rossella la sola idea di poter dire una cosa simile a sua madre, era un sacrilegio; eppure... eppure... vi era qualche cosa di molto piacevole nelle relazioni delle ragazze Tarleton con la loro mamma; ed esse la adoravano, benché la criticassero, la stuzzicassero, e la sgridassero. Non che lei potesse preferire una madre come la signora Tarleton, si affrettò lealmente a dire a se stessa; ma certo doveva essere molto divertente scherzare cosí con la mamma. Sapeva che anche questo pensiero era irrispettoso per Elena e se ne vergognò. Era sicura che nessun pensiero cosí fastidioso aveva mai turbato i cervelli sotto le quattro capigliature fiammeggianti; e come sempre quando si trovava diversa dalle sue vicine, si sentí invadere da una perplessità irritata. Benché il suo cervello fosse pronto, non era fatto per l'analisi; riusciva peraltro a rendersi conto che benché le ragazze Tarleton fossero sregolate come puledri e turbolente come giumente in marzo, vi era in loro una singolare spensieratezza ereditaria. Tanto da parte di madre che di padre, erano Georgiane del nord, solo di una generazione posteriore ai pionieri. Erano sicure di se stesse e del loro ambiente. Sapevano istintivamente ciò che dovevano fare, come i Wilkes, benché in modo assolutamente diverso. E in loro non erano quei conflitti, che frequentemente si dibattevano nel seno di Rossella, nella quale il sangue di un'aristocratica della costa, dolce e quieta, si mescolava col sangue di un contadino irlandese accorto e grossolano. Rossella desiderava rispettare e adorare sua madre come un idolo, ma anche scompigliarle i capelli e stuzzicarla. E sapeva che bisognava fare o una cosa o l'altra. Era lo stesso conflitto che le faceva desiderare di apparire una signora delicata e aristocratica ai giovanotti ed essere nello stesso tempo una sfacciatella che non faceva scrupolo per qualche bacio. - Dov'è Elena, stamattina? - chiese la signora Tarleton. - Abbiamo licenziato il nostro sorvegliante ed Elena è rimasta a casa per verificare i conti. E vostro marito? E i ragazzi? - Oh, sono andati alle Dodici Querce già da un pezzo, per assaggiare il ponce e sentire se era abbastanza forte; come se non vi fosse tempo fino a domattina per questo! Pregherò John Wilkes di ospitarli stanotte, anche se, deve metterli nella stalla. Cinque uomini ubriachi sono troppi per me. Fino a tre me la cavo, ma... Geraldo la interruppe in fretta per mutare argomento. Sentiva dietro le sue spalle le figlie che ridacchiavano di lui, ricordando in che condizioni era tornato a casa l'autunno precedente dal banchetto dei Wilkes. - E come mai oggi non siete a cavallo, Mrs. Tarleton? Non mi sembrate voi, senza Nelly. Quando siete a cavallo vi si direbbe uno Sténtore. - Uno Sténtore! Ignorante che siete! - esclamò Mrs. Tarleton rifacendogli il verso. - Volete dire un centauro. Sténtore era un uomo che aveva la voce come un tamburo di bronzo. - Sténtore o centauro, fa lo stesso - rispose Geraldo senza scomporsi per il suo errore. - Del resto, anche voi avete una voce come un tamburo di bronzo quando chiamate i vostri cani. - Ti sta bene, mamma, - disse Etta. - Te l'avevo detto che urli come un indiano quando vedi una volpe. - Ma non cosí forte come urli tu quando Mammy ti lava le orecchie - ribatté Mrs. Tarleton. - E hai sedici anni! Quanto al non cavalcare oggi, è perché Nelly stamattina presto ha partorito. - Davvero? - esclamò Geraldo con vero interesse e con gli occhi brillanti della passione irlandese per i cavalli; e Rossella si sentí nuovamente urtata paragonando sua madre alla signora Tarleton. Per Elena né