Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Demetrio Pianelli

663130
De Marchi, Emilio 1 occorrenze

Sebbene la cerimonia non fosse ancora cominciata, già molte testine bionde e nere erano abbassate in un pio raccoglimento, i maschi da una parte, le bambine dall'altra. Arabella colla mamma passò a sinistra. Demetrio coi maschietti e col Berretta a destra, in mezzo alla folla che andava raccogliendosi. Arabella in tutti i suoi passi sentivasi seguita dall'ombra del suo papà. Aveva promesso di offrire tutti i meriti e tutte le indulgenze del Sacramento in sollievo dell'anima sua: ed ora, nel momento che il Signore stava per discendere fino a lei, la povera orfanella avrebbe voluto offrire il cuore in olocausto. Venti ragazzi sulla cantoria intonarono il Salutaris ostia Tutte le testoline raccolte intorno alla Mensa si piegarono avvolte nell'onda mistica di quelle voci bianche. Arabella sola guardava l'altare e pregava, fissa, cogli occhi quasi allucinati. Diceva colla voce del cuore: "Prenditi la mia vita, fammi morire adesso, ma salva l'anima sua" e quasi le pareva di sentire una mano fresca e leggiera posarsi sulla spalla. L'anima era lí dietro, come una persona che aspetta con pazienza. L'organo, dopo aver accompagnato i celebranti col suono ripieno delle sue canne maggiori, attenuò a poco a poco le voci, introdusse suoni teneri e palpitanti di flauto e di voce umana. Globuli d'incenso si svolsero e si colorirono nel raggio obliquo del sole, che traversava lo spazio e andava a risplendere sui marmi colorati del pulpito. Demetrio, intenerito, cercò cogli occhi Arabella per associarsi a lei nei frutti del Sacramento. Dietro la fanciulla vide Beatrice e accanto un'altra signora magra, che riconobbe per la Pardi. Beatrice, col libro delle preghiere aperto nelle mani, colla testa e le larghe spalle diritte, avviluppata anche lei dalla dolce commozione di quelle voci bianche, leggeva, alzando di tanto in tanto le larghe palpebre. Il velo, nelle sue ombre molli e oscure, attenuava un poco la materialità della sua bellezza di provincia, ne alleggeriva un poco la corporatura, la sollevava insomma verso quel che i poeti chiamano l'ideale. Chiudeva il libro, tenendovi dentro l'indice, recitava un gloria colle labbra, abbassando un poco la testa fino a toccare col naso il velluto cremisi della sua Via al Cielo , tornava a rialzare il capo, a riaprire gli occhi sereni e buoni verso l'altare. Che avesse ragione Paolino? La Pardi non stava mai tranquilla, e, piú di una volta, da vero diavolo tentatore, cercò di far ridere Beatrice sul conto di quel bellissimo suo cognato in redingotto. Dio, che bellezza!… Beatrice una volta le fece segno di finirla. La diavolessa s'inginocchiò in terra e si raccolse in una fervida preghiera. Il Signore stava per discendere in mezzo agli innocenti. I ragazzi del coro cominciarono un soave: O sacrum convivium , a sole voci, che richiamò la mente di Demetrio dalle strane divagazioni in cui cominciava a perdersi. Stese in terra il suo fazzoletto di cotone, fresco di bucato, s'inginocchiò e strinse l'anima sua a pensieri piú casti e religiosi. "C'è una grande Provvidenza al di sopra delle nostre tegole, delle nostre miserie e della nostra presunzione, e soltanto chi la nega è indegno di meritarsela. "È questa fede nella forza superiore che sorregge il povero zoppo nel momento che perde il suo bastone, che trae a riva il naufrago nell'atto che la sua barca sta per affondare, che versa la consolazione nella lampada del cuore. "Tu fa il bene per il bene e lascia che Dio aggiusti il conto. Dio è un ricco cassiere che non scappa mai. "Non è l'arte del saper vivere che fa, ma il viver bene, anche sbagliando. "Il bene che tu fai nella buona intenzione e nella carità del prossimo non si perde mai. Se hai speso tutto il tuo denaro per isfamare gli infelici, se ti sei spogliato quasi ignudo per vestire gli orfanelli, se hai asciugato le lagrime della vedova ... ." Demetrio alzò un momento la testa e lanciò un'occhiata ancora a quella donna, che spiccava sopra il fondo marmoreo del pulpito ... "Se hai fatto del bene, ringrazia Dio che ha voluto procurarti le occasioni e t'ha preferito al ricco e al potente. "Non invidiare dunque la fortuna del tuo vicino, salva il tuo credito intatto