Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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I PREDONI DEL SAHARA

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Salgari, Emilio 4 occorrenze

Il terreno scendeva sempre più rapido e le piante portavano già le prime tracce dell'arsura del deserto: apparivano tisiche, colle foglie giallicce e abbassate, coi rami deboli ed i tronchi esili. Ad un tratto, allo svolto d'una gola, il marchese ed i suoi compagni videro distendersi una pianura ondulata, coperta di sabbie e di magri cespugli, che si perdeva in un orizzonte color del fuoco a strisce fiammeggianti. "Il deserto!" esclamò Ben Nartico. "Col suo simun," aggiunse Rocco. "Guardate quella nuvola immensa che s'avanza al di sopra delle sabbie." "T'inganni," disse il marchese. "Se il simun soffiasse si vedrebbero tutte queste colline sabbiose in movimento." "Cos'è dunque quella nuvola? Che nel deserto piova? Eppure mi hanno detto che non cade mai una goccia d'acqua." "Altro errore, mio bravo Rocco." "Come! l'ho letto sui libri." "Ebbene, quei libri hanno mentito perché anche nel Sahara piove, è vero, Ben?" "Sì, marchese, fra il luglio e l'ottobre qualche acquazzone cade, solamente però in certe località del deserto. In altre passano talvolta dieci e anche quindici anni senza che una goccia scenda ad inumidire le sabbie." "Eppure quella è una nube e anche molto oscura," insistette il sardo. "La vedrebbe anche un cieco." "Dubito che siano vapori acquei," disse Ben Nartico, il quale la osservava attentamente. "C'è da compiangere quel povero vecchio che abbiamo lasciato or ora," disse in quell'istante El-Haggar, accostandosi. "E perché?" chiese il marchese. "Fra due o tre ore non gli rimarrà un filo d'erba per nutrire i suoi montoni e anche la foresta perderà le sue foglie. È bensì vero che si compenserà facendo delle abbondanti scorpacciate di cavallette." "Di cavallette, hai detto?" chiese Nartico. "Si, perché quella nube che s'avanza verso di noi è formata da milioni e milioni di quei piccoli animaletti. Le uova sepolte fra le sabbie si sono schiuse e le locuste, affamate, si gettarono sul Marocco portando dovunque la desolazione." "E non sono capaci d'arrestare l'invasione i vostri compatrioti?" chiese Rocco. "In quale modo?" "Accendendo grandi fuochi e mandando incontro alle cavallette reggimenti di contadini." "Non servirebbero a nulla," disse il marchese. "Tu non puoi farti un'idea della quantità enorme di locuste che piombano sulle campagne. Vedrai come queste piante verranno spogliate in pochi minuti. Non rimarrà più né una foglia, né un filo d'erba. Un uragano, una tromba, un ciclone sono niente in paragone ai danni che commettono le emigrazioni di questi animaletti." "Anche da noi se ne vedono, ma si arrestano, signore." "Non sempre, mio caro Rocco. Anche in Europa abbiamo avuto invasioni gigantesche che hanno distrutto i raccolti di province intere; invasioni ricordate dalla storia. "Nel 1690 per esempio, la Lituania e la Polonia furono invase da tali bande di locuste, che i rami degli alberi si piegavano fino a terra, mentre i campi erano coperti di strati alti non meno di un metro." "Che gioia per quei contadini!" "Perdettero tutto, perfino le radici delle piante, e le loro case furono invase da tali quantità di locuste che essi furono costretti a fuggire." "Un vero disastro!" disse Ben. "Anche la Francia nel 1613 si vide rovinare addosso un simile flagello che distrusse i raccolti di parecchie province e che costò somme rilevanti spese per sbarazzarsi da quei minuscoli invasori. La sola Marsiglia spese non meno di trentamila lire per assoldare gente onde li cacciasse in mare. "Nel 1750 invece comparvero nella Transilvania e così numerose che si dovette mandare un corpo di millecinquecento soldati per distruggerle." "Ecco l'avanguardia che arriva," avverti Ben Nartico. "Prima che ci piombino addosso inoltriamoci nel deserto. Dove non vedono verdura non calano." I cammelli, per un istante arrestati, scesero gli ultimi burroni, inoltrandosi con sufficiente rapidità fra le sabbie. Le prime colonne di locuste giungevano già tenendosi a cinquanta o sessanta metri dal suolo. Erano battaglioni, stretti in modo da intercettare perfino la luce del sole e altri li seguivano formando, con lo sbattere delle loro alette, un rumore strano che si sarebbe potuto paragonare al rombo che produce un salto d'acqua. "Quante sono?" si chiese Rocco, il quale guardava, con stupore, quelle immense bande volteggianti sopra la carovana. "E non poterle distruggere! Pare impossibile!" "E anche uccidendole crederesti tu che sarebbe evitato ogni pericolo?" disse il marchese. "Si salverebbero le campagne, ma quante vite umane si spegnerebbero! Lascia che quelle enormi masse si corrompano sotto questo ardente calore, e si svilupperebbe presto il colera o la peste." "È vero, marchese," disse Ben Nartico. "Molti secoli or sono, appunto sulle coste dell'Africa settentrionale, un numero sterminato di cavallette veniva spinto, da un vento furioso, nel Mediterraneo. Le onde però poco dopo rigettarono alla spiaggia quelle legioni e l'aria si infettò talmente da sviluppare una tremenda pestilenza. "Si dice che morissero ben ottocentomila abitanti, compresi trentamila soldati di guarnigione nella Numidia." "È meglio che divorino le campagne," disse Rocco. "E che noi ce ne andiamo o la carovana di Beramet andrà tanto innanzi che non potremo più raggiungerla. "Signori, salutiamo il deserto!" Pochi minuti dopo, uomini e cammelli calpestavano le ardenti sabbie del Sahara, mentre i battaglioni di locuste continuavano a volare in ranghi sempre più fitti, producendo una forte corrente d'aria ed un rombo incessante.

