Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbassate

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Donnine a modo

193988
Camilla Buffoni Zappa 1 occorrenze
  • 1897
  • Enrico Trevisini - Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Ciò non vi dispensa dal saluto: se siete sullo stesso marciapiede potete fermarvi un momento, se sultro abbassate la testa in segno di saluto; se avete bisogno di parlare con essi attraversate la strada, ma non parlate mai dall'uno all'altro marciapiede. 29. Se incontrate un'amica di vostra madre per la via, non vi permettete di fermarla, ma fermatevi se essa ve ne invita; non l'interrogate, ma rispondete alle sue interrogazioni. Se non fa cenno di fermarsi abbassate la testa in atto di saluto. 30. Abbassate la testa dinanzi a qualsiasi signora e vecchio che frequenti la vostra casa, anche se questi non facessero cenno di avervi vedute; non salutate giovani amici dei vostri fratelli, o comecchessia conoscenti vostri, se prima essi stessi non si sieno scoperto il capo per riverirvi. A questo saluto rispondete col solito cenno del capo, ma senza sorriso, che solo potete fare ad un membro della vostra famiglia. 31. Non leggete in istrada per carità: quest'abitudine brutta negli adulti, antipatica nei giovanetti, è addirittura ridicola in una signorina. 32. Se trovandosi in istrada con una persona di servizio aveste smarrita la via, fate che essa, non voi, si rivolga a una guardia municipale per chiedere di essere orientata; non permettete che lo domandi al primo che incontrate. 33. Evitate sempre di trovarvi nella folla, ma se involontariamente vi capitaste, se appena appena sapete di un'altra via che potete percorrere abbandonate quella ove tanta gente si è radunata, se ciò è impossibile aspettate tranquillamente che quell'onda umana si diradi, e non fate, per carità, a gomiti per passare. 34. Certo qualche volta avrete occasione di andare in un cimitero; qualunque sia la ragione che vi guida ricordatevi che è un luogo sacro; quindi è assolutamente proibito dal cuore e dall'educazione di schiamazzare, di ridere, di criticare le epigrafi, di cogliere fiori. 35. A proposito di cimiteri, un'altra parola: se di recente aveste persa una persona carissima, piuttosto di dar spettacolo in pubblico del vostro dolore con grandi lagrime astenetevi dalla visita alla sua tomba, sino a che il tempo avrà lenito la prima angoscia, e vi sentirete di poterla visitare col cuore addoloratissimo ma l'aspetto calmo, che è un rispetto alla stessa sciagura che vi ha colpite. 36. Dietro un funerale andrete in abiti scuri, e serberete un contegno serio e dignitoso, come si conviene alla maestà della morte. 37. Se un povero vi chiede l'elemosina, e non gliela potete fare, rispondete con bel garbo, in modo da non mortificarlo; ricordatevi che non di soli quattrini si benefica un infelice. 38. Avevo una nonna che mi adorava, e temeva continuamente mi potessi far male: ebbene, quando uscivo con lei mi divertivo ad aspettare l'imminente passaggio di una vettura per attraversare la via. La povera signora emetteva grida ch'io odo ancora dopo tanti anni; io penso ora che ero una cattiva e male educata bambina, e vi scongiuro di non imitarmi. 39. Se incontrate per via due guardie che tengono fra loro uno o più individui ammanettati, tirate diretto per la vostra via senza dar segno di averli veduti. Quei miseri benchè colpevoli, anzi per questo, sono infelici, e la pietà verso la sventura è la più bella patente di animo delicato e di educazione squisita. 40. Non vi diportate altrimenti se incontrate un ubbriaco. 41. Una fanciulla non stende mai la mano a nessuno, ma non la rifiuta se la persona che gliela porge frequenta la casa de'suoi genitori. 42. Ventaglio, manicotto vanno tenuti compostamente, non dimenticati qua e là nei negozi, alla scuola, in casa di amiche, ecc. 43. Per il parasole valga quanto dissi per l'ombrello. 44. Le signorine per bene rispettano tutto ciò che non è di loro proprietà più delle cose che a loro appartengono; quindi non toccano mai ciò che sta esposto nelle vetrine, nè sul banco del negozio ove fossero entrate, nè in qualsiasi altro luogo.

