Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbassato

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Lo stralisco

208483
Piumini, Roberto 3 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Il pittore, ascoltando, aveva abbassato le mani. Le riportò giunte alle labbra, e disse: — Non potremo certo far posare la monaca in chiesa: sarebbe indiscreto, e anche inutile... Quello che serve può esser fatto in altro modo. — Come, frate Filippo? — chiese la badessa, che ormai faticava a non mostrare godimento per quella pia cospirazione. — Ritrarrò la prescelta in sede separata, — disse Filippo con approvanti cenni del capo, quasi l'idea nascesse in quel momento. — Sarà utilissima prova, e assai piú riservata. — Si può fare, frate Filippo... C'è una piccola stanza luminosa che dà sul chiostro. E poi? — E poi... — indugiò il pittore, — poi, collaudata per così dire l'immagine, io la passerò sulla tavola grande, con le modifiche che il santo soggetto richiederà. Sarà quel volto, ma anche diverso... Nessuno vedrà lassú una monaca, ma solo una Madonna... — Che bel progetto, frate Filippo, — disse la badessa, con un sorriso ampio. — Ora, non resta che scegliere, tra le agnelle, quella piú adatta...

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Su uno sgabello al centro, a quattro passi dall'ingresso, sedeva suor Marta, con il volto abbassato e le mani posate, una accanto all'altra, sulla veste bruna. A sinistra, un poco piú indietro, sopra altro sgabello sedeva suor Caterina, assai piccola e provvista di baffi, con occhi neri e vispi, dedicati ad ogni movimento del pittore. Filippo si muoveva dal cavalletto al tavolo ingombro di svariati stracci, colori e pennelli, a metà tra porta e finestra: in modo da godere tutta la luce senza toglierne al modello nemmeno un raggio. — Suor Caterina, — disse senza alzare la faccia, rimestando in una ciotola, — io so bene che suor Marta non può dire né ricevere parola: sicché dico a te che sarebbe bello se alzasse il volto, giacché persino l'umiltà è superba, quando è troppa, e la pittura vuole piena visione. Arrossendo leggermente, suor Marta alzò il viso, mentre suor Caterina, incerta sulla risposta, e sul dover rispondere, si agitava sbuffando sullo sgabello con movimenti di un inquieto pappagallo sopra il trespolo. — Ma poiché avvengono i miracoli, suor Caterina, - disse Filippo guardando gli occhi della giovane, che però erano fissi alla soglia, — perché siano completi occorrerebbe dire a suor Marta di guardare o colui che dipinge, o almeno l'angolo destro alto di questa tela: qui, dove metto il dito. E mentre suor Marta, appena sbiancata, arrossiva di nuovo, il dito del frate si alzò allo spigolo dell'intelaiatura: e gli occhi di lei, nello spostarsi a quel punto, incontrarono gli occhi di Filippo, in un silenzio tumultuoso: poi si fissarono all'angolo della tela. — Ora, suor Caterina, — continuò pacato il pittore cominciando a toccare col pennello, — ora devi sapere che, come molti del mio mestiere, io sono assai portato a parlare durante l'opera... Di solito discuto con i miei compagni, giacché è lavoro di compagnia, e si parla e si scherza... Ma qui son solo: dunque parlerò con nessuno, o con me stesso, come fanno i pazzi, pur non essendo pazzo. Suor Caterina, dopo ancora un po' di quell'agitazione sul trespolo, sospirò: — E di che parlerai, frate Filippo? — Di nient'altro che la pittura, suor Caterina, — lui disse, senza levare gli occhi da suor Marta. — È tutto ciò che so ed amo, oltre la sacra fede, e soltanto di questo io so parlare. — Allora, sentiamo, — disse l'anziana monaca, sistemandosi definitivamente sullo sgabello: e la voce aveva un tono di compiacenza. — Io, sai, sono donna di poca sapienza, e non so altro latino che quello delle preghiere: ma se tu non parlerai in latino, mi piacerà sentir le storie di ogni cosa, che non offendano nome e legge di nostro Iddio: e se poi ci sono altre orecchie, e chiuderle non possiamo, staranno chiuse per conto loro: o sentiranno cose della pittura, che non mi pare possa far danno... — È quello che anch'io credo, suor Caterina, — sorrise Filippo, e dipingendo cominciò a parlare. Parlò di figura e paesaggio, dei modi degli antichi pittori e di quelli nuovi. Parlò delle meraviglie di Giotto, e dei colori, e delle sostanze per farli, e degli strumenti. Respirando ogni tanto a fondo, gli occhi fissi all'angolo alto della tela, suor Marta nulla faceva che mostrasse un ascolto. Suor Caterina, immobile come un bambino alla fiaba, a occhi sgranati seguiva liberamente il corpo del pittore, che a tratti appariva a tratti scompariva dietro l'ingombro quadro del cavalletto. Da argomento ad argomento, giunse Filippo a discorrere sulla pittura dei