Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

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Teresa

678727
Neera 2 occorrenze
  • 1897
  • CASA EDITRICE GALLI
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Non dissero altro per tutta la strada prese entrambe dal freddo e dalla tristezza, coi veli abbassati sulla faccia e gli occhi semichiusi. Pochi furono quelli che giunsero al cimitero; un piccolo circolo si formò intorno alla fossa scavata di fresco, dove calarono lentamente la bare. - I morti non soffrono piú - disse Teresina volgendo altrove la testa. - No. È una consolazione. - Non soffrono piú, ma forse sentono ancora ... - È assurdo. La pretora disse questa parola distrattamente pensando a' suoi bambini che erano tornati indietro. Successe un lungo silenzio. Le due amiche rifacevano la strada. A un tratto Teresina sospirò così dolorosamente sotto il suo velo, che la pretora comprese subito dove andava quel sospiro. - È un pezzo che non hai notizie? - Dieci giorni! - esclamò Teresina, ascoltando con sbigottimento il suono della propria voce, sembrandole che dieci giorni pronunciati forte si raddoppiassero di lunghezza. - Sono molti nevvero? - Molti? non saprei; tutto è relativo ... - È andato a Milano. - Allora si capisce! - Ma no, non è una ragione. Tanto può scrivermi da Milano come da Parma. - Se è andato per affari ... - Sicuro. Ha tutti quei progetti in mente ... Passò un prete alto, ben vestito, colle calze pavonazze e le scarpe lucide ornate di grosse fibbie d'argento. La pretora urtò col gomito Teresina, sussurrando: - È Monsignore. La fanciulla gli volse uno sguardo indifferente. Di lì a poco incontrarono la signora Luzzi, con un cappellino bizzarro, fatto di stoffa d'oro. - Guarda! - esclamò la pretora. Ma la fanciulla questa volta non girò nemmeno il capo. Allora l'amica riprese il discorso di prima. - Tuo padre non s'è mai accorto che continui la corrispondenza? - Se lo sapesse, povera me. - La mamma però? ... - Oh! la mamma ... le dico tutto. - Fai bene - sentenziò la pretora - e sai perché la mamma ti compatisce? Perché è donna. Non c'è che le donne per comprendere l'amore. - Amano anche gli uomini però. - Sii ... alla loro maniera; ma non è mai come le donne. Incominciava a nevicare. Dal cielo tutto bigio cadevano le falde bianchissime, non molto larghe, fitte, quasi pungenti. - Dio che brutta giornata! - A casa ci riscalderemo. Teresina scosse la testa, quasi fosse persuasa di non potersi riscaldare mai piú. Aveva freddo nell'anima; sentiva una tristezza invincibile, sempre crescente, come un veleno che le circolasse a poco a poco nel sangue. "Che farà egli ora? Penserà a me? Sarà triste come me?", così sospirava colla bocca soffocata nel velo, oppressa da un irresistibile bisogno d'amore. All'imboccatura della via di San Francesco trovarono il procaccio Egli aveva una lettera per Teresina. - Allegra - esclamò la pretora. - Ora non avrai piú freddo. Le due amiche si lasciarono senza quasi salutarsi; l'una correva a vedere i suoi bambini, l'altra a leggere la lettera. "Non ti ho scritto prima, ma credi senza colpa. Appena giunto mi trovai ingolfato in un ginepraio d'affari e di divertimenti, di piaceri e di seccature che non mi lasciarono un momento libero. Non hai idea della vita giornalistica, come non puoi averla di Milano. Ho già fatto una quantità di conoscenze; ho trovato dei compatrioti, degli amici, dei compagni d'università. Tutte le sere vado a teatro. Alla Scala c'è uno spettacolo stupendo; la Wrozlinger è la piú bella prima donna che io abbia mai vista; anche il ballo è spettacoloso. Insomma mi vedi in estasi come un vero provinciale. Invece di una settimana prolungherò il mio soggiorno a tutto gennaio. Avvennero dei cambiamenti che non posso spiegarti per lettera; modifico i miei progetti relativi alla fondazione di un giornale. Persone competenti me ne hanno sconsigliato, almeno per ora. Non rinuncio però alla carriera di pubblicista; il mio avvenire è qui. Vorrei dirti mille tenerezze, ma sono interrotto. Domani, quando riceverai questa lettera sarò