giumente né mucche partorivano mai. Quasi quasi neanche le galline facevano le uova. Elena ignorava completamente queste cose. Ma la Tarleton non aveva di queste reticenze. - Una puledra? - No; un piccolo stallone con delle gambe lunghe due metri. Dovete venire a vederlo, Mr. O'Hara. È un vero cavallo Tarleton: rosso come i riccioli di Etta. - E le somiglia anche molto - soggiunse Camilla; e scomparve gridando in mezzo a un piccolo vortice di sottane, sottovesti e cappelli che si agitavano, mentre Etta, imbronciata, le dava dei pizzicotti. - Le mie puledrine sono tutte eccitate, stamattina - riprese la signora Tarleton. - Hanno cominciato ad essere impazienti da quando abbiamo avuto la notizia del fidanzamento di Ashley con quella sua cuginetta di Atlanta. Come si chiama? Melania? Dio la benedica, è una cara creatura, ma non riesco mai a ricordarmi né il suo nome né il suo viso. La nostra cuoca è la moglie del cameriere dei Wilkes e ierisera ha portato a casa la notizia che stasera si annunzierà il fidanzamento; Cuochetta ce lo ha detto stamane. E come vi dico, le ragazze sono tutte eccitate; non ne capisco la ragione. Tutti sappiamo da anni che Ashley avrebbe fatto questo matrimonio, a meno che non avesse sposato una delle sue cugine Burr di Macon. Tale e quale come Gioia Wilkes che è destinata a sposare suo cugino Carlo. Ma ditemi una cosa, Mr. O'Hara: è illegale per i Wilkes sposarsi fuori della loro famiglia? Perché nel caso... Rossella non udí il resto della frase pronunciata in mezzo a scoppi di risa. Per un attimo aveva avuto l'impressione che il sole fosse scomparso dietro a una nuvola densa, lasciando il mondo nell'ombra, scolorando tutte le cose. Il fresco fogliame parve morticcio, il còrniolo pallido, e il melo selvatico, di un rosso cosí bello pochi minuti prima, lugubre e sbiadito. Rossella ficcò le unghie nell'imbottitura della carrozza, e il suo parasole ondeggiò. Un conto era sapere che Ashley era fidanzato, ma un altro conto era udirne parlare cosí indifferentemente. Il coraggio però le ritornò rapidamente; il sole riapparve e il paesaggio divenne un'altra volta gaio e brillante. Ella sapeva che Ashley la amava. Questo era certo. E sorrise al pensiero della sorpresa della signora Tarleton quando, la sera, non sarebbe stato annunciato alcun fidanzamento; e piú ancora se vi fosse una fuga. E come parlerebbe dell'aria innocente con la quale Rossella aveva ascoltato i suoi discorsi su Melania, mentre intanto era d'accordo con Ashley... Questi pensieri fecero apparire le fossette sulle sue guance, mentre Etta, che stava osservando con curiosità l'effetto delle parole di sua madre, ricadde indietro sui cuscini con un'espressione leggermente perplessa. - Non siamo d'accordo, Mr. O'Hara - stava dicendo enfaticamente Beatrice. - Questi matrimoni fra cugini non sono una buona cosa. Trovo già un errore che Ashley sposi la figlia di Hamilton; ma che Gioia, poi, debba sposare quel Carletto pallido e smunto... - Gioia non troverà marito se non sposa Carlo - disse Miranda, crudele e sicura delle proprie attrattive. - Non ha mai avuto nessun altro corteggiatore. E lui non è mai stato molto carino con lei, benché siano fidanzati. Ti ricordi, Rossella, come ti stava intorno, a Natale... - Non far la pettegola, madamigella - la interruppe sua madre. - I cugini non si dovrebbero mai sposare fra loro; neanche i secondi cugini. Il sangue si indebolisce. Non è come per i cavalli. Potete unire una giumenta a suo fratello o uno stallone a sua sorella e avete ottimi risultati, se conoscete la razza; ma fra uomini la cosa non va. I figli potranno