per l'eternità, e non lasciarti deviare dalle concupiscenze." "Zio Demetrio, è adesso che Arabella diventa un tabernacolo?" chiese Naldo pian pianino con una voce commossa. Arabella aveva nel cuore il suo Signore e se lo teneva ardente e stretto colle mani. Tutto l'essere suo era una fiamma, una soavissima fiamma d'amore, che s'irradiava visibilmente attraverso le rosee carni e alla nebbia del velo. Beatrice sentí gli occhi riempirsi di lagrime, e con quegli occhi lucenti andò a cercare gli altri figliuoli quasi per trarli anch'essi nella dolce comunione degli spiriti. Demetrio, che s'era tolto Naldo in braccio perché potesse vedere piú bene, sentí a quello sguardo correre una scintilla per tutto il corpo, e gli parve che la chiesa si riempisse di fiammelle e di frantumi di vetro. "Che cosa era venuto a dire quel benedetto Paolino?" Nell'uscire di chiesa egli provò una dolce vertigine, come se il profumo di tutti quei fiori lo avesse soavemente inebbriato, o fosse veramente disceso anche in lui uno spirito santo a rischiarare le povere pareti della sua vita interiore. Mamma, figliuoli e amici s'incontrarono di nuovo davanti la chiesa in mezzo al gran bisbiglio della gente che usciva. I bambini saltarono al collo di Arabella, si baciarono, fecero un lieto chiasso. Beatrice col viso ancor fresco di lagrime venne lei per la prima a stendere la mano al cognato e disse qualche parola per avviare la pace, parola che Demetrio non afferrò. "Sí, sí, sí ... " egli seguitava a ripetere, e rideva di quel riso che non esce dalla bocca e par che indurisca le mascelle. Sentiva anche lui una punta come quella d'un bastone schiacciato tra una costola e l'altra. "Sí, sí, sí ... " tornò a dire in seguito a qualche cosa che Beatrice gli domandò e di cui non arrivò ancora a prendere il senso. Quel gran sole di fuori lo abbagliava, lo stordiva; scosse il capo per togliersi d'addosso la vertigine, e gli parve, fra tanti veli bianchi che lo circondavano, di trovarsi perduto in mezzo a una nuvola. Scambiati i saluti e i complimenti coi Grissini, colla Pardi, col Bonfanti, la nostra brigatella, coi ragazzi davanti in crocchio, si avviò verso il centro. Lo zio Demetrio voleva pagare a tutti la colazione al caffè Biffi in Galleria. I ragazzi parlarono tutti insieme (c'era anche Ferruccio) saltando intorno all'Arabella, che col Signore in corpo mandava la contentezza attraverso alla nuvola bianca del suo velo. Demetrio camminava a fianco di Beatrice, distaccato, sui ciottoli, per lasciare tutto il marciapiede a lei; e pareva soltanto occupato a curar le carrozze, che sbucavano da tutte le parti. "Che bella giornata!" disse egli dopo un bel tratto, alzando gli occhi e facendo un mezzo giro sulle gambe. "Bello essere in campagna!" osservò Beatrice. "Proprio davvero ... Guardate alle carrozze!" Camminarono un altro poco in silenzio. Demetrio una volta si specchiò in una vetrina e non si riconobbe subito. Non era abituato a portare il cilindro e a far da cavalier servente a una bella signora. Beatrice osservò per conto suo che la cerimonia non poteva essere piú commovente, che pareva un giardino la chiesa. "Proprio davvero!" esclamò Demetrio, mentre si domandava in cuor suo se non era il momento di buttar fuori il nome di Paolino e di tirare il discorso sul famoso argomento; ma appunto in quel momento uscí una carrozza da una delle vie laterali e lo zio corse a prendere Naldo. Beatrice si trovò a fianco di Arabella, che si attaccò al braccio della sua bella mammetta. "Ho pregato tanto anche per te, mamma." "Brava." In quel benedetto crocevia della piazza del Duomo, da dove si irradiano gli omnibus e i tram, lo zio prese per mano anche Mario e gridò alle donne: attente alle carrozze! Pareva il capitano che salva la nave dagli scogli, e gli deve esser passata questa idea nella mente. Entrarono nella Galleria. Non c'era molta gente in quell'ora mattutina — lo zio osservò che l'orologio in cima all'arco segnava le otto e mezzo. — Il bel mosaico del pavimento, quasi sgombro, spiccava in tutta la nitidezza de' suoi marmi e de' suoi arabeschi nel chiaro riverbero che il cupolone di vetro, tocco dal sole, sbatteva nel vasto ambiente, sui cristalli dei negozi, sui globi, sugli ori delle ditte, sugli stucchi delle pareti liscie come