a pranzo della contessa Bernini, una parente degli Arese". Non c'era altro. Per quanto Teresina voltasse e rivoltasse il foglio da tutte le parti, la parola d'amore che essa cercava, Egidio non l'aveva scritta. Egidio si divertiva, Egidio era felice ... La sua tristezza crebbe del doppio, sentì tutto l'orrore dell'isolamento. Quegli amici, quei teatri, quei balli le rubavano il suo innamorato, e per quanto le sembrasse egoistica l'invidia, ebbe invidia di tutte quelle persone che lo vedevano, che parlavano con lui, che gustavano la gioia de' suoi sguardi e de' suoi sorrisi, che gli portavano via il tempo, i pensieri, la vita. Che valeva il suo ardente amore? che valevano quattro anni di pensieri non interrotti, di aneliti smaniosi, di aspettative agonizzanti, di insonnie, di torture, di martirio continuo? Eccola sola a piangere, sola a soffrire. Guardò la neve che continuava a scendere lentamente e le parve che tutta la cingesse di un mantello di ghiaccio. Rabbrividì, un vago desiderio di morte le attraversò il cervello, insieme al pensiero della povera donna che avevano seppellita allora. Poi si gettò sulla lettera, stringendola appassionatamente, cogli occhi pieni di lagrime, col cuore che le si schiantava fra l'amore e il dolore, mormorando tra i singhiozzi: - Egidio! Egidio! Egidio!

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Tenendo gli occhi abbassati, vedeva, di sghembo, i suoi lunghi baffi castagni che si agitavano lievemente, gettando un'ombra sulla bianchezza soda del mento. Pensava: Se fosse qui lui Univa l'anima dell'assente alle sensazioni materiali di quel momento. Il dottore provava forse qualche cosa di simile; presente col corpo, aveva l'immaginazione lontana. Fissava lo sguardo come chi ha davanti una visione, e tracciava colla sua canna delle lettere incomprensibili sull'arena. Senza sapere in qual modo avesse incominciato, si trovò a parlar d'amore. - Nei drammi e nei romanzi di una volta incontriamo spesso questa situazione: una donna cade nell'acqua, un uomo la salva, si amano. Ma come? Che ne sanno essi? Hanno provato a intendersi nei lunghi silenzi dove parla il cuore? Hanno pianto, hanno riso insieme? Sanno solamente come mangiano, come dormono? in qual modo il loro spirito si esilara e fino a qual punto vibrano i loro nervi? Difficilmente la bellezza che colpisce è quella che trattiene. L'amore, il vero, nasce da un complesso di circostanze, di affinità intime e continue. È un certo modo di guardare, di sentire, di esporre le idee; è una piega del labbro, la voce, il gesto, la forma della mano, l'odore della pelle. È l'attrazione prolungata dei corpi, per cui piú si sta vicini e piú si starebbe; è lo scambio rapido e completo dei pensieri; è l'afferrare insieme la stessa sensazione, il fondersi, il completarsi l'un l'altro in un assorbimento progressivo dell'anima e dei sensi ... - È vero, è vero. Cogli occhi chiusi, appoggiata al tronco di un alberello, Teresa mormorò ancora: - È vero! - Si sentiva cullata da quella voce, quasi addormentata nel suo eterno sogno d'amore; mentre la terra intorno a lei le mandava forti e selvaggie esalazioni e i fiori si rizzavano, opulenti; e l'erba, le foglie, ogni stelo ogni cespuglio odorava nella frescura umida della sera, imperlato dalle recenti goccioline. - ... L'amore è lo sguardo che vola ratto come il dardo, è la parola che il labbro balbetta appena, è il desiderio che l'emozione paralizza ... - È vero, è vero. Ella si sentiva morire in un rapimento di voluttà, nella delicata eccitazione di quella voce d'uomo che parlava d'amore. Bruscamente, il giovane tacque. La notte era scesa, fresca, dolcissima, piena di carezze. Raggiavano in cielo le prime stelle; il geranio notturno olezzava col suo profumo intenso, quasi carnale, protendendo i rami verso la luce argentea; e in quel silenzio cadevano le goccie lambendo le corolle, strisciando sui gambi, toccando terra con un piccolo rumore secco, che turbava i moscherini nel loro primo sonno, e faceva fuggire, spaurite, le lucciole di fiore in fiore. Quando il giovane tornò a parlare, la