avere dei bei lineamenti, ma punto robustezza. E... - Qui, signora, non sono d'accordo con voi! Potete citarmi gente piú bella e robusta dei Wilkes? E si sono sempre sposati fra cugini, fin da quando Briano Boru era un ragazzo. - Ma sarebbe tempo che la smettessero, perché ora si comincia ad accorgersi del danno. Oh, non dico per Ashley, che è un bel ragazzo, quantunque anche lui... Ma guardate quelle due figliuole, che pena! Belline, senza dubbio, ma cosí pallide! E guardate la piccola Melania. Sottile come un crostino e tanto delicata che basta un soffio di vento a darle un raffreddore; e senza ombra di spirito. Non sa nulla di nulla. «Sí, signora! No, signora!» è tutto ciò che sa dire. Capite quello che intendo? Quella famiglia ha bisogno di un bel sangue vigoroso, come le mie testoline rosse o la vostra Rossella. Non mi fraintendete. I Wilkes sono persone simpatiche sotto tanti punti di vista e sapete benissimo che io voglio loro bene; ma siamo schietti! Sono troppo educati e anche poco naturali, non vi pare? Faranno buona figura su una carraia asciutta, ma badate a quello che dico: non credo che i Wilkes sappiano galoppare sulla strada infangata. Mi pare che non abbiano energia; e ritengo che non siano capaci di superare gli ostacoli che potrebbero presentarsi. Animali che hanno bisogno del bel tempo. Datemi un bravo cavallone che corra con tutti i tempi! E i loro matrimoni fra consanguinei li hanno resi diversi da tutti gli altri. Sempre a gingillarsi col pianoforte o sprofondati nei libri! Scommetto che Ashley preferisce leggere che andare a caccia! Sí, ne sono convinta, Mr. O'Hara! E guardate che ossa. Troppo sottili. Hanno bisogno di giumente e stalloni robusti... - Ah... hhum... - fece improvvisamente Geraldo, rendendosi conto che la conversazione, che per lui era adatta e interessante, non sarebbe sembrata tale a Elena. La quale non avrebbe mai perdonato se avesse saputo che le sue figliuole erano state esposte ad ascoltare dei discorsi cosí espliciti. Ma la signora Tarleton era, come sempre, sorda ad ogni altra idea quando si ingolfava nel suo tema favorito: l'allevamento, di cavalli o di uomini che fosse. - So quel che dico perché ho avuto dei cugini che si sono sposati fra loro e vi assicuro che i loro bambini vennero tutti con gli occhi sporgenti come dei ranocchi, povere creature! E quando la mia famiglia voleva che io sposassi un secondo cugino, mi impennai come un puledro. Dissi: «No, mamma. Non fa per me. I miei figli devono avere spalle e fianchi, da buoni galoppatori». La mamma svenne sentendomi parlare di galoppatori, ma io rimasi imperterrita e la nonna mi sostenne. Anche lei era molto pratica di allevamento di cavalli, e disse che avevo ragione. E mi aiutò a fuggire con Mr. Tarleton! E guardate i miei figli! Grandi e grossi e in buona salute, senza mai un raffreddore, benché Boys sia alto solo un metro e sessantacinque. Ora, Wilkes... - Non vi dispiacerebbe cambiare argomento, signora? - interruppe frettolosamente Geraldo che aveva notato lo sguardo sbalordito di Carolene e l'avida curiosità dipinta sul viso di Súsele e temeva che al ritorno a casa esse potessero rivolgere a Elena domande imbarazzanti le quali rivelerebbero che egli era un pessimo «chaperon». Fu lieto di notare che la sua Gattina sembrava pensare a tutt'altro. Etta gli venne in aiuto. - Ma sí, mamma, andiamo! - esclamò con impazienza. - C'è un sole che scotta e sento che mi stanno già venendo le lentiggini sul collo. - Un minuto, signora, prima di avviarci. Che cosa avete deciso di fare per i cavalli che vi abbiamo pregato di venderci per Io