volti. — Il volto umano, suor Caterina, è certo il capolavoro visibile, se quello invisibile è l'anima: e anche, in verità, il più glorioso e difficile oggetto della nostra pittura... Poiché non basta a dipingere un volto, come potresti credere, sommare con decenza parte a parte, copiare linee e forme, ombre e colori: occorre prendere ogni cosa che quel volto contiene, il suo bello e il suo brutto, la sostanza di ogni suo tempo, il suo desiderio, la sua pace e la sua guerra... Il volto, suor Caterina, è l'abisso dell'anima, e non è mai uguale, nemmeno nel sonno più fondo. Non solamente, se bene rifletti, nessuno al mondo ha mai visto o vedrà un volto uguale ad un altro, ma nemmeno mai lo stesso due volte nella stessa persona, e ciò perché mille eventi ad ogni istante, combinati fra loro, lo mutano e trasformano, cosí come ogni foglia che cade, o nasce, muta infinitamente l'aspetto del bosco. Sicché grande stupore prende, considerando le cose, su come possa un amante riconoscere al mattino il volto della sua amata, o l'amata quello di lui, e non gridarsi invece, spaventati ed affranti: «Chi sei? Dov'è chi amavo?»... Se ciò non accade, io credo, è perché l'amore, come la pittura, si dedica assai piú all'anima dell'amato, al suo segno eterno e inconsumabile, che alla visibile superficie: e in qualche modo altrettanto fa la pittura. Essa prende sì, e fissa, il volto: ma lo fa nel momento eterno del suo mutare... La pittura, quando è buona, fa il ritratto non proprio al volto, ma all'anima che, volendo o non volendo, gli sta dietro nascosta... Se poi, suor Caterina, oltre al carattere, c'è in quel volto una bellezza, una bellezza che è luce di interna fiamma, il pittore non la coglierà come la bellezza del fiore, o della pietra preziosa, ma come va colta l'estasi d'un pensiero, la visione di un movimento pieno, forte, sterminato... L'inquietudine di suor Caterina si fece sensibile. Non tutto ormai comprendeva in quei passaggi, e certo aveva apprezzato piú gli elementari e leggendari racconti su Giotto e i poverelli, o su Duccio a Siena: però non osava chiedere, o protestare, come non avrebbe fatto con un predicatore arrivato da fuori a render di fuoco e passione la quaresima delle monache. — Se poi consideriamo, suor Caterina, — continuò il pittore, — che Nostro Signore, quasi malcontento di ogni sua altra creazione, ne ha voluto fare una perfetta e superiore, ci spieghiamo l'esistenza del volto di donna. E non di qualsiasi, giacché è sicuro che esistono catapecchie di volti, volti privati di ogni grazia e luce, rospini e caprini, volti acerrimi di streghe, di galline, adatti a popolare l'inferno: io parlo di quelli rari e fini, che il buon pittore, se alto è il soggetto, si sceglie... In essi la sapienza e bontà del creatore sono sparse senza avarizia, con esatta proporzione, desiderio e premio a se stessi: di fronte a quelli il pittore sta, prima e durante l'opera, con occhi attoniti: e piú che un naufrago affamato steso a spiare il passaggio di un pesce sul fondo, egli studia di cogliere col pennello il colore, la forma, l'amorosa figura... A stento suor Marta controllava il respiro. Lo sguardo inchiodato alternava spasimi luminosi a opacità briache. Le mani premevano più di prima, come a stirar pieghe, convulse, la stoffa della veste bruna. I piedi si muovevano, cercavano paese, sul cotto del pavimento. — Ché poi in un volto, suor Caterina, — incalzava Filippo, — come la fiamma è il centro della luce, gli occhi sono il centro della bellezza: perle di presenza, gocce divine d'assenso, laghi rotondi di pianto e di sorriso... La vecchia monaca corrugava la fronte, pizzicata dal tono ardente piú che dalle arcane parole. — E la bocca, sorella mia, come insegnano i maestri piú antichi dell'arte, è in generale, e ancor piú nel presente caso, medesima fonte dell'armonia... Come negli occhi sprofonda il desiderio di chi guarda, cosí la bocca sporge in muta promessa, nascenti parole, possibili baci: e questo lo disse anche Giotto, di cui prima narravo: ed ugualmente predicava, dipingendo la chiesa d'Assisi, che la forma e il colore delle labbra, rosa dischiusa, son la massima gioia ed estasi per il pittore, e l'uomo: come testimoniò anche il Beato Angelico, pittore e priore di San Domenico... Perseverando l'agitazione, suor Caterina stentava non solo a districare sacro e profano, ma a seguire la pura e semplice onda dell'argomento. E non poteva vedere, coperte com'erano, le arrossate orecchie di suor Marta: le quali avevan sentito, continuavano a sentire quel che c'era da sentire. E il cuore, piú invisibile ancora, la colpiva dentro. E il respiro peggiorava l'affanno. E lo sguardo, pur sempre fisso al dovere, non sentiva piú il desiderio di tornar basso.