sua voce era cambiata, disse: - Buona sera - in fretta, afferrando un pensiero che gli era venuto nella dolcezza tentante di quella notte. Salutò, senza nemmeno guardare e sparve nelle ombre del portico. Teresa si scosse, strinse i denti, chiuse gli occhi e sospirando e sollevando le braccia al di sopra del capo, le stirò, con un abbandono al quale risposero tutte le sue fibre, gemendo. Nel salotto terreno, nell'umido e buio gineceo, il signor Caccia terminava i suoi giorni, confinato sul divanuccio dove la signora Soave aveva trascorsa tanta parte della vita, lagnandosi dolcemente cogli occhi volti al cielo. Egli finiva, battuto, vinto nelle sue forze maggiori; ridotto così gramo da dover implorare l'altrui compassione, spoglio d'ogni potere, in balia dell'unica figlia che gli era rimasta accanto. E quella figlia non era la prediletta; l'aveva anzi disconosciuta spesso, rendendola vittima del suo assolutismo. Si trovavano di fronte, soli, con tutto un passato che li divideva, coll'amarezza indistruttibile dei dolori sofferti. Tacevano, ma nel silenzio della figlia c'era forse un rimprovero; in quello del padre un rimorso - e piú che un rimorso, per quel carattere superbo, l'umiliazione di dovere a lei un prolungamento d'esistenza. La osservava, qualche volta, con un'ira sorda, qualche altra con un improvviso impeto di tenerezza. Teresa era calma. Non esagerava le dimostrazioni d'affetto; era attenta, docile. Compieva i suoi obblighi senza entusiasmo e senza fiacchezza, seria. Ma tutta la sua gioventù sfiorita sembrava rimasta nella casa, intorno a lei, in quelle pareti che l'avevano vista fanciulla, dove era caduto ogni giorno, ogni ora, come da una clepsidra, un raggio della sua bellezza; dove ella aveva assistito al succedersi degli anni, alle lente evoluzioni della famiglia e di se stessa. Guardava il suo passato nello stesso modo che avrebbe guardata un'altra persona, evocando la Teresina di quindici anni, così lieta, il giorno in cui era partita per Marcaria, su quello stradone lungo, tutto soleggiato, che non finiva mai, dove il sediolo di Orlandi correva in mezzo a un nuvolo di polvere. Ripensandoci, le pareva una profezia; egli le era passato accanto, fuggendo. Ah! come avrebbe voluto ricominciare la vita ora che la conosceva meglio. Quando era assalita da questo rammarico, si struggeva, con una melanconia acuta, con un livore che la rimescolava tutta, fino nei rimpianti lontani, fino nei desideri piú gelosamente custoditi che ella credeva domati per sempre. Le lunghe, le penosissime ore che trascorsero così, padre e figlia! - sempre uniti, dignitosi, sopportando fieramente il peso del loro dovere, trascinando l'odiosa catena delle consuetudini, degli affetti imposti. Una lettera di Carlino venne a portare l'ultimo colpo ai due che rappresentavano ancora l'unione della famiglia Caccia. Il giovane annunciava, brevemente, il suo matrimonio colla figlia di un oste, che egli aveva sedotta. Non una parola di scusa, non un atto di deferenza all'autorità paterna. Nulla. Era la volontà brutale di un uomo libero, che non ha bisogno di nessuno. Il signor Caccia ne fu scosso in modo da far pietà. Il medico, accorso per un peggioramento nello stato dell'infermo, disse subito che non si sarebbe riavuto da quel colpo. Infatti continuò a peggiorare, e sul principio d'autunno, avendo già perdute le facoltà della parola e della memoria, attaccato da paralisi al cuore morì. Tutti in paese credettero che Teresina andrebbe a stare colle sorelle; ma Teresina non si mosse. Assistí il padre fino all'ultimo sospiro, lo collocò nella bara, lo vegliò morto. Nel momento che lo portavano via, pianse. Poi riprese le abitudini tranquille, vagolando, come un'ombra nella casa deserta. Invano qualcuno, il dottore, la pretora, le vicine Ridolfi tentarono di farla uscire, di procurarle delle distrazioni. Ella rifiutò tutte le proposte, così calma, così fredda, che finirono col giudicarla insensibile. "Poveretta!" pensava la pretora "ha sofferto tanto che il cuore le si è indurito, non sente piú nulla". Pure, come risorsa