Squadrone? La guerra può scoppiare da un giorno all'altro e i ragazzi desiderano che la cosa sia sistemata. È uno squadrone della Contea di Clayton e noi desideriamo per loro dei cavalli di Clayton. Ma voi, creature ostinate, rifiutate di venderci le vostre belle bestie. - Forse la guerra non ci sarà - temporeggiò la signora, completamente distratta, ora, dal pensiero delle abitudini matrimoniali dei Wilkes. - Ma signora, non potete... - Mamma - interruppe nuovamente Etta - non potete, tu e Mr. O'Hara parlar di questo quando saremo alle Dodici Querce? - È giusto, miss Etta - annuí Geraldo - e non vi trattengo piú di un altro minuto d'orologio. Fra poco saremo alle Dodici Querce e tutti quanti, giovani e vecchi, vorranno sapere dei cavalli. Ma mi spezza il cuore vedere una brava signora come la vostra mamma cosí avara delle sue bestie! Dov'è il vostro patriottismo, Mrs. Tarleton? La Confederazione non ha nessuna importanza per voi? - Mamma - gridò Bettina - Miranda è seduta sul mio abito e me lo sgualcisce tutto! - Spingila perché si levi, e sta zitta. Quanto a voi, Geraldo O'Hara, ascoltatemi. - E i suoi occhi si accesero. - Non mi gettate in faccia la Confederazione! Reputo che essa abbia tanta importanza per me come per voi, avendo io quattro ragazzi nello Squadrone mentre voi non ne avete nessuno. Ma i miei ragazzi sanno badare a se stessi e i miei cavalli no. Li darei volentieri anche gratis, se sapessi che saranno cavalcati da ragazzi che conosco, signori abituati ai purosangue. No, non esiterei un minuto. Ma lasciare i miei tesori alla mercé di boscaioli e Crackers che sono abituati ad andare a dorso di mulo! No, signore! È un incubo per me il pensiero che siano sellati con selle umide e che non siano governati come si deve! Credete che io voglia affidare le mie bestie tenere di bocca a degli ignoranti, per vederle ridotte con la bocca insanguinata e rovinata; ignoranti che li frusterebbero fino a far perder loro ogni vivacità! Mi viene la pelle d'oca solo a pensarci! No, Mr. O'Hara; siete molto gentile chiedendo i miei cavalli, ma è meglio che andiate ad Atlanta a comprare per i vostri villani dei vecchi ronzini. - Mamma, vogliamo andare, per piacere? - Era Camilla che si univa al coro impaziente. - Sai benissimo che finirai col cedere e dare i tuoi tesori. Quando il babbo e i ragazzi ti convinceranno che la Confederazione ne ha bisogno, ti metterai a piangere e glieli darai. La signora Tarleton ridacchiò e crollò le spalle. - Non lo farò - disse poi, toccando leggermente i cavalli con la punta dello sverzino. La carrozza si mosse velocemente. - È una brava donna - disse Geraldo rimettendosi il cappello e riprendendo il suo posto a fianco del proprio veicolo. - Vai, Tobia. La persuaderemo e avremo i cavalli. Senza dubbio ha ragione. Ha ragione. Se uno non è un signore, il cavallo non è affar suo. Il posto per lui è in fanteria. Ma purtroppo, in questa Contea non vi sono abbastanza figli di piantatori per fare un intero Squadrone. Che avevi detto, Gattina? - Ti prego, babbo, di andare davanti alla carrozza o dietro. Sollevi una tal quantità di polvere che soffochiamo - rispose Rossella che sentiva di non poter sopportare piú a lungo la conversazione. La distraeva dai suoi pensieri; ed ella desiderava rendere questi e il proprio volto ugualmente simpatici prima di giungere alle Dodici Querce. Geraldo, ubbidiente, spronò il cavallo e si allontanò in una nube rossastra per raggiungere la carrozza dei Tarleton. Avrebbe potuto cosí continuare la sua conversazione di argomento equino.

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