specchi, su tutto ciò che poteva prendere e rimandare la luce in un giuoco di luci. Una fresca arietta volava attraverso ai bracci dell'edificio, che pulito e splendido, si preparava a una nuova giornata della sua vita rumorosa ed elegante. Beatrice, che da molti mesi non poneva il piede in quel magnifico salone pubblico, sollevò con un sospiro un monte di meste ricordanze, ma si lasciò subito prendere dalla curiosità delle belle botteghe, dove brillavano i gioielli, le porcellane, i ventagli, gli specchi e le avrebbe fatte passar tutte, se i ragazzi non avessero reclamato. Oltre la fame, Demetrio voleva esser all'ufficio per le nove. Entrarono subito al Biffi che rimesso a fresco da poco tempo con stucchi nuovi, specchi nuovi, velluti nuovi, pareva un pezzo di paradiso. Sedettero a un tavolino presso uno dei grandi cristalli che dànno sull'ottagono, da dove si può vedere il vasto piazzale pubblico, con tutte le botteghe in giro, con sopra la tazza immensa e trasparente della cupola, un vero barbaglio per chi ci va una volta tanto. Beatrice si rimirò subito nello specchio di fronte, badò a sedersi bene, lieta in cuor suo — senza dirlo a sé stessa — perché i camerieri s'erano voltati tutti al suo entrare. Al Biffi era venuta l'ultima volta col povero Cesarino la vigilia di Natale, ma s'era angustiata per un ufficiale di cavalleria, che non aveva mai cessato di fissarla come se avesse voluto bruciarla cogli occhi. Cesarino finí coll'accorgersene e nel tornare a casa l'aveva fatta piangere. "Pren ... prendete un caffè e latte?" domandò Demetrio, guardando in terra. "Un caffè e panna, volentieri" rispose Beatrice. "Allora, uno, due, tre, quattro, cinque e sei caffè e panna," disse al cameriere, contando col dito teso gl'invitati, "del pane e quattro paste ... ." E sedette in faccia a Beatrice, senza accorgersi che tre o quattro camerieri in fondo alla sala sbirciavano, ridendo sotto i bei baffi, il redingotto e il cilindro ancor nuovo fiammante. Mentre si aspettava, lo zio, che aveva il cuore contento, prese un'orecchia di Naldo tra le dita e la tirò. Poi si voltò a guardar fisso in faccia all'Arabella, come se pretendesse una risposta a una domanda che non aveva fatto. Guardò in alto il cupolone, e una volta l'orologio del caffè che confrontò col suo: quella donna la vedeva in ombra davanti, la sentiva presente, la pensava, ma non avrebbe osato guardarla per paura ... Paura di che? Lo sa Dio ... Finalmente arrivò un gran vassoio pieno di chicchere, di panetti, di paste dolci e lo zio ebbe a occuparsi a distribuire, a versare, a far le parti giuste. A Beatrice offrí una bella veneziana fresca e siccome essa esitava ad accettare: "Andiamo, andiamo," disse con una certa furia screanzata, "che sciocchezze!" E nel dir queste parole sentí di nuovo una vampa di fuoco pigliargli il corpo, salire al collo, alle orecchie, alla radice dei capelli. Per fortuna capitò che Ferruccio lasciasse cadere un cornetto intero di pane nella chicchera. Ciò sollevò l'ilarità di tutti, anche di Beatrice, anche del sor Demetrio, e il tempo passò presto. Invece di chiamare il cameriere, il signor zio andò al banco a pagare, cosa che non si usa piú in un caffè rispettabile, e serví anche questo a divertire quei bravi giovinotti. "Bisogna che io me ne vada ... finite con comodo" tornò a dire. "Ci rivedremo piú tardi, stasera ... ." I ragazzi gridarono: "Riverisco, zio, riverisco ... grazie." Egli uscí in fretta in fretta, senza capire ciò che gli diceva la cognata. Aveva bisogno d'aria ... Passò davanti al cristallo, guardò nel caffè, vide un gruppo di gente, ma vide annebbiato, salutò colla mano, e col suo passo di bifolco che cammina nel molle, traversò verso Santa Margherita, portato come un pezzo di legno galleggiante dalla corrente dell'antica abitudine, non piú chiaro a sé stesso di quel che sia un pezzo di legno. Una sola parola con un senso umano, uscí da quel garbuglio di sentimenti che egli portò all'ufficio, e prese nel fondo del suo silenzio la cadenza di un bastone che picchia addosso a un sacco di cenci. Questa parola, ch'egli ripeté cento volte nel breve tratto di strada fino alla porta del Demanio, era il nome del suo migliore amico: Ah, Paolino! Ah, Paolino!

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