estrema, valendosi dell'antica amicizia, la tentò un giorno dal lato dell'amor proprio, e le disse: - Ho paura che rassomigli davvero alla Calliope; non esci mai, tieni la casa sbarrata ... mettiti un po' a farmi gli sberleffi, vediamo se riesci. Ma anche da questa parte Teresina si mostrò invulnerabile. Un sorriso serio, profondamente malinconico, era la sua risposta a tutto ed a tutti. Passarono due mesi. Negli ultimi giorni dell'anno ricevette una lettera di Egidio. Egli era ammalato, povero, senza aiuto alcuno. Le scriveva come un figlio scriverebbe alla madre, con una fede illimitata. Teresa fece molte riflessioni su quella lettera, molte meditazioni, e per tutta la notte non dormì; e il giorno dopo tornò a riflettere e a meditare. La pretora, non vedendola, venne a prendere sue nuove. La trovò in camera, circondata da abiti, da oggetti di biancheria gettati alla rinfusa su per i mobili, con una valigia in terra, aperta. - Che cosa vedo? Ti decidi finalmente ad andare dai Luminelli? Teresa non rispose subito. Era molto preoccupata; ma dopo un momento, prese le mani dell'amica e parlando piano, con una gravità pensierosa: - Egli mi ha scritto. La pretora non comprese subito. Da sei o sette mesi non era stato pronunciato, fra loro, il nome di Orlandi. Non nascose quindi la sua meraviglia, al contrario l'accentuò: - Ti ha scritto ancora? Che vuole? - Nulla. La pretora crollò il capo. Teresina soggiunse: - È ammalato. - Ah! - Solo. La pretora questa volta non pronunciò sillaba. Successe un silenzio, breve, penoso. Teresa piegava un abito sul letto, dando le spalle all'amica. Rapidamente, come si strappa un dente, disse: - Vado via domattina. E si voltò, coll'abito sul braccia. Gli sguardi delle due donne si incrociarono. La pretora aveva compreso. Tacque un momento, intanto che Teresa assettava la valigia. Quand'ebbe finito, per impulso simultaneo si appoggiarono tutte e due al letto, serie e commosse: - Hai riflettuto? - Sì. - E sei decisa? - Decisa. La pretora tentò la via del sarcasmo, dicendo con un sorriso freddo: - Vai a fare l'infermiera! - Quel che Dio vuole - rispose Teresa. Allora l'altra riprese: - Che cosa penseranno le tue sorelle, tuo fratello? Si strinse nelle spalle. - La gente? - Oh! la gente poi ... E sorrise col suo sorriso malinconico, al quale si aggiunse una punta di ironia. - Tuttavia ... se mi facessero delle osservazioni, a me, tua amica? - Ebbene dirai ai zelanti che ho pagato con tutta la mia vita questo momento di libertà. È abbastanza caro nevvero? Tornò a sorridere e si lisciò colle mani - due piccole manine di cera gialla - i capelli che incominciavano a perdere i riflessi bruni. La pretora restò con lei quasi tutto il giorno. All'indomani mattina, tutta vestita di nero per il lutto, con un velo che le nascondeva mezza la faccia, Teresa chiudeva la porta della sua casa. L'amica, fedele fino all'ultimo, le era vicina. - A rivederci, a rivederci, sai? - Speriamo - rispose Teresa, con accento profondo, già impressionata dei misteri del futuro. Don Giovanni Boccabadati, tutto ravvolto in una pelliccia, mise il capo alla finestra. Teresa si ricordò il giorno in cui egli pure era partito, partito col sole e colle rondini, in un mattino di primavera. - Hai una brutta giornata - disse la pretora. Ella guardò in alto, con indifferenza, e s'avviò coll'amica verso la stazione. Prima di entrare nella sala d'aspetto, si fermarono ancora qualche istante per salutarsi, per rinnovare la raccomandazione di scriversi. Nel momento che Teresa varcava la soglia, avendo già consegnato il biglietto, l'amica le si slanciò contro, abbracciandola. Voleva dirle qualche cosa ancora, ma ammutolì nell'amplesso. Si guardarono intensamente, senza profferire una sola parola. - Partenza! partenza! La pretora corse al cancello che chiudeva la via ferrata. Fu in tempo a vederla un'ultima volta. Si salutarono colla mano e cogli occhi, finché fu possibile. Poi il velo nero di Teresa cessò di fluttuare allo sportello del carrozzone; il treno si mosse. Nevicava. 101

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