"Abbassate il cappuccio onde non s'accorgano che siete una donna, avvolgetevi bene nel caic e seguitemi." "Andiamo alla kasbah?" chiese Esther, con voce tremante. "Sì, signora. In un quarto d'ora noi vi saremo." Aizzarono il cavallo e l'asino e si diressero verso i quartieri centrali della città, scegliendo le vie meno frequentate. Essendovi festa in tutte le case, la festa della carne di montone, pochissime erano le persone che s'incontravano e quelle poche non erano che dei miserabili negri che non potevano certo dare impiccio. Nondimeno per maggiore precauzione El-Haggar aveva pure alzato il cappuccio, in modo da nascondere buona parte del viso, quantunque fosse più che certo di non aver lasciato tempo ai kissuri di riconoscerlo. Già non distavano dalla kasbah più di cinquecento passi, quando udirono tuonare in quella direzione un pezzo d'artiglieria. "Il cannone!" esclamò El-Haggar, trasalendo. "Ah! Signora! Disgrazia!" "Perché dici questo?" chiese Esther, impallidendo e portandosi una mano al cuore. "Il marchese ed i suoi compagni devono essersi rifugiati nel minareto del padiglione, signora." "E tu credi ... " chiese la giovane con estrema angoscia. "Che dirocchino a cannonate il minareto per costringerli alla resa." "Gran Dio! El-Haggar!" "Coraggio, signora: venite!" Sferzò l'asino costringendolo a prendere un galoppo furioso e pochi minuti dopo giungeva, sempre seguito da Esther, sulla piazza della kasbah, di fronte ai due padiglioni. La lotta era finita. Non si scorgevano che pochi curiosi che stavano radunati dinanzi alla finestra del padiglione più piccolo, osservando una larga pozza di sangue. I kissuri del sultano erano invece scomparsi. El-Haggar guardò il minareto e vide che un angolo della base era stato diroccato, probabilmente da una palla di non piccolo calibro. "Signora," disse con voce tremante, "sono stati presi." Esther vacillò e sarebbe certamente caduta dalla sella se il moro, accortosene a tempo, non l'avesse sorretta. "Badate, signora," le disse. "Ci osservano e se nasce loro qualche sospetto, prenderanno anche noi." "Hai ragione, El-Haggar," rispose la giovane reagendo energicamente contro quell'improvvisa commozione. "Sarò forte. Informati di ciò che è avvenuto. Ah! Mio povero Ben! Povero marchese!" Il moro, vedendo un vecchio dalla barba bianca che attraversava la piazza, camminando quasi a stento, gli si accostò. "È successo qualche grave avvenimento?" gli chiese, facendogli segno d'arrestarsi. "Ho udito tuonare il cannone." Il vecchio si fermò guardandolo attentamente, quasi con diffidenza. Era un uomo di sessanta e forse più anni, col volto rugoso ed incartapecorito, il naso ricurvo come il becco dei pappagalli, gli occhi neri e ancora vivissimi. Non pareva che fosse né arabo, né un fellata e tanto meno un moro a giudicare dal colore della sua pelle molto bianca ancora. "Eh, non sapete?" chiese il vecchio, dopo d'averlo guardato a lungo. "Hanno preso degli stranieri e anche un ebreo." Aveva pronunciato l'ultima parola con un accento così triste, che il moro ne era stato colpito. "Anche un ebreo?" chiese El-Haggar. "Sì," rispose il vecchio con un sospiro. "Che cosa avevano fatto quegli stranieri?" "Io non lo so. M'hanno detto che si erano rifugiati su quel minareto dove opponevano una disperata resistenza, minacciando di precipitare sulla piazza un marabuto che avevano sorpreso lassù." "Hanno poi effettuato la minaccia?" "No, perché i kissuri hanno bombardato il minareto, costringendoli ad arrendersi subito. Se avessero resistito ancora pochi minuti, tutta la costruzione sarebbe precipitata e gli stranieri insieme." "Dunque sono stati presi?" "Si, e anche quel disgraziato israelita." "V'interessava quel giovane ebreo?" chiese El-Haggar. Il vecchio invece di rispondere guardò nuovamente il moro, poi gli volse le spalle per andarsene. "Non così presto," disse El-Haggar, prendendolo per un braccio. "Vi ho scoperto." "Che cosa dite?" chiese il vecchio, trasalendo. "Voi compiangete quel vostro correligionario." "Io, ebreo?" "Silenzio, potreste perdervi e perdere anche quella giovane che monta quel cavallo. È la sorella del giovane ebreo che i kissuri hanno arrestato." "Voi volete ingannarmi." "No, non sono una spia del sultano," disse il moro, con voce grave. "Quella giovane è la figlia di Nartico, un ebreo che ha fatto la sua fortuna in Tombuctu." "Nartico!" balbettò il vecchio. "Voi avete detto Nartico! ... Chi siete voi dunque? ... " "Un servo fedele degli uomini che sono stati presi dai kissuri." "E quella donna è la figlia di Nartico? ... Del mio vecchio amico? ... " "Ve lo giuro sul Corano." Un forte tremito agitava le membra dell'ebreo. Stette alcuni istanti senza parlare, come se la lingua gli si fosse paralizzata, poi facendo uno sforzo, balbettò: "Alla mia casa ... alla mia casa ... Dio possente! La figlia di Nartico qui! ... Il figlio prigioniero! Bisogna salvarlo ... Venite! Venite! ... " "Precedeteci," disse il moro con voce giuliva. "Noi vi seguiamo." Raggiunse Esther la quale attendeva, in preda a mille angosce, la fine di quel colloquio e la informò di quella insperata fortuna. "È Dio che ce lo ha mandato," disse la fanciulla. "Quell'ebreo, che deve essere stato un amico di mio padre, salverà il marchese e mio fratello." "Ho fiducia anch'io in quell'uomo, signora," rispose El-Haggar. Raggiunsero il vecchio, il quale si era diretto verso una viuzza assai stretta, fiancheggiata da giardini e da casupole di paglia e di fango abitate da poveri negri, tenendosi però ad una certa distanza onde non suscitare dei sospetti. L'ebreo pareva che avesse acquistato una forza straordinaria; camminava con passo rapido e senza servirsi del bastone. Di quando in quando si arrestava per osservare Esther, poi riprendeva il cammino con maggior velocità. Attraversò così quattro o cinque viuzze e si arrestò dinanzi ad una casetta ad un solo piano, di forma quadrata, sormontata da un terrazzo e ombreggiata da un gruppo di superbi palmizi. Aprì la porta e volgendosi verso Esther disse: "Entrate nella casa di Samuele Haley, vecchio amico di vostro padre. Tutto quello che possiedo è vostro; consideratevi quindi come la padrona."

I kissuri si erano precipitati verso il sardo colle lance abbassate, urlando "Giù quell'arma! Arrenditi!" "Eccovi la risposta!" tuonò Rocco. Si slanciò innanzi maneggiando la pesante scimitarra come se fosse un fuscello di paglia, si coprì con un fulmineo mulinello, poi con due o tre colpi ben aggiustati tagliò le lance che gli minacciavano il petto. I ferri caddero con rumore, balzando a destra ed a sinistra, lasciando nelle mani dei loro proprietari dei semplici bastoni. "È fatto!" gridò l'isolano. "Volete ora che vi faccia a pezzi? La lama taglia come un rasoio." "Bravo Rocco!" esclamò il marchese. I kissuri, stupiti e spaventati da quel vigore straordinario e dalla rapidità di quei colpi, si erano gettati indietro, aggrappandosi dinanzi al vizir più morto che vivo. "Andiamocene, signori," disse Rocco. "Conquisteremo la kasbah." Disgraziatamente quelle grida e quei colpi erano stati uditi dai kissuri che vegliavano nelle sale attigue. Immaginandosi che qualche cosa di grave fosse accaduto nella stanza del vizir, erano accorsi in buon numero e non tutti erano armati di sole lance, perché alcuni avevano avuto la precauzione d'armarsi di moschettoni e di pistole. Rocco aveva appena tagliate le corde dei compagni, che l'orda, composta d'una ventina di guerrieri, si scagliava nella stanza mandando urla da belve feroci. Il marchese e Ben avevano raccolto le lame di due lance per servirsene come pugnali e si erano messi ai fianchi del sardo, il quale maneggiava la scimitarra così terribilmente, da temere che volesse accoppare tutti, il vizir compreso. Vedendo quell'ercole balzare innanzi, urlando come un ossesso, e troncare con pochi colpi le lance che gli erano state puntate contro, i kissuri si erano arrestati. Uno di loro, però, più coraggioso, quantunque avesse perduto la sua arma, gli si gettò addosso coll'intenzione di ridurlo all'impotenza. Rocco lo afferrò colla mano sinistra, lo sollevò come fosse stato un fanciullo e lo scagliò in mezzo agli assalitori, facendogli fare un superbo volteggio. Fu un vero miracolo se il disgraziato guerriero non si fracassò il cranio sul pavimento di mosaico. Dinanzi a quella prova d'un vigore così straordinario, i kissuri erano rimasti come storditi, guardando con terrore il gigante. Il loro stupore non doveva però durare a lungo. Incoraggiati dal vizir e ricordandosi d'aver delle armi da fuoco, le puntarono risolutamente verso i tre prigionieri, intimando loro di arrendersi. "Basta, Rocco," disse il marchese, gettando il ferro di lancia. "Queste canaglie sono più forti di noi." "Ci uccideranno egualmente più tardi, signore," disse il sardo. "Chissà cosa potrà succedere poi, amico. Disarma: stanno per fare fuoco." Il sardo scagliò la scimitarra contro la parete e con tale furia da spezzare in due la lama. I kissuri li avevano subito circondati, però non osavano ancora porre le mani su Rocco delle cui formidabili braccia conoscevano ormai la potenza. "Conduceteli via," disse il vizir, il quale non si era ancora rimesso dal suo spavento. "Questi sono demoni vomitati dall'inferno." "Sì, demoni che ti torceranno il collo se cercherai di farci del male," disse il marchese. "Via! Via!" ripeté il vizir, con voce tremante. "Andiamo," disse Rocco. "Però il primo che cerca di legarmi lo accoppo con un pugno." I kissuri si strinsero attorno ai prigionieri tenendo le pistole ed i moschettoni puntati e li fecero uscire dalla sala. Attraversarono una lunga galleria, sostenuta