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L'Imperatore dei Turchi, entrato per ultimo dal lato occidentale, provenendo dai vapori di luce dorata, si era accomodato sul seggio in oro massiccio, tempestato di cento rubini, al centro del salone, e con un corto cenno della voce aveva fatto alzare il volto abbassato di tutti. A una distanza di dieci passi, Gentile rinunciò a soddisfare il suo interesse e la sua curiosità di pittore sul volto del suo soggetto, aspettando future prossimità: ne ammirò la veste assolutamente bianca, il bianchissimo turbante e le brune mani aneliate. Notò, a distanza, un volto sottile, bruno e ossuto, una barba coltivata a siepe lungo la mandibola, il naso ampio e deciso, e gli occhi molto scuri. Ogni tanto, Gentile si distraeva dalla rispettosa ammirazione del Sultano, per tornare allo stupore del mosaico: tanto piú che Maometto non sembrava guardare lui piú di qualche altro fra i presenti: fissando un punto alto, davanti a sé, rimaneva seduto e immobile, con le mani inanellate appoggiate alle ginocchia. Si alzò allora un anziano Visir, che dopo un doppio inchino rivolto al Sultano, a Gentile e ai rappresentanti di Venezia, iniziò a proclamare con voce salmodiante: — Grande è la gloria di Allah il potente, ispiratore del nostro sovrano, vaso di infinite benedizioni, che con sapienza e generosità ci governa e ci guida... Gentile si perse nel panegirico, vagando con lo sguardo attorno al vecchio notabile, che avanzava lentissimo nella sua argomentazione. Guardò di nuovo il Sultano, fermo e, all'apparenza, concentratissimo; poi dedicò attenzione alle vesti dei Dignitari, che a prima vista sembravano tutte uguali, ma differivano in realtà per mille cose. Alcuni portavano giubbetti preziosi, lavorati finemente con cuciture di perle, altri avevano ricami sulle tuniche, in fili d'oro e argento; certi portavano in testa turbanti schiacciati, con cupole di cuoio, o rilevati e gonfi, fermati al nodo da borchie o gemme. — ... e lode alla gloriosa Signoria della Repubblica di Venezia, città degna di stare al fianco di Costantinopoli nel diadema della creazione, che con meravigliosa e solerte amicizia... Maometto, all'apparenza, ascoltava: ma come se la voce del vecchio provenisse dalla luce, un metro al di sopra della testa dei presenti. Di nuovo Gentile si distrasse, e senza frenare un sorriso pensò che l'Imperatore, contrariamente agli impazienti signori veneziani, non avrebbe avuto difficoltà a sopportare la posa per il ritratto. — ... e lode all'onorevolissimo e magnifico pittore Gentile Bellini, dalla cui mano e dal cui pennello escono, per fama generale, le meraviglie del disegno e dell'ornamento, tali da suscitare... Benché quella parte dell'infinito sermone lo riguardasse, e con tale solennità elogiatoria da imbarazzare chi fosse stato dieci volte più vanitoso e presuntuoso di lui, Gentile tornò a perdersi nei mosaici che, come un orizzonte di sogno, lo circondavano. Il sovrano, statua di se stesso, emergeva con il suo bianco nella confusa nube rossastra della luce e degli abiti. Non ancora del tutto riposato dal lungo viaggio per mare e per terra, Gentile sentí un denso torpore affacciarsi alla nuca, e le palpebre appesantirsi. Respirò profondamente, e si pizzicò con decisione la carne della coscia, sotto la veste, per lottare contro l'abbandono. Dopo un'ora il vecchio dignitario cessò di parlare: e benché il pittore non avesse ascoltato che a tratti il suo discorso, era certo che nulla era stato detto più di quello che già aveva detto il Doge, quando insieme a Giovanni lo aveva convocato. Pure, né Maometto né il Balio della Signoria, o alcuno dei presenti nel salone del palazzo imperiale, mostravano di pensare che una sola di quelle sonanti parole avrebbe potuto essere taciuta. Tutti, ad un cenno breve del Sultano, si alzarono e passarono a salutare l'ospite pittore: e tutti, nei loro inchini, pronunciavano lodi ed auguri, in uno strano filo di mormorio, che alle orecchie di Gentile divenne presto insignificante e vago come quello di una fontana, o un quieto stormire di fronde al vento della sera.