Pagina 38

Una notte d'estate

249548
Anton Giulio Barrili 1 occorrenze
  • 1897
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Una testina aggraziata su di un collo morbidamente flessuoso, incorniciata di capelli neri lucidi, che in ciocche leggermente increspate si rigiravano con una semplicità virginea sovra gli orecchi di madreperla; il viso di un ovale purissimo, vero impasto di latte e di rose, con un tocco di rosso vermiglio sulle labbra, con due linee sottili di nero d'ebano sugli archi delle orbite abbassate, che non consentivano di vedere, ma lasciavano intravedere dalla ampiezza loro e dalla loro profondità lo splendore degli occhi; e su quel bianco rosato della carnagione di un fior diffuso di pesche sul ramo, non ancor brancicate dall'uom della villa; tale era la apparizione che il signor Ascanio contemplava estatico, non osando trarre il fiato, nè quasi battere le palpebre. Così, dugento cinquant'anni prima d'allora, un altro rintontito, dal vano della sua stessa finestra, aveva contemplato nel vano di un'altra, e forse proprio di quella. Ma che sciocco, il signor Ascanio, ad essere stato sei mesi in quel suo alloggio, senza accostarsi mai alla finestra del suo studio, senza mai mettere il naso fuori di là! Quando deve accamparsi, il buon generale studia il terreno intornò a sè, per saper bene dove si trovi, per non esser colto alla sprovveduta, nè di qua, nè di là. Dovunque si vada ad abitare, bisogna conoscere gli approcci, sapere che vicini si hanno, e che vicine, per Bacco. Vedete, infatti; c'era lì una bellissima creatura ch'egli non sapeva decorare del suo riverito nome e cognome, che egli non aveva mai vista prima d'allora. Sicuro, egli che aveva la sua Genova sulla punta delle dita, egli che a teatri, a feste, a passeggiate aveva imparato a conoscere tutte le bellezze, giovani, mature e stagionate della Superba, egli non conosceva quella sua stupenda vicina. Fiore modesto e casalingo, naturalmente; e se ne stava nel suo vaso, come il Gladiolus Inarimensis, contento di risplendere nell'aura quieta del suo davanzale al secondo piano, dove non giungevano gli occhi del viandante a indovinarlo, o, se pure ci fossero giunti per caso, avrebbero fatto prendere un torcicollo al loro legittimo padrone, quando egli fosse consigliato di volgersi lassù troppo spesso. Ah, spadacciòla d'Ischia! spadacciòla d'Ischia! Come voleva metterla lui alla moda, facendone venire di tutte le varietà, da tutti i giardini d'Italia! A buon conto, sarebbe andato quel giorno medesimo dal cavalier Bucco, suo grande amico e gran giardiniere nell'orto botanico della Università genovese. - Signor Giovanni, gli avrebbe detto, signor Giovanni, mio riverito, spadacciòla d'Ischia vuol essere. Me ne dia una pianta, se l'ha; me la trovi ad ogni costo, se non l'ha. Una spadacciòla d'Ischia, o la morte. Così era lui, lo sapete, impetuoso, impaziente, matto come quattro cavalli. Ah, la bella vicina non avrebbe indugiato molto a vedere un Gladiolus Inarimensis sul davanzale del vicino. Doveva egli collocarlo quel medesimo giorno? O nella notte, perchè facesse più colpo la mattina seguente? Per intanto, la bella vicina aveva veduto il vicino matto. Si era fatta rossa, vedendosi osservata da quegli occhi fissi, che avevano tutta l'aria di volersela sorbire, e si era ritirata a fronte china; ma dopo essere rimasta ancora qualche minuto secondo, per non parere una sciocca, vergognosa o scontrosa. Ed egli aveva approfittato di quella sosta, per salutarla rispettosamente; ed ella aveva risposto all'atto cerimonioso con un cenno cortese del capo. Addio, luce! Per un poco di tempo non avrebbe più avuta la sorte di vederla. Così pensando, il signor Ascanio si ritrasse a sua volta, per ripigliare la sua conversazione con Tribolino. Capiva già che lo spiritello impertinente si sarebbe preso spasso di lui. Facesse a sua posta; perchè, celiando e ridendo, gli parlasse di lei. Ma il folletto non era più là, sulla catasta di Grevii e dei Gronovii; nè gli era dato di scovarlo altrove, per quanto guardasse a destra e a sinistra, e in alto e in basso. Neanche gli venne sott'occhio la cassa minuscola, col minuscolo martello; due notabili arnesi, che egli ben ricordava dove li avesse veduti ancora, quando Tribolino era venuto d'un salto a collocarsi sulla sua scrivania. - Tribolino! - gridò. - Tribolino! - Nessuna risposta; nè di parole nè di risate. Non scricchiolavano neanche i mobili, che, si capisce, si fanno vivi solamente di notte. - Genius Ioci! - ripigliò, dopo una breve pausa. - Agathôs daimon... kakòs daimon, che il diavolo ti porti! Ma che modo di trattare è il tuo? - Sempre così, i folletti; quando non ne avete bisogno, vengono a rompervi le scatole; quando li cercate, sono spariti, e non c'è verso di farli tornare. Un colpettino secco si udì, ma sull'uscio dello studio. Il signor Ascanio tralasciò subito di taroccare.

Pagina 157

Cerca

Modifica ricerca