da bellissime colonne di stile moresco, e con ampie finestre che guardavano sui giardini della kasbah, poi aprirono una porta massiccia, laminata di ferro e li invitarono ad entrare. Si trovarono in una saletta a volta, colle pareti coperte di lastre di pietra, illuminata da una feritoia tanto stretta, da non permettere il passaggio nemmeno ad un gatto, e difesa da due grosse sbarre di ferro. Il mobilio si componeva di tre vecchi angareb e di due enormi vasi di argilla ricolmi d'acqua. "Ecco una prigione a prova di lime e anche di bombe," disse il marchese. "Il vizir ha preso le sue precauzioni per impedirci d'andarcene." "Eh, non si sa," disse Rocco. "Queste sbarre si possono piegare e strappare." "E poi?" chiese Ben. "E allargare il buco." "Non abbiamo né scalpelli, né martelli, mio povero Rocco," disse il marchese. "Se si potessero strappare queste lastre di pietra!" "Mio caro ercole, non ci rimane che rassegnarci e attendere qualche miracolo." "Su chi sperate?" chiese Ben. "Su vostra sorella e su El-Haggar," rispose il marchese. "Essi non ci abbandoneranno, ne sono certo." "Che cosa potranno fare contro i kissuri del sultano?" chiese Ben, con voce triste. "Sì, mia sorella tenterà di venire in nostro aiuto, cercherà anche di corrompere gli alti funzionari del sultano, i carcerieri, fors'anche il vizir perché il denaro non le manca, ma io dubito che possa riuscire. È una infedele, al pari di noi, e facendosi conoscere correrebbe forse maggiori pericoli." "Eppure io non dispero, Ben," disse il marchese. "Il mio cuore mi dice che sta lavorando per la nostra liberazione." "Prima di lasciarmi scannare farò un massacro dei kissuri," disse il bollente sardo. "Vi decapiteranno egualmente," osservò Ben. "Diavolo! Così non può andare." "Ebbene, cambia la nostra sorte, mio bravo Rocco," rispose il signor di Sartena. "Sì, padrone." "Provati." "Strapperò le sbarre di ferro per ora. Sono grosse e ci serviranno a rompere le costole dei kissuri." "Saranno dure da levare." "Anche le mie braccia sono solide." L'isolano s'accostò alla feritoia, s'aggrappò ad una sbarra e si provò a scuoterla. "Non si muove," disse, per nulla scoraggiato. "Torciamola." Tese le braccia, strinse le dita e sviluppò tutta la sua forza immensa, inarcando le poderose reni e puntando le ginocchia contro la parete. I muscoli si gonfiarono come se volessero far scoppiare la pelle delle braccia, mentre le vene del collo e delle tempie s'ingrossavano prodigiosamente. La sbarra resisteva, ma anche l'ercole non cedeva e raddoppiava gli sforzi. Ad un tratto, con gran stupore del marchese e di Ben, il ferro si piegò, poi uscì bruscamente dall'alveolo. "Eccolo!" esclamò Rocco, trionfante. "Mille leoni!" esclamò il marchese. "Ma tu hai una forza da gareggiare con un gorilla!" "Gigantesca!" "All'altra," disse il sardo, tergendosi il sudore che gli bagnava la fronte. Essendo i margini della feritoia ormai sconnessi, la seconda sbarra fu strappata con meno fatica e assieme ad essa cadde anche una parte dell'intonaco, allargando in tal modo il foro. Il sardo cacciò la testa attraverso l'apertura, ma subito si ritrasse. "Vi è qualche sentinella?" chiese il marchese. "Sì, vi è un kissuro che veglia sotto la feritoia," rispose il sardo. "Siamo alti dal suolo?" "No, appena tre metri." "Dove guarda questa finestra?" "In un giardino." "Ben," disse il marchese, "se fuggissimo?" "E la sentinella?" "M'incarico io di abbatterla," disse Rocco. "Allarghiamo il passaggio," disse il marchese. "Con queste due sbarre possiamo spostare una lastra, è vero, Rocco?" "Ci riuciremo, signore," rispose il sardo, il quale ormai non dubitava più della riuscita del suo piano. "E potremo poi uscire dal giardino?" chiese Ben. "Vi saranno delle muraglie da superare." "Le scaleremo," rispose Rocco. "Diavolo d'un uomo," mormorò l'ebreo. "Trova tutto facile, ma sa anche operare." Stavano per mettersi al lavoro, quando il marchese si arrestò, dicendo: "E se ci sorprendono? Ben, mettetevi presso la porta e se qualcuno s'avvicina, avvertiteci. Noi due basteremo a smuovere la lastra." Essendo le due sbarre un po' appuntite, riuscirono a sgretolare parte dell'intonaco, una specie di calce rossiccia di poca resistenza, quindi si provarono a smuovere la lastra di destra che formava uno degli angoli della feritoia. Dopo quattro o cinque colpi la pietra si spostò, quindi cadde fra le braccia del sardo. Dietro non vi era che del fango disseccato mescolato a pochi mattoni cotti al sole. "Che cosa dite, padrone?" chiese Rocco, giulivo. "Che fra un'ora noi saremo liberi," rispose il marchese. "Questi mattoni non offriranno alcuna resistenza." "Che cattive costruzioni, signor marchese." "Gli abitanti di Tombuctu non conoscono la calce. Tutte le loro case sono fatte con mattoni male seccati e con argilla." "Assaliamo la parete, signore." "Adagio, Rocco. La sentinella può accorgersi del nostro lavoro." "Faremo poco rumore." Si rimisero al lavoro, sgretolando l'intonaco e levando i mattoni che mettevano a nudo. La feritoia a poco a poco si allargava, nondimeno ci vollero non meno di quattro ore prima che fosse ottenuto uno spazio sufficiente per lasciar passare i loro corpi. Quand'ebbero finito, la notte era calata da qualche ora. "È il momento di andarsene," disse Rocco. "Puoi passare?" chiese il marchese. "Tu sei il più grosso di tutti." "Passerò, signore." "Guarda se il kissuro ha lasciato il posto." Rocco si alzò sulle punte dei piedi e sporse con precauzione la testa. "È sempre lì sotto e mi pare che si sia addormentato," disse. "Non si muove più!" "È bene armato?" "Ha una lancia e delle pistole alla cintura. Oh!" "Cos'hai?" "Invece di accopparlo con un colpo di sbarra lo afferro pel collo e lo metto al nostro posto." "Saresti capace di fare una simile prodezza?" "Guardate!" Il sardo passò il corpo attraverso la feritoia, allungò la destra, afferrò la sentinella per la gola stringendo forte onde impedire di mandare qualsiasi grido, poi lo alzò come un bamboccio e lo fece passare per lo squarcio, deponendolo ai piedi del marchese e di Ben. "Mille leoni!" esclamò il signor di Sartena. "Che braccio!" Il kissuro, rapito così di volo, non aveva nemmeno cercato di opporre resistenza. D'altronde Rocco non aveva allargato la mano. "Un bavaglio," disse l'ercole. "Presto o lo strangolo." Il marchese strappò un pezzo del suo caic, fece una fascia e aiutato da Ben l'annodò attraverso la bocca del disgraziato guerriero. "Ora le gambe e le mani," disse Rocco. "È fatto," rispose il marchese, il quale si era levato la lunga fascia di lana che gli stringeva i fianchi. Il kissuro, mezzo strangolato, era rotolato al suolo, guardando i tre prigionieri con due occhi strabuzzati. "Bada che se tu cerchi di liberarti noi torneremo qui e ti accopperemo," gli disse il marchese, con voce minacciosa. "Mi hai compreso?" Gli levò le due pistole che aveva alla cintura, due armi ad acciarino, lunghissime, col calcio intarsiato in argento, e ne diede una a Ben. "Andiamo," disse. Rocco, munito d'una sbarra, arma ben più pericolosa d'una lancia per quell'ercole, passò attraverso la feritoia e si lasciò cadere nel giardino. "Vedi nessuno?" chiese il signor di Sartena. "Passate," rispose il sardo. Un momento dopo i tre prigionieri si trovavano riuniti sotto la feritoia.

"Abbassate la testa!" Il marchese invece di curvarsi si era alzato col fucile in mano, tentando di scoprire, attraverso i folti vegetali, quei misteriosi arceri. Vedendo un'ombra umana emergere fra le canne della riva, puntò l'arma e fece rapidamente fuoco. Si udì un grido, poi un tonfo. L'uomo era caduto e si dibatteva nell'acqua, a pochi passi dalla scialuppa. Rocco con un poderoso colpo di remo lo sommerse e probabilmente per sempre, perché l'acqua tornò tranquilla e nessun rumore più si udì. Nondimeno la situazione dei fuggiaschi non era migliorata dopo quel fortunato colpo di fucile. Di quando in quando qualche freccia, scagliata forse a caso, passava sibilando sopra la scialuppa che si era impegnata nello stretto passaggio che serviva di comunicazione fra la piccola cala ed il fiume. "Ben," disse il marchese, il quale aveva ricaricato prontamente l'arma, "voi sorvegliate la riva destra mentre io guardo quella sinistra e se scorgete qualcuno fate fuoco." "Ed io?" chiese Esther. "Rimanete coricata fra le casse, per ora. Noi due basteremo." Rocco, il moro ed i due battellieri arrancavano con furore per superare lo stretto, che era fiancheggiato da foltissime piante dove i negri potevano imboscarsi e lanciare i loro dardi con piena sicurezza. Per la terza volta l'urlo dello sciacallo ruppe il silenzio che regnava nella foresta. "Ah! Questo urlo!" esclamò il marchese, le cui inquietudini aumentavano. "Che significherà? Che sia un segnale di raccolta?" Un colpo secco sul bordo lo fece balzare indietro ... Una piccola lancia, uno di quei giavellotti che i negri usano lanciare a mano, si era piantato nel fianco della scialuppa, a pochi centimetri da Rocco. Il marchese udendo le canne muoversi stava per far fuoco quando una scarica di tamburi rintronò in mezzo agli alberi, seguita da vociferazioni spaventevoli. Quasi nel medesimo istante vide delle strisce di fuoco serpeggiare velocemente fra i festoni di liane ed in mezzo ai cespugli. "Per le colonne d'Ercole!" esclamò. "S'incendia la foresta? Rocco, El-Haggar! Alle armi!" Una turba di negri, muniti di rami resinosi, si era precipitata attraverso le piante incendiando i cespugli resinosi, poi si era rovesciata sulle rive della piccola cala, urlando come una legione di demoni. Erano più di cento, armati di lance, di archi e di mazze, di scimitarre e di coltellacci. Alcuni, più audaci, vedendo la scialuppa già in procinto di entrare nel Niger, si erano gettati coraggiosamente in acqua sperando di raggiungerla. "Ben," disse il marchese, "noi occupiamoci dei nuotatori e voi altri fate delle scariche verso la riva. Tirate con calma e non impressionatevi. Questi negri valgono ben poco e li arresteremo subito." L'incendio della foresta si era propagato con rapidità incredibile. I cespugli si torcevano e scoppiettavano, mentre le fronde delle piante giganti fiammeggiavano come torce colossali. Una luce intensa illuminava tutta la cala, proiettandosi fino sulle acque del Niger, le quali pareva che si fossero tramutate in bronzo fuso. Una prima scarica arrestò, poi volse in fuga i nuotatori ed una seconda calmò lo slancio dei negri assiepati sulle rive. Le palle dei fucili a retrocarica avevano gettato a terra o calato a fondo parecchi uomini e quella dura lezione aveva raffreddato il furore degli assalitori. "Approfittiamo di questo momento di sosta," disse il marchese. "Rocco, El- Haggar, ai remi!" Mentre Ben ed Esther continuavano a sparare contro ambe le rive, la scialuppa superò velocemente lo stretto e si slanciò nelle acque del Niger, allontanandosi dalla sponda. Il pericolo non era cessato, tutt'altro! Attirati dai rulli dei noggara e più di tutto da quella luce intensa che si propagava sulla riva del fiume gigante, numerose scialuppe si erano staccate da Koromeh, montate da equipaggi armati. "Stiamo per venir presi," disse Ben, gettando uno sguardo disperato verso Esther. "Quelle scialuppe accorrono per tagliarci il passo." "E sono una ventina," mormorò il marchese, tormentando il grilletto del fucile. Le scialuppe di Koromeh avevano attraversato il fiume ed avevano formato una linea che si estendeva quasi da una riva all'altra, onde chiudere completamente il passo. Erano montate da un centinaio e mezzo di negri armati per la maggior parte d'archi e di coltellacci, però alcuni possedevano anche dei fucili. Continuando la foresta a bruciare, si distinguevano perfettamente e si vedeva anche che si preparavano a dare battaglia ai fuggiaschi. "Amici," disse il marchese. "Non perdiamo un colpo. Dalla rapidità del nostro fuoco e dall'esattezza dei nostri tiri dipende la nostra salvezza. "Quando saremo addosso alle scialuppe, tu, Rocco, e tu, El-Haggar, lasciate i remi e prendete i fucili ... Mille cannonate! I kissuri!" "Dove sono?" chiesero tutti. "Là, guardateli! Hanno lasciato or ora la riva sinistra e corrono in aiuto dei negri su due imbarcazioni!" "Maledizione!" ruggì Rocco. "Verranno a guastare la nostra vittoria." "Marchese," disse Esther. "Voi e Ben occupatevi dei negri; io apro il fuoco sui kissuri. La mia carabina ha una portata straordinaria e prima che quei bricconi si avvicinino, ne abbatterò parecchi." Il marchese e Ben aprirono tosto un terribile fuoco accelerato, mentre Esther, coricata fra le casse, sparava sulle due imbarcazioni montate dai kissuri lanciando le sue palle a sei o settecento metri. Intanto i due battellieri, Rocco ed El-Haggar, arrancavano con furore, risoluti a sfondare la linea di battaglia e passare addosso ai negri. Il fuoco accelerato del marchese, di Ben e della giovane ebrea, diventava più terribile a mano a mano che la distanza scemava. I negri cadevano in buon numero e anche i kissuri subivano perdite gravissime, perché ben poche palle andavano perdute. Erano tre formidabili bersaglieri e mancava ancora Rocco, un tiratore che forse superava gli altri. I nemici nondimeno non aprivano la loro linea, anzi le scialuppe più lontane accorrevano per ingrossarla onde opporre maggiore resistenza ed intanto rispondevano scaricando i loro moschettoni e lanciando frecce in gran numero. Né le palle, né i dardi ancora giungevano fino alla scialuppa, tuttavia il marchese cominciava a diventare assai preoccupato per l'abbondanza straordinaria di quei proiettili. "Eleviamo una barricata!" esclamò ad un tratto. "Abbiamo le casse e anche delle panche. Ben, Esther, continuate il fuoco, voi! Non domando che due minuti." Lasciò il fucile, afferrò uno ad uno i forzieri e li accumulò a prora legandoli insieme con una fune. Essendo pieni d'oro, potevano arrestare le palle dei moschettoni, anche a breve distanza. "Esther, qui voi," disse quand'ebbe finito. "La barricata è solida e non correte pericolo alcuno. Vi ho lasciato uno spazio sufficiente per la canna della vostra carabina." Accumulò poi a poppa le casse contenenti i loro effetti, formando una seconda barricata, e alzò le panche a babordo ed a tribordo in modo da riparare anche i rematori dai tiri trasversali. I negri accortisi subito di quei ripari che rendevano quasi inutili le loro frecce e anche le loro palle, avevano rotto la loro linea di combattimento per assalire la scialuppa sui due fianchi, ma le prime barche che si erano avanzate avevano dovuto retrocedere frettolosamente cogli equipaggi decimati. Il marchese ed i suoi compagni le avevano accolte con un fuoco così terribile, da rendere impossibile un nuovo attacco. "Coraggio, amici!" gridò il marchese. "La via è aperta!" Si volse e guardò le scialuppe montate dai kissuri del sultano. Si trovavano allora a quattrocento metri e manovravano in modo da abbordare l'imbarcazione a poppa. "Tre salve su costoro!" gridò il marchese. "Sono i più pericolosi!" Nove colpi di fucile rimbombarono. Cinque kissuri della prima scialuppa caddero e uno della seconda. "Eccoli calmati," disse il marchese vedendo le due imbarcazioni arrestarsi. "Avanti ora!" Una scialuppa si era messa attraverso la rotta seguita dai fuggiaschi. Era montata da otto negri fra i quali alcuni possedevano dei fucili. "Animo!" gridò Rocco. "All'abbordaggio!" Arrancando con lena disperata investono furiosamente la scialuppa, le fracassano il bordo e la capovolgono, mentre il marchese, Ben ed Esther fucilano a bruciapelo i negri. "Urrah! Avanti!" tuona il marchese. L'imbarcazione passa fra gli assalitori colla velocità d'un dardo e supera la linea, ma i negri non si danno ancora per vinti. Incoraggiati dai kissuri i quali si sono rimessi in caccia e forti del numero, si riordinano prontamente ed inseguono vigorosamente i fuggiaschi, mentre altre scialuppe si staccano dalle due rive. La battaglia diventa terribile. Anche Rocco ed El-Haggar hanno impugnati i fucili e dopo aver rinforzato la barricata di poppa con quella di prora, diventata ormai inutile, bruciano le loro cartucce senza economia. Le canne dei retrocarica sono diventate così ardenti, che il marchese, Ben ed Esther sono costretti a bagnarle nel fiume onde non bruciarsi le dita. È un miracolo se i fuggiaschi non hanno ricevuto ancora delle ferite. La lotta non può durare a lungo, malgrado il fuoco infernale dei due isolani, dei due ebrei e del moro. I negri s'accostano da tutte le parti urlando come demoni, decisi a venire all'abbordaggio. Il Niger sembra in fiamme, perché l'incendio della foresta avvampa sempre. Le sue acque sembrano di fuoco. Il marchese e Ben si scambiano uno sguardo pieno d'angoscia. Comprendono che la lotta sta per finire e che stanno per cadere vivi nelle mani dei negri e dei kissuri. "È finita," mormora il marchese, con voce strozzata. "Sì," risponde Ben, facendo un gesto disperato ... "Ci lasceremo prendere?" "No. Vi è una scure sotto il banco. Quando i negri monteranno all'assalto, sfonderemo la scialuppa." "Sì, Ben." Riprendono il fuoco, fulminando i negri più vicini. Esther pallida ma sempre risoluta, li appoggia vigorosamente, mentre Rocco si prepara a martellare i nemici col calcio del fucile. Il cerchio si restringe. I negri non si trovano che a poche diecine di passi ed impugnano le lance e le mazze mentre i kissuri urlano a piena gola "Addosso ai kafir! Ordine del sultano." Ad un tratto un fischio acuto assordante lacera l'aria e copre il rombo delle fucilate, poi delle scariche regolari, stridenti, come eseguite da una mitragliatrice, si seguono. I negri si arrestano stupiti e anche spaventati, mentre parecchi cadono fulminati sul fondo delle piroghe. Il marchese, a rischio di ricevere una palla nel cranio, balza a prora. Un urlo gli sfugge "Siamo salvi! Coraggio! Alcune scariche ancora!" Una grossa scialuppa a vapore, fornita di ponte, sbucata non si sa da dove, fende rapidamente le scintillanti acque del fiume, fischiando e fumando. A prora balenano dei lampi e risuonano delle detonazioni. È una mitragliatrice che prende d'infilata le scialuppe dei negri. Chi sono quei salvatori che giungono in così buon punto? Nessuno si cura di saperlo pel momento. Il marchese e tutti gli altri, vedendo la scialuppa avanzarsi a tutto vapore, raddoppiano il fuoco, bruciando il muso ai negri più vicini. Il cerchio si è allargato, perché la mitragliatrice comincia a far strage. Le palle fioccano sulle scialuppe, decimando crudelmente gli equipaggi. Un uomo di alta statura, con una lunga barba bionda, vestito interamente di bianco, con in capo un elmetto da esploratore, sale sulla prora della scialuppa a vapore già vicinissima, gridando: "Vorwaerts! Pronti ad imbarcarvi! Passeremo addosso ai negri!" "Dei tedeschi!" esclama il marchese, corrugando la fronte. "Bah! In Africa tutti gli europei sono fratelli. Siano i benvenuti! Amici, abbordiamo!" La scialuppa a vapore ha rallentato la sua marcia, ma la sua mitragliatrice continua a spazzare il fiume con scariche sempre più formidabili. I due battellieri con pochi colpi di remo l'abbordano sul babordo, mentre una scala di corda viene gettata. "Presto, salite!" grida l'uomo biondo. Il marchese afferra Esther e la porge all'uomo biondo, il comandante di certo, a giudicare dai gradi d'oro che gli ornano le maniche. Questi la solleva sopra la bordatura e la depone sulla tolda, quindi, levandosi galantemente l'elmo, le dice in francese: "Signora, siete fra amici: ora daremo a quei bricconi di negri la paga." Il marchese, Rocco, Ben, il moro ed i battellieri salgono precipitosamente, portando i forzieri che i marinai della scialuppa subito prendono, deponendoli dietro la murata. "Signore," dice il marchese, volgendosi verso il comandante e salutandolo militarmente, "grazie, a nome di tutti." Il tedesco gli porge la destra, gli dà una vigorosa stretta, poi grida: "A tutto vapore!" I negri ed i kissuri, furiosi di vedersi rapire la preda, quando credevano ormai di tenerla, si stringono addosso alla scialuppa a vapore tentando di montare all'abbordaggio. Urlando spaventosamente, scaricano i loro moschettoni e lanciano dovunque dardi e giavellotti. "Ah! briganti!" brontola il comandante. "Non volete lasciare andare? Ebbene, la vedremo!" Mentre la mitragliatrice continua a tuonare, lanciando i suoi proiettili a ventaglio, ed i quindici marinai, aiutati dal marchese, da Ben, da Rocco e da El-Haggar, respingono gli assalitori a colpi di fucile e di baionetta, la scialuppa indietreggia di cinquanta passi, poi si slancia innanzi a tutto vapore. La sua elica morde furiosamente le acque facendole spumeggiare. "Avanti!" tuona il comandante. "Fuoco di bordata!" La piccola cannoniera ha preso lo slancio. Si avanza fischiando, fracassa due scialuppe, passa in mezzo alle altre e scompare fra una nuvola di fumo, mentre i negri urlano a piena gola bruciando le loro ultime cariche. La sconfitta dei sudditi del sultano di Tombuctu è completa. Il fiume è ingombro di pezzi di scialuppe e di corpi umani che la corrente travolge, e la scialuppa a vapore continua la sua veloce fuga, lasciandosi indietro le piroghe sulle quali i negri sfogano la loro rabbia impotente con minacce atroci. Il marchese lascia il fucile e s'avvicina al comandante, il quale, munito d'un cannocchiale, guarda sorridendo tranquillamente i negri che fanno sforzi indicibili per dare la caccia alla scialuppa. "Signore," dice, "vi dobbiamo la vita. I negri stavano per prenderci." "Sono ben lieto, signore, di esser giunto in così buon momento. Siete francese?" "Il signor marchese di Sartena, un valoroso corso che ha attraversato il deserto per cercare il colonnello Flatters," disse Ben, avanzandosi. "Wilhelm von Orthen," rispose il tedesco, inchinandosi dinanzi all'isolano e porgendogli per la seconda volta la destra. "Avete trovato lo sfortunato colonnello, signor marchese? Sarei stato ben contento se avessi potuto salvare anche lui." "È morto, signor von Orthen." "Ne ero quasi certo." "Ma come vi trovate qui, voi, signore?" "Avevo appreso che il tenente Caron era salito fino qui colla sua cannoniera ed ero stato incaricato, dal mio governo, d'accertarmi della navigabilità del Niger." "E ne avete avuto una prova," disse il marchese, sorridendo. "Sì," rispose il tedesco. "Signor marchese, la mia scialuppa è interamente a vostra disposizione. Io ritorno verso la costa." "E noi vi seguiremo, signor von Orthen, perché la nostra missione è ormai finita." Conclusione Quindici giorni dopo, la scialuppa a vapore giungeva indisturbata alle bocche del Niger e del vecchio Calabar, e sboccava in mare arrestandosi ad Akassa, una graziosa ma anche assai insalubre cittadina del possedimento inglese. Il marchese ed i suoi compagni, dopo aver fatto degli splendidi regali ai marinai della piccola cannoniera, ai quali dovevano la loro salvezza, e dopo aver ringraziato il valoroso comandante, s'imbarcarono su un piroscafo inglese in rotta per la libera colonia di Liberia. Tutti avevano fretta di ritornare al Marocco, soprattutto il marchese, il quale ormai aveva dato il suo cuore alla bella Esther. Il 25 febbraio del 1880 sbarcarono a Monrovia, la capitale della repubblica negra, prendendo tosto imbarco su un piroscafo della Woermann Linie che faceva il servizio fra Liberia, isole Canarie, Mogador e Tangeri. Quindici giorni più tardi il marchese di Sartena, nella casa di Ben Nartico, impalmava la valorosa ebrea, che aveva imparato ad apprezzare nel deserto del Sahara, fra i mille pericoli dei feroci scorridori del deserto e fra i kissurì del sultano di Tombuctu. Il giovane marchese non ha rinunziato alle sue spalline. Egli è ancora uno dei più brillanti ufficiali della guarnigione corsa e Rocco ed El-Haggar, il fedele moro, sono le sue ordinanze, come Esther è la più bella e la più invidiabile sposa dell'isola. 1 Tombuctu fu poi conquistata dai francesi. Fu presa con un audace colpo di mano, da scialuppe a vapore che avevano rimontato il Niger. 2 Letti molto primitivi formati d'una pelle tesa su un telaio.

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