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Gambalesta

216097
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1947
  • Società Editrice Tirrena
  • Livorno
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Cuddu, credendo che quegli stesse per sparare, aveva abbassato la testa, turandosi le orecchie per non sentire il botto. - Morte a nessuno! - replicò il signore in tuba. - I birri saranno carcerati e processati per soddisfazione del popolo... Chi volesse torcer loro un capello, sarà fucilato! Colui che brandiva la pistola, si mordeva le mani: - Che rivoluzione è questa, se non si ammazzano i birri? - sbraitava. - Arrestatelo! - ordinò il signore in tuba. Compare Sidoro, afferratolo pel petto, toglieva di mano la pistola a quel furibondo, e cercava di calmarlo. - Vuoi andare in carcere? Rivoluzione senza sangue... Il comitato ha avuto quest'ordine... I birri saranno processati... Guarda! Spuntava dalla via di rimpetto un gruppo di gente armata, coi birri ammanettati, pallidi come cenci lavati, col terrore della morte negli occhi, barcollanti su le gambe, e diretti verso il carcere là vicino. Quel furibondo cominciò a sputarli. Compare Sidoro lo tratteneva a stento. - Viva l' Italia! Viva l' Italia! - gridarono soltanto coloro che facevano la rivoluzione. E il gruppo che conduceva i birri in carcere attraversò la piazza tra un silenzio profondo. Il cartellone venne affisso al muro, allato alla merceria di compare Sidoro, ed egli vi si piantò davanti da sentinella, col soffione in ispalla, tenendo a distanza i ragazzi. La bandiera già sventolava dalla finestra della casa di faccia. La bottega sottostante era stata sùbito trasformata in Corpo di guardia. Cuddu si avvicinava intanto a compare Sidoro. - Ero venuto, per la lettera... - gli disse sottovoce. - Non ce n' è più bisogno. Caso mai ti manderò a chiamare. Parecchi contadini si erano accostati a guardare il cartellone attaccato al muro; uno di essi lo compitava a stento: - Chi ruba, sarà fucilato! Chi ferisce o ammazza, sarà fucilato - ripeteva ad alta voce compare Sidoro. - Ora andrete al molino senza pagare la polizza... E non più colèra!... Tuo padre è morto di colèra; l' ho visto morire io - si era rivolto a uno dei contadini. - Gli buttarono il veleno dietro la porta... i birracci... Mah! Erano comandati, poveri diavoli!... Nuovo re, nuova legge! E riprendeva a passeggiare su e giù davanti al cartellone, come una sentinella, Cuddu, in due salti, era tornato a casa. Un gruppo di donne filavano, al sole, accanto a la sua porta, ragionando della rivoluzione. Una vecchia rammentava i fatti del quarantotto. La sera della festa di San Rocco, era parso il finimondo: fucilate di qua, fucilate di là; volevano ammazzare tutti i galantuomini e fare la repubblica. Ma i galantuomini si erano armati e avevano ammazzato Pietro Sgarro che intendeva di prendersi la roba di tutti e dividerla coi compagni. Lo avevano lasciato morto su la spianata della chiesa della Trinità, nero come il carbone... E ogni notte, chi passava pel sacrato, ne vedeva lo spirito che si dibatteva per terra, bestemmiando, e poi, precipitandosi dal muraglione, spariva... Cuddu si era fermato ad ascoltare; neppure sua madre si era accorta di lui. - Ora non ammazzano nessuno! - egli disse. - Chi ruba è fucilato! Chi